Nd settembre 2016

Page 1

I T A N O ABB O P M E T IL O S S E D ÈA

O S S E D A È H C R PNOIEDONNE ha bisogno del tuo sostegno O S S E D A Pva EdifeRsaCl’inHforÈmazione libera O S S E D nte A e t s i È s E H R e l C a n PpiùEchRe mai questo vuole essere un gior Le possibilità di abbonamento a noidonne sono le seguenti:

ordinario 25 euro straordinario 60 euro (hai diritto a 3 indirizzi o 3 copie)

sostenitore 100 euro (hai diritto a 6 indirizzi o 6 copie)

Per informazioni redazione@noidonne.org 338 9452935 (Rinaldo)

ND_CV_Settembre_2016.indd 2-3

1+1= 40 euro Due abbonamenti almeno una nuova abbonata con un unico bollettino di soli 40 euro (anzichè 50 euro)

Il versamento può essere effettuato con un bollettino di c/c postale sul conto nr. 000060673001 oppure con Bonifico su BancoPosta intestato a: Società Coop. Libera Stampa a rl c/o Studio Berto Fabio IBAN: IT57 D076 0103 2000 0006 0673 001

SETTEMBRE 2016

USA HILLARY E LA NOMINATION LE BIOBANCHE CUSTODI DI VITA DONNAESALUTE INCONTRI A FIRENZE E LIPSIA

VIVALASCUOLA BALBO, COMENCINI, SENTINELLI, DE MATTHEIS, RICCARDI, HANAN AL HROUB prezzo sostenitore 3,00 euro Anno 71 - n.9 ISSN 0029-0920

03/08/16 17.30


Regala e regalati l’abbonamento a noidonne.

Se vuoi regalare l’abbonamento possiamo inviare la prima copia accompagnata da una lettera personalizzata

Le possibilità di abbonamento a noidonne sono le seguenti:

ordinario 25 euro straordinario 60 euro (hai diritto a 3 indirizzi o 3 copie)

sostenitore 100 euro (hai diritto a 6 indirizzi o 6 copie)

Per informazioni redazione@noidonne.org 338 9452935 (Rinaldo)

ND_CV_Settembre_2016.indd 4-5

1+1= 40 euro Due abbonamenti almeno una nuova abbonata con un unico bollettino di soli 40 euro (anzichè 50 euro)

Il versamento può essere effettuato con un bollettino di c/c postale sul conto nr. 000060673001 oppure con Bonifico su BancoPosta intestato a: Società Coop. Libera Stampa a rl c/o Studio Berto Fabio IBAN: IT57 D076 0103 2000 0006 0673 001

03/08/16 17.30


Settembre 2016

DELFINA

di Cristina Gentile

1


www.noidonne.org

SOMMARIO

13

01 / DELFINA di Cristina Gentile

29

13 Le radici forti e i cambiamenti necessari Intervista a Cristina Comencini di Tiziana Bartolini

03 / EDITORIALE

15 La scuola secondo AltraMente Intervista a Patrizia Sentinelli di Nadia Angelucci

4/7 ATTUALITà 04 La lezione delle donne Avere cura del mondo di Giancarla Codrignani

16 Testimonianze a confronto Laura De Mattheis, docente, e studenti di Nadia Angelucci

06 La sharia che vige in Europa di Stefania Friggeri

8/9 BIOETICA Le biobanche e i nostri (veri) tesori di Luisella Battaglia

10/11 INTRECCI 10 Udi /La campagna Adesso Basta Intervista a Laura Piretti e Vittoria Tola di Tiziana Bartolini

12/21 FOCUS / VIVALASCUOLA

18 Una maestra da Nobel Intervista a Barbara Riccardi di Elena Ribet 20 Hanan Al Hroub, dalla Palestina al Global Teacher Prize di Cecilia Dalla Negra

22/25 JOB&JOB 22 Il coaching secondo Giovanna Giuffredi di Silvia Vaccaro

12 Sguardo oltre i confini e lifelong learning Intervista a Laura Balbo di Tiziana Bartolini

Mensile di politica, cultura e attualità fondato nel 1944

Direttora Tiziana Bartolini

Anno 71 - numero 9 Settembre 2016

Presidente Maria Costanza Fanelli

Autorizzazione Tribunale di Roma n°360 del Registro della Stampa 18/03/1949 Poste Italiane S.p.A. Spedizione abbonamento postale D.L. 353/2003 (conv. In L.27/02/2004 n°46) art.1 comma 1 DCB Roma prezzo sostenitore €3.00 euro Filiale di Roma La testata fruisce dei contributi di cui alla legge n.250 del 7/8/90

SETTEMBRE 2016 RUBRICHE

Editore Cooperativa Libera Stampa a.r.l. Via della Lungara, 19 - 00165 Roma Stampa ADG PRINT s.r.l. Via Delle Viti, 1 00041 Pavona di Albano Laziale tel. 06 45557641 PROGETTO GRAFICO Elisa Serra - terragaia.elisa@gmail.com Abbonamenti Rinaldo - mob. 338 9452935 redazione@noidonne.org

32

24 Donne in Campo Liguria/Sarzana La Terra e le sue Donne di Tiziana Bartolini

26/31 MONDI 26 SCRITTRICI E MIGRANTI/Pubblicano in italiano Dall’Est con furore. Letterario/2 di Cristina Carpinelli 29 NUBIA/I matrimoni forzati raccontati nel film di Wahiba Saleh di Zenab Ataalla 30 MALAWI/La storia di Clara Banya e come si è salvata dall’HIV di Silvia Vaccaro 32 USA/Hillary Clinton candidata presidente L’appuntamento con la storia di Catia Iori 33 A piedi dalla Puglia a Santiago de Compostela Grazia Andriola/WeWorld contro la violenza

amiche e amici del progetto noidonne

Clara Sereni Michele Serra Nicola Tranfaglia

Laura Balbo Luisella Battaglia Francesca Brezzi Rita Capponi Giancarla Codrignani Maria Rosa Cutrufelli Anna Finocchiaro Carlo Flamigni Umberto Galimberti Lilli Gruber Ela Mascia Elena Marinucci Luisa Morgantini Elena Paciotti Marina Piazza Marisa Rodano Gianna Schelotto

Ringraziamo chi ha già aderito al nuovo progetto, continuiamo ad accogliere adesioni e lavoriamo per delineare una sua più formale definizione L’editore garantisce la massima riservatezza dei dati forniti dagli abbonati e la possibilità di richiederne gratuitamente la rettifica o cancellazione contattando la redazione di noidonne (redazione@noidonne.org). Le informazioni custodite nell’archivio non saranno né comunicate né diffuse e verranno utilizzate al solo scopo di inviare agli abbonati il giornale ed eventuali vantaggiose proposte commerciali correlate. (L.196/03)

38

34/43 APPRODI 34 I senza terra/Szilárd Borbély di Massimo Congiu Isola grande isola piccola/Francesca Marciano di Silvia Vaccaro Gli altri/A. Muschella - G. Giurato Pioggia di primavera/ P. BaruchelloA. Rivoli 36 DonnaeSalute a settembre: Firenze - Lipsia Terme Bagni di Pisa/Montecatini Terme 38 Rete Io decido. Verso il corteo del 26 novembre di Silvia Vaccaro 40 Goliarda Sapienza e La porta della gioia Il libro di Giovanna Providenti di Nadia Angelucci 41 Rosa Balistreri/Ilnaufragarmèdolce di Roberto Dati

05 Versione Santippe di Camilla Ghedini 09 Il filo verde di Barbara Bruni 25 Strategie private di Cristina Melchiorri 39 Salute BeneComune di Michele Grandolfo 44 SOS Filosofia di Francesca Brezzi 45 Le idee di Catia Iori 46 Leggere l’albero di Bruna Baldassarre 46 Famiglia, sentiamo l’avvocata di Simona Napolitani 47 Spigolando di Paola Ortensi 48 Poesia Lucia Tosi Per non dimenticare di Luca Benassi

42 Iran a Roma/Nuovo Cinema Teheran La canzone del mare/Tomm Moore di Elisabetta Colla

ringraziamo le amiche e gli amici che generosamente questo mese hanno collaborato

Zenab Ataalla Nadia Angelucci Bruna Baldassarre Tiziana Bartolini Luisella Battaglia Luca Benassi Francesca Brezzi Barbara Bruni Cristina Carpinelli Giancarla Codrignani Elisabetta Colla

Massimo Congiu Cecilia Dalla Negra Roberto Dati Stefania Friggeri Cristina Gentile Camilla Ghedini Michele Grandolfo Catia Iori Cristina Melchiorri Simona Napolitani Paola Ortensi Elena Ribet Silvia Vaccaro

‘noidonne’ è disponibile nelle librerie Feltrinelli ANCONA - Corso Garibaldi, 35 • BARI - Via Melo da Bari 117-119 • BOLOGNA - Piazza Galvani, 1/h • BOLOGNA - Piazza Porta Ravegnana, 1• FIRENZE - Via dei Cerretani, 30-32/r MILANO - Via Manzoni, 12 • MILANO - Corso Buenos Aires, 33 • MILANO - Via Ugo Foscolo, 1-3 • NAPOLI - Via Santa Caterina a Chiaia, 23 • PARMA - Via della Repubblica, 2 PERUGIA - Corso Vannucci, 78 - 82 • ROMA - Centro Com.le - Galleria Colonna 31-35 • ROMA - Via Vittorio E. Orlando, 78-81 • TORINO - Piazza Castello, 19


Settembre 2016

UNA ROTTA PER LA SCUOLA

“A

l rendimento scolastico dei nostri figli, siamo soliti dare un’importanza che è del tutto infondata. E anche questo non è se non rispetto per la piccola virtù del successo. Dovrebbe bastarci che non restassero troppo indietro agli altri, che non si facessero bocciare agli esami; ma noi non ci accontentiamo di questo; vogliamo, da loro, il successo, vogliamo che diano delle soddisfazioni al nostro orgoglio. Se vanno male a scuola, o semplicemente non così bene come noi pretendiamo, subito innalziamo fra loro e noi la bandiera del malcontento costante; prendiamo con loro il tono di voce imbronciato e piagnucoloso di chi lamenta un’offesa. Allora i nostri figli, tediati, s’allontanano da noi. Oppure li assecondiamo nelle loro proteste contro i maestri che non li hanno capiti, ci atteggiamo, insieme con loro, a vittime d’una ingiustizia. E ogni giorno gli correggiamo i compiti, anzi ci sediamo accanto a loro quando fanno i compiti, studiamo con loro le lezioni. In verità la scuola dovrebbe essere fin dal principio, per un ragazzo, la prima battaglia da affrontare da solo, senza di noi; fin dal principio dovrebbe esser chiaro che quello è un suo campo di battaglia, dove noi non possiamo dargli che un soccorso del tutto occasionale e illusorio. E se là subisce ingiustizie o viene incompreso, è necessario lasciargli intendere che non c’è nulla di strano, perché nella vita dobbiamo aspettarci d’esser continuamente incompresi e misconosciuti, e di essere vittime d’ingiustizia: e la sola cosa che importa è non commettere ingiustizia noi stessi. (…)”. Facciamo ricorso alle parole di Natalia Ginzburg (da Le piccole virtù,1962), ricordandola nel centenario della nascita, per trovare conforto e saggezza. La scuola è sempre un argomento delicato la cui complessità rende impervia qualsiasi sintesi, a partire dalla prospettiva che si sceglie: quella dei genitori o degli insegnanti è diversa dal vissuto dei discenti,

che a loro volta contengono mondi non omogenei. Poi c’è la società nel suo insieme, che si aspetta per i/le giovani costruzione di competenze, cultura generale, preparazione professionale. Addirittura un’introduzione alla cittadinanza, erede dell’educazione civica ormai archiviata. Grandi aspettative, molte polemiche, poche consonanze. L’assenza di una rotta condivisa produce paradossi che tengono insieme sperimentazioni ed eccellenze con un alto tasso di abbandono scolastico, edifici all’avanguardia e strutture fatiscenti. La scuola è in evidente affanno. E non sono solo i numeri a raccontarlo, certificati anche dalla Corte dei Conti che ne ha descritto l’impoverimento complessivo (dal 2008 al 2014 tagli per 8 miliardi, meno 100mila dipendenti, meno 16 per cento di spesa per stipendi), ma anche l’età degli/delle insegnanti: il 58 per cento ha più di 50 anni, il 5 per cento meno di 35 (2014). Nella scuola lavora un terzo dei dipendenti statali (prevalentemente donne) in un quotidiano corpo a corpo con un mondo che cambia velocemente. Difficile immaginare, in tale contingenza, che sia la rigidità delle norme a restituire brillantezza allo smalto perduto. Ha ragione Umberto Galimberti (DRepubblica, 30/7/2016) quando osserva che alcune occupazioni investono “non solo il nostro fare, ma soprattutto il nostro essere. Tale è il lavoro del medico, del prete, dell’artista, dello scrittore, e del professore” rispondendo ad una insegnante - Regina Sassanelli che racconta di essere criticata dai colleghi perché, per superare il gap comunicativo con i suoi allievi, “intrattiene rapporti epistolari pomeridiani tramite whatsapp”, quindi oltre l’orario di lavoro. Viviamo in un tempo in cui la passione e la dedizione per un mestiere possono anche affidarsi alla smorfietta di un emoticon. Ben venga, se consente di restituire autorevolezza ad un ruolo, quello del docente, che nessun accordo sindacale può ricostruire. Tiziana Bartolini

3


4

Settembre 2016

AVER CURA DEL MONDO La lezione del partire da sé Il mondo e gli stati hanno tanto bisogno della cura femminile, non per tenere in ordine le case, ma per attraversare i luoghi difficili dei fallimenti economici, delle ire degli scontenti, dei conflitti già minacciosi di Giancarla Codrignani

P

artire da sé: l’abbiamo insegnato urbi et orbi, ma proprio come vuole il ruolo che non amiamo - quando arriviamo a noi, dopo tutte le incombenze che ci è toccato svolgere nella giornata, ci troviamo così esauste da prenderci tempo per noi per andare, al massimo, dal parrucchiere, immemori di quella soggettività autonoma che deve cambiare un mondo così sofferente proprio perché fin qui orientato da un genere solo. Facciamo l’esempio di NOIDONNE. Tutti e tutte d’accordo che è una rivista speciale, perché nata nel 1944, da donne che stavano facendo la Resistenza, poi fecero la Repubblica, la Costituzione, la cultura (e le leggi) per l’emancipazione e la liberazione, poi la politica, non solo femminile, della prima Repubblica e della seconda per conservare la democrazia di un paese da sempre diviso tra progresso e conservazione. Oggi politici, sindacati, enti pubblici, ma anche associazioni e società civile, tutti di tutti i generi auspicano la sua nobile sopravvivenza. Ma, se non mandano abbonamenti e finanziamenti, gli auspici non ne impediranno l’estinzione: “noi donne”, non solo simbolicamente, ultime. In calce a questo esempio, è registrabile il danno del paese: un genere intero (vale a dire il 52 % degli abitanti) si trova ancora a remare contro, mentre potrebbe usare bussola, timone e vela con il contributo

delle proprie capacità di governo per riorientare la nave in una rotta perigliosa. Le donne, infatti, non sono né settarie né egoiste nel sostenere la necessità di partire da sé stesse, dai propri valori e dai propri interessi: finché la cultura comune non metterà in moto meccanismi di trasformazione sostanziale del sistema che non obblighino le persone ad diventare neutre per uniformarsi al modello unico, non saranno solo le donne a restare subalterne. Intanto il sistema, ormai globale e finanziario, incomincia a fare paura perché i vecchi poteri ricorrono alle droghe per tenerlo in piedi. Speriamo che a novembre gli elettori americani non facciano scherzi e che la Clinton - qualunque sia la simpatia degli elettori - diventi la prima donna Presidente degli Stati Uniti. Dalla prospettiva istituzionale è bene guardare all’Europa: oltre alla cancelliera Merkel che governa la Germania, ci sono Prime Ministre in Norvegia, Scozia, Irlanda del Nord, Polonia e Presidenti della Repubblica in Lituania, Croazia e Malta. Inoltre Alta Rappresentante per la Politica Estera dell’Unione è la nostra Federica Mogherini e una marea di funzionarie occupano dirigenze di alto livello in tutte le cancellerie europee e nei ministeri. In luglio, dopo il disastroso referendum Brexit, si è insediata a Downing Street Theresa May, una Prima Ministra al timone della Gran


Settembre 2016

Bretagna nel momento in cui deve risolvere la sua crisi più grave. Ellekappa aveva, per l’occasione, pubblicato una delle vignette più folgoranti: “David Cameron, Boris Johnson, Nigel Farage…”, “Dietro il successo di una donna a volte c’è l’idiozia di tre uomini”. Infatti l’uomo che aveva voluto il referendum, quello che aveva danneggiato il partito laburista e quello che aveva rifiutato la responsabilità del suo successo sono apparsi incoerenti e pericolosi. Un’altra giornalista, la femminista Natalia Aspesi, aveva espresso il sospetto che i maschi, arrivati a situazioni inestricabili, si fossero messi d’accordo per passare la mano, con la riserva mentale di recuperare, ovviamente, dopo che le donne avessero rimediato ai guai. È certamente vero che le donne sono, in genere, brave e non hanno mai ritenuto difficile l’arte del governo. nel primo intervento femminile a Montecitorio la Cingolani Guidi aveva detto “tanto peggio di voi non faremo”. Ma “vincere” può significare conformarsi ai modelli culturali che hanno prodotto l’esaurirsi dei sistemi. Da quando le donne hanno violato anche la virilità dei luoghi militari, sono via via ascese agli altri gradi negli eserciti e una Pinotti guida il Ministero della Difesa italiano; ma le guerre sono rimaste guerre e alla Nato non si ragiona certo sugli asili nido per i figli di soldate e soldati. Eppure, per tentare spostamenti di sistema graduali e selettivi e passare dalla produzione di merci alla produzione di benessere umano, mentre la robotica e le nuove tecnologie cambiano la natura del lavoro e la finanziarizzazione stronca banche e stipendi, i paesi del mondo hanno bisogno di molta “cura”. Non tanto per tenere in ordine le case, ma per attraversare i luoghi difficili dei fallimenti economici, delle ire degli scontenti, dei conflitti già minacciosi. Nessuno più delle donne li ha sperimentati e se ne è fatto carico responsabilmente: “curare” città e stati è la proposta politica più sensata: a partire da noi. b

di Camilla Ghedini

O

ggi, mentre scrivo, è il 21 luglio. Nelle ultime due settimane, nell’ordine, c’è stato lo scontro frontale tra treni in Puglia, l’attentato di Nizza, il fallito golpe in Turchia. Stamattina, svegliandomi, ho acceso la tv per guardare il tg, una prassi consolidata e automatica. L’antenna però non andava, mi dava assenza di segnale, e non sono riuscita a ‘connettermi’ subito col mondo. A quel punto ho acceso il pc e ho controllato i quotidiani on line. E mi sono rassicurata: nelle ultime otto ore, cioè da quando sono andata a dormire, non è successo nulla. E ho provato sollievo. E poi angoscia. Sì, perché mi sono resa conto che ormai vivo aspettando stragi. E ogni giorno ‘senza’ pare un giorno regalato. Questi sono i momenti in cui, forse erroneamente, sono felice di non avere

nuova carneficina. Eppure io, qui nel mio studio, mi sento sicura. Certo, non più sicura come un anno fa, per non dire 10 anni fa. Io stessa ora, quando prendo un treno, mi guardo attorno, la suggestione fa la sua parte regalandomi sensazioni negative. La razionalità sta nel non permettere alla paura di prendere il sopravvento. Quando leggo i tweet del nostro Premier, che parla di necessità di essere forti e di non piegarci al ‘nemico’ mi viene da ridere. Anzi da piangere. Ma cosa vuol dire? Anzi, vorrei proprio chiederglielo. ‘Matteo, ma puoi tacere ogni tanto? Ma puoi comunicare qualcosa di vero, di profondo, evitando vacuità e retorica? Me lo dici, Matteo, nella pratica, che cosa significano le tue parole?’. Io non potrei vivere senza sapere cosa succede intorno a me, per un senso di partecipazione al

STRAGI QUOTIDIANE figli. Vivrei con il terrore che potesse capitare loro qualcosa, con la certezza che trasformerei il mio istinto di protezione in soffocamento, che diventerebbe privazione, quindi sottrazione di esperienza. Perché oggi, soprattutto un giovane, ha il diritto e dovere di non essere solo cittadino d’Europa - che fa acqua da tutte le parti - ma del mondo. Nei social, in queste settimane, spesso mi sono imbattuta in commenti accorati di mamme che commentavano il loro sgomento e la loro volontà di non accendere la tv per un po’, per non vedere, per non sentire. Che significa però non sapere. Ma, io mi chiedo, è una scelta possibile? È giusta? È sen’altro legittima e comprensibile perché anche io, ora, qui alla tastiera, sono consapevole che magari in qualche parte del mondo sta avvenendo una nuova carneficina, o stanno progettando una

quale sono stata educata fin da bambina, con un papà che mi spiegava che quel che succede nel mondo mi riguarda, mi tocca, sempre e comunque. Ciononostante capisco chi desidera isolarsi, tappandosi orecchie e occhi, perché siamo saturi di violenza. Siamo saturi di fanatismo. Siamo saturi di senso di impotenza. Io sono satura di opinioni da due soldi, di analisi semplicistiche, di tuttologi. Questa mattina senza tg, però, lo ammetto, mi ha rinfrancato. Sento di poter respirare. Davanti agli occhi non mi sono passate immagini di morti, torture, invocazioni di pene capitali, come quelle del Presidente turco, Erdogan. Ora sono le 10, il pezzo sta prendendo il via. Speriamo che oggi sia una giornata serena. Quando sarà pubblicato, invece, temo che quella descritta sarà solo una ‘vecchia’ pagina di storia. Chissà.

