Nd novembre 2016

Page 1

È STATO BELLO prezzo sostenitore 3,00 euro Anno 71 - n.11 ISSN 0029-0920

ND_CV_Novembre_2016.indd 2-3

23/10/16 20.03


ND_CV_Novembre_2016.indd 4-5

23/10/16 20.03



www.noidonne.org

SOMMARIO

08

novembre 2016 RUBRICHE

14

16

10/11 bioetica

16/19 MONDI

Femminicidio: una barbarie uscita dal passato di Luisella Battaglia

16 POLONIA/Aborto: una vittoria delle donne di Cristina Carpinelli

04 Un problema da risolvere il 4 dicembre di Giancarla Codrignani

12/13 intrecci

19 STRISCIA DI GAZA/ Women’s boat di Zenab Ataalla

05 Una riforma neutra? di Tiziana Bartolini

13 Non Una di Meno e 25 novembre Verso la manifestazione

06 Il referendum delle discordie di Tiziana Bartolini

14/15 JOB&JOB

03 / EDITORIALE

4/7 FOCUS / LA COSTITUZIONE OGGI E (FORSE) DOMANI

8/9 attualità

12 UDI/ Calendario 2017 Premio Immagini Amiche

Donne in Campo/De@ Terra e La spesa in campagna di Tiziana Bartolini

Una battaglia mondiale di Stefania Friggeri

Mensile di politica, cultura e attualità fondato nel 1944

Direttora Tiziana Bartolini

Anno 71 - numero 11 Novembre 2016

Presidente Maria Costanza Fanelli

Autorizzazione Tribunale di Roma n°360 del Registro della Stampa 18/03/1949 Poste Italiane S.p.A. Spedizione abbonamento postale D.L. 353/2003 (conv. In L.27/02/2004 n°46) art.1 comma 1 DCB Roma prezzo sostenitore €3.00 euro Filiale di Roma La testata fruisce dei contributi di cui alla legge n.250 del 7/8/90

Editore Cooperativa Libera Stampa a.r.l. Via della Lungara, 19 - 00165 Roma Stampa ADG PRINT s.r.l. Via Delle Viti, 1 00041 Pavona di Albano Laziale tel. 06 45557641 PROGETTO GRAFICO Elisa Serra - terragaia.elisa@gmail.com Abbonamenti Rinaldo - mob. 338 9452935 redazione@noidonne.org

20/32 APPRODI 20 Alba Piolanti/Sovversive Lisa Mazzi /Frammenti Cocchiara e Cardile/Aborto ieri e oggi Marcella Delle Donne/Voce donna

27

23 Lidia Are Caverni/La maschera scomparsa di Elena Ribet 24 Artiste al lavoro/Mostra Cgil a Mantova 26 Festa del cinema di Roma di Elisabetta Colla 27 Pepa San Martin /Rara. Una strana famiglia di Elisabetta Colla

22 I segreti del bisso Seta del mare Intervista a Chiara Vigo di Mirella Mascellino

amiche e amici del progetto noidonne

Clara Sereni Michele Serra Nicola Tranfaglia

Laura Balbo Luisella Battaglia Francesca Brezzi Rita Capponi Giancarla Codrignani Maria Rosa Cutrufelli Anna Finocchiaro Carlo Flamigni Umberto Galimberti Lilli Gruber Ela Mascia Elena Marinucci Luisa Morgantini Elena Paciotti Marina Piazza Marisa Rodano Gianna Schelotto

Ringraziamo chi ha già aderito al nuovo progetto, continuiamo ad accogliere adesioni e lavoriamo per delineare una sua più formale definizione L’editore garantisce la massima riservatezza dei dati forniti dagli abbonati e la possibilità di richiederne gratuitamente la rettifica o cancellazione contattando la redazione di noidonne (redazione@noidonne.org). Le informazioni custodite nell’archivio non saranno né comunicate né diffuse e verranno utilizzate al solo scopo di inviare agli abbonati il giornale ed eventuali vantaggiose proposte commerciali correlate. (L.196/03)

ringraziamo le amiche e gli amici che generosamente questo mese hanno collaborato

Zenab Ataalla Bruna Baldassarre Tiziana Bartolini Luisella Battaglia Luca Benassi Francesca Brezzi Barbara Bruni Cristina Carpinelli Giancarla Codrignani Elisabetta Colla Stefania Friggeri

11 Il filo verde di Barbara Bruni 15 Strategie private di Cristina Melchiorri 29 Salute BeneComune di Michele Grandolfo 28 SOS Filosofia di Francesca Brezzi 30 Leggere l’albero di Bruna Baldassarre 30 Famiglia, sentiamo l’avvocata di Simona Napolitani 31 Spigolando di Paola Ortensi 32 Poesia Cinzia Marulli Verso la luce di Luca Benassi

Cristina Gentile Michele Grandolfo Mirella Mascellino Cristina Melchiorri Simona Napolitani Paola Ortensi Elena Ribet

‘noidonne’ è disponibile nelle librerie Feltrinelli ANCONA - Corso Garibaldi, 35 • BARI - Via Melo da Bari 117-119 • BOLOGNA - Piazza Galvani, 1/h • BOLOGNA - Piazza Porta Ravegnana, 1• FIRENZE - Via dei Cerretani, 30-32/r MILANO - Via Manzoni, 12 • MILANO - Corso Buenos Aires, 33 • MILANO - Via Ugo Foscolo, 1-3 • NAPOLI - Via Santa Caterina a Chiaia, 23 • PARMA - Via della Repubblica, 2 PERUGIA - Corso Vannucci, 78 - 82 • ROMA - Centro Com.le - Galleria Colonna 31-35 • ROMA - Via Vittorio E. Orlando, 78-81 • TORINO - Piazza Castello, 19


Novembre 2016

PERCHÉ BIANCO E NERO Cara abbonata e cara amica, abbiamo pensato che per un numero particolare di NOIDONNE come questo ci fosse bisogno di rimarcare l’eccezionalità del momento, segnandolo con una scelta grafica forte come quella del bianco e nero. Questo, infatti, è il penultimo numero del 2016, anno che segna la conclusione del cammino di NOIDONNE in stampa dopo oltre 72 anni. I costi di gestione e la crisi dell’editoria sono alcune delle cause alla base di questa decisione. Accanto a ragioni strutturali, che investono tutto il sistema dell’informazione non solo a livello nazionale, ve ne sono altre, di ordine politico, su cui si può aprire una discussione attraverso il sito www.noidonne. org, luogo di incontro che continueremo ad aggiornare con notizie e riflessioni. Il paradosso, per quanto ci riguarda, è che la pesante crisi economica di questi anni non ha inciso negativamente nelle vendite del giornale. Si tratta di un elemento significativo anche in considerazione della frammentazione dei movimenti delle donne, fattore che con tutta evidenza non costituisce un elemento di forza o di spinta. In tale contesto migliaia di donne - a titolo personale o nelle loro realtà associative o lavorative - hanno scelto di abbonarsi a NOIDONNE. Hanno cioè acquistato un giornale sulla base del gradimento del prodotto editoriale e, certamente, hanno compiuto una scelta politica. Completiamo le edizioni del 2016 anche per onorare il riconoscimento che ci è arrivato, mese dopo mese, da tante e tante amiche sconosciute che in cambio di una piccola somma - un peso, però, in certi magri bilanci familiari - hanno voluto comperare proprio questo giornale. Arriviamo alla scelta di non stampare più con il dolore di una perdita, ma con l’orgoglio di chi ha fatto tutto il possibile affinché questa narrazione non si interrompesse nella forma cartacea. Per questo il NOIDONNE di dicembre tornerà a colori, per onorare tutta la sua storia, iniziata nel 1944 e arrivata fino ai giorni nostri. Raccomandiamo di non perderlo perché sarà molto, molto speciale: sarà un numero da collezione e da conservare con la massima cura. L’altra iniziativa, nel solco di una determinazione che la tristezza non affievolisce, è la realizzazione dell’Agenda NOIDONNE cult per il 2017, dedicata alle vignette di Cristina Gentile. Perché, nonostante tutto, non vogliamo negarci il lusso di un sorriso e la possibilità di avere un futuro, anche se virtuale. L’agenda, quindi, come ponte ideale verso un 2017 possibile. Ti chiediamo di comprarla e regalarla per sostenere il sito e per tenere aperti spazi per nuovi progetti. Soprattutto te lo chiediamo per non perdere il legame che ci ha unite fino ad ora. Tiziana Bartolini

3


4

Novembre 2016

LA COSTITUZIONE OGGI E (FORSE) DOMANI | 1

UN PROBLEMA DA RISOLVERE IL 4 DICEMBRE di Giancarla Codrignani

IL REFERENDUM COSTITUZIONALE, LA DECISIONE È AL POPOLO: SÌ PER CONFERMARE LE MODIFICHE E NO PER RESPINGERLE

I

nutile volerci girare intorno: la gente l’ha presa per il verso sbagliato e rischia di andare al referendum come alla partita Milan-Inter. Le passioni saranno belle, ma confondono la mitologia con la politica. Come donne dobbiamo fare attenzione, se è vero che noi siamo quelle della “cura”, dell’interesse prioritario per l’umano attraverso la vita da rendere vivibile, i corpi da rispettare, le esigenze di cui definire le priorità. La riforma non tocca nessun principio e la nostra piena uguaglianza resta garantita dall’art. 3, anche se i nostri diritti sono stati a lungo differiti e rimossi. Forse, se chiedessimo noi una riforma, vorremmo l’abolizione dell’art. 37 che ci fa lavoratrici alla pari ma ci carica di una “essenziale funzione familiare” evidentemente negata all’uomo. Forse non ricordiamo che nel 2003 su iniziativa del governo Berlusconi è stato modificato l’art. 51 per dire che la Repubblica “favorisce” (e non “garantisce”) le “pari opportunità” (e non i “pari diritti”) ai fini elettorali: anche quando si tratta della Costituzione, con il “genere” si fatica. E non ci basta che “questa” riforma menzioni tre volte la parità delle donne. La prima parte, quella dei diritti (che non viene in nessun modo modificata), è ancora attuata parzialmente. Per renderla effettiva occorre l’approvazione di leggi che, in democrazia, debbono ottenere il 51 per cento dei voti attraverso mediazioni tra le parti: il passaggio da una Camera all’altra significa non tanto migliorare la qualità, quanto continuare a negoziare e perfino differire l’approvazione. La legge contro la violenza sessuale uscì dopo 20 anni e, mi pare, sette legislature di andirivieni

tra Camera e Senato. Il confronto tra il SÌ e il NO (oggi sostenuto anche dalla destra che l’ha approvata in Parlamento) disgraziatamente si è inasprito, mentre poteva costituire un’utile lezione di educazione costituzionale. Il cambiamento reale è quello di far uscire l’Italia dal passato. Anche dopo la Liberazione è rimasta una concezione della dialettica politica che oppone ancora il Parlamento al Governo. La riforma propone una dialettica diversa, tra la Maggioranza e l’Opposizione, che per la prima volta avrà uno statuto formale. La Repubblica resta dunque parlamentare e il Parlamento farà le leggi solo nella Camera dei Deputati (dove i rappresentanti eletti delle diverse formazioni sono 630). Il governo mantiene la consueta funzione democratica e l’articolo che riguarda la funzione del presidente del consiglio (art. 95) non è cambiato. Se il governo avrà una corsia preferenziale per alcune leggi, si eviteranno molti decreti, i voti di fiducia e i maxiemendamenti. Il Senato rappresenterà i territori, come auspicato dai costituenti e compreso nel programma dell’Ulivo; i nuovi senatori (l’art. 70 che ne illustra le competenze passa da 9 a 448 parole) non voteranno la fiducia, perché sono un organo di controllo, ma voteranno le revisioni costituzionali e le normative europee (per la prima volta menzionate). Non ci sono affinità con la riforma Berlusconi: non si parla di presidenzialismo, non cambia la forma di governo, non cambiano i rapporti con il potere giudiziario e politico. L’espressione molto usata “l’uomo solo al comando”, può essere riferita alla legge del 1993 che adottò il maggioritario, il ballottaggio e il premio di maggioranza (del 60 per cento) rendendo ogni sindaco il cosiddetto uomo solo al comando: tutti vedono che i Comuni sono rimasti governati secondo i risultati del voto. L’altro mantra “la democrazia è in pericolo” dice una verità purché si guardi con apprensione la crescita in tutti i paesi europei dei nazionalismi, il rifiuto degli immigrati e la preoccupazione che la Francia consegni la presidenza della Repubblica alla signora Le Pen. Le Costituzioni


Novembre 2016

non hanno colpa se la gente vota contro il proprio interesse: la Turchia ha regolarmente eletto Erdogan, come già gli italiani Mussoline e i tedeschi Hitler. Si dice che la Riforma risponde alle richieste della finanza internazionale: sarebbe bene chiedere dove erano i nostri critici quando fu messo in Costituzione nel 2012 il pareggio di bilancio, principio virtuoso, ma ormai improponibile, soprattutto per i paesi indebitati: l’Italia ha un debito di 2.250 miliardi. e la Germania sta nei guai con la Deutsche Bank. Tuttavia gli ordinamenti costituzionali gestiranno la politica economica come sempre e d’intesa con l’Europa. La pratica del referendum diventa anche propositiva: cresce il numero delle firme per presentarli, ma si abbassa il quorum finale per evitare il gioco sulle astensioni. Anche per le leggi di iniziativa popolare si alza a

150mila la raccolta firme, ma si garantisce l’obbligo di esaminarne i contenuti. Nelle votazioni per il Presidente della Repubblica, dalla settima basteranno i tre quinti dei votanti (e non più dell’assemblea), nel rispetto dell’opposizione. Il rapporto dello Stato con i territori corregge le anomalie prodotte dalla riforma (di iniziativa della sinistra) del 2001 che ha prodotto innumerevoli ricorsi alla Corte costituzionale, alle cui sentenza la riforma si adegua. Si tratta di modifiche la cui adozione è stata avviata nel 1983 (quando le legislature cadevano ogni due o tre anni); poi è stata portata avanti da tre “bicamerali”, dalle proposte dell’Ulivo, dai governi Monti e Letta, promotore di un’indagine di costituzionalisti che si divisero in favorevoli e contrari. Renzi ha la responsabilità di dire che 33 anni bastano e si deve decidere. Adesso tocca ai cittadini e alle cittadine. ◆

LA COSTITUZIONE OGGI E (FORSE) DOMANI | 2

UNA RIFORMA NEUTRA?

