OTTOBRE 2016
La Cia - AGRICOLTORI ITALIANI promuove la vendita a 10,00 € del “KIT - AMATRICIANA SOLIDALE”, per raccogliere i fondi necessari alla ricostruzione delle aziende agricole e della filiera agroalimentare colpite dal sisma del 24 agosto 2016. Coerentemente con la propria storia, incentrata fortemente sui valori della solidarietà, la Cia con gli stessi “prodotti della terra” vuole realizzare un aiuto concreto per far ripartire le regolari attività produttive delle aree terremotate, consentendo così agli sfortunati colleghi di tornare rapidamente a lavoro. Cibo di eccellenza, per alimentare la speranza che gli agricoltori del Lazio e delle Marche possano realizzare ogni giorno produzioni di qualità, per la loro soddisfazione e quella dei consumatori. Per un contributo a sostegno delle imprese e delle popolazioni colpite dal sisma del Centro-Italia: IBAN IT03 S031 2703 2000 0000 0012 000
Grazie
in collaborazione con:
Ente di Protezione Ambientale Riconosciuto dallo Stato ai sensi dell'art. 13 della Legge 08/07/1986, n. 349 D. Min. Amb. 20.01.06 - G.U. 19.04.06 Prot. d’Intesa con M.I.U.R. del 01.06.2007
con il contributo di:
SPECIALE AMATRICE IL DOPO TERREMOTO DELLE IMPRENDITRICI AGRICOLE
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prezzo sostenitore 3,00 euro Anno 71 - n.10 ISSN 0029-0920
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QUELLE CHE IL POTERE 02/10/16 21.07
Il 26 settembre è iniziato il cammino della campagna nazionale dell’Udi che si concluderà nel settembre 2017. I presidi organizzati hanno richiamato l’attenzione di istituzioni e opinione pubblica sull’importanza dei consultori, sui problemi non risolti della maternità e della fecondazione medicalmente assistita, sugli ostacoli all’interruzione di gravidanza e all’informazione sessuale
ROMA.“Solo a Roma mancano oltre 90 consultori” spiegano le attiviste dell’Udi Montever-
de e dell’Udi romana La Goccia che hanno organizzato il presidio davanti alla Regione Lazio. “Noi c’eravamo ieri a fare le battaglie per conquistare i servizi, ci siamo oggi a difenderli e ci saremo domani, sempre all’insegna dell’autodeterminazione delle donne” hanno sottolineato, insieme alle altre arrivate a titolo personale o come delegazioni dei Coordinamenti Donne Cgil e Uil e della Casa internazionale delle donne. La disponibilità dell’amministrazione regionale ad istituire un tavolo di consultazione è un passo nella direzione giusta, ma occorrono presto azioni concrete.
BOLOGNA. Da tutta l’Emilia Romagna si sono date appuntamento il 26 settembre da-
vanti alla sede dell’Assemblea legislativa. “Abbiamo esposto le ragioni della nostra iniziativa” spiegano le organizzatrici dell’Udi, che insieme alle donne di altre associazioni e della Cgil regionale hanno portato all’attenzione delle istituzioni “testimonianze ed esperienze nel campo della maternità, della fecondazione medicalmente assistita, della contraccezione ed interruzione di gravidanza, evidenziando i gravi problemi rappresentati dall’obiezione di coscienza, dalla precarietà e dal mobbing nei luoghi di lavoro”. Le proposte sono state accolte dall’amministrazione regionale, un impegno che sarà monitorato.
NAPOLI. “C’è chi vorrebbe disporre del nostro corpo per farne l’inanimato oggetto da
modulare sul modello eccentrico del ‘Fertility Day’, procedendo in direzione ostinata e contraria all’inalienabilità delle facoltà femminili. Questa campagna sarà occasione di riflessione e lotta politica su diverse questioni che ruotano attorno ai corpi fertili delle donne, al loro diritto di autodeterminazione e di cittadinanza nel lavoro, nella maternità, nella cultura, nell'educazione delle giovani generazioni, nella possibilità di rappresentarsi ed essere rappresentate”. Dal Palazzetto Urban è partita la voce dell’Udi di Napoli che, insieme a tante altre donne, ha richiamato l’attenzione delle istituzioni locali.
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DELFINA
di Cristina Gentile
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SOMMARIO
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01 / DELFINA di Cristina Gentile 03 / EDITORIALE
4/7 ATTUALITà 04 I terremoti e i sistemi di Giancarla Codrignani 06 Le ragioni (vere) delle guerre di Stefania Friggeri
8/9 BIOETICA I divieti e la resistenza delle donne di Luisella Battaglia
10/15 INTRECCI 10 #PRIMADELLAVIOLENZA /La campagna degli uomini contro la violenza sessista di Gianguido Palumbo 12 DonnaeSalute a Firenze Medicina di genere e formazione Le buone pratiche DonnaeSalute a Montecatini Terme 14 La medicina di genere a Lipsia Retedonne e.V. di Tiziana Bartolini (a cura di)
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33 EGITTO/Le mutilazioni genitali femminili di Zenab Ataalla
41 Forlì/L’arte e la ragion d’essere Morsiani e Bogdanova in mostra
16 Se son leader fioriranno di Giovanna Badalassi
34 KURDISTAN SIRIANO/A Kobane la Casa delle donne di Carla Centioni
42 Venezia 2016/Focus sui giovani Ivano De Matteo/La vita possibile di Elisabetta Colla
36/43 APPRODI
45 Roma/I fiori del male Donne in manicomio nel regime fascista
18 Non basta un corpo a fare la differenza Intervista a Luisa Morgantini di Tiziana Bartolini (a cura di) 20 Una politica nuova e al femminile Intervista a Livia Turco di Tiziana Bartolini (a cura di)
22/25 JOB&JOB
36 Rachele Ferrario/Margherita Sarfatti di Flavia Matitti Concita De Gregorio/Cosa pensano le ragazze AAVV-D.Caione/Sguardi differenti Toponomastica femminile/Bando IV concorso 38 Laura Chiossone/Tra cinque minuti in scena Gianna Coletti/Mamma a carico di Camilla Ghedini
22 Donne in Campo/Amatrice, il terremoto La Terra trema di Tiziana Bartolini
05 Versione Santippe di Camilla Ghedini 09 Il filo verde di Barbara Bruni 11 Salute BeneComune di Michele Grandolfo 17 Strategie private di Cristina Melchiorri 44 SOS Filosofia di Francesca Brezzi 46 Leggere l’albero di Bruna Baldassarre 46 Famiglia, sentiamo l’avvocata di Simona Napolitani 47 Spigolando di Paola Ortensi 48 Poesia Marcella Corsi L’albero delle parole di Luca Benassi
39 NON UNA MENO. Verso la manifestazione del 26 novembre
26/35 MONDI
40 Io sono mia/Rassegna cinema Casa internazionale donne Roma
26 ECUADOR/Il paese in cui voglio sempre tornare Intervista a Giovanna Tassi di Nadia Angelucci 30 POLONIA/La battaglia del governo contro l’aborto di Cristina Carpinelli
Direttora Tiziana Bartolini
Anno 71 - numero 10 Ottobre 2016
Presidente Maria Costanza Fanelli
La testata fruisce dei contributi di cui alla legge n.250 del 7/8/90
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16/21 FOCUS / QUELLE CHE IL POTERE
Mensile di politica, cultura e attualità fondato nel 1944
Autorizzazione Tribunale di Roma n°360 del Registro della Stampa 18/03/1949 Poste Italiane S.p.A. Spedizione abbonamento postale D.L. 353/2003 (conv. In L.27/02/2004 n°46) art.1 comma 1 DCB Roma prezzo sostenitore €3.00 euro Filiale di Roma
ottobre 2016 RUBRICHE
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Clara Sereni Michele Serra Nicola Tranfaglia
Laura Balbo Luisella Battaglia Francesca Brezzi Rita Capponi Giancarla Codrignani Maria Rosa Cutrufelli Anna Finocchiaro Carlo Flamigni Umberto Galimberti Lilli Gruber Ela Mascia Elena Marinucci Luisa Morgantini Elena Paciotti Marina Piazza Marisa Rodano Gianna Schelotto
Ringraziamo chi ha già aderito al nuovo progetto, continuiamo ad accogliere adesioni e lavoriamo per delineare una sua più formale definizione L’editore garantisce la massima riservatezza dei dati forniti dagli abbonati e la possibilità di richiederne gratuitamente la rettifica o cancellazione contattando la redazione di noidonne (redazione@noidonne.org). Le informazioni custodite nell’archivio non saranno né comunicate né diffuse e verranno utilizzate al solo scopo di inviare agli abbonati il giornale ed eventuali vantaggiose proposte commerciali correlate. (L.196/03)
ringraziamo le amiche e gli amici che generosamente questo mese hanno collaborato
Zenab Ataalla Nadia Angelucci Giovanna Badalassi Bruna Baldassarre Tiziana Bartolini Luisella Battaglia Luca Benassi Francesca Brezzi Barbara Bruni Cristina Carpinelli Carla Centioni
Giancarla Codrignani Elisabetta Colla Stefania Friggeri Cristina Gentile Camilla Ghedini Michele Grandolfo Flavia Matitti Cristina Melchiorri Simona Napolitani Paola Ortensi Gianguido Palumbo
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Sì AL POTERE E ALLA SOLIDARIETà
ell’anno in cui celebriamo il settantesimo anniversario del voto alle donne abbiamo, tra le altre, una Ministra della difesa (Pinotti) e due giovani alla guida di dicasteri impegnati nella gestione di partite importanti: la Pubblica Amministrazione (Madia) e la riforma della Costituzione (Boschi). Fuori dalla compagine di governo troviamo Giorgia Meloni, leader del partito che ha fondato - Fratelli d’Italia - e che ha conteso ad un’altra donna, Virginia Raggi, la poltrona di sindaca di Roma. Ha vinto quest’ultima, come si sa, con il bis significativo per i pentastellati a Torino di Chiara Appendino. In questi giorni la premier britannica Theresa May si accinge a designare il prossimo capo di Scotland Yard scegliendolo, anzi scegliendola, in una rosa di tre candidate ad una carica strategica: garantire la sicurezza a Londra in un periodo con una forte minaccia del terrorismo internazionale. Una donna responsabile della sicurezza nazionale ha competenza e potere per conferire un incarico importantissimo ad un’altra donna. E non è una situazione eccezionale, posto che sono declinati al femminile i vertici del Fondo Monetario Internazionale (Lagarde), della Federal Reserve (Yellen) e del più autorevole paese dell’Ue (Merkel). Dobbiamo mettere a fuoco le ragioni di una convergenza eccezionale e già se ne profila un’altra: la prima volta di una donna presidente degli Stati Uniti d’America. Non riusciamo ancora a metabolizzare l’idea dell’impatto simbolico - immediato e nel tempo - che questo evento avrebbe, e ci troviamo realisticamente in un incubo: Hillary Clinton potrebbe non vincere, se la maggioranza di americani e americane dovesse votare per Donald Trump, miliardario populista e incompetente. Tante situazioni in rapida evoluzione che, come donne, ci chiedono di intrecciare considerazioni riguardanti il genere alle riflessioni più generali sulla politica nazionale ed internazionale. Senza mai dimenticare che a questa ascesa delle donne fa da
contraltare l’emarginazione e la povertà di milioni di donne o la violenza sessista che accomuna tutte ovunque nel mondo, così come la segregazione economica che riguarda operaie e donne in carriera. C’è un filo che unisce in questo nostro presente le tante donne in ruoli di potere alle troppe ingiustizie che subisce una moltitudine di donne senza potere. Occorre quindi cercare le possibili risposte ad una domanda, tra le tante: donne al potere, ma con quali obiettivi, con quali metodi e a quale prezzo. Dopo aver molto lottato per aprire la strade a tutte noi, e dopo esserci riuscite in buona parte, siamo arrivate al punto in cui la questione non può più essere elusa. Dare forza al femminile è stato un investimento nella speranza di un futuro migliore. Oggi quel futuro è arrivato e, in qualche modo, ci trova impreparate. Sembriamo strette tra l’attesa di ‘essere di più’ per poter imprimere svolte significative e le critiche all’operato delle donne che governano città, regioni, nazioni, processi o strutture complesse. E c’è la difficoltà di decifrare i comportamenti per capire cosa le donne al potere non possono fare, cosa non intendono fare e cosa ignorano di poter o dover fare. È il caso delle tante giovani, arrivate ‘in alto’ con relativa facilità e che non sempre colgono fino in fondo la forza e il senso delle lotte che hanno creato le condizioni culturali per la loro ascesa. Non è semplice, ma un primo, grande sforzo da fare, cercando il punto di una sintonia possibile, potrebbe essere quello di superare le strette appartenenze. In passato le donne hanno già avuto questa capacità, grazie alla quale hanno vinto le grandi battaglie che le hanno rese tutte più libere. Quelle di destra e di sinistra, le giovani e no, le cattoliche e le laiche. Forse è arrivato il tempo di andare oltre il potere e di concentrarsi su altre categorie, come l’idea di leadership o di autorevolezza. Cercando di riscoprire l’importanza della solidarietà tra donne, smarrita strada facendo. Tiziana Bartolini
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I TERREMOTI E I SISTEMI La crisi del capitalismo, la dittatura della finanza e la globalizzazione irreversibile: un mondo nuovo che la sinistra non sa governare. E neppure i progressi delle donne di Giancarla Codrignani
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i sa più se ad essere stata scossa durante l’estate sia la terra, il sistema o la coscienza. Che siamo paese sismico lo sappiamo, che la corruzione raddoppi i danni per vizio italico incontrollabile, pure. Sul “sistema” invece bisogna fermarsi e ragionare un poco per non peggiorare situazioni sempre più complicate: non è che “peggio di così non possono andare”, é, come diceva Gene Wilder, che potrebbe anche piovere. In passato “il sistema” era solo capitalista e chi era di sinistra lo combatteva perché rappresentava gli interessi dei padroni. Allora la visione socialista era virtuosa e il “riscatto” rappresentava la finalità comune per i “proletari di tutto il mondo”. Le donne - che sono lavoratrici - a partire dalla Resistenza, capivano che il progetto poteva essere vincente solo se integrato con la loro presenza nella direzione e si immaginavano che al volante non ci dovessero essere solo gli uomini. Detta così, anche un bambino capisce che, per quanto si tratti di un percorso importante della storia individuale e collettiva, quella non è più la realtà. Il sistema è rimasto capitalista, ma si è sviluppato in una nuova fase, che è pericolosa ma inevitabile (quanto meno perché non si torna indietro). L’economia produttiva è stata invasa dalla finanza e il far soldi (che “in basso” condiziona tutti nel consumismo e nei mutui) si impone ai governi con la massima spregiudicatezza: i titoli-spazzatura, la bad bank che è una pattumiera, la compravendita dei debiti dei paesi in difficoltà mentre il denaro si scambia a miliardi ogni ora su internet. Il dollaro resta egemone, ma lo yen giapponese e
lo yuan cinese sono entrati nella competizione; fortunatamente l’Europa ha l’euro e regge la concorrenza nel mercato divenuto anomalo, in cui il petrolio alza o abbassa i prezzi e l’oro continua a tenere banco. Tuttavia, l’Europa è un’unione, ma non “politica” e, anche se la sua Banca Centrale guidata da Draghi fa tutto il possibile, la gente non riesce a seguire i dati che la tv comunica positivi oppure negativissimi nel corso di una sola giornata: vittima delle proprie paure, si indigna oppure si avvilisce, prestando ascolto a pifferai che al grido “onestà, onestà”, attaccano le autorità che cercano di reggere la barra con la moderazione necessaria quando la navigazione è tempestosa. È la globalizzazione. La sinistra, non appena se ne diffuse la parola, l’ha maledetta. Maledire non serve se non si controllano i processi per prevenire guai. Ma la sinistra da almeno trent’anni non riflette su se stessa e rifiuta le sconfitte, come quella di un sindacato che, consapevole dei 2.300 miliardi di debiti a cui non si rimedia imponendo la patrimoniale a chi decentra la produzione o chiude, sembra giovarsi della Ces (Confederazione europea dei sindacati) meno ancora di trent’anni fa. Eppure da trent’anni il lavoro non è più lo stesso in tutti i paesi, la tecnologia ha sostituito gli operai con i robot, e per produrre i robot gli operai debbono diventare ingegneri. Rallegrarsi perché il capitalismo, se sta degenerando, è alle corde? Anche se fosse vero, senza idee e proposte nuove, le crisi le subiscono i poveri mentre il capitalismo si riassesta su nuove posizioni.
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Le idee mancano e le ideologie senza il conforto della fede, non possono riprendersi il gioco quando qualcuno ha rovesciato le carte, le multinazionali sfuggono al fisco e si è allargata la forbice tra chi ha e chi non ha. Dovrebbe tornare ovunque il primato della politica, ma il sistema stringe i freni e produce crisi di credibilità. Anche in Francia, in Germania, perfino nei paesi della giustizia sociale del Nord Europa prevale la paura, non della guerra, ma degli immigrati: il populismo agita la cosiddetta “pancia” e nessun politico in nessun paese del mondo osa nominare quei “sacrifici” un tempo virtuosi e patriottici: la Merkel rischia il suicidio politico, mentre la Le Pen ha consenso. Battuta d’arresto? Sì, ma guai cedere alla paura e non guardare avanti, per evitare che il futuro diventi solo conflittuale. Chi è cittadino/a si sforzi di capire di più: la conoscenza e la politica - anche se sembra di merda - possono farci scegliere la via della difesa dei diritti sciogliendo nodi passo dopo passo, contraddizione dopo contraddizione. Il “sistema” può avere finito di produrre merci: deve passare a produrre benessere umano: l’antico progetto di cambiare il mondo è ancora nelle nostre mani, anche se non sarà tutto rose e fiori. Il nostro genere è quello che, anche quando deve rinunciare, conserva l’alimentazione dei desideri. È la via, anche politicamente, migliore, tenendo conto che conosciamo bene la moderazione, soprattutto se questi tempi, pur di crisi ci consentono il pane e le rose. Certo abbiamo ragione di essere tutte preoccupate del nostro empowerment: dentro un sistema terremotato le difficoltà sono tante per far avanzare insieme i diritti delle donne mentre il mondo va avanti per i fatti suoi. L’estate è finita con la polemica sul burkini, che non è mica l’infibulazione: non è troppo poco per femministe vecchie e nuove? b
di Camilla Ghedini
O
ggi pensavo a un pranzo con alcuni imprenditori, circa tre anni fa. Nel mezzo di una crisi che li stava stritolando, e demotivando, quello che li feriva di più - disse uno di loro - era che ‘un tempo con una stretta di mano stringevi un accordo, oggi neppure una firma significa più nulla’. Mi aveva colpito, perché mi ero seduta al tavolo contro voglia, immaginando che avrei ascoltato i soliti discorsi con lamentele condite di istanze contro il Governo di turno su eccessiva tassazione, mancanza di incentivi all’innovazione e bla bla bla. Quel che si ascolta di norma ai convegni, ai dibattiti in cui a parlare sono i vertici di istituzioni o rappresentanze di categorie. Quelli che nelle aziende, per capirci, non ci
Probabilmente sono retrò. Anacronistica. Agé. Vecchio stampo. Off. Però siamo in tanti così e quindi non sono sbagliata. Mi sono chiesta se c’entrano i tempi o l’educazione e mi sono risposta che sono strettamente connessi. Quel che c’entra davvero è il senso di responsabilità individuale, perché i visi di tolla ci sono sempre stati e sempre ci saranno. Ovunque. Forse però oggi, con la perdurante crisi, si è legittimata la perdita di morale. Che si verifica in ogni ambito e fa spesso sentire stupidi. Io oggi mi sono sentita così. Presa in giro sul fronte di un progetto che richiamava in causa entusiasmi condivisi. Ma la condivisione, nel mondo reale, è rara. Seppure sia uno dei concetti più in voga, soprattutto grazie al web e ai social, perché per ‘condividere’ basta il mouse.
IL VALORE DI UNA STRETTA DI MANO entrano, non sanno come funzionano, come si vive, con l’angoscia di famiglie intere che dipendono da te. Eppure tutelano, o così dovrebbe essere, chi producendo e magari esportando crea occupazione. Quella frase si era insinuata dentro di me. E ci avevo scritto un pezzo per una rivista. Perché per quel signore, lì con la figlia cui sperava di lasciare l’attività, in nome della tradizione famigliare tanto invocata in Italia, la sconfitta vera era quella etica. Il disagio vero era la sfiducia. La paura vera era quella di relazioni non autentiche. Oggi le sue parole mi sono tornate in mente, pensando a tutte le volte che le persone si assumono impegni senza mantenerli. Così, con faciloneria, superficialità. Perché tanto le parole volano. Il resto è retorica. In fondo per non perdere la faccia basta non averla, come la dignità. Sarà che io proverei vergogna a non essere coerente. Mi sentirei di tradire.
Nell’etica al tempo dei like provare ad essere persone perbene è davvero difficile. Significa ingoiare rospi, delusioni, che sono peggio delle offese dirette. Ma si può scegliere di essere altro? O altri? Non credo proprio. Certo vorrei, per una settimana della mia vita, non sentire il senso del dovere con cui sono cresciuta fin da piccola, che a me pareva normale, perché mi consentiva argini, metri di giudizio. Senza pesarmi. Ecco, ciascuno di noi porta in giro se stesso bambino. Educato o maleducato. Buono o cattivo. Sincero o bugiardo. E io, dell’infanzia, porto con me il senso del dovere. E la vergogna all’idea di non mantenere la parola data. Dell’età adulta, invece, la consapevolezza che è sempre meglio sbagliare per fiducia che per sfiducia. Però sì, aveva ragione quel signore, la stretta di mano che diceva tutto, racchiudeva un pezzo di mondo bello.
