GIUGNO 2016
DETENUTE
SPECIALE REBIBBIA SU BAMBINI E BAMBINE SIGILLO IL MADE IN ITALY FATTO IN CARCERE
70° PARTIMMO DAL VOTO
prezzo sostenitore 3,00 euro Anno 71 - n.6
SIMONA BALDELLI, MARICA DI PIERRI, KWANZA, IGIABA SCEGO, NICLA VASSALLO
ISSN 0029-0920
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DELFINA
di Cristina Gentile
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SOMMARIO
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01 / DELFINA di Cristina Gentile
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13 Il Paese delle Donne. Il progetto “1946: il voto delle donne” di Maria Paola Fiorensoli, Fiorenza Taricone, Gabriella Anselmi
03 / EDITORIALE
4/7 ATTUALITà 04 Anche una CEO ha problemi etici da risolvere di Giancarla Codrignani
14/21 FOCUS / PARTIMMO DAL VOTO
06 L’Europa cristiana che rifiuta i migranti di Stefania Friggeri
14 In diretta dalla Storia Il voto raccontato attraverso Noi Donne di Silvia Vaccaro
07 Premio Carlo Magno L’Europa di Bergoglio
16 I 70 anni che abbiamo attraversato di Nadia Angelucci
8/9 BIOETICA Caregiver familiare. Tra stereotipi, bisogni e diritti di Maria Paglia
10/13 INTRECCI 10 UDI, dopo il XVI Congresso Volevamo cambiare il mondo E vogliamo continuare a farlo di Barbara Leone
17 Testimonianze, ricordi Kwanza/ Silvia Vaccaro Simona Baldelli/ Nadia Angelucci Lucia Matteucci/ Rossella Ciani Igiaba Scego/ Elena Ribet Marica Di Pierri/ Elena Ribet 20 Senza comunità non c’è democrazia Intervista a Nicla Vassallo di Tiziana Bartolini
Mensile di politica, cultura e attualità fondato nel 1944
Direttora Tiziana Bartolini
Anno 71 - numero 6 Giugno 2016
Presidente Maria Costanza Fanelli
Autorizzazione Tribunale di Roma n°360 del Registro della Stampa 18/03/1949 Poste Italiane S.p.A. Spedizione abbonamento postale D.L. 353/2003 (conv. In L.27/02/2004 n°46) art.1 comma 1 DCB Roma prezzo sostenitore €3.00 euro Filiale di Roma La testata fruisce dei contributi di cui alla legge n.250 del 7/8/90
GIUGNO 2016 RUBRICHE
Editore Cooperativa Libera Stampa a.r.l. Via della Lungara, 19 - 00165 Roma Stampa ADG PRINT s.r.l. Via Delle Viti, 1 00041 Pavona di Albano Laziale tel. 06 45557641 PROGETTO GRAFICO Elisa Serra - terragaia.elisa@gmail.com Abbonamenti Rinaldo - mob. 338 9452935 redazione@noidonne.org
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22/25 JOB&JOB
32 Sigillo/Il Made in Italy delle detenute di Costanza Fanelli
22 La lunga maratona per la parità di Giovanna Badalassi
32 Bari/Role Models
24 Donne in Campo/Basilicata Intervista a Matilde Iungano di Tiziana Bartolini
33 Speciale Rebibbia/ Bambine 38 Eterne adolescenti/ Susanna Schimperna di Emanuela Irace
26 /29 MONDI 26 UCRAINE IN ITALIA/Da migranti a richiedenti asilo di Cristina Carpinelli
39 DonnaeSalute/Genova, 14 giugno
28 EGITTO/ Una nuova visione del mondo Women gathering for change di Zenab Ataalla
30/44 APPRODI 30 Dove batte il cuore delle donne/ A. Sarlo F.Zajczyk STAI ZITTA E VA IN CUCINA/ Filippo Maria Battaglia di Silvia Vaccaro
40 Partorire cantando Il metodo di Morgana Montermini di Enrico Monti 42 Cinema La pazza gioia/Paolo Virzì Roma/ Festival del cinema spagnolo Wilde Salomé/Al Pacino di Elisabetta Colla
05 Versione Santippe di Camilla Ghedini 09 Il filo verde di Barbara Bruni 23 Strategie private di Cristina Melchiorri 41 Salute BeneComune di Michele Grandolfo 45 SOS Filosofia di Francesca Brezzi 46 Leggere l’albero di Bruna Baldassarre 46 Famiglia, sentiamo l’avvocata di Simona Napolitani 47 Spigolando di Paola Ortensi 48 Poesia Francesca Piovesan La vita della poesia di Luca Benassi
44 Max Paiella di Elisabetta Colla
31 Interruzioni/ Camilla Ghedini di Tiziana Bartolini La Coop in un altro genere/ Enrico Mannari
amiche e amici del progetto noidonne
Clara Sereni Michele Serra Nicola Tranfaglia
Laura Balbo Luisella Battaglia Francesca Brezzi Rita Capponi Giancarla Codrignani Maria Rosa Cutrufelli Anna Finocchiaro Carlo Flamigni Umberto Galimberti Lilli Gruber Ela Mascia Elena Marinucci Luisa Morgantini Elena Paciotti Marina Piazza Marisa Rodano Gianna Schelotto