L’

art 55 della riforma approvata dal Parlamento fa esplicito riferimento “all’equilibrio tra donne e uomini nella rappresentanza” parlamentare, come previsto anche dall’art. 122 per le elezioni regionali. Quindi i principi di salvaguardia della presenza di donne nelle assemblee elettive sono stati accolti nella riforma che il 4 dicembre è sottoposta a referendum costituzionale. Ma l’affermazione di tali principi, accanto all’art 3 che sancisce la “pari dignità sociale” senza distinzione di “sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche, condizioni personali e sociali” non esaurisce gli argomenti per un possibile esame della riforma da un punto di vista di genere. Le donne, più o meno organizzate, sono divise tra i due fronti del Sì e del No. Le sostenitrici del No in un volantino accusano la riforma di creare un deficit di democrazia, di trasparenza, di legalità, di partecipazione: in sostanza sottoscrivono le ragioni neutre - ovvero maschili - del No incasellandole nelle griglie dei ‘classici femminili’. Dicono, per esempio: le donne sostengono la partecipazione, ma se le firme per le proposte di legge di iniziativa di popolare passano a 150mila c’è meno partecipazione. Oppure: le donne sono a favore dell’innovazione, ma il nuovo sistema (con il superamento del bicameralismo perfetto) potrebbe amplificare il rischio di conflitti e immobilismo. Ora, una delle poche evidenze su cui c’è poco da discutere è la crisi della rappresentanza e delle forme organizzate della politica di cui

i partiti sono l’espressione. A tale pericoloso declino, un piano inclinato che sembra non avere fine, la vigente Costituzione non ha saputo porre argine. Sembrerebbe logico, quindi, immaginare qualche cambiamento e sarebbe logico affrontarlo senza troppi allarmismi e ipotesi catastrofiste. Con la vigente Costituzione la corruzione ha potuto dilagare quasi indisturbata. I riflessi negativi di un fenomeno di proporzioni immense li paghiamo soprattutto noi donne, con i tagli ai servizi sociali. Con la vigente Costituzione sono cambiati nei decenni vari sistemi elettorali, fattore che non ha impedito il progressivo imbarbarimento della politica. A farne le spese, di nuovo, noi donne perché tendiamo ad autoescluderci da lotte prevalentemente personalistiche e poco connesse all’interesse collettivo. Qualsiasi donna, nella gestione della quotidianità come lavoratrice, come madre, nonna o figlia si scontra con una burocrazia ottusa e cieca di fronte alla realtà vera e viva. La Costituzione non ha un legame diretto con il funzionamento dell’apparato statale, ma siamo sicure che l’approvazione di una riforma così importante non possa rappresentare una scossa positiva? Che lo si voglia o meno, il No è un messaggio di conservazione e quindi di rafforzamento dell’esistente. Se questo non è un paese per donne, come spesso sosteniamo, allora dobbiamo guardare avanti senza paura. Occorre una precisazione. Il rifiuto della conservazione non equivale all’adesione alla teoria della rottamazione. È una postilla indispensabile in una campagna referendaria che molti vogliono ridurre al sostegno o meno del governo in carica. Noi donne siamo troppo navigate per cadere in questa trappola. E ci è chiaro che dire Sì alla riforma - o rigettarla - non è un fatto politico neutro. Tiziana Bartolini

5


6

Novembre 2016

LA COSTITUZIONE OGGI E (FORSE) DOMANI | 3

IL REFERENDUM DELLE DISCORDIE di Tiziana Bartolini

Un sintetico riepilogo entrando nel merito delle questioni oggetto del referendum. Le ragioni di chi è d’accordo con le modifiche alla Costituzione approvate dal Parlamento e chi, invece, non le condivide

Il 4 dicembre andremo a votare per approvare o re-

spingere la riforma della Costituzione approvata dal Parlamento con legge nr 88 del 15 aprile 2016 che ha questo titolo “Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del titolo V della parte II della Costituzione”. La riforma è molto importante perché trasforma l’assetto istituzionale del nostro paese. Il referendum è costituzionale e sarà valido con qualsiasi quorum di votanti. Con il NO la Costituzione non cambierà, con il SÌ le modifiche saranno approvate dal voto popolare. Ecco alcuni punti salienti della riforma e le motivazioni delle due posizioni, dei favorevoli e dei contrari.

— RIFORMA DEL SENATO / FINE DEL BICAMERALISMO PERFETTO Oggi tutte le leggi e la fiducia ai governi devono essere approvate dalla Camera dei deputati e dal Senato. Con la

riforma, sarà solo la Camera dei deputati, organo eletto dai cittadini, ad approvare le leggi ordinarie e di bilancio e a votare la fiducia al governo. Più nel dettaglio: il Senato voterà con la Camera solo le leggi che riguardano i rapporti tra Stato, Unione europea e territorio, le leggi costituzionali e di revisione della Costituzione, leggi sui referendum popolari, leggi elettorali, leggi sulla Pubblica Amministrazione, leggi su organi di governo e sulle funzioni di Comuni e Città metropolitane. Il Senato rappresenterà le autonomie regionali (senato delle regioni), si comporrà di 100 senatori (oggi sono 315): i 95 in rappresentanza territoriale resteranno in carica per la durata del loro mandato di amministratori locali e non saranno pagati per la carica di senatore. Il Presidente della Repubblica nominerà 5 senatori che rimarranno in carica sette anni; saranno senatori a vita solo gli ex Presidenti della Repubblica. Il Senato partecipa all’elezione del Presidente della Repubblica, del Consiglio superiore della magistratura e della Corte costituzionale e legifera per le leggi di revisione costituzionale; in tempi brevi e certi potrà esprimere pareri e proporre modifiche sulle leggi approvate dalla Camera, che potrà non accoglierle. È istituito lo ‘statuto delle opposizioni’.

SÌ PERCHÉ. Il Parlamento lavorerà in modo più spedito ed efficace, si eviterà il rimpallo tra le due Camere per tutte le leggi e solo i deputati saranno responsabili del completamento dell’iter legislativo. Un effetto collegato alla riforma è la diminuzione del ricorso ai decreti e ai voti di fiducia. Risparmi economici notevoli dei costi del Senato visto che i senatori non potranno percepire indennità per tale carica, avranno cioè solo le indennità che avrebbero comunque ricevuto in quanto sindaci o consiglieri regionali. Si stima che il risparmio ammonterebbe a circa 500 milioni, considerando anche la soppressione del Cnel e delle Province oltre al limite posto ai compensi dei consiglieri regionali. NO PERCHÉ. Pericolo di confusione tra le competenze di Camera e Senato, critiche alle modalità di elezione dei nuovi senatori e dell’estensione a loro dell’immunità. La riforma costituzionale insieme all’Italicum (legge ordinaria per l’elezione del Parlamento) aumenterebbe nella sostanza il potere dell’esecutivo. Il risparmio dei costi del Senato sarebbe valutato in circa 57 milioni.


Novembre 2016

— ELEZIONE DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA Il Presidente della Repubblica sarà eletto da Camera e Senato in seduta comune con la maggioranza dei due terzi dei componenti fino al quarto scrutinio, poi basteranno i tre quinti. Solo dal settimo scrutinio basterà la maggioranza dei tre quinti dei votanti. Attualmente è necessario ottenere i due terzi dei voti dell’assemblea fino al terzo scrutinio, dal quarto scrutinio è sufficiente la maggioranza assoluta dei componenti.

SÌ PERCHÉ. I quorum previsti nella riforma per l’elezione del Presidente della Repubblica favoriscono la ricerca di maggioranze ampie. NO PERCHÉ. C’è il rischio che il partito che vince le elezioni lo elegga con la sua ampia maggioranza e non sarebbe un Capo dello Stato bipartisan.

— ABOLIZIONE DEL CNEL E DELLE PROVINCE La riforma sopprime definitivamente le Province e il Consiglio nazionale per l’economia e il lavoro (Cnel), organo ausiliario con funzione consultiva formato da 64 consiglieri.

SÌ PERCHÉ. Si cancella un organo, il Cnel, che poco o nulla ha inciso nelle politiche del lavoro. Oltre a snellire lo Stato, l’abolizione del Cnel e delle Province producono un notevole risparmio economico.

NO PERCHÉ. Si tratta di scelte più demagogiche che di sostanza.

— COMPETENZE STATO/REGIONI (TITOLO V) L’articolato è piuttosto complesso e rivede la riforma del 2001. In sostanza circa 20 materie tornano di competenza esclusiva dello Stato (ambiente, porti e aeroporti, trasporti e navigazione, produzione e distribuzione dell’energia, politiche per l’occupazione, sicurezza sul lavoro, ordinamento delle professioni).

SÌ PERCHÉ. Semplificazione del rapporto tra Stato e Regioni. Si evitano i contenziosi sulle competenze concorrenti, come è avvenuto in questi anni con l’effetto negativo di lungaggini burocratiche, perché alcune materie tornano ad essere competenza dello Stato anche favorendo la programmazione nazionale di politiche omogenee nel medio/ lungo periodo. NO PERCHÉ. Non si concorda con la possibilità dello Stato di poter applicare la ‘clausola di supremazia’ nei casi di inadempienze di enti territoriali e si valuta non chiara la differenza tra i compiti attribuiti alla Stato di ‘valorizzare e tutelare’ e alle regioni di ‘promuovere’, per esempio nel campo del patrimonio culturale. — REFERENDUM E LEGGI D’INIZIATIVA POPOLARE Per rendere valido il risultato del referendum abrogativo il quorum rimane del 50 per cento più uno degli aventi diritto al voto; se le firme dei proponenti sono 800mila, invece delle 500mila minime richieste, basterà che vada a votare il 50 per cento più uno dei votanti alle ultime elezioni politiche. Per le leggi d’iniziativa popolare serviranno 150mila firme e non più 50mila firme, ma il Parlamento sarà tenuto a deliberare. C’è la novità dei referendum popolari propositivi e di indirizzo, non previsti attualmente.

SÌ PERCHÉ. Il Parlamento sarà tenuto a deliberare sulle proposte di legge di iniziativa popolare, a differenza di adesso che in sostanza le ignora. Si apre la possibilità di indire referendum propositivi e di indirizzo, mentre oggi i referendum sono solo abrogativi di norme esistenti.

NO PERCHÉ. Le modifiche sono giudicate restrittive per la partecipazione popolare rispetto all’attuale situazione. ◆

7


8

Novembre 2016

UNA BATTAGLIA

MONDIALE di Stefania Friggeri

Divieti arcaici per le donne, le mutilazioni genitali femminili, l’ossessione religiosa verso il corpo. Il mondo è più piccolo e l’impatto delle discriminazioni investe tutti i paesi. Anche l’Occidente maschilista e l’Islam democratico devono fare i conti con le tante contraddizioni

L

a scorsa estate in Arabia Saudita è comparso sui social media l’hastag #StopEscalvingSaudiWomen (mettete fine alla schiavitù delle donne saudite), un appello che chiede la fine della totale sottomissione delle donne alla volontà del maschio, sia esso il padre, il marito, il fratello e addirittura il figlio. È noto che in Arabia Saudita le donne non possono guidare, ma in realtà non è solo questo divieto che complica loro la vita poiché, condannate alla segregazione come un tempo gli schiavi in Sudafrica, devono avere l’assenso di un parente maschio per qualsiasi loro iniziativa al di fuori delle mura domestiche. Scrive Mona Eltahawy: “Tutti dipendevamo da mio padre che doveva scarrozzarci a destra e a manca … in autobus (io e mia madre) dovevamo arrancare fino alle ultime due file … quelle riservate alle donne”; ancora: “…. Essere femmine in Arabia Saudita significa essere l’incarnazione ambulante del peccato … i religiosi che spesso intervenivano nei programmi della TV saudita erano ossessionati dalle donne e dai loro orifizi, e soprattutto da quel che ne usciva … se un neonato maschio ti urinava addosso, potevi tenere gli stessi abiti, ma se lo faceva una femminuccia allora ti dovevi cambiare”. Sesso e religione, questo il binomio della misoginia presente nei paesi musulmani fin dai tempi medioevali in cui, complice il livello primitivo della scienza medica, si guardava, al corpo della donna con inquietudine e morbosità, come dice Mona: il corpo femminile è una

tentazione che induce al peccato, è un mistero che dà alla luce la vita, è un ente ripugnante perché ne esce un sangue corrotto. Scrive la scrittrice egiziana Rifaat: “Il fatto è che crescere non dà alcuna gioia ad una femmina, non è che una sequela di disastri al cui termine ci si ritrova vecchie, inutili e, se si ha fortuna, in compagnia di qualcuno che ci compatisce.” E fra i disastri cui allude Rafaat ci sono i matrimoni precoci, anche con un uomo anziano, la colpevolizzazione della donna in caso di stupro e, in alcune regioni, le Mgf, le mutilazioni genitali femminili. Le Mgf, praticate in nome della purezza, spengono il desiderio sessuale in una cultura dove infatti è abituale, per le motivazioni più varie, sottoporre le donne al “test di verginità”, come è accaduto quando hanno osato entrare nello spazio pubblico durante la cosiddetta “primavera araba”. Perché le donne del Medio Oriente e del Nordafrica devono fare due rivoluzioni: una per rovesciare il regime, l’altra per combattere la misoginia. Al Nour, il partito religioso salafita, in occasione delle prime elezioni in Egitto, al posto del viso della candidata ha messo l’immagine di un fiore: la religione infatti, alleata storica dei costumi patriarcale, conferma la bontà della tradizionale sottomissione femminile e contribuisce ad espellere la donna dalla sfera pubblica. Con effetti nefasti perché, avendo la religione una forte valenza sociale, civile e politica in senso lato (vedi i “beni non negoziabili” del magistero cattolico), le usanze, i valori nati nel


Novembre 2016

tempo attraverso le convenzioni sociali, e dunque modificabili, sono diventati sacri e dunque eterni, immutabili. È vero che il mondo oggi si è fatto più piccolo, che la rivoluzione nel sistema delle comunicazioni sta creando in quei paesi, dove la maggioranza della popolazione è giovane, una bomba sociale destinata prima o poi ad esplodere, influenzando anche la condizione della donna. Ma intanto anche l’Occidente deve fare i conti con questa realtà incandescente. Lo si è visto nell’estate con il caso del burkini in Francia è stato vietato. La risposta dei francesi ha suscitato un grande dibattito: il divieto del burkini è sembrato ipocrita sia perché, in nome del femminismo, ha imposto alla donna un divieto, anzi l’ordine di spogliarsi, cioè un messaggio autoritario, sia perché ha impedito alle donne di scegliere liberamente. In realtà pare esagerato parlare di libera scelta da parte di donne oppresse dalle costrizioni familiari e comunitarie, da pressioni culturali che agiscono sulla psiche con forza inaudita. È più probabile che la scelta del burkini, e non solo, nasca dal meccanismo di asservimento volontario già descritto secoli fa da Etienne de la Boétie. Inoltre, come ha detto Azar Nafissi, l’autrice iraniano-americana di “Leggere Lolita a Teheran”, “Sono d’accordo con chi dice di avere il diritto di indossarlo (il velo o il burkini) se difende anche le donne in Iran e in Arabia Saudita”. Infatti il burkini non è una moda, ma il segno che l’islamismo radicale, l’islam della teocrazia iraniana e l’islam wahabita e salafita promosso dai petroldollari sauditi, sono ovunque all’offensiva: non si tratta di una questione religiosa, ma politica. Che usa il corpo delle donne come segnale simbolico. È vero: “Ritenere che la libertà femminile si misuri dai centimetri di corpo esposti allo sguardo altrui è far torto alla dignità delle donne. Per non dire che, come ci insegna Roland Barthes, il valore estetico-erotico insito nell’abbigliarsi risiede proprio nel gioco di nascondere alcune parti del corpo… al pari del velo il burkini è in fondo un oggetto feticistico costruito dal discorso egemonico che vale a evocare una differenza irriducibile fra ‘noi’ e ‘loro’”(A.M. Rivera). Ed infatti alcuni sindaci, di fronte alla differenza fra i generi sbandierata in modo così visibile ed irragio-

nevole sulle spiagge, si sono fatti parte attiva nel promuovere la parità di genere sul territorio francese. Ma l’iniziativa, bocciata poi dall’Alta Corte, non avrebbe potuto ottenere l’effetto desiderato: è assurdo che in nome di un’ideologia e/o del femminismo (vissuti però come una forma di colonialismo dell’Occidente), una società “liberal” imponga alle donne di svestirsi, impedendo loro di “sentirsi a casa” e, si spera, di familiarizzare con le francesi e di sentire il loro sostegno; perché solo la collaborazione femminile può incrinare il muro della discriminazione. Non v’è dubbio insomma che l’emancipazione femminile, in un mondo che ignora la laicità e ispira il codice alla sharia, potrà avvenire solo grazie ad un cambiamento spontaneo interno alla società; un processo di più generazioni ma intanto il dibattito sul burkini ha indotto i musulmani francesi, e non solo, ad interrogarsi e a guardare in modo più consapevole alla religione e al suo impatto in tema di diritti delle donne (a partire dal diritto alla salute perché la mancanza di sole nuoce alla pelle e alle ossa). Diritti che non a caso vengono regolarmente schiacciati nei paesi governati da un regime, là dove i valori “virili” dell’autorità si sposano con il richiamo all’ordine “naturale” della religione, in un cammino di reciproca convenienza nel negare alle donne il diritto all’autodeterminazione. L’abbiamo visto in Italia al tempo del fascismo, ricompare oggi in Polonia dove le donne ad ottobre si sono mobilitate, vestite di un nero funereo, per protestare contro il progetto di legge promosso dai cattolici fondamentalisti che vieta l’aborto anche in caso di malformazione del feto, di stupro, di incesto. La mobilitazione delle donne, culminata nel “lunedì nero”, ha costretto il regime a fare marcia indietro. Per ora. Infatti, essendo la destra reazionaria un’alleata storica degli ambienti religiosi più arretrati, le donne devono vigilare per non perdere i diritti faticosamente conquistati: oggi la crisi economica e il problema dei migranti sta facendo avanzare in Europa una ideologia conservatrice, nazionalista ed antidemocratica, che le donne devono combattere con determinazione perché, in nome della religione, sarebbero le prime vittime dell’intolleranza e dell’autoritarismo. v