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LE RAGIONI (VERE) DELLE GUERRE di Stefania Friggeri LA RELIGIONE È PRETESTO PER FARE LE GUERRE. IN REALTÀ È IN NOME DI INTERESSI ECONOMICI O VOLONTÀ DI DOMINIO CHE SI TROVANO SEMPRE NUOVE RAGIONI PER COMBATTERLE
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a detto papa Francesco: “ Quando parlo di guerra parlo di guerra sul serio, non di guerra di religione. Non c’è guerra di religione. C’è guerra di interessi, per i soldi, per le risorse naturali”. Commenta Giuliana Sgrena: “Per i papi e per i cristiani più ortodossi non ci sono mai state guerre di religione, anche le crociate erano considerate una guerra per liberare il Sacro Sepolcro”. In verità nella storia delle religioni la diversa interpretazione dei testi sacri ha sempre suscitato divisioni, con accuse reciproche di eresia e di empietà, sfociate a volte in faide sanguinose perché i contendenti erano appoggiarti da forze presenti sul campo politico. Un caso esemplare nella storia della Chiesa è rappresentato dalla Riforma protestante: pur essendo partita dalla polemica religiosa di Lutero e sostenuta dalle argomentazioni dottrinali e teologiche del monaco, la Riforma si avviò col tempo a divenire la causa della nazione tedesca (come fu chiaro quando Federico il Saggio mise in salvo Lutero nel castello di Wartburg per sottrarlo alla condanna pronunciata alla Dieta di Worms dalla fazione papalina). E se ieri in Europa si combattevano fra di loro i cristiani oppure i cattolici contro i protestanti, oggi nelle terre dell’islam, per ottenere la superiorità geostrategica nell’area, le petromonarchie del Golfo finanziano sotterraneamente il califfato, sunnita, che si oppone all’Iran, sciita. Così è fuorviante attribuire la difficoltà insuperabile di proclamare la pace in Iraq solo agli interessi imperialistici degli occidentali, dimenticando che in quella terra martoriata la religione si è rivelata un formidabile moltipli-
catore di sospetti e di odio tribale, con i membri di una fazione che diffamano i membri dell’altra fazione, ricambiati con uguale avversione attraverso pregiudizi offensivi, aneddotica calunniosa ed infamante. Ma in Europa, dopo la Riforma protestante e la tragedia delle guerre di religione, dopo l’illuminismo e la rivoluzione francese, la religione ha cessato di essere un ottimo pretesto per allargare e consolidare il potere dei chierici e dei principi (motivando le masse, da un lato, cancellando il senso di colpa dei regnanti, dall’altro). È stato un lungo, faticoso e sanguinoso cammino da cui è nata la cultura europea ispirata alla “libertè”, alla tolleranza e ai diritti umani. Già a partire dai primi anni del milleottocento le guerre non sono state più combattute in nome della religione, ma in nome della “patria” - una nuova e diversa sacralità - e l’aspirazione alla libertà ha spinto i popoli a combattere per l’indipendenza nazionale. Ma il concetto di “sacro”, se non incontra la laicità, diventa pericoloso nelle menti esaltate dei fanatici e nei disegni politici di personaggi dotati di carisma, capaci di mobilitare le folle. Infatti, se combattere per la “patria” nel Risorgimento volle dire combattere per la libertà della nazione oppressa, nel clima turbolento del primo dopoguerra, l’aura sacrale della parola “patria” venne sfruttata per avviare una politica reazionaria ed imperialistica. E così è avvenuto anche negli anni duemila quando i governi dell’Occidente, per convincere l’opinione pubblica delle buone ragioni per scatenare
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la guerra contro alcuni regimi dispotici, hanno usato come propaganda il compito storico di esportare un valore sacro della cultura occidentale: la democrazia. Si dice giustamente che la prima vittima della guerra sia la verità, eppure, in una società secolarizzata, la democrazia ha rappresentato per Bush figlio quel valore sacrale che un tempo ha spinto il cattolicissimo re di Spagna Filippo II a combattere le Province olandesi: sconfiggerle avrebbe significato non solo eliminare un formidabile contendente sui mari, ma gli avrebbe anche fatto guadagnare in cielo il merito di aver riportato quegli infedeli protestanti alla religione cattolica. La realtà, dunque, è sempre molto complessa e pertanto,
pur nella consapevolezza dei mezzi smisurati e incontrollabili a disposizione dei grandi potentati economici, la storia ci insegna a non ignorare la simbiosi fra quegli interessi e la sensibilità, il modo di pensare delle genti, a partire dai valori vissuti come “sacri”. Freud ha scritto: “Dove sono coinvolte questioni religiose, gli uomini si rendono colpevoli di ogni possibile disonestà e di illeciti intellettuali”. In effetti anche la Chiesa di Roma ha dovuto ammettere pubblicamente di essersi macchiata di iniquità ed ingiustizie. Papa Giovanni Paolo II ha chiesto perdono per le colpe della Chiesa che riguardano: le vittime torturate ed uccise dall’Inquisizione, i musulmani (“Dio lo vuole” era il grido che incitava alle crociate), gli ortodossi, i valdesi ecc.. (ripetutamente perseguitati da Roma), gli ebrei (vittime per secoli di antisemitismo). Anche la Chiesa cattolica, dunque, ha confessato i crimini commessi in nome del “sacro”, ma oggi simili atrocità sono inimmaginabili, anzi Bergoglio pare impegnato a riformare la Chiesa, perché ritorni la Chiesa povera e semplice dell’età apostolica che non conosceva né primati né guerre di religione. Ma le parole di Freud ben si adattano alle foto terribili in cui si vede un adulto, o anche un
bambino, torturare ed uccidere nella convinzione di adempiere ad un supremo dovere: avendo trovato la strada per riscattarsi dall’insignificanza, il fanatico vuole comunicare
platealmente la propria appartenenza, le straordinarie certezze che danno un senso alla sua vita. Scrive Boncinelli che “quello che ci accomuna e a cui apparteniamo ci viene dai divieti e dai comandamenti del sacro, trasmessici dai genitori e dagli adulti del gruppo di riferimento …. I divieti e gli imperativi derivanti dall’esperienza del sacro vengono a costituire per ciascuno di noi una sorta di disciplina o di sottile legame. È proprio dalla parola latina legare che viene la parola latina religio, il termine che sta per noi alla base di ogni idea di religione …. L’esasperazione di tale senso di appartenenza, che apparenta a qualcuno ma separa da altri, prende a volte la forma di fondamentalismo”. Il processo di secolarizzazione dell’Europa e l’ecumenismo delle chiese cristiane non devono però illuderci di essere immuni dalla potenza eversiva del sacro, pertanto è necessario vigilare contro l’esasperazione del sentimento di appartenenza, contro la violenza che può essere scatenata dal fondamentalismo. Abbiamo dimenticato la Jugoslavia, dove il sangue e la terra degli avi hanno trovato un simbolo identitario nell’appartenenza religiosa (essere croati significava essere cattolici, essere serbi significava essere ortodossi)?; ed infatti Milosevic, xenofobo, guidò la sua crociata (in realtà una copertura per annettere la Bosnia ad una Grande Serbia), capeggiando bande di fanatici religiosi, spesso benedetti dal clero ortodosso. E l’Irlanda? A Belfast circola questa barzelletta: ad un uomo fermato ad un blocco stradale viene chiesto quale sia la sua religione. Lui risponde: “Sono ateo”. Gli viene allora richiesto: “Ateo protestante o ateo cattolico?” v
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di Luisella Battaglia Istituto Italiano di Bioetica www.istitutobioetica.org
I DIVIETI E LA RESISTENZA DELLE DONNE
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e donne libere diventeranno la nostra bandiera”. Queste le parole con cui lo scrittore Marek Halter, da tempo impegnato per promuovere la pace in Medioriente, ha commentato le immagini delle siriane di Manbij. Ecco una donna che si toglie il velo, un’altra che abbraccia una militante kurda in divisa, una donna anziana che chiede una sigaretta e fuma ostentatamente, non certo per il desiderio di fumare ma perché intende disobbedire a un divieto che avrebbe comportato un tempo una punizione esemplare. Le immagini che scorrono davanti ai nostri occhi non potrebbero essere più esplicite: ci parlano di una vera e propria sfida ai divieti imposti da un ordine patriarcale ormai violato. Gesti,
vendo un forte conflitto tra la loro dunque, di autentica ribellione che mi capacità intuitiva e una cultura che hanno richiamato alla mente le parole vieta loro di essere intuitive, tra con cui una celebre psicologa, Carol l’empatia e il desiderio di relazioni Gilligan, nel suo testo più recente, La e una società che premia l’autosufvirtù delle resistenza, invita le donne ficienza. a coltivare una virtù oggi, anche nel Perché le donne sono chiamanostro paese, particolarmente nete alla resistenza? Contro chi? In cessaria. Il suo appello è, appunto, di nome di che cosa? “Resistere, resistere, di non cedere. Per troppo prendersi cura, non cedere”. Il tempo il carattere femminile è stato sottotitolo del libro indica chiaraassociato a tratti quali la passività, la mente il carattere militante dell’odocilità, la sottomissione: una vera pera e la crucialità del tema della e propria ‘iniziazione sociale’ che cura come asse portante dell’intera induce, fin da adolescenti, ad inteargomentazione. Da qui l’invito alla rorizzare un modello di femminilità “resistenza” da intendersi nei suoi che spinge al conformismo e, talora, molteplici significati: resistenza al al sacrificio dei propri diritti, anzidisagio, resistenza politica, che è ché all’apertura mentale e al pendire la verità di fronte al potere siero critico. e Gilligan è memore del peso della La splendida frase finale di Re Lear: disubbidienza civile nella tradizione “dire quello che sentiamo dentro, anglosassone, a partire da Thoreau, non quello che dovremmo”, più volfino ai movimenti di protesta degli te citata, diviene in tal senso embleanni ’60 e ‘70 - ma anche resistenza matica del suo invito a rifiutare un’inella sua accezione psicoanalitica, niziazione che comporta il sacrificio che implica la resilienza, la capacidel mondo delle emozioni e dei sentà di amare e vivere preservando la timenti in nome di un’idea astratta propria integrità contro le scissioni di ragione. Resistere alle dicotomie caratteristiche della logica binaria prescritte e imposte socialmendel patriarcato. È infatti nell’adote - ragione ed emozione, mente e lescenza che le ragazze subiscono corpo, sé e relazioni - significa tutle maggiori pressioni a considerare tavia manifestare una voce che non è la voce del padre come la necessariamente piacevole voce stessa dell’autoe può creare problemi LA CULTURA rità morale e a vivere in famiglia, nella scuoPATRIARCALE ASSOCIA la e nella comunità. IL CARATTERE FEMMINILE secondo tale legge. Se la capacità di Di conseguenza le ALLA DOCILITÀ E ALLA sentire l’altro è inragazze tendono SOTTOMISSIONE E LE DONNE TENDONO nata, tale capacità a soffocarla, viAD INTERIORIZZARE UN MODELLO DI PASSIVITÀ
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GLI ECCESSI DEL RELATIVISMO legge, non possiedodovrà essere sminuita CULTURALE IN NOME DELLE TRADIZIONI no gli stessi diritti o, quanto meno, reGIUSTIFICANO LE PEGGIORI - di proprietà, di legata ai margini: OPPRESSIONI DELLE DONNE, stipulare contratquesto è il comMA I COSTUMI CULTURALI ti, di associazione, pito dell’iniziazione NON POSSONO ANDARE di movimento - di cui al patriarcato che, se CONTRO I MODELLI GENERALI DI godono gli uomini. riesce, impianta nella GIUSTIZIA Contro gli eccessi del psiche comportamenti relativismo culturale, che estranei alla loro natura. in nome delle tradizioni giustifica le Ragazze più resilienti resisteranno peggiori oppressioni - dalla violenza alle pressioni per separare le loro domestica alle mutilazioni genitali menti dai loro corpi, i pensieri dalle dovremmo allora ricordarci che i coemozioni, se stesse dalle relazioni; stumi culturali non possono andare altre, più timorose, soffocherancontro i modelli generali di giustizia. no quella voce autentica che nella Rispettare le persone significa critinostra cultura non ha la dignità di care la tradizione che le opprime, le essere, commettendo quello che tratta con disprezzo e nega loro i diVirginia Woolf chiama “l’adulterio ritti civili e politici. del cervello”, intendendo con ciò il Si è più volte affermato che le donne tradimento del proprio pensiero. sono il cardine del possibile cambiaVi è anche chi, come la psicoanamento dell’Islam: in effetti, nella loro lista Teresa Bernardez, è giunta a condizione si riflettono, con particoparlare di un recupero della rabbia. lare evidenza, le contraddizioni della In Women and Anger sottolinea, inmodernizzazione, specie i conflitti fatti, che la condanna culturale deltra i vecchi costumi e i nuovi diritti. la rabbia si è tradotta per le donne In tal senso esse rappresentano una in una inibizione psicologica che forza di cui in Occidente non siamo impedisce atti di ribellione, con il sempre consapevoli e che occorrerisultato di renderle complici delrebbe sostenere in una prospettiva la loro miseria. Se messa a tacere, davvero universalistica. concorre all’insorgere della depresPer questo le siriane di Manbij devosione, mentre la sua manifestazione no essere ascoltate nel loro insopappare come “la risposta coscienprimibile desiderio di libertà e dite di fronte all’ingiustizia subita e ventare “la nostra bandiera”. Penso ai lutti sostenuti”. Ebbene, appare ad un’altra immagine in cui le donne ispirato ad un’autentica rabbia il avanzano a volto scoperto tenendo gesto di una donna coraggiosa - la in braccia due bimbi in fasce. Un’imcui immagine è stata trasmessa dal magine, certo, di cura materna ma telegiornale - che calpesta il burka anche di speranza in un avvenire in gridando:”Noi non abbiamo onore? cui la cura possa diventare un valoNoi siamo gente d’onore!”. A signire di tutti, riassumendo il significato ficare che l’onore sta nella propria centrale che dovrebbe avere nella dignità finalmente rivendicata. nostra vita. Qualcosa sta dunque cambiando. Queste immagini ci parlano di “donne che diventano persone”: in troppi paesi esse sono ancora prive dei mezzi di sostegno indispensabili all’esercizio di funzioni fondamentalmente umane, non godono di piena eguaglianza di fronte alla
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Il filo verde di Barbara Bruni
UN SOSTITUTO ECO PER LA PLASTICA
Presto le confezioni di plastica per gli alimenti potrebbero diventare un ricordo, sostituite dalle pellicole ottenute con le proteine del latte, che non inquinano e che si possono perfino mangiare. Gli imballaggi di nuova generazione sono stati messi a punto dal Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti e presentati a Philadelphia, nel congresso della Società Americana di Chimica. E se ad oggi il sapore non è ancora un granché, presto con l’aggiunta di qualche altra sostanza nutriente potranno diventare anche appetitosi!
SPIGHE VERDI 2016
Buone notizie per ben 13 località rurali che potranno fregiarsi del titolo di “Spighe Verdi 2016”. Un vessillo, simile alle “Bandiere blu”, che monitorerà e certificherà i processi virtuosi dei comuni rurali. L’iniziativa di FEE Italia e Confagricoltura, si pone come efficace strumento controllo e di certificazione del territorio rurale italiano. L’obiettivo è promuovere un uso corretto del suolo, l’innovazione in agricoltura, fornendo al contempo criteri utili e indicatori per migliorare la gestione all’ambiente, tra cui: la presenza di produzioni agricole tipiche, la qualità dell’offerta turistica; l’esistenza e il grado di funzionalità degli impianti di depurazione; la gestione dei rifiuti; la valorizzazione delle aree naturalistiche e cura dell’arredo urbano. L’iniziativa, nella sua prima edizione, ha premiato Toscana e Campania come le due regioni con il maggior numero di riconoscimenti (Castellina in Chianti, Massa Marittima e Castagneto Carducci in Toscana; l’Agropoli, Positano e Pisciotta in Campania). Una sola “Spiga Verde” per ognuna delle restanti regioni che hanno partecipato all’iniziativa: Serralunga di Crea (Piemonte), Lavagna (Liguria), Caorle (Veneto), Matelica (Marche), Montefalco (Umbria), Ostuni (Puglia) e Ragusa (Sicilia).
STOP AGLI SPRECHI NEI RISTORANTI
Niente più cibo sprecato nei ristoranti di Parigi, Londra e Berlino con “Too good to go”, l’App creata in Danimarca che consente di comprare, a prezzi vantaggiosi, le pietanze invendute nei bar e nei ristoranti. Direttamente dall’applicazione, gli utenti possono ordinare le pietanze del giorno a prezzi scontati (dalle 2 alle 3,80 sterline in Inghilterra, pagate comodamente con carta di credito) e poi ritirarle direttamente nei locali superati gli orari di pranzo e cena. “Mangia bene, risparmia e salva il Pianeta” è l’essenza dell’App, che porta vantaggi a ristoratori, cittadini e che contribuisce alla lotta agli sprechi alimentari. Durante l’ordinazione i clienti possono perfino donare una sterlina/euro per offrire un pasto a chi è in difficoltà.
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#PRIMADELLAVIOLENZA: GLI UOMINI CONTRO LA VIOLENZA MASCHILE Dal 15 al 23 ottobre la campagna ideata e promossa da reti e associazioni di uomini che in varie città prendono la parola pubblicamente su questo tema Dopo anni di parziale silenzio maschile ( tranne poche voci isolate e incerte ) di fronte a centinaia di donne maltrattate e uccise, alcuni di noi a giugno hanno deciso di reagire pubblicamente e collettivamente per provare a coinvolgere altri uomini di qualsiasi età e realizzare iniziative in Italia dove possibile, prima della Giornata Mondiale del 25 novembre contro la violenza sulle donne. Ricordando che proprio 10 anni fa il 19 settembre 2006 alcuni uomini avevano scritto e pubblicato sul ‘Manifesto’ una Lettera importante contro la violenza maschile sulle donne, che aveva provocato molta attenzione e reazioni positive di impegno, abbiamo deciso che in questo 2016 era il momento di rilanciare quella attenzione e quell’impegno con una nuova Lettera e soprattutto con iniziative concrete. A giugno abbiamo creato un gruppo informale chiamandolo PrimadellaViolenza, che mette assieme uomini di reti e associazioni diverse in Italia, ed è nata l’idea di promuovere una Giornata nazionale di impegno maschile contro la violenza sulle donne prima del 25 novembre. La giornata è diventata Le Giornate di ottobre e il comunicato che vi proponiamo di seguito è una sintesi delle motivazioni e delle iniziative previste in alcune città fra il 15 e il 23 ottobre prossimi. Gianguido Palumbo
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a violenza contro le donne chiama in causa gli uomini, e come uomini vogliamo rifiutare e superare la cultura della violenza. Lo scorso giugno abbiamo diffuso un testo rivolto al mondo maschile per un impegno non episodico, #Primadellaviolenza ha raccolto centinaia di adesioni. “La violenza verso le donne non si può liquidare come patologia di pochi marginali, né come il segno di culture lontane da noi: nasce nella nostra normalità. Anche quando è estrema, parla una lingua che conosciamo e che mescola amore, controllo, dipendenza, onore, gelosia, frustrazione, potere… prima di divenire violenza”. Mentre la cronaca non cessa di svelare delitti orribili compiuti da maschi, come il caso dello stupro di gruppo continuato per anni a Melito Porto Salvo sono cresciute in questo periodo le prese di posizioni individuali e collettive di
uomini: dal testo “Cari uomini tocca a noi” promosso da esponenti del mondo accademico, agli interventi di Nicola La Gioia, Michele Serra, Edoardo Albinati, Christian Raimo ed altri, a numerose iniziative pubbliche come quelle assunte a Foggia e a Taormina. Contributi anche molto diversi, ma che mettono al centro una consapevolezza nuova:vogliamo scommettere sulla consistenza e sulla concretezza di questa nuova sensibilità maschile. Nel mese di ottobre si svolgeranno iniziative in alcune città italiane per avanzare proposte, aprire scambi di esperienze, consolidare una rete permanente. Appuntamenti sono previsti sabato 15 ottobre a Livorno, venerdì 21 a Roma, sabato 22 a Genova, domenica 23 Milano. Altri incontri si prevedono a Venezia, Pescara, Palermo e altri ancora se ne potranno aggiungere. Queste giornate di ottobre sono anche in relazione con l’impegno degli uomini spagnoli che da alcuni anni, il 21 ottobre, manifestano contro la violenza sulle donne. Inoltre martedì 18 ottobre è la giornata europea contro la tratta
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degli esseri umani: in Italia è previsto un incontro alla Camera del Deputati promosso dalla Rete degli uomini contro la tratta, la prostituzione, le violenze sulle donne che da molti anni è impegnata anche per la memoria delle vittime. Primadellaviolenza intende anticipare la partecipazione maschile alla giornata internazionale del 25 novembre, anche per evitare il rischio di facili adesioni rituali: vogliamo cercare insieme i modi di agire un vero cambiamento, per prevenire e riconoscere in tempo la violenza. Sabato 26 novembre diverse associazioni di donne hanno indetto una manifestazione nazionale contro la violenza: sarà un nuovo appuntamento che dovrebbe chiamare in causa, con noi, tutti gli uomini. Non si tratta di ergersi a “difensori delle donne”, o di attivarsi solo per sensi di colpa o senso del dovere, ma di interrogarci sui nostri desideri, sulla capacità di riconoscere la nuova autonomia e la nuova libertà delle donne, che può essere un’occasione di cambiamento positivo anche delle nostre vite. L’obiettivo di Primadellaviolenza è coinvolgere il mondo della scuola, dell’informazione, della cultura, della politica e dell’associazionismo, e tanti singoli uomini. Che cosa facciamo, ognuno nel proprio contesto relazionale e lavorativo, nell’ impegno politico e culturale, per contribuire ad una maggiore consapevolezza, nostra e di tanti ragazzi e adulti ancora troppo silenziosi, isolati, confusi? Per reagire agli stereotipi “machisti” che sono alla base della misoginia, così come anche dell’omofobia e del rifiuto di ogni diversità etnica e culturale. Queste iniziative sono promosse da gruppi, reti e associazioni di uomini, o di uomini e donne, diverse tra loro ma impegnate insieme contro la violenza: da “Maschile Plurale” a “Mondita associazione interetnica italiana”, dal “Progetto Ragazze di Benin City” a “Livorno Uomini Insieme - LUI”, a tante altre realtà locali. L’immagine delle maschere che sta accompagnando Primadellaviolenza allude al desiderio di liberarci dai ruoli precostituiti che tanto spesso ingabbiano e travisano la nostra affettività e identità. Inventare e raccogliere in rete, da qui agli appuntamenti di ottobre, altre immagini (foto, disegni, riproduzioni) capaci di approfondire e sviluppare questo tema può essere un modo di animare lo scambio e la discussione, che sui social sta già crescendo. b
Informazioni, adesioni, suggerimenti, critiche, contributi, saranno benvenuti. Facebook: www.facebook.com/primadellaviolenza Mail: primadellaviolenza@gmail.com
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INFERTILITÀ, DENATALITÀ. DI COSA PARLIAMO?