5


6

Settembre 2016

LA SHARIA

CHE VIGE IN EUROPA di Stefania Friggeri La laicità ‘sospesa’ e l’equivoco del multiculturalismo che ha consentito l’esistenza di tribunali speciali. Uno stato nello stato nemico delle donne e dei diritti costituzionali dell’occidente

L’

imam della moschea milanese di viale Jenner, l’egiziano Abu Imad, intervistato da ‘La Repubblica’ nel 2008, ha detto che il suo compito non si limitava alla predicazione ma prevedeva anche di emettere sentenze su questioni inerenti il diritto familiare; ed ha aggiunto: “L’Italia non è il Regno Unito dove una legge dello Stato ha stabilito tribunali islamici… che hanno valore di sentenza arbitrale e dunque un riconoscimento di legittimità… Ma il fatto che in Italia non esista una legge, non elimina il bisogno della nostra comunità di vedere amministrata la legge di Dio, la sharia, innanzitutto per quello che riguarda il diritto di famiglia”. È vero, in tutta Europa, nel chiuso di alcune comunità islamiche, opera una giustizia parallela, uno “stato” entro lo Stato con veri e propri tribunali che applicano le norme di un codice religioso, la sharia. Il numero di queste corti è molto più ampio di quanto registrato poiché è sufficiente che tre uomini si autoproclamino “Consiglio della sharia” e possono esprimere un giudizio vincolante in tema di poligamia, ripudio, stupro, maltrattamenti, matrimoni forzati ecc… Chi si rivolge a questi tribunali non accetta lo stato di diritto del paese ospitante: il principio di laicità, i valori di libertà ed uguaglianza (a partire dalla condizione femminile), i principi di inviolabilità dei diritti umani (diritti universali che sono alla base della democrazia) non appartengono al mondo di chi si sente “musulmano in Europa”, non “musulmano europeo”. I “Consigli della sharia” in Gran Bretagna hanno avuto, in via informale, il potere di legiferare su questioni familiari e controversie civili fino al 1996 quando una legge li ha riconosciuti come “tribunali d’arbitrato”; ma solo dopo anni l’opinione pubblica ha compreso che legalizzare le sentenze rispettose della sharia, che si ispira all’idea dell’inferiorità femminile, significava farsi complici di una grave ingiustizia verso le donne perché “i giudici della sharia non sono mai imparziali ma sempre orientati a favorire gli uomini. Anche i figli, in caso di affidamento, sono sempre affidati ai padri”(M.Zee). La condizione servile delle donne, inoltre, è aggravata dal

controllo della famiglia, del clan, della comunità, ovvero dalla pressione del vicinato nei quartieri trasformati in ghetti, dove ad un alto tasso di omertà si accompagna, comprensibilmente, la stessa complicità delle vittime. Educate a loro volta da madri conniventi, le donne, vivendo in un ambiente culturale arcaico e chiuso, immerso tuttavia in una società secolarizzata ed aperta, soffrono di una tragica mancanza di equilibrio. Infatti, poiché nell’islam ortodossia (quello che si deve credere) ed ortoprassia (quello che si deve fare) coincidono, il musulmano, soprattutto se è donna, è ossessionato dalla liceità di qualsiasi scelta (l’islam disapprova questo? ma tollera quello?) e si rivolge all’imam per risolvere i quesiti (soprattutto in tema di sesso, abbigliamento e cibo) che nascono dal bisogno di vivere il proprio tempo senza però rinunciare alla propria ma-


Settembre 2016

trice culturale. Chiediamoci in primo luogo come è potuto accadere che in alcune città europee le donne siano soggette a forme più o meno gravi di oppressione; ad esempio: a molte ragazze è vietata l’educazione fisica, vietata anche la bicicletta (potrebbero perdere la verginità), vietate le gite di classe (la sorveglianza è meno stretta), vietato lo sport (richiede un abbigliamento indecente), per tacere delle spose bambine, come Aisha, la preferita di Maometto. Gran parte della responsabilità di questa situazione penalizzante per le donne cade sull’idea male intesa di multiculturalismo della sinistra che, temendo l’accusa di xenofobia, voleva mostrarsi rispettosa della libertà religiosa e delle culture diverse. Il multiculturalismo è un dato da valorizzare, ma non certo mostrando indulgenza verso i matrimoni forzati, descrivendoli come parte di una cultura lontana che va compresa, quando invece sono veri e propri reati, espressione di un patriarcato di cui non dobbiamo farci complici. E invece la sociologa tedesca di origini turche Necla Kelek è rimasta vittima nel suo ambiente di ostracismo ed offese per aver descritto nel libro “La sposa straniera” la violenza di cui sono vittime le ragazze minorenni comprate nei villaggi dell’Anatolia per andare spose in Germania a giovanotti di origine turca. È vero: l’Occidente, ieri colonizzatore, oggi sfrutta, depreda e fa guerre contro i paesi musulmani (direttamente, o per procura, o coi droni per salvare la vita dei propri soldati - i civili indigeni sono danni collaterali, ha detto Obama); e tuttavia, senza dimenticare le colpe dell’imperialismo, dobbiamo essere orgogliosi dei nostri valori di progresso civile, senza colpevolizzarci al punto da abbracciare un concetto di multiculturalismo che tende a subordinare la difesa dei diritti umani, diritti universali, in favore di una comunità religiosa patriarcale e misogina. Infatti una cultura politica comune può essere fondata solo sui principi costituzionali, a partire dalla laicità dello Stato, dal superamento delle comunità religiose ed etniche che, chiudendo gli individui nella prigione di una rigida identità, non permettono la libertà di attraversare i confini, di creare combinazioni inedite. Un esempio positivo ci viene da Berlino dove è stata adottata una soluzione molto rispettosa dell’infanzia, sempre indifesa di fronte alla padronanza degli adulti: nelle scuole l’ora di religione (catto-

lica, evangelica e, se previsto, musulmana) è facoltativa mentre è obbligatoria l’ora di etica, un insegnamento attraverso il quale i giovani imparano i valori scritti nella Costituzione come l’importanza della separazione tra Stato e religione, il principio di eguaglianza fra i sessi, la libertà individuale ecc… I principi costituzionali, dunque, non la religione e l’etnia siano messi a fondamento in Italia della “casa comune”, che vuol dire: si ottiene la cittadinanza a certe condizioni, più importanti del numero di anni di residenza in un paese: conoscere i valori che hanno ispirato la Costituzione (facile l’obiezione: milioni di italiani perderebbero la cittadinanza se venissero interrogati sulla Costituzione; d’accordo, ma l’importante non è conoscere il testo, ma averlo interiorizzato e dunque rispettarlo come fanno in tanti), parlare la lingua (anche per fare uscire di casa le donne e liberarle dalla “servitù volontaria”), conoscere per

sommi capi il diritto di famiglia italiano perché sia chiaro che in Italia certi costumi non sono tollerati. Una soluzione che non solo aiuterebbe le musulmane che sperano di uscire da un cultura misogina, ma permetterebbe anche alle italiane di evitare il rischio di perdere quanto hanno ottenuto dopo tante lotte, e tardi: solo nel 1975 è stata votata la legge di riforma del diritto di famiglia che, uniformando le norme ai principi costituzionali, ha modificato la precedente legge del 1942 fondata sulla subordinazione della moglie al marito. Il cui ascendente è forte anche oggi, vedi: in omaggio alla omofobia della gerarchia ecclesiastica col ddl Cirinnà si è tornati all’idea premoderna di famiglia, alla famiglia “naturale” formata da maschio e femmina, finalizzata alla riproduzione; solo le sentenze dei tribunali, denunciando le parti incostituzionali, ci hanno salvato dalla legge 40 scritta dai fondamentalisti cattolici; l’accanimento contro la 194 sta promuovendo il ritorno all’aborto clandestino. Dobbiamo dunque evitare un atteggiamento tollerante verso costumi arcaici giustificati da argomenti religiosi, e ricordare che i diritti conquistati vanno sempre difesi perché la storia è volubile e il clima sociale variabile. v

7


8

Settembre 2016

di Luisella Battaglia Istituto Italiano di Bioetica www.istitutobioetica.org

NELLE BIOBANCHE I NOSTRI (VERI) TESORI L’importanza delle biobanche per la nostra vita, per la ricerca e per la tutela della nostra salute

O

ggi le banche sono fonte di costanti preoccupazioni, identificate talora con una minaccia da cui difenderci, se non con un nemico da abbattere. Proviamo, invece, a concentrarci su un altro tipo di banche che potremmo definire “banche di vita” in quanto favoriscono la ricerca e mirano alla tutela della nostra salute. Stiamo parlando di “biobanche”, una realtà destinata ad assumere un’importanza crescente nella nostra vita per le prospettive che ci apre. Pensiamo, ad esempio, alla medicina predittiva che, avvalendosi degli apporti della biologia e della genetica, è in grado di offrirci informazioni sul nostro futuro, sulle patologie ad insorgenza tardiva che potremmo sviluppare, o alla farmacogenomica che

tologie genetiche o che manifestano ci consentirà, a partire dalla lettura variabilità nelle risposte ai farmaci. dei nostri dati genetici, di prevedere Le biobanche si sono costituite in le reazioni individuali ad un determitutto il mondo grazie alle donanato farmaco e quindi di personalizzioni dei malati, delle loro famiglie zare le cure. Non solo. Lo studio delle ma anche di volontari sani che, con sequenze genetiche potrà consentire grande senso civico, collaborano per di curare malattie gravi e invalidanti. lo sviluppo delle ricerche su malattie Le grandi potenzialità contenute in complesse, come la predisposizione tali indagini stanno infatti nella possiper talune patologie oncologiche, le bilità di identificare le funzioni svolte malattie cardiovascolari, il diabete, l’ida un particolare gene, in ogni fase pertensione, l’obesità. La Liguria, che dello sviluppo, e quindi di intervenire ospita molte biobanche di qualità per correggere geni difettosi attraverpresso l’Istituto Gaslini, l’IST, gli Ospeso una terapia appropriata. dali Galliera e San Martino - è stata la In questo quadro si collocano le prima regione italiana a riconoscerne biobanche, che non hanno alcuno la rilevanza con un atto amministratiscopo di lucro, e la cui funzione è di vo specifico, offrendo in tal modo un raccogliere e conservare campioni servizio ai ricercatori per lo sviluppo di tessuti umani e di materiale biodei loro studi e per favorire la collabologico da utilizzare per diagnosi e razione internazionale tra i ricerche, in accordo con un diversi gruppi di scienziati. codice di buon utilizzo e Quali, in questo quadro corretto comportamen- LE ‘BANCHE DI VITA’ NON HANNO SCOPO così promettente, gli to, garantito da ComiDI LUCRO E elementi di probletati Etici e Università, CUSTODISCONO in conformità con INFORMAZIONI, DATI, TESSUTI maticità? Siamo qui, come in le linee guida dei E MATERIALI BIOLOGICI DA UTILIZZARE molte questioni biodocumenti nazionali PER DIAGNOSI etiche, in presenza di e internazionali. Il sucE RICERCHE una tensione tra esigencesso di tali ricerche, ze della ricerca e richieste in vista delle applicazioni di tutela della privacy. Come terapeutiche, si avvale delgarantire la riservatezza delle inforla possibilità crescente di disporre di mazioni? Come mantenere nel tempo campioni biologici di persone con pa-


Settembre 2016

9

Il filo verde un consenso informato su eventuali usi futuri dei campioni biologici? Si deve ricordare che i dati genetici sono da considerarsi ‘dati sensibili’ idonei a rivelare il nostro stato di salute e destinati pertanto ad una protezione particolare. Da qui la necessità di un consenso libero e informato relativo al trattamento di questi dati ma anche alla loro destinazione. Si dovrà, ad esempio, decidere se essi devono restare assolutamente anonimi, e quindi non si possa risalire all’identità del donatore. In tal caso si avrà un rispetto assoluto della privacy ma ci si precluderà la possibilità di beneficiare in futuro dei risultati delle ricerche, privando di tale possibilità anche i familiari. Il nostro genoma infatti è condiviso dalla nostra famiglia, dai nostri discendenti e collaterali ed è proprio il suo aspetto ‘relazionale’ a suscitare molti interrogativi di natura etica. La decisione che assumeremo riguarderà infatti non solo noi ma anche altri soggetti in termini di etica della responsabilità. La scelta opposta di una piena identificazione dei dati consentirebbe un diritto di accesso alle informazioni non solo a noi ma anche ai nostri familiari - che resterrebbero ovviamente liberi di fruire o meno di tale possibilità, avvalendosi, ad esempio, del loro‘diritto di non sapere’. A fronte di tali opzioni, è prevista la possibilità di un modello flessibile di consenso informato che permetta forme parziali di anonimato ma anche di identificabilità. Ma un’altra decisione importante riguarda la destinazione dei dati alle ricerche. Potremmo scegliere se dare un consenso limitato ad uno specifico tipo di indagine o ampliato fino a comprendere ricerche non ancora del tutto prevedibili ma che potrebbero rivelarsi fruttuose. Lo statuto del genoma umano è infatti valutabile a tre livelli: individuale, familiare, universale e per questo l’Unesco lo ha definito “patrimonio dell’umanità’, sia per sottrarlo ad

ogni tentativo di commercializzazione, sia per sottolineare la necessità di rispettarlo anche a beneficio delle generazioni future. La ‘relazionalità’ dei dati genetici comporta quindi un forte riferimento alla solidarietà e alla valenza morale della donazione del materiale biologico, un bene prezioso che, oltre a dare un contributo alla ricerca, è anche un’assicurazione per il futuro dei nostri figli e nipoti. L’attenzione alla persona nella sua individualità, il rispetto della sua idea di salute e di ‘vita buona’, oltre a comportare un mutamento profondo nel sistema sanitario, si richiama ad un’etica della ‘cura’ fondata su un ‘patto di fiducia’ come modello cui la medicina dovrebbe ispirarsi. Come si vede, viviamo ormai in una “repubblica delle scelte” che, grazie alle rivoluzioni scientifiche e tecnologiche, rende possibili decisioni individuali e collettive in situazioni dominate in precedenza dal caso o dalla necessità. In tal senso l’enorme potenziale dischiuso dalla genetica porta con sé sfide di carattere etico, giuridico e sociale che dovremmo già da ora attrezzarci ad affrontare.

di Barbara Bruni

IL FUMO NUOCE ALLA SALUTE DEL MARE

Secondo uno studio condotto dall’Università iraniana di Bushehr, i mozziconi di sigaretta sarebbero i rifiuti più comuni che inquinano spiagge e mari: ne vengono gettati nell’ambiente quasi 5mila miliardi l’anno, in tutto il mondo. I metalli contenuti nei resti di sigaretta, e nei filtri in particolare, sono grado di entrare nella catena alimentare. Dalle analisi condotte sui resti di sigaretta effettuati nel corso dell’estate, si rileva che nei mozziconi è presente: cadmio, ferro, arsenico, nichel, rame, zinco e manganese. Inoltre, essendo i filtri delle sigarette composti di acetato di cellulosa - come gli altri tipi di plastica - fanno da mezzo di trasporto dei metalli negli ambienti marini, e troppo spesso finiscono negli stomaci dei pesci che li ingeriscono.

ITALIA, LEADER EUROPEO NEL RICICLO DEI RIFIUTI SPECIALI

L’Italia è al secondo posto in Europa per riciclaggio di rifiuti speciali. Lo rende noto l’Ispra, l’istituto di ricerca del Ministero dell’Ambiente. Con il 75% di riciclo, il Belpaese è preceduto solo dalla Slovenia (80,3%) e seguito dalla Germania (70%), contro una media europea del 45,7%. Tra il 2013 e il 2014, la produzione di questi rifiuti è aumentata del 5%, arrivando a ben oltre i 130 milioni di tonnellate (6 milioni di tonnellate in più, in un solo anno). L’Italia importa più rifiuti speciali di quanti ne esporta (6,2 milioni di tonnellate contro 3,1). E nonostante il numero di discariche sia sceso da 404 a 392, la quantità di rifiuti conferiti è salita del 4,2%.

LA RACCOLTA DI SUGHERO AIUTA LE PIANTE

Il sughero è una materia preziosa che si estrae separando la corteccia della quercia da sughero dal suo tronco. Questo processo avviene solo nel trimestre estivo e, oltre ad avere un valore economico per il successivo riutilizzo, rigenera la pianta, poiché è paragonabile alla “tosatura di una pecora”. La decortica avviene solamente quando la linfa emerge tra il fusto della pianta e la sua corteccia, e a svolgere questo compito sono gli artigiani specializzatidel nord Africa e del sud Europa.

120 GEOPARCHI NEL MONDO

Nikolas Zouros, Presidente della Rete Mondiale dei Geoparchi, annuncia che oggi il mondo può contare su ben 120 Geoparchi. Dislocati in 33 Paesi, i Geoparchi non solo tutelano la geologia del territorio, ma operano anche nell’interesse di tutti quei siti culturali che ne fanno parte, sviluppano nel territorio che li ospita economia e turismo. Solo in Cina, ogni anno, si contano circa 10 milioni di visitatori per singolo Geoparco.


10

Settembre 2016

SALUTE RIPRODUTTIVA È TEMPO DI RE-AGIRE Al via la campagna Udi ‘Adesso basta’. Il 26 settembre partono le iniziative che si concluderanno nel 2017. Le responsabili nazionali Udi Vittoria Tola e Laura Piretti spiegano le ragioni della mobilitazione

L’

Udi lancia un anno di mobilitazione nazionale sulla salute riproduttiva delle donne intorno ai temi della contraccezione e ponendo l’attenzione ai consultori, all’accessibilità gratuita alla contraccezione d’emergenza, all’informazione sessuale nelle scuole, la difesa della legge 194, il contrasto all’obiezione di coscienza dei medici. L’inizio della campagna ‘Adesso basta’ è fissato per il 26 settembre, Giornata mondiale della contraccezione. Abbiamo chiesto alle responsabili nazionali, Vittoria Tola e Laura Piretti, informazioni e commenti su questa campagna. “L’iniziativa di un anno di mobilitazione sul tema corpo lavoro e che parte il 26 settembre si inserisce nel lungo e costante impegno dell’UDI sul tema della contraccezione e della maternità responsabile che affonda nelle sue radici nelle origini dell’UDI. Tema ampio, che contiene i presupposti della libertà femminile e dell’autodeterminazione rispetto alla sessualità e alle scelte procreative. Tema che si è sviluppato nel tempo e che per noi ri-acquista anche oggi una portata potremmo dire di lotta e rivendicazione fondamentale in questo momento storico in cui l’autodeterminazione è negata sia

che i figli si vogliano sia che non si vogliano. Per questo abbiamo scelto la giornata del 26 settembre, dedicata alla contraccezione, per riprendere slancio e parola su mol-

ti altri temi legati alla libertà e autodeterminazione delle donne. Lavoriamo contro l’ipocrisia di chi non permette la prevenzione sulla salute riproduttiva, lascia decadere i Consultori, ostacola con ogni mezzo la pillola del giorno dopo e l’informazione sessuale nelle scuole, poi, nel nome della prevenzione dell’aborto, come fa la ministra Lorenzin, brandisce come una clava la legge 194, contro le donne invece che per le donne colpevolizzandole con la denatalità che è provocata soprattutto dalle politiche, economiche del governo e penalizzandole con una sanzione di 10mila euro per l’aborto clandestino dopo aver reso impossibile quello legale”.

Il cammino dell’Udi intorno ai temi della contraccezione è stato lungo e costante. Quali sono i presupposti ideali, politici e concreti di questa iniziativa? Il presupposto politico e ideale è la libertà e la responsabilità. Contraccezione per fare vera prevenzione dell’aborto, e informazione sessuale nelle scuole ma non solo, per diffondere, soprattutto fra ragazzi e ragazze più giovani una cultura di responsabilità. Non tanto semplicemente aggiungendo materie di “educazione sessuale o sentimentale” o “lotta agli stereotipi sessisti” come oggi va per la maggiore a parole, quanto chiedendo una modifica dei libri di testo, un’educazione trasversale alla realtà del mondo e della storia fatta di donne e uomini, del superamento in tutte le discipline dei saperi monosessuati che continuano a essere trasmessi in tutto il sistema scolastico, per far comprendere il valore della parità fra uomo e donna, il rispetto della differenza e la sessualità responsabile. La lotta contro l’indiscriminata obiezione di coscienza alla legge 194 si porta dietro una serie di richieste, fra cui una sua regolamentazione, tetto al personale obiettore, contropartite in tempo o in denaro per il personale non obiettore e perché sia resa impossibile la scelta di essere obiettori per il personale apicale.


Settembre 2016

giamento laico alla dimensione della contraccezione e in generale della salute riproduttiva?

Nel documento di riferimento della campagna ci sono alcune parole d’ordine intorno alle quali si svilupperanno anche degli obiettivi. Li volete illustrare in sintesi? Bisogna riaprire un confronto con le Regioni per quanto riguarda la vita dei Consultori e la loro piena funzionalità, l’applicazione della legge 194, tanto è vero che andremo sotto le sedi regionali e consegneremo a Presidenti e Assessori/e di riferimento un dossier su Consultori e legge 194, ma anche sul percorso nascita, vista la grande importanza che da sempre attribuiamo a “come si partorisce” e “come si nasce”. Non credo che ci accontenteremo di giustificazioni legate alla mancanza di risorse economiche. A livello nazionale l’interlocutore non può che essere governo e parlamento in particolare per quanto riguarda la raccolta dati e le linee di indirizzo sulla prevenzione e nel senso che sono necessarie serie modifiche di legge, anche nella sanità, affinché cambi la cultura sessista e violenta che colpisce in tanti modi diversi soprattutto le donne.

In che modo l’Udi, sia a livello locale che nazionale, richiamerà l’attenzione sui temi della campagna? Quali sono gli interlocutori e le interlocutrici cui vi rivolgete in modo particolare? Le nostre interlocutrici e interlocutori sarà quel vasto mondo di donne, associazioni e operatori, studiose e studiosi che continuano, nonostante tutte le difficoltà e l’incapacità di confronto di tante istituzioni, a perseverare nella richiesta di diritti e del rispetto delle leggi conquistate e sempre difese con tanta fatica e che oggi, più che mai, sono consapevoli dello straordinario investimento per il futuro che rappresenta la prevenzione e il rispetto dell’autodeterminazione della donna e della responsabilità condivisa su sessualità e salute riproduttiva della coppia, soprattutto tra i giovani. Naturalmente, nonostante tutto, speriamo che interlocutrici possano essere anche molte istituzioni.

Quali sono le ragioni - politiche, sociali, culturali - che determinano in Italia la mancanza di un atteg-

L’Italia è un paese, sotto una patina di modernità, culturalmente e anche legalmente arretrato quanto ai rapporti uomo-donna. Questa arretratezza ha il suo fulcro nel controllo della sessualità femminile e in generale della salute riproduttiva cui corrisponde la mercificazione del corpo femminile in molti modi. Non bisogna dimenticare che l’Italia è anche un paese dalla forte tradizione cattolica che fornisce parole e concetti a questo patriarcato arretrato. Dunque tutte le volte che entra in gioco il corpo delle donne, l’autodeterminazione sulle scelte procreative si ricorre a un fondamentalismo che (per esempio tutta la questione dell’inizio vita e dell’embrione) nasconde una vasta cultura maschilista come ha dimostrato la cosiddetta “teoria del gender”. Non potendo apertamente dire: l’uomo è padrone del corpo delle donne, si dice alle donne: non siete padrone del vostro corpo. b Intervista a cura di Tiziana Bartolini

PREMIO IMMAGINI AMICHE Scade il 30 settembre il termine per inviare le segnalazioni

Stimolare pubblicitari e aziende committenti a una creatività socialmente responsabile. Questo l’obiettivo del Premio Immagini Amiche, iniziativa promossa dall’UDI in collaborazione e con il patrocinio della Camera dei deputati e ha ottenuto l’alto patronato del Presidente della Repubblica. Il premio, che quest’anno arriva alla sesta edizione, è ispirato alla risoluzione del Parlamento Europeo, votata il 3 settembre 2008, sull’impatto del marketing e della pubblicità sulla parità fra donne e uomini, e ha l’obiettivo di valorizzare una comunicazione che, al di là degli stereotipi, veicoli messaggi creativi positivi. Cinque le sezioni del concorso: affissioni, pubblicità televisiva, pubblicità stampata, programmi televisivi e siti web. La partecipazione al premio è libera e gratuita per chiunque: basta inviare le segnalazioni all’indirizzo entro il 30 settembre 2016. Verranno inoltre attribuiti un premio alle scuole e una menzione speciale alla città che avrà tenuto comportamenti virtuosi sulle immagini amiche, su segnalazione delle associazioni femminili. La cerimonia di premiazione è prevista il 18 ottobre 2016 e avverrà alla Camera dei deputati, alla presenza della presidente Laura Boldrini.