Ringraziamo chi ha già aderito al nuovo progetto, continuiamo ad accogliere adesioni e lavoriamo per delineare una sua più formale definizione L’editore garantisce la massima riservatezza dei dati forniti dagli abbonati e la possibilità di richiederne gratuitamente la rettifica o cancellazione contattando la redazione di noidonne (redazione@noidonne.org). Le informazioni custodite nell’archivio non saranno né comunicate né diffuse e verranno utilizzate al solo scopo di inviare agli abbonati il giornale ed eventuali vantaggiose proposte commerciali correlate. (L.196/03)
ringraziamo le amiche e gli amici che generosamente questo mese hanno collaborato
Gabriella Anselmi Zenab Ataalla Giovanna Badalassi Bruna Baldassarre Tiziana Bartolini Luca Benassi Francesca Brezzi Barbara Bruni Cristina Carpinelli Rossella Ciani Giancarla Codrignani
Elisabetta Colla Costanza Fanelli Maria Paola Fiorensoli Stefania Friggeri Cristina Gentile Camilla Ghedini Michele Grandolfo Emanuela Irace Barbara Leone Cristina Melchiorri Enrico Monti Simona Napolitani Paola Ortensi Maria Paglia Fiorenza Taricone Silvia Vaccaro
‘noidonne’ è disponibile nelle librerie Feltrinelli ANCONA - Corso Garibaldi, 35 • BARI - Via Melo da Bari 117-119 • BOLOGNA - Piazza Galvani, 1/h • BOLOGNA - Piazza Porta Ravegnana, 1• FIRENZE - Via dei Cerretani, 30-32/r MILANO - Via Manzoni, 12 • MILANO - Corso Buenos Aires, 33 • MILANO - Via Ugo Foscolo, 1-3 • NAPOLI - Via Santa Caterina a Chiaia, 23 • PARMA - Via della Repubblica, 2 PERUGIA - Corso Vannucci, 78 - 82 • ROMA - Centro Com.le - Galleria Colonna 31-35 • ROMA - Via Vittorio E. Orlando, 78-81 • TORINO - Piazza Castello, 19
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LA NOSTRA NUOVA REPUBBLICA
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otiamo, noi donne italiane, da settanta anni. La nostra prima volta è stata nel 1946. In primavera, per le elezioni amministrative, e poi in giugno per scegliere tra la Repubblica e la Monarchia e per eleggere l’Assemblea Costituente che avrebbe scritto la Costituzione. Una volta conquistato il diritto al voto è iniziata un’altra fase: portare nelle assemblee elettive una rappresentanza femminile numericamente adeguata, un obiettivo non facile da centrare perché strettamente connesso ai meccanismi elettorali e ai contesti politici. I movimenti delle donne si sono variamente impegnati negli anni per affermare principi - anche recepiti con modifiche alla Costituzione - o per far accettare la doppia preferenza di genere - quando si possono scegliere i/le candidati/e - o per ottenere l’alternanza uomo/donna nelle liste bloccate. Con un salto concettuale rivoluzionario, siamo passate delle quote rosa al 50 e 50. Sul piano formale alcuni risultati si sono ottenuti e pian piano sono arrivate nomine, politicamente corrette, di giunte municipali composte per metà di donne. L’onda d’urto di tanto lavoro ha consentito a molte donne (oltre il 40 per cento) di entrare nell’attuale Parlamento e il governo Renzi è partito con una folta pattuglia di ministre. Pattuglia che si è poi assottigliata. Ma al problema (non risolto) della quantità, oggi si aggiunge quello dei contenuti e del senso che la rappresentanza femminile assume. Questione che si pone tanto per una ministra, quanto per una parlamentare oppure per una sindaca o una consigliera regionale. L’aumento del protagonismo femminile nella politica comporta una maggiore capacità de-
cisionale che, non avendo indicazioni chiare su obiettivi largamente condivisi, spesso entra in rotta di collisione con le aspettative di molte donne o associazioni. D’altra parte chi è chiamata a gestire deve prendere decisioni sulla base di regole rigide e difficilmente può prescindere dalle logiche delle alleanze o dalle appartenenze che, spesso, le hanno consentito di arrivare dove è. Ne deriva un logoramento della credibilità delle istituzioni e un imbarbarimento delle relazioni (anche personali). Mentre ci si impegnava per cambiare le regole allo scopo di agevolare l’accesso delle donne nelle assemblee elettive, la politica subiva mutamenti profondi, cambiamenti genetici di meccanismi non scritti che nulla hanno a che vedere con le leggi o con i sistemi