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hi governa ritiene sia suo dovere e competenza diffondere messaggi mass-mediali sui corretti stili di vita, non tenendo conto che le condizioni sociali in senso lato sono determinanti degli stessi. Non modificando il contesto, il messaggio inevitabilmente si prospetta paternalistico, ideologicamente orientato, biasimante le vittime e totalmente inutile e, in quanto inutile, sostanzialmente dannoso. Le campagne mass-mediali possono avere senso, se ben impostate e ben condotte, solo nel caso in cui sono operative strategie di intervento di promozione della salute, secondo le indicazioni e le finalità prospettate dalla Carta di Ottawa del 1986 e compiutamente espresse nel Progetto Obiettivo Materno Infantile (POMI) varato nel 2000: quali obiettivi misurabili, quali sistemi di valutazione, quale popolazione bersaglio da raggiungere ed esporre alle attività di promozione della salute, quali servizi e con quali interazioni e integrazioni, quali attività, con quali risultati. Sul tema della infertilità, quanto è stato promosso dal ministero della salute è risultato esemplarmente errato. Le critiche hanno riguardato i presupposti ideologici, assunzioni non verificate nella realtà ma desunte, chissà come, da contesti estremamente limitati e non rappresentativi, qualità comunicativa verbale ed iconografica odiosamente colpevolizzante. La promozione della salute ha come obiettivo l’aumento della capacità di controllo autonomo del proprio stato di salute e si realizza a partire dall’applicazione dell’arte socratica della maieutica (dovrebbe essere ben nota alla ministra con diploma del liceo classico) per favorire la riflessione sui vissuti, sui convincimenti che radicano nella memoria storica della comunità di appartenenza, per la crescita della consapevolezza nelle scelte di vita, alla luce delle conoscenze scientifiche disponibili, così da poter scegliere tra le alternative in gioco quelle che più sono coerenti con la propria visione del mondo maturata nel processo. Rimanendo inteso che il peso da dare ai rischi e alle opportunità delle alternative in gioco è competenza della persona e di nessun altro (questo è il rispetto dell’autodeterminazione). Impostare una valida strategia operativa e una campagna di comunicazione mass-mediale di supporto presuppone una conoscenza scientificamente acquisita con indagini di popolazione rappresentative e condotte con rigoroso metodo scientifico delle conoscenze, delle attitudini e dei comportamenti, a partire da chi i figli li fa. Sul tema dell’infertilità, che è un aspetto limitato della salute riproduttiva, è impensabile che si possa fare alcunché di significativo se non si parte dalla realizzazione di programmi di offerta attiva di incontri di educazione sessuale nelle scuole (vedi il POMI), come è altrettanto indispensabile sul tema della denatalità modificare radicalmente le caratteristiche follemente medicalizzate del percorso nascita, procedendo verso il sempre maggiore rispetto della fisiologia e, quindi, della competenza delle donne e delle persone che nascono. Il soddisfacimento completo del desiderio di fecondità delle donne dipende dalle condizioni e qualità dei servizi e dalla qualità del percorso nascita. Questa è la competenza dei poteri esecutivi centrali e locali.
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SALUTE E MEDICINA DI GENERE: DALLA FORMAZIONE AI SERVIZI. LE BUONE PRATICHE venerdì 30 settembre 2016 Firenze, Palazzo Panciatichi Sala del Gonfalone - Via Cavour 4 L’ottica di genere nel campo della Salute e della Medicina è una prospettiva sempre più largamente condivisa nel mondo sanitario e scientifico. Se da un lato questa consapevolezza va salutata come positivo passo in avanti, dall'altro un cambiamento cosi profondo richiede modifiche da parte degli operatori e operatrici della sanità e dei loro percorsi di formazione. Si sta facendo strada quindi l'esigenza di una formazione professionale adeguata e che tenga conto delle rinnovate necessità che tale cambiamento implica. Con un incontro di livello nazionale e uno sguardo all’Europa si intende promuovere un confronto a partire dalle buone pratiche già avviate.
Modera le due sessioni Sara Ficocelli, giornalista ‘La Repubblica’, scrittrice
Sessione della mattina (ore 10,00 – 13,00)
SALUTI ISTITUZIONALI Rosanna Pugnalini, Presidente Commissione regionale Pari Opportunità
Eugenio Giani, Presidente Consiglio regionale Toscana Valeria Fedeli, Vice Presidente del Senato della Repubblica Marco Stella, Vice Presidente Aiccre Toscana e Vice Presidente Consiglio regionale Toscana Simona Lembi, Presidente Commissione Pari Opportunità Anci Fortunata Dini, Progetto DonnaeSalute
LA FORMAZIONE NEI SERVIZI SANITARI TERRITORIALI Anna Maria Celesti, Centro regionale di Coordinamento della Salute e della Medicina di genere della Regione Toscana Lucia Turco, Direzione della Programmazione Area Vasta Centro Toscana
ORDINI PROFESSIONALI: FORMAZIONE E LONGLIFE LEARNING Antonio Panti, Presidente Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Provincia di Firenze Fiorella Chiappi, Consigliera Ordine degli Psicologi della Toscana Corinna Pugi, IPASVI - Collegio di Firenze
IL CONTRIBUTO DEL TERZO SETTORE Sandra Gallerini, Cesvot Antonella Cardone, Università del Terzo Settore
La parola alle Regioni Stefania Saccardi, Assessora Regione Toscana Diritto alla Salute al Welfare e all’Integrazione Socio-sanitaria
Sessione del pomeriggio (ore 14,00 - 16,30)
ESPERIENZE NAZIONALI ED EUROPEE PER UNA FORMAZIONE MIRATA Monica Barni, Vice Presidente Regione Toscana, Assessora Cultura Università e Ricerca Flavia Franconi, Vice Presidente Regione Basilicata e Assessora Salute, Sicurezza e Solidarietà sociale, Servizi alla persona e alla comunità Teresita Mazzei, Professore Ordinario di Farmacologia, Università degli Studi di Firenze Rita Biancheri, Silvia Cervia, Dipartimento Scienze Politiche Università di Pisa, Coordinatrici Progetto Trigger (TRansforming Institutions by Gendering contents and Gaining Equality in Research-Università di Pisa, Londra, Parigi, Madrid e Praga) Luciana Degano, MSc Public Health, psichiatra e psicoterapeuta (Berlino)
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Cinzia Fatini, Università degli Studi di Firenze Ranuccio Nuti, Direttore del Dipartimento di Scienze Mediche, Chirurgiche e Neuroscienze, Università di Siena Silvia Maffei, Fondazione Monasterio Anna Pierini, Istituto di fisiologia Clinica CNR Pisa, Unità Epidemiologia ambientale e registri di patologia
La parola alle Regioni Mauro Laus, Presidente Consiglio regionale Piemonte - Conferenza dei Presidenti dei Consigli Regionali con delega alla parità di genere Coordinamento Tiziana Bartolini, NOIDONNE, redazione@noidonne.org Questo evento è la diciassettesima tappa della rassegna nazionale itinerante DonnaeSalute, iniziata nel giugno 2015 e ospitata in varie città (anche europee). Obiettivi del progetto, sull’idea complessiva di salute della donna, sono: valorizzare le buone pratiche e le eccellenze territoriali, contribuire ad agevolare il dialogo fra i soggetti che agiscono nei vari settori (istituzioni, politica, mondo accademico, ricerca operatori sociosanitari, associazionismo), agire sulla divulgazione, sensibilizzazione e percezione del tema. (Info: www.donnaesalute.org)
Nell’ambito del
Festival della Salute Montecatini Terme (Pt), IX edizione (6/9 ottobre 2016)
DonnaeSalute organizza l’incontro DISTURBI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE: BUONE PRATICHE ED ESPERIENZE A CONFRONTO
Sabato 8 ottobre 17.00-18.30 | Sala B Primo Piano – Terme Excelsior
Conversazione con le esperte dell’Associazione La vita oltre lo Specchio Rossella Paolicchi, psicoterapeuta coordinatrice Centro Arianna Usl Nord-ovest Pisa I fili della cura. Riflessioni ed esperienze del trattamento ambulatoriale dei disturbi dell’alimentazione Maddalena Patrizia Cappelletto, presidente associazione La vita oltre lo specchio ONLUS Pisa Specchio riflesso. I disturbi alimentari come specchio dei disagi interiori e ambientali
Modera Tiziana Bartolini, direttora NOIDONNE
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CHE GENERE DI MEDICINA …IN GERMANIA Dopo l’incontro di Lipsia sulla Medicina di genere, la parola a Eleonora Cucina, vicepresidente ReteDonne e.V.
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eteDonne tratta ogni anno tematiche diverse, scelte in base agli interessi e alle proposte delle socie oltre che alle competenze che abbiamo all’interno della nostra rete. Proposi la Medicina di genere già in occasione del nostro convegno a Berlino del 2013. Parlandone insieme, ci siamo rese conto di quanto poco se ne sappia e quanto sia importante creare una consapevolezza maggiore sulle differenze anche nel campo della salute e della medicina. Abbiamo quindi attivato le professioniste di ReteDonne esperte del campo e contattatoaltri gruppi di donne, in primis proprio la redazione di NOIDONNE e DonnaeSalute. A Lipsia, una nuova città nella quale ReteDonne ha fatto tappa quest’anno, il tema si è innestato in un contesto ideale. Eravamo infatti ospiti del centro culturale KunstKraftWerk, fondato da un’affermata oncologa italiana, Luisa Mantovani, che è stata anche una delle straordinarie referenti del convegno. Luisa Mantovani ha colpito tutte per la sua capacità di unire alla sua solidissima base scientifica di oncologa e ematologa ad un approccio olistico della salute, con concreti progetti di supporto alle donne colpite da cancro, alle loro famiglie (HausLebene.V. http:// hausleben.org/) e ai figli (con il pro-
getto Friesennest). Nelle sue slides ha presentato agghiaccianti statistiche di 75mila donne colpite da cancro al seno in Germania l’anno, cioè più di 8 donne ogni ora. Questi numeri sono stati da lei però subito tradotti in un’iniziativa di sensibilizzazione e prevenzione che consiste nel rendere visibile questa tristissima realtà. Con il pink shoeday le piazze della città si riempiono di scarpe rosa, un paio per ogni donna che si ammala di cancro http://www. pink-shoe-day.de/. Anche noi abbiamo contribuito con la consegna di scarpe rosa per il prossimo appuntamento del 15 di ottobre. E se è vero che il cancro oggi si cura più facilmente, l’aumento esponenziale di nuovi casi, non fa cambiare i numeri dei decessi. La guarigione dipende dallo stadio della malattia e la ricerca ci dice che nel 62% dei casi sono le donne stesse a scoprirlo. La Mantovani ha inventato un sistema di seni di silicone per insegnare a fare l’autopalpazione. Il tema della medicina di genere e delle discriminazioni nella ricerca, diagnosi e cura si è così subito arricchito di concrete best practices”. A parlare è Eleonora Cucina, vicepresidente di ReteDonne e.V, ideatrice e organizzatrice insieme alla presidente Lisa Mazzi dell’evento del 24 settembre dal titolo ‘Che genere di medicina. Medicina di genere: una prospettiva per le donne’, cui ha partecipato, oltre a Annalisa Maggiani (con un workshop di danza terapia) e Anna Periz (con una riflessione sullo sguardo di genere sulla psiche femminile), anche Fortunata Dini, portando l’esperienza del progetto DonnaeSalute e la voce di NOIDONNE. Fortunata Dini ha illustrato i limiti del modello biometrico occidentale incentrato sulla malattia, avvalorando la necessità di diffondere un modello bio-psico-sociale, che guarda alla salute e all’individuo e si avvale della medicina integrata. “Sul tema della Medicina di genere la Germania ha più o meno la stessa attenzione dell’Italia. Accanto alla mancanza di sensibilità di genere nella diagnostica e alle carenze nella ricerca farmacologica riscontriamo la mancanza di consapevolezza da parte delle persone e delle donne. A livello istituzionale ci sono invece addette ai lavori che si impegnano fortemente. Un nome importante è quello di Vera Regitz-Zagrosek, la
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lettura scenica de “Le ribelli, storie di donne che hanno sfidato la Mafia per amore” in presenza dell’autore Nando dalla Chiesa. ReteDonne collabora al momento anche con la federazione delle organizzazioni di donne in migrazione DAMIGRA, di cui è componente, ed ha presentato vari progetti locali a sostegno all’integrazione di donne rifugiate. Lipsia ci ha accolto con una bellissima energia e ci ha
cardiologa che già nel 2003 fondò una cattedra per la Medicina di genere presso la Charité a Berlino, nonché associazioni a livello nazionale e internazionale. A Lipsia proprio quest’anno è stato avviato un ciclo di conferenze su questo tema, organizzato dalla Prof. Dr. Katarina Stengler, con la quale siamo in contatto, e che ha come scopo la promozione della ricerca e della consapevolezza, l’aumento delle cooperazioni scientifiche e del networking in questo campo. Il cammino da fare è lunghissimo, ma siamo liete che la politica cominci a mostrare sensibilità in merito. L’Onorevole Garavini, intervenuta in apertura, ci ha informato che la Medicina di genere sarà uno dei temi trattati dal prossimo G7!!” A che punto è il cammino dall’associazione, chiediamo a Eleonora. ”ReteDonne è la piattaforma delle italiane in Germania (e in Europa) fondata nel 2010 ad Amburgo. Da allora abbiamo organizzato incontri in molte città tedesche: Francoforte, Berlino, Amburgo, Monaco, Stoccarda e quest’anno a Lipsia, trattando sempre argomenti diversissimi in una prospettiva di genere. A livello locale si sono creati o rafforzati dei gruppi che tengono insieme il tessuto concreto di contatti personali, offrendo sostegno reciproco e orientamento e per la nuova immigrazione. I gruppi hanno lavorato anche a temi culturali e sociali, stabilendo importanti cooperazioni con istituzioni italiane e tedesche. Penso ad esempio al lavoro fatto da RDB e ReteDonne con il Museum Europäischer Kulturen a Berlino, presentando la mostra “ErfüllbareTräume? Italienerinnen in Berlin” (“Sogni realizzabili? Italiane a Berlino”) o alla recente manifestazione del DICA a Amburgo con la
regalato momenti e incontri straordinari. Cito la bravissima Elettra Bargiacchi e il suo raffinatissimo programma di chitarra classica, Nicole Rundo, responsabile marketing del KunstKraftWerk, che dopo averci sostenuto nell’organizzazione dell’evento, è ora membro eletto del direttivo. Anna Costalonga, blogger di “Donne Visibili” la quale ha affermato che le donne di Lipsia che finora avevano ignorato l’esistenza di ReteDonne e.V. non avranno più scuse: formeranno in un nuovo gruppo per portare insieme avanti progetti comuni. Ci riteniamo molto soddifatte”. b
A cura di Tiziana Bartolini
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QUELLE CHE IL POTERE | 1
SE SON LEADER FIORIRANNO
di Giovanna Badalassi
Il dibattito pubblico sulle donne leader si ferma troppo spesso ad aspetti superficiali o formali. Una riflessione sul senso del loro ruolo serve a comprendere se effettivamente stanno apportando dei miglioramenti sostanziali per la collettività. Ma, soprattutto, se hanno la forza per farlo
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opo tanti anni a parlare di leadership femminile, con la candidata e (forse) futura presidente USA Hillary Clinton, si è arrivati al punto più alto del lungo percorso delle donne verso la conquista delle cariche di potere pubblico. Che questo sia il secolo delle donne l’hanno detto oramai un po’ tutti. Che ci siano sem-
pre più donne leader a capo di paesi, multinazionali ecc, è altrettanto evidente. Eppure, a parte la soddisfazione di chi ha fatto di questo tema una propria battaglia, non pare di cogliere in generale un riconoscimento dell’effettivo beneficio che queste donne leader stanno apportando alla società. Che differenza c’è, alla fine, nell’avere un leader uomo o donna? La risposta è dirimente rispetto ad un punto sostanziale, e cioè se e quanto le politiche e le risorse pubbliche debbano essere impiegate per sostenere le pari opportunità delle donne nei percorsi di carriera, siano essi di natura politica, imprenditoriale o professionale. Se infatti le ricadute sulla collettività sono sostanzialmente analoghe nel caso di un leader uomo o donna, allora si rientra nell’ambito della tutela dei diritti individuali, e le pari opportunità rimangono circoscritte all’abbattimento degli ostacoli di natura normativa che discriminano tra donne e uomini. Dopo di che, liberi tutti, libera concorrenza e che vinca il migliore. Ma se, invece, si ritiene che le donne possano e debbano offrire alla comunità un sistema di valori e di modus operandi diversi, legati alla loro storia e soprattutto alla loro cultura della cura, allora ha senso, eccome, che le politiche intervengano per favorire il riequilibrio di genere nelle cariche di potere. Una vera leadership al femminile dovrebbe infatti mettere al centro delle scelte il benessere delle persone, la riproduzione sociale, la valorizzazione del capitale umano, traducendo in un linguaggio politico pubblico quel sistema di valori che viene applicato in modo così efficace ed efficiente nel contesto privato e familiare. Questo cambio di prospettiva che le donne dovrebbero apportare, proprio perché indirizzato ad una crescita sociale ed economica che vede nella solidarietà uno strumento per superare le disuguaglianze, giustifica e motiva l’adozione di leggi che applicano discriminazioni positive, quali ad esempio la legge Golfo-Mosca. Ritornando alla domanda iniziale, quindi, viene comunque da dire che, ad oggi, tutto questo rovesciamento di prospettiva e di valori non si è ancora osservato tanto. C’è stato, certamente, un cambiamento di stile, di presenza, forse anche di modalità con la quale vengono fatte certe
In ordine di apparizione: Saara Kuugongelwa Amadhila, Primo Ministro Namibia - Theresa May, Primo Ministro Regno Unito Park Geun-hye, Presidente Corea del Sud - Michelle Bachelet, Presidente Cile - Janet Yellen, Presidente Federal Reserve - Marissa Mayer, AD Yahoo Erna Solberg, Primo Ministro Norvegia - Fabiola Gianotti, Direttore Generale Cern di Ginevra Federica Mogherini, Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza - Hillary Clinton, candidata presidenza USA Angela Merkel, Cancelliera Federale Germania - Beata Szydlo, Premier Polonia - Chrristine Lagarde, Direttore Fondo Monetario Internazionale Ellen Johnson Sirleaf, presidente Liberia
STRATEGIE
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di Cristina Melchiorri scelte. Un cambiamento “concesso” dagli stereotipi sulle donne socialmente riconosciuti e accettati: la capacità di relazione, di negoziazione, di interazione, l’empatia, l’integrità morale. Tutte caratteristiche femminili che riguardano però la forma e il modo con il quale si fanno le cose. Non si avvertono invece, finora, particolari cambiamenti nella sostanza delle decisioni. Certamente è troppo presto. Viene da pensare, però, che queste leader siano troppo isolate e che non abbiano ancora abbastanza sostegno dalla collettività o dai loro stakeholders, per poter davvero cambiare la sostanza delle cose ed essere profondamente innovative o, persino, rivoluzionarie. Finora queste donne, per arrivare, hanno infatti avuto bisogno dell’appoggio dell’aristocrazia maschile già al potere, sposandone le priorità, i valori e gli interessi, garantendo, in qualche modo, affidabilità, spesso “nonostante” il fatto di essere donne. È stato un passaggio inevitabile, altrimenti non sarebbero diventate leader, che adesso rischia però di farne perdere la specificità femminile.
In questo processo manca infatti qualcosa. Un leader è tale in quanto si pone in una posizione di relazione con la collettività che deve guidare. Senza di questa non è a capo di nulla nella sostanza, ma occupa solo una carica formale investita dall’alto. Ecco, forse, prima di pensare a cosa stanno ottenendo queste nuove leader, si dovrebbe invece riflettere su quale tipo di appoggio da parte della collettività, soprattutto di donne, queste possono contare. Nella società non si avvertono, insomma, particolari tensioni femministe che pretendano dalle loro rappresentanti un cambio di prospettiva nei valori e nelle scelte. Siamo quindi a metà percorso. Abbiamo sempre più donne leader, ma non abbiamo ancora un movimento abbastanza forte e incisivo di donne che le sostengano. Più che guardare in alto occorre quindi osservare, forse, quello che (non) succede in basso. Per avere donne veramente leader, c’è infatti bisogno che tutte le altre le sostengano e diano loro un mandato chiaro e consapevole, frutto di un dibattito pubblico sui contenuti e su nuove consapevolezze. Occorre dunque ridefinire il potere pubblico al femminile davvero e in profondità, stabilendo quali valori e principi le donne vogliano apportare nella collettività e quali donne sono più adatte a rappresentarli. E poi occorre sostenerle fino in fondo perché si affermino. Ricordandoci, sempre, che il vero valore aggiunto delle donne in politica dovrebbe essere quello di sostenere una maggiore attenzione al benessere di tutti, rimettendo nel giusto ordine di importanza le persone rispetto ai mezzi. ◆
POTENTI, MA NON TROPPO Sono Patty, ho trenta anni e fino dai tempi del liceo mi ha appassionato la politica. Che si trattasse di partecipare alle iniziative degli studenti per migliorare qualcosa a scuola o a iniziative di partiti e associazioni ero sempre in prima fila per organizzare incontri e dire la mia. Ad un certo punto mi sono accorta che ero considerata intelligente e utile, ma un po’ “maestrina” e arrogante e comunque non candidabile al ruolo di capo. Lottare e competere mi pesa, che faccio? Patty Livreri (Monza) Cara Patty il mondo non è pronto per l’ambizione delle donne! Pensa alla cultura che offre al pubblico il cinema americano, quando rappresenta donne in corsa per nomine prestigiose: si tratta tra l’altro di donne diventate famose in quanto mogli del precedente titolare del ruolo... Hai presente Claire Underwood di House of Cards o Alicia Florrick di The Good Wife? Donne che, stanche di fare la first lady, si candidano alla poltrona principale, ma per la loro ambizione diventano antipatiche e verranno punite per la loro arroganza. Intendiamoci: atteggiamenti che in un uomo non farebbero alcun effetto perché si danno per scontati in chi detiene o ambisce al potere, nella donna disturbano. È gradito nella donna un ruolo più organizzativo, di supporto, diciamo ancillare, ma non da boss. E l’aggressività che in un uomo di potere o che ambisce ad averlo si dà per scontata, nella donna disturba. In fondo, non sfugge a questo trattamento dell’opinione pubblica neppure Hilary Clinton... non credi? Cosa posso consigliarti? Ti pesa competere? Ma tu hai paura di perdere o hai paura di vincere? Spesso le donne temono entrambe le cose. Il piacere della vittoria non è mai completo per una donna, perché fin da piccola viene educata a non ferire gli altri. Ma se ti preoccupi che chi hai sconfitto non ti guarderà più con simpatia, resterai indietro. Imparare a competere per vincere significa anche accettare il disagio e il malcontento di chi perde. Nella nostra cultura la competizione non è femminile, soprattutto se si tratta di dimostrare maggiori capacità di un uomo. L’imperativo culturale per una donna è far sentire gli uomini forti, non di evidenziarne le debolezze. L’aggressività che serve alla donna per vincere è malvista. Ma se vuoi vincere devi anche voler sconfiggere gli altri. In una competizione ci sono sempre vincitori e vinti. Quindi persisti nella tua ambizione, non lasciarti demotivare o fermare da luoghi comuni o da furbacchioni che li usano per metterti da parte. E’ necessario cambiare alcune “regole” attuali, perché sono carenti e a volte ingiuste. Ma sono fermamente convinta che le regole si possano cambiare solo da una posizione di potere. Più donne varcheranno la soglia del comando nel mondo del lavoro, nella politica, nelle istituzioni, più facile sarà riscrivere le regole che ci governano. In meglio!