11


12

Settembre 2016

VIVALASCUOLA | 1

LO SGUARDO OLTRE I CONFINI

all’inseGna del LIFELONG LEARNING, senza pauRa della complessitÀ del pResente. inteRvista a LaUra BaLBo

di Tiziana Bartolini

“O

sservo che nel vivere attuale moltissime persone continuano ad imparare: nella vita di tutti i giorni sono impegnate ad aggiornarsi, a ridefinire ciò che sanno, ad aprirsi a nuove prospettive. Esperienze che hanno poco a che fare con la formazione tradizionale; ma anche nella scuola, di questo, si dovrebbe tener conto. Si parla del nostro“lifelong learning”. Sul tema dell’insegnamento, del senso e della rotta che la scuola deve prendere, abbiamo interpellato Laura Balbo. Sociologa, già parlamentare e Ministra per le Pari Opportunità, è stata docente universitaria e ha studiato a fondo i problemi del razzismo, delle politiche familiari e del welfare. Ha coniato il concetto di ‘doppia presenza’ per definire il duplice ruolo della donna: riproduttivo nella famiglia e produttivo in quanto lavoratrice nella dimensione pubblica. “Non sono un’esperta della scuola” precisa Balbo, ma non si sottrae alle nostre sollecitazioni pur precisando di essere “decisamente critica” nei confronti di un sistema scolastico che ritiene “usurato e fuorviante”. Un sistema che dovrebbe “riconsiderarlo, il senso dell’imparare, in relazione alla realtà in cui è immerso”. Quindi vede l’insegnamento e la scuola distanti dalle esigenze dei soggetti che la popolano e per cui si impegna, cioè i/le giovani? Certo è difficile pensare che istituzioni molto rilevanti, come le diverse istituzioni formative, stiano andando nella direzione giusta. Nel sistema scolastico dovrebbe esserci maggiore consapevolezza di un mondo che è in cambiamento, che ha molteplici componenti e che è segnato da disuguaglianze. Certo non facile confrontarsi con la complessità della realtà attuale. Per quali ragioni la scuola non è riuscita a leggere la realtà e le sue modificazioni? Credo che ci siano diversi aspetti: uno certamente è il modo di funzionare di

un grosso apparato burocratico, come ce ne sono altri, certo; alcuni si sono un po’ modificati, ma molti sono ancora fermi, arretrati. Un altro fattore è stata la rapidità con cui si sono verificati i cambiamenti negli ultimi decenni. E un altro limite è costituito dal fatto che non si guarda aldilà dei nostri confini; mentre è indispensabile conoscere altre esperienze. È proprio la fase problematica in cui viviamo che ci sollecita in questa direzione: bisognerebbe decidere come cambiare, impegnarsi. Il problema c’è, ed è pesante; fare i conti proprio con questa staticità. La riforma è stata forse un’occasione mancata di dibattito sui contenuti, sui ritardi, sui cambiamenti necessari? Qualche tentativo c’è stato, ma è stato sovrastato dalle resistenze al cambiamento, dagli interessi a non modificare la situazione. Le eccellenze e le buone esperienze ci sono, ma non bastano e rimangono confinate, minoritarie, poco visibili. Per cambiare ci vuole coraggio. Il sistema scolastico tende alla conservazione esattamente come altri settori della società italiana. Considerata la realtà del nostro paese, sarebbe stato eccezionale, per un apparato consolidato e non facilmente modificabile, adeguarsi ai cambiamenti. Siamo un paese complicato, con profonde diversità, nei contesti e nelle risorse disponibili. Bisogna continuare a riflettere su quel che si potrebbe fare, evitando errori. Certo, è doloroso osservare che una scuola prevalentemente popolata di donne è uno degli agenti e dei fattori della conservazione. Come lo spiega? Certamente è un punto di osservazione interessante, che andrebbe maggiormente studiato. Forse le donne sono, e sono 4 segue a pagina 14


Settembre 2016

VIVALASCUOLA | 2

LE FORTI RADICI E I CAMBIAMENTI NECESSARI di Tiziana Bartolini

“È

Recuperare la fierezza per le nostre tradizioni e modificare quello che non va più bene. Intervista a Cristina Comencini

in atto un cambiamento gigantesco e tutte le scuole, non solo quella italiana, sono arretrate rispetto al tempo in cui viviamo. Ovunque c’è il problema di che scuola fare in questo mondo nuovo e noi ce lo ritroviamo esattamente come negli altri paesi”. Cristina Comencini, regista e scrittrice, risponde alle domande di “NOIDONNE” sulla scuola non da “esperta” ma con lo sguardo e la sensibilità di una attenta osservatrice.

La scuola è una cosa enorme. Uno dei punti salienti della società. Dobbiamo tutti sentire una fierezza per la nostra scuola. Soprattutto gli insegnanti devono trovare nella nostra tradizione la forza per andare avanti, consapevoli però che non basta più. Poi le situazioni sono tante e diverse. Mi capita di andare nelle scuole, soprattutto le superiori, e vedo tante differenze tra le varie realtà. Incontro delle eccellenze, ma non sempre e non ovunque.

Chiediamo alla donna, all’intellettuale e anche alla mamma e nonna, quali problemi vede nella scuola?

Quello delle differenze è un tema importante. Ci sono tante buone pratiche, ma spesso rimangono casi isolati e non riescono a fare il passo successivo, cioè essere condivisi su larga scala e diventare sistema. Manca un’idea complessiva?

Tra i problemi più grandi, in generale, vedo i cambiamenti degli strumenti di comunicazione; occorre capire il futuro attraverso l’uso di nuovi strumenti di approfondimento. Sono questioni che riguardano tutto il mondo, mentre un nostro problema specifico sono le strutture scolastiche: antiquate e talvolta fatiscenti. Se faccio un confronto con quello che vedo all’estero mi sembra che abbiano strutture migliori, più nuove delle nostre… poi magari hanno problemi nei contenuti. Noi abbiamo una tradizione molto importante nella scuola. Penso, ad esempio, a Maria Montessori e al suo metodo pedagogico all’avanguardia. Anche il liceo è solido, ha radici profonde che hanno costruito le basi di grandi movimenti. Movimenti che hanno consentito una mobilità sociale, insegnanti che hanno permesso di andare avanti anche a chi non aveva alle spalle una famiglia abbiente o che era cresciuto in case senza libri. Questo non c’è più ed è una questione molto seria. La scuola si deve mettere al centro di questo problema, deve tornare ad essere il motore della mobilità sociale, che è la cosa più importante per una comunità. Le classi medie sono il fulcro di un paese e il fatto che ci possa essere un rimescolamento sociale, che le persone delle classe più modeste possano diventare classe dirigente, è decisivo sotto molti aspetti. È linfa vitale per tutta la società.

Ha citato uno tra i nodi strategici che la scuola deve affrontare…

Sì, un metodo generale condiviso sembra mancare, come per esempio avviene in Francia, mentre da noi prevale un’idea di lavoro individuale. Occorre valorizzare il fatto che ci siano sempre più scuole pubbliche di eccellenza sapendo che questo porta, nei fatti, a innalzare il livello complessivo. Penso anche 4 segue a pagina 14

13


14

Settembre 2016

4 segue da pagina 13 (Intervista a Laura Balbo)

state nei decenni recenti, coinvolte da tanti cambiamenti e impegni nella loro vita quotidiana, tanto da riuscire solo in parte a fare riflessioni e scelte appropriate. In generale il mondo femminile nel suo insieme non è stato protagonista in questi ambiti anche se avremmo forse potuto aspettarci voci più forti da parte di chi stava facendo questa esperienza. Conoscere altri percorsi potrebbe aiutarci. Auguriamoci di essere più aperti, in futuro, ad esempi e stimoli: a imparare, appunto. Qual è, secondo lei, il senso dell’insegnamento, oggi? La scuola dovrebbe attrezzarsi per dare strumenti per vivere quello che viene definito come il lifelong learning, cioè l’imparare continuamente nel corso della vita. Non si impara solo nel percorso scolastico, tutto ci cambia intorno in modo rapido. Occorre apertura mentale per dare strumenti, stimolare la curiosità, avere la capacità di andare a vedere cosa avviene, come ci si organizza in altri contesti. Andare a vedere come gli altri li fronteggiano, e non solo in Europa, non può che essere positivo. Si dovrebbe tenere presente che siamo un “piccolo frammento” in un mondo che si muove, sperimenta, trova soluzioni; e che i grandi cambiamenti ci riguardano tutti. Come vede l’apporto e il ruolo della famiglia nell’educazione? I genitori di oggi non possono utilizzare i modelli del passato e ne devono inventare di nuovi. Il solo fatto di avere uno o due figli rispetto a quando se ne avevano tanti modifica i rapporti, cambia gli equilibri. I metodi ‘tradizionali’ certo non sono adeguati. Vedo in molti genitori disponibilità al confronto e capacità di cogliere i cambiamenti; dunque potenzialità, una varietà di possibili risorse. Ci sono esperienze nuove che possono portare a ridefinire, a sperimentare, a cambiare. La tv e il mondo virtuale hanno un potere negativo? Anche questo è un elemento relativamente innovativo che i precedenti genitori non hanno avuto. Ci sono problemi, certo, ma tendo a portare l’attenzione sugli aspetti positivi che anche la tecnologia può portare. Sceglierei di guardare ai genitori che riescono a trovare modalità di relazione con questi strumenti invece che sottolineare quelli che ne sono vittime. Di nuovo, il complesso sistema sociale attuale ci mostra anche le potenzialità di innovazione che potrebbero essere elemento di cambiamento in positivo. Le sue considerazioni più in generale sull’attuale situazione… Occorre capire che la società non cambia perché arriva una formula, o un’idea

che risolve tutto (o quasi). Bisogna essere consapevoli della complessità della fase attuale, ma anche di risorse e aperture. Questo suggerite, e state facendo, con questa iniziativa. ◆

4 segue da pagina 13 (Intervista a Cristina Comencini)

che la scuola, come la famiglia, sia uno specchio della società. L’una si specchia nell’altra. Osservo, infatti, che nelle città che funzionano meglio anche le scuole sono migliori, pur non dipendendo dall’amministrazione locale. La cosa importante è lo stato d’animo con cui si lavora. Bisogna permettere alle insegnanti di potersi adeguare e di rinnovarsi. Non è qualcosa riconducibile solo dalla loro volontà - che magari alcuni hanno e altri meno - ma che dipende da una possibilità reale di tempo e di economia. L’importante è che la scuola non diventi una routine, soprattutto in un momento di trasformazione così profonda.

il rapporto con le famiglie è un altro aspetto molto delicato… Il rapporto tra scuola e famiglia non funziona tanto, mi pare. La famiglia è sempre prevalente rispetto alla scuola. È come se, in qualche modo, le insegnanti sentissero questa invadenza della famiglia che tende a occupare uno spazio che non è di sua competenza. La famiglia deve essere tale nel momento in cui il ragazzo torna a casa; è lì che i genitori avrebbero tanto da fare... Invece la scuola deve essere il luogo in cui ha inizio il rapporto con l’autorità, con la società…

in conclusione, secondo lei, qual è il senso dell’insegnare e dell’andare a scuola oggi. Per imparare cosa e perché? Si va a scuola sempre per le stesse ragioni, per entrare in contatto con i vari aspetti della cultura intesa in senso ampio; si va a scuola per poter capire se stessi e il proprio mondo; si va a scuola per trovare lavoro, anche se in questo ci sono parecchi altri problemi. Insomma a scuola si va per un apprendimento e una crescita generale. Il problema centrale per gli studenti e per le studentesse è quello della concentrazione, della capacità di applicarsi per il tempo necessario a capire un testo lungo e complesso. Mi rendo conto che negli adolescenti - i nativi digitali - l’abitudine all’uso di questi sistemi veloci di comunicazione ha prodotto una difficoltà ad applicarsi e dopo pochissimi minuti l’attenzione sfugge. È un problema che vediamo in famiglia e che a scuola ha un impatto. Naturalmente la tecnologia non va demonizzata, ma la scuola deve capire che quello della concentrazione così labile è un tema da affrontare. E che va risolto, assolutamente. ◆


Settembre 2016

VIVALASCUOLA | 3

IL PIACERE DELL’APPRENDERE di Nadia Angelucci

AltraMente, scuola di educazione civica e politica indipendente. Intervista a Patrizia Sentinelli

I

nsegnante, sindacalista, impegnata nella politica dei partiti e nei movimenti, deputata e infine viceministra degli Esteri, Patrizia Sentinelli negli ultimi anni è tornata alle origini, alla scuola, con “AltraMente,Scuola per tutti” Che senso dai a questo ritorno alle origini? Il mio lavoro è stato per tanti anni quello di insegnare e di pari passo c’è stata la politica che è diventata impegno totale con il governo Prodi. Dopo la fine di questa esperienza, anche per responsabilità della sinistra, per me si è concluso un ciclo. Ho sentito che le istituzioni politiche erano diventate impermeabili alle domande sociali e rispondenti più alle esigenze del mercato che a quelle delle persone. Tutto ciò mi ha portato a voler fare un’esperienza politica diversa, più vicina ai movimenti e alla vita delle persone, e così siamo arrivati ad AltraMente. AltraMente si propone “la ricostruzione del faticoso piacere dell’apprendere”. Perché ricostruzione e perché proprio educazione? Abbiamo sentito la necessità di riprendere il gusto allo studio e all’approfondimento, di ragionare sui cambiamenti che ci attraversano, sulla globalizzazione, sul pensiero unico. Ci è sembrato che ci fosse bisogno di ricostruire, di ri-interrogarsi sia dal punto di vista delle relazioni che da quello dello scambio e l’educazione informale ci è sembrato il modo migliore di farlo. Lavoriamo con tutte le fasce di età con incontri rivolti agli adulti, con seminari sul potere, sulla politica, sull’economia, sulla finanza; organizziamo laboratori in cui il sapere si coniughi con il saper fare; ci rivolgiamo a ragazzi e bambini consapevoli che apprendere significa anche suscitare curiosità ed emozioni. Poi abbiamo il filone del soccorso scolastico e dell’interazione con l’istituzione scolastica. Cosa è il soccorso scolastico, come nasce e come si pone rispetto alla scuola?

Arriviamo dopo la scuola con un doposcuola dove incontriamo ragazzi e ragazze in maniera anche più libera. Sono studenti che trovano da noi un luogo di accoglienza: si prova a studiare, si gioca insieme, si chiacchiera. Da quest’anno lavoriamo dentro la scuola, nei locali messi a disposizione e che abbiamo rimesso a posto. I nostri servizi sono gratuiti e si svolgono in uno spazio che è molto diverso da un’aula scolastica. Con i partecipanti ci sono relazioni orizzontali; ognuno mette a disposizione quello che sa, ma cerchiamo di lavorare anche con metodologie diverse che ci sembra che la scuola oggi non metta sufficientemente a disposizione. Ovviamente c’è un incontro anche con i docenti che a me sembra soffrano di solitudine. Lavoriamo anche di mattina con una scuola di italiano ai ragazzi stranieri appena arrivati, facciamo laboratori di lettura e di scrittura e abbiamo prodotto con i ragazzi dei libri che abbiamo pubblicato. Tu sei stata insegnante per molti anni e ora torni nella scuola con un altro ruolo; come si è trasformata la scuola nella tua percezione? La scuola è ancora un presidio di democrazia ma ha bisogno di una grande visione, di un pensiero ampio. È uno dei luoghi che non sono stati adeguati alla trasformazione della nostra società. Faccio un esempio: non disconosco la necessità del fatto che un adulto insegni e abbia una sua autorevolezza ma la mancanza di orizzontalità che troviamo nella scuola è sconcertante. D’altra parte è vero anche che questi poveri docenti contemporanei si trovano a fronteggiare problemi complessi, ragazzi di tanti bisogni diversi, sono sommersi dalla burocrazia e perdono il gusto dell’approfondimento verso la didattica. Poi è stata introdotta una sorta di competitività in assenza di un sistema scolastico integrale che tenga insieme tutti verso il medesimo obiettivo. Ci sarebbe bisogno di indicazioni comuni, condivise, di priorità generali e di sostenere i bisogni basilari. La scuola va ripensata con la partecipazione di tutti e tutte. ◆

15


16

Settembre 2016

VIVALASCUOLA | 4

IL LUOGO DELLA COMPLESSITÀ di Nadia Angelucci

GIOvANI CON MENO CApACITÀ dI ATTENzIONE E dOCENTI CHE NON SONO pIÙ puNTO dI RIFERIMENTO dELLA SOCIETÀ. LA TESTIMONIANzA dI lAURA De MATTHeIS, INSEGNANTE dI SCIENzE, E IL puNTO dI vISTA dI CHI SIEdE TRA I BANCHI

“P

rima di laurearmi mi fu proposta una supplenza e la relazione con i ragazzi mi ha entusiasmato.” Laura De Mattheis insegna Scienze dal 1989, da circa dieci anni in un Istituto Tecnico Industriale e Liceo Scientifico delle Scienze Applicate. Quello che emerge dalla lunga chiacchierata con lei è l’entusiasmo e la passione unite ad una visione lucida della complessità della scuola che De Mattheis conosce molto bene sia sul versante dell’insegnamento frontale che su quello degli obblighi burocratici, avendo svolto a lungo il ruolo di collaboratrice dell’Ufficio di presidenza. “La grande varietà di situazioni di cui noi docenti siamo il terminale è sicuramente il tratto più complicato, e affascinante, che ci troviamo ad affrontare. Partiamo dall’ubicazione del comprensorio scolastico in cui lavoro: la sede centrale è Labaro Prima Porta, periferia nord di Roma, e la succursale è a Ponte Milvio, quasi centro della città. Abbiamo, come si può immaginare, due utenze molto diverse, circa 800 studenti e classi molto numerose. Già questo dovrebbe raccontare la grande varietà di situazioni che ci troviamo a dover sostenere a fronte di risorse non sempre adeguate a cui suppliamo con l’impegno personale e la buona volontà. E non è solo

un problema di provenienza degli alunni. La scuola deve garantire un’attenzione individualizzata a persone che hanno esigenze e bisogni differenti. Parlo di ragazzi e ragazze con disabilità, di studenti che hanno DSA (Disturbi Specifici dell’Apprendimento), o BES (Bisogni Educativi Speciali). Sono ragazzi che hanno bisogno di strumenti compensativi, di una didattica ad hoc, e in alcuni casi di insegnanti di sostegno. Tutto questo, che è un diritto, necessita risorse e programmazione, oltre che preparazione, specifiche. Inoltre io ritengo che una didattica personalizzata andrebbe costruita per ogni studente. La scuola dovrebbe essere in grado di pensare a percorsi specifici per ogni ragazzo e ragazza. Ma i mezzi che abbiamo sono minimi.

Come è questa nuova generazione di giovani che ti trovi davanti? È facile dire che adesso i ragazzi sono meno attenti e studiosi; in parte è così anche se il mio è un osservatorio particolare, di periferia. Ci sono ragazzi a cui viene data un’opportunità di migliorare, a volte la sanno sfruttare e a volte no. Quello che posso dire è che c’è una minore capacità di attenzione. All’esterno della scuola hanno molte sollecitazioni ma sono istanze povere di contenuti e la scuola deve riempire questi vuoti a cui spesso le famiglie non rispondono. Poi ci sono i ragazzi stranieri, le nuove generazioni, che sono abbastanza consapevoli del fatto che scuola sia una grande opportunità per loro, sia dal punto di vista dell’approfondimento che per la possibilità di creare una rete sociale. Sono ragazzi che spesso vengono da situazioni di difficoltà e vanno sostenuti. Anche se la mia impressione è che ci sia un disagio diffuso. Parlando con gli studenti, con le famiglie, vengo a conoscenza di tante situazioni complicate e mi chiedo come faccia un giovane di 16 anni a sostenere un carico così pesante. La scuola dovrebbe essere anche un luogo di conforto, mi piace l’idea che vengano qui e stiano bene. Quando alcuni colleghi tendono a sottolineare che uno studente non ha studiato credo che dovremmo farci la domanda del perché non ha studiato, cosa ho fatto io perché lui potesse studiare e scegliere di impegnarsi.


Settembre 2016

e i docenti? Come stanno? Devo dire che in grande maggioranza c’è motivazione all’insegnamento e spirito di collaborazione. Dato che siamo sottopagati, e sommersi da obblighi burocratici e da grande complessità, non sempre le novità vengono accolte. Sentiamo forte la nostra perdita di significato sociale, non siamo più riconosciuti come una categoria di persone essenziali per la società, né dalle istituzioni né dalle famiglie. Una carta vincente della scuola è la cooperazione tra colleghi, l’interdisciplinarietà, la creazione di uno stile e di una modalità di lavoro comune. Una dicotomia, molto forte e poco risolvibile se non si avanza con un pensiero più ampio e condiviso, è tra le sollecitazioni che arrivano a fare una didattica più accattivante, che usi la tecnologia e renda protagonisti i ragazzi, e ciò che arriva dal MIUR che è molto più statico e che però vincola nel momento delle valutazioni e degli esami. ◆

teCnoLoGie Per trasMettere i saPeri susanna, 18 anni, liceo classico Tasso del centro di Roma ho avuto l’opportunità di frequentare per sei mesi una scuola in argentina, a buenos aires. la differenza più grande è stata quella di percepire meno distanza tra i professori e gli studenti, forse anche per la giovane età dei docenti. le lezioni erano più partecipative, si richiedeva sempre il coinvolgimento degli studenti anche nella pianificazione, e il legame all’attualità era forte. la scuola serve ma dovrebbe essere usata meglio per dare delle opportunità a tutti a partire dall’uso delle tecnologie che è legato anche a come viene trasmesso il sapere. la didattica è molto unidirezionale e non mira a sollecitare lo studente, né a stimolare un pensiero critico. nella mia scuola ideale ci dovrebbero essere meno ore di studio, soprattutto a casa, e più possibilità di aprirsi ad altre realtà culturali con attività esterne. ci dovrebbe essere più approfondimento verso temi legati all’attualità e più spazi comunitari anche per lo scambio tra gli stessi studenti.

DoCenti senZa aMore Per L’inseGnaMento Meggy, 20 anni, ha appena finito il liceo classico Pilo Albertelli di Roma a sCUoLa Per iMParare a stare insieMe Gabriele, 16 anni, liceo scientifico Joyce di Ariccia, ha deciso di passare un anno all’estero volevo vedere con i miei occhi come funziona un sistema scolastico diverso dal nostro; avevo scelto di fare un’esperienza in un paese che avesse un’impostazione più anglosassone ma alla fine andrò in serbia che ha una struttura simile alla nostra. volevo anche capire quanto fosse vero che la scuola in altri paesi è vista come occasione di crescita e riscatto sociale, cosa che qui in italia non accade da tanti anni ormai. se mi guardo intorno vedo che molti ragazzi scelgono un corso di studi senza convinzione e poi non sono conseguenti nello studio e nell’impegno e a volte anche i professori lasciano andare le cose. penso che la scuola serva, non solo come luogo di trasmissione di nozioni ma anche per imparare a stare insieme agli altri. nella scuola dei miei sogni mi piacerebbe che ci fosse più attenzione alla pratica, ai laboratori, e più partecipazione degli studenti nelle decisioni e nella valutazione di come i saperi vengono trasmessi.

la scuola è stata utile per me, non solo dal punto di vista della mia preparazione. ho perso un anno in terza liceo. È stata una brutta esperienza che però mi ha fatto crescere. all’inizio l’ho vissuta come un’ingiustizia ma ho affrontato gli anni successivi cercando di dimostrare che avevano sbagliato. quello che ho notato è che c’è una stigmatizzazione verso chi viene bocciato e raramente viene data una seconda opportunità. se non rientri in un certo standard non va bene; e questo è palese se pensi che gli studenti vengono giudicati solo attraverso un numero. spesso non vengono prese in considerazione le caratteristiche individuali e le virtù di ciascuno. non viene valutata la capacità di relazionarsi a livello interpersonale e la capacità di lavorare in squadra; siamo spinti alla competizione individuale e non alla solidarietà e all’interazione con gli altri laddove ognuno potrebbe dare il meglio di sé per un progetto comune. in fondo la scuola è una riproduzione del mondo esterno. questo accade verso di noi e anche verso i professori. mi sembra che ci siano docenti che hanno amore per quello che insegnano e che siano capaci di far innamorare gli studenti ma anche loro sono fagocitati da chi ha un approccio più accademico; è come se questa loro caratteristica, che dovrebbe essere centrale in una relazione educativa, passi sempre in secondo piano rispetto ad altri obblighi burocratici.