elettorali. Il gap tra la politica e i bisogni reali difficilmente si potrà colmare con nuove articolazioni normative se non ci si interroga sulle ragioni che hanno cambiato il sistema dei valori che sono alla base della nostra democrazia. Un processo degenerativo che è andato di pari passo con l’implosione dell’idea di comunità. Se questo anniversario per noi donne è la sacrosanta rivendicazione di una conquista storica e non una retorica celebrazione, allora facciamo in modo di attingere dalla forza delle madri costituenti e dal sentimento delle migliaia di anonime militanti. Interroghiamoci sul da farsi e ritroviamo, insieme, l’entusiasmo di guardare il mondo con occhi liberi. Ci vuole coraggio, ma va fatto perché abbiamo molto da perdere. Tiziana Bartolini
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ANCHE UNA CEO HA PROBLEMI ETICI DA RISOLVERE Le numerose presenze femminili ai vertici mondiali dell’economia e della finanza non fanno la differenza. Ma dobbiamo sperare che il futuro non sarà governato imitando le indicazioni del… testosterone di Giancarla Codrignani
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eneral Electric e Borsa Italiana propagandano un master per donne che desiderino entrare nei Consigli di Amministrazione “così impareranno a fare le Ceo”. La “Ceo” sarebbe la versione femminile del Chief Executive Officer, altrimenti detto Amministratore delegato. Un corso analogo di due anni fa ha avuto 300 richieste femminili, a dimostrazione che qualcosa si muove per venire incontro a esigenze reali: lo squilibrio di genere nella vita economica e finanziaria italiana comincia a farsi sentire non più come richiesta dal basso di “quote rosa”, ma come riconoscimento di un danno da parte dei piani alti. Si sa da un pezzo che le ragazze hanno voti migliori a scuola, si laureano prima e hanno alte capacità professionali: è evidente che - lo avremo detto mille volte - rinunciare al loro contributo nella direzione economica e politica del paese è puro spreco. Le imprese tendono a far soldi e scelgono i componenti migliori: se leggiamo le pagine economiche dei giornali, ci rendiamo conto che una Cerretelli o una Reichlin illustrano le questioni finanziarie con competenza “come un uomo”, ma con maggior chiarezza e intenti propositivi. D’altra parte presenze ad alti e altissimi livelli dell’economia/finanza sono visibili da tempo: la prima Nobel in materia, quella che si domandava come sarebbero andate le cose se la banca Lehman Brothers, responsabile del grande disastro del 2008, si fosse chiamata Lehman Sisters; Christine Lagarde, chief del Fondo monetario inter-
nazionale, che in una celebre intervista denunciò l’eccesso di testosterone nelle agenzie internazionali; Janet Yellin, numero Uno della Federal Reserve, la banca centrale degli Stati Uniti, che tiene la barra con grande prudenza sapendo che la situazione è delicata e ogni giorno può succedere di tutto. È abbastanza evidente che le competenze sono ormai riconosciute e a noi resta solo far conto di nulla delle punte di spillo dei titoli che ci trattano da subalterne che “debbono imparare”. Questo è, invece, il punto: che tutti debbono imparare gli uni dagli altri: se l’economia è stata gestita dagli uomini che hanno dato valore di oggettività alle loro interpretazioni, basate sulla competitività conflittuale (la “guerra delle monete”) e sul gioco (il gioco in Borsa), è tempo di correggere l’eccesso dei rischi con qualche cautela, ancora femminile, e correttivi selettivi di metodo. Non è un paradosso sostenere che, nella vita privata, le donne conoscono meglio dei loro compagni che fanno i conti solo sullo stipendio - l’andamento del mercato perché sono loro a fare la spesa. Stranamente l’uomo che va a fare la spesa non ne ricava la stessa implicita conoscenza (e riempie i carrelli di cose superflue). È la solita denuncia fatta da secoli sui diversi modi di vedere la storia da un’ottica derivata da esperienze diverse, come quando le economiste hanno chiesto di introdurre la riproduzione nel Pil (Prodotto Interno Lordo) e nessuno ha capito che il “riprodurre” non significa la demografia.