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NON BASTA UN CORPO A FARE LA DIFFERENZA CON LUISA MORGANTINI IL PUNTO DI OSSERVAZIONE SULLE DONNE AI VERTICI È INTERNAZIONALE E PARTE DALLA CONSIDERAZIONE CHE IN TANTE ACCETTANO I VALORI DEL CAPITALISMO
di rapportarmi e conoscere donne Presidenti come quella della Liberia, Ellen Johnson Sirleaf, ministre in diversi governi del mondo e che si richiamavano sia a idee di sinistra sia di destra. Proprio in quegli anni, tra il 1999 e il 2009, le guerre sono entrate con forza nelle nostre vite ed anche noi donne ci siamo divise tra chi rifiutava la guerra e la violenza (io ero una di queste) e chi invece la guerra la sosteneva. Donne al potere in Europa e nel mondo furono convocate dalla allora Commissaria Benito Ferraro-Waldner a Bruxelles per dichiarare al mondo la volontà delle donne di essere per la pace. Vi era anche Condoleezza Rice ( prima donna afroamericana nel ruolo di Segretario di Stato Usa con il presidente George W. Bush dal 1997 al 2001, ndr), una donna impenetrabile anche fuori dall’ufficialità e dai proto-
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uisa Morgantini è stata europarlamentare fino al 2009 e poi ha continuato a seguire iniziative internazionali. Come attivista dei diritti umani è sempre in viaggio per fare politica e mantiene uno sguardo attento e aperto sul mondo. Con lei parliamo delle donne oggi presenti e influenti sulla scena mondiale.
In generale, come valuti l’operato e il modo di gestire il potere delle tante donne ai vertici della politica e di altri importanti organismi internazionali? Non ho mai pensato che basti un corpo di donna per fare la differenza. Senza dubbio vi sono donne perfettamente aderenti ad un sistema di potere che tiene conto solo del gestire l’esistente, donne che non hanno una visione di giustizia sociale, che non lavorano sulle diseguaglianze e che agiscono con cinismo. Poi ce ne sono altre che tengono conto delle relazioni umane e dei diritti per tutti e tutte; sono tantissime, quindi, le donne che amo e che hanno fatto la differenza in Italia e nel mondo nell’esercitare il potere in varie forme e circostanze. Nel mio ruolo di Presidente Commissione Sviluppo e Poi Vice Presidente del Parlamento Europeo ho avuto modo
colli. Non ho potuto esimermi, anche facendo riferimento al suo operato, dal far notare le nostre grandi diversità e che non si lavora per la pace facendo la guerra. Eppure i miei rapporti più significativi a Bruxelles, a parte alcune colleghe, sono state con due donne di potere: la presidente del Parlamento europeo Nicole Fontaine, che mi ha voluta con sé in Palestina ma anche nella giungla colombiana per liberare Ingrid Betancourt (militante per i diritti umani, è stata prigioniera della FARC per oltre 6 anni ed è stata liberata nel 2008, ndr), e la commissaria Benita Ferraro-Waldner, che mi ha affidato responsabilità di osservazione elettorale in Malawi ed Angola. Due donne di centrodestra, ma dotate di grande sensibilità per il rispetto dei diritti umani; tutti si sorprendevano che avessero rapporti con me e mi affidassero compiti di responsabilità vista la mia appartenenza al gruppo della Sinistra Europea. Ecco, a volte le donne san-
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no essere trasversali. Alla luce delle mie esperienze, quindi, non ho grandi aspettative e neppure delusioni. Sono consapevole che viviamo in un sistema capitalistico e che molte donne soccombono a quei valori. Bisogna andare avanti. Sul piano personale posso dire che non ho mai cercato di diventare parlamentare e neppure di essere la prima donna eletta nelle segreteria di un sindacato come quello dei metalmeccanici all’inizio degli anni ‘80. Me lo hanno proposto, ed io ne ero meravigliata e temevo di non essere all’altezza. Quello che per me contava, e conta tutt’ora, è l’impegno per la giustizia, è l’essere uno o una di aiuto all’altra e all’altro. Ad ogni modo, per ora l’unico Capo di Stato che ho ammirato e amato è José Mujica, il Presidente dell’Uruguay fino al 2015. Ecco lui davvero ha segnato la differenza nella gestione del potere e della politica. Mi piacerebbe avere una Presidente così. Ma per favore… non si dica che sono succube degli uomini e che vedo solo in qualcuno di loro la possibilità di fare la differenza. Cosa pensi della candidatura di Hillary Clinton, tanto sul piano simbolico che su quello piano politico, alla Casa Bianca? Non mi piace Hillary Clinton, non mi piacciono la sua lotta per il potere, la sua politica estera, la sua difesa ad oltranza delle politiche coloniali di Israele. Riconosco anche l’importanza simbolica dell’elezione di una donna alla casa Bianca, come lo è stato Obama per gli afroamericani. Mi auguro solo che, se sarà eletta, sappia almeno portare avanti con più forza la politica sanitaria del suo paese. Il fatto è che, di fronte all’oscurantismo ed al razzismo di Trump, si pensa che la Clinton possa essere un argine. Un cambiamento vero, e non solo simbolico, lo avremmo se al suo posto ci fosse, per esempio, Ann Wright, ex colonnello dei marines che ha lasciato l’esercito perché è contro la guerra del Golfo ed oggi è imbarcata sulla nave Zeiton-Oliva insieme ad altre donne per raggiungere Gaza e rompere l’embargo imposto da Israele.
Tu conosci bene il mondo arabo e quello palestinese in particolare: pensi che ci sia un qualche tratto peculiare delle donne di potere in quelle aree? Intanto le donne al potere sono poche ed il mondo arabo è davvero complesso, come del resto ogni realtà. Si tratta di tanti paesi con storie e culture diverse anche se accomunati dalla lingua e da una popolazione a grande maggioranza musulmana. Alcuni di questi paesi sono cresciuti, almeno fino alla fine degli anni ‘60, sulla multiculturalità; un processo non certo idilliaco, con conflitti, separazioni e discriminazioni ma gestito pacificamente. Una multiculturalità che è stata messa in discussione molto prima in Palestina e Israele, dove la popolazione ebraica, musulmana e cristiana ha convissuto pacificamente fino alla Dichiarazione di Balfour nel 1917, quando i britannici che avevano il mandato sulla Palestina accolsero la richiesta dei fondatori del sionismo della fondazione di una “homeland in Palestina”. Da quel momento, e non su problemi religiosi bensì su questioni di terra e di colonizzazione di un territorio, sono iniziati gli scontri tra i diversi gruppi etnici. Se c’è un tratto peculiare tra le donne al potere in quell’area è la necessità di mediare costantemente con le regole della religione e leggi laiche. Molte sono state le conquiste legali in diversi paesi: sulla proprietà e l’eredità, sul divorzio, sui delitti d’onore. Paesi che, con la crescita dopo il 1991 e la prima guerra del Golfo, oggi tornano al passato rispetto alle conquiste dei movimenti delle donne. Come accede in Egitto, Siria, Iraq, Libia. Ma anche in Palestina, dove nell’inizio della campagna elettorale per i Municipi che avrebbe dovuto tenersi il 4 ottobre, ma poi sospesa, alcune donne, non nella schede elettorali, ma nella loro propaganda, non hanno messo il loro volto ma un mazzo di fiori e sui social network si sono presentate come moglie o sorella di qualche uomo. Inconcepibile per donne palestinesi che, con il loro essere protagoniste nella lotta di liberazione dall’occupazione militare ma anche dall’oppressione patriarcale, erano state una grande ispirazione per noi femministe e nonviolente che le abbiamo conosciute fin dalla prima Intifada. Naturalmente vi è stata una rivolta non solo da parte delle organizzazioni di donne, ma anche da parte di intellettuali ed organizzazioni politiche. Ma intanto il danno era fatto. Anche per le donne di quell’area le differenze tra loro dipendono dall’appartenenza alle politiche dei loro partiti, alle religioni. Come accade da noi, lì le donne sono più presenti ed hanno risultati eccellenti nelle iniziative sociali cosi come nelle Università, crescono nella società civile e sono mediche, artiste o ingegnere. Ma la libertà e la liberazione sono ancora molto lontane. ◆ A cura di Tiziana Bartolini
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UNA POLITICA NUOVA E AL FEMMINILE CI SONO DONNE CHE OPERANO NELL’INTERESSE DELLA COLLETTIVITÀ, MA OCCORRE PIÙ DIALOGO E INCONTRO. ALCUNE RIFLESSIONI DI LIVIA TURCO, ALLA LUCE DELLA SUA ESPERIENZA
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ivia Turco è stata a lungo parlamentare e anche ministra. Oggi è presidente della Fondazione Nilde Iotti che, tra i suoi obiettivi, ha quello di promuovere e valorizzare la partecipazione delle donne alla vita politica. In tanti anni di impegno hai sostenuto l’affermazione delle donne nei luoghi del potere, non solo politico. Forse è arrivato il momento di valutare il loro operato? Quando conclusi l’esperienza di governo mi dissi: spero di avere ancora del potere, anzi averne di più perché per me ha significato avere strumenti per risolvere i problemi. La gratificazione che si ha dalla possibilità di incidere, di cambiare è la grande ricchezza che ne ho ricavato. Per me potere è per eccellenza l’esercizio della politica come servizio e, ieri come oggi, il mio impegno è diffondere que-
sti valori tra le donne; sono contenta di vederne tante ai vertici nella politica, nell’economia, nei media… purché il potere sia inteso come agire onesto e disinteressato e, naturalmente, se vuol dire essere felici e trovare la propria realizzazione nella promozione del bene comune. Non so se tutte lo intendono così. Vedo tante volte praticare la politica dell’annuncio, la ricerca di visibilità; ma molto più spesso vedo nei Comuni, nelle Regioni, al governo nazionale, al Parlamento nazionale ed europeo donne che sgobbano, che si impegnano. Non ho sentito parlare di donne indagate per corruzione. Questi mi sembrano due dati importanti, sufficienti per promuoverle. Poi bisogna valutare la qualità delle politiche, il loro impatto sulla vita delle persone, il loro impegno per la vita delle donne e molte volte si resta un po’ deluse. Non mancano le buone politiche, ma credo che le tante donne nelle istituzioni debbano e possano porre con maggiore radicalità e nettezza la risorsa donna al centro dell’agenda politica. Farebbe bene a tutto al Paese: come si sa un alto tasso di occupazione femminile crea maggiore ricchezza, migliore sviluppo e combatte le povertà e le diseguaglianze. Ciò che manca oggi, soprattutto dalle donne del Governo e dalle parlamentari, che sono brave e competenti e di cui sono convinta sostenitrice, è la loro capacità di rivolgersi esplicitamente alle italiane, di ascoltarle, di raccontare loro le battaglie sostenute ed i risultati ottenuti. So quanto è dura e faticosa l’esperienza di governo, ma ritagliarsi il tempo per andare tra i cittadini e le cittadine, ascoltare, discutere sarebbe un bellissimo messaggio ed un tempo speso benissimo. Sarebbe un modo concreto per avvicinare le donne alla politica. Vorrei che le brave ministre, tutte insieme, facessero un viaggio tra le italiane per ascoltare, prendere appunti, ed anche raccontare quanto è stato fatto. Mi piacerebbe che le giovani del governo e del Parlamento aprissero in modo esplicito e insieme tra loro un dialogo, si rivolgessero alle italiane, le invitassero nelle stanze dei loro uffici. Potrebbero cominciare promuovendo tutte insieme un appuntamento in ogni regione. Governare è prima di tutto competenza e azione concreta, ma se essa non si nutre della relazione umana con le persone rischia di essere inefficace. Ritieni concretamente possibile mettere in atto una modalità femminile di interpretare il potere? Si, esiste una modalità femminile di esercitare il potere. A parte le eccezioni, in generale le donne sentono più forte il legame con le persone e con la vita quotidiana. Sono più inclini all’ascolto ed al gioco di squadra, sono più oneste e ci tengono ad essere scrupolose, studiose competenti.
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Questo però non può rimanere un esercizio individuale, ci deve essere una elaborazione collettiva, un progetto condiviso tra donne ed anche con gli uomini per cambiare la politica, per garantire una qualità del governo ad ogni livello della cosa pubblica e nelle aziende che abbia come obiettivo la valorizzazione delle risorse umane, la relazione anche umana ed empatica con le persone, il merito e la competenza. Questa qualità nuova della politica, del potere, del governo lo dobbiamo richiedere come cittadine e cittadini, elaborarlo in un progetto, proporlo in modo collettivo. C’è una responsabilità anche di noi cittadini/e, che dobbiamo scendere in campo, dare vita a movimenti collettivi e non essere chiusi/e nel nostro risentimento, nella nostra fatica, nella nostra delusione. Ma non nascondiamoci i problemi: troppe volte le donne sono tra loro in competizione, fanno squadra meno degli uomini, sono convinte che le alleanze con gli uomini potenti siano più importanti dell’alleanza tra donne. Cosa pensi della candidatura di Hillary Clinton? Sono convita che la elezione di Hillary Clinton alla Presidenza degli Stati Uniti sia un fatto altamente simbolico per accreditare l’autorevolezza delle donne e per dare forza e coraggio a tutte. Sarebbe la prima volta di una Presidente nella parte più importante del mondo, una donna che non ha mai nascosto la sua femminilità, il suo legame con le donne, il suo impegno per i diritti e la libertà femminile. Che unisce a questa “differenza” l’autorevolezza, la competenza, la durezza, la tempra che nell’immaginario collettivo sono ancora attribuiti prevalentemente dagli uomini. Che tali doti siano esercitate da una donna cambia la cultura degli uomini di tutto il mondo e dà forza alle donne di tutto il mondo. Auguri Hillary. Cosa pensi dell’avanzare delle donne alla testa di movimenti populisti e/o di destra in Europa? Non mi stupisce che donne siano alla testa di movimenti populisti, di movimenti che mettono al centro l’identità del territorio, esprimono le paure di trovarsi impoveriti perché
arrivano gli “altri”, difendono la propria famiglia, contestano una politica lontana. Non mi stupisce perché la nostra storia di genere ci ha portate e ci porta a sentire molto strette tra di loro la dimensione del pubblico e quella della vita privata. Questo modo differente di vivere la politica ha prodotto cambiamenti positivi nella concezione stessa della politica, nel modo di intendere la rappresentanza, nella pratica sociale e politica. Ha inciso nel percorso storico del nostro paese e dell’Europa, ha un’influenza positiva sui partiti e sulla loro concezione e pratica della politica. Lo ha fatto quando la politica è stata popolare, prossima, vicina alle persone. Il cambiamento che ha vissuto la politica nell’ultimo decennio in tutti i paesi Europei, in particolare il cambiamento del modo di intendere le istituzioni sovranazionali sentite come lontane e burocratiche, la personalizzazione e la perdita della dimensione comunitaria e popolare dei soggetti tradizionali della politica, la corruzione hanno colpito in particolare le donne. Votano meno degli uomini, sono più distaccate, avvertono un senso di estraneità ed in particole quella differenza che le fa essere molto legate alle persone della propria comunità, molto protese, tanto più nel freddo della crisi economica, alla protezione dei propri cari. Sono più attratte dal messaggio della paura, della difesa del proprio territorio e della propria identità, cercano anche in questa occasione relazioni umane, comunità, legami sociali veri. Per questo sono convinta che per sconfiggere i populismi occorra attivare politiche che combattano le disuguaglianze, che diano sicurezza dimostrando che la carta vincente è la solidarietà. Ma serve anche mettere in campo, accanto ad istituzioni nazionali ed europee rinnovate, prossime, più efficienti, una qualità ed una pratica della politica che prenda in carico le persone, le renda protagoniste. Insomma, la sfida che ci proviene dai populismi sono nuove politiche di sviluppo, nuove istituzioni nazionali e sovranazionali ma anche l’invenzione di una nuova politica popolare che sia accogliente, umana, che attivi le competenze di tutte le persone. ◆ A cura di Tiziana Bartolini
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LA TERRA TREMA di Tiziana Bartolini
Con Donne in Campo ad Amatrice, portando solidarietà alle imprenditrici agricole colpite dal terremoto del 24 agosto. I problemi dell’oggi e gli interrogativi sul futuro
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asciata la Salaria, si percorre la statale che attraversa alcune frazioni di Amatrice. È un rincorrersi, calmo e discreto, di piccoli nuclei composti da semplici abitazioni. I cumuli di macerie sono ferite inferte alla bellezza incontaminata dei monti Sibillini e della Laga, terre custodite dall’orgoglio di chi non le ha mai lasciate e di chi ci è tornato dopo una vita di lavoro altrove. Tra le 298 vittime del terremoto del 24 agosto sono molti, infatti, quelli che per andare via aspettavano la tradizionale Sagra dell’Amatriciana, edizione speciale: quest’anno sarebbe stata la cinquantesima. Un appuntamento da non mancare, un pretesto per invitare amici e per lasciare i nipotini ai nonni per godere della festa in uno scampolo d’estate. Il terremoto distrugge gli edifici, sbriciola case e affetti. Il dolore è, e rimarrà, profondo, devastante. È destinato ad accompagnare il futuro delle comunità colpite. E una ricostruzione rapida e rispettosa dell’ambiente e delle identià è il minimo che ci si possa aspettare. E si spera che, stavolta, sia davvero così. L’altro aspetto della devastazione è il danno inferto all’economia, che in queste zone parla la lingua dell’agricoltura. Cia e Donne in Campo hanno testimoniato la loro vicinanza alle imprenditrici agricole del comune di Amatrice con una visita. A metà settembre la vicepresidente Cia Cinzia Pagni, la presidente nazionale Donne in Campo Mara Longhin e la presidente del Lazio Pina Terenzi hanno incontrato
Claudia Di Cosmo presso la tendopoli di Sant’Angelo e Lucia Valerii nella frazione Cornelle di Sopra. NOIDONNE era con la delegazione, guidata dai rappresentanti Cia di Rieti Stefano Di Placido e Ilaria Barbante. Due incontri al femminile, testimonianze vive del mostro multiforme che è il terremoto. Racconti intensi che danno la misura della complessità di una ricostruzione che, per restituire la vita e il senso di comunità, deve tenere conto del tessuto imprenditoriale e dell’importanza dell’agricoltura.