17


18

Settembre 2016

VIVALASCUOLA | 5

IL PATTO EDUCATIVO DI UNA MAESTRA DA NOBEL di Elena Ribet

IL RINNOvAMENTO NELLA SCuOLA dEvE pARTIRE dAGLI AduLTI, dOCENTI E GENITORI, pER FARE RETE NELL’INTERESSE dEI BAMBINI/E. BASTEREBBE pOCO dICE BARBARA RICCARDI, LA MAESTRA FINALISTA AL GLOBAL TEACHER PRIZE

B

arbara Riccardi è l’unica italiana finalista del Global Teacher Prize 2016, il “Nobel” per l’insegnamento. Maestra a Spinaceto (quartiere periferico di Roma) ha da poco festeggiato 50 anni.

Quali sono secondo lei i maggiori problemi della scuola italiana oggi? Perché parlare sempre dei problemi? Non possiamo parlare delle cose belle?

Così anticipa la seconda domanda. Quali sono le potenzialità della scuola italiana oggi? Credo sia necessario un rinnovamento del pensiero da parte del mondo adulto. Mi rivolgo sia ai docenti che ai genitori. Noi siamo d’esempio, se non ci mettiamo in gioco in prima persona non possiamo pretendere che i ragazzi e le ragazze possano attuare un cambiamento in solitudine. Lo possiamo fare attraverso la formazione, per non

rimanere indietro rispetto a quelle che sono le loro esigenze e per catturare la loro attenzione, la loro voglia di formarsi e di venire a scuola.

Come vede l’educazione di domani? Si tratta di mettere in pratica le competenze di ognuno e metterle a frutto per il bene comune, sopperire alle mancanze materiali della società, facendo rete fra istituzioni, scuole, genitori e nonni.

nel recente documentario di Michael Moore, la ministra dell’educazione Finalndese, Krista Kiuru, afferma che gli alunni e le alunne “dovrebbero avere più tempo per essere bambini”. in Finlandia i compiti a casa sono addirittura considerati obsoleti e i bambini vanno a scuola per 20 ore settimanali. Cosa ne pensa? Mi ritrovo moltissimo nelle parole di Krista Kiuru. La mia idea è di non annoiare me stessa e di non fare annoiare loro. Come insegnanti dobbiamo imparare a essere come il pifferaio magico. Il gioco è la prima forma magica che porta poi a impegnarsi, studiare, apprendere, lavorare, a mettere in risalto i valori e le competenze. Il mio modo di essere docente è fare didattica ed esperienze attraverso l’ironia e la creatività, la cooperazione e la collaborazione del gruppo classe, dove inventiamo e progettiamo “isole di lavoro”. Progetti come il laboratorio di cinema, il tg scolastico, il bricolage, l’orto didattico o la ceramica ci permettono di confrontarci fra noi e di mettere a frutto il meglio di ciascuno. Ma questa didattica non è poi così innovativa: il nostro percorso storico ha radici forti, a partire da Montessori fino agli anni 2000, ora si tratta di adeguare quel tipo di visione sulle tecnologie e i linguaggi che abbiamo a disposizione.

nello stesso documentario sopra citato, a un certo punto, si dice che la scuola “riguarda il trovare la tua felicità, trovare il modo di imparare ciò che ti rende felice”… Sì, pensiamoci. Come è possibile che oggi al suonare della campanella io veda bambini e bambine felici di entrare a scuola? Ai miei tempi si piangeva, si cercava il modo di nascondersi. La felicità è contagiosa, chi desidera fare l’in-


Settembre 2016

segnante, non come un lavoro “normale”, ma come modo di essere, vuole regalare una parte di sé, curare e veder crescere le piantine, vedere queste piantine fiorire e dare frutti che sono a loro volta dei doni per tutti. Questo è uno dei lavori più belli e ha a che fare con la reciprocità. Anche noi insegnanti facciamo progressi grazie a chi “impara”, lo scambio vicendevole ci aiuta a costruire insieme una didattica su misura, perché non possiamo mettere, o far mettere, un vestito che non ci è proprio. Non parlo di una didattica invasiva seduti al banco, ma di una didattica in cui ad esempio, per costruire il tg della scuola, ci sarà qualcuno che farà il cameraman, qualcuno che scriverà i titoli, qualcuno che preparerà il ciak, qualcuno che penserà alla colonna sonora, e così via. Solo sperimentando fin da subito le forme lavorative possiamo tirar fuori la gioia di dimostrare cosa vogliamo fare, cosa sappiamo fare. Ho parlato con dei ragazzi di altre città e alcuni mi hanno chiesto: perché non possiamo fare anche noi percorsi così? Questa è la denuncia dei ragazzi: insegnanti che non sorridono, che non si mettono in gioco; non va bene il nostro modo stantio, fermo, apatico; cosa trasmettiamo? I ragazzi hanno bisogno di un tempo tranquillo, dove sentirsi accolti, sostenuti nei loro bisogni, nelle loro diversità, nei loro desideri individuali.

Quando parla di formazione per genitori e insegnanti, cosa ha in mente in particolare? La cosa che funziona tantissimo secondo me (sia come percorso personale che professionale) è creare una alleanza scuola e famiglia per tracciare insieme un percorso educativo, un patto edu-

cativo. Capire insieme obiettivi e bisogni: insieme dobbiamo raggiungerli, a scuola, ma anche a casa dove i processi di imitazione sono altrettanto significativi. A volte vedo bambini e bambine piene di paure, di ansie da prestazione, in un confronto continuo che li mette in competizione fra loro. Dobbiamo imparare a gestire queste dinamiche, migliorare, senza tirarci indietro rispetto alle relazioni e ai bisogni educativi. Attingere alle tante belle esperienze che ci sono, anche in altre realtà come la nostra, dove si fa formazione interna alla scuola, con genitori e docenti insieme, con psicologi e counselor, trovando spazi e tempi pacati, morbidi, in cui genitori e figli lavorano insieme in un percorso che porta a condividere emozioni e all’instaurarsi di un dialogo più profondo. Noi insegnanti spesso siamo focalizzati al compito, a finire il programma, così poi abbiamo la coscienza a posto, ma noi dobbiamo formare gli uomini e le donne del domani. Dalla mia candidatura al Global Teacher Prize ho visto che basta poco per vedere il bicchiere mezzo pieno: ci sono tante insegnanti che ci credono. Insieme si possono fare molte cose belle, facendo rete. ◆

19


20

Settembre 2016

VIVALASCUOLA | 6

HANAN AL HROUB L’EDUCAZIONE COME RESISTENZA di Cecilia Dalla Negra

ALLA pALESTINESE HAnAn Al HROUB È STATO ASSEGNATO IL pRESTIGIOSO GLOBAL TEACHER PRIZE 2016. uN MILIONE dI dOLLARI CHE FINANzIERANNO BORSE dI STudIO pER ALTRE dONNE CHE dIvENTERANNO INSEGNANTI

I

finalisti erano 8mila, provenienti da Stati Uniti, Pakistan, Giappone, Regno Unito, Finlandia, Australia e India. Ma alla fine la giuria ha deciso che l’insegnante migliore del mondo fosse lei. Hanan Al Hroub, 43 anni e 5 figli, nella primavera scorsa è stata insignita del prestigioso Global Teacher Prize 2016, il premio per l’Educazione assegnato dalla Varkey Foundation come riconoscimento del valore pedagogico, ma soprattutto sociale, del lavoro degli insegnanti. Colleghi e amici raccontano che Hanan non riusciva a credere di essere stata selezionata. Lei, nata e cresciuta nel campo profughi di Dheisheh, a sud di Betlemme, dove oppressione e discriminazione sono all’ordine del giorno. Dove la violenza dell’occupazione israeliana è routine quotidiana, tanto che chiunque può trovarsi gravemente ferito, colpito da una pallottola, solo perché sta tor-

nando a casa nel momento sbagliato. Come è successo a suo marito, davanti agli occhi dei figli che da quel giorno porteranno un trauma nel cuore: farli studiare e concentrare diventerà un’impresa. Ed è così che Hanan decide di lasciare il lavoro e dedicarsi a loro inventando un metodo che li riavvicini ai libri attraverso il gioco. Che li faccia sentire compresi, perché quell’aggressività, quell’iperattivismo, non sono che una reazione alla violenza che si respira ogni giorno. Il metodo di Hanan funziona tanto bene che decide di cambiare corso di laurea e diventare un’insegnante. Prende servizio nella piccola scuola del campo profughi, e applica il metodo usato con i figli a tutte le sue classi. Prepara un manuale - “Giochiamo e Impariamo” - e i voti degli alunni, come per magia, migliorano. Insegna loro l’ascolto attivo, la cura per l’altro, la pazienza, la nonviolenza. L’accettazione della sconfitta, il controllo della rabbia. E il finale di questa storia, per una volta, è lieto: i bambini sono più sereni, i colleghi di Hanan la seguono, e dalla periferia del mondo si ritrova su un palco di Dubai per ritirare un premio da 1 milione di dollari, che deciderà di devolvere in borse di studio per altre donne che vogliano diventare insegnanti. E così, scrive con la sua vita un’altra pagina di quel capitolo che racconta del filo rosso che lega le donne di Palestina alla lotta per l’educazione. Lo dice chiaro, Hanan: “L’istruzione è un diritto umano, ed è la nostra sola arma per cambiare questo mondo, rendendolo più giusto. I nostri bambini hanno il diritto di vivere la propria infanzia in pace”. Che l’istruzione fosse un’arma, le donne palestinesi lo capiscono all’inizio del Novecento, quando danno vita alle prime forme aggregative femminili. Perché se in anni più recenti la loro partecipazione politica all’Intifada (1987-1993) sarà un esempio di protagonismo di genere per tutto il mondo, per risalire ai primi passi di questo percorso bisogna tornare indietro nella storia. Quando la prima rivendicazione - quella di sempre - sarà


Settembre 2016

proprio la parità di accesso al sistema educativo, il diritto all’alfabetizzazione e all’istruzione. Anche per le donne. Anche se contadine. Nascono così le prime associazioni assistenziali femminili, che dalle città muovono verso le campagne organizzando classi di studio per le più giovani e disagiate. E ancoranel 1948, l’anno terribile della Nakba, quando le sorelle Khorsheed daranno vita al gruppo “The Chrysanths Flower”, prima formazione armata palestinese tutta al femminile, che alla militanza attiva affiancherà corsi di sostegno per quelle donne che non avevano potuto permettersi gli studi. Fino ai Comitati politici femminili che sorgeranno nel corso degli anni Sessanta e Settanta, quando all’attivismo politico si unirà l’impegno per garantire un’educazione a tutte. “Ci hanno rubato la terra perché non eravamo abbastanza preparati”, sostiene Hanan, ripercorrendo la storia del suo martoriato paese. “Ho scelto di diventare insegnante per accompagnare una generazione che sia consapevole dei suoi diritti, e sappia crescere in pace”. Anche per questo, per limitare conoscenza e consapevolezza ed esercitare meglio il controllo, in oltre 60 anni di occupazione militare scuole ed atenei palestinesi sono state spesso un target per Israele. Negli anni dell’Intifada molte verranno chiuse - storica resterà la vicenda dell’Università di Birzeit - direttori e dirigenti saranno arrestati ed esiliati: le lezioni però continueranno, organizzate in modo clandestino nelle

case e nei garage, pur di garantire continuità ad un giovane popolo come quello palestinese, che ha sempre attribuito un valore fondamentale alla cultura. Sforzi che gli varranno uno dei più alti tassi di istruzione del mondo arabo, pari al 96,4%, in una società nella quale il 40% della popolazione ha meno di 15 anni e gli studenti sono oltre 1 milione e 172mila*. Hanan è una delle oltre 54mila insegnanti palestinesi che, nonostante le violenze, i soprusi e le difficoltà di movimento causate dall’occupazione militare, continua a lavorare con i suoi studenti ogni giorno. Ed è a loro ed ai suoi colleghi che ha voluto dedicare il premio, assegnato proprio mentre le piazze di Ramallah si riempivano di insegnanti come non accadeva da anni: in sciopero, contro l’Autorità Nazionale palestinese, per rivendicare almeno stipendi degni, laddove le buste paga raramente superano i 600 dollari mensili. Una lotta politica e culturale la loro, che svolgono il compito di tramandare una memoria rimossa dall’occupazione, insegnare una storia che è stata annientata dalla narrazione egemonica dell’altro, difendere un’identità collettiva negata cominciando proprio dai più piccoli. Da quelle nuove generazioni di cui Hanan ha intravisto il potenziale e difeso i diritti, unendo alla propria professionalità una sensibilità che aggiunge un tassello alla duplice lotta delle donne palestinesi: contro l’oppressione israeliana e quella patriarcale, per affermare insieme libertà e parità. E forse non è un caso, allora, che la scuola in cui insegna sia intitolata a Samiha Khalil, pioniera delle lotte per l’emancipazione femminile, costretta a lasciare gli studi a 17 anni per dedicarsi alla famiglia, ma tanto determinata da tornare tra i banchi quarantenne. Nel garage di casa sua creerà quella che diventerà una delle più importanti organizzazioni femminili di assistenza per le donne, e da militante del Fronte Democratico per la Liberazione della Palestina sarà la prima e l’unica donna a sfidare Yasser Arafat per la leadership dell’Autorità Palestinese, nel 1996. ◆ *Dati 2015. Fonte: Palestinian Central Bureau of Statistics

21


22

Settembre 2016

DEL COACHING

O DELLE PROMESSE DI CAMBIAMENTO di Silvia Vaccaro

Un settore in crescita con un’ampia presenza femminile e tante possibili declinazioni, una per ogni ambito della vita. Intervista alla coach Giovanna Giuffredi

Q

uante volte ci siamo sentite inadeguate, in affanno, o incapaci di stabilire obiettivi e priorità nella nostra vita? Probabilmente è accaduto a molte di noi almeno una volta. Cosa fare in quei casi? A chi rivolgersi? Se ad affliggerci non sono traumi familiari o disturbi relazionali complessi per i quali occorre uno psicologo o uno psicoterapeuta, bensì ci danniamo su questioni concrete, come, per fare due tra i tanti esempi, la crescita professionale o il rapporto con il proprio corpo, si può pensare di ricorrere a un coach. Figura a metà tra il formatore e il trainer nata per accompagnare lo sviluppo dei manager in azienda in America negli anni ‘90, oggi il coach diventa personal oltre che tutor aziendale e il suo campo d’azione si allarga a diverse sfere di interesse, tanto che alcune stime, basate su un’indagine dell’International Coaching Federation Global su coaching, consulenza e formazione in 15 Paesi, parlano di un giro d’affari di due miliardi di dollari nel mondo. Di questi, circa 850 milioni in Europa e una ventina in Italia dove, nonostante la crisi, o forse proprio in ragione di essa, attività e fatturato sono aumentati negli ultimi quattro anni del 20 per cento. Di cosa significhi essere coach e delle ragioni della crescita del settore ne abbiamo parlato con Giovanna Giuffredi, una delle massime esperte di coaching in Italia. Oltre a essere un Professional Certified Coach, Giovanna è CEO di Life Coach Italy s.r.l, Direttrice didattica di Advanced Coach Academy e Direttrice editoriale della rivista di settore ‘Coaching Time’.

Quando e perché ha deciso di diventare coach? È stato un cammino a tappe, per progressioni successive, attraverso cambiamenti e passaggi tra professioni solo apparentemente simili. Solo per citare le tappe più salienti, dopo la laurea in psicologia, ho approfondito il counselling rogersiano e la psicoterapia sistemico-relazionale e ho lavorato come consulente nell’orientamento scolastico, universitario e professionale per molti anni. In seguito, come psicologa del lavoro ho seguito molte aziende e come valutatrice di programmi comunitari mi sono dedicata alle analisi dei progetti finanziati nel mercato del lavoro. Nel frattempo sono diventata giornalista pubblicista e avevo ancora i miei pazienti, ma c’era di fondo qualcosa che mi spingeva a fare altri cambiamenti. Il filo conduttore è riconducibile alla ricerca di una dimensione professionale appagante che per me corrisponde alla possibilità di aiutare le persone a sviluppare le loro potenzialità. E solo quando ho incontrato il Coaching, ho lasciato andare tutte le altre professionalità, per dedicarmi completamente a questo straordinario approccio, che utilizzo al cento per cento nel mio lavoro, con i clienti privati, nelle aziende, nella formazione dei futuri coach e per diffondere la cultura del Coaching. Ho quindi fondato Life Coach Italy una società di servizi, una Scuola di Coaching, Advanced Coach Academy e un giornale online dedicato a questo approccio, ‘Coaching Time’.

Il mestiere del coach non è regolamentato da un albo professionale al momento e può capitare di fare confusione tra formatore, coach, o psicologo? Cosa ha di diverso un coach rispetto ad altri professionisti?

Il Coaching oggi in Italia è regolamentato dalla legge n°4 del 14 Gennaio 2013 (Disposizione in materia di profes-


Settembre 2016

sioni non organizzate) e il 12 novembre 2015 è stata pubblicata la Norma Tecnica UNI 11601. Il coach è un professionista che affianca il cliente, non insegna né consiglia, ma propone buone domande e feedback diretti, per stimolare il flusso dei ragionamenti. Non trova soluzioni, ma aiuta il cliente a trovare le sue risorse interiori per generare le “sue” soluzioni e accelerare processi decisionali, con la massima fiducia nella capacità del cliente di trovarle. Il Coaching non ha una funzione riparativa né tanto meno terapeutica, ma di sviluppo e miglioramento. Non si indagano mai le aree del disagio e della sofferenza, ma si lavora sul futuro desiderato.

Data la sua lunga esperienza nel settore, può dirci se ha riscontrato differenze sostanziali nelle richieste e nell’approccio dei suoi clienti in base al sesso di appartenenza?

Direi che le donne tendono a lavorare maggiormente per sviluppare una migliore percezione di sé e autostima. Cercano maggiore autonomia, vogliono cambiare o trovare lavori che le appassionino. In ambito professionale chiedono spesso di essere affiancate per valorizzare il proprio ruolo e gestire il giudizio dei superiori o dei collaboratori. Gli uomini dedicano con grande frequenza il coaching per migliorare capacità relazionali e comunicative, per implementare il proprio business e sviluppare una leadership efficace.

Chi si rivolge a lei per un percorso di coaching? Nelle grandi aziende il coaching è rivolto soprattutto al il top management e lavoro sia con gli Executive one-to-one che con i team di lavoro. Da diverso tempo anche le Piccole e Medie Imprese hanno scoperto i risultati straordinari del coaching per raggiungere più facilmente risultati e migliorare la produttività. In ambito privato, seguo professionisti in tutti i campi, da quello sanitario, artistico, tecnico, commerciale e altro. E molte persone che vogliono invece lavorare solo sulla dimensione personale delle relazioni affettive o famigliari, o per ridisegnare il proprio futuro.

Considerando il periodo storico economicamente duro e il tasso di occupazione femminile italiano più basso della media europea sopratutto al centro e al sud, crede che il coaching sia un ambito di sviluppo professionale in cui le donne possono trovare opportunità concrete di autonomia e realizzazione professionale? Tra i coach le donne sono in netta prevalenza, circa il 60%, anche ai vertici dell’International Coach Federation Italia. Il mercato è ancora in crescita in Italia. Nel mondo i coach ICF sono circa 32mila presenti in 138 paesi.

Di recente ha pubblicato un libro “L’onda del coaching” edito da Piccin, in cui racconta e spiega moltissimi aspetti di questo affascinante mestiere. Cosa consiglierebbe da coach a una delle tante giovani senza lavoro o che vive un momento di difficoltà e disorientamento?