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di Camilla Ghedini
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Comunque il neutro prevale e quello che da tempo non ricordiamo più con il nome di omologazione ci sta davvero assimilando: le “CEO” di domani seguiranno in gran parte le indicazioni del testosterone. E così trovano ulteriore conferma gli adeguamenti femminili a “linee” politiche che continuano a vedere ciò che riguarda le donne oggetto di attenzioni specifiche e di erogazioni di benefici, quasi mai di diritti. È molto più alta la riprovazione della coppia maschile con bambini rispetto a due donne che potrebbero essere senza scandalo sorelle o amiche non necessariamente lesbiche. Anche questa è logica “di genere” (maschile?), perché la donna è sia necessaria sia legittimata. Nessuno si è mai agitato per il turismo indiano di coppie sterili regolarizzate al rientro con un piccolino frutto di una scappatella maritale generosamente perdonata dalla moglie. E il famoso rispetto della famosa dignità dell’indiana pagata? I problemi etici sono legati al costume e ai fattori educativi: come mai è tollerata, anzi per molti da normalizzare e metterci sopra le tasse, la prostituzione? Introdurre a pagamento un organo estraneo nel corpo altrui che, nel caso della donna, può lasciare conseguenze riproduttive (i maschi sono così privi di intelletto da pagare di più per evitare il preservativo) rispetta forse la dignità, la morale, la natura? b
ualche sera fa ho chiesto a mia nonna, 96 anni il prossimo settembre, a cosa stava pensando. Risposta: “Al futuro”. Sono rimasta sbalordita, perché tra le ipotesi formulate c’era “a niente” o “al passato”. E invece no, lei, Elisabetta, detta The Queen, guarda ancora lontano. D’altra parte, la scorsa estate, una sera, interrogandosi sulle temperature che ci sarebbero state l’indomani, mi ha sollecitata a controllare sul cellulare. Ho reagito con un “ma cosa?” e lei, senza esitazione alcuna, ha replicato: “Tua sorella ha scaricato la App del Meteo, tu non l’hai? Fammi vedere”. E ho scoperto così che persino il concetto di touch screen le è familiare, tant’è che ha aggiunto “ah come mi sarei divertita a essere giovane oggi e ad usare tutti questi sistemi”. Mia nonna conosce ovviamente Facebook, e quando
lità, l’abbiamo fatta sentire indispensabile, coinvolgendola in una quotidianità che lei ha recepito. Abbiamo coltivato con lei piccole vanità, come lo smalto per le unghie, sempre trasparente “che non voglio mica essere ridicola”. Il cambio dei ruoli è stato lento, a tratti faticoso, forse più per lei che per noi, ma poi c’è stata la conciliazione con l’età che avanza. Spesso ci guarda - siamo una famiglia di sole donne - ed esclama “ma sono stata proprio fortunata, non mi manca nulla”. E aggiunge: “Beh, l’avrò anche meritato, o no?”. Questa sua consapevolezza della reciprocità guadagnata, è la vera bellezza della vecchiaia, oggi trattata perlopiù come un ‘costo’, come un fastidioso elemento del welfare, tra pensioni minime, reversibilità da rivedere etc etc etc. E invece, è tanto altro. Lo conferma un libro che ho amato molto, che mi ha fatto
L’ARZILLA BELLEZZA DELLA VECCHIAIA la invito a farci “una foto che poi la posto” non solo si mette in posa e sceglie tra le varie scattate quella che la convince di più, ma dopo un po’ mi chiede quanti ‘mi piace’ ha ottenuto, “perché ormai lo so che ho dell’appeal”. E in effetti, raggiunge davvero un mucchio di like, a conferma che trasmette energia e simpatia. Infine, e poi concludo con gli esempi, di recente, di fronte a un vestito nuovo acquistatole da mia madre, senza troppi giri di parole ha ammonito la figlia: “Portalo indietro, cambialo, è da vecchia”. The Queen è unica, senza dubbio. Ma lo è perché le abbiamo concesso di tornare bambina. Perché mentre il suo corpo cambiava e perdeva forza, insieme all’autonomia, noi non le abbiamo permesso di sentirsi sconfitta, di vergognarsi. Abbiamo esaltato le sue qua-
ridere fino alle lacrime, di Cira Santoro, Le Arzille vecchiette dell’autobus 21 (Minerva Edizioni), che l’autrice ha scritto su suggestione degli incontri fatti la mattina in autobus. Nel testo c’è una rappresentazione della vecchiaia fatta di forza, risate, complicità e, perché no, sensualità. Un testo che invito a leggere per quanto è spassoso e intelligente. Allora, pensando a mia nonna e alle Arzille, mi dico che se ci immaginassimo così, da ‘vecchi’, avremmo meno paura di sfiorire. L’essere accuditi vale per entrambi i generi - non ci sembrerebbe una diminutio, ma un giusto premio. E non ci spaventerebbe neppure la morte, perché in fondo, come dice The Queen, vedova di Bruno, “io sono contenta di essere ancora con voi, ma tu devi capire che io ho anche voglia di rivedere tuo nonno”.