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UN FUTURO DA RIPENSARE Lucia Valerii, Cornelle di Sopra (Frazione di Amatrice)
“Venti anni fa ho venduto tutto a Roma per investire nell’azienda agricola. Questo è il nostro mondo e qui abbiamo deciso di vivere. E ora non sappiamo cosa fare, non sappiamo quale futuro ci attende”. Mentre parla, Lucia Valerii prepara il caffè e cerca un vassoio per servircelo. “Volevo fare bella figura, ma non ci riesco quasi scusandosi - è che non riesco a organizzarmi, non ritrovo nulla”. La cucina è in ordine, solo qualche particolare parla di una notte spezzata dal sisma venti giorni fa. “Guarda - indica un antico giogo in un angolo - non capisco come sia arrivato laggiù: era appeso a quella parete”. Particolari che raccontano la gravità del trauma di chi ha intorno macerie e dolore. “Fra le vittime ci sono molti amici di mio figlio, li piangiamo come se fossero nostri familiari”. Daniele ha 27 anni e quella notte ha tirato fuori dalle case tante persone, ha aiutato tutti gli anziani della frazione. “Al buio si è precipitato fuori e non si è fermato mai - continua Lucia -. È stato molto forte e ho paura che da un momento all’altro crolli: è troppo duro quello che abbiamo vissuto”. Lucia si sente ad un bivio e si interroga su un futuro che stava costruendo e che il sisma ha messo in dubbio. Per dare un nuovo sviluppo alla sua azienda agricola situata, nei Monti della Laga, Lucia ha investito nel B&B LDL (nella foto). “Non ci sono lesioni alla struttura, ma per prudenza abbiamo disdetto le prenotazioni: un danno enorme visto che avevamo tutte le stanze occupate”. Poi ci sono gli animali, che hanno bisogno di cura e che, per fortuna, le sono di grande aiuto. “Non riesco a riprendere il ritmo delle attività dell’azienda; la mattina vado dalle mie mucche: è l’unica cosa che riesco a fare”. Un sorriso dolce non abbandona mai Lucia, anche mentre spiega una situazione complicata da gestire. “Adesso possiamo contare solo sullo stipendio di mio marito, che lavora nei cantieri della ricostruzione a L’Aquila, ma lui è rimasto talmente scosso che non intende tornare a dormire sotto un tetto. È un peccato, perché la casa è intatta e il terremoto ci ha solo un po’ danneggiato le tubazioni. Ma lui non si fida neppure delle perizie o delle dichiarazioni di agibilità, quando ci saranno. Vedo che è troppo scosso e lo devo assecondare. Devo dire che io stessa sento che ancora qualcosa di brutto può accadere. Il giorno cerco di fare qualcosa, anche se sono parecchio frastornata, ma alle cinque devo andare via perché arriva l’angoscia e i brutti presentimenti”. Il terremoto è così, insidia l’animo delle persone e le destabilizza con macerie invisibili. Del
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L’AGRICOLTURA ERA UNA SCOMMESSA, ADESSO È UNA SFIDA Claudia Di Cosmo, Sant’Angelo (Frazione di Amatrice) Trenta anni e un macigno sul cuore. Claudia è il simbolo di una rinascita possibile, ma non scontata, che ha bisogno di sostegni veri e di una progettualità concreta. L’azienda Di Cosmo con Claudia è alla quarta generazione. Questa bella ragazza e il suo compagno avevano scelto di rimanere ad Amatrice, investendo nell’azienda di famiglia e riconvertendola: mucche da carne invece che da latte, fare
resto dopo il 24 agosto le scosse, anche piuttosto forti, continuano a sentirsi. Chissà per quanto ancora Lucia e il marito dormiranno nella roulotte in un campo vicino casa, senza acqua né bagno. “Dobbiamo prendere delle decisioni e non è facile ricominciare a 51 anni. Venti anni fa abbiamo fatto una scelta andando contro la mia famiglia, che proprio non capiva. Non è stato facile, ma era quello che volevo… e adesso… mi sento umiliata e non so se riusciremo a risollevarci. Presto arriverà la neve e qui non verrà più nessuno, penso che ci dimenticheranno. E guardi che ne abbiamo passati di periodi difficili: abbiamo perso una figlia, ne abbiamo adottati due. Insomma siamo abituati a lottare, ma in questa situazione non so….”. Il nuovo progetto di Lucia era un’area picnic agricola destinata ai camper, la stava allestendo nel prato dove ora c’è la roulotte in cui passa la notte (vedi foto). In questa piccola frazione ai confini con l’Abruzzo, tra le buone abitudini di Lucia c’era quella di fare una passeggiata ad Amatrice, oppure arrivare fino a Rieti, per scambiare due chiacchiere nella sede di Cia. “Adesso dove vado più…?” si domanda a voce alta, aprendo mentalmente una finestra su quella che sarà la sua nuova dimensione. Anche dei piccoli riti quotidiani. (Contatti mail: valeriildl@hotmail.it)
il laboratorio di carne e differenziare gli allevamenti. L’altro progetto era creare un parco avventura, ideale nel mare di verde in cui sono immersi. “Qui immaginavamo il nostro futuro, ma adesso la preoccupazione di non farcela è tanta, perché sappiamo che dopo il terremoto ci attendono anni di solitudine. L’ho visto dopo il sisma de L’Aquila: lavoravo in un ristorante e per due anni il turismo è crollato. Se prima l’agricoltura era una scommessa, adesso è proprio una sfida”. Incontriamo Claudia, che ha perso nel sisma la nonna novantenne, nella tendopoli della frazione Sant’Angelo e ci spiega le sue preoccupazioni anche per il futuro più imminente. “Ci dicono che entro settembre smantellano i campi per fare posto alle nuove costruzioni e che ci daranno un container, ma questa soluzione non va bene per chi deve
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gestire imprese agricole e custodire gli animali. Le nostre strutture di lavoro per fortuna non sono molto danneggiate, ma la casa è pericolante, quindi vanno trovate soluzioni abitative che, anche se temporanee, ci consentano di rimanere nelle aziende; strutture che siano idonee a superare l’inverno. A oltre mille metri il freddo si fa sentire: tre anni fa abbiamo avuto tre metri di neve, tanto per dare l’idea. Anche adesso il disagio è tanto: l’altra notte, per esempio, è nato un vitello e siamo rimasti fino a mezzanotte per seguire il parto, che tra l’altro si presentava difficile”. La condizione degli imprenditori agricoli è particolare e richiede una diversa impostazione nella gestione dell’emergenza,
individuando soluzioni su misura visto che “in questa zona tre delle cinque aziende hanno avuto la casa distrutta”. Abbiamo risentito telefonicamente Claudia prima di andare in stampa e ci ha riferito che ad oggi - 25 settembre - il container non è ancora arrivato. Intanto la famiglia Di Cosmo si sta organizzando autonomamente trasferendo la roulotte, dove dormirà papà Gianfranco, dalla tendopoli all’azienda e hanno preso in affitto - per ora a spese loro - un appartamento a San Benedetto, mettendo 80 km tra il luogo dove dormiranno e la faglia sismica. “Meglio fare 160 km al giorno piuttosto che rischiare di rimanere sotto al prossimo terremoto che, si dice, arriverà forte e a breve”. La paura è ancora tanta e non saranno neppure le carte a tranquillizzare le persone perché “la dichiarazione di agibilità di un edificio è una cosa e essere antisismica è altro, lo Stato non può rinunciare a metterci in sicurezza”. È una fase delicata, quindi, che va affrontata rapidamente e con lucidità. A partire dall’organizzazione del raccolto, che non può aspettare. “Adesso si inizia con le patate e poi ci sono le lenticchie e i fagioli, tutti prodotti deperibili. Le patate vanno immagazzinate subito al buio e in luoghi asciutti. Di questi tempi si utilizzavano le cantine di tutti, parenti e amici… e adesso dove le mettiamo? In questa parte, da Saletta ad Amatrice i paesi sono stati spazzati via”. Il raccolto è iniziato, con l’aiuto di chi può, ma il problema è già la vendita. “Manca la rete e manca la circolazione di informazioni precise, persino su quali sono le strade accessibili. Ci stanno contattando i gruppi di acquisto. È un’iniziativa spontanea che ci fa piacere, ma senza un’organizzazione non si va da nessuna parte. Questo è uno sforzo che va fatto adesso, evitando che le persone vadano via. E se se ne vanno, poi non tornano. L’attenzione al tessuto economico e all’agricoltura deve essere massima, perché da qui potrà ripartire tutto”. Il tempo passa e la preoccupazione è tanta, anche perché poggia su un’esperienza già vissuta, e non ancora archiviata, come quella de L’Aquila. “In queste circostanze perdi la visione del futuro e provi ad andare avanti a piccoli passi, mentre ti chiedi se stai spendendo bene il tuo tempo e se stai facendo la scelta giusta”. Gli occhi un po’ luccicano, ma subito Claudia reagisce. “Il presidio agricolo di Amatrice deve essere aiutato, deve essere pubblicizzato. Noi siamo disponibili a ricominciare da capo, abbiamo la forza e la voglia di farlo. Per questo dobbiamo rimanere qui, ma potendo lavorare”. Chi può e chi deve ascolti queste voci. E risponda adeguatamente. ❂ (Contatti mail: claudiadicosmo@libero.it)
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IL PAESE IN CUI VOGLIO SEMPRE TORNARE Giovanna Tassi, italiana di Imola, è direttora della Radio Pubblica ecuadoriana. La sua storia parla di coraggio, curiosità ed una energia inesauribile di Nadia Angelucci
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ono arrivata a Quito la mattina del 13 luglio del 1984. Era una giornata piena di sole e appena scesa dall’aereo ho sentito su di me tutta la difficoltà di respirare e muoversi che si prova a 2.800 metri di altezza. Un blocco di cemento sulla testa. Il mio non era turismo, avevo scelto, insieme a mio marito, di partire come volontaria per il MLAL - Movimento Laici America Latina, che in Ecuador stava sviluppando progetti di cooperazione nelle comunità indigene”. Giovanna Tassi ripercorre per NOIDONNE il ricco periplo della sua vita. Su una Quito scintillante, che entra prepotentemente dalla vetrata del suo salone, la sera comincia a calare e una pioggerella sottile accompagna la lunga conversazione. Le varie vite
di Giovanna si sovrappongono e compongono un quadro di differenti colori che però conserva un tono comune, quello della forza e della volontà di rimanere sempre fedele a se stessa. “I primi anni in Ecuador li ho vissuti a Pesillo, 3500 metri sopra il livello del mare. Una comunità quichua che viveva immersa nei rigori e nella fatalità della Sierra ecuadoriana. Quando ho visto quel luogo mi è venuto un colpo: avrei vissuto in una casa di terra, senza acqua, esattamente come il resto della comunità di cui, con il tempo, sarei divenuta parte. Per fortuna mi abituo facilmente. Ci siamo costruiti una casa di due piani con cucina, camera da letto, e latrina all’esterno. E un camino davanti al quale mi facevo il bagno una volta alla settimana in una grande
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gena era considerata stregoneria. Da questa esperienza è nato il libro De lo magico a lo natural, la medicina indigena en Pesillo.
È stata un’esperienza in cui ho messo in discussione molte delle mie convinzioni. E ho avuto la possibilità di capire il modo in cui gli indigeni vedono il mondo. C’è stato un episodio che è stato determinante in questo senso. Sono laureata in teologia e mi ero offerta di aiutare i salesiani con la catechesi. In uno dei corsi di preparazione al battesimo avevo parlato del Diluvio universale e dell’arcobaleno come segno della fine del diluvio e dell’alleanza tra uomo e dio. Alla fine si presentò un vecchietto con il suo poncho. Mi diede la mano alla maniera degli indigeni, nascondendola sotto il poncho - questo è retaggio del passato coloniale quando gli indigeni non potevano neanche toccare i bianchi - e mi disse ”sa doctorcita succede che il kuichik (l’arcobaleno) per noi è uno spirito maligno che mette incinta le bambine”. Entrai in crisi, rinunciai all’incarico e capii che dovevo mettermi a studiare. Era assurdo insegnare la nostra religione con le nostre categorie. E quindi ho studiato come era organizzato il mondo dei quichua.
Poi sei arrivata in foresta?
bacinella di plastica. Gli indigeni mi dicevano che io ero matta a buttare tutta quell’acqua per lavarmi ma io avevo a disposizione una macchina per trasportare l’acqua e quello era il mio lusso. È stata un’esperienza molto bella, ho vissuto la vita quotidiana della comunità, ho capito a fondo quel mondo. Dato che mio marito era medico entravo in contatto con tutte le famiglie. Lavoravamo molto anche con le donne e con le parteras (levatrici) a cui ho visto fare delle cose incredibili. Sono capaci di muovere un bambino sistemato male nella pancia della mamma ricorrendo a delle fasce che passano sul corpo delle donne. Facemmo in modo che la divisione di salute del Pichincha (provincia ecuadoriana, ndr) accettasse le parteras nel sistema di salute pubblico. Fu una grande vittoria perché a quell’epoca la medicina indi-
La selva è la mia vita. Nel momento in cui ho visto quel mare di verde ho capito che quello era il luogo in cui dovevo nascere. I ritmi, il clima, il modo di vivere in foresta sono quelli più consoni alla mia personalità. Ho cominciato a lavorare alla CONFENAIE (Confederación de Nacionalidades Indígenas de la Amazonía Ecuatoriana), mi occupavo del giornale, e ho conosciuto Carlos Viteri, un antropologo quichua di Sarayacu. È stato il mio compagno per tanti anni e abbiamo avuto due figli. Con lui sono entrata a far parte di una famiglia indigena e ho vissuto in una comunità in selva condividendo la vita e le battaglie di quelle persone. I miei figli sono Quando è nato il nati lì e sono cresciuti in questa mio primo figlio mi comunità, io me li legavo sulla dicevano che era un schiena come le donne del popeccato che fosse sto e andavo a lavorare nella così bianco chagra (fattoria), preparavo la chicha (bevanda), li mettevo a dormire sulle amache mentre lavoravo. In quel luogo una delle persone chiave è stata Rebeca, la madre di Carlos, che mi ha accolto e insegnato tutto quello che so sulla selva. È stato il mio tramite e la persona che, appena arrivata
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Cosa ha significato immergersi in un mondo così sconosciuto?
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ma questo ultramondo a cui si accede attraverso riti e cerimonie nella quali si usa assumere sostanze che aiutano il nostro spirito ad accedere al mondo al di là. Il mediatore per eccellenza è lo sciamano, che ha una funzione importantissima per tutta la comunità e anche per ogni individuo della comunità. Con la differenza che, mentre nella sierra lo sciamano individua la causa e cura la malattia della persona, nella selva intraprende una lotta con chi ha provocato quella malattia. Io sono stata curata da uno chaman (sciamano) che mi ha liberato da un susto (perdita dell’anima) e mi ha fatto rinascere. Entrare a fondo in questo mondo mi ha portato a scrivere un libro sugli Huaorani, una popolazione della selva che sta in isolamento volontario e non gradisce i contatti con la civiltà occidentale: Naufragos del mar verde. La resistencia de los Huaorani a una integración impuesta.
La tua vita in selva non è stata attraversata solo da momenti familiari e intimi ma ti ha coinvolto anche nelle battaglie politiche dei quichua della selva?
Si, ho vissuto con loro dei momenti storici importanti. Il più emozionante è stato sicuramente la marcia di 500 chilometri a piedi, nel 1992, da Puyo a Quito, per ottenere i titoli di proprietà della terra (900mila ettari); abbiamo vinto dopo estenuanti negoziati con il governo di Rodrigo Borja. È stato un avvenimento epico che ricorderò sempre anche per le innumerevoli dimostrazioni di solidarietà della gente. A Pelileo, già sulla sierra, a mezzogiorno il sole batteva molto forte e rendeva l’asfalto incandescente. Gli indigeni amazdavanti alla famiglia, mi ha offerto un bicchiere d’acqua e zonici marciavano scalzi e la gente buttava acqua sull’alimone, chiarendo a tutti che io ero stata accettata come sfalto perché non si bruciassero i piedi. Erano i giorni vicini membro di quel gruppo. All’inizio è stato difficile perché a Pasqua e una famiglia di sconosciuti mi vide marciare ero una straniera; quando è nato il mio primo figlio mi dice- con mio figlio Arau di 4 anni e ci invitarono a mangiare la vano che era un peccato che fosse così bianco. Rebeca è fanesca (piatto tipico). Sui giornali apparve la foto di una donna dai capelli rossi che marciava insieme agli indianalfabeta ma è una donna che ha una cultura imgeni. Con molto folclore, e rivelando la loro visiomensa e un senso estetico sconfinato. È figlia ne colonialista, dissero che guidavo la marcia, di uno sciamano, un uomo molto importante Uno dei mi chiamavano “la puta de los indigenas”. e con le sue mani operose modella ceramomenti più miche sorprendenti. emozionanti è stata la marcia Altra tappa importante sono gli Stati di 500 chilometri a Nella selva scopri un’altra Uniti? piedi, nel 1992, per spiritualità. Abbiamo avuto un colpo di fortuna e Carlos è ottenere i titoli di stato chiamato come consulente delle Nazioni Per le popolazioni indigene della selva proprietà della Unite. Washington mi è piaciuta tanto. Ho troamazzonica ogni cosa è animata. Io mi terra vato lavoro in una radio latina. Era una radio comsono trovata subito a mio agio con questa merciale ma io, che credo che la comunicazione cosmovisione, forse perché sin da piccola sia un servizio, mi ritagliavo programmi più sociali: con i ero attratta da un mondo fantastico, quello dei druidi, degli elfi. E quindi non ho avuto problemi a credere detenuti sulla lettura, con la biblioteca per raccontare le favole che gli alberi, le foglie, l’acqua, avessero un’anima. Nella in spagnolo ai bambini di seconda generazione perché non selva il mondo vero non è quello in cui viviamo tutti i giorni perdessero il contatto con la loro lingua madre.
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Il rientro in Ecuador ti ha riservato nuove sorprese.
E le radici dove sono?
Si, cercavo lavoro e ho fatto girare il mio curriculum tra gli Non ho rinunciato alle mie radici italiane però il paese in cui amici. Il governo di Correa, appena installato, stava cer- voglio sempre tornare è l’Ecuador. È il luogo in cui posso cando delle persone e mi hanno preso nella Segreteria di esprimermi completamente, che mi ha donato nuove vite. comunicazione. Con il tempo, e con la legge sui mezzi Qui ho la sensazione di esistere, di poter cambiare le di comunicazione che ha potenziato la radio e la cose. Questo è il luogo in cui ho scelto di vivere e televisione pubblica, mi hanno chiesto di lavoho un debito con questo paese per tutto quello Non ho rare a questo nuovo progetto, prima come che mi ha dato, compreso l’onore di affidare rinunciato alle direttore di produzione e poi come direttora una parte della res pubblica ad una stramie radici italiane della radio. È un lavoro meraviglioso che niera, anche se adesso ho preso anche però il paese in mi impegna completamente ma che adola cittadinanza ecuadoriana. E poi la poscui voglio sempre ro. La mattina alle 6 sono in televisione sibilità di dedicarmi alla mia passione, al tornare è l’Ecuador, con un notiziario informale, alle 8,30 sono giornalismo. Anche questo è qualcosa luogo che mi ha in radio con il mio programma storico La che finirà, lo so; il mio è un incarico politico donato nuove vite Cabina; sempre in radio, due mercoledì al e potrei non essere rinnovata con il nuovo mese, la sera, curo el Concierto de ideas, digoverno. Se così fosse penso di tornare a vibattiti pubblici su vari temi e il sabato sera sono di vere in Amazzonia, il mio amore, e magari aprire nuovo in TV con un programma sull’Amazzonia, Palabra un catering di tiramisù e pizza a Puyo. b amazonica.
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LA BATTAGLIA POLACCA CONTRO L’ABORTO Il governo e la Chiesa polacca vorrebbero arrivare al divieto assoluto dell’aborto, cancellando la legge vigente, in nome dei principi della morale cattolica
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di Cristina Carpinelli
U
na delle promesse fatte dal partito “Diritto e Giustizia” (in polacco Prawo i Sprawiedliwość, abbreviato in PiS), nel corso della campagna elettorale per le elezioni politiche dell’ottobre 2015, è stata l’abolizione totale del diritto di aborto, in linea con la più ampia campagna di ritorno alle tradizioni cristiane e di difesa della famiglia tradizionale. Come è noto questo partito, conservatore e cattolico integralista, ha poi vinto la corsa elettorale ottenendo la maggioranza assoluta dei seggi in parlamento. Dopo la presidenza, conquistata con Andrzej Duda (esponente del partito “Diritto e Giustizia”) a maggio 2015, il PiS è riuscito a impadronirsi anche dell’esecutivo che, grazie al 37,58% dei voti ottenuti, è “monocolore”. Un fatto mai accaduto nel Paese dalla fine della Guerra Fredda in poi. Dopo la schiacciante vittoria, la neo-premier, Beata Szydło, e il leader storico del PiS, Jarosław Kaczyński, hanno subito messo in campo la revisione della legge 1993 sull’interruzione di gravidanza, che è tra le più restrittive in Europa. Questa legge, considerata un compromesso al ribasso dalla gerarchia ecclesiastica polacca, ri-
conosce il diritto d’abortire (sino alla 25ma settimana di gravidanza) alle donne che lo chiedono, ma solo in casi estremi: se la gravidanza è frutto di uno stupro o incesto, se il feto ha gravi malformazioni o se gravidanza e parto possono mettere in pericolo la vita e la salute della madre. Attualmente, in Polonia, l’aborto è considerato un reato penale sanzionabile con una pena massima di otto anni di carcere per il medico che lo esegue, ma non per la madre. Eppure, il governo, con il pieno appoggio della Chiesa polacca, vorrebbe cancellare queste eccezioni per arrivare al divieto assoluto dell’aborto in nome dei principi della morale cattolica, rendendo, di conseguenza, impossibile qualsiasi interruzione legale della gravidanza: “la difesa
Alcune organizzazioni cattoliche conservatrici hanno raccolto centinaia di migliaia di firme per presentare un disegno di legge d’iniziativa popolare sul tema dell’aborto
del nascituro va sopra ogni altra cosa”. “Dobbiamo e vogliamo restaurare il primato dei valori cristiani di difesa della vita, e distanziarci dal comodo mainstream dell’Europa secolarizzata” - hanno sostenuto gli esponenti del nuovo governo. La scelta del PiS fa seguito a un appello lanciato dalla Conferenza no deciso di raccoepiscopale polacca, che ha chiesto “la piena protezione gliere 100mila firme del nascituro - impossibile con la legge attuale”. (numero minimo neIl 3 aprile 2016, mentre in tutte le chiese del Paese i sacessario) per presentare al governo un disegno di legge cerdoti leggevano l’appello della Conferenza episcopale d’iniziativa popolare sul tema dell’aborto, che preveda polacca, in cui si chiedeva alle autorità politiche di difenla sua autorizzazione nel solo caso in cui sia necessario dere la vita fin dal concepimento, alcuni gruppi di donper salvare la vita e preservare la salute e la dignità delne hanno abbandonato la messa (video). Ci sono state, la madre. La prima ministra Beata Szydło, inoltre, nello stesso giorno, manifestazioni pronunciandosi su questa legge d’iniziativa in piazza di protesta, a cui hanno partecipopolare, ha risposto: “Ogni deputato votepato migliaia di persone che sventolavano Proteste contro rà in linea con la propria coscienza. Al mouna gruccia, simbolo dell’aborto clandela deriva mento non posso parlare del disegno di legstino. A sostegno della protesta, le mogli anti-abortista ge, perché questo disegno di legge ancora degli ex tre presidenti polacchi, Danuta sono arrivate non esiste. La mia opinione è che sì, sono Wałęsa (il cui marito è lo storico leader del dal Consiglio favorevole a questa iniziativa”. L’iniziativa sindacato indipendente Solidarność - Lech d’Europa era scaturita non solo a seguito delle numeWałęsa), Jolanta Kwaśniewska e Anna e da movimenti rose proteste di piazza contro la proposta Komorowski, hanno pubblicamente preso femministi europei governativa di divieto assoluto dell’aborto, posizione contro la proposta del governo, come quello olandese di ma anche dopo i risultati di due importanti fiancheggiato dalla Chiesa, con una lettera, Woman on Waves sondaggi (Istituto polacco di sondaggi d’oin cui è scritto: “Vediamo con grande prepinione - CBOS) compiuti a marzo e magoccupazione l’idea di abbandonare il comgio 2016, i cui dati erano stati pubblicati promesso relativo alla legge anti-aborto del dal quotidiano “Gazeta Wyborcza”. Il primo 1993 (…) Ogni aborto è una tragedia, ma sondaggio indicava che il 69% dei polacchi considerava non vogliamo aggravare la tragedia delle donne obbliganl’aborto immorale e inaccettabile. Allo stesso tempo, però, dole a dare alla luce i figli di uno stupro o obbligandole a alto era il sostegno per l’interruzione di una gravidanza nel rischiare la vita e la salute o la vita e la salute dei loro figli”. caso in cui la vita e la salute della donna fossero state in Allarmate dal clima teso che si era venuto a creare nel pericolo (87%). Solo il 14% degli intervistati si era espresPaese, alcune organizzazioni cattoliche conservatrici hanso a favore di un divieto totale. Il sondaggio più recente confermava questa tendenza d’opinione: l’84% degli intervistati si era dichiarato a favore dell’aborto, in caso di pericolo per la vita della madre, il 76% - in caso di rischio per la sua salute, il 74% - in caso di gravidanza frutto di un incesto o stupro. Per l’81%, l’aborto non era giustificabile a causa della cattiva situazione finanziaria della madre, e per il 78% semplicemente per il rifiuto della donna ad avere un figlio. Barbara Nowacka, femminista e leader della coalizione di opposizione “Sinistra Unita” (ZL), ha subito criticato il governo della Szydło: “…la Polonia ha fatto molti passi indietro. Problemi come quello della parità di genere sembrano essere improvvisamente cancellati”. Tuttavia,
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le numerose manifestazioni di strada e la protesta virale di migliaia di donne polacche sui social network contro le radicali posizioni anti-abortiste, hanno costretto il governo a fare marcia indietro. Sia la premier Beata Szydło, sia il presidente del PiS Jarosław Kaczyński, consapevoli del possibile calo di popolarità, si sono mostrati disponibili a riconsiderare la proposta di legge da discutere in parlamento: “È ovvio che ogni nuova soluzione dovrà considerare la protezione del diritto alla vita e della salute e dignità delle donne”, ha detto Kaczyński. “Il gover-
no - come ha spiegato Michał Szułdrzyński in un editoriale pubblicato su “Rzeczpospolita” - ha capito che il caso poteva diventare politicamente pericoloso e sta cercando un modo per tirarsi fuori dalla situazione”. Per questo motivo, l’amministrazione Szydło ha deciso di appoggiare la legge d’iniziativa popolare promossa dalle organizzazioni cattoliche conservatrici, che apporta ulteriori restrizioni alla legge attuale sull’aborto, facendo, tuttavia, salvo il caso in cui è possibile abortire legalmente, quando la gravidanza mette a serio rischio la vita, la salute o la dignità della madre.