9


10

Novembre 2016

di Luisella Battaglia Istituto Italiano di Bioetica www.istitutobioetica.org

FEMMINICIDIO: UNA BARBARIE USCITA DAL PASSATO

D

inanzi all’ondata crescente dei femminicidi, se vogliamo accantonare sia il dibattito teorico sull’appropriatezza o meno del termine, sia la liturgia rituale delle deprecazioni, non ci resta che riflettere sulla ‘guerra di genere’ che si sta scatenando con inaudita violenza nel nostro paese. Credo, infatti, che, al di là di richiami suggestivi alla barbarie della jihad, che ravvisa somiglianze tra i maschi assassini e i guerriglieri del califfato, sia più proficuo meditare su una storia abbastanza recente di barbarie giuridica tutta nostra che forse ci può illuminare sulla criminalità di certi comportamenti. Dovremmo, ad esempio, ricordarci che per lungo tempo il nostro Codice pe-

venga compiuto il delitto riparatonale aveva previsto un trattamento re - un delitto che, come sappiamo, speciale per chi commetteva un servirà al protagonista per liberarsi delitto per causa d’onore. Secondo da una moglie ingombrante e conl’articolo 587 “Chiunque cagiona la volare a nuove nozze. Così la legge, morte del coniuge, della figlia o delinvece di contrastare la barbarie del la sorella nell’atto in cui ne scopre la costume, la recepiva elevandola a illegittima relazione carnale e nello diritto. Alla stessa matrice ideologistato d’ira determinato dall’offesa ca può esser fatto risalire l‘art. 544 recata all’onor suo o della famiglia, del Codice penale che accordava è punito con la reclusione da tre a un trattamento privilegiato all’uomo sette anni”. Il nostro ordinamento che, avendo commesso una giuridico interpretava così violenza carnale su una il valore particolare che minorenne, offriva alla la società attribuiva IL FEMMINICIDIO vittima un matrimonio all’onore personale e RAPPRESENTA LA SOPRAVVIVENZA riparatore: in caso familiare, in connesDI IDEE ANTICHE DI ONORE di accettazione, il sione esclusiva con LEGATO ALLA PROPRIETÀ DEL reato era estinto. i costumi sessuali. CORPO FEMMINILE In tal modo, il diritDi fatto, il diritto di E ALL’AFFERMAZIONE to dello stupratore recuperare il proprio DELLA POTESTÀ MASCHILE a fruire dell’impunità, onore, commettendo grazie al matrimonio riun delitto sanzionato paratore, sanciva la violacon una pena irrisoria, funzione dell’integrità e della dignità zionava come incentivo all’omicidio, come comportamento tollerato dal tanto più che chi non se ne avvaleva nostro ordinamento. Si ricorderà subiva una pesante sanzione, partiche fu una ragazza coraggiosa, nel colarmente in certe comunità, dalla 1966, Franca Viola, a rifiutare impubblica opinione. Indimenticabile è prevedibilmente di sposare il suo il quadro tracciato da Pietro Germi aggressore e, quindi, a in “Divorzio all’italiana” con inchiodarlo alla sanziol’irrisione inflitta a Fefè DI FRONTE AI ne penale. Un gesto di da tutta una comunità FEMMINICIDI, UNA grande valore simboche si trasmette le AUTENTICA ‘GUERRA lico che significava “ultime novità sul DI GENERE’, E AI RICHIAMI il rifiuto di subire fronte delle corSUGGESTIVI ALLA BARBARIE DELLA JIHAD, OCCORRE la tirannia del cona” in attesa che MEDITARE SULLA NOSTRA STORIA DI BARBARIE GIURIDICA


Novembre 2016

11

Il filo verde equilibrio di genere’, o gli annunci stume e l’arretratezza del diritto tardivi di ‘una cabina inter-istitue, insieme, la volontà di affermare zionale antiviolenza sulle donne’. la dignità della donna. Barbarie del Nel frattempo si chiudono diritto - si dirà - da cui ci i centri anti violenza e le siamo felicemente libeCON L’ART 587 IL NOSTRO case delle donne che rati (entrambi gli articoli ORDINAMENTO garantivano una confurono abrogati nel GIURIDICO INTERPRETAVA tinuità nell’impegno 1981). Ma la realtà IL VALORE PARTICOLARE CHE LA SOCIETÀ ATTRIBUIVA e nei servizi a fanon è così sempliALL’ONORE PERSONALE vore delle vittime! ce. Come dimostra E FAMILIARE, Nella situazione di la strage odierna, le IN CONNESSIONE ESCLUSIVA sopravvivenze di quel- CON I COSTUMI SESSUALI. emergenza che stiaERA UN INCENTIVO mo vivendo, il legislale idee antiche di onore, ALL’OMICIDIO tore deve intervenire in legato alla proprietà del maniera urgente e decicorpo femminile e all’afsa, inserendo - come da più parti fermazione della potestà maschile, si propone - il femminicidio fra i sono ancora sotterraneamente prereati per i quali il condannato non senti tra noi. Certo, abbiamo avuto può ottenere benefici penitenziala liberazione sessuale, il riconosciri e trattando gli assassini come i mento almeno formale di pari diritti, mafiosi, compreso il sequestro dei l’avanzata del femminismo ma… si beni e il risarcimento immediato tratta solo della punta dell’iceberg. del danno. Ma il vero risarcimento Nel femminicidio riaffiora infatti l’idegli errori del passato è che vendea mai sopita di fare giustizia, di riga sancita la gravità assoluta di un stabilire l’ordine patriarcale violato. crimine che offende la nostra coNon esiste, come ameremmo crescienza civile, riportandoci ad una dere, un’evoluzione progressiva barbarie che abbiamo visdell’etica. Come il luogo L‘ART. 544 suto e che credevamo di della terra in cui abitiaDEL CODICE avere definitivamente mo è sorretto da vari PENALE ACCORDAVA superato. strati geologici, così UN TRATTAMENTO PRIVILEGIATO ALL’UOMO il presente dei noCHE, AVENDO COMMESSO UNA stri costumi è forVIOLENZA CARNALE SU UNA mato da elementi MINORENNE, OFFRIVA ALLA VITTIMA UN MATRIMONIO costitutivi di età RIPARATORE. IN CASO differenti, ciascuno DI ACCETTAZIONE IL dei quali si è formato in REATO ERA ESTINTO altri contesti. Le nostre concezioni del bene e del male crescono una sull’altra come strati sovrapposti che esprimono spesso disarmonie e lacerazioni della coscienza. Dovremmo oggi riconoscere di trovarci in presenza di aberrazioni ideologiche che appartengono a periodi diversi della nostra storia, una storia troppo recente perché ce ne possiamo dimenticare. Per questo non bastano le vaghe promesse che nelle scuole si introducano corsi mirati a un ‘ri-

di Barbara Bruni

AUTO ELETTRICHE: IN ARRIVO UNA NUOVA NORMATIVA

Secondo quanto riportato dal quotidiano britannico The Guardian, entro la fine dell’anno l’Ue pubblicherà una direttiva per incoraggiare lo sviluppo delle auto elettriche. La normativa dovrebbe entrare in vigore nel 2019 e prevede che ogni casa nuova o ristrutturata in Europa dovrà dotarsi di un punto di ricarica per veicoli elettrici. Se questo avverrà nei tempi stabiliti, nel 2023 oltre il 10% dei nuovi edifici sarà equipaggiato con una presa per la ricarica elettrica. Pionieri e grandi utilizzatori delle auto elettriche sono oggi i Paesi, come la Norvegia e l’Olanda, che hanno già programmato di eliminare i motori diesel già entro il 2025.

BOOM DELLE AREE BOSCHIVE IN ITALIA

È praticamente raddoppiata rispetto all’Unità d’Italia la superficie boschiva nel nostro Paese. In Italia i boschi oggi ricoprono 1/3 del territorio, ma a differenza del passato si tratta di aree senza alcun controllo e del tutto impenetrabili ai necessari interventi di manutenzione. Secondo Coldiretti, se non governati i boschi potrebbero anche mettere a rischio la vita delle popolazioni locali, per degrado e incendi. Se saranno invece valorizzati con pratiche di gestione sostenibile, i boschi italiani potranno da un lato rappresentare uno strumento per lo sviluppo socio-economico delle aree marginali, rurali e di montagna creando 35mila nuovi posti di lavoro, dall’altro potranno portare a una fortissima riduzione sull’importazione di legname dall’estero che oggi in Italia ammonta all’80% del legno che utilizza.

CIMITERI PER ANIMALI

Ogni anno circa 1,3 milioni di animali domestici ci lasciano, e il business dei funerali per cani e gatti supera oggi i 130 milioni di euro. Secondo l’Associazione italiana difesa animali e ambiente (Aidaa), il 15-16% viene cremato e le ceneri portate a casa, mentre solo 4% dei nostri piccoli amici viene invece sepolto nei cimiteri per animalia causa dei costi eccessivi applicati dagli operatori del settore. Se la stragrande maggioranza deglii animali domestici viene sepolta o semplicemente cremata in strutture pubbliche o nei forni cimiteriali - con costi che vanno da 40 euro per un gatto fino a 130 euro per un cane di taglia grande -, l’Aidaa denuncia invece in alcune regioni del Belpaese un’impennata dei prezzi: in Valle d’Aosta, Toscana e Umbria si può spendere fino a 4.000 euro – che scendono a 3.000 in grandi città come Roma e Milano! – per organizzare una degna sepoltura in un cimitero per animali corredata da una piccola lapide in ricordo. I prezzi sembrano invece più contenuti per quanto riguarda le cremazioni con urna cineraria - richiesta oggi da un numero sempre crescente di famiglie –, con prezzi che variano dai 200 fino ai 500 euro in base al costo dell’urna.


12

Novembre 2016

VOCI DI DONNE DI PACE TORNA ANCHE PER IL 2017 IL CALENDARIO DELL’UDI, CHE È DEDICATO ALLE 17 DONNE PREMIATE CON IL NOBEL PER LA PACE

R

iportiamo di seguito il testo introduttivo del calendario Udi 2017, iniziativa che si conferma come significativa presenza politica e strumento di sostegno dell’associazione. “’Stiamo vivendo tempi difficili. Anche in Europa di fronte alla crisi economica, al terrorismo e alle guerre siamo consapevoli che gli anni della libertà, della pace, del benessere pensato in progress non ci sono più. È necessario immaginare e praticare un altro punto di vista, cercando di capire se e quali siano le opportunità del presente, per pensare oggi cosa fare, questa è la sfida che la politica, anche la politica delle donne, ha di fronte…’. Inizia così la presentazione del calendario 2017. Un contesto politico in cui i paesi del mondo, cittadine e cittadini vivono blindando sempre più i loro confini, i luoghi di vita collettiva, perdendo di vista una cultura di convivenza pacifica.

Parliamo di Bertha Von Suttner, Jane Addams, Emily Greene Balch, Mairead Corrigan, Betty Williams, Madre Teresa di Calcutta, Alva Reimer Myrdal, Aung San Suu Kyi, Rigoberta Menchú Tum, Jody Williams, Shirin Ebadi, Wangara Maathai, Leymah Gbowee, Ellen Johnson-Sirleaf, Tawakkul Karman, Malala Yousafzai, Wided Bouchamaoui. Alcune note a noi tutte, altre dimenticate anche dalla storia.Le descrivono sinteticamente ma efficacemente Edda Billi, Laura Corradi, Laura Fano, Francesca Koch, Rosanna Marcodoppido, Giovanna Pagani, Carla Pecis, Rosangela Pesenti, Giulia Potenza e Vittoria Tola che, anche nella presentazione, motiva le ragioni di questa scelta di abbattere muri, pregiudizi e discriminazioni che tante donne hanno tentato. Questa è una sfida che come UDI abbiamo raccolto e continuiamo anche oggi a sostenere come soggetto politico del cambiamento del mondo. L’intento di questo calendario è di sottolineare un pezzo di storia, passata e presente, che merita approfondimento e attenzione alla luce di una attualità sconcertante”.b Informazioni: udiamministrazione@gmail.com tel 06 6865884

QUANDO LA PUBBLICITÀ È OK

Qualcuna/o ci prova; qualcuna/o ci ha provato, trasmettendoci esempi di vita straordinari, attraverso scelte comportamentali, di rispetto verso l’altra/o, verso l’ambiente. Alcune di queste donne, per la pratica e la coerenza delle loro idee, hanno ricevuto riconoscimenti importanti. Sono 17 le Donne a cui è stato attribuito il premio Nobel per la Pace, ritenuto dal suo creatore certamente il più importante. Il calendario nei suoi 12 mesi traccia così, attraverso i profili di queste donne, un percorso pacifista individuale o collettivo che va dalla prima donna alla quale fu assegnato il Nobel, nel 1905, fino all’ultima nel 2015.