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L’EUROPA CRISTIANA CHE RIFIUTA I MIGRANTI di Stefania Friggeri Le contraddizioni del Vecchio Continente, e dei vari paesi cattolici, che ha smarrito gli anticorpi della barbarie conquistati attraverso la Shoah e la liberazione dal nazifascismo
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egli ultimi due anni in Europa si sono perse le tracce di diecimila minori (ma “Save the Children” calcola che il numero degli scomparsi sia il doppio) e si teme che abbiano fatto una brutta fine: gruppi criminali potrebbero averli rapiti e schiavizzati per sfruttarli nei modi più perversi e violenti, dalla prostituzione minorile al prelievo di organi. Sono tremende le sofferenze di questi minori dopo la separazione
dalla propria famiglia nel paese di origine, o durante la pericolosa e caotica peregrinazione per raggiungere l’Europa. A volte però sono gli stessi ragazzini che fuggono di loro volontà dai centri di accoglienza a causa delle insopportabili lungaggini burocratiche e delle degradanti condizioni di vita. La tratta di esseri umani, e in particolare la scomparsa di minori non accompagnati, è ormai uno dei business più redditizi per le organizzazioni criminali che, infatti, nel 2015 ha fruttato dai tre ai sei miliardi. Numerose ong impegnate in questo campo chiedono una normativa comune europea che, grazie alla condivisione di informazioni, permetterebbe di allargare a più paesi la ricerca dei minori scomparsi. E l’Europa? Ne discute ma non prende provvedimenti concreti. Anzi, la Camera dei Comuni inglese lo scorso mese di aprile
ha rifiutato di accogliere tremila minori non accompagnati di origine siriana, molti dei quali a Calais o Idomeni, con la scusa che il gesto umanitario della Gran Bretagna avrebbe aumentato il numero dei richiedenti asilo oltre la Manica. L’Europa, maestra di civiltà, dove le Costituzioni parlano di “liberté, égalité, fraternité”, nel corso del 2015 ha spento la speranza dei rifugiati che, nel perdurare del con-
flitto in Siria ed in Iraq, tentavano di raggiungerla attraverso la Grecia e la Serbia; infatti, dopo la reintroduzione dei controlli nello spazio di Schengen, l’asse stradale da Salonicco a Belgrado, percorsa da migliaia di disperati in fuga dalla guerra e dalla miseria, non può rappresentare più un corridoio della speranza. E alla chiusura delle frontiere, alle barriere di filo spinato e reti metalliche si aggiungono i maltrattamenti e i pestaggi della polizia che talora si appropria anche dei danari e dei telefonini, uno strumento indispensabile per rimanere in contatto coi familiari e con chi può fornire utili informazioni per proseguire. Gli abitanti di Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia e Polonia, che piange e rimpiange papa Wojtyla, hanno restaurato le chiese in abbandono e ne hanno edificato di nuove, liberi di praticare quella fede religiosa cui i precedenti governi guardavano con sospetto. Ma nell’Europa cristiana com’è vissuta, com’è interiorizzata la figura di Cristo di cui il Vangelo tramanda queste parole: “Ama il prossimo tuo come te stesso”? Se per i migranti il viaggio è una vera “via crucis”, una scommessa (quanti cadranno lungo il percorso? o saranno rimandati indietro?) come è possibile per un cristiano non impegnarsi per salvare quella vita che viene da Dio? quella vita che in alcuni stati viene difesa anche contro la volontà della madre cancellando le leggi che al tempo dei regimi atei avevano permesso di abortire? Come la grave crisi economica che si è abbattuta sull’Occidente dopo la Prima guerra mondiale ha formato l’humus in cui si sono sviluppate le dittature, così oggi l’indomabile crisi avviata nel 2008, cui si è aggiunto il fenomeno delle migrazioni, spinge gli europei, obnubilati dalla paura, a dare credito ai leader della destra xenofoba ed autoritaria? Eppure dopo la Shoah, dopo la Re-
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sistenza, si sperava che l’Europa cristiana avesse acquisito gli anticorpi della barbarie, distinguendosi come un continente ricco di umanità, un esempio di costumi civili. A papa Francesco, il primo papa non europeo dopo secoli, viene rimproverato di occuparsi in primo luogo dei paesi extraeuropei: ed è vero che, rivisitando la dottrina sociale della Chiesa, Bergoglio raccomanda di impegnarsi nelle periferie del mondo, preoccupato non solo della vita eterna ma anche di quella terrena, affinché sia dignitosa. Ed infatti, recandosi a Lampedusa e a Lesbo, ha spinto i fedeli a solidarizzare coi migranti. Ma l’Europa non risponde alle sollecitazioni di papa Francesco, nemmeno la Polonia dove Radio Maria continua a diffondere una cultura antisemita e razzista