la Polonia in tema di educazione sessuale, aborto e contraccezione libera non possa dirsi un Paese civile. Questo è quanto pensa anche la Corte Europea dei Diritti Umani, che lo ha ribadito in tre sentenze di condanna alla Polonia. Il governo di Varsavia ha risposto al Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa accusandolo di “oltrepassare il suo mandato, di essere pieno di pregiudizi e discriminatorio e di interferire negli affari interni di uno Stato sovrano”. Ha colto, inoltre, l’occasione per riaffermare a chiare lettere che “la legislazione polacca in questo senso ha le sue fonti nella Costituzione ed è condizionata dalla cultura largamente condivisa della società polacca per il rispetto della vita”. Pressioni di protesta sono giunte anche da movimenti femministi europei come quello olandese di Woman on Waves, rappresentato da un gruppo di attiviste che il 3 aprile 2016 (giorno in cui in Polonia si sono svolte numerose iniziative contro la crociata anti-abortista delle autorità politiche e ecclesiastiche) hanno lanciato pillole del giorno dopo al confine tra Polonia e Germania con un drone. A luglio 2016, il CBOS presentava altri dati, da cui emergeva che i sostenitori del PiS erano per il 64% a favore del divieto totale dell’aborto. Sempre nello stesso mese, gli attivisti di “pro-life”, in maglietta gialla con impressa sopra una sagoma rossa raffigurante un bambino non ancora nato e la scritta Ratuj mnie! (“Save me!”), hanno consegnato al parlamento 35 scatole, contenenti quasi 500mila firme a sostegno di un disegno di legge d’iniziativa popolare che chiede - in linea con la Conferenza episcopale polacca - il divieto totale d’aborto. La battaglia è ancora tutta aperta! b
ULTIMO AGGIORNAMENTO
Pressioni contro la deriva polacca anti-abortista sono arrivate anche dall’esterno. In particolare, sono arrivate dal Consiglio d’Europa, per bocca del Commissario preposto ai diritti umani, Nils Muižnieks, che in un report presentato alla stampa nel giugno 2016 ha evidenziato come
Il 23 settembre 2016, con 230 voti a favore e 173 contrari, l’assemblea parlamentare polacca ha ammesso la proposta d’iniziativa popolare degli attivisti “pro-life”, che chiede il divieto totale dell’aborto e propone il carcere sia per la donna che lo richiede sia per il dottore che pratica l’operazione. Il partito “diritto e giustizia”, che ha la maggioranza assoluta e si dichiara d’ispirazione cattolica, ha dato libertà di coscienza ai suoi parlamentari. La proposta ora dovrà passare al vaglio delle commissioni parlamentari. La chiesa polacca, che ha sostenuto questa proposta d’iniziativa popolare, ha tuttavia sollevato delle perplessità riguardo alla richiesta del carcere per le donne.
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UNA LEGGE CONTRO
LE MUTILAZIONI GENITALI FEMMINILI di Zenab Ataalla
Il 28 agosto scorso il Parlamento ha approvato una modifica al codice penale che prevede un inasprimento della pena detentiva da cinque a quindici anni a chi ha materialmente praticato una mutilazione genitale femminile. Per molti questa modifica è risuonata come un chiaro segnale da parte del governo nel volere combattere una pratica ancora oggi assai diffusa in molte aree dell’Egitto, soprattutto nelle zone più interne e rurali del Paese. Per Rothna Begumm del Human Right Watch si tratta di un importante emendamento, ma non basta per garantire alle bambine il diritto alla vita ed alla salute. “Le sanzioni più severe per le mutilazioni genitali femminili in Egitto riflettono le conseguenze orribili e potenzialmente mortali di questa usanza discriminatoria - e continua - ma non serve solo questo. È necessaria una più ampia riforma del diritto per contrastare in modo adeguato questa pratica orribile, ma è necessario anche che tutte le leggi esistenti siano applicate per proteggere le decine di migliaia di bambine ancora a rischio”. E se un passo in avanti viene fatto, c’è ancora un punto sul quale le organizzazioni femminili egiziane continuano a dichiarare battaglia. Le modifiche recenti, infatti, non intaccano l’articolo 61 del codice penale egiziano, che avalla il ricorso alle mutilazioni genitali femminili, qualora si ritenessero necessarie per la salute delle bambine. Ma non essendoci dei fondamenti medici che giustificano l’escissione degli organi genitali femminili, le organizzazioni femminili lanciano l’allarme sul fatto che mantenere
questa possibilità significherebbe nei fatti continuare a mantenere uno status quo terribile. In questo senso mantenendo la clausola del “giusto e necessario per la paziente” non si farebbe altro che incoraggiare i giudici a far decadere le accuse dei condannati che, essendosi trovati costretti a praticarla, non subirebbero alcuna conseguenza sul piano penale o giudiziario. Per Dalia Ahmed Hamid, dell’Iniziativa egiziana per i Diritti personali, continuare per questa strada è un errore gravissimo. “Il governo è generalmente incline ad aggravare la pena nei reati legati alla violenza di genere ed alla condotta sessuale. E non essendo le mutilazioni genitali femminili rientranti in questi casi, continuano ad essere praticate non solo in laboratori medici improvvisati, ma anche nelle strutture ospedaliere del Paese”. Per tale ragione il governo egiziano insieme alle organizzazioni della società civile dovrebbe sviluppare delle linee guida per fornire un’adeguata formazione agli operatori sanitari, ai giudici, agli assistenti sociali ed agli insegnanti che solo in questo modo potrebbero affrontare il problema, e soprattutto prevenirlo ed evitarlo. Per la Egypt Demographic and Health Survey (EDHS) “la più recente ricerca governativa sulle mutilazioni genitali femminili,indica che su 20mila donne intervistate con un’età compresa tra i quindici ed i quarantanove anni, più della metà è stata sottoposta a questa pratica dal lontano retaggio tribale che nulla ha a che fare con la religione, diffondendo un altro dato allarmante, quello che mostra come l’approvazione di questa pratica sia più alta tra gli uomini che tra le donne”.b
egitto
La nuova norma inasprisce le pene per chi pratica le MGF ma non inciderà nella realtà. Esperte egiziane spiegano perché
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KURDISTAN SIRIANO
RI/COSTRUIAMO KOBANE LA CASA DELLE DONNE Un progetto per costruire un luogo di incontro in una città simbolo della resistenza soprattutto delle donne. Carla Centioni parla dello spirito che ha fatto nascere l’idea e dell’incontro con la Tavola Valdese, prima sostenitrice
“N
on appena è stata liberata, ci siamo recate a Kobane (città a nord della Siria, attuale Kurdistan siriano, ndr) come “Staffetta delle donne” all’interno della campagna di Solidarietà Rojava Calling, un organismo di attivisti che ha sostenuto la popolazione
pratiche da loro messe in atto, e i loro effetti, le evoluzioni a cui erano andate incontro, le contrarietà che avevano trovato. Portavamo nel nostro cuore il desiderio di sapere insieme una gran voglia di dire che non erano sole, che oltre il Rojava c’era un mondo fatto di donne, e non solo, pronte a sostenerle. La nostra forza era sapere che stavamo parlavamo non solo per noi, ma per molte di noi. Nei nostri zaini un’idea, un’utopia, una tensione che volevamo prendesse forma con loro. Volevamo restituire concretamente una Casa alle donne di Kobane, edificio simbolo per la sua singolarità nel percorso di emancipazione. Crediamo infatti che Kobane sia divenuta nel XXI secolo un simbolo nel suo specifico irripetibile e unico, di una resistenza possibile in un contesto geografico ostile alle donne e non solo.
Ri/costruire la Casa delle Donne perché, come sempre, anche nelle altre parti del mondo, una Casa delle Donne è un Luogo singolare, perché mette insieme la forza delle donne che lovivono, ma soprattutto perché è lo spazio deputato alla valorizzazione della politica delle donne. curda attraverso aiuti umanitari, sanitari ecc. La staffetta aveva lo specifico interesse di incontrare le donne che gestivano la Casa delle Donne prima della sua distruzione. Siamo delle attiviste che si occupano di diritti delle donne e nello specifico di violenza di genere, così l’idea che ci portavamo dietro dall’Italia era quella di avere uno scambio, una testimonianza diretta fuori dagli stereotipi della carta stampata, oltre l’immagine del femminile che imbraccia il fucile, una immagine che ci sembra ci sia stata gettata addosso. Avevamo voglia di sentire direttamente le voci di quelle donne, di conoscere come gestivano la casa delle donne che era stata tra i primi edifici ad essere abbattuto dall’Isis. Volevamo comprendere il loro agire, le
Non desideravamo che il progetto fosse calato dall’alto, così con le Yekitia Star, l’organizzazione femminile che gestiva la Casa delle Donne prima della guerra, ci siamo confrontate: chiacchiere intense, appassionate che solo noi donne quando stiamo insieme riusciamo a fare. In quei momenti abbiamo capito che quell’ esperienza non poteva essere solo nostra, di Carla Patrizia e Angela. L’idea originaria della Casa si plasma e trasforma lì, a Kobane, con le gambe incrociate in circolo sui tappeti recuperati dalle macerie della guerra, una stufa a gasolio per riscaldarci. Attimi intensi, momenti che avremmo voluto fermare, recuperare. Dal confronto è nata la voglia di ripro-
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durre, ampliare, moltiplicare la nostra esperienza, pensare che tutte le donne, le attiviste - ma anche gli uomini - sia singolarmente o attraverso delegazioni potessero vivere l’esperienza dello scambio dialettico sulle pratiche.
Un anno e mezzo di lavoro, di progettazione, di architetti e ingegneri che con i collegamenti via satellite sono riusciti a determinare quali materiali si possono recuperare in loco. Abbiamo coinvolto amiche, amici, compagne, compagni perché ci dessero il loro contributo volontario e, poiché facciamo sul serio, dovevamo e dobbiamo chiedere soldi, così seriamente ci comportiamo nel sollecitare l’aiuto di ciascuno. Se si tratta di utopia, un po’ si sta già realizzando: sono iniziati i lavori, gli scavi del terreno, abbiamo inviato a Kobane i primi trentamila euro, e questo ci fa girare la testa per l’entusiasmo. (…) L’Otto per Mille della Chiesa Valdese è stato il primo, lungimirante e perspicace interlocutore a finanziare il progetto (…).
arrivare alla produzione artistica ed artigianale femminile.
Desiderata così insieme,
con tanto di foresteria all’ultimo piano per accogliere delegazioni di donne, ma anche di uomini. La Casa stava diventando altro, come un bisogno catartico di ‘eleggere uno spazio’, designare Kobane come città simbolo di liberazione edi democrazia per le donne ma non solo.
Il nostro impegno, la nostra parola, le abbiamo lasciate alle donne di Kobane: trovare i soldi per la realizzare di quel sogno fatto insieme, per costruirne il contenitore materiale cioè l’edificio.
Sostenete tutte e tutti questo progetto, non vogliamo che questo progetto sia nostro, le nostre azioni sono tutte indirizzate a coinvolgere tutte e ciascuna, tutti e ciascuno. Il finanziamento attuale non è sufficiente e tutti i partner del progetto (Ponte Donna, Lucha y Siesta, l’Ufficio Informazioni Kurdistan in Italia (UIKI) e il KoerdischInstituut di Bruxelles ) si stanno impegnando per raccogliere e inviare i fondi necessari. Dal 21 di settembre, la Campagna di Autunno si pone come un contenitore di iniziative per la raccolta fondi. (…) Tutte le informazioni sono sul sito pontedonna.org alla voce “Kobane” e sulla pagina face book PontedonnaKobane. Due modi per donare, tenersi in contatto, essere informati, partecipare. Stiamo insieme, grazie a tutte/i”. b Carla Centioni
KURDISTAN SIRIANO
L’idea della Casa delle Donne si trasforma e diventa molto di più di quello che era nelle nostre teste, si cominciano a tirare fuori i desideri, ci diciamo collettivamente cosa fare negli spazi e ci ritroviamosulla stessa sintonia d’onda: farne un luogo abitato dalle cittadine, un Centro nazionale e internazionale di accoglienza, d’incontro, di promozione di diritti, di cultura, di politiche e esperienze prodotte dalle donne. Un laboratorio vivo dove poter coniugare la politica di genere, parlare di autodeterminazione, della libertà come scelta, della salute riproduttiva, di contrasto al sessismo e il razzismo istituzionale, con l’attenzionevolta alle pluralità religiose, all’accoglienza e al sostegno alle donne che subiscono violenza, alla legalità, alla giustizia ambientale, all’organizzazione urbana, fino ad
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LIBRI a cura di Tiziana Bartolini
DEDICATO A TUTTE LE RAGAZZE C’è Chiara che scrive “ho ventitré anni e scrivo dalla provincia di Roma. Ho letto il libro con la matita nella mano destra, come faccio sempre quando leggo. Le cose che sottolineo mi devono rimanere in qualche modo attaccate addosso. A volte mi sono riconosciuta nelle storie e ho pianto, altre volte no e ho riso. Ho anche pensato ‘Certo che siamo strane’ ma belle, vere”. Poi incontri Eleonora, lapidaria: “non si ammala solo un bambino, si ammala una famiglia intera”. E ancora Martina: “ho 26 anni, a quanto pare tutti un po’ persi in un cammino in cui non mi riconosco più. Ieri ho pianto, tanto. Ho letto il libro in due ore e ho pianto ad ogni storia, perché ogni storia la sentivo la mia’. Storie? testimonianze? sfoghi? voci?... È difficile definire i messaggi affidati alla rete e che abbiamo copiato, scegliendoli a caso, dal blog (http://cosa-pensano-le-ragazze.blogautore.repubblica.it/) realizzato nell’ambito di un progetto che ha anche generato il libro ‘Cosa pensano le ragazze’ scritto da Concita De Gregorio. ‘Ho parlato per due anni con mille donne, da sei a novantasei anni. Soprattutto adolescenti, giovani donne. Ho posto a tutte le stesse domande: cosa sia importante nella vita, come ottenerlo, come fare quando quel che si aspetta non arriva .Da questo coro di parole sono nate le mie storie: prendono occasione dalla realtà ma si aprono alla libertà di immaginare, da un frammento di verità, vite e mondi’. È stato un ‘lavoro condiviso, aperto e per questo invincibile’, che nella nota finale al testo l’autrice definisce ‘l’inizio di un’esperienza’. Quattrocento clip, scelte tra le mille realizzate, sono on line e alcune di quelle storie, degli estratti, sono state affidate alle pagine del libro. Pagina dopo pagina si
incontrano frammenti di vite, istantanee, ricordi, speranze, gridi di dolore, gioie: un assaggio dei tanti mondi femminili, tutti diversi e impossibili da rinchiudere in categorie. Ogni paragrafo apre finestre su paesaggi infiniti e trattiene nella parola scritta la multiforme essenza femminile. Non c’è una storia e neppure tante storie, non c’è una rappresentazione che tende a dimostrare. Non c’è un’inchiesta o un focus su un problema particolare. È una inedita “mappa per decifrare le ragazze del nostro tempo, un amuleto per non perdersi, un antidoto alla paura” destinato a ‘chi dice: io non capisco le donne, non le ho mai capite’. È un contributo a darci forza e fiducia, prima di tutto tra noi stesse, cercando di non perdersi e disperdersi. Il momento è difficile e guardarsi allo specchio, riconoscendosi nell’altra, aiuta. Concita De Gregorio Cosa pensano le ragazze Ed Einaudi, pagg 133, euro 16,00
UNA PROTAGONISTA DEL SUO TEMPO A lungo ricordata solo come l’amante ebrea di Mussolini, in realtà Margherita Sarfatti (1880-1961), giornalista, scrittrice e critica d’arte, è stata una protagonista del suo tempo. Ricca, colta e spregiudicata, ha lottato per emergere in un’epoca che non dava spazio alle donne e ha aiutato Mussolini nella sua scalata al potere. L’occasione per riscoprire questa figura singolare è offerta da Rachele Ferrario, storica e critica d’arte, già autrice di un’avvincente biografia di Palma Bucarelli. In 400 pagine, che si leggono d’un fiato, Rachele Ferrario ripercorre la vita della Sarfatti, senza sbavature agiografiche e con molti documenti inediti dall’Archivio del ‘900 del Mart di Rovereto. Moglie dell’avvocato Cesare Sarfatti, col quale dalla natìa Venezia si trasferisce a Milano, Margherita conosce Mussolini prima della Grande Guerra, quando entrambi sono socialisti. “Sentii dirà lei - che emanava un’energia animalesca”. Dopo la guerra (nella quale perde il primogenito) si impone sulla scena artistica a scapito di Marinetti, il capo del futurismo, indirizzando Mussolini verso il gruppo di Novecento, da lei fondato con Sironi. Raggiunge fama internazionale con Dux (1925), la biografia di Mussolini divenuta un bestseller. Ma poco dopo, consi-
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derata una temibile rivale dai gerarchi fascisti e una presenza ingombrante da Mussolini, è messa da parte. Nel 1938, in seguito alle leggi razziali, fugge dall’Italia, dove rientra nel 1947 per condurre un’esistenza appartata, dirà: “Non faccio nulla con grande successo. Il che è un risultato da non sottovalutare”. Flavia Matitti Rachele Ferrario Margherita Sarfatti. La regina dell’arte nell’Italia fascista Ed Mondadori, pagg. 403, euro 25,00
SULLE VIE DELLA PARITÀ/ Il bando della quarta edizione (2016/2017) Il concorso, indetto da Toponomastica femminile e sostenuto da FNISM, è rivolto alle scuole di ogni ordine e grado, agli atenei e agli enti di formazione, ed è finalizzato a riscoprire e valorizzare il contributo offerto dalle donne alla costruzione della società. Attraverso attività di ricerca-azione si chiede di: •
riscoprire figure femminili che, pur avendo contribuito allo sviluppo socio-culturale del territorio e del Paese intero, sono state poi dimenticate e proporle per nuove intitolazioni; il lavoro individuerà uno spazio (strada, giardino, rotonda, pista ciclabile, sentiero, edificio, aula, biblioteca...) che non abbia ancora una propria intestazione, da dedicare a una o più figure femminili considerate meritevoli. La proposta sarà accompagnata da repertorio fotografico che consenta di riconoscere il luogo prescelto;
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individuare e descrivere percorsi culturali e itinerari di genere femminile - sulla base di intitolazioni già esistenti - in grado di riportare alla luce le tracce delle donne nella storia e nella cultura del territorio, e proporle come modelli di valore e di differenza sui quali riflettere e ai quali attingere nell’opera complessa della costruzione dell’identità maschile e femminile.