Da coach farei delle domande per aiutare a fare chiarezza, tra i tanti aspetti che riguardano un ri-orientamento. Ad esempio: che cosa ti piace fare? In quale contesto ti piacerebbe lavorare per stare bene? (Area degli interessi); Di che cosa hai bisogno per provare soddisfazione e sentirti realizzata? (Area delle Motivazioni); In quali attività riesci meglio senza fatica? (Area dei Talenti); In che cosa credi profondamente? Che cosa è veramente importante per te? (Valori); Dove vuoi arrivare? Quale meta vuoi raggiungere? (Aspettative, progettualità). Si tratta di stimolare prima di tutto buone risposte per sviluppare consapevolezza di sé. Poi si esplorano possibili vie d’azione, realistiche, costruire un progetto lavorativo o professionale.❂

23


24

Settembre 2016

CONDIVISIONE DEI SAPERI E DEI SAPORI di Tiziana Bartolini

Con “La Terra e le sue Donne” a Sarzana l’8-9 ottobre Donne in Campo mette in bella mostra la sua ricchezza

A

rriva la terza edizione di “La Terra e le Sue Donne”organizzata da Donne in Campo-Cia Liguria a Sarzana (La Spezia). Sarà la suggestiva Fortezza Firmafede ad ospitarla l’8 e il 9 ottobre 2016. L’evento, molto atteso, è incentrato sul lavoro delle donne in agricoltura, sulla tutela del territorio e la valorizzazione dei prodotti agricoli. Il fulcro della due giorni è l’esposizione e la vendita dei prodotti lavorati nelle aziende gestite da imprenditrici e provenienti da tutta Italia. Accanto ai prodotti della terra sono previste numerose iniziative. Si va da un piccolo mercato di artigianato femminile locale ad una mostra fotografica dedicata al lavoro nei campi delle donne, dalle sedute di yoga al massaggio sonoro. Particolare cura è posta nell’organizzazione dei

laboratori didattici per bambini e bambine con: laboratori orto-emotivi, antichi giochi e molte altre piccole attività. Grandi e piccini, insieme, potranno creare il loro “giardino segreto” e scoprire le meraviglie del laboratorio “Zucca in fiore”realizzato anche quest’anno da Simona. “Le precedenti edizioni hanno incontrato l’attenzione del pubblico e per l’associazione sono state preziose occasioni di far conoscere e apprezzare a tanta gente il nostro mondo e il nostro lavoro. Così abbiamo deciso di accogliere la richiesta, arrivata da più parti, di rinnovare l’appuntamento e la disponibilità dell’amministrazione comunale di Sarzana che ci ha concesso che l’evento diventasse un appuntamento fisso annuale. Barbara Fidanza, presidente regionale Donne in Campo-Cia Liguria è tra le ideatrici

e organizzatrici dell’evento e spiega qual è l’evoluzione del progetto. “La novità di questa terza edizione è il convegno, previsto per sabato 8 alle 10,30 che vedrà, oltre ai molti relatori, la presenza del presidente nazionale Cia Dino Scanavino e dell’assessore regionale all’agricoltura Stefano Mai. Quello che ci interessa in quella occasione è il coinvolgimento delle giovani generazioni e la discussione con loro sul futuro dell’agricoltura. Non a caso il titolo del convegno è ‘Donne e Agricoltura oggi: l’innovazione al


STRATEGIE

PRIVATE femminile’. In quella cornice varie aziende si racconteranno e ci sarà l’intervento degli studenti e studentesse dell’Istituto Agrario di Sarzana con cui illustreranno il loro ultimo progetto sulla biodiversità dei semi”. Il sabato pomeriggio è previsto un incontro sul tema ‘I Fermentati thailandesi’, organizzato a cura di Francesca Boreanaz, dell’azienda agricola ‘Il Filo di Paglia’. La domenica mattina Daniela Vannelli, presidente regionale Donne in Campo e responsabile Slow Food Toscana per l’olio, tiene un laboratorio di approfondimento e degustazione di olio . “Il cibo tra salute e malattia: il ruolo della donna per un nuovo paradigma” è il tema dell’incontro con il dottor Alberto Fiorito, previsto per domenica pomeriggio, in cui si affronteranno i temi del cambiamento delle abitudini alimentari negli ultimi 50 anni evidenziando il rapporto tra cibo, nuovi stili di vita e salute al fine di illustrare la necessità di assumere una piena consapevolezza di come assicurare la salute alle future generazioni. In questo senso l’incontro sarà occasione, anche grazie al dibattito previsto, per prendere coscienza di quanto sia fondamentale il ruolo delle donne come artefici e punti di riferimento per la diffusione di questo messaggio. “La Fortezza sarà letteralmente inondata dalla creatività femminile che si esprimerà attraverso la aziende agricole, i prodotti artigianali, le associazioni, le artiste fino alle professioniste. Saranno due giorni trascorsi all’insegna del ritrovarci tutte insieme, per conoscerci e farci conoscere, per fare rete ed essere più forti”. Fidanza è entusiasta perché, spiega “Donne in Campo è un’associazione aperta alla partecipazione di tutte e alla larga condivisione dei suoi principi ispiratori”. Una collaborazione cui Donne in Campo-Cia Liguria tiene molto è quella che si realizza da tempo con l’Associazione Vittoria che si occupa delle donne vittime di violenza e che si rinnova anche con la presenza nella due giorni. Altre realtà no profit porteranno i loro messaggi sociali: dalla ricerca, con Telethon, ai cuccioli in cerca di famiglia di cui si occupa l’Associazione Aronne. ❂

Luglio-Agosto 2016

di Cristina Melchiorri

L’ARTE DI BUTTARE SENZA SENSI DI COLPA! Sono Leda faccio la commercialista e devo traslocare l’ufficio. Il mio socio, maniaco dell’ordine, mi indurrebbe a eliminare il più possibile prima di passare ai nuovi locali, che saranno più piccoli. A me dispiace eliminare libri vecchi e vari oggetti accumulati nel tempo, anche se so che non mi serviranno. Pensavo di traslocare tutto poi scegliere con calma quando sarò nell’ufficio nuovo…chi ha ragione? Leda Errico (Lodi) Cara Leda, ha ragione lui. Capisco la tua riluttanza a buttare. Siamo stati educati da una generazione di genitori cresciuti durante la Seconda Guerra mondiale, per i quali possedere cose era di vitale importanza. Dal dopoguerra in poi, il consumismo è dilagato, e noi ci ritroviamo case e uffici pieni zeppi di oggetti, utili e inutili. Cose che amiamo, e per questo è bene tenerle, o che amavamo quando le abbiamo comprate, ma che ora ci lasciano indifferenti. Queste ultime vanno eliminate. Buttare ciò che è inutile è catartico, libera lo spazio in cui viviamo e lavoriamo, libera la mente e riordina le idee. Lo spazio è un costo, di affitto, gestione, pulizia. Ma soprattutto, gli oggetti che intasano gli spazi tolgono energia vitale! Elimina ora tutto quello che non serve, come le vecchie dispense giuridiche. Tutte le informazioni sulle nuove norme e circolari che ti servono per il tuo lavoro le trovi su internet, aggiornate in tempo reale. Combatti la tentazione di dirti “mi potrebbe servire, per adesso lo metto da parte poi valuterò”. Leggi un paio di libri “Il magico potere del riordino” di Marie Kondo, e “L’arte di Buttare” di Nagisa Tatsumi, editi da Vallardi. In sintesi, due sono le regole: tieni ciò che ami, (o che devi tenere per legge), e ama ciò che tieni, (e usa tutto quello che hai!). Riordina per categorie, e non per luogo. Metti insieme tutti i libri e scegli di tenere solo quelli che ami. Il resto, via! Fai lo stesso riunendo e valutando tutta la cancelleria, poi tutti i soprammobili, ecc.. Allenati magari in casa, cominciando con i vestiti dell’armadio. Sono tanti anche i tuoi, vero? Non concentrarti su quello che elimini, ma su ciò che scegli di tenere perché lo ami. Ti abituerai così a riconoscere e distinguere ciò che ami da ciò che tieni per abitudine…Magari ti servirà anche con le persone….

25


26

Settembre 2016

DALL’EST CON FURORE. LETTERARIO/2 Scrittrici e migranti

Secondo (e ultimo) appuntamento con le migrant women writers, scrittrici migranti dell’Europa Centro-Orientale che pubblicano in lingua italiana di Cristina Carpinelli

T

ra le migrant women writers considerate, un’attenzione particolare meritano la slovacca Jarmila Očkayováe l’albanese Anilda Ibrahimi. La prima, oltre ad aver pubblicato Verrà la vita e avrà i tuoi occhi, che è stato il suo romanzo d’esordio, ha scritto altri racconti che vale la pena ricordare. Uno di questi è Occhio a Pinocchio (Cosmo Iannone, 2006). Originale rielaborazione del classico di Collodi, in questo libro Jarmila Očkayová sottolinea come gli umani non abbiano imparato quello che il burattino (ricavato da un vecchio pino) dalle sembianze umane con “l’anima millenaria del bosco” ha, invece, assimilato, crescendo dentro quel complesso ecosistema che è, appunto, il bosco. È un appello a conoscere, comprendere e a rispettare la diversità; tema ricorrente nei lavori della scrittrice slovacca. Il romanzo è denso di motivi fiabeschi, onirici e junghiani. Motivi che caratterizzano un po’ tutta la produzione letteraria dell’autrice slovacca. Un altro testo importante di Jarmila Očkayová è Appuntamento nel bosco (E. Elle, 1998). Ambientato nel 1992, nel pieno della guerra dei Balcani, narra la storia di Wanda, una ragazzina slovacca di 15 anni che vive in un piccolo villaggio contadino sotto i Monti Carpazi. Wanda ha tanti amici. Conosce e diventa amica anche di Ramona, una ragazzina croata della sua stessa età sfuggita alla guerra dopo la morte della madre e della sorella gemella. L’amicizia dura appena una settimana, ma in quel breve arco di tempo le due ragazzine sono inseparabili. Da Wanda, Ramona impara alcuni riti magici per comunicare con gli alberi o dipingere il cielo di nuvole. A Wanda piace molto la storia, ma solo quella dei libri, non quella reale, perché quest’ultima le incute paura. È molto bello il momento in cui, dopo aver svolto una ricerca in biblioteca, Wanda scopre che i croati sono originari dei Carpazi, e quindi corre dalla sua amica a dirle che in realtà non è affatto una rifugiata, ma è solo tornata a casa sua. Un giorno le due

Jarmila Očkayová

amiche decidono di compiere nel bosco un rito magico per richiamare in vita i morti. Il teschio, l’acqua di fiume, un pugno di sabbia. Mezzanotte. Tutto è pronto. Ma un tragico destino spezzerà i fili dei loro sogni… Anilda Ibrahimi, oltre al suo primo romanzo Rosso come una sposa, con il quale approda alla scrittura italiana, e al romanzo L’amore e gli stracci del tempo, pubblica un altro testo Non c’è dolcezza (Einaudi, 2012). L’autrice spiega che con quest’ultima opera ritorna alle atmosfere ancestrali, arcaiche ed epiche del suo primo libro Rosso come una sposa. Il personaggio, a cui Anilda si sente più vicina, è quello di Eleni, per cui non c’è dolcezza: ama il figlio adottivo, ma da lui non riceve l’amore che desidera, e lo stesso succede con il marito che è stato lasciato dalla sua prima moglie. Sui protagonisti del libro incombe un amaro destino. L’apparizione periodica dei gitani con i loro canti rappresenta la colonna sonora della narrazione, attraverso cui è rievocato un mondo perduto di rispetto reciproco e di salde relazioni tra popoli diversi. Trama avvincente, che ha come sfondo l’Albania post-comunista travolta dai cambiamenti sociopolitici, e che attraverso le vicissitudini di


personaggi “archetipici”, interroga il lettore su temi senza tempo: l’identità, i legami familiari - quelli di sangue e quelli acquisiti. Il libro affronta tematiche di grande rilevanza come la guerra, l’accettazione del diverso, l’immigrazione, i profughi, la violenza. Le scrittrici migranti dell’Est da portatrici di bisogni sociali diventano sempre più portatrici di risorse creative. Spesso il loro repertorio letterario è caratterizzato da elementi simbologici e da metafore, come quello di Jarmila Očkayová, il cui stile particolarmente originale è, appunto, definito da elementi fiabeschi e simbolici, questi ultimi legati, ad esempio, agli alberi e alle radici, metafora di un’appartenenza recisa con l’emigrazione. Ricco di metafore, simbologie e motivi ricorrenti, contrariamente allo stile asciutto che di solito contraddistingue l’autrice, è anche il romanzo Il villaggio senza madri (Rediviva, 2012) della romena Ingrid Beatrice Coman, in cui troviamo la metafora del profumo, della casa, del destino - rappresentata dalla strada, la metafora del formicaio, simbolo dell’unione, il motivo carpe diem, ecc. Il romanzo tratta un tema sensibile e delicato: l’abbandono del figlio per cause materiali al confine con la sopravvivenza. Fra i tratti unificanti riscontrati nei testi degli immigrati in Italia, al di là della provenienza degli autori, compare l’uso dell’italiano come lingua veicolare improntata sì allo standard ma arricchita da espressioni dell’area linguistica di appartenenza (con conseguenti italianizzazioni improprie di termini), fenomeni di errata generalizzazione delle regole grammaticali, di presenza di varianti regionali, registri e codici diversi, ecc. Jarmila Očkayová sostiene che sebbene per la stesura di un testo ci si cimenti in una sola lingua, in esso agiscono sempre due lingue, la madrelingua e quella adottata, con i loro “retroscena culturali, sociali e storici, le loro simbologie e abitudini cognitive, i loro anfratti psicologici e retaggi dell’inconscio”. Nasce, in questo modo, una scrittura che è eversiva, in quanto capace di mostrare tutto il suo “potenziale trasformativo”, a prescindere dai contenuti espressi, spezzando la monoli-

Anilda Ibrahimi

Dijana Pavlovič ticità della letteratura italiana, sempre più indirizzata verso un modello “altro” di maggiore respiro transnazionale. Con la loro attività le migrant women writers creano le condizioni ideali per la sperimentazione e la valorizzazione della diversità. Esse prospettano una nuova ermeneutica, consentendo una frequentazione interetnica che destruttura, decentra, destabilizza (perché, ad esempio, reclama lo status di letterato per individui che sono ancora oggi spesso inchiodati alle categorie di vu’ cumprà, badanti, lavoratori precari o irregolari, o comunque, nella migliore delle ipotesi, di semplice bracciantato). In questo senso, si pensi quanto possa essere travolgente (agendo entro l’immaginario popolare europeo) la letteratura migrante delle popolazioni gitane di origine Rom o Sinti sull’orientamento socio-politico e valoriale del Vecchio Continente, che ha sempre stigmatizzato, disprezzato quei popoli (sino a concepire e praticare il loro sterminio - al riguardo si leggano i versi struggenti delle poesie Olocausto dimenticato e La mendicante dei sogni della poetessa Sinti altoatesina Paula Schöpf) considerati come esclusivamente dediti all’accattonaggio e al vagabondaggio. Un impatto benefico immediato sortiscono, allora, alla lettura i testi (poetici e narrativi) di Dijana Pavlovič, romnì serba, attrice, mediatrice culturale, nonché traduttrice in lingua italiana di opere letterarie jugoslave. Se una Madame de Staël, nel primo Ottocento, per invitare gli italiani a sprovincializzarsi e a entrare nel vivo della cultura europea, li esortava all’arte del tradurre, oggi - a quasi due secoli di distanza - la stessa Europa è chiamata ad abbandonare forme di campanilismo retrogrado, improponibili nell’era della globalizzazione, ma con un grande vantaggio rispetto all’Italia di allora: l’intero mondo è giunto fino all’Europa, la quale, attraverso gli scrittori migranti, parla le lingue che essa stessa si è data nel corso del tempo. Ogni paese europeo dispone di un identikit linguistico composito, es-

27

Scrittrici e migranti

Settembre 2016


Scrittrici e migranti

28

Settembre 2016

sendo una mescolanza di etnie, paradigmi culturali ed esistenziali, stili e modelli di vita. Tuttavia, parla con una voce sola, con una sola lingua che lo contraddistingue. Il filosofo rumeno Emil Mihai Cioran [1911], emigrato a Parigi negli anni Quaranta, che scrisse sempre in francese, sosteneva che “prima ancora che un paese, si abita una lingua”. Eppure, le opere in italiano degli scrittori provenienti dai molti ‘altrove’ del mondo non hanno ancora quella piena cittadinanza che meriterebbero. Dovremmo, invece, essere riconoscenti nei confronti di questi migrant writers, poiché, cimentandosi a scrivere nella nostra lingua, ci hanno consentito di conoscere le loro opere, che forse non sarebbero state tradotte, perdendo, di conseguenza, un patrimonio umano e culturale davvero incommensurabilmente grande.

Bisogna, dunque, leggere i loro libri. Ne vale la pena. Per vincere finalmente sull’etno-eurocentrismo e costruire quell’unica civiltà del convivere che è risposta univoca al plurimo interrogativo del mondo: quo vadis Italia/Europa? [seconda ed ultima parte]

OLOCAUSTO DIMENTICATO di Paula Schöpf — «Silenzio, desolazione, oscura notte / Il cielo è cupo, pesante di silenzio! / aleggia nell’aria la nenia della morte / da queste pietre, grigie pietre / da ogni rovina, dalle cornici infrante, / esala disperazione di sangue e lacrime / Il mio spirito s’impiglia nel filo spinato / E la mia anima s’aggrappa alle sbarre, / prigioniera in casa nemica! / chi sono? nessuno! Tu chi sei? nessuno! / Voi Sinti chi siete? nessuno! Solo ombre, / nebbia! nebbia che per abitudine è rimasta / prigioniera della più grande infamia / della storia dell’uomo!».

LA MENDICANTE DEI SOGNI di Paula Schöpf — «È finita la storia dei Sinti / I violini tacciono / Le chitarre non hanno più anima / Le giovani donne non danzano più, / non hanno più piedi. / I fuochi si sono spenti / gelida è la notte / La nebbia ha dissolto i cuori dei Sinti / La terra si è dissolta col loro sangue / non ci sono più carrozzoni nella verde periferia / né violini innamorati / né fiori nei bruni capelli / non ci sono più capelli bruni. / Oggi una carovana si è accampata / alla porta del paradiso».

Ingrid Beatrice Coman

Inno gitano in ricordo del genocidio compiuto nei confronti di Rom e Sinti dalla furia nazista durante la Seconda Guerra Mondiale – Djelem Djelem musica Gitana (https://www.youtube.com/watch?v=eKIOURDOG3E)


Settembre 2016

29

I MATRIMONI FORZATI E IL FILM DI WAHIBA SALEH di Zenab Ataalla

I

Per la prima volta in un film si racconta la battaglia delle donne nubiane contro l’obbligo di sposare un uomo che sia nubiano. A farlo è la regista Wahibah Saleh che in “Lo scontro tra le donne nubiane e le tradizioni matrimoniali” parla di come lei e le altre donne si siano alleate per combattere quelle regole matrimoniali imposte dall’esterno, ma che non hanno nulla a che fare con la realtà delle cose. “Mi sono trasferita a Il Cairo per motivi di studio quindici anni fa. E anche se non ero in cerca di marito, sapevo di volere un uomo che appoggiasse le mie ambizioni e che avesse la mente aperta. E così un giorno senza che me lo aspettassi, ho conosciuto quello che da qualche anno è diventato il mio compagno di vita” racconta Wahibah Saleh. Ma come dare la notizia in famiglia? L’unico modo per lei è stato quello di ritornare a casa e parlare apertamente con i propri genitori, affrontando a viso aperto la situazione. “Sono rimasta con loro per un anno perché volevo a tutti i costi convincerli che la decisione che avevo preso era quella giusta. Non è stato semplice perché sono iniziati i litigi con mio padre e le incomprensioni” racconta.

La Nubia

Lo stress è stato talmente alto che Wadibah Saleh è stata costretta anche a rivolgersi ad uno psicologo per trovare un equilibrio in quel caos emozionale, fino a quando “la mia famiglia non ha accettato che l’uomo che amavo diventasse mio marito” continua la regista. Ma non è solo Wadibah a vivere questa esperienza, come lei tante altre donne nubiane lo hanno fatto. “Lo scontro tra le donne nubiane e le tradizioni matrimoniali” è un racconto fatto proprio dalla voce di queste donne che spiegano il perché di questo divieto. “Ormai la lingua nubiana sta scomparendo e con lei anche il nostro patrimonio cuturale. È questo il motivo per cui ci si affida al vincolo del matrimonio anche se si tratta di sposare un uomo che non appartiene allo stesso rango sociale” dice. Ma con il suo lavoro Wadibah Saleh vuole fare anche altro: ribadire l’importanza della scelta che una donna deve essere libera di fare. “Si deve scegliere quello che è più giusto per noi. Perché si tratta della nostra vita, anche se questo significa andare contro quello che pensa la nostra famiglia” dice. C’è chi vede in tutto questo più che un modo di preservare la storia e le tradizioni nubiane, una diffusione delle idee waha-

Una storia millenaria che risale all’8000 a.C. La Nubia si estende tra Aswan in Egitto e Dongola in Sudan, lungo le sponde del Nilo, ma ci sono comunità anche in Kenya, Uganda ed Etiopia. La relazione della popolazione nubiana con il fiume è sempre stata di profonda intimità dal momento che ogni nubiano e nubiana lega la propria vita agli elementi che animano le sue acque, che si trasformano in simboli in ogni cerimonia che inneggia alla vita e di converso alla morte. Da sempre considerata pacifica, la comunità nubiana nel corso degli anni si è andata sempre più isolando dal mondo circostante, subendo anche una forte ingiustizia sociale che ha costretto molte famiglie a lasciare le proprie case per trasferirsi nelle grandi città, dove per meglio integrarsi hanno iniziato ad abbandonare lentamente usi e costumi nubiani. In questo modo un patrimonio culturale millenario sta rischiando di scomparire.

bite di quanti partiti per lavorare nei Paesi del Golfo, una volta rientrati in Egitto si sono portati dietro quella scia di radicalizzazione islamica che colpisce prima di tutto i diritti femminili. b

IL NILO E LA NUBIA

Nel sud dell’Egitto le donne lottano contro le tradizioni locali che impongono matrimoni tra nubiani. E si scontrano con le loro famiglie


30

Settembre 2016

MALAWI

LA STORIA DI CLARA BANYA E DI COME SI È SALVATA DALL’HIV Clara ha scoperto nel 2004 di aver contratto il virus HIV e si è potuta curare grazie ai programmi del Fondo Globale contro AIDS, tubercolosi e malaria di Silvia Vaccaro

C

lara Banya viene dal Malawi, un piccolo stato aspettato tre mesi prima di parlarne con mio marito. Temevo africano di 16 milioni di abitanti. Il 10,3% di molto in una sua reazione negativa perché in Malawi dieci loro è affetto da HIV, uno dei livelli di diffuanni fa lo stigma nei confronti delle persone sieropositive, sione della malattia più alti di tutto il e in particolare delle donne, era ancora molto alto. continente. Sono proprio le morti per AIDS Invece con mio grande sollievo lui mi ha detto che determinano un’aspettativa di vita di ‘d’accordo, cosa facciamo adesso?’”. Nel nuovo triennio 54 anni e otto mesi come media nazioClara è arrivata in Italia pochi giorni dopo 2017-2019 servono 134,5 nale. Tradotto per noi significa che in la conferenza stampa di rifinanziamento milioni di dollari Malawi si muore quando normalmente del fondo globale per l’AIDS, la tubercoper combattere le epidemie di AIDS, in Italia si hanno davanti ancora ventilosi e la malaria che dal 2002, anno della malaria cinque/trent’anni di vita. sua istituzione, ha salvato 17 milioni di e tubercolosi Clara di anni ne ha 37 e nel 2004 ha scoperto vite, che al termine dell’anno in corso di aver contratto il virus. “Lavoravo in una clinisaranno diventate ben 22 milioni. La sua ca per pazienti sieropositivi e malati di AIDS. Ho storia è la testimonianza concreta che senpensato di fare anche io il test e purtroppo ha conferza le cure fornite dal fondo globale non sarebmato le paure che avevo ma che speravo fossero infondate. bero bastate le premure del marito e la sua straordinaEro scioccata e ci ho messo del tempo ad accettarlo. Ho ria forza interiore a salvarla.


“Quando mi sono ammalata io, lo stato del Malawi seguistro coinvolgimento in prima persona. La partecipazione nei va delle linee guida restrittive per ottenere l’accesso alle processi di cura e di conoscenza della malattia, attraverso le cure, e io non ero considerata idonea a riceverle perché iniziative del fondo globale, ci ha permesso come società cinon avevo ancora sviluppato la tubercolosi, né la vile di fare pressione sul governo perché garantisca diarrea, né altre infezioni. Nonostante questo la trasparenza e il monitoraggio dei risultati delle apparente stato di buona salute generale, cure. In Malawi fattori socio-culturali ci pongoL’Italia è tra i paesi del G7 che io sentivo di non stare bene, e chiedevo di no, come donne, ancora a un livello ancora hanno annunciato essere curata. Per farmi accettare ho domolto basso nella società. E rispetto all’hiv, una donazione al Fondo vuto fare un esame, in un centro a 400 km abbiamo tre volte di più la possibilità di conGlobale per il prossimo da dove vivevo, che attestava che le mie trarre il virus”. triennio. difese immunitarie erano crollate e avevo Come accade in molti altri paesi anche in La conferenza a settembre diritto alle cure. Grazie al fondo globale ho Malawi ci sono politiche e leggi che sulla carin Canada potuto iniziare a prendere le medicine che ta garantiscono la gender equality, ma nella da sola non avrei potuto pagare”. pratica la strada da fare è ancora molta. “AbbiaOltre a fornire le cure, il fondo globale si impegna mo fatto dei passi avanti, anche grazie alla ex Presinel miglioramento della consapevolezza e della partecidente Joyce Banda e alle donne ministre che hanno fatto pazione delle popolazioni negli Stati in cui interviene, con un enorme lavoro. Ci vorranno ancora molto tempo e molta programmi dedicati anche alle donne e alla salute maternopazienza per raggiungere una piena gender equality, ma ce infantile, operando con una logica di gender mainstreaming, la faremo. La cosa più importante è che le donne accedaovvero applicando la prospettiva di genere in tutti gli interno all’educazione, perché ancora troppe ragazze non stuventi programmati, favorendo la scolarizzazione delle donne diano”. L’educazione come chiave dello sviluppo umano e e la partecipazione della popolazione femminile nei processi come protezione da malattie è ancora una volta la strada da decisionali. “Non è una questione solo di prendere le pasticpercorrere insieme alla necessità di garantire i finanziamenti che per curarsi - continua Clara -. Nulla accade senza il noal fondo globale per il prossimo triennio. b

Il ruolo dell’Italia

I dati del Fondo Globale

Non è un caso che proprio a Roma nel 2005 si sia svolta la prima riunione dei donatori per ricostruire le risorse del Fondo Globale. Infatti dall’anno di istituzione del fondo, il 2002, al 2008 l’Italia è stata uno dei principali paesi donatori, con donazioni di oltre 790 milioni di euro, terza dopo Stati Uniti e Francia. Nel periodo compreso tra il 2009 e il 2013, anni di crisi economica e istituzionale molto forte, la tendenza è però mutata completamente e l’Italia non ha più mantenuto gli impegni né ha annunciato il proprio contributo durante la terza conferenza di rifinanziamento. Nel 2013 è stata nuovamente invertita la rotta e il Governo ha stanziato 100 milioni di euro per il triennio 2014-2016. Posto che la salute nel documento di Programmazione Triennale della Cooperazione italiana 2015-2017 è considerato uno dei settori prioritari per la promozione dello sviluppo, i promotori del fondo globale spiegano che per l’Italia investire sul Fondo è un ottimo modo per finanziare le aree geografiche e tematiche prioritarie per la cooperazione italiana. Il Presidente del Consiglio, che aveva annunciato di voler diventare il quarto paese tra quelli del G7 per milioni di euro donati, ha annunciato una donazione al Fondo Globale per il prossimo triennio di 130 milioni di euro.