secondo la tradizione secolare, codina e bacchettona, del papa-re che il Concilio Vaticano II ha cercato di smontare. Durante il papato di Giovanni Paolo II schiere di politici hanno tentato inutilmente con dotte argomentazioni di inserire l’espressione “Europa cristiana” nella Nuova Costituzione Europea, e la mancata citazione ha destato grande disappunto nella Chiesa gerarchica che, allontanando e censurando chi non rinuncia al dubbio e alla critica, era, ed è rimasta, chiusa in un’arrogante pretesa di perfezione. Ma un’Europa cristiana dovrebbe essere un mondo che alimenta spiritualmente i fedeli e, dunque, giudica angusta e manchevole l’azione pastorale che si limita a promuovere il rispetto dell’ortodossia, la ritualità delle cerimonie, la venerazione dei santi che difendono il campanile o intervengono miracolosamente per risolvere i guai personali. Quando invece il Cristo, il Salvatore che secondo i Vangeli ha subito la crocifissione per amore dell’uomo, dovrebbe nutrire il cuore dei fedeli facendoli capaci di accettare qualche sacrificio per amore del prossimo. A cominciare dai bambini abbandonati. v
EUROPA: IL SOGNO DI PAPA BERGOGLIO
La consegna del Premio internazionale Carlo Magno, lo scorso 6 maggio nella sala regia del Palazzo Apostolico in Vaticano con la motivazione "impegno a favore della pace, della comprensione e della misericordia in una società europea di valori", è stata occasione per il Santo Padre di parlare ai vertici europei (tra gli altri: Schulz, Tusk, Juncker, Merkel, Renzi, il re di Spagna Felipe VI, Renzi, Draghi). Riportiamo alcuni passaggi del suo discorso. “La creatività, l’ingegno, la capacità di rialzarsi e di uscire dai propri limiti appartengono all’anima dell’Europa. Nel secolo scorso, essa ha testimoniato all’umanità che un nuovo inizio era possibile: dopo anni di tragici scontri, culminati nella guerra più terribile che si ricordi, è sorta, con la grazia di Dio, una novità senza precedenti nella storia… Questa famiglia di popoli, lodevolmente diventata nel frattempo più ampia, in tempi recenti sembra sentire meno proprie le mura della casa comune,…noi figli di quel sogno siamo tentati di cedere ai nostri egoismi, guardando al proprio utile e pensando di costruire recinti particolar… Nel Parlamento europeo mi sono permesso di parlare di Europa nonna. Dicevo agli Eurodeputati che da diverse parti cresceva l’impressione generale di un’Europa stanca e invecchiata, non fertile e vitale, dove i grandi ideali che hanno ispirato l’Europa sembrano aver perso forza attrattiva; un’Europa decaduta che sembra abbia perso la sua capacità generatrice e creatrice. Un’Europa tentata di voler assicurare e dominare spazi più che generare processi di inclusione e trasformazione; un’Europa che si va ‘trincerando’ invece di privilegiare azioni che pro-
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muovano nuovi dinamismi nella società... Che cosa ti è successo, Europa umanistica, paladina dei diritti dell’uomo, della democrazia e della libertà? Che cosa ti è successo, Europa terra di poeti, filosofi, artisti, musicisti, letterati? Che cosa ti è successo, Europa madre di popoli e nazioni, madre di grandi uomini e donne che hanno saputo difendere e dare la vita per la dignità dei loro fratelli? …Con la mente e con il cuore, con speranza e senza vane nostalgie, come un figlio che ritrova nella madre Europa le sue radici di vita e di fede, sogno un nuovo umanesimo europeo… Sogno un’Europa giovane, capace di essere ancora madre: una madre che abbia vita, perché rispetta la vita e offre speranze di vita. Sogno un’Europa che si prende cura del bambino, che soccorre come un fratello il povero e chi arriva in cerca di accoglienza perché non ha più nulla e chiede riparo. Sogno un’Europa che ascolta e valorizza le persone malate e anziane, perché non siano ridotte a improduttivi oggetti di scarto. Sogno un’Europa, in cui essere migrante non è delitto, bensì un invito ad un maggior impegno con la dignità di tutto l’essere umano. Sogno un’Europa dove i giovani respirano l’aria pulita dell’onestà, amano la bellezza della cultura e di una vita semplice, non inquinata dagli infiniti bisogni del consumismo; dove sposarsi e avere figli sono una responsabilità e una gioia grande, non un problema dato dalla mancanza di un lavoro sufficientemente stabile. Sogno un’Europa delle famiglie, con politiche veramente effettive, incentrate sui volti più che sui numeri, sulle nascite dei figli più che sull’aumento dei beni. Sogno un’Europa che promuove e tutela i diritti di ciascuno, senza dimenticare i doveri verso tutti. Sogno un’Europa di cui non si possa dire che il suo impegno per i diritti umani è stato la sua ultima utopia”.