IL PUNTO SU SESSISMO, GENDER E PAS “Le giovani donne provano sulla propria pelle cosa vuol dire crescere in un mondo che non sa riconoscere la piena uguaglianza tra donne e uomini, con il reciproco riconoscimento delle differenze” scrive la Vicepresidente del Senato Valeria Fedeli nella prefazione di “Sguardi differenti”, un agile libro edito della casa editrice Mammeonline e realizzato a cura del Comitato di redazione di Donne in Rete, alle cui attività contro le discriminazioni sono destinate parte delle vendite. Ed è proprio per dare un contributo a riconoscere, combattendole, le varie modalità con cui si manifestano le discriminazioni vecchie e nuove che questo libro si propone. In dodici capitoli, oltre all’introduzione e alle conclusioni firmate da Donatella Caione, brevi saggi fanno “il punto su sessismo, gender e alienazione genitoriale”, temi apparentemente slegati “ma che hanno tutti un’origine comune”. E si concentrano sul linguaggio che racconta la violenza, spiegando le parole ‘tossiche’ e sessiste’ e la mistificazione del gender. Si ricorre inoltre all’esperienza di alcune donne e alla forma dell’intervista per porgere riflessioni sull’importanza e il senso dell’educazione alle differenze. Un testo utile ad informasi anche sulla Pas(sindrome da alienazione genitoriale), una “mistificazione che sta prendendo sempre più piede”. Il volume è corredato dei qr code per una lettura multimediale. AA. VV. Sguardi differenti Ed Mammeonline, pagg 143, euro 10,00
Ragionando sulle intitolazioni presenti e assenti, le/ gli studenti impegnate/i nella ricerca-studio saranno stimolate/i a sviluppare il lavoro in modo autonomo, critico e responsabile. Il carattere trasversale della toponomastica e dell’analisi del territorio offre numerose opportunità didattiche di integrazioni interdisciplinari e nel contempo permette a bambine e bambini, a ragazze e ragazzi di sviluppare forme di cittadinanza attiva e di partecipazione alle scelte di chi amministra la città, nel rispetto dei valori dell’inclusione e dell’integrazione. Per informazioni: toponomasticafemminileconcorsi@gmail.com
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LA VECCHIAIA: UN FILM E UN LIBRO Un film e un libro che si completano, come succede nei rapporti famigliari, in particolare quelli tra madre e figlia, che certe volte hanno bisogno di stampelle, per reggere prima l’urto delle incomprensioni e dell’ingratitudine, poi della paura del distacco e della perdita di Camilla Ghedini
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film è Tra cinque minuti in scena (2013), di Laura Chiossone, protagonista Gianna Coletti, che ne è involontaria ispiratrice. Il libro è il più recente Mamma a carico (2015, Einaudi), della Coletti stessa, che da interprete diventa autrice. Dal palcoscenico all’inchiostro, la storia - di straordinaria attualità - è quella di Gianna e della di lei mamma, Anna. E di quel periodo ultimo dell’esistenza che deve dare un senso a chi va e a chi resta. Un tempo ‘inevitabile’ col quale tutti noi siamo chiamati a fare i conti, perché nella vita due uniche certezze ci sono, la nascita e la morte. Nel mezzo sta la malattia, l’invecchiamento, la vulnerabilità di un corpo che spesso ci abbandona prima della mente. E ci imprigiona, togliendo a noi la libertà di agire e imponendo a chi abbiamo attorno le catene dell’impotenza. Film e libro possono essere sondati autonomamente, senza rispettare l’ordine cronologico, perché sono opere a se stanti. La narrazione si snoda in entrambi i casi attraverso le vicende autobiografiche di Gianna, attrice di teatro e tanto altro costretta a venire a patti con la senilità di una madre novantenne non più autosufficiente, cieca, che si ostina a portare gli
occhiali 3D, ma ancora golosa e in qualche modo vanitosa. C’è una dedizione costruita giorno per giorno, attraverso la risoluzione di continue emergenze - dall’assenza di badante alle questioni economiche - verso una ‘signora’ che torna bambina, la cui memoria è legata a filastrocche e canzoni. E c’è Gianna, che madre naturale non lo è ma lo diventa della sua, in una perfetta inversione di ruoli accomunati dal concetto di cura e riconoscenza. E se nel testo prevalgono una certa ironia e levità, il film è certamente più amaro, perché grazie alle immagini non permette vie di fuga, auto inganni. Della vecchiaia dà una rappresentazione tutt’altro che edulcorata, fatta di pannoloni, creme, pappe liquide. Si sentono le parole biascicate della mamma di Gianna, si vede la sua carne molle, le sue ciabatte ortopediche. Eppure, siamo di fronte alla bellezza, laddove a bellezza diamo il senso di verità. Sono due opere che ci prendono per il bavero, ci ricordano che non siamo onnipotenti, che non possiamo rimandare l’anzianità, chiudere gli occhi, tapparci le orecchie, fingere. Evocano una tenerezza che non contrasta con la forza di sopravvivere durante, dopo e senza chi amiamo. Evocano quel perdono cui tutti noi dobbiamo arrivare, conquistandolo tra ferite e rancori e stanchezza. Il rapporto tra madre e figlia è il più difficile da codificare. Lì si genera la nostra sicurezza e insicurezza. Il nostro amor proprio. La nostra auto stima. Lì prendono forma sogni e fallimenti. Lì si costruisce la nostra personalità di ‘adulti’. Film e libro sono coraggiosi, perché mettere a nudo la propria intimità, nel caso di Coletti, e raccontare quella altrui, nel caso di Chiossone, richiede una buona dose di fiducia. Anche e soprattutto nell’altrui comprensione. I premi ricevuti dalla pellicola, sull’onda del cui successo è arrivato il libro, confermano che Chiossone e Coletti hanno intercettato un bisogno, quello di andare oltre il pudore ‘sociale’ che ci vorrebbe sempre belli, felici e in buona salute. Quello che legittima l’egoismo e l’eccessiva concentrazione sul ‘sè’. A rimanere, allo spettatore e/o lettore, è una forma di malinconia buona, utile, che aiuta a fare introspezione. E ci dice che in fondo abbiamo risorse inaspettate, come quella di sapere diventare genitori dei nostri genitori senza ritrosie e rimpianti. E questa è una grande opportunità, che la ‘politica’, alla voce welfare, dovrebbe indagare. Giusto per non parlare della vecchiaia sempre e solo come un costo e mettendola per una volta alla voce ricchezza. E umanità. b
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NON UNA DI MENO TUTTE INSIEME CONTRO LA VIOLENZA MASCHILE SULLE DONNE ! Verso l’assemblea nazionale dell’8 ottobrea Roma – ore 10.30-17.00 Università La Sapienza – e la manifestazione nazionale del 26 novembre! www.nonunadimeno.wordpress.com FB Io Decido Tw @nonunadimeno
La violenza maschile sulle donne, formalmente condannata, è continuamente perpetuata. La cultura patriarcale continua ad affermarsi con forza, ribadendo un livello di disparità fra donne e uomini che è la radice profonda del femminicidio. È il momento di essere unite e ambiziose, di mettere insieme le nostre intelligenze e competenze. Ogni giorno facciamo i conti con violenze e abusi in casa, in strada, nei posti di lavoro. La violenza è sempre una questione di rapporti di forza, sta a noi ribaltarli a partire dalla nostra unione e condivisione. Per questo l’8 ottobre avrà luogo a Roma la prima assemblea nazionale di un percorso che vogliamo sia ampio e partecipato, capace di produrre proposte e risultati concreti. La manifestazione nazionale del 26 novembre, in tal senso, dovrà essere solo il punto di inizio di un processo più grande che deve vederci tutte insieme a riaffermare l'autodeterminazione delle donne su lavoro, salute, affettività, diritti, spazi sociali e politici. Alla violenza domestica, agli stupri e alle uccisioni non corrisponde un'effettiva presa di coscienza della politica e della società nel suo complesso: i media non fanno che promuovere una rappresentazione stereotipata, spettacolare, morbosa e vittimistica (quando non colpevolizzante) delle donne; la for-
mazione nelle scuole e nelle università sulle tematiche di genere è fortemente ostacolata; nei commissariati e nelle aule dei tribunali rischiamo ancora di non essere credute; la burocrazia e i tempi d'attesa ci fanno pentire di avere denunciato; i centri anti-violenza vengono chiusi o scarsamente finanziati, nonostante i soldi stanziati a livello nazionale e regionale; i percorsi di fuoriuscita dalla violenza non sono sostenuti adeguatamente da forme di accesso al welfare per le donne. E mentre accade tutto questo, Governo e istituzioni non sembrano voler dare risposte credibili; la violenza maschile viene affrontata in modo casuale ed episodico, spesso secondo i criteri dell'emergenza, laddove si tratta di un fenomeno strutturale che, come tale, richiederebbe politiche adeguate, coordinate e costanti verifiche della loro efficacia.
Per costruire insieme percorsi di lotta e di libertà #NonUnadiMeno
IoDecido - Rete Romana / D.i.Re – Donne In Rete contro la violenza / UDI – Unione Donne in Italia
Per info e adesioni: nonunadimeno@gmail.com
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IO SONO MIA, OLTRE LO SLOGAN È PARTITA CON UNA RASSEGNA CINEMATOGRAFICA, MA L’INIZIATIVA PUNTA A DIVENTARE UN CICLO DI EVENTI SULLE BATTAGLIE DELLE DONNE. ACCADE ALLA CASA INTERNAZIONALE DELLE DONNE DI ROMA
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estituire forza, energia, coraggio, consapevolezza, a tante e a tutte, continuando ad essere promotrici di una rivoluzione culturale contro il maschilismo, il patriarcato, il sessismo, le discriminazioni, le diseguaglianze, il pregiudizio, la morale. Questo e molto altro ancora intende affermare IO SONO MIA, progetto della Casa Internazionale delle Donne che ha preso il via a settembre nella bella struttura conquistata dalle donne oltre 25 anni fa e che
continua per tutto il mese di ottobre. “Quello che abbiamo iniziato è un percorso inclusivo, aperto ai contributi che via via arriveranno e che invitiamo a mandare. La rassegna cinematografica è solo l’avvio - spiegano alcune attiviste del gruppo che ha ideato il progetto - di un programma che nel corso dell’anno prevede convegni, mostre e molte altre iniziative anche innovative. Pensiamo, per esempio, ad un corso di autodifesa verbale”. L’entusiasmo è palpabile nella stanza al terzo piano, base operativa in cui fervono i preparativi per il primo appuntamento: la proiezione del film ‘Suffragette’ del 12 settembre nel seicentesco cortile della Casa. La pellicola ha ispirato, probabilmente, anche le coccarde di carta colorata che le volontarie della associazioni ideatrici del progetto - Forma Liquida, La Stanza di Eva, El Mirabras - portano con fierezza appuntate sulle maglie quali simboli, anche espressi con ironia, di battaglie che le donne non devono mai considerare concluse. L’allegria è il timbro che scandisce fin dalle prime battute questo ciclo di eventi. “Vogliamo trasmettere alle giovani la bellezza, oltre che l’importanza delle lotte delle donne e vogliamo riflettere, tutte insieme, su quello che non va. A partire dalla violenza sessista che non è un’emergenza, ma un problema culturale”. Il progetto punta anche a contribuire in modo concreto alla mobilitazione prevista per il 26 novembre, in occasione della Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne del 25 novembre perché, spiegano: “il corpo delle donne strumentalizzato e abusato, continua ad essere terreno di conquista economica, politica, sociale e mediatica” e sottolineano le contraddizioni ancora irrisolte. “Mentre politica e istituzioni sbandierano ambiguamente slogan a difesa delle donne, si rende di fatto inapplicabile la legge sull’aborto, si chiudono i consultori e si tagliano i fondi ai centri antiviolenza, si precarizzano le vite delle donne”. Dopo Suffragette, il programma di settembre ha previsto: Alla ricerca di Vivian Maier, Via Castellana Bandiera, Persepolis, Carol e Vergine giurata. Mentre la programmazione, tutti i lunedì di ottobre, segnala: Mustang, Per amor vostro, Roma ore 11, Astrosamantha, We want sex. Pellicole che toccano vari temi della condizione femminile e delle discriminazioni in vari ambiti: politica, lavoro, sport, musica, fotografia, arte, comicità, teatro, architettura, scienza, letteratura, pubblicità. Madrina ideale della rassegna cinematografica Il coraggio delle scelte delle donne è Vivian Maier, fotografa dalla vita straordinaria e sconosciuta, la cui immagine campeggia nel manifesto. b T.B. Informazioni e programmi: iosonomia.cidd@gmail.com tel. 06 68401720 www.casainternazionaledelledonne.org/
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L’ARTE E LA RAGION D’ESSERE La pittura di Kina Bogdanova e la scultura di Lietta Morsiani in una mostra a Forlì in occasione della Giornata mondiale contro la violenza sulle donne
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dedicata alle donne la mostra Raison d’être curata da Angelamaria Golfarelli e organizzata dall’Ass. ne culturale Il Glicine con il Patrocinio del Comune di Forlì - Assessorato alle Pari Opportunità e in collaborazione con UDI Forlì – Archivio UDI Forlì-Cesena, Forum delle donne e Tavolo Permanente delle Associazioni contro la Violenza sulle Donne. Dal 12 al 28 novembre 2016 presso la prestigiosa sede dell’Oratorio San Sebastiano di Forlì nel circuito dei Musei del San Domenico, saranno esposte opere delle artiste Kina Bogdanova (pittrice) e Lietta Morsiani (scultrice) . “In tutte le cose e in tutti gli avvenimenti della vita c’è una ragione d’essere, ma la difficoltà sta nel saperla o nel volerla cogliere ed identificare - spiega la curatrice -. E,
se può sembrare inopportuno e anche un po’ banale cercare una ragione a tutto quanto ci accade, la raison d’être resta comunque una meravigliosa giustificazione/risposta che diviene urgenza quanto più ci riesce difficile trovarla. Proporla quindi per il titolo di una mostra ci sembrava un filo conduttore intrigante e stimolante che attraverso un vasto ventaglio di ipotesi ne contemplasse almeno una che fosse uguale per tutte e per tutti: la negazione della violenza in generale e di quella sulle donne in particolare. Con questa convinzione abbiamo messo la bellezza e la delicatezza in contrapposizione con la violenza tentando di far rivivere, attraverso le opere di Kina Bogdanova e Lietta Morsiani, i pensieri antagonisti che abitano l’identità femminile. Così i quadri di Kina, dall’evanescente leggerezza tipica del sogno, rispondono alle sculture di Lietta, metamorfosi femminili di una donna tramutata in animale e viceversa, con l’incanto onirico di una leggenda, mentre le opere di Lietta materializzano nella loro cruda fisicità il pragmatismo femminile, sempre a metà fra il bisogno di volare e quello di stare fermamente con i piedi per terra. In questo modo la giornata mondiale contro la violenza sulle donne viene inglobata nell’arte per assumerne un’identità meno cruenta e per essere trattata con quella sensibilità che spesso la spettacolarizzazione dell’informazione le toglie. E questo senza perdere la lucida percezione necessaria per provare a comprendere e a risolvere un problema che ha assunto dimensioni sproporzionate, ma risparmiandoci quella inutile rappresentazione mediatica che spesso ferisce piuttosto che informare correttamente. Si collocano in questa riflessione le opere di Kina, dense di quel delicato respiro sognante e pacato, indagando il quotidiano con lo sguardo di chi ha bisogno di allontanarsi dalla meta per saperla meglio riconoscere e contestualizzare nel proprio mondo incantato che nessun risveglio è in grado di vanificare. E le sculture in terracotta di Lietta, che invece assorbono letteralmente dalla Terra il senso più completo di una maternità che anche in assenza di figli reali idealizza nei suoi richiami il frutto e il seme progenie della vita stessa. In esse la metamorfosi che si compie non è la perdita di un corpo per assumerne un altro, ma la fusione assoluta dello yang e dello yin in un unico più completo e complesso universo capace di rendere armoniosa l’unione di tante diversità”. b Informazioni: cell. 3489508631
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A tutto schermo
Venezia 2016:
focus sui giovanissimi, tra dramma e leggerezza di Elisabetta Colla
Premiato nella sezione Orizzonti il documentario ‘Liberami’ di Federica Di Giacomo
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nche se i lungometraggi italiani non hanno ottenuto i più importanti riconoscimenti ufficiali al 73° Festival di Venezia, pure si tratta di opere che, in molti casi, toccano argomenti interessanti e di ‘genere’, come il film di Giuseppe Piccioni, Questi giorni, che ha per protagoniste quattro amiche ventenni, inseparabili nella vita quotidiana così come nella decisione di partire per un improbabile viaggio verso Belgrado, a metà fra l’avventura spensierata ed il racconto di formazione: giovani e capaci di piangere e ridere al tempo stesso dei propri problemi, le ragazze non possono non conquistare il pubblico con la loro freschezza e spontaneità, facendo ricordare a tutte noi ‘come eravamo’ a vent’anni, capaci di passare in un istante dall’entusiasmo alle lacrime. Le brave protagoniste sono Maria Roveran, Marta Gastini, Laura Adriani, Caterina Le Caselle, nel cast anche Margherita Buy. Altro film presentato al Lido sul tema dei giovanissimi e della loro ‘leggerezza’, bella e talvolta pericolosa, è Piuma, del regista Roan Johnson (italiano di padre londinese), che racconta la storia di due diciottenni come tanti, Ferro (Luigi Fedele) piuttosto ribelle e Cate (Blu Yoshimi) più assennata, alle prese con una gravidanza inattesa e con le reazioni diverse delle loro famiglie, mentre incombono gli esami di maturità e nuove responsabilità che terrorizzano ed emozionano. Da non dimenticare due film presentati a Venezia in sezioni diverse dal concorso, Le ultime cose (31° Settimana Internazio-
nale della Critica), intensa opera prima, scritta e diretta da Irene Dionisio, brava regista trentenne torinese, che racconta le storie di tre personaggi molto diversi - una giovane trans, un ragazzo neo assunto ed un pensionato pieno di debiti - le cui vite, come quelle di molti altri, ruotano intorno al banco dei pegni dove una moltitudine umana impegna i propri averi, in attesa del riscatto o dell’asta finale. Ispirato ad una storia vera, colpisce anche il film La ragazza del mondo (Giornate degli Autori), bell’esordio al lungometraggio del regista Marco Danieli (i due protagonisti si sono aggiudicati il Premio Pasinetti), che descrive il mondo dei Testimoni di Geova, attraverso la giovane protagonista Giulia (Sara Serraiocco) che è costretta a sacrificare il suo
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LA VITA POSSIBILE E IL CORAGGIO DELLE DONNE
L’ultimo film di Ivano De Matteo, contro la violenza di genere
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e sempreverdi signore del cinema italiano, Margherita Buy e Valeria Golino, sono le interpreti d’eccezione del film La vita possibile, diretto dal regista Ivano De Matteo (Gli equilibristi e I nostri ragazzi, entrambi film sulle disfunzioni familiari) e scritto a quattro mani con la compagna, attrice e sceneggiatrice, Valentina Ferlan, ispirandosi alla vera storia di una conoscente: il tema è quello della violenza alle donne e della possibilità di ribellarsi e ricominciare una vita diversa. Anna (Margherita Buy), dopo aver subito l’ennesima aggressione da parte del marito violento sotto gli occhi del figlio tredicenne Valerio (Andrea Pittorino) decide di fuggire da Roma a Torino, dove chiede ospitalità in casa di Carla (Valeria Golino), attrice di teatro e amica di vecchia data. I due fuggitivi cercano di adattarsi alla nuova vita tra difficoltà e incomprensioni, ma l’aiuto di Carla e quello inaspettato di Mathieu (Bruno Todeschini), un ristoratore francese che vive nel quartiere, daranno loro gli strumenti per ricominciare. “La vita possibile è un film sulla speranza, sulla forza delle donne, sulla capacità di nascere e rinascere ancora afferma il regista -. Anna e suo figlio Valerio scappano da un uomo che ha demolito l’amore con le sue mani, che ha reso suo figlio un ragazzo chiuso, fragile e pieno di risentimento. Anna sarebbe potuta finire tra le colonne di un giornale, una notizia tra le notizie, il corpo spezzato di una donna che va ad aggiungersi alle centinaia di corpi di donne che ogni anno cadono nelle nostre case, nelle nostre strade”. La pellicola, oltre a denunciare le violenze contro le donne, evidenzia l’importanza, per le vittime, di sentire la prossimità e l’amicizia di qualcuno, in questo caso di un’amica, di un luogo che le accolga, un lavoro anche duro come sostegno e volano di speranza e cambiamento. La “vita possibile” esiste, la via d’uscita c’è. Ribellarsi è non solo necessario ma anche doveroso. E. C.
brillante talento matematico per lavorare nell’azienda di famiglia ed avere il tempo di fare proselitismo porta a porta e predicare, fra l’altro, come sia “giusto che la donna sia sottomessa all’uomo”: l’incontro con Libero (Michele Riondino), ex detenuto, e con l’amore, le renderanno la libertà ma al prezzo di un’umiliante ‘processo’ con espulsione dalla Congregazione e dalla famiglia. Il primo premio della sezione Orizzonti se lo è aggiudicato con orgoglio la regista spezzina Federica Di Giacomo, con un documentario, Liberami (prodotto da Mir Cinematografica con Rai Cinema) la cui originalità e stile narrativo hanno colpito la Giuria presieduta da Robert Guediguian: il tema è l’esorcismo in Sicilia, le possessioni dilaganti e la risposta della Chiesa che organizza corsi di formazione per aspiranti esorcisti, a cura di esperti come Padre Cataldo, il cui ‘lavoro’ instancabile è ripreso dal vivo dalla Di Giacomo fra messe di liberazione, pratiche antiche, religione e modernità. La Coppa Volpi per la miglior interpretazione femminile è andata quest’anno all’attrice statunitense Emma Stone, per il ruolo di protagonista nel film musicale La La Land di Damien Chazelle, distribuito in Italia da Rai Cinema con Leone Film Group. Grazie alla preziosa Rassegna “I film di Venezia e Locarno a Roma”, con il contributo dell’Assessorato alla Crescita Culturale di Roma Capitale, della D.G.Cinema del MIBACT e della Fondazione Cinema per Roma, è stato possibile vedere nelle sale romane, prima della loro distribuzione, una selezione di film dei due Festival. b
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DALLA MISTICA ALL’ECOFEMMINISMO L’esperienza umana e religiosa di ANTONIETTA POTENTE, che dalla Bolivia interpreta il trascendente attraverso l’amore, la cura e la responsabilità per l’ambiente
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vevamo terminato l’ultimo SOS Filosofia con il titolo di un’opera di Antonietta Potente (Qualcuno continua a gridare. Per una mistica politica, La meridiana Molfetta 2008) proponendoci di prolungare il tema della mistica, parola ascoltata delle donne, nel contesto contemporaneo in cui essa assume altri significati. Antonietta Potente è una teologa domenicana, nata in Liguria, è stata docente di teologia morale presso l’Angelicum di Roma e a Firenze. Dal 1994 ha vissuto in Bolivia sperimentando una forma di vita comunitaria con famiglie indigene e insegnato nelle università di Cochabamba e La Paz. Sottolineo questa esperienza vissuta di Antonietta Potente, la sua scelta di condivisione sociale in un altro luogo, con l’altro da sé, gli altri da noi, da cui la sua stessa ricerca teologica e di docente riceve linfa, offrendo
all’Occidente una sapienza nuova. Il piccolo testo a cui facciamo riferimento, come molti altri i suoi scritti, è uno scrigno prezioso di intuizioni, verità, scoperte, ricerca di autentica prassi. Mistica politica può sembrare un ossimoro, ma Potente - che afferma con decisione di parlare come donna e come teologa - è lontana da una concezione di mistica come pratica di perfezione per iniziati, disegnando in positivo un ri-posizionarci all’interno della nostra storia contemporanea e della realtà che ci circonda per recuperare tutti quei dettagli - anche chiaroscuri - della vita che sono presenti nel nostro cammino quotidiano. Dobbiamo costruire la storia e le nostre storie con modalità diverse, osare scelte di giustizia, gesti innovativi e solidali fuori dai modelli ufficiali o dalle forme di pensare consolidate. Infatti, se la Chiesa si è sforzata di tenere la mistica lontana dalla quotidianità, ora la dobbiamo riscoprire quale una trama segreta per sentire il calore del vivere, risvegliando la passione per l’esistenza. Non solo, ma la mistica è presente nella postmodernità, in cui può trovare il suo terreno più adatto, perché il nostro è il tempo frammentato, ambiguo, complesso, in cui convivono estremi e paradossi, e nella mistica si riscoprono antiche dignità, si riscattano le radici profonde della nostra identità e ci apriamo alle vette del trascendente: “nelle radici e nelle vette - come affermava Meister Eckart - , dunque tutto quello che implica Dio, ha lì il suo centro”. Intesa in tal modo, la mistica politica rappresenta ed esprime un’esigenza etica: si rifiuta un concetto di spiritualità quale contrapposizione alla corporeità e in accordo con altre teologhe contemporanee, in specie latino-americane, Potente invita a comprenderla come azione di trasformazione della società; non, dunque, in senso ascetico, ma come energia, non come chiusura in se stessi, ma come vitalità che opera nel sociale.