Lines per gli spot Tv, H&M per la pubblicità sul web, Poste per le affissioni, la Fiction Lea della Rai questi i vincitori della sesta edizione del Premio Immagini Amiche, promosso dall’Udi, che si è svolta il 18 ottobre a Roma presso la Camera dei deputati, alla presenza di quasi 300 persone e della Presidente della Camera Laura Boldrini. Il premio, ispirato alla risoluzione del Parlamento Europeo, votata il 3 settembre 2008, sull’impatto del marketing e della pubblicità sulla parità fra donne e uomini, ha l’obiettivo di contrastare la tendenza di televisione e pubblicità ad abusare dell’immagine delle donne fino a lederne la dignità, e di valorizzare una comunicazione che, al di là degli stereotipi, veicoli messaggi creativi positivi. Una menzione è stata assegnata al giornalista di SKY Pio D’Emilia per i suoi servizi sulla rotta dei Balcani e alla campagna di Human Rights Wacht sulla condizione delle donne in Arabia Saudita. Menzionate anche come città virtuose Imperia, Medolla e Bergamo e le scuole: Liceo Calvi di Padova, l’istituto comprensivo Elisa Springher di Lecce e la scuola elementare di Bologna R. Sanzio. “Questa volta - ha detto Daniela Brancati, presidente del Premio - abbiamo avuto la possibilità di scegliere, cosa che fino a qualche anno fa non avveniva e ci piace pensare che questo è merito anche nostro”. “La campagna dell’UDI - ha aggiunto Vittoria Tola coordinatrice nazionale dell’Unione Donne italiane, a cui va il merito di aver svolto un enorme lavoro di sensibilizzazione sulle scuole e sui Comuni - ha dato i suoi frutti, non solo sul fronte degli spot, ma anche su quello delle affissioni che era il punto più dolente”. Nel corso della premiazione è stato presentato in anteprima il trailer del film della Rai “Io ci sono”. Lucia Annibali, sulla cui vicenda si basa il film, è stata presente in sala per portare la sua testimonianza.


Novembre 2016

IL

TUTTE INSIEME CONTRO LA VIOLENZA MASCHILE SULLE DONNE

25 novembre è la giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne. Vogliamo che sabato 26 novembre Roma sia attraversata da un corteo che porti tutte noi a gridare la nostra rabbia e rivendicare la nostra voglia di autodeterminazione. Non accettiamo più che la violenza condannata a parole venga più che tollerata nei fatti. Non c’è nessuno stato d’eccezione o di emergenza: il femminicidio è solo l’estrema conseguenza della cultura che lo ali-

ste dei centri antiviolenza, si sono rivelati alla prova dei fatti troppo spesso disattesi e inefficaci se non proprio nocivi. In più parti del paese e da diversi gruppi di donne emerge da tempo la necessità di dar vita ad un cambiamento sostanziale di cui essere protagoniste e che si misuri sui diversi aspetti della violenza di genere per prevenirla e trovare vie d’uscita concrete. È giunto il momento di essere unite ed ambiziose e di mettere insieme tutte le nostre intelligenze e competenze. A Roma da alcuni mesi abbiamo iniziato a

menta e lo giustifica. È una fenomenologia strutturale che come tale va affrontata. La libertà delle donne è sempre più sotto attacco, qualsiasi scelta è continuamente giudicata e ostacolata. All’aumento delle morti non corrisponde una presa di coscienza delle istituzioni e della società che anzi continua a colpevolizzarci. I media continuano a veicolare un immaginario femminile stereotipato: vittimismo e spettacolo, neanche una narrazione coerente con le vite reali delle donne. La politica ci strumentalizza senza che ci sia una concreta volontà di contrastare il problema: si riduce tutto a dibattiti spettacolari e trovate pubblicitarie. Non c’è nessun piano programmatico adeguato. La formazione nelle scuole e nelle università sulle tematiche di genere è ignorata o fortemente ostacolata, solo qualche brandello accidentale di formazione è previsto per il personale sociosanitario, le forze dell’ordine e la magistratura. Dai commissariati alle aule dei tribunali subiamo l’umiliazione di essere continuamente messe in discussione e di non essere credute, burocrazia e tempi d’attesa ci fanno pentire di aver denunciato, spesso ci uccidono. Dal lavoro alle scelte procreative si impone ancora la retorica della moglie e madre che sacrifica la sua intera vita per la famiglia. Di fronte a questo scenario tutte siamo consapevoli che gli strumenti a disposizione del piano straordinario contro la violenza del governo, da subito criticato dalle femministe e dalle attivi-

confrontarci individuando alcune macro aree - il piano legislativo, i CAV e i percorsi di autonomia, l’educazione alle differenze, la libertà di scelta e l’IVG - sappiamo che molte altre come noi hanno avviato percorsi di discussione che stanno concretizzandosi in mobilitazioni e dibattiti pubblici. Riteniamo necessario che tutta questa ricchezza trovi un momento di confronto nazionale che possa contribuire a darci i contenuti e le parole d’ordine per costruire una grande manifestazione nazionale il 26 novembre prossimo. L’8 ottobre a Roma c’è stata l’assemblea nazionale. Proponiamo che la giornata del 27 novembre sia dedicata all’approfondimento e alla definizione di un percorso comune che porti alla rapida revisione del Piano Straordinario Nazionale Anti Violenza. Queste date quindi non sono l’obiettivo ma l’inizio di un percorso da fare tutte assieme. b Promotrici: Rete IoDecido, D.i.Re – Donne in Rete Contro la violenza, UDI – Unione Donne in Italia Per info o adesioni nonunadimeno@gmail.com nonunadimeno.wordpress.com Fb: Io Decido Tw: @NonUnaDiMeno

13


14

Novembre 2016

CAMPAGNE

EFFERVESCENTI di Tiziana Bartolini

Gli eventi autunnali di Donne in Campo, il primo punto vendita ‘La Spesa in Campagna’ e una bella soddisfazione: il premio De@Terra a due imprenditrici agricole siciliane

L

a festa di Donne in Campo Lombardia, giunta alla nona edizione, si è svolta in concomitanza con la Giornata mondiale della donna rurale. L’11 ottobre a Brizio (Va) l’attenzione si è concentrata sui temi dell’allevamento nell’agricoltura di montagna e in particolare sull’allevamento delle capre, temi affrontati dagli interventi di Luisa Broggini, Renata Lovati e Giorgio Zanatta e dalle testimonianze di Claudia Locatelli, Chiara Pasquali, Anna Albertin e di Marisa della Valle. Donne in Campo Lombardia, valorizzando l’agricoltura di montagna, ha osservato “se negli anni settanta alcuni giovani non avessero deciso di riprendere questa pratica, molti versanti montani sarebbero stati destinati al dissesto ed al degrado e se questa scelta non fosse stata supportata da un grande impegno, da capacità innovativa, voglia di sperimentare e dal confronto tra le diverse esperienze non vi sarebbero state quelle eccellenze che caratterizzano la produzione di formaggi di capra della provincia di Varese”. Tra gli obiettivi della festa, che si svolge ogni anno in una diversa località, c’è quello di far conoscere alle associate l’agricoltura regionale in tutti i suoi aspetti. La Fattoria nel Castello si conferma appuntamento atteso da Milano e il 16 ottobre si è tenuta la sedicesima edizione, la nona svoltasi nel capoluogo lombardo nei pressi del Castello Sforzesco. L’organizzazione - curata da Donne in Campo Lombardia in collaborazione con Confagricoltura Donna Lombardia, con la Direzione Generale della Regione Lombardia, con il patrocinio del Comune di Milano e con il sostegno del Consorzio di Tutela Grana Padano - ha affiancato percorsi

di degustazione, percorsi didattici e giochi alla mostra mercato dei prodotti delle imprenditrici agricole. Notevole l’interesse mostrato dalle moltissime famiglie che hanno visitato la fattoria apprezzando le degustazioni e acquistando i prodotti di circa sessanta imprese agricole della Lombardia e delle provincie limitrofe. L’attenzione dei turisti ha rappresentato un ulteriore motivo di orgoglio per le agricoltrici, protagoniste della giornata con le eccellenze dell’agricoltura lombarda. Fattorie didattiche aperte in Veneto è giunta alla quattordicesima edizione. Il 9 ottobre ben 155 fattorie didattiche hanno accolto bambini, famiglie e gruppi di adulti accompagnandoli in un percorso alla scoperta delle attività del mondo rurale di oggi e della sue antiche radici. Quest’anno il filo conduttore era: agricoltura, ambiente, alimentazione, attività motoria; gli stessi temi alla base del progetto “raccontiamo la salute con quattro A”, concorso rivolto alle scuole primarie del Veneto. La presidente Donne in Campo Mara Longhin ha aderito all’iniziativa con la sua fattoria didattica ‘Alla Vaccheria’ (Campagna Lupia- Ve), accogliendo 150 bambini/e e le loro famiglie e impegnandoli sul tema: “ le fatiche del contadino: tanto movimento, conoscere per rispettare e cibo sano”. Premio De@Terra, quindicesima edizione. Grande soddisfazione di Donne in Campo poiché le prime due classificate dell’importante riconoscimento assegnato dal Ministero delle Politiche Agricole sono state Laura Bargione e Anna Sottile, entrambe dell’associazione femminile della Cia, che infatti era presente alla premiazione con Alessandro Mastrocinque, vice presidente nazionale CIA, insieme a Gea Turco, presidente regionale Donne in Campo


STRATEGIE

PRIVATE Sicilia e Serena Giudici coordinatrice nazionale Donne in Campo. Anna Sottile è una produttrice biologica di ortaggi, olio di oliva e frutta. È anche apicoltrice: alleva l’ape nera sicula, a rischio di estinzione, e il suo miele è un presidio Slow Food. La sua azienda, a conduzione familiare a prevalenza femminile, si trova nel Parco delle Madonie (provincia di Palermo) e offre anche servizio di agriturismo e fattoria didattica. Laura Bagione gestisce l’azienda di famiglia che si trova a Grisì, frazione del comune di Monreale, ad una altitudine di circa 500 metri. Nei suoi terreni, che dominano la Valle dello Jato con il lago Poma, ci sono vigne, alcuni fruttiferi e circa 1200 alberi di olivo delle varietà cerasola, nocellara del Belice e biancolilla che originano l’olio extravergine di oliva ottenuto direttamente dalle olive unicamente mediante procedimenti meccanici a freddo. Dal 2012 l’azienda fa parte della rete delle Fattorie Sociali e dal 2014 ha avviato una collaborazione stabile con alcune strutture che si occupano del recupero e della crescita di giovani adolescenti con disagio. Nella sua azienda è possibile usufruire di pernottamento, ristorazione, corsi di cucina, percorsi benessere, fattoria didattica, vendita diretta dei prodotti trasformati (olio, gelatine, conserve, salsa di pomodoro pronta e passata, tutto in biologico), visite aziendali e degustazioni guidate. La ‘Spesa in Campagna’ arriva in città. L’associazione per la promozione della vendita diretta di Cia-Agricoltori Italiani ha inaugurato lo scorso 19 ottobre la sua prima “vetrina” al centro di Roma, in via Bissolati, dove si possono acquistare prodotti sani, genuini, biologici, direttamente dalle aziende agricole. Il punto vendita si trova presso il CRA-Assicurazioni Generali e ha avviato l’attività con i prodotti delle aziende agricole associate dell’Abruzzo, a novembre arriveranno le produzioni agricole della Campania. Poi, nei due giorni di apertura mensili, si alterneranno i “saperi e sapori” di tutte le regioni con un percorso che intende creare “una buona abitudine” di spesa, favorendo il rapporto diretto tra produttore e consumatore. “I prodotti de ‘La Spesa in Campagna’ portano con sé con racconto fatto di territorio e tradizioni. Ovviamente le nostre aziende hanno bisogno di vendere e vogliono farlo con un consumatore consapevole - ha detto il presidente nazionale della Cia Dino Scanavino durante il brindisi di inaugurazione-. In questo senso, questa vetrina al centro di Roma è una grande opportunità di contatto tra campagna e città”. ❂

Luglio-Agosto 2016

di Cristina Melchiorri

DONNE AL POTERE: LA SOLITA FATICA! Sono Alessandra, per quattro anni ho diretto con buoni risultati un’azienda pubblica, della quale la Regione Lombardia ha deciso l’accorpamento con altre due operanti in province vicine. Ambivo alla direzione generale dell’azienda che così si è venuta a creare. E pensavo di averne i titoli, l’esperienza e le capacità. Invece, è stato scelto per il ruolo di vertice il collega di una delle due aziende, più inesperto e a mio parere anche meno capace di me. Dove ho sbagliato? Alessandra P. (Lecco) Cara Alessandra, Lo sappiamo che è più faticoso per noi donne arrivare al top e rimanerci…Come donne, dobbiamo dimostrare di essere molto più in gamba degli uomini che ambiscono allo stesso ruolo. Dobbiamo essere esigenti, ma non stressanti, autorevoli, e non autoritarie, controllate, ma non fredde, efficienti, senza fare i robot… Insomma, delle vere wonder woman… In questi mesi una donna autorevole ed esperta di governo come Hilary Clinton sta faticando non poco a vincere. Già è riuscita a sopravvivere alla gogna mediatica di tutto il mondo ai tempi dello scandalo Clinton-Lewinsky. Comprese le femministe che hanno contestato la sua scelta di restare al fianco del marito, nonostante tutto. La seconda sconfitta l’ha incassata nella competizione con un fuoriclasse come Obama, per poi diventarne Segretario di Stato. Due uomini che non hanno saputo fare a meno di lei… In questi mesi sta lottando con un personaggio come Donald Trump che, più che uno statista, sembra un personaggio disegnato alla Walt Disney. Come può tanta parte dell’elettorato americano mostrare di voler scegliere l’uno anziché l’altra? Tornando a te, come ti sei giocata la tua candidatura? Pensavi che gli altri si accorgessero del tuo valore? Sbagliato. Bisogna lottare per arrivare ai vertici. Sempre. Dicono che la Clinton non è simpatica, non è empatica. È vero. E allora? La sua storia politica non è incomparabilmente superiore a quella del suo avversario? Il ruolo di Segretario di Stato non ha forse un grande peso? Trump colleziona una gaffe dopo l’altra, dal voler ricacciare gli immigrati oltre le frontiere al dichiarare che le donne sono “facili prede” degli uomini di successo. Eppure al momento in cui scrivo è ancora in corsa per diventare l’uomo più potente del pianeta. Lei è una tipa tosta, che tra l’altro fattura 250mila dollari a conferenza. Rinata come l’araba fenice dopo dure sconfitte. Questo serve, anche a noi. Sopravvivere a tutto. Anche agli uomini.