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di Maria Paglia Istituto Italiano di Bioetica www.istitutobioetica.org
CAREGIVER FAMILIARE Tra stereotipi, bisogni e diritti
Per l’Istat sono più di 3 milioni i familiari assistenti, prevalentemente donne, che in Italia si prendono cura di anziani, malati, disabili
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a prima cosa che salta agli occhi affrontando il tema del lavoro dei caregivers è che tutti ne parlano, tutti sono convinti che bisogna dar loro sostegno ed altro, che le forze rappresentate in Parlamento sono convinte che si debbano fare leggi ad hoc….. ma poi, nella realtà del quotidiano, viene fatto pochissimo e pressoché tutto rimane immutabilmente sulle spalle di chi questo lavoro con abnegazione e sacrificio lo porta avanti in maniera gratuita, tutti i giorni - ed anche le notti - della propria vita. Il caregiver - o familiare assistente - nel nostro Paese è soprattutto donna: moglie, madre, figlia, nuora, che in nome di un ruolo storicamente considerato femminile, si fa carico della cura, prima dei bambini e poi
oltre il 66% dei familiari assistenti ha degli anziani della famiglia e questo a dovuto abbandonare il lavoro, il 10% conferma di stereotipi culturali da un ha richiesto un lavoro part-time e il lato e, dall’altro, della assenza di poli10% si è orientato verso una mansione tiche organiche e strutturali di concimeno impegnativa). Stress emotivo, liazione. stanchezza fisica, problematiche di In una recente ricerca multiscopo conciliazione, di gestione del tempo, Istat si stima che siano oltre 3 miliodi gestione di risorse economiche si ni i familiari assistenti che in Italia si sommano a pesanti problemi etici e prendono cura di anziani, malati, disaad un forte senso di perdita. bili. Il dato è certamente sottostimato In questo difficile e complesso perrispetto alla realtà caratterizzata dalcorso è fondamentale che il riconola crescita esponenziale di persone scimento del ruolo e il sostegno ai anziane con polipatologie croniche familiari assistenti si accompagnino e degenerative, per oltre l’80% assiad una loro valorizzazione sociastiti al domicilio a carico dei familiari. le attraverso l’attivazione di servizi Per non parlare poi dell’assistenza professionali di supporto e percorsi ad un figlio disabile che dura tutta la di accompagnamento e condivisione vita e oltre. Ma anche quando l’assiproprio per evitare il rischio di facilistenza riguarda coniugi o genitori, la tare un processo di “familizzazione” durata nel tempo e l’intensità del lache tende a scaricare sulla voro di cura impattano pefamiglia l’inefficienza di un santemente sulla vita del sistema di protezione e familiare che si prende OLTRE IL 66% DEI assistenza. cura stravolgendone FAMILIARI ASSISTENTI (CAREGIVER) HA DOVUTO E poi ancora il tema la quotidianità ed il ABBANDONARE IL LAVORO, della rappresenprogetto di vita: chi IL 10% HA RICHIESTO UN tanza dei bisogni e si prende cura vive LAVORO PART-TIME E IL 10% degli interessi: oggi una battuta di arreSI È ORIENTATO VERSO i caregivers non hansto (o una “vita di arUNA MANSIONE MENO IMPEGNATIVA (AIMA) no luoghi e strumenti di resto”). Infatti, oltre a rappresentanza. Le espedover affrontare in prima rienze europee insegnano persona l’impatto emotivo che rafforzare le reti di comunità e connesso all’accettazione della macostruire innovazione sociale richielattia del proprio caro, il caregiver si de, in primo luogo, che i soggetti si trova a dover stravolgere la propria sentano ascoltati e rappresentati vita quotidiana adattandola alle nuove ma soprattutto è fondamentale che esigenze (secondo un’indagine AIMA,