Dal 2002, anno della sua istituzione, il fondo ha salvato 17 milioni di vite, che al termine dell’anno in corso saranno diventate ben 22 milioni. I finanziamenti sono serviti per somministrare a oltre 8,6 milioni di persone terapie antiretrovirali, fornire cure a oltre 15 milioni di malati di tubercolosi e dotare singoli e famiglie di 600 milioni di zanzariere impregnate di insetticida per combattere la malaria. La prossima Conferenza di rifinanziamento, che si terrà a settembre in Canada, sarà dunque decisiva per stabilizzare questi risultati o al contrario, se i fondi dovessero risultare insufficienti, per disperdere questo straordinario capitale di salute globale costruito in meno di vent’anni. Per il nuovo triennio 2017-2019 servono 134,5 milioni di dollari per combattere le tre epidemie, il 12% in più delle risorse rispetto al triennio precedente. Se i fondi infatti rimanessero invariati, le tre epidemie potrebbero tornare a diffondersi fuori controllo. Della dotazione complessiva del fondo (oltre 29 miliardi fino al 2015 di cui il 95% di fondi pubblici) il 53% è stato utilizzato per la lotta all’AIDS, il 28% contro la malaria e il 16% contro la tubercolosi. Gli interventi, che per il 63% finiscono nell’Africa sub-sahariana, per il 26% in Asia e per il 6,5% in America Latina, con le quote residue distribuite negli altri continenti, servono a permettere l’accesso alle cure ma anche a creare sistemi sanitari sostenibili e resilienti, oltre che a rafforzare i servizi per le comunità. Un dato molto importante è quello relativo ai paesi in transizione, che stanno passando da un PIL basso a un PIL medio e quindi non godono più della quantità di fondi di cui disponevano negli anni precedenti ma hanno ancora grandi necessità in termini di sostegno al sistema sanitario. In questi casi, ad esempio in Romania, Georgia e Yemen, il fondo ha lanciato dei nuovi bandi per sovvenzionare la società civile affinché porti avanti azioni di advocacy e di pressione sui governi locali.

31

MALAWI

Settembre 2016


32

Settembre 2016

L’APPUNTAMENTO DI

HILLARY CON LA STORIA La candidatura alla presidenza degli Stati Uniti d’America di Hillary Clinton, la prima volta di una donna, è un evento mondiale. Un traguardo costruito con decenni di duro lavoro. Il messaggio della speranza contro quello della paura del repubblicano Donald Trump

USA

di Catia Iori te incassa un colpo da maestro e rilancia per se stessa e per le altre. Il suo discorso ha più di tutto generato consenso ed emozione. “Faremo la storia a novembre perché Hillary sarà il nostro primo presidente donna. Lei sarà un grande presidente e la prima di una lunga serie di donne e uomini che servono con grinta e grazia. Sarà la prima donna ma non l’ultima”. Una promessa di successo e di futuro. “Sono qui perché c’è una sola persona di cui mi fido per questa responsabilità, che credo sia davvero qualificata per essere presidente degli Stati Uniti ed è la nostra amica Hillary Clinton. Lei è il presidente che voglio per le mie figlie e per i nostri figli”, ha detto Michelle Obama. “La storia di questo paese, la storia che mi ha portato su questo palco stanotte, è la storia di generazioni di persone che hanno conosciuto la frusta della schiavitù, la vergogna della schiavitù, la ferita della segregaziohe non sia un mostro di simpatia, lo si intuisce subito. ne, ma che hanno continuato a lottare e a sperare e fare quello Che non esprima calore umano e solidale vicinanza che era giusto fare. Per questo oggi io ogni mattina mi sveglio in all’altro, lo si avverte a pelle. E tuttavia Hillary è stata una casa costruita da schiavi e guardo le mie figlie, due belle e una buona madre, se Chelsea si è poi trasformata, da intelligenti giovani donne nere, che giocano con il loro cane sul anatroccolo, in una straordinaria first girl degli States. E per far prato della Casa Bianca. È grazie a Hillary Clinton che le mie promuovere a Presidente quel bisteccone di suo marito, certafiglie e tutti i nostri figli oggi danno per scontato che una donna mente molto è stato suo merito. Hillary Clinton insomma ce l’ha possa diventare presidente degli Stati Uniti”. L’endorsement che messa tutta nella vita ed è un autentico modello. Non è un caso fino a qualche giorno fa neppure si ipotizzava, ora si rivela in che sia stata Meryl Streep, fantastica icona del cinema internatutta la sua fiera caparbietà. zionale e attrice di strepitoso talento, ad annunE coi tempi che viviamo, nell’abisso spaventociare per prima la sua nomination ufficiale per so che si aprirebbe col disgustoso Trump, creil Partito democratico alle elezioni presidenziali do che lei sia davvero la risposta giusta, quella USA di novembre. Ci voleva lei e la sua verve che sostiene la fiducia, insomma. La paura, ora, Hillary Clinton comunicativa a salvare l’immagine di Hillary, che quella vera, che ti fa tremare, è concreta. E Hilè la prima donna candidata alla a relazioni pubbliche non ha di certo mai brillato. lary percepisce che occorre rassicurare prima presidenza Fasciata in un leggero abito a stelle e strisce, la ancora di promettere sfide impossibili. Riunirdegli Stati Uniti famosa protagonista di Kramer contro Kramer si nel salotto buono intorno al tavolo di cucina d’America. Un ha sfoderato l’espressione di chi orgogliosamencome facevano le nonne e guardarsi negli occhi

C

traguardo importante per tutte le donne


dopo il tramonto: è l’ora più propizia - dicono gli psicologi - per ammettere le proprie difficoltà, chinare lo sguardo e guardarsi dentro più che intorno e cercare di sognare un futuro diverso, possibile e concreto se solo si potesse.. Se solo si risolvessero quei problemi o si vincessero le paure col sano coraggio di chi sa che la vita è questa, una sfida continua alle tue debolezze e al tuo innato pessimismo. Donna di grandi passioni, Hillary punta sulla solidarietà, da donna concreta e umile, in questa fase. Ha capito che da soli è dura, e non si smette di provare paura. E la paura, si sa, è una cattiva consigliera. Mettendo da parte invece il proprio ingombrante egocentrismo, ce la si può fare. Un pezzo oggi e un passo domani. Piano, piano, insieme, guardando in faccia la realtà. E l’America “è sempre stata più forte quando è stata unita”. È un messaggio che guarda al futuro quello che Hillary Clinton ha lanciato dal palco della Convention democratica di Filadelfia nel discorso conclusivo di fine luglio con cui ha accettato “con umiltà, determinazione e sconfinata fiducia” la nomination a presidente degli Stati Uniti. L’America che vede Hillary Clinton non rinasce dalle ceneri, non si affida a “uomini della provvidenza”. Non costruisce muri né rifiuta le verità della scienza; non si accanisce contro una particolare fede reIl sostegno di ligiosa né semina intolleranza. È l’Amedonne famose come l’attrice rica che ha come motto pluribus unum, Meryl Streep, che dai molti riesce a creare l’uno; che la first lady continua a ispirarsi a quello che, in Michelle Obama e tempi molto più difficili, disse Franklin Chelsea, la figlia Delano Roosevelt: “L’unica cosa di cui che l’ha resa avere paura è la paura”. Hillary Clinton nonna ha cominciato col riconoscere che la nazione si trova in un momento difficile: “L’America è ancora una volta davanti alla resa dei conti. Forze potenti minacciano di distruggerci. Legami di fiducia e rispetto sono sempre più fragili. E come avvenne già per i nostri padri fondatori, non c’è garanzia di futuro”. L’unica soluzione, ha spiegato Clinton, è tornare a quell’unità che ha segnato l’America nei momenti più difficili. Qui è arrivato il primo attacco vero a Donald Trump che,

invece di riconoscere “il lavoro di medici, agenti di polizia, insegnanti, lavoratori” dice: “fidatemi di me. Metterò tutto a posto io”. Ma “gli americani non dicono: metto a posto tutto io. Dicono: mettiamo a posto le cose insieme”, ha scandito Clinton. Per concludere, quello di accettazione della candidatura è stato un discorso che sicuramente non ha offerto un’immagine particolarmente nuova di Hillary Clinton. Più che sulla fiducia, che spesso gli americani sono stati restii ad accordarle, Clinton ha preferito puntare sulla fede nelle sue capacità di leader solida e preparata. In linea con la campagna che i democratici faranno quest’autunno, Hillary ha insistito sul tema della speranza e dell’ottimismo. Together, insieme, è stata la parola più ripetuta; e la sua visione è parsa fondarsi sui concetti di stabilità, continuità, solidità, riforma. Qualcosa sicuramente di molto meno roboante e rivoluzionario rispetto all’offerta di Trump; qualcosa in sintonia con un’America “che deve ripensare, e riflettere, su se stessa”.b

IL CAMMINO DI GRAZIA CONTRO LA VIOLENZA ALLE DONNE Da Santa Maria di Leuca a Santiago di Compostela sono circa 5000 km e Grazia Andriola ha deciso di percorrerli tutti a piedi scandendo uno slogan, che è anche un obiettivo politico: “Non ho paura di camminare sola e nessuna donna ne dovrebbe avere”. Nell’impresa è accompagnata da WeWorld Onlus, organizzazione impegnata con vari progetti contro la violenza alle donne e per la tutela dei bambini. L’idea di questa impresa nasce in Grazia lo scorso anno; mentre percorreva il cammino di Santiago un terribile fatto di cronaca ha colpito la sua attenzione: la violenza su una ragazza degli Stati Uniti, rimasta poi uccisa, perpetrata da un uomo di origini spagnole che aveva sabotato i cartelli del percorso per poter molestare delle pellegrine. Ecco quindi il percorso, anche simbolico, al fianco di tutte le donne che ogni giorno subiscono violenza e per dire loro di non avere paura. “Questo mio lungo cammino lo dedico a chi merita di essere felice, lo dedico a chi non ha la forza di reagire e a chi trova il coraggio di dire basta. Da qui nasce il progetto #steptostopviolence per sensibilizzare e raccogliere fondi contro la violenza sulle donne e sostenere i progetti di WeWorld”. È possibile seguire sui social l’impresa di Grazia con l’hastah #steptostopviolence.

33

USA

Settembre 2016


34

Settembre 2016

LIBRI a cura di Tiziana Bartolini

blicano” perché le è riconosciuta coerenza tra il parlare e l’agire anche nella vita pubblica e privata. Una serie di foto in bianco e nero sono un ulteriore regalo a chi vuole compiere un breve viaggio “nella storia della nostra città che, in piccolo, è anche la storia dell’evoluzione, e dell’involuzione, del costume nel nostro Paese”. Tiziana Bartolini Alessandra Muschella Grazia Giurato. Gli altri Lettere di una militante nel quotidiano Ed La Tecnica della Scuola, pagg 126

GRAZIA, MILITANTE A TUTTO CAMPO “L’incontro fra persone ha sempre qualcosa di magico perché può essere anche fonte di trasformazione. Avere avuto l’occasione di conoscere meglio Grazia Giurato è stata per me un’esperienza di questo tipo”. Alessandra Muschella, psicologa e giornalista, condensa il senso del libro in cui - attraverso una raccolta di articoli e lettere pubblicati in quotidiani siciliani - ha delineato “un quadro quanto più possibile fedele” di una donna che ha nuotato nel suo tempo senza timori di condurre le battaglie in cui ha creduto. La selezione tra i tanti materiali che vanno dal 1980 al 2016, suddivisa in 5 capitoli (Da Cenerentola a Giovanna D’Arco; Un’estenuata consigliera; Politica nazionale; Linguaggio, sorgente del pensiero; La pace), ripercorre il rapporto che Grazia ha intrattenuto con Catania, con i suoi concittadini e concittadine, attraverso interventi e riflessioni ispirati dalla politica nazionale e locale. Su eventi o circostanze dell’attualità Grazia Giurato ha espresso la sua opinione e indirettamente ha sollecitato le riflessioni di altri/e. E, infatti, ‘Gli altri’ è il titolo di questo libro, perché “la nostra esistenza e il nostro agire sono sempre in funzione del nostro prossimo”. I molteplici impegni e ruoli svolti da Grazia sulla scena pubblica catanese si ripercorrono rileggendo i vari interventi in qualità di consigliera comunale o di attivista per la pace o per i diritti delle donne. Il fil rouge che attraversa il libro è una straordinaria lucidità nel leggere criticamente le distorsioni e le ingiustizie, mantenendo intatta la volontà di indignarsi e reagire positivamente. E - scrive Pinella Leocata nella presentazione - le lettere di Grazia Giurato alla redazione “non si discutono, si pub-

QUANDO ARRIVA IL MOMENTO DI CAMBIARE Le amanti del racconto non possono perdersi questo libro di Francesca Marciano dal titolo di favola per bambini Isola grande isola piccola - che racchiude le avventure di alcune donne alle prese con il rischio e l’eccitazione del cambiamento. Sullo sfondo luoghi noti come Venezia o Roma, ma anche un piccolo villaggio greco, un meraviglioso albergo nel Sud dell’India e un piccolo cottage sull’oceano a Sud di Mombasa. Le protagoniste, tutte molto diverse l’una dall’altra, si ritrovano ad affrontare la trasformazione delle loro vite, conseguenza inevitabile della volontà di seguire quella carica vitale e generativa che rappresenta il loro tratto comune. La necessità si fa virtù quando la presa di coscienza del cambiamento imminente si trasforma in atto di coraggio, in quel “saltare dentro la nuova vita”, che sintetizza il filo che lega le storie. La scrittura a immagini è quella di una sceneggiatrice di mestiere, già caso editoriale per i romanzi Cielo Scoperto e Casa Rossa, entrambi pubblicati da Longanesi nel 1998 e nel 2003. Una raccolta perfetta da leggere nella stagione estiva quando si ha più tempo e voglia di narrazioni ben costruite che un po’ ci somiglino e ci diano qualche spunto per la consueta voglia di rinnovamento che a settembre spesso travolge molte di noi. Silvia Vaccaro Francesca Marciano Isola grande isola piccola Ed Bompiani, pagg 336, euro 18,00


Settembre 2016

CON LO SGUARDO INNOCENTE DI UN BAMBINO

INTELLIGENZA CONTRO FORZA. CHI VINCE?

Un villaggio del Nord-Est dell’Ungheria ai confini con l’Ucraina. Una comunità di diseredati attaccati ad una terra che c’è ma non sembra appartenere a nessuno dei suoi membri, una famiglia protagonista e spettatrice di una vita che le scivola addosso con giornate che si susseguono senza speranze di cambiamento. Questo scenario è al centro de I senza terra (Marsilio, 2016) dello scrittore ungherese Szilárd Borbély, nato a Fehérgyarmat, piccolo centro situato non distante dalla frontiera con l’Ucraina e la Romania. Si tratta del suo primo e ultimo romanzo dal momento che l’autore è morto suicida nel febbraio del 2014 all’età di cinquantuno anni. Quello di Borbély, è un lavoro dai tratti presumibilmente autobiografici: a un’infanzia difficile si è aggiunta, poco più di un decennio fa, la perdita della madre brutalmente uccisa in una rapina. La vicenda si svolge negli anni Sessanta, sotto un regime che ha già provveduto da tempo ad espropriare le terre. Gli eventi raccontati nel romanzo si producono davanti agli occhi di un bambino che cerca di fuggire dalla realtà in cui vive inventando una dimensione tutta sua, le cui regole sono dettate dai numeri primi. Definito dal Nobel ungherese per la letteratura Imre Kertész, recentemente scomparso, “la grande promessa spezzata della letteratura ungherese”, Borbély è stato principalmente un poeta e il suo romanzo, di grande respiro letterario e umano, reso in italiano dall’eccellente traduzione di Mariarosaria Sciglitano, affronta temi e situazioni difficili riuscendo a evocare atmosfere e stati d’animo con uno sguardo poetico che arriva ad assolvere pietosamente questo mondo di diseredati e descrive con tenerezza lo sguardo del bimbo che osserva quanto avviene intorno a sé e non giudica. Massimo Congiu

Le protagoniste femminili sono due giovani molto diverse tra loro. Shu Mei è una monaca guerriera e Chun Yu una ragazzina insicura. Con le sue prepotenze il figlio del signore del villaggio terrorizza gli abitanti, che non osano ribellarsi, e arriva a pretendere in moglie l’indifesa Chun Yu, anche contro la sua volontà. La libertà è una conquista che non si può delegare ad altri, spiega la monaca guerriera alla piccola amica, che prende coraggio e impara il Kung Fu per sfidare il terribile e gigantesco Wong. Il finale non lo riveliamo e invitiamo a leggere e regalare questa graphic novel dal romantico titolo “Pioggiadiprimavera” che fir-

Szilárd Borbély I senza terra (Titolo originale: Nincstelenek – Már elment a Mesijás?) Ed Marsilio, pagg 264, euro 18,50

mano Paolina Baruchello - traduttrice, appassionata di Kung Fu e delle sue leggende - e Andrea Rivola - tra gli illustratori più originali nel panorama italiano -. Una bella favola che spiega con gentilezza ed efficacia un percorso di empowerment femminile. Un ringraziamento all’editore Sinnos che, dopo il successo di Cattive ragazze e Adesso scappa, continua a promuovere contenuti rispettosi delle donne e delle differenze in generale attraverso linguaggi apprezzati dalle giovani generazioni, ma godibili anche da un più vasto pubblico. Paolina Baruchello e Andrea Rivola Pioggiadiprimavera Ed Sinnos, pagg 63, euro 10,00

35


36

Settembre 2016

GLI APPUNTAMENTI DI SETTEMBRE

“Che genere di medicina? Medicina di genere: una prospettiva per le donne” Sabato 24 settembre 2016 (ore 10.30 – 17.30) convegno con relazioni e workshop Kunstkraftwerk Leipzig Saalfelder Strasse 8b - 04179 Leipzig (Lipsia, Germania) L’associazione delle donne italiane in Germania ReteDonne organizza per il 2016 il suo incontro a livello nazionale nella città di Lipsia. Il tema è dedicato alla salute delle donne e alla medicina di genere. La salute dipende dal nostro rapporto con il corpo e la psiche, dall’ambiente e dalle condizioni socio-economiche-culturali. La salute femminile dipende anche dalla prospettiva della medicina. Nel 1995 alla quarta conferenza mondiale sulle donne si constata che la “ricerca medica è basata prevalentemente sugli uomini”. Le concezioni sul corpo e la psiche che ne derivano hanno sempre influenzato la diagnostica, la terapia e le politiche sanitarie. La Medicina di Genere sta cercando di ristabilire un equilibrio tra le disuguaglianze. La strada da fare è però ancora lunghissima e passa attraverso un cambiamento di prospettiva e una nuova consapevolezza a tutti i livelli. L’incontro è dedicato a tutte noi donne, alle nostre esperienze e all’esigenza di formarci e informarci. Interverranno esperte di altissimo livello per parlare della prospettiva di genere nella ricerca medica e nella terapia. Temi saranno anche la prevenzione, la promozione della salute, l’oncologia, l’alimentazione, la farmacologia e la psiche. Info: retedonne@gmail.com

Salute e Medicina di Genere: dalla formazione ai servizi Le buone pratiche Venerdì 30 settembre 2016 (ore 10,00 – 17,30) FIRENZE, sede Regione - Sala delle feste - Via Cavour 18 L’ottica di genere nel campo della Salute e della Medicina è una prospettiva sempre più largamente condivisa nel mondo sanitario e scientifico. Se da un lato questa consapevolezza va salutata come positivo passo in avanti, dall'altro un cambiamento di prospettiva cosi profondo richiede modifiche da parte degli operatori e operatrici della sanità e dei loro percorsi di formazione. Si sta facendo strada quindi l'esigenza di una formazione professionale adeguata e che tenga conto delle rinnovate necessità che il cambiamento di approccio implica. Con un incontro di livello nazionale si intende promuovere un confronto tra i soggetti che nella dimensione pubblica stanno affrontando la questione e quelli che si apprestano a farlo, a partire dalle buone pratiche già avviate.

Convegno nazionale organizzato in collaborazione con la Commissione regionale Pari Opportunità della Toscana

Informazioni in www.donnaesalute.org - www.noidonne.org


Settembre 2016

ALLA SCOPERTA DELLE TERME Le studentesse di Lucca in visita a Bagni di Pisa (San Giuliano Terme)

L’

elegante residenza storica che ospita l’impianto termale Bagni di Pisa a San Giuliano Terme, con le sue belle volte affrescate e la sobria eleganza degli arredi, ha accolto le studentesse del corso di Estetista dell’Istituto Pertini di Lucca che ha aderito al percorso formativo organizzato da DonnaeSalute. Dopo le due conferenze - il 18 febbraio e il 12 maggio - tenute nel Palazzo Ducale di Lucca, la visita alle terme Bagni di Pisa è stato il completamento del ciclo progettato per fornire alle future operatrici della bellezza e del benessere informazioni utili ad una professione che deve ben conoscere il corpo e la mente delle donne. Il 24 maggio le studentesse, accompagnate dalle insegnanti, sono state accolte nell’hotel Bagni di Pisa da Giovanna Pioli, Sales Executive & Wedding Specialist, e dalla D.ssa Patrizia Chiti, Direttore Sanitario e specializzata in Medicina Termale. La visita ha guidato le giovani alla scoperta degli impianti termali classici - i fanghi, le piscine termali interne ed esterne, la grotta - attraversati dalle acque di una calda sorgente naturale. I recenti restauri e i nuovi servizi della SPA hanno aggiunto ulteriore valore ad un luogo che vanta una lunga e prestigiosa storia con frequentazioni di re-

gnanti del passato e di illustri nomi della società mondana del presente. I saloni dell’edificio costruito nel 1793 per il Granduca di Toscana hanno ospitato da Paolina Bonaparte alla Principessa di Monaco, dalla contessa Luigia D’Albany ai Principi d’Inghilterra. Le acque termali sono di tipo solfato-bicarbonato-alcalino-terrosa e sgorgano ad una temperatura di 38°. Le sorgenti sono riunite in due gruppi, entrambi con caratteristiche chimiche analoghe , denominate Bagni di Ponente e Bagni di Levante. Le cure erogate sono fangoterapia, idromassaggio, balneoterapia e cure inalatorie nel reparto di Levante, trattamenti estetici antistress e dimagranti nel reparto di Ponente. Informazioni: www.bagnidipisa.com.