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Mistica, quindi, come spazio etico di diritti e responsabilità, di necessità e iniziativa, espressione della dignità, sotto forma di cibo, acqua, indumenti, identità partecipazione, lavoro, casa ed è significativo che in un altro testo (Un bene fragile. Riflessioni sull’etica, 2011) Potente inviti i lettori ad entrare nella dimensione etica come in una casa e nel testo ci accoglie nella sua casa in Bolivia, descrivendola nei dettagli che la rendono simile alle abitazioni di ciascuno di noi, casa quindi come allegoria della dimensione etica che unisce la materialità di essa con il suo senso spirituale e politico. Potente - ancora in consonanza con la riflessione femminista del sud del mondo - manifesta una tensione per il sociale e una intenzione ecologica, che rivela una ulteriore dimensione dell’amore per gli altri: la studiosa disegna una ecoteologia dell’ambiente, non per seguire mode o “profumi attraenti di una new age post moderna”, ma anzi per reinterpretare alcuni concetti classici, apparentemente inusuali come cosmologia, che va intrecciata con la teologia, dal momento che questa ultima può e deve assumere anche il compito - arduo ed impervio - di offrire un contributo alle sfide concrete della contemporaneità, per esempio in relazione al problema del gas, e Potente disegna - temerariamente - una ‘teologia del gas’. Ne deriva - altro nucleo del suo argomentare molto originale - un ecofemminismo, ossia l’amore, la cura e la responsabilità per l’ambiente: bisogna lasciar riposare la terra e farla germogliare di nuovo, prestare attenzione alla gestazione, alla gravidanza collettiva della natura, dare tempo alla terra di ricreare. Un’esperienza singolare ed unica deriva dalla lettura della teologia di Potente, eppure universale da affrontare con profitto, tanti, infatti, sono i sentieri, infinita la ricchezza delle suggestioni, molti i temi urgenti affrontati che si intrecciano formando infine ‘un tessuto di tanti colori’, per riprendere il titolo di un’altra opera di Antonietta Potente.❂
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VOCI CHE ESCONO DALL’OBLIO “L’idea di realizzare I fiori del male. Donne in manicomio nel regime fascista, una mostra sulle donne ricoverate in manicomio durante il periodo fascista, è nata dalla volontà di restituire voce e umanità alle tante recluse che furono estromesse e marginalizzate dalla società dell’epoca perché non rispondenti ai canoni femminili del fascismo. Alle immagini sono affiancate le parole dei medici, che ne rappresentarono anomalie ed esuberanze, ma anche le parole lasciate dalle stesse protagoniste dell’esperienza di internamento nelle lettere che scrissero a casa e che, censurate, sono rimaste nelle cartelle cliniche”. Questo il senso della mostra foto-documentaria inaugurata il 14 settembre e visitabile fino al 18 novembre alla Casa della Memoria e della Storia di Roma con materiali provenienti in larga parte dall’archivio storico del manicomio Sant’Antonio Abate di Teramo. La mostra, promossa da Roma Capitale Assessorato alla Crescita culturale Dipartimento Attività Culturali e Turismo, è a cura di Annacarla Valeriano e Costantino Di Sante, è promossa dall’Irsifar e realizzata dalla Fondazione Università degli Studi di Teramo in collaborazione con il Dipartimento di Salute Mentale della Asl di Teramo e l’Archivio di Stato di Teramo e ha ottenuto il patrocinio della Presidenza del Consiglio dei Ministri, del Ministero per i Beni e le attività culturali, della Regione Abruzzo. Info: www.comune.roma.it/cultura - ingresso libero
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LEGGErE L’ALBERO
FAMIGLIA
UNA RAGAZZA AFFIDABILE
INTERNET, SOCIAL MEDIA E FAMIGLIA
DI BrUnA BALDASSArrE
Cara Bruna, sono una ragazza di 11 anni. Vado a scuola e ho iniziato la prima media. Non so come saranno i professori, quindi ho un po’ di paura. Sono figlia unica e sento molto la mancanza di un fratellino o una sorellina. Con i miei genitori vado d’accordo ma spesso litighiamo perché mi riduco a fare i compiti all’ultimo minuto. Per esempio a me piace la matematica ma non sempre le lezioni sono interessanti ed è per questo motivo che mi annoio a fare i compiti. Preferisco andare con mio padre, che è giardiniere. Mi piace molto la natura e vorrei sapere che dici del mio albero. Beatrice Cara Beatrice, lo sapevi di essere una ragazza affidabile? Il tuo cipresso è tipico di persone molto meditative sulle quali si può veramente fare affidamento. Ricorda qualcosa di sacro, proprio come il tuo amore per la natura, raffigurata da un tratto raffinato, con uno stile di persona gentile. Il tuo albero è tutta chioma e tende verso il futuro, verso i tuoi nuovi compiti, non senza un pizzico d’inquietudine come scrivi ma con un gran senso della bellezza. Le nubi del cielo sembrano tessere un ritmo quasi musicale. Senso pratico e finezza poetica sono le caratteristiche del tuo disegno. Nel tuo albero non si vedono traumi ma delle esperienze emotivamente importanti intorno ai 4 anni e mezzo e ai 10 anni. La chioma del tuo cipresso ci dice che hai molto desiderio di comunicare e troverai fratellini e sorelline ideali lungo tutto il tuo cammino di vita. I legami che contano non sono soltanto quelli del “sangue” ma principalmente tutti gli altri che noi scegliamo nella vita. Per quanto riguarda il mondo degli adulti è veramente molto difficile comprendere sempre le motivazioni relative alle loro azioni. Non sei la sola a svolgere i compiti all’ultimo minuto ma da quanto mi scrivi lo fa anche chi non sa farti innamorare degli argomenti di studio! Riguardo alla paura d’iniziare una nuova esperienza immagino sia comune a molti ragazzi e ragazze della tua età ma questa specie di mini sofferenza è un allenamento inevitabile alla vita, che fortunatamente è spesso affiancato alla gioia. Piacere e dispiacere sono un modo di essere dell’anima che ha sentimento. Parli del lavoro di tuo padre con molto amore, così come della natura, e questo per la tua età è un dono immenso, perché nella natura noi troviamo la bellezza spirituale oltre che reale. Alla tua età si compie una fase molto delicata della vita per il senso di sperimentazione di se stessi in contrapposizione con il mondo. È come se si strappasse un velo protettivo della fantasia che caratterizza l’infanzia per far emergere la contrapposizione interiorità-esteriorità. Si vede tutto con un altro sguardo. Tutto ciò viene espresso prevalentemente con le parole e con il sentimento per preparare la volontà a agire per conquistare il mondo. Solitamente è questa l’età in cui si decide cosa fare da ‘grandi’.
Sentiamo l’Avvocata
di Simona Napolitani mail: simonanapolitani@libero.it
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nternet, cellulari, comunicazioni a mezzo messaggi, meglio noti come sms, mails, invio di fotografie con i cellulari. Insomma, un mondo nuovo che è entrato nella nostra quotidianità che ci aiuta in una parte importante della nostra vita: la possibilità di parlare con l’altro. Molti partners si accorgono di essere traditi perché, per caso o per indagini mirate, leggono messaggi di amanti sui cellulari del coniuge; donne che scoprono figli che i propri mariti hanno avuto da altre donne, nel corso del matrimonio, tramite fotografie rinvenute sul telefonino o su internet, padri che scoprono aspetti più o meno privati dei figli attraverso notizie postate su Facebook. O ancora: frequentazione padri /figli residenti in luoghi diversi e lontani tra loro, disposte dal Giudice tramite Skipe. Siamo pronti rispetto a questa velocissima rivoluzione che ha colpito la nostra vita e che coinvolge tutte le famiglie? Credo che il lato più pericoloso di questo nuovo modo di vivere sia quello di averci fornito una comunicazione virtuale, privandoci di quella verbale che dovrebbe aiutare i coniugi a parlare. I mariti o le mogli insoddisfatti fuggono i problemi di coppia aggrappandosi al cellulare, illudendosi di gratificarsi con messaggi del tipo “mi manchi”, “ti amo” o cose del genere, inviati dall’amante di turno. Ci vorrebbe una diversa maturità, una diversa consapevolezza, sapere che la routine matrimoniale, a volte monotona, andrebbe arricchita con la propria interiorità, con la voglia di reinventarsi, di portare sempre nuova linfa nella dimensione di coppia. Oppure decidere di separarsi, perché ci si rende conto che il rapporto coniugale si è esaurito, ma affrontando la crisi con l’altro partner. Non è con la fuga, ancor meno se virtuale, che si risolvono i problemi. Un accenno anche ai siti hard o alle chat che molti mariti intrattengono con donne di cui si conosce una sola immagine telematica. Siamo davvero caduti in un mondo pericoloso, che se non gestito con un’educazione mirata e ben regolamentata cambierà l’assetto dei rapporti interpersonali.
Ottobre 2016
SPIGOLANDO tra terra, tavola e tradizioni di Paola Ortensi
SEMI Esplosione di fiori, abbondanza di frutti, scie di profumi e aromi, tavolozza di colori dalla terra alla cima degli alberi, scenari che hanno accompagnato con ineguagliabile generosità le calde, luminose giornate dalla primavera all’estate. Fenomeni in natura mai fine a se stessi, che con l’arrivo dell’autunno più che in ogni altra stagione offrono il dono più ricco e simbolico di vita: il seme, il chicco, il nocciolo. Seme, frutto di quella inesauribile e inarrestabile trasformazione che in natura non frappone tempo tra fine e inizio e nel ciclo infinito lo propone, quale tesoro della rinascita certezza del ciclo vitale. Energia allo stato puro. Semi e noccioli che in questo periodo possiamo raccogliere, lavorare per conservare partendo dal basilico, dalla salvia o dai peperoncini dei nostri davanzali, dalle prugne dell’albero del giardino o magari dai pomodori comprati al mercatino del km0. Scegliere la pianta più bella, il frutto più sano. Estrarli e pulirli, quei semi e noccioli da conservare in luogo asciutto e pulito per poi ripiantarli nella nuova
TESORO D’AUTUNNO, POTERE DI SEMPRE
stagione. Tenendo conto che ogni seme ha il suo mese per accovacciarsi in terra e rispuntare nuovo e forte o per rigenerarsi da solo, grazie al nutrimento che talvolta lo avvolge lo nutre e protegge fin che nuova vita si mostri. Semi che devono anche incuriosirci per capirne il valore in senso più ampio: senza semi, non ci sarebbe cibo, non ci sarebbe produzione, non ci sarebbe vita vegetale o animale. I semi, le sementi, sono oggi uno dei grandi simboli del potere nel mondo. Parlare di specie vegetali in sparizione, di difesa della biodiversità, di ibridazione, di modifiche genetiche, di proprietà dei semi, ma anche di recupero di semi antichi, significa capire di un potere che contrappone spesso interessi delle multinazionali e degli agricoltori a cui per le produzioni per il mercato non è concesso utilizzare le semenze da loro riprodotte come è possibile in orti famigliari o nei balconi delle nostre case. Duplicatori e detentori dei semi sono stati per secoli gli agricoltori, oggi sono le industrie che li amministrano e ne acquisiscono la proprietà, spesso “comprandoli” in esclusiva nelle terre più povere ma ancora ricche di biodiversità come l’Africa o l’America Latina, dove piante selvatiche, madri di semi liberi, forti selezionati, ibridati dal tempo,
costituiscono una miniera ineguagliabile. Ma i semi sono anche e ancora portati dal vento, dagli uccelli, dagli animali liberi, incontrollabili nella loro capacità di inseminare la terra. Seme, nocciolo, semina, seminare. Parole che per il loro ricco significato hanno conquistato spazio nel linguaggio, in termini metaforici, significando: origine, inizio, causa, ragione, sorgente, principio, motore e altro. Aver gettato semi di pace, seminare zizzania o discordia o arrivare al nocciolo della questione, sono modi di dire di ampio utilizzo. E ancora un proverbio. Chi semina vento raccoglie tempesta. Ma venendo alla tavola in senso lato, come da nostra abitudine e rimanendo in autunno fra i semi più comuni e di compagnia ricordiamo quelli di zucca detti anche bruscolini o addirittura semini, come ci fossero solo loro - o quelli di girasole, anche goloso pasto per tanti animali domestici, di soia o di granturco. E ancora quelli di melograno, morbidi rubini, di sesamo o di finocchio con cui si ornano e profumano pani speciali… solo per citare qualche esempio. Ma pensando alle abitudini dei nostri giorni, va anche detto che il desiderio di accedere a frutti senza semi, solo per evitare un fastidio o invogliare i bambini al consumo di frutta, sta costringendo la ricerca a produrre nuove varietà dei nostri frutti tradizionali: mandarini, arance, limoni, uva e molto d’altro. Ps: Per non rischiare commenti o considerazioni possibili, di dimenticanza su di un argomento principe: è ovvio che la vita umana “si giova” di un seme. Ma questa è materia di un’altra pagina.
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Ottobre 2016
Marcella Corsi
L’ALBERO DELLE PAROLE Versi che cercano il sorriso, la luce, la speranza di pace di Luca Benassi
C’è
un’insistenza vegetale nella poesia di Marcella Corsi, la quale in più parti della sua opera e in occasioni pubbliche ha confidato la passione per l’ecologia e il suo amore per le piante e la natura. Del resto, il dato saliente dei versi di questa appartata poetessa milanese, ma romana d’adozione, è la tensione alla vita delle piante, degli animali, ma anche delle cose, delle situazioni, degli affetti. Vi è un continuo germogliare, proliferare, gemmare, fiorire, non solo della vegetazione che pure tanta parte
ha nella produzione di Corsi, ma in generale di ciò che appartiene all’umano, della vita e delle relazioni, delle quali si cerca di colmare i vuoti, di avvicinare i lembi, di cucire gli strappi. La natura, soprattutto quando si fa domestica e riesce a interagire con la bontà e la sapienza dell’essere umano, è grande specchio e metafora dell’esistere. In essa si coglie il transitare delle stagioni della vita, il continuo rinnovarsi dalle paludi della distanza e della morte, in una prospettiva che cerca di inserire l’individuo in un contesto di armonia con l’ambiente che lo circonda. Questa poesia mette insieme l’attenzione per la natura con l’arte, il suono, e l’immagine; delinea un concetto ampio di bene comune, che se pur visto in una prospettiva laica, non è esente da una forte spiritualità. È questa tensione alla pace a essere il fulcro armonico dei versi di Corsi. Ne emerge una scrittura sinestetica, nella quale il colore si fa suono, l’abbracico cerca la dolcezza semplice del gesto, la ricerca dell’ignoto della natura è prima di tutto stupore e rispetto. In una letteratura del Novecento dove il dolore è l’incontrastato protagonista, questi versi cercano il sorriso, la luce, la speranza di pace, senza necessariamente scomodare il divino, ma nella consapevolezza che nella cultura e nell’arte, e nei valori del rispetto dell’ambiente naturale e civile nel quale viviamo, sono da trovare i semi della crescita e dell’incontro con l’altro. Marcella Corsi si occupa di poesia e traduzione di poesia, saggistica e critica letteraria. Ha scritto saggi di antropologia storica e valorizzazione dei beni culturali. Tra le pubblicazioni di poesia: “Cinque poeti del premio Laura Nobile” (1992), “Hanno un difetto i fiori” (1994), “Distanze” (2006), “Il vento, il riso, il volo. Versioni dai Poems di Katherine Mansfield” (2010). È redattrice del semestrale di ricerca e cultura critica ‹‹Poliscritture››.
Se hai parole dimmi gli occhi del mandorlo le sue minuscole labbra marroni di terra spediscimi a volo di tordo ciocche vive i suoi capelli di foglia, ti renderò affrancato di corteccia un pensiero forte del suo fiorire ( ma non tagliarli troppo corti: son così belli e odorosi, lucenti i suoi capelli ricci… — Ancora rimani si può ascoltare ritmati di cicale nel cassettone d’acero tarli nel trave e – privilegio del letto insonne – un tentennare d’antenne in amore t’ho preparato una stanza ch’è tutta d’erbe ed un letto silenzioso di lini e menta e more sui comodini Non ha tempo decisi la notte, viaggia senza definizioni così potresti prendere senza fretta anche i tuoi sogni potresti per un poco rimandare — nessuna sconcezza nell’impossibile agire Quando nemmeno gli occhi sembrano poterti toccare quando il respiro conosce breve superficie al raccontare tanto in superficie che rattrista quando neppure le ali, fatte salve le altrui escursioni musicali ( ci vuole almeno – a ravvicinare – l’impasto brutale di talune ravvicinate contraddizioni ) allora vorrei cavalcare in scioltezza lieta un tuo lieto sguardo
Il 26 settembre è iniziato il cammino della campagna nazionale dell’Udi che si concluderà nel settembre 2017. I presidi organizzati hanno richiamato l’attenzione di istituzioni e opinione pubblica sull’importanza dei consultori, sui problemi non risolti della maternità e della fecondazione medicalmente assistita, sugli ostacoli all’interruzione di gravidanza e all’informazione sessuale
ROMA.“Solo a Roma mancano oltre 90 consultori” spiegano le attiviste dell’Udi Montever-
de e dell’Udi romana La Goccia che hanno organizzato il presidio davanti alla Regione Lazio. “Noi c’eravamo ieri a fare le battaglie per conquistare i servizi, ci siamo oggi a difenderli e ci saremo domani, sempre all’insegna dell’autodeterminazione delle donne” hanno sottolineato, insieme alle altre arrivate a titolo personale o come delegazioni dei Coordinamenti Donne Cgil e Uil e della Casa internazionale delle donne. La disponibilità dell’amministrazione regionale ad istituire un tavolo di consultazione è un passo nella direzione giusta, ma occorrono presto azioni concrete.
BOLOGNA. Da tutta l’Emilia Romagna si sono date appuntamento il 26 settembre da-
vanti alla sede dell’Assemblea legislativa. “Abbiamo esposto le ragioni della nostra iniziativa” spiegano le organizzatrici dell’Udi, che insieme alle donne di altre associazioni e della Cgil regionale hanno portato all’attenzione delle istituzioni “testimonianze ed esperienze nel campo della maternità, della fecondazione medicalmente assistita, della contraccezione ed interruzione di gravidanza, evidenziando i gravi problemi rappresentati dall’obiezione di coscienza, dalla precarietà e dal mobbing nei luoghi di lavoro”. Le proposte sono state accolte dall’amministrazione regionale, un impegno che sarà monitorato.
NAPOLI. “C’è chi vorrebbe disporre del nostro corpo per farne l’inanimato oggetto da
modulare sul modello eccentrico del ‘Fertility Day’, procedendo in direzione ostinata e contraria all’inalienabilità delle facoltà femminili. Questa campagna sarà occasione di riflessione e lotta politica su diverse questioni che ruotano attorno ai corpi fertili delle donne, al loro diritto di autodeterminazione e di cittadinanza nel lavoro, nella maternità, nella cultura, nell'educazione delle giovani generazioni, nella possibilità di rappresentarsi ed essere rappresentate”. Dal Palazzetto Urban è partita la voce dell’Udi di Napoli che, insieme a tante altre donne, ha richiamato l’attenzione delle istituzioni locali.
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OTTOBRE 2016
La Cia - AGRICOLTORI ITALIANI promuove la vendita a 10,00 € del “KIT - AMATRICIANA SOLIDALE”, per raccogliere i fondi necessari alla ricostruzione delle aziende agricole e della filiera agroalimentare colpite dal sisma del 24 agosto 2016. Coerentemente con la propria storia, incentrata fortemente sui valori della solidarietà, la Cia con gli stessi “prodotti della terra” vuole realizzare un aiuto concreto per far ripartire le regolari attività produttive delle aree terremotate, consentendo così agli sfortunati colleghi di tornare rapidamente a lavoro. Cibo di eccellenza, per alimentare la speranza che gli agricoltori del Lazio e delle Marche possano realizzare ogni giorno produzioni di qualità, per la loro soddisfazione e quella dei consumatori. Per un contributo a sostegno delle imprese e delle popolazioni colpite dal sisma del Centro-Italia: IBAN IT03 S031 2703 2000 0000 0012 000
Grazie
in collaborazione con:
Ente di Protezione Ambientale Riconosciuto dallo Stato ai sensi dell'art. 13 della Legge 08/07/1986, n. 349 D. Min. Amb. 20.01.06 - G.U. 19.04.06 Prot. d’Intesa con M.I.U.R. del 01.06.2007
con il contributo di:
SPECIALE AMATRICE IL DOPO TERREMOTO DELLE IMPRENDITRICI AGRICOLE
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