15


16

Novembre 2016

aborto

UNA VITTORIA DELLE DONNE

POLONIA

Vestite di nero sono scese in piazza donne di sinistra, femministe e attiviste per i diritti umani, ma anche conservatrici, cattoliche ed esponenti dei movimenti per la salvaguardia della famiglia. Accanto a loro c’erano i mariti, i compagni, gli amici. Perché la manifestazione in difesa dei diritti delle donne è una battaglia di civiltà di Cristina Carpinelli

IL

3 e 4 ottobre 2016 la Polonia ha visto le strade e le piazze delle sue principali città riempirsi di numerosi cortei di cittadini/e che protestavano contro un infame disegno di legge anti-aborto, un progetto che lo vietava in assoluto e che proponeva la pena carceraria (5 anni di reclusione) per le donne decise a interrompere la gravidanza e per i medici disposti a praticare l’intervento. Un vero e proprio atto di barbarie che aveva suscitato la rabbia di ampi settori della società civile, inclusi esponenti e donne seguaci del PiS (Prawo i Sprawiedliwość - Diritto e Giustizia), il partito

populista di destra che oggi governa il paese con la maggioranza assoluta. Il 23 settembre il parlamento polacco (Sejm), grazie anche al voto dei deputati del PiS, aveva approvato in prima lettura il disegno di legge d’iniziativa popolare che veniva, tuttavia, respinto il 5 ottobre in seconda lettura (352 voti contrari su 460 deputati), dopo il rapido dietro-front dell’esecutivo e del partito, che avevano annunciato di aver “cambiato posizione”: “Il PiS è e sarà sempre dalla parte della vita ma l’impatto del divieto di aborto può essere contrario ai risultati desiderati”, aveva dichiarato il leader


di PiS, Jarosław Kaczyński, mentre la premier Beata Szydło aggiungeva: “Noi rispettiamo tutte le voci e le opinioni sull’aborto”, e annunciava anche un programma di sostegno del governo alle famiglie con bambini handicappati. Bisogna dire che il testo del disegno di legge elaborato da gruppi fondamentalisti cattolici non piaceva nemmeno a personaggi pubblici del conservatorismo cattolico polacco. Ma il governo monocolore di Beata Szydło sapeva che, una volta al potere, avrebbe dovuto fare i conti con le frange cattoliche dell’ultra destra, che avevano votato in massa il PiS, comprese le componenti più reazionarie della potente Conferenza episcopale polacca e l’emit-

in parlamento: “Non siamo mai stati favorevoli a una politica che punisca le donne”. In più, il governo populista non aveva messo in conto che l’approvazione da parte del Sejm di quel testo di legge avrebbe sollevato l’indignazione di milioni di donne che hanno deciso di aderire allo sciopero “in nero”: alcune sono rimaste a casa dal lavoro, altre hanno chiuso i propri esercizi commerciali, altre ancora si sono simbolicamente unite alla protesta indossando un capo nero per chiedere che la proposta venisse rifiutata. Hanno partecipato allo sciopero circa sei milioni di donne, di cui oltre 100mila sono scese in strada per manifestare nelle principali città. Al grido di “annunciamo la morte dei nostri diritti”, associazioni (fem-

tente radiofonica “Radio Maryja” (che ha un boom di ascolti), che avevano appoggiato la proposta di legge d’iniziativa popolare anti-aborto. D’altro canto, dentro la stessa compagine politica del PiS, coesistevano su questa materia posizioni diverse. Se il ministro dell’Interno, Mariusz Błaszczak, aveva difeso il disegno di legge, paragonando l’aborto all’eugenetica praticata dai nazisti durante la Seconda guerra mondiale, e sostenendo che la legge in vigore consentiva di abortire nel caso in cui il feto avesse avuto delle malformazioni - spingendo, dunque, nella maggior parte dei casi le donne ad abortire in presenza di feto affetto da sindrome di Down, Tomasz Latos, deputato del PiS, aveva da subito attaccato duramente il governo per il voto favorevole alla proposta di legge espresso a settembre

ministe e non) hanno dato il via alla “protesta nera”. Contro la crociata anti-aborto hanno aderito non solo le associazioni/movimenti femministi e i partiti dell’opposizione (Platforma Obywatelska - Piattaforma Civica; Nowoczesna- Moderno) ma anche personaggi pubblici inaspettati come Marta Kaczyńska, la figlia di Lech Kaczyński (il presidente polacco morto nella tragedia di Smolensk nel 2010), che ha giudicato la proposta di legge “disumana”, o semplici donne cattoliche, contrarie all’aborto, ma che non vogliono che il loro paese si trasformi in uno stato confessionale. A Częstochowa, la cattolicissima città della Polonia, meta di pellegrinaggi di fedeli per il suo Santuario della Madonna nera con il Bambino, il 60% delle donne hanno aderito allo sciopero e non si sono presentate al lavoro. Si sono mobilitate anche centinaia di migliaia di persone

17

POLONIA

Novembre 2016


POLONIA

18

Ottobre 2016

davanti alle ambasciate polacche nel resto d’Europa e del mondo, da Londra all’Australia, e un folto gruppo di donne vestite di nero (non solo polacche) si sono recate il 3 ottobre a Bruxelles per manifestare all’interno del parlamento europeo a favore del diritto all’aborto e alla salute in Polonia, e contro la svolta ultraconservatrice in atto in quel paese. L’indigna-

zione delle donne polacche e, di conseguenza, la loro sollevazione generale, era emersa anche a causa del comportamento “scorretto” del parlamento, che non aveva tenuto conto di tutte le proposte di legge d’iniziativa popolare presentate. Così se quella del gruppo pro-life “Ordo Iuris” (a favore del divieto totale dell’aborto) passava al vaglio della commissione parlamentare, un’altra presentata da un gruppo di attiviste favorevoli alla liberalizzazione dell’aborto veniva respinta. Alla fine, la rabbia delle donne non è rimasta inascoltata. Ecco perché a 48 ore dalla grande mobilitazione di piazza, il governo, nella persona del ministro per la Scienza e l’Istruzione Superiore, Jarosław Gowin, ammettendo la sconfitta, ha annunciato che la proposta di legge sull’aborto al vaglio del parlamento non sarebbe entrata in vigore: “Voglio rassicurare coloro che temono che in Polonia l’aborto sarà completamente vietato. L’aborto non sarà certamente vietato quando la donna è vittima di stupro o se la sua vita o la sua salute è in pericolo. (…) La protesta di lunedì - ha ammesso - ci ha dato spunti di riflessione e di certo ci ha insegnato l’umiltà”. Anche i vescovi polacchi hanno fatto sapere con un comunicato stampa che la chiesa,

pur essendosi schierata a favore della proposta di legge anti-aborto, si era tuttavia espressa contro la punizione carceraria nei confronti delle donne che abortivano - clausola ritenuta “eccessiva”. Per la prima volta nella storia della Polonia, con un’inedita e imponente protesta “trasversale”, per dire no alla stretta reazionaria e clericale, le donne hanno lanciato un messaggio duro a chi governa, definendo qual è il “punto di rottura”, oltre il quale la società civile non permetterà che il partito di Jarosław Kaczynski si spinga. Dunque, la Polonia non introdurrà il divieto totale dell’aborto (anche se è ancora necessario che il ‘no’ alla proposta di legge sia definitivamente approvato in terza lettura dall’assemblea dei deputati), ma man-

terrà la legge sull’interruzione di gravidanza, che è tra le più restrittive d’Europa. Questa legge del 1993, riconosce il diritto d’abortire alle donne che lo chiedono, ma solo in casi estremi: se la gravidanza è frutto di uno stupro o incesto, se il feto ha gravi malformazioni o se gravidanza e parto possono mettere in pericolo la vita e la salute della madre. Non dimentichiamo che il 69% dei polacchi è contro l’aborto (dato dell’Istituto polacco di sondaggi d’opinione - CBOS) considerato immorale e inaccettabile, ma che, come riferito da un recente sondaggio Ipsos, la stragrande maggioranza dei polacchi è contraria a una legge sull’aborto ancora più restrittiva, con solo l’11% a favore della sterzata integralista. b


Novembre 2016

19

LA BARCA CHE FA PAURA Cosa ha spinto un gruppo di donne a intraprendere un lungo viaggio per aiutare la popolazione di Gaza? Prima di tutto il desiderio di fare luce sulle reali condizioni di un popolo allo stremo, senza servizi e beni di prima necessità

N

on è stata la prima volta che un gruppo di attivisti decide di intraprendere un viaggio di solidarietà per Gaza, ma per la prima volta un equipaggio era composto di sole donne provenienti da ogni parte del mondo con storie e vissuti diversi. Questa era la particolarità del progetto Women’s boat to Gaza, salpato il 14 settembre dal porto di Barcellona. Nell’equipaggio figuravano: l’irlandese Laureate Mairead Maguire, premio Nobel per la pace nel 1976 per il suo impegno a favore della soluzione del conflitto nell’Irlanda del Nord, Marama Davidson, esponente del Partito dei Verdi in Nuova Zelanda, Cigdem Topcuoglu, atleta e allenatrice turca che ha perso il marito durante gli scontri del 2010 sull’imbarcazione Mavi Marmara, Wendy Goldsmith, attivista canadese, Yehudit Barbara Llany, politica e attivista israeliana ed Ann Wright, ex colonnella dell’esercito americano. Le tredici attiviste erano unite nel volere esprimere solidarietà alle donne ed ai bambini e bambine di Gaza, territorio considerato una vera e propria prigione a cielo aperto con un milione ed ottocento mila persone prive della libertà di movimento, secondo quanto riportano i dati diffusi nel 2015 dall’Ufficio per il Coordinamento dell’Aiuto umanitario delle Nazioni Unite. Un piccolo lembo di terra di quasi cinquanta chilometri quadrati al cui interno le condizioni di vita sono andate peggiorando soprattutto a partire dal 2007, quando Hamas è riuscita a vincere le elezioni amministrative, proponendosi come alternativa politica al partito di Al Fatah e di conseguenza all’Autorità Nazionale palestinese che controlla ancora la Cisgiordania. Con l’intensificarsi degli scontri tra Hamas e l’esercito isra-

eliano negli ultimi dieci anni, centinaia di persone sono morte. Case, scuole, ospedali sono state distrutti e i viveri e le medicine sono diventati irreperibili con un netto peggioramento della condizione di vita della popolazione a causa dell’embargo. Secondo le Nazioni Unite nell’ultimo attacco militare di Israele sulla Striscia di Gaza nell’estate del 2014 circa duemila persone sono morte, e tra loro ci sono molte donne e bambini. A marzo 2016 prende vita l’idea di organizzare un viaggio di donne di diversa nazionalità, culture e religioni. Un equipaggio femminile impegnato per le donne palestinesi e consapevole del pericolo, anche alla luce di quanto avvenne nel 2010, quando un’imbarcazione della Freedom Flotilla venne bloccata dalla marina israeliana e negli scontri morirono 10 persone. Le donne della Women’s boat to Gaza avevano deciso di intraprendere il viaggio di speranza e sorellanza muovendosi nella direzione del dialogo e della pace nonostante le difficoltà e i rischi che erano chiari fin dall’inizio. Prima di salpare Wendy Goldsmith, componente dell’imbarcazione Zaytuna, oliva in italiano, aveva dichiarato “se venissimo intercettate dalla marina israeliana, verremmo sicuramente bloccate. Abbiamo paura, ma ne avremmo molta di più se non facessimo nulla”. E purtroppo così è stato. Il viaggio delle donne per Gaza si è interrotto il 5 ottobre scorso, quando la nave è stata intercettata e successivamente bloccata dalla marina militare israeliana al largo del Mediterraneo in acque internazionali con l’immediato arresto e successivo rimpatrio di tutte le componenti dell’equipaggio nei rispettivi Paesi di origine. b

STRISCIA DI GAZA

di Zenab Ataalla


20

Novembre 2016

LIBRI a cura di Tiziana Bartolini

CORAGGIOSE E DISOBBEDIENTI Tra le ragioni che hanno mosso Alba Piolanti - attivista dell’Udi e scrittrice - in questa ricerca c’è quella di capire perché durante il fascismo le donne del popolo venivano schedate. “Erano oggetto di attenzioni non soltanto comportamenti o azioni contrari all’ordine costituito, ma anche sentimenti o atteggiamenti inadeguati e inopportuni”. Infatti queste donne erano così definite: gode in pubblico cattiva estimazione per la sua condotta morale e rimarchevole, di carattere violento, impenitente chiacchierona, convive in concubinaggio, donna assai linguacciuta, veste decentemente. Una meticolosa ricerca condotta nei documenti (di Questura-Prefettura di Forlì, Polizia e Carabinieri, Ministero degli Interni e altre istituzioni) conservati nel Casellario Politico Centrale è organizzata in tre macrogruppi: 1) donne linguacciute; 2) le fuoriuscite; 3) le comuniste, le repubblicane, le socialiste, le anarchiche, le antifasciste. In questo modo “Sovversive” non porge delle biografie ma, riportando i contenuti delle schede personali, delinea in generale “tratti di resistenze politiche” e in particolare “l’impegno e l’immagine complessiva dell’agire e del pensare delle donne romagnole durante il regime fascista”. Non si conoscono le sorti di queste 23 ‘sovversive’ ma, scrive l’autrice nelle considerazioni finali, “mi piace pensare che queste vite così ricche e piene di impegno, di speranza e di azione…..abbiano sicuramente fatto scelte coerenti nelle file della Resistenza prima e delle responsabilità sociali e politiche dopo”. Alba Piolanti Sovversive. Donne della Provincia di Forlì schedate nel casellario politico centrale Ed Il ponte vecchio, pagg 124, euro 13,00

ALLA RICERCA DELLE RADICI Lisa Mazzi, modenese che da decenni vive in Germania, scrive in tedesco versi rivolti a “tutto il pubblico femminile indipendentemente dall’appartenenza etnica”. “Frammenti” è una raccolta di “versi interculturali” che si snoda su più traiettorie: “Frammenti di lingua” (intorno al diritto d’asilo e alla xenofobia), “Frammenti di quotidianità” (spaccato famigliare con amori, fallimenti, vita e morte), “Frammenti di violenza” (il femminicidio che non conosce confini), “Frammenti di vecchiaia” (una nuova dimensione della vita), “Frammenti di città”, infine, “sono un omaggio alle varie città tedesche dove ho trascorso anni importanti della mia vita” spiega l’autrice. Quelli di Lisa Mazzi sono “frammenti (di lingua, di quotidianità, di città, di violenza), che chiedono ‘asilo’ in un’esperienza di scrittura composita, bilingue (e in bilico tra due diverse se non opposte sensibilità) - scrive Vincenzo Guarracino nella prefazione -. Sembra quasi che l’autrice cerchi, da un’ottica molto femminile, di ricostruire la propria identità di migrante intellettuale, nel timore dell’impossibilità della sua comprensibilità, più che linguistica soprattutto umana. La conclusione è che si vive sempre in una condizione di ‘irrealtà’, in uno spazio che non ti riconosce, se tu non sai o non vuoi essere riconosciuto, e che questo avviene dappertutto, in Germania come in Italia. Ciò che conta è la volontà di dirlo che è già l’inizio di una rielaborazione umana dei propri valori e delle proprie radici, dovunque esse si situino”.