Festival della Salute 2016 A Montecatini Terme dal 6 al 9 ottobre oltre 130 eventi per la nona edizione Il Festival della Salute si conferma il più grande evento nazionale dedicato alla salute e quest'anno per la prima volta sarà ospitato nelle strutture di Montecatini Terme. L'apertura è prevista per giovedì 6 ottobre al Palco della Salute nello storico teatro Verdi. L'area espositiva sarà collocata nel Parco delle Terme, mentre le sale degli stabilimenti termali Excelsior, Tamerici e Tettuccio ospiteranno dibattiti e incontri. Questa nona edizione si preannuncia come quella dei record, sia per quanto riguarda il numero degli espositori e delle associa-

zioni che hanno aderito, che per quanto riguarda le scuole e gli studenti che interverranno. Straordinariamente ricca anche la serie dei convegni, degli incontri e dei laboratori. Il calendario delle attività ad oggi prevede già oltre 130 appuntamenti ed altri ancora sono in via di definizione. Incentrata soprattutto sul valore della prevenzione, anche questa IX edizione del Festival comprenderà, oltre ad una serie di incontri rivolti agli addetti ai lavori (istituzioni, decisori politici, aziende, associazioni e così via), altri eventi appositamente pensati per

le scuole e per il grande pubblico. Le iniziative del festival sono tutte gratuite e i visitatori avranno la possibilità di effettuare screening e consulenze specialistiche per le principali patologie. Per l’occasione sono state stipulate vantaggiose convenzioni per il soggiorno a Montecatini Terme, che potrà quindi essere anche occasione di un vero e proprio weekend all’insegna del divertimento e della salute. Tutte le informazioni in www.goodlink.it.

37


38

Settembre 2016

Ni una menos. Verso il corteo nazionale del 26 novembre di Silvia Vaccaro

La rete romana Io decido ha lanciato per l’8 settembre nella Capitale un nuovo appuntamento di discussione pubblica sulla violenza sessista in vista dell’assemblea nazionale dell’8 ottobre e della due giorni il 26 e 27 novembre a Roma

N

eanche quest’anno la violenza contro le donne è andata in vacanza. Circa cinquanta donne sono morte dall’inizio dell’anno e la risposta delle istituzioni, chiamate a contrastare il fenomeno, è parsa ancora del tutto inadeguata. Non solo per via delle iniziative messe in campo, come ad esempio il criticato camper della Polizia di Stato, ma anche per via della scarsissima attenzione nei confronti di quei soggetti che combattono nel quotidiano, e da anni, la violenza maschile attraverso servizi di supporto alle donne e iniziative volte a cambiare la cultura che dei femminicidi è alla base. Quel patriarcato che non si deve aver paura a nominare e che a latitudini diverse si manifesta con tratti peculiari, e che per fare una semplificazione brutale vorrebbe uomini e donne sempre uguali nei secoli: i primi un gradino più su delle seconde, convinti della loro superiorità e di poter ri-

vendicare il diritto al possesso della vita altrui, in particolare delle donne con le quali hanno avuto una relazione, che sia o sia stata sentimentale o familiare. Da anni si discute della necessità di un cambiamento culturale che parta dall’educazione di genere nelle scuole, passi per una narrazione mediatica delle donne, e di quelle che hanno subito violenza, attenta e non ri-vittimizzante, e che preveda la formazione del personale sanitario e della polizia e il supporto ai centri anti-violenza, gli sportelli auto-gestiti e le associazioni che offrono ascolto e rifugio alle donne nei territori. In Italia da nord a sud i centri antiviolenza sono in seria difficoltà. Nella capitale lo scorso 27 giugno ha chiuso i battenti lo sportello anti-violenza SOS Donna di Grotta Perfetta gestito dalla cooperativa sociale Be Free, e rischiano di dover interrompere il servizio lo sportello Assolei e il Centro Donne Dalia. A partire da questo dato e dopo l’orribile femminicidio di Sara Di Pietrantonio, la rete romana Io decido, nata a seguito della mobilitazione delle donne spagnole contro la proposta dell’allora ministro Gallardòn di limitare nella penisola iberica il diritto all’aborto, proposta in seguito ritirata e che è costata al Ministro la poltrona, ha deciso di mobilitarsi per prendere parola e agire per contrastare la violenza maschile. A cavallo tra giugno e luglio si sono susseguiti nella capitale tre appuntamenti importanti: due assemblee pubbliche e un presidio che ha portato a un incontro con la sindaca Virginia Raggi, che ha ribadito l’importanza dei centri anti-


Settembre 2016

39

LA CAMPAGNA #BASTATACERE

L’

violenza per poi però fare marcia indietro decidendo di tagliare dal bilancio 300mila euro che a loro erano destinati. Ma i servizi per le donne non sono in difficoltà solo a Roma. La situazione è drammatica a Palermo dove l’associazione Le Onde non può più garantire il servizio, a Napoli dove Casa Florinda, l’unica casa rifugio della città, ha chiuso i battenti e in Sardegna, a Pisa e Arezzo. Per questo la rete Io decido ha deciso di avviare un confronto e una discussione di livello nazionale. Con questo obiettivo, ad agosto è stato diffuso un appello, sottoscritto anche dall’Udi e dalla rete D.i.Re (l’associazione nazionale di centri antiviolenza, ndr) che chiama a raccolta le energie per una assemblea nazionale prevista per l’8 ottobre e una due giorni il 26 e 27 novembre. Sabato 26 ci sarà un corteo e il giorno dopo una discussione attorno a tavoli di lavoro tematici. Ci si confronterà sul ruolo dei media, sulla centralità dei centri anti-violenza, sull’importanza cruciale dell’educazione alle differenze nelle scuole di ogni ordine e grado di fatto ostacolata o nel migliore dei casi relegata come un insegnamento di serie B. L’idea delle attiviste è quella di creare sinergie tra le varie esperienze italiane, perché solo insieme si possono proporre alternative di lettura del fenomeno della violenza e possibilità di intervento con uno sguardo a trecentosessanta gradi. Perché la violenza venga affrontata non come un’emergenza o un problema di ordine pubblico ma come il frutto di una cultura patriarcale che va messa in discussione in ogni contesto e attraverso i mezzi che le donne hanno “inventato”. Nell’appello le attiviste ci tengono a sottolineare che la due giorni romana di novembre non sarà l’obiettivo finale di questa chiamata a raccolta, bensì solo il punto di partenza di un percorso comune e radicale tutto da costruire. Un obiettivo ambizioso che può fare molto bene ai femminismi italiani. b

intenzione di chiudere il cento nascita di Vipiteno, punto di riferimento delle donne che desiderano vivere l’esperienza della nascita rispettata è, nella migliore delle ipotesi, una insensatezza, nella peggiore, una delle varie risposte violente alla campagna #bastatacere in cui le donne hanno preso la parola per denunciare le forme della violenza ostetrica che hanno subito nelle loro esperienze. Le recenti prese di posizione dell’OMS sul non rispetto e la violenza nel parto e i pronunciamenti del NICE che raccomandano il parto in casa sono in profonda sintonia con quanto denunciato dalle donne. Anche le indagini dell’ISS sul percorso nascita testimoniano la notevole distanza delle pratiche da quanto raccomandato dalle linee guida nazionali e internazionali. Ci si aspetterebbe una accelerazione per il completamento delle linee guida su travaglio, parto e puerperio, un serio programma nazionale di aggiornamento professionale, la promozione dell’istituzione delle case di maternità a conduzione ostetrica, la promozione del ricettario ostetrico e del rimborso del parto a domicilio. Invece si prendono provvedimenti, sulla base di astratte indicazioni nazionali, di chiusura di centri nascita periferici quando sarebbe molto più opportuno trasformarli eventualmente in case di maternità. Si parla a sproposito di sicurezza quando sono proprio le procedure medicalizzanti a metterla in discussione: basterebbe citare le procedure adottate nel travaglio parto (posizione litotomica, cardiotocografia in continuo, induzione, ecc) che portano più facilmente al taglio cesareo attribuendo alle vittime la responsabilità (mancato impegno della parte presentata), per non parlare dell’impedimento del contatto pelle-pelle immediato e prolungato e l’attacco al seno entro la mezz’ora, fattori determinanti non solo l’avvio corretto dell’allattamento al seno e il suo proseguimento a lungo ma anche fattore altamente protettivo riguardo l’emorragia post partum, prima causa di morte materna. Il tutto caratterizzato da costi molto maggiori rispetto alle modalità raccomandate del parto rispettato. È il grande paradosso: spendere di più per avere minore qualità. E le autorità centrali agiscono in modo ambiguo con documenti sulle buone intenzioni di promozione dell’allattamento al seno non evidenziando critiche e sanzioni per le violazioni del codice internazionale per la protezione dell’allattamento materno, approvando corsi, convegni e congressi ECM sponsorizzati da multinazionali del latte artificiale. Ribadisco che la nascita rispettata rappresenta una grande opportunità per la riscoperta del senso di competenza e dell’autonomia da parte della donna e della persona che nasce, fondamenti per una società libera basata sulla cooperazione di autonomie in grado di autodeterminarsi e non su relazioni di potere, queste ultime radici delle violenze e degli omicidi contro le donne. Penso che cambiamenti significativi possano avvenire, contro gli interessi consolidati e le ideologie dominanti, con la presa di parola da parte delle donne: la campagna #bastatacere che ora prosegue con l’osservatorio violenza ostetrica è solo l’inizio. La lotta deve continuare e generalizzarsi. Sono convinto che questa volta ci saranno molti più uomini che prendono coscienza (anche per liberarsi dallo stereotipo del maschilismo) e parteciperanno alla liberazione delle autonomie in relazione.


40

Settembre 2016

GOLIARDA E ALTRI FRAINTENDIMENTI In libreria ‘La porta della gioia’, il nuovo libro di Giovanna Providenti sull’artista catanese di Nadia Angelucci

“N

on è stata soltanto veggente né soltanto ribelle né soltanto triste, nemmeno del tutto incompresa. Ma nessuno si accorgeva che lei moriva, sola, riversa sulle scale dentro casa, nei tre giorni di luna piena a fine agosto 1996”. Venti anni fa moriva Goliarda Sapienza. Negli ultimi anni della sua vita viveva tra Sperlonga e Gaeta, immersa in quella natura e in quel mare che le davano felicità. E scriveva. Annotava sui taccuini che portava sempre con sé idee, suggestioni, immagini che poi andava cucendo in trame di vita su fogli bianchi, seduta sul suo letto, la schiena contro il muro, il caffè, le sigarette e l’accendino a un lato come un’ancora di salvezza. Quelle storie, che la sua mente ordiva e la sua mano disegnava, sarebbero diventati dei libri a tutti gli effetti solo molti anni dopo la sua scomparsa e avrebbero fatto di lei, ormai inconsapevole, una scrittrice profondamente amata. Giovanna Providenti, già autrice di due lavori su Goliarda Sapienza, torna sulla vita dell’artista per dare vita ad una biografia per temi, che tralascia la mera cronologia degli avvenimenti e mette in relazione i vissuti di Sapienza con brani di opere edite ed inedite della scrittrice in un intrecciarsi di realtà e immaginazione che non toglie nulla alla verità. I capitoli, a parte il prologo “Nessuna Goliarda” e la conclusione “La porta della gioia”, sono tutti incentrati sull’Essere (Scrittrice, Cinematografara, Nata a Catania, Partigiana, Figlia di antifascisti, Viva e profonda) in un tentativo di andare al nocciolo, all’essenza di questa donna con cui Providenti sembra essersi definitivamente identificata, anche se “questo libro - scrive l’autrice nell’Introduzione - (…) non vuole

essere un resoconto oggettivo della vita di Goliarda, perché non ne esistono di possibili”. La preoccupazione di Providenti sembra invece essere quella di restituire la complessità della personalità di Goliarda, la profonda ricerca che caratterizza tutta la sua vita, il fraintendimento come “arte del dubbio (…) verità dall’interno (…) diffidando delle verità propinate da chicchessia”. Il ritratto che ne esce è quello di una donna ontologicamente incapace di essere in un solo luogo, fisico e psichico. Goliarda attraversa il mondo con uno sguardo e una tensione che la trascinano sempre oltre. Questo essere al di là, dentro e fuori la realtà, vera e bugiarda, consapevole e incosciente è l’unica verità possibile che ci può raccontare Providenti, che coglie nella frase di Sapienza nel film del 1995 di Paolo Franchi Frammenti di Sapienza, “scrivo per essere fraintesa” l’unica rispondenza vera ed assoluta per raccontare l’artista. Goliarda sola la notte di Capodanno del 1969, Goliarda bambina con il braccio rotto che le impedisce di sostenere l’esame per entrare in Conservatorio, Goliarda nel 1948 mentre aspetta Citto a Roma sotto la Rinascente, Goliarda che assiste sola alla morte dell’amatissima madre Maria Giudice, Goliarda che ingurgita un intero flacone di sonniferi con il whisky, che finisce in una clinica per malattie nervose e che viene salvata dall’elettroshock dal giovane psicanalista siciliano Ignazio Majore. Questi e moltissimi altri sono i fraintendimenti ricostruiti da Providenti e alla fine della lettura ciò che resta è la vivida sensazione della dolcissima presenza di Goliarda. b

Giovanna Providenti La porta della gioia Nova Delphi Libri, 2016


Settembre 2016

ROSADILICATA VITA E MUSICA DI UNA SICILIANA RIBELLE Opere, amori e dolori di Rosa Balistreri, classe 1927, da Licata, a “sud del Sud”. Lo spettacolo è frutto delle ricerche di Chiara Casarico e dell’associazione Ilnaufragarmèdolce di Roberto Dati

U

na bellissima storia di lotta e di emancipazione sta girando l’Italia e l’Europa grazie a Chiara Casarico che, insieme all’associazione Ilnaufragarmèdolce, svolge da anni un appassionato lavoro di ricerca e di messa in scena di opere dal forte impegno civile. Si narra qui di una donna di straordinario talento e determinazione, apparsa sulla scena della musica popolare a quasi trent’anni, quando per una fimmina di umili origini della remota provincia agrigentina il destino era già scritto indelebilmente con l’inchiostro rosso sangue delle violenze e dei parti plurimi, come richiesto dai rigidi ruoli della società patriarcale. Rosa, invece, trova dentro di sé la forza di volontà per ribellarsi alle ingiustizie, riuscendo a riscattarsi da una condizione di povertà ed analfabetismo grazie alla fortissima passione per il canto, che le sgorgava naturale mentre lavorava o si recava al mercato. Passione, persino questa, inadatta a una donna, che sempre “muta deve stare” e che deve soggiacere al maschio, sia esso il padre, il marito designato o il prete presso cui presta servizio. E la rabbia per i soprusi subiti da ciascuna di queste figure, Rosa non la tratteneva: prima rifiutandosi di cedere al desiderio fugace dei giovani rudi incrociati nelle strade polverose del paese

d’origine - “Dopo questo fatto non ne volevo sapere più niente (dell’amore)” - poi dedicando versi affilati al parroco della chiesa palermitana che la insidiava, accostando “lu prete e lu mafiosu” come figure di oppressione, infine rivoltandosi contro il marito violento e infingardo che mostrava disprezzo a lei e alla figlioletta. Carattere mai domo, voce potente in cerca di libertà, Rosa fugge dalla Sicilia e va a Firenze, dove incontra e s’innamora di Manfredi, artista che le fa conoscere Ignazio Buttitta, Guttuso e Sciascia, Amalia Rodriguez e Dario Fo. Il successo arriva, anche se in ritardo; ora lei è Rosa Balistreri, cantante folk e compositrice, in scena nei teatri e sui palchi dei festival. Ora Rosa, che dilicata non ha potuto essere, è una donna felice con una vita densa di esperienze e di soddisfazioni. La forma del teatro-canzone viene utilizzata con grazia ed equilibrio da Chiara Casarico e la sua compagnia, da Roberto Mazzoli e Stefania Placidi alle chitarre fino a Lorenzo Terranera, la cui scenografia è geniale nella sua necessaria essenzialità - le spazzole che si trasformano in scarpe, quelle scarpe mai possedute prima da una giovane contadina. Al centro della scena un carretto siciliano, che diventa di volta in volta strumento di lavoro, sbarre di prigione, talamo nuziale, intorno al quale la regia di Emilia Martinelli fa muovere Chiara/Rosa lungo tutta la gamma di emozioni che la Balistreri ha attraversato nel corso della sua vita tumultuosa, avventurosa, ma al tempo stesso composta - come ebbe a dire di lei Ignazio Buttitta - nella “sua ferma disperazione, la sua tragica dolcezza”.b

41


42

Settembre 2016

A tutto schermo

IRAN ESPLORANDO TERRITORI

FEMMINILI di Elisabetta Colla

Le nuove potenzialità del cinema iraniano in una rassegna promossa dalla distribuzione Academy Two

F

ra le numerose rassegne cinematografiche della Capitale, una particolarissima e molto apprezzata è stata quella dal titolo Nuovo Cinema Teheran, che ha portato nelle sale, grazie alla distribuzione di Academy Two, quattro recentissime opere della cinematografia iraniana di artisti emergente, una delle quali prodotta nella diaspora, che mostrano una grande varietà di letture del reale e di scelte stilistiche. La donna e la sua condizione, sia pure all’interno delle singole storie raccontate, tutte differenti ed uniche, appare il fil rouge della rassegna, elemento del cambiamento cercato in molti casi, della conservazione o, all’opposto, della rottura di ogni schema in altri casi ancora. Due registe donne e due registi uomini raccontano cosa accade sia nell’Iran reale (e quasi neo-realista) e sia in quello simbolico, anticonvenzionale e dark horror, tra i vampiri del quotidiano e quelli dell’immaginazione. Del film Nahid, di Ida Panahandeh, la giovane e coraggiosa regista selezionata a Cannes 2015 con questo

primo film di cui si è già parlato su NOIDONNE (nr luglio/ agosto 2016), e la figura tratteggiata della protagonista, Nahid, donna e madre forte e combattuta nelle sue scelte, fra amore materno, passione per un uomo e leggi ingiuste, rimane impressa nella mente per la sua modernità. La pellicola Un mercoledì di Maggio, del regista Vahid Jalilvand, aggiudicatasi il Premio Fipresci nella sezione Orizzonti all’ultima Mostra del Cinema di Venezia, racconta un’umanità sofferente, dove le donne in primis lottano per portare avanti ciò in cui credono o anche ciò in cui non credono più, cercando soluzioni per sopravvivere, come quando l’annuncio pubblicato di un’elargizione filantropica sembra poter salvare situazioni disperate in cui due donne si trovano, per motivi causati da regole vetuste e da disparità sociali sempre più accentuate. L’Iran con lo sguardo di chi ha lasciato il paese, è evidenziato nel film A Girl Walks Alone At Night, primo lungometraggio della giovane e talentuosa regista Ana Lily Amirpour, che ha realizzato il suo primo


Settembre 2016

LA MITOLOGIA DELLE FOCHE MAGICHE Due ragazze italiane fra i disegnatori del film La canzone del mare

D

alla creatività del regista nordirlandese Tomm Moore, fondatore dello studio Cartoon Saloon già vincitore di numerosi premi con The Secret of Kells, arriva nelle sale italiane, grazie a Bolero Film, La canzone del mare, un originale film di animazione che attinge a creature e personaggi del folklore e della mitologia irlandese, come le Selkies, cioè foche magiche che possono acquisire sembianze umane sulla terra. Le storie raccontate intorno a queste creature mistiche rappresentano spesso allegorie del dolore di una perdita in mare delle persone amate ed il regista desiderava proprio rivisitare e ‘rinnovare’ alcune leggende per le generazioni future. Mac Lir, l’anziano dotato di poteri magici, è infatti una divinità del mare e i seanachai sono i narratori tradizionali. Il film racconta la storia di Ben, un bambino che vive felice con il papà e la mamma in una casa vicina al mare; subito dopo la nascita della sorellina, Saoirse (l’ultima bambina foca), la mamma scompare per sempre in mare. I due bimbi si avventurano in un viaggio fantastico attraverso un mondo di antiche leggende e magia: perderanno la strada, ritroveranno la loro casa vicino al mare, rivedranno nuotando la mamma-foca tornata nel suo elemento. Una parte del successo registrato dalla pellicola al Festival di Toronto e la nomination agli Oscar nella rosa finale come Miglior Film d’Animazione lo si deve anche alla ‘mano’ italiana, poiché tra i 20 disegnatori del film ci sono anche tre giovani italiani diplomati al Centro Sperimentale di Cinematografia di Torino, fra cui ben due ragazze: Giovanna Ferrari, Alessandra Sorrentino e Alfredo Cassano. La musica è del compositore Bruno Coulais e della band irlandese Kíla, entrambi già collaboratori del precedente film The Secret of Kells. E.C.

film horror - interpretato dagli invitati ad un pigiama party - a 12 anni, dedicandosi in seguito alla pittura e alla scultura, girando l’Iran con una banda indie rock, prima di spostarsi a Los Angeles per realizzare le sue opere, tra cui numerosi cortometraggi che hanno partecipato a festival di tutto il mondo. Già presentato al Sundance Film Festival, A Girl Walks Alone At Night è un vampire western, che ha come protagonista una vampira: a Bad City, la città iraniana dei fantasmi, luogo senza speranza che odora di morte e dà rifugio a prostitute, tossici, magnaccia ed anime perverse, un vampiro solitario minaccia gli sgradevoli abitanti della cittadina, finché un ragazzo e una ragazza si incontrano e sboccia un’anomala storia d’amore “rosso sangue”. Ana Lily, affascinata dalle leggende e dai racconti scritti durante i secoli sulla mitologia dei vampiri diffusa nel mondo, ha deciso di realizzare, insieme al film, una graphic novel intitolata Death is the Answer. A completare la rassegna il film A Dragon Arrives!, commedia dai toni thriller-horror diretta dall’iraniano Mani Haghighi e presentata al Festival di Berlino, che racconta in toni inediti ed anti-convenzionali le indagini per omicidi/suicidi dell’ispettore di polizia Babak Hafizi, mostrando come e quanto il cinema iraniano possa trattare tematiche completamente nuove se considerate nell’ambito della sua storia.b

43


44

Settembre 2016

ILDEGARDA DI BINGEN

PAROLA ASCOLTATA E DESTABILIZZANTE Entrata in convento a 5 anni, Ildegarda spicca tra le ‘mistiche’ per l’integrazione tra formazione dottrinale ed esperienza spirituale