LEGGE 194 E DIRITTO ALLA SALUTE La causa delle difficoltà per le donne ad esercitare il diritto all’interruzione volontaria della gravidanza è “il ricorso incontrollato all’obiezione di coscienza e l’insufficienza di personale medico non obiettore nelle strutture ospedaliere pubbliche”. Il valore di “Aborto ieri e oggi” consiste nell’aver esaminato con approccio multidisciplinare le ragioni della difficile attuazione della legge 194. A distanza di 37 anni dalla sua approvazione si fa il punto sullo stato dell’applicazione effettiva. Se da un lato si ripercorrono i passaggi storici e si esamina l’attualità soprattutto


Novembre 2016

con riferimento alle criticità, dall’altro si getta lo sguardo oltre i confini guardando all’esperienza spagnola e analizzando le indicazioni del Consiglio d’Europa in tema di IVG. I saggi sono firmati da: Maria Antonella Cocchiara e Giovanna Cardile (curatrici del volume), Luisa Barbaro, Maria Soledad Campos Diez, Marilisa D’Amico, Liana Maria Daher, Francesca Perrini. Nell’insieme si traccia un bilancio aggiornato sul diritto delle donne alla libera scelta nella salute riproduttiva e si illustrano i problemi, oltre che le discriminazioni, che vivono nelle strutture pubbliche medici e operatori sanitari non obiettori. Maria Antonella Cocchiara e Giovanna Cardile (a cura di) Aborto ieri e oggi. L’applicazione della 194 tra obiezioni di coscienza e diritto alla salute delle donne Ed Aracne, pagg 249, euro 15,00

VERSI E IMPEGNO CIVILE Un libro di impegno civile e denuncia “Voce Donna Femmina dell’uomo” di Marcella Delle Donne, omaggio a chi non ha voce: delitto “d’onore”, violenza, misoginia, femminicidio, guerra, terremoto, ‘ndrangheta, le storie di Davide e Fabiana, Fatima, Amina, Giuseppina, Carmelina. “Disprezzo della donna / ‘Femmina dell’uomo’ / funesti comportamenti / suggerisce e adduce. // Del tuono / il rombo del giudizio / di lontano s’avverte”. L’affermazione della libertà e la paura di non poterla avere, la consapevolezza di non poter restituire la vita e il destino a tante donne, trovano spazio in queste pagine, cercano riscatto: “Poi, dal profondo / d’un’anima innocente / il pensiero si fa voce: ‘Perché sei triste io lo so, mamma / perché… / non puoi volare’”. La raccolta si chiude con La forza dell’eros, undici testi dove l’amore si fonde al desiderio, all’affermazione di sé, alla gioia del donarsi e del ricevere, ma dove è sempre presente il rischio dell’utopia e dell’annientamento. Solo la gioia e la speranza possono trasformare lo spazio e il tempo, sapendo che “Per anima di donna / eternità è l’istante”. Elena Ribet Marcella Delle Donne Voce Donna Femmina dell’uomo Ed Albatros, pagg 124, euro 9,90

21

ACQUA, LINFA VITALE Una mostra a Faenza in occasione della giornata mondiale contro la violenza sulle donne

L’

artista fotografa subacquea Silvia Boccato intende sensibilizzare sul tema del femminicidio con il suo progetto fotografico “AQVA ET MATER, acqua linfa di Madre Terra contro ogni forma di abuso”, mettendo in relazione gli abusi dell’acqua con gli abusi sulle donne; il diritto di tutti all’acqua libera e di essere donne libere nella civiltà moderna. Boccato stende un ponte ideale tra alcune date: il 22 marzo (World Water Day), il 22 aprile (Earth Day) e il 25 novembre, giornata mondiale contro la violenza sulle donne. “L’acqua è simbolo della femminilità, risorsa generatrice e feconda, sorgente di vita. È nutrimento materiale e spirituale, forza naturale eterna secondo il ciclo di vita, morte, purificazione e rinascita- spiega l’artista -. L’intera storia dell’umanità è intimamente connessa alla sua relazione con l’acqua, che è unificatrice biologica e simbolico sacrale. Sul piano delle finalità socio-educativa il progetto vuole promuovere e sensibilizzare alla cultura del rispetto per la vita contro la subcultura della sopraffazione e dell’abuso che avvelena il mondo e vuole educare alla tutela e al rispetto, al diritto ad esistere, alla libertà ed autodeterminazione”. Sabato 12 novembre a Faenza (Ra) presso la Galleria Comunale d’Arte “Voltone della Molinella” si inaugura la mostra alla presenza delle autorità cittadine e di studiose ed intellettuali tra cui Gioia Di Cristofaro Longo, Presidente LUNID, Libera Università Diritti Umani.


22

Novembre 2016

TUTTI I SEGRETI DEL BISSO LA SETA DEL MARE Un’arte antica e affascinante, tramandata tra donne, rischia di perdersi per colpa della burocrazia di Mirella Mascellino

C

hiara Vigo, l’ultimo Maestro del Bisso, ha ricevuto il premio La tela di Penelope, all’interno della VI edizione del Festival Naxoslegge, ‘Le Donne non perdono il filo’, diretta da Fulvia Toscano e presentata al pubblico dalla studiosa Marinella Fiume. Il Bisso, o seta di mare, dal greco antico byssos, che significa abisso, fondale, è un termine usato per indicare un tessuto leggero, pregiato, di origine vegetale o animale. È filo d’acqua sacro e inviolabile come la vita, frutto di un sa-

chiuso e lei cacciata via, obbedendo a un’ordinanza datata dicembre 2015, nonostante l’appello di tante personalità della società civile, intellettuali, personaggi del cinema e dello Spettacolo, fra questi Maria Grazia Cucinotta che ha lanciato una petizione on line. La ragione della cacciata è a dir poco inverosimile. Il luogo che ospitava il museo non era a norma, secondo le leggi sulla sicurezza sul sistema di elettricità. La Vigo è stata nominata commentatore della Repubblica il 2 giugno 2009 a Cagliari, per la maestria della tessitura del bisso marino e dei segreti sulla sua produzione, ricevendo dal Prefetto dell’epoca il diploma distintivo dell’Onorificenza dell’Ordine “Al Merito della Repubblica Italiana”. Nel 2009 è stata dichiarata Donna sarda dell’anno e la sua arte è stata dichiarata “Patrimonio dell’Umanità” dall’Unesco. Attualmente collabora con 27 università di tutto il mondo, come consulente della cattedra di Biologia marina. In occasione della consegna del Premio, le abbiamo rivolto qualche domanda. Cosa vuol dire essere Maestro del bisso e cosa vuol dire esserlo oggi, in un momento difficile della nostra civiltà? Diciamo che oggi non si capisce la differenza tra Maestro e artigiano. Io sono il Maestro del bisso, vuol dire che ogni Maestro lo è secondo il suo tempo e la sua volontà. Quando avverrà il passaggio, attraverso il giuramento tra

pere che non ha inizio né fine. La Vigo è l’ultima donna che lavora il bisso nel modo tradizionale, dopo aver dissalato la barba della Pinna Nobilis, volgarmente detta Nacchera, il più grande bivalve del Mediterraneo, una specie in via d’estinzione, da cui la seta del mare proviene. La sua famiglia è di origine ebraica e le anziane di Sant’Antioco dicono che la lavorazione del bisso sia arrivata nell’isola con la principessa Berenice di Cilicia, amante dell’imperatore Tito, lì esiliata e sepolta circa 2000 anni fa. A Sant’Antioco, Chiara ha fondato il Museo del Bisso che proprio in questi giorni, è stato Le foto a pagina 22 sono gentilmente concesse da Alessandro Lo Piccolo


Novembre 2016

me e mia figlia Maddalena, io andrò via. Non si può invadere il campo del Maestro. Così è successo anche fra me e mia nonna, che mi ha passato la Maestria. Nell’anello dell’acqua che ho e che non ho mai fatto vedere a nessuno, è impressa da Maestri ebraici la stella a sei punte perché la lavorazione del bisso è ebraica. Il Maestro porterà l’anello, vestirà la tunica e sarà l’unico Maestro. L’artigiano invece è colui che possiede un’arte, ma non i saperi. Per esempio un falegname che insegna l’arte al figlio, rimane accanto a lui per guidarlo. La tua storia e la tua personalità fanno di te una figura di grande fascino e spiritualità oltreché depositaria di saperi, dichiarati patrimonio dell’umanità. Oltre a lavorare il bisso, lo raccogli immergendoti negli abissi. Ci racconti cosa provi ogni volta che ti immergi? La prima immersione l’ho fatta a tre anni con mia nonna. Da due anni non mi immergo più. È il mio pregare. Il mio mantra della filatura è immergersi. È una cosa sacra ed è per questo che non voglio nessuno a guardare o a fare foto. Io lì recito la preghiera della Pace nel mondo. Un rituale di rispetto verso l’acqua. Hanno provato a tradurlo - per una parte è ebraico antico, ma un’altra parte è una lingua sconosciuta - e non sono riusciti. È un gutturale continuo di novecento strofe, adattato dalle tre del mattino alle sette del mattino. Mi immergevo tre volte l’anno. Ma adesso non voglio più farlo. Se questo tempo ha bisogno di Maestri io rimango, ma se questo tempo non ha più bisogno di Maestri io vado via perché non ha più senso. Io rendo all’acqua quello che è suo, al fuoco quello che è suo e mi ritiro a vita privata e non incontrerò più nessuno. Perché io non posso essere ospite del prefetto per la festa della Repubblica e poi un sindaco può essere autorizzato a chiudere il Museo, mandandomi via. Il fascino della tua figura comincia dalla storia della nonna che ti ha trasmesso il sapere. Ci racconti questa iniziazione? Diciamo che non è il Maestro che sceglie, ma è l’allievo che sceglie il Maestro. Per avere la Maestria si vive accanto al Maestro, si piange con lui, si ride con lui, si vive, si cammina e si dorme accanto. Io ho vissuto così accanto a mia nonna Maddalena. Il giorno che mi ha passato la Maestria, l’anello e la tunica, lei si è messa da parte, è andata via. Il suo compito era finito ed era cominciato quello del nuovo Maestro. Così la mia vita di Maestro è in mezzo a due Maddalene, mia nonna

23

che mi ha passato la maestria e mia figlia, futuro Maestro. Io ho imparato a tessere e a tingere giocando accanto a mia nonna. Lei aveva intessuto, negli anni, dentro di me un arazzo senza che io mi accorgessi. Tra i versi delle preghiere che Chiara recita all’alba e al tramonto, rivolta verso il mare, c’è la Legge del Giuramento dell’acqua, trasmessole dalla nonna, lungo 23 generazioni della sua famiglia e che ogni Maestro del bisso deve rispettare poiché l’acqua è la sorgente della vita ed è sacra: b “Ponente, Levante, Maestro e Grecale Prendete la mia anima e buttatela nel fondale Che sia la mia vita per essere, pregare e tessere Per ogni gente che da me va e da me viene Senza tempo, senza nome, senza colore, senza confini, senza denaro In nome del Leone dell’anima mia e dello Spirito eterno così sarà”. Chi volesse approfondire la vita del Maestro, può leggere il libro di Susanna Lavazza, M. Chiara Vigo, l’ultimo Maestro del bisso, Carlo Delfino editore, 2014.

DIALOGANDO CON LA NATURA Il libro è suddiviso in due sezioni, Il canto delle cicale e La maschera scomparsa. Novenari, endecasillabi, versi corti e lunghi si susseguono in un irregolare respiro che ricorda l’imprevedibilità della natura. È il libro di Lidia Are Caverni, La maschera scomparsa (ed Progetto Cultura, pagg 72, euro 10,00). Cifra stilistica comune a tutta la raccolta è la totale mancanza di punteggiatura all’interno dei testi. Ne deriva un esito poematico che, nella prima sezione, dialoga con cicale, alberi, fiori, stagioni, con l’arsura e le piogge, in una immedesimazione continua con gli elementi vegetali e minerali, sorprendenti metafore di poesia, parole, silenzi e sogni, “ferite di strade dove morgane tracciavano / illusioni cercava infinite promesse / un indugio che tracciava segni di misteriose / orchestre che non si arrestava”. Nella seconda sezione è la maschera a rivisitarci continuamente in un soliloquio che si fa meditazione, riflessione, trasfigurazione e ricerca di senso, di direzioni e relazioni: uccelli, nidi, divinità, soli e lune, mani, visioni che svelano “promesse che non si compiono / come la morta stagione il fiore che solo fiorisce” o una “primavera senza forma né pace / dove tutto si trasforma”. Elena Ribet


24

Novembre 2016

ARTISTE AL LAVORO In mostra a Mantova fino a gennaio i capolavori d’arte custoditi dalla Cgil

Gabriele Mucchi, La morte di Maria Margotti, 1949 tecnica mista su tavola, cm. 85×160, Camera del Lavoro di Parma

Gennaro Fantastico, Infilzatrici di tabacco, 1936 olio su tela, cm. 80×150 ca.,Camera del Lavoro di Lecce

“S

i miete e si canta. Vecchi canti e vecchie usanze, che si tramandano da secoli. Ma assieme agli antichi usi si tramandano anche i vecchi pregiudizi e soprattutto i vecchi rapporti di produzione, le vecchie sopravvivenze feudali che fanno sì che la donna contadina, pari all’uomo nella fatica, non sia pari nei diritti”. Così scriveva Marisa Rodano in un articolo pubblicato su “Noi Donne” il 25 giugno 1945, quando la guerra era appena finita e le donne italiane non avevano ancora mai votato. Il riconoscimento della dignità del lavoro femminile e di un salario pari a quello maschile, la centralità del lavoro nella vita delle donne e la tutela delle lavoratrici madri sono diritti per i quali nel dopoguerra le donne uscite dalla lotta per la Liberazione si battevano con passione. Certo, molta strada è stata fatta da allora eppure, nonostante le importanti conquiste civili, oggi per le donne permangono disparità salariali e difficoltà nel conciliare l’attività lavorativa con quella familiare, per cui il riconoscimento della pari digni-

tà del lavoro femminile non può ancora dirsi un fatto compiuto. Un invito a riflettere su questi temi giunge ora dalla mostra ‘Artiste al lavoro. Il lavoro delle donne. Capolavori dalle Raccolte d’arte della Cgil’, ideata da Patrizia Lazoi, curatrice della raccolta e curata da Flavia Matitti, allestita a Mantova nel Palazzo della Ragione dal 5 novembre 2016 al 10 gennaio 2017. Le donne lavoratrici, dalle contadine alle operaie, dalle lavandaie alle tabacchine, dalle mondine alle domestiche, fino alle artiste, sono infatti le protagoniste di questa importante iniziativa, promossa dalla Cgil Nazionale, dalla Cgil Lombardia e dalla Camera del Lavoro di Mantova in occasione delle celebrazioni per Mantova Capitale della Cultura italiana 2016. In mostra un’ottantina di opere tra dipinti, sculture e incisioni, realizzate da venti artiste, tra le quali Emma Bonazzi, Amalia Avia, Titina Maselli, Sonia Alvarez, Vittoria Chierici, Marina Bindella e Gea Casolaro, e da una trentina di artisti, tra cui Cagnaccio di San Pietro, Baccio Maria Bacci, Sironi, Carlo Levi, Manzù, Borgonzoni, Gianquinto, Mucchi, Calabria, Guccione e Luzzati. L’esposizione segue un doppio binario, da un lato, presenta le opere delle artiste entrate a far parte delle Raccolte della Cgil, dall’altro, attraverso alcuni esempi significativi, illustra il lavoro femminile (compreso il ‘mestiere’ della maternità), dagli inizi del Novecento fino a oggi. Tutte le opere esposte appartengono alle Raccolte d’arte della Cgil, un patrimonio che oggi ammonta a oltre 700 opere conservate a Roma nel palazzo di Corso d’Italia, sede della Direzione nazionale, e presso molte Camere del Lavoro di tutta Italia e nelle sedi delle Ca-


Novembre 2016

Aldo Borgonzoni, Luigi Sarti, Andrea Costa, Anna Kuliscioff (studio per l’opera murale di Dozza),1985 tecnica mista su carta, mm. 2200×1800, Camera del Lavoro di Bologna

tegorie nazionali. La parte prevalente delle Raccolte, composta da nuclei di diversa provenienza, si è formata a partire dal secondo dopoguerra attraverso le vie più diverse: donazioni degli artisti, acquisti nelle mostre oppure acquisizioni come forma di sottoscrizione, ad esempio nel 1972, in occasione della grande esposizione dal titolo ‘Amnistía. Que trata de Spagna’, organizzata a Milano dai sindacati a sostegno degli operai spagnoli in lotta contro il franchismo. Ma tornando a Mantova, siccome quest’anno ricorre anche il 70° anniversario del voto alle donne italiane (2 giugno 1946), come icona della mostra è stato scelto il volto di Anna Kuliscioff (da un dipinto di Borgonzoni del 1985), “la dottora dei poveri” che ai primi del Novecento aveva condotto in Italia una battaglia per l’estensione del voto alle donne. Il percorso espositivo si articola in cinque sezioni tematiche così suddivise: 1. Il lavoro delle donne; 2. Il coraggio, la passione, la lotta e la repressione; 3. Fratelli d’Italia; 4. La fabbrica; 5. L’arte delle donne. Accompagna la mostra un catalogo ampiamente illustrato, edito da Ediesse, a cura di Patrizia Lazoi e Flavia Matitti, con prefazione di Susanna Camusso e saggi, oltre che delle curatrici, di Carlo Micheli e Pietro Sanguanini. b

Emanuele Luzzati, Papagena, 2003 tecnica mista su carta, mm. 480x330, Direzione nazionale Cgil, Roma

Gea Casolaro, Mille storie, una lotta #2, 2009 stampa fotografica a colori da digitale montata su pannello d’alluminio tiratura unica, cm. 30×44,4, Direzione nazionale Cgil, Roma

25


26

Novembre 2016

A tutto schermo

ROMA BEL CINEMA E AL FEMMINILE

Da Meryl Streep a Giovanna Gagliardo, all’undicesima Festa del Cinema di Roma tante le protagoniste, eroine del quotidiano e non solo

di Elisabetta Colla

A

Ciascuno può pensarla come vuole, ma la Festa del Cinema di Roma, che si è svolta quest’anno dal 13 al 23 ottobre presso l’Auditorium Parco della Musica, il MAXXI ed altre sale e location romane (Admiral, The Space Moderno, Sala Trevi, Casa del Cinema), è stata una grande occasione per la città, a vari livelli, cinematografici e non solo: presentare film, vederli, interagire con personaggi famosi, incontrare persone del settore, intervistare testimonial, fare industry, divertirsi e stare insieme. Certo, la selezione ufficiale è un po’ un calderone (non ci sono sezioni differenziate) ma questo è in perfetta linea con l’idea che non è tanto il premio che conta in questa Festa, quanto l’esserci, da entrambe le parti, pubblico e autori. Fra le pellicole selezionate, nel concorso ufficiale e nella sezione autonoma e parallela di Alice nella Città - che ha offerto anche quest’anno opere ottime per le quali è auspicabile una distribuzione italiana - molte hanno raccontato le donne, tante donne: ragazze, giovani donne o mature ed anziane signore accomunate e mosse da grandi passioni, per la vita, per una causa o un’idea, per amore di qualcosa o qualcuno. Eroine del quotidiano e della vita pubblica, italiane o di Paesi d’oltremare, povere o benestanti, ma sempre magnifiche, dolenti e resistenti eroine come quelle di Sole, Cuore, Amore di Daniele Vicari, The Eagle Huntress di Otto Bell, La Fille de Brest di Emmanuelle Bercot, Denial di

Mick Jackson, Una di Benedict Andrews, The Secret Scripture di Jim Sheridan, Noces di Stephan Streker, Maria per Roma di Karen Di Porto, La mujer del Animal di Victor Gaviria, 7 minuti di Michele Placido, Little Wing di Selma Vilhunen (Premio Taodue), Layla M. di Mijke de Jong, Heaven will wait di M.C.Mention-Schaar: ciascuno di questi film ha dato spazio, volto, carne ed anima alle donne. Anche Meryl Streep, la mitica attrice cult della nostra giovinezza (che non dimostra affatto i suoi 67 anni) è intervenuta alla Festa de Cinema, per presentare di persona Florence Foster Jenkins, il suo ultimo film diretto da Stephen Frears e per incontrare la stampa e il pubblico. “Così come per la protagonista del mio film - ha affermato la Streep - l’arte può diventare ragione di vita, un motivo per sopravvivere in molte circostanze. Rispetto al mio lavoro provo oggi la stessa passione dei primi ruoli di donne che ho interpretato, non percepisco un calo di amore o interesse, in ogni film voglio far vedere al pubblico cosa so di questa donna che interpreto, ogni personaggio va difeso e curato, perché ogni donna merita di essere rac-


Novembre 2016

LE UNIONI ‘IMPERFETTE’ Un film sulle famiglie Arcobaleno, tra amore e politica

G

razie alla sensibilità della Nomad Film Distribution, è uscito nelle sale italiane il film ‘Rara-Una strana famiglia’, esordio al lungometraggio della regista cilena Pepa San Martin, su un tema quanto mai attuale, date le recenti decisioni legislative sulle unioni civili: quello delle famiglie omogenitoriali, in particolare attraverso lo sguardo dei figli. Basato su una storia vera, il film racconta di Sara, ormai adolescente, che vive serenamente con sua madre, sua sorella e la moglie della madre, finché l’impatto con i coetanei, le problematiche della crescita e la battaglia legale intentata dal padre per la custodia delle figlie non concorrono a complicare la sua esistenza. “Con questo film - racconta Lydia Genchi, fondatrice della Nomad - abbiamo avuto un vero colpo di fulmine al Festival di San Sebastian, dove ha vinto due premi, sia per l’attualità dei temi, sia per il modo in cui li tratta: Rara non è infatti un film ‘politico’ ma un atto d’amore e di tenerezza, in particolare verso i figli, che vivono le situazioni con serenità finché lo sguardo degli altri non crea loro dei ‘dubbi’”. La pellicola ci interroga sull’ideale stereotipato di famiglia perfetta e sull’importanza di relazioni sane e affettive, al di là del ‘genere’. Presentato alla Casa Internazionale delle Donne alla presenza, fra gli altri, della senatrice Monica Cirinnà, di Marilena Grassadonia (Presidente Famiglie Arcobaleno) e di Eva Grimaldi (attrice), il film, presentato in anteprima italiana al Giffoni Film Festival, ha ottenuto al Festival di Berlino 2016 il premio come Miglior Film (sezione Generation Kplus International Jury) e due premi al Queer Film Festival di Lisbona. “È la prima volta che distribuisco un film a tematica LGBT - continua la Genchi - e sono contenta che l’Italia abbia fatto un passo avanti con la nuova legge; credo che il cinema debba essere precursore su certi temi, contribuendo a fare e diffondere cultura. Fra le problematiche da affrontare ancora oggi in Italia, e che mi sembrano preoccupanti, c’è quello del femminicidio, della violenza e del predominio che molti uomini oggi, forse sentendosi svuotati dal potere, tendono ad esercitare sulla donna. Nonostante le conquiste necessitano ancora leggi e modelli educativi forti”.

contata e ascoltata e di avere un posto nel mondo”. Nel film la Streep interpreta una ricca e generosa mecenate newyorchese, Florence Foster Jenkins, realmente vissuta (1868-1944), che adorava la musica classica e che si dedicò alla carriera di soprano pur non avendo alcun talento, aiutata dalla sua posizione e da un premuroso secondo marito: la brillante interpretazione della Streep (che ha dovuto imparare a stonare con un coach) dà vita ad un delizioso personaggio, misto di ingenuità, incoscienza e spontaneità, ma anche complesso e malinconico, in un duetto attoriale da non perdere con il bravo Hugh Grant. Ma la Festa ha offerto spazio anche al documentario italiano (la stessa Streep ha sostenuto pubblicamente a Roma Fuocoammare per l’Oscar, dichiarando unico il film di Rosi) e, fra gli altri, un ruolo speciale merita ‘Le Romane – storie di donne e di quartieri’, scritto e diretto dalla regista, giornalista e sceneggiatrice Giovanna Gagliardo, presentato nella sezione Riflessi e prodotto da GA&A Productions con RAI Cinema (in collaborazione con RAI Teche e con il sostegno del MIBACT Direzione Generale per il Cinema). Alcuni quartieri di Roma vengono raccontati attraverso immagini di repertorio e note testimonial femminili (per Cinecittà, Anna Magnani o, perTestaccio, Gabriella Ferri) che lì sono nate, ci vivono o ci hanno vissuto. Non è la Roma monumentale ma quella quel quotidiano, dei vicoli e delle panchine, dei baretti e delle ricette tramandate dalle presenze femminili. “Volevo raccontare la piccola bellezza quotidiana di Roma e come alcune donne hanno ‘influenzato’ i quartieri dove hanno vissuto, come la Ferri, la Cavalieri, la Magnani. D’altra parte le donne, in genere, più legate alla casa, al mercato, alla scuola dei figli, vivono il territorio molto più degli uomini. Volevo fare un affresco della cultura di questa vita di tutti i giorni, ad esempio sappiamo che le madri povere del Ghetto hanno inventato la minestra di pesce prendendo gli scarti del mercato, per necessità, e sentivo di dover restituire la dignità di ‘cultura’ a tutto questo”. b

27


28

Novembre 2016

EDUCAZIONE DI GENERE PERCHÉ TANTE POLEMICHE? Gli indirizzi Ue sull’educazione di genere e il silenzio assordante della scuola italiana, che ignora ufficialmente gli Women’s e Gender Studies*

U

n assordante silenzio denota una volontà di “insabbiamento” per togliere dall’agenda politica un argomento spinoso (per chi?). Ci riferiamo alla tanto discussa (da chi?) educazione di genere, che apparsa come una meteora nella legge Buona Scuola, in cui si promettevano tavoli di lavoro, azioni concrete nella prassi educativa, è svanita appunto. Unico accenno, invero inaspettato quanto violento, è arrivato da parte del Papa nella lontana Georgia, ma di questo parleremo in maniera più approfondita la prossima volta. Dobbiamo ricordare come sfondo che dopo più di settanta anni dalla loro irruzione con il femminismo, la situazione scolastica e universitaria italiana ignora ufficialmente gli Women’s e Gender Studies, così fiorenti nel mondo anglosassone, ma anche in Francia e Germania, paesi nei quali gli studi sulle donne hanno conquistato dignità scientifica e statuto ben definito, laddove in Italia non esistono insegnamenti riconducibili a tale ambito di ricerca (o forse due o tre nell’Università) e questi argomenti sono trattati solo se inseriti in discipline tradizionali, legati al ‘momentaneo’ interesse del/della docente, sostanzialmente marginali o sommersi. Perché un soggetto usuale in molti paesi europei è assente in Italia? Troppo lungo rispondere, ricordando tuttavia che il femminismo (forse più corretto dire i femminismi) italiano è stato ed è fiorente, ma va segnalata questa sua interessante (paradossale) particolarità di dentro e fuori: visibilità esterna contra assenza. Adesso l’Unione Europea chiede nelle scuole l’educazione alla Gender Equality - non si parla quindi della “famigerata” teoria del genere, sulla quale ci si dovrebbe documentare - ma di una formazione che favorisca, anzi promuova una partecipazione equa

e non discriminatoria di ognuno/a alla vita familiare e sociale, perché essa è considerata il presupposto fondamentale per la cittadinanza democratica. Tra l’altro le indicazioni europee (austerity, pareggio di bilancio, pensionamento prolungato delle donne, etc.) sono sempre state recepite e con velocità sospetta applicate, mentre questo tema fa fatica ad essere accettato, nelle scuole e nelle università. Non solo, ma si è scatenata una campagna di stampa che ne rilevava il rischio (?), si spacciavano per educazione al genere teorie non rispondenti alla scientificità, al vero contenuto, etc. Quindi forse “a bocce ferme” si può ritornare sull’argomento, anche se per le lettrici di NOIDONNE sono argomenti ben conosciuti. In primo luogo l’espressione genere/gender, oggi oggetto di forti polemiche. Dai documenti ufficiali di Onu, Ue, Eige (European Institute for Gender Equality) e da ultimo dalla Convenzione di Istanbul emerge che “con il termine genere ci si riferisce a ruoli, comportamenti, attività, attributi socialmente costruiti che una determinata società considera appropriati per donne e uomini”; laddove “sesso” indica la differenza naturale fra uomini e donne - secondo alcune scuole filosofiche definibile anche ‘ontologica’- gender fa riferimento alla differenza di ruoli sociali, politici, economici e familiari. Non si dovrebbe ripetere, ma ricordiamo che il genere non interviene sugli aspetti biologici (gender/transgender) e non facilita fenomeni di omosessualità, trans-sessualità o omogenitorialità; è quindi infondato sostenere che il genere annulli la differenza tra uomo e donna in nome dell’uguaglianza, dove per uguaglianza s’intende esclusivamente la parità dei diritti. Il genere consente invece di restituire valore alle differenze, smascherando i pregiudizi e gli stereotipi e restituendo dignità a ogni individuo senza esclusioni.


Novembre 2016

Educare in ottica di genere secondo l’Unione Europea vuol dire utilizzare una categoria d’interpretazione che consente di comprendere come l’organizzazione sociale delle relazioni tra i sessi sia una costruzione, oggi possiamo aggiungere, fondata su stereotipi, per cui si sono stabilite le attività più adatte a uomini e donne in base alla loro presunta “natura” dando vita a ruoli e spesso a gerarchie sessuali all’interno della famiglia e della società. Da un lato, quindi, l’educazione di genere permette di scoprire l’origine sociale, culturale e non biologica/naturale dei ruoli sessuali caratteristici del sistema patriarcale, il che ha comportato che fino a tempi molto recenti, alle donne siano stati negati i diritti che caratterizzano la cittadinanza. Dall’altro tuttavia l’educazione al genere rappresenta uno progetto critico e creativo: critico perché mette in discussione le forme di discriminazione ed esclusione che la storia e la società perpetuano, creativo perché apre spazi alternativi all’autorappresentazione e auto- determinazione intellettuale delle donne. Ne deriva che l’ottica di genere nei corsi universitari e nella formazione scolastica rappresenta uno sguardo nuovo e fecondo, di grande portata educativa, che ricerca oltre le ”evidenze” indagando su aspetti sociali inesplorati o non considerati e sul persistere anche nelle società più “aperte” di stereotipi e pregiudizi.. Tra parentesi vorrei ricordare che in tanti anni di docenza (Master, dottorati) in cui si proponevano con rigore questi temi la risposta è stata oltremodo positiva e serena, anzi i corsi hanno rappresentato un momento di crescita per tutte/i noi. La potenzialità formativa, se svolta da competenti, è enorme: introdurre l’educazione di genere a tutti i livelli scolastici significa non solo formarsi alle tematiche attinenti le pari-eque opportunità tra uomo e donna, ma altresì focalizzare l’attenzione e la prassi all’effettiva parità tra le persone, differenti per cultura, religione, etnia. Ciò consente anche di opporsi alla violenza, al bullismo che affligge le scuole (la Convenzione di Istanbul considera l’educazione di genere uno strumento indispensabile per contrastarla) e di rifiutare le discriminazioni sociali e politiche, di riconoscere il valore e la dignità di persone diverse dai modelli tradizionali per affermare una mentalità inclusiva. b *Discuto quasi quotidianamente questi temi con amiche e collaboratrici, in questo caso ringrazio Laura Moschini per gli stimoli ricevuti

29

QUALITÀ E SOSTENIBILITÀ DEI SERVIZI SANITARI PUBBLICI La salute materno-infantile come esempio paradigmatico