L

e Visioni di Ildegarda di Bingen, recentemente pubblicate a cura di Anna Maria Sciacca presso Castelvecchi…, ahimè, la filosofia ritorna astratta e distante dalla realtà? Cosa ci può spingere a re-interrogare una figura così lontana dai nostri tempi? Donna entrata in convento a cinque anni e che in quel luogo raggiunse una cultura enciclopedica, oltre al titolo di Badessa, riconosciuta come autorità da tutto il mondo coevo (laici ed ecclesiastici, non escluso il Papa). Ritengo che uno sguardo non superficiale possa essere utile nella contemporaneità: innanzi tutto Ildegarda è una delle grandi madri del cristianesimo - le mistiche - e tante se ne potrebbero ricordare (Angela da Foligno, Maddalena de’ Pazzi, Margherita Porete, Elisabetta di Schonau), riscoperte nel Novecento dagli studi femministi e da benemerite, consolidate ricerche nazionali e internazionali. Una infinità di figure è uscita dall’ombra: escluse dalla teologia ufficiale, emarginate da una Chiesa, che reputava le donne senza anima e che spesso le condannava al rogo come streghe, ritenute quali uomini mancati, esse riuscirono tuttavia esercitare una “Parola ascoltata” grazie al loro modo di essere e di pensare. Non solo, ma spesso era parola destabilizzante, provocazioni sovversive in alcune, espressione di inquietudini che allarmavano le istituzioni. Parola ascoltata perché molte di queste scrittrici riunirono intorno alla loro persona veri e propri cenacoli culturali, scrissero lettere ai potenti del tempo (non escluso il Papa), si adoperarono con pratiche diverse per un rinnovamento della chiesa. E tale parola è differente, prismatica, quasi una polifonia ossessiva e disarmonica, esercitata con modalità molteplici, cariche di simbolismi e di metafore; parola che espri-

me l’intima unione con il proprio corpo: Maddalena de’ Pazzi viveva estasi che duravano quarantotto ore, durante le quali la santa correva per tutto il convento realizzando un “magnifico ballo”. E mi piace ricordare come proprio nel femminismo si sia focalizzata la densità figurativa e linguistica, insita nella ambiguità del corpo, si sia colta la pregnanza e creativa ambivalenza, corpo non riconducibile unicamente né ad una dimensione culturale, né a quella biologica, ma che vive del loro difficile intreccio. Parola ascoltata anche nel nostro oggi - in un tempo di crisi, di speranze tradite, di banalizzazioni pseudo ideologiche, di chiusura nel privato (di post-femminismo?) - è la spinta a riprendere lo slancio per realizzare una vera e propria metànoia o per attuare quella parrhesia, di cui parlava Foucault, cioè un taglio dei saperi tradizionali, in vista non solo di conoscenze inedite, ma di una nuova prassi. Un secondo motivo di interesse in tale rilettura riguarda il tema dell’identità, su cui il femminismo si interroga da sempre: ritengo che l’apporto della mistica femminile sia anche espressione di una visione antropologica


Settembre 2016

indicativa per la contemporaneità (uguaglianza/differenza di maschio e femmina). Ildegarda stessa si definisce homo: da qui è nata una cordiale discussione epistolare con una valentissima studiosa come Silvia Ronchey che sottolineava in un suo articolo su La Repubblica questa auto-caratterizzazione, e nella sua replica ad alcune mie osservazioni in maniera sottile notava che si tratta di una rivendicazione di specie (anche Eloisa afferma “Domino specialiter”), e non di genere, né di “singularitas”; una provocazione “assordante” per un orecchio medioevale, quasi una richiesta di “pari opportunità” per nulla scontata al suo tempo. La studiosa aggiungeva che nella mistica emerge una polarità del tutto trasversale al genere, che lo trascende e lo annulla (proprio come fa Ildegarda designandosi homo) in una dialettica spirituale profonda. Concordo con la profonda conoscitrice, personalmente ritengo necessario precisare che homo si intende nel significato di antropos= essere umano e non già di anér=maschio. E questa distinzione, non puramente linguistica, rinvia al testo biblico (Genesi 1,27) in cui è inequivocabile la concezione dell’essere umano come natura uniduale, in cui la diversità è elemento di fecondità. Gli stessi Papi (da Giovanni Paolo II a Francesco) hanno richiamato la centralità del passo “Elohim creò l’umanità a sua immagine, […] maschio e femmina li creò”; da cui segue un’interpretazione diversa del racconto di Adamo ed Eva, Genesi 2-3, (nascita dalla costola, mela, serpente, etc., “il peggior scherzo giocato alla donna”, secondo T.Reik, che ha generato tutta una serie di stereotipi sull’inferiorità della donna). Da qui la specificità femminile della mistica (come della teologia o del filosofare), quando è parola e prassi di una donna, che costituisce un Die andere Offenbarung, un modo altro di sentire la rivelazione. La peculiarità di Ildegarda è la perfetta integrazione tra formazione dottrinale ed esperienza spirituale, a differenza, in alcuni casi, dei maestri della scolastica- espressione di una precisa identità personale femminile. Ma non solo Ildegarda (1098/1179), nel prossimo SOS mi riprometto di scavare nei nostri inquieti tempi, in un’Europa alla ricerca di una rinnovabile e rinnovata identità attingendo al pensiero di donne che hanno ripensato i modi del fare filosofia (Zambrano, Arendt, Weil, Stein, Hillesum), in particolare leggendo una teologa “atipica” come Antonietta Potente che ha scritto un testo dal titolo significativo Qualcuno continua a gridare. Per una mistica politica.❂

45

IDEE di Catia Iori

RITROVARSI

E

siste un netto divario tra il nostro vero potenziale e la capacità di sfruttarlo. Esiste quasi una sorta di collo di bottiglia che va restringendosi, una specie di setaccio in cui il nucleo dell’energia femminile resta impigliata. Nel quotidiano qualcosa di noi si arruffa, e aprire la consapevolezza sui propri gap non è da tutte. Occorre tempo, sostegno da parte di vere amiche e un lento lavoro psicologico su se stesse. Un’attenzione costante ai propri desideri, un pensiero frequente a ciò che ci fa stare bene e a ciò che ci fa allontanare dal nostro nucleo interiore. Non è da tutte. Perché la cosa migliore che possiamo fare per stare meglio con l’uomo ed evitare tante inutili violenze è riprendere in mano la nostra vita. Se ciascuno di noi riuscisse a esprimere la propria vulnerabilità di persona, prima ancora che di donna o di uomo, allora potremo essere una versione più vera e completa di noi stesse. Personalmente sono nella fase centrale di sviluppo della mia consapevolezza e sento dentro di me tutte le sindromi più tipiche che affliggono la mia crescita e la mia autoespressione. Vorrei vivere con maggiore pienezza, vorrei far udire la mia voce, vorrei sentirmi meritevole, imparare a domandare e a dire di no, propormi ed esprimere le mie capacità senza troppi distinguo. Fare finalmente quello che si è sempre desiderato e non spaventarmi se alcune personalità convivono con altre, non meno importanti. La nostra educazione ci abitua a dedicare molta attenzione all’esterno, preoccuparci sempre delle necessità altrui. Ma per ritrovare il nostro potere e creare la vita che vogliamo, occorre imparare a dirigerla dall’interno. È solo così che impariamo a ristabilire una connessione con la nostra forza vitale. Con il silenzio o con la nostre voci facciamo la differenza. Nel bene e nel male. Che tipo di differenza vogliamo fare? Come sarebbe - mi chiedo - attingere fin da piccole a immagini di una donna che adopera coraggio e dolcezza insieme, di una donna guerriera, di una donna che sposa prima di tutto se stessa e la sua missione di vita? Ho una cara amica che seguo da sempre, da quando eravamo bambine, che ha seguito proprio il copione di ciò che ci si aspettava da lei. Una bravissima bambina. Ha studiato ciò che la famiglia si aspettava da lei, qualcosa di utile e funzionale all’azienda di famiglia, ha sposato un uomo buono e umile, ha partorito tre figli che ha allevato con l’aiuto di madre e suocere, ha sempre lavorato nella fabbrica di cui il padre era socio anche se si costruivano pompe oleodinamiche e lei amava i fiori, gli animali, l’arte. E si è sempre occupata di organizzare viaggi e serate per tutta la compagnia. Ma se le chiedessi se pensa di essere felice, la sua risposta sarebbe confusa e inadeguata. Perché lei ha fatto il meglio che poteva ma è immediato a tutti che sta vivendo secondo ritmi e desideri non esattamente suoi. E a 50 anni che fa? Guarda alla madre per ripeterne il copione di vita perché fatalmente è quasi impossibile fermare tutto e ritrovare la bambina originaria. E quindi invece che imparare a fidarci del nostro intuito e della nostra guida interiore, abbiamo cominciato interiorizzare la convinzione di non essere abbastanza brave e intelligenti per rincorrere ciò che davvero desideriamo. Ovvio, dall’esterno, pare più rassicurante giocare una partita di cui si presuppongono e si danno per certi gli esiti. Ma è vita questa? La nostra? Quella che avremmo meritato?


46

Settembre 2016

LEGGERE L’ALBERO

FAMIGLIA

IL SENSO DELLA MERAVIGLIA

COME CI SI SEPARA

dI BRUNA BALdAssARRE

Cara Bruna, sono una mamma-nonna di 64 anni. Vivo in una città di provincia in Umbria e la mia casa è in mezzo al verde in campagna. La mia vita finalmente è tranquilla, amo leggere, viaggiare, andare a fare teatro, scrivere poesie e trascorrere molte ore con i miei tre nipoti. Purtroppo sono limitata nel camminare per problemi alle gambe e alla schiena. Che dici del mio albero? Dina Cara Dina, sei nella fase biografica del rispecchiamento della prima infanzia. Secondo la teoria biografica del medico B. Lievegoed la fase dai 63 ai 70 anni rappresenta il rispecchiamento dei primi sette anni di vita. È la fase così detta ‘mistica’, con il prevalere del senso della meraviglia, cioè con la capacità di meravigliarsi, proprio avviene naturalmente al bambino piccolo. W. Goethe affermava che, in relazione alle fasi della vita, il bambino è realista, il giovane idealista, l’uomo scettico e l’anziano mistico. Non appena si arriva alla conquista di una natura umana più matura la saggezza della cosiddetta vecchiaia può manifestarsi in modo atemporale, nel senso che è opportuno riconsiderare il senso della vita per scoprire un mondo di valori e interpretazioni totalmente differente da prima. Con ogni passo spirituale, tipico di questa fase, è come se si schiudesse un nuovo paesaggio poetico! La vita immersa nel mondo naturale, la tua campagna, la creatività e le attività artistiche che fortunatamente caratterizzano tutta la tua vita permettono anche di prevenire il senso di vuoto che può caratterizzare i grandi cambiamenti dell’età e soprattutto le prove dolorose come gli impedimenti di cui accenni. I limiti fisici che riferisci purtroppo possono riguardare una parte della problematica del grande cambiamento ma l’involuzione fisiologica che inizia già dai 42 anni d’età corrisponde anche a una profonda evoluzione di tipo spirituale, nel senso che se il nostro corpo si invecchia diminuendo le sue prestazioni, contemporaneamente il nostro spirito tende verso una vera e propria ascesa, migliorando qualitativamente tutta la nostra vita. Il tuo albero ben disegnato sottolinea le seguenti tappe traumatiche: anni 1,9 mesi; 27, 46;7mesi; 62. La base del fusto denota una certa inibizione mentre le foglie costituiscono i primi segni della fecondità, dello sviluppo, del rigoglio. Solitamente le femmine disegnano più foglie rispetto ai maschi. La chioma aperta con i rami che si estendono in tutte le direzioni sta a significare la ricchezza delle aspirazioni, una peculiare sensibilità e il desiderio di esplorare il mondo tendendo a una posizione maggiormente soddisfacente. Le foglie, infatti, rappresentano la speranza di aspettare anche il tempo dei frutti.

Sentiamo l’Avvocata di Simona Napolitani mail: simonanapolitani@libero.it

L

a teoria della “prevenzione” non riguarda solo gli aspetti relativi alla medicina, è giusto parlare di prevenzione anche nel campo del diritto di famiglia, per cui è necessario che le persone sappiano come fare, cosa fare e come comportarsi nei momenti di difficoltà che possono preludere ad una crisi matrimoniale. È bene sapere che, nell’interesse dei figli, sarebbe innanzitutto opportuno non coinvolgere mai i minori, che devono essere protetti da qualsiasi forma di “coalizione” o, comunque, di strumentalizzazione per combattere l’altro genitore. I figli non devono assistere ai litigi, non devono essere esposti a climi maltrattanti o a momenti di tensione, occorre proteggerli da qualsiasi malsana ingerenza del padre o della madre e tentare, nei limiti del possibile, di creare un ambiente estraneo ai conflitti coniugali, dove i minori possano respirare un’atmosfera calma e serena, a prescindere dalla crisi familiare. Innanzitutto, occorre sentire un avvocato, possibilmente esperto nel ramo, che possa dare gli opportuni suggerimenti, che sappia consigliare come muovere i primi passi, orientare nei momenti di crisi, spiegare le alternative che si hanno davanti: consapevolezza dei problemi, dei diritti e dei doveri, poi separazione consensuale o giudiziale, affidamento condiviso o esclusivo, quale regime di frequentazione è più opportuno per i figli; verificare la possibilità di chiedere il mantenimento. Insomma, illustrare al coniuge o al genitore cosa potrebbe fare e come potrebbe muoversi. Spiegare alla parte che può chiedere il gratuito patrocinio, qualora il suo reddito non superi gli 11.000,00 euro annui, ossia essere assistito da un avvocato che sarà pagato dallo Stato. In realtà le parti (coniugi o conviventi) dovrebbero imparare a capire e rispettare le esigenze dell’altro, sia come marito o come moglie, sia come padre o come madre, perché solo dal riconoscimento dell’altro si può sperare in un una reciprocità di comportamenti e, quindi, in una risposta che sia del medesimo contenuto. Solo così dei coniugi maturi e dei genitori responsabili possono sperare di sottoscrivere un’equa separazione consensuale anziché combattere un’insana guerra giudiziaria dalla quale non escono vincitori, ma solo sconfitti.


Settembre 2016

47

SPIGOLANDO tra terra, tavola e tradizioni di Paola Ortensi

PAROLE, SIGNIFICATI, GESTI ALL’ORIGINE DELL’EDUCARE

Per quanto risulti ovvio, per insegnare e quindi imparare, il mezzo principe sono le parole intrecciate tra loro o i gesti che le mimano. Parole: via maestra verso l’educazione, la cultura, la riflessione. Quello su cui in questo piccolo spazio approfittiamo per riflettere è che, spigolando proprio tra le parole, ne scelgo alcune interessanti in tema di apprendimento che dalla terra ma anche dalla tavola e tradizioni prendono origine essendo divenute poi nel tempo, per traslato, di uso comune . La prima è coltivare, atto principe nella produzione agricola, che viene subito dopo la semina e che, essendo i contadini interessati a un frutto sano e di qualità, è bene sottolineare come all’origine sottintenda: controllo, osservazione, cura, attenzione fino a quel prodotto finito da raccogliere che sarà base del nostro cibo. Azioni, tutte quelle segnalate, come necessarie e praticate da chiunque viva in modo consapevole e coltivi interessi, attività o passioni. Non è poi superfluo

segnalare i due sostantivi coltura e cultura e aggiungere quella parola, cultivar, che indica una biodiversità vegetale, per capire la frequenza di tali vocaboli nel linguaggio di chiunque. Ed è dunque sempre ripercorrendo termini originari del lavoro agricolo che sbocceranno “imprese” di successo, se avremo: seminato, piantato, coltivato con fatica, passione, insistenza, professionalità, amore. I risultati del nostro impegno li potremo allora far sbocciare e fruttare al meglio. Tornando una volta in più a quel termine spigolando, titolo di questa rubrica, saranno le spighe di grano raccolte, che una volta macinate daranno la farina che con acqua, lievito, tempo e temperatura necessaria faranno crescere il pane; così come fiorirà il nostro sapere se lo faremo lievitare a seconda dell’uso e delle applicazioni che decideremo di farne. Comprendere dunque all’origine il senso delle parole aiuta ad assumere un insegnamento che in molti casi diviene una bussola nell’agire, magari rispettando le tradizioni che nella loro stessa consolidata storia offrono spesso semi di saggezza e talvolta punteggiatura di abitudini che pratichiamo nel corso dell’anno. Rimanendo alle tradizioni, da queste impariamo cibi e menù che accompagnano occasioni di feste, o ricorrenze da calendario; spesso con un legame forte alla stagionalità dei prodotti come: le “cocomerate” per ferragosto , le merende a pizza e fichi di settembre, le feste d’autunno col vino novello, oppure i

primi piatti, gli sformati e i dolci a base di zucca per Halloween.. e molti altri esempi si potrebbero fare… E a proposito di zucca, sorvolando sulla mitica carrozza di Cenerentola la parola, per ragioni forse legate alle sue forme, ha assunto il significato, anche se in termini leggeri, di testa vuota o di persona testarda rintracciabili nelle definizioni: zuccone o “non hai sale in zucca” o zucca vuota e, ancora, con un passaggio grammaticale dal femminile al maschile e con qualche manipolazione del termine, si arriva a un dolce di mitica bontà, “Lo zuccotto”, di cui per questioni di spazio indichiamo gli ingredienti e vi rimandiamo per la preparazione al libro di ricette di casa o a un sito internet.

RICETTE ZUCCOTTO Un pan di Spagna da 250-300g, mezzo litro di panna, 60 gr di cacao amaro, 80 gr di zucchero, 4 amaretti, liquore all’amaretto


48

Settembre 2016

Lucia Tosi

PER NON DIMENTICARE Una lingua duttile, incline al neologismo, alla creazione, allo stupore di Luca Benassi

U

na battuta, forse di cattivo gusto, afferma che i poeti sono come i maiali: buoni da morti. Nella sua crudezza, la frase ha un fondo di verità: scrittori dimenticati, in ristrettezze economiche, snobbati da editori e premi, improvvisamente vengono ricordati in occasione della morte, finiscono sui quotidiani nazionali, specie se hanno condotto una vita disastrata, preda della follia e delle dipendenze, che possa intrigare la voglia di scandali e spettacolo del pubblico d’oggi. Terminato l’orgasmo del momento, ritornano nell’oblio e nel silenzio dei loro versi. Conoscevo Lucia Tosi da qualche anno, segna-

latami da un amico comune come poetessa valida e profonda. Trovai i suoi pochissimi versi, pubblicati in rete, di sicuro valore e la pregai di mandarmi dei testi inediti, con l’intenzione di occuparmene sulle pagine di NOIDONNE. Mi rispose che era lusingata, che l’avrebbe fatto, che però era presa da molte cose e che avrei dovuto pazientare. È vero, era molto impegnata, stava combattendo con coraggio e determinazione, senza mai cedere all’autocommiserazione, una malattia crudele che l’ha portata via il 9 luglio 2016. Quei versi inediti non ha mai avuto il tempo e il modo di mandarmeli. Forse, oltre all’impegno per una vita che si faceva sempre più precaria, c’erano una naturale ritrosia, il senso di una poesia che richiede macerazione, dedizione e cura totali, per poter farsi depositaria di un’intimità senza infingimenti; una poesia che non si regala al primo venuto, al lettore sconosciuto, al critico improvvido. In ogni caso, avrei dovuto prestare più attenzione, insistere, e questa pagina apparirà forse come un cogliere l’opportunità della morte per parlare di una poesia che avrebbe meritato maggiori opportunità. I versi di Lucia Tosi sono dotati di una pensosa ironia che si manifesta in una lingua duttile, incline al neologismo, alla creazione, allo stupore. Eppure dietro questo apparente umorismo si celano il freddo tagliente dell’esistenza, le difficoltà, le storture, che la poetessa non schiva né allontana, ma incide con la parola, guidandoci al cuore delle cose e degli affetti. Fino alla fine. Lucia Tosi è stata insegnante di italiano e latino. Ha scritto per il blog “La poesia e lo spirito” testi criticocreativi sulla scuola italiana, delle recensioni e qualche racconto; sue poesie sono comparse in vari blog, specie ne “La dimora del tempo sospeso” a cura di Natàlia Castaldi e in “poetarumsilva” a cura di Anna Maria Curci.

Mostratevi entusiasti di avermi conosciuto La vita si fa poco per volta: coi sensi di oggi non riconosco quello che allora, e più indietro, devo aver per certo provato: per il sangue le morti – da spiaccicamento autostradale o da malanno – i suicidi. Ogni volta una diga che tracima un vajont di disperazione. Come l’acqua che si ritira non si sa dove – di tanta che n’è scesa – anche il dolore lo risucchiano il da fare del giorno e l’invocata tenebra. A guardare indietro parmi d’esser stata di pietra: neanche il tempo per graffiarmi il volto e buttarmi a terra, nel buio, a brancolare.

— Madre Avevo nove anni quando tu avevi gli anni che ho adesso io. Troppi i tuoi per parlarmi troppo pochi i miei per capire il tuo primo addio alla giovinezza. Scopro adesso gli stessi segni, le stesse ingannevoli morbidezze dell’abbandono. Non ho io però una bambina ignara a vedermi vecchia e irripetibile: ho una fanciulla in fiore rivolta verso un altro sole. Sola ero senza di te allora adesso sola nell’incalzare delle età. Te ne sei andata, or son tre anni, al solito, senza parlare.


Regala e regalati l’abbonamento a noidonne.

Se vuoi regalare l’abbonamento possiamo inviare la prima copia accompagnata da una lettera personalizzata

Le possibilità di abbonamento a noidonne sono le seguenti:

ordinario 25 euro straordinario 60 euro (hai diritto a 3 indirizzi o 3 copie)

sostenitore 100 euro (hai diritto a 6 indirizzi o 6 copie)

Per informazioni redazione@noidonne.org 338 9452935 (Rinaldo)

ND_CV_Settembre_2016.indd 4-5

1+1= 40 euro Due abbonamenti almeno una nuova abbonata con un unico bollettino di soli 40 euro (anzichè 50 euro)

Il versamento può essere effettuato con un bollettino di c/c postale sul conto nr. 000060673001 oppure con Bonifico su BancoPosta intestato a: Società Coop. Libera Stampa a rl c/o Studio Berto Fabio IBAN: IT57 D076 0103 2000 0006 0673 001

03/08/16 17.30


I T A N O ABB O P M E T IL O S S E D ÈA

O S S E D A È H C R PNOIEDONNE ha bisogno del tuo sostegno O S S E D A Pva EdifeRsaCl’inHforÈmazione libera O S S E D nte A e t s i È s E H R e l C a n PpiùEchRe mai questo vuole essere un gior Le possibilità di abbonamento a noidonne sono le seguenti:

ordinario 25 euro straordinario 60 euro (hai diritto a 3 indirizzi o 3 copie)

sostenitore 100 euro (hai diritto a 6 indirizzi o 6 copie)

Per informazioni redazione@noidonne.org 338 9452935 (Rinaldo)

ND_CV_Settembre_2016.indd 2-3

1+1= 40 euro Due abbonamenti almeno una nuova abbonata con un unico bollettino di soli 40 euro (anzichè 50 euro)

Il versamento può essere effettuato con un bollettino di c/c postale sul conto nr. 000060673001 oppure con Bonifico su BancoPosta intestato a: Società Coop. Libera Stampa a rl c/o Studio Berto Fabio IBAN: IT57 D076 0103 2000 0006 0673 001

SETTEMBRE 2016

USA HILLARY E LA NOMINATION LE BIOBANCHE CUSTODI DI VITA DONNAESALUTE INCONTRI A FIRENZE E LIPSIA

VIVALASCUOLA BALBO, COMENCINI, SENTINELLI, DE MATTHEIS, RICCARDI, HANAN AL HROUB prezzo sostenitore 3,00 euro Anno 71 - n.9 ISSN 0029-0920

03/08/16 17.30


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.