L

a qualità è condizione necessaria e sufficiente per la sostenibilità dei servizi sanitari pubblici nell’era dell’eccesso di offerta di prestazioni diagnostiche e terapeutiche, rese più allettanti dagli aspetti di innovazione biotecnologica, ma frequentemente prive di dimostrazione di efficacia e di sicurezza che ne giustifichino l’impiego. Tale eccesso di offerta si verifica anche quando si ha a che fare con pratiche straordinariamente importanti, se non salva vita, in casi molto limitati ma applicate a situazioni in cui non sono necessarie. Purtroppo non si tratta solo di spreco di risorse ma anche di danno iatrogeno non controbilanciato dalla necessità dell’intervento. È molto comprensibile che i professionisti, ipotizzando maggiori benefici, ricorrano in modo generalizzato a pratiche “innovative”, soprattutto quando tali pratiche sono salvavita in casi specifici, ma è aspetto qualificante delle professionalità la continua ricerca di verifica di efficacia e sicurezza a monte (trial clinici, studi analitici e di prevalenza, casistiche, ecc, che alimentano le revisioni sistematiche della letteratura scientifica da cui, con procedure rigorose, con particolare riferimento all’assenza di conflitti di interesse, formalizzate a livello internazionale, trarre linee guida e raccomandazioni) e a valle con la verifica di efficacia nella pratica e sicurezza nei vari contesti che si propongono costantemente alla sanità pubblica. Il grande paradosso si ha quando nella pretesa di garantire maggiore sicurezza in realtà non solo non si produce alcun beneficio ma si provoca danno a breve, medio e lungo termine. Quando le indagini epidemiologiche, rigorosamente condotte, evidenziano il ricorso a pratiche non raccomandate o, se raccomandate, applicate nei casi in cui non c’è l’indicazione all’uso, oppure evidenziano il non ricorso alle pratiche raccomandate, anche in termini di valorizzazione dell’integrazione dei servizi, deve immediatamente essere posta all’ordine del giornola necessità di un aggiornamento professionale e di una riprogrammazione dei servizi e delle attività. Persistere nel modo di operare a cui si è stati formati nel passato (perché si è fatto sempre così) è forma di miopia suicida. Se per alcuni c’è l’interesse a fare mercato della salute, per la maggioranza dei professionisti tale miopia mette in discussione anche agli occhi della popolazione (che è sempre più informata, anche sulle raccomandazioni e sulle linee guida internazionali) la loro credibilità (si deve operare secondo scienza e coscienza). Nel caso specifico il professionista fa la scelta e non può essere altrimenti (le linee guida non decidono). Ma negli studi di popolazione i fenomeni non possono discostarsi più di tanto dalle frequenze attese. Il percorso nascita esprime nell’evidenza dei fatti i paradossi descritti. È tempo di agire per porvi rimedio, nella consapevolezza che l’appropriatezza produce efficacia e sicurezza se si fanno emergere, si valorizzano, si promuovono, si sostengono e si proteggono le competenze delle donne e delle persone che nascono.


30

Novembre 2016

LEGGERE L’ALBERO DI BRUNA BALDASSARRE

NOSTALGIA DEL PASSATO Cara Bruna, sono un’aspirante mamma di circa 43 anni. Lavoro nel settore editoriale e con i bambini. Una cosa che mi sta tanto a cuore è una situazione sentimentale stabile. Nessun altro prima del mio attuale compagno mi ha incoraggiata ad avere un figlio, mentre oggi vedo le cose diversamente. Spero che il mio partner superi il blocco psicologico verso il matrimonio e pure molto presto, così da accogliere il bambino che fatica un po’ ad arrivare in piena sintonia. Helenia Cara Helenia, sembra che l’uomo, rispetto alla donna, sia predisposto maggiormente a non esprimersi su fantasie ed emozioni ma piuttosto a diventare un fanatico dell’oggettività. Il matrimonio dovrebbe rappresentare il frutto di una libera azione e dovrebbe costituire un obiettivo complementare della vita piuttosto che un’istituzione volta a risolvere dei problemi. Da un punto di vista del matrimonio come sacramento - oggi difficilmente compreso - la decisione di vivere insieme acquisisce una qualità religiosa, una qualità legata a un risveglio e a una consapevolezza peculiari. Condividere la vita con l’altro/a significa un cammino di tipo spirituale e la benedizione finale è come una sorta di garanzia che l’unione sancita con questi crismi duri in eterno. La coppia apportatrice di elementi fecondi è facilmente ricollegabile a un legame armonioso, viceversa se permangono dubbi o tensioni le barriere esistenti probabilmente non facilitano l’arrivo di un bimbo. Una volta anche il diritto aiutava in questa direzione al contrario di ora che interviene maggiormente in caso di divorzio - determinava cioè in senso positivo il contenuto dell’unione coniugale. Caro potenziale marito, di cosa hai paura? In effetti il matrimonio si comprende a fondo quando si ha una visione d’insieme di tutti gli aspetti temibili che coniugi e figli dovranno affrontare, e come ci si può assumere una responsabilità se si ignora di che cosa si tratta? Forse non è tanto difficile sposarsi più di quanto vivere da sposati! Nel disegno del tuo albero c’è un bel senso della forma, delle buone maniere e della gentilezza, anche se permane una nostalgia eccessiva del passato, e su quella si dovrebbe interiormente lavorare magari per sciogliere quel nodo, probabilmente complementare, a quello del tuo compagno. La tappe traumatiche si riscontrano all’età di 3 anni, 36 e mezzo e 39 e mezzo. Come tappa biografica sei veramente a una svolta: “La vita comincia a quarant’anni” è un’espressione che significa che occorre far nascere una nuova creatività e la domanda soprattutto per te sarà: “Quali forze o nuovi impulsi sento nascere dentro di me?”

L’UNIONE CIVILE È LEGGE. FINALMENTE di Simona Napolitani mail: simonanapolitani@libero.it

D

ue persone maggiorenni dello stesso sesso possono recarsi dall’Ufficiale di Stato civile e dichiarare - alla presenza di due testimoni - di voler costituire un’Unione civile. Lo dice la legge n.76 del 20 maggio 2016. Dall’unione civile derivano gli stessi diritti e gli stessi doveri tra i partner, ossia l’obbligo reciproco sia all’assistenza morale e materiale sia alla coabitazione. Le parti sono tenute, ciascuna in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità dì lavoro professionale e casalingo, a contribuire ai bisogni comuni. Queste norme sono assai significative perché richiamano i partners al rispetto dei principi fondamentali relativi alla “cultura del rapporto”, in riferimento ai principi costituzionali che tutelano la persona in quanto tale. E siccome la legge produce cultura, applicare questi principi anche alle coppie omosessuali, vuol dire fornire strumenti per acquisire le modalità corrette con cui rapportarsi all’interno del rapporto con l’altro/a partner. Il regime patrimoniale previsto dalla legge per l’Unione civile è quello della comunione dei beni; ciò comporta un regime di coacquisto degli immobili e dei mobili acquisiti durante l’Unione: se si acquista un bene in costanza di rapporto, questo diviene di proprietà di entrambi. Contestualmente, vige anche il principio della “comunione de residuo” del denaro giacente sui conti; al momento dello scioglimento del rapporto, il denaro ed i titoli giacenti sui conti cade in comunione proprio quando il rapporto si scioglie, con conseguente diritto di ciascun coniuge a chiedere il 50% delle giacenze che risultano intestate all’ex partner. Comunque, agli sposi è consentito scegliere un differente regime patrimoniale. Ciascuno dei due, ovviamente, può chiedere il divorzio, le coppie tra persone dello stesso sesso possono sciogliere direttamente il vincolo, senza dover chiedere prima la separazione. Tale procedura può essere avviata, come nei casi di coppie eterosessuali sposate e separate, o congiuntamente o separatamente; nel primo caso, i partners decideranno di comune accordo le modalità ed i contenuti che andranno a regolare il loro rapporto da single. Una legge importante che ha introdotto il riconoscimento delle coppie formate da persone dello stesso sesso, alle quali oggi è permesso di compiere scelte che hanno ricadute legali e che pertanto possono essere tutelate in caso di necessità. Una legge che è stata criticata perché non completa. Ma, finalmente, è una legge!!


Novembre 2016

31

AGLIO, CIPOLLA e PREZZEMOLO Profumi e sapori irrinunciabili Fra le presenze basilari, di cui una dispensa non può mai essere sprovvista, aglio cipolla e prezzemolo se non sono gli unici sono ai primi posti di quell’alfabeto degli aromi e degli ingredienti irrinunciabili, senza i quali tanti cibi mancano il successo. Prodotti della terra che ci si offrono con diverse e numerose varietà e che, in particolare per le cipolle, oltre ad essere

lacrimazione, aiutando a fingere il dolore e il pianto. Le ricordiamo poi come evocazione di quel vestirsi a cipolla che, ispirandosi ai loro vari strati avvolgenti, ci invita ad un abbigliamento a più strati, appunto, per affrontare con agio il variare del tempo in una volubile giornata. E così un impermeabile, una giacca, un golf e una camicia sovrapposti evocano

per coglierlo mentre cuciniamo. Averlo a disposizione significa anche inventarne un utilizzo nuovo li per lì; per aroma, sapore o semplice allegria. E altrettanta fantasia si può utilizzare per cipolle e agli che orgogliosamente teniamo in barattoli ben asciutti, solitamente in ceramica artisticamente forati per permetterne la respirazione. Ci sarebbero un’infinità ancora di spigolature da citare, ma scelgo la via di qualche “notazione culinaria” che prevede protagonisti ognuno dei nostri amici.

RICETTE

condimento sono soggetto esse stesse di non poche ricette. Aglio, cipolla e prezzemolo: così intrecciati alla cucina e alla nostra quotidianità che ognuno di loro sembra aver assunto una personalità anche fuori dal piatto. Ed ecco che le trecce di agli, forse per l’odore acre, una volta scappucciati tengono a distanza streghe, vampiri e in generale ogni forza negativa. Alle cipolle, al di là della cucina, è riconosciuta la capacità di stimolare la

l’armonico abbraccio di una cipolla rossa di Tropea, per citare una delle varietà più note e dolci. Per il prezzemolo, poi, l’utilizzo davvero infinito - sia per dare fragranza e determinare sapore, sia per ornare con la sua postura ben dritta e le sue foglie ricamate e ariose, pietanze complesse o semplici crostini - lo ha reso simbolo e sinonimo di chi sta sempre in mezzo: dall’affettuoso sinonimo di prezzemolina o prezzemolino per i bimbi, al leggermente seccato “ma quello è proprio come il prezzemolo”, espressione rivolta ad una persona che trovi proprio ovunque. Per avere sempre disponibile in casa il prezzemolo, tanto per dire, basta anche un piccolo terrazzo o un bel vaso lungo e ben curato. Che piacere allungare un braccio e trovarlo sempre fresco di varietà comune, gigante o riccio, giusto

Iniziando dall’aglio ricorderei gli spaghetti ad aglio, olio e peperoncino, dove del peperoncino - con tutto rispetto - forse si può anche fare a meno ma dell’aglio assolutamente no. E ancora la cicoria ripassata: qui, certo, l’accoppiata ideale è comunque e sempre olio, aglio e peperoncino. Continuando con le cipolle le suggerisco al forno. Tagliate a metà, per orizzontale, infarinate a crudo e baciate d’olio sotto e sopra. Poi la sovrana pazienza prima a forno basso e poi alto di farle cuocere e dorare come faceva mia mamma. Finendo col prezzemolo che mescolerei in abbondanza e ben tritato alla ricotta, da mescolare a sua volta a delle uova per fare un’ottima frittata. La stessa mescolanza con aggiunta di noce moscata ,una grattatina di buccia di limone e uovo la userei per delicate polpettine fritte o al forno.


32

Novembre 2016

Cinzia Marulli Verso la luce

Una raccolta fatta di sentieri, strade da percorrere, consapevolezze raggiunte di Luca Benassi

D

a tempo vado affermando, anche su queste pagine, la necessità di una poesia che sappia nutrire la speranza e la voglia di vivere, ben sapendo che il bene e la luce non fanno notizia nel giornalismo e non conquistano grandi spazi in letteratura. Sembra, anzi, che per essere artisti sia necessario raccontare il dolore, scendere nell’abisso della psiche e risalirne con un grumo di incubi, spesso concettosi e incomprensibili. Cinzia Marulli è invece poetessa del sole, della ricerca della “bellezza in ogni cosa, in ogni volto” sapendo che è “dolcis-

simo addormentarsi sotto la chiara luce del bene”. L’ultimo suo libro, Percorsi, pubblicato da La vita Felice nel 2016, è una raccolta fatta di sentieri, strade da percorrere, consapevolezze raggiunte dopo aver affrontato i morsi e le unghiate dell’esistenza. È un testo che sembra in contrasto, per maturità e coscienza dei sé, con l’età relativamente giovane dell’autrice. Appare, infatti, come un libro della senilità, soprattutto nell’ultima sezione che contiene una dolcissima e serena meditazione sulla morte, come luogo dello svelamento, della pace, soprattutto come meta dei percorsi della vita, come tempo della completezza. Scrive Jean Portante nella prefazione: “questi Percorsi sono come aquiloni. Volano, si avvicinano alle nuvole, ma nessuna mano le abbandona. Ed è così, la mano del poeta distribuisce i fili dal centro dell’esistenza. In questo senso, Percorsi è un libro di bilanci, e il ritorno è un viaggio intimo verso il centro dell’io”. Non mancano in questa raccolta temi forti, sulla Shoa, la guerra, le mutilazioni genitali femminili, ma sempre affrontati con la forza di un cuore che vede una ragione di speranza nella notte del dolore. Marulli adotta una scrittura piana, chiara negli esiti, di immediata presa su chi legge, che deriva anche dalla sua esperienza di traduttrice, soprattutto di poesia cinese ed orientale. Cinzia Marulli è nata a Roma dove vive e lavora. È curatrice della collezione di quaderni di poesia Le gemme (Ed. Progetto Cultura). Ha pubblicato in poesia: Agave (LietoColle, 2011), Las Mantas de Dios-Le coperte di Dio (in versione bilingue italiano- spagnolo, Ed. Progetto Cultura, 2013), Percorsi (ed. La Vita Felice, 2016). Sue poesie sono state tradotte in cinese, francese, greco, inglese, rumeno, spagnolo e slovacco. Ha tradotto alcuni tra i principali poeti cinesi contemporanei (Bei Dao, Mang Ke).

Forse è nel silenzio che si ascolta la musica più sublime in quel vuoto che avvolge tra la sospensione ansante del respiro e l’attimo incerto sul bordo del destino. Nell’apparente conclusione di un percorso si sfiorano i sentieri del domani. — Le mani nella terra umida e gravida ogni giorno come in un rituale. La terra per sentirsi terra nella quiete di questa vita. Beviamo la spiga del futuro, e attendiamola gialla, profumata per sgranarla come un rosario. — È bello il cerchio perché non finisce mai perché ogni punto sulla circonferenza è equidistante dal centro perché è tondo come il ventre pregno di una madre.


ND_CV_Novembre_2016.indd 4-5

23/10/16 20.03


È STATO BELLO prezzo sostenitore 3,00 euro Anno 71 - n.11 ISSN 0029-0920

ND_CV_Novembre_2016.indd 2-3

23/10/16 20.03


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.