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Il filo verde tà prestata”. Purtroppo questa resta aumenti la consapevolezza da parte al di là di alcuni progetti o sovvenzioni degli stessi caregivers dell’imporda parte di enti locali e soprattutto di tanza che il loro ruolo ha per la colazioni positive da parte di attori prilettività sia a livello sociale che ecovati del terzo settore - l’unica “realtà nomico. legislativa” in Italia che si prefigge di Nel nostro Paese l’interesse nei congarantire formazione e supporto nelle fronti di chi assiste informalmente attività di assistenza prestapersone non autosufficienti, te gratuitamente da famicon la legge 104/92 e D.lgs liari ed amici a persone 151/01, ha visto il riconon autosufficienti, noscimento di alcune mettendo a loro difacilitazioni sul lavoOGGI I CAREGIVERS NON HANNO LUOGHI sposizione imporro quali permessi E STRUMENTI tanti servizi pubblimensili e congedi DI RAPPRESENTANZA ci. Con la stessa legge biennali retribuiti, ma si promuove anche una solo recentemente a giornata di sensibilizzalivelli di enti locali si è svizione che prende il nome luppata una sensibilità atta di Caregiver day che si tiene a valorizzare la solidarietà nel mese di maggio. e la cura familiare come beni sociali. A livello nazionale, negli ultimi mesi Tuttavia, anche se sono molte le prodell’attuale legislatura sono stati preposte di legge a livello di vari Consigli sentati una proposta di legge alla Caregionali, solo nella Regione Emilia mera concernente “Disposizioni per il Romagna è stata approvata una legge riconoscimento e il sostegno dell’atsui caregiver, la 2/14 recante “Nortività di cura e assistenza familiare” e me per il riconoscimento ed il sosteal Senato due disegni di legge (“Legge gno al caregiver familiare (persona quadro nazionale per il riconoscimenche presta volontariamente cura ed to e la valorizzazione del caregiver assistenza)”. “Con questa legge - sotfamiliare“ e “Norme per il riconoscitolinea la relatrice della legge Paola mento ed il sostegno del caregiver Marani - si danno indicazioni precise familiare”): segno di un’attenzione al e concrete per sostenere queste perproblema, o, come paventano alcuni, sone. Tra le novità più importanti, la non si può escludere che sta prenformazione al lavoro di accudimento e dendo corpo una mentalità di “famial riconoscimento delle competenze lizzazione” con una progressiva chiuacquisite per favorire successivi sbocsura degli attuali centri e …..“tutti a chi lavorativi, un supporto psicologicasa”? co, guide sui servizi, forme di sostegno economico nell’ambito dei contributi *Maria Paglia (Presidenza del Consiglio destinati alla non autosufficienza (asdei Ministri, Dipartimento segno di cura, interventi economici per le politiche della famiglia) per l’adattamento domestico), prestazioni sanitarie a domicilio, sostituzioni che offrano momenti di sollievo o permettano di affrontare le emergenze, accordi con le associazioni imprenditoriali per una maggiore flessibilità nell’orario di lavoro, promozione di accordi con compagnie assicurative per la copertura degli infortuni o della responsabilità civile collegati all’attivi-
di Barbara Bruni
RACCOLTA DEL VETRO
In base all’ultimo sondaggio Omnibus, l’Italia è al secondo posto in Europa nel riciclo del vetro. Con il 90,8% di vetro riciclato, il Belpaese si piazza dopo la Svizzera (93,1%) e davanti all’Austria (89,9%). L’indagine, che ha coinvolto 8mila consumatori in 11 paesi, ci racconta anche che il 94% dei consumatori europei ricicla gli imballaggi utilizzati in casa, e la maggior parte considera il vetro l’imballaggio più riciclabile. Gli ultrasessantenni riciclano tutti i loro imballaggi (comprese le bottiglie e i vasetti di vetro!) e, in generale, fanno meglio di coloro che hanno tra i 18-29 anni. In Italia, invece, quando si parla di riciclo non c’è una grande differenza tra giovani e anziani, anche se il divario diventa maggiore quando si tratta del riciclo del vetro: 87,5% sono i giovani che sostengono di farlo, contro il 97,3% dei più anziani.
ITALIA PAESE DI FARFALLE
Non solo belle e colorate, le farfalle sono preziose regine della biodiversità e l’Italia è il loro “Paradiso d’Europa”. Dalla Coenonympha elbana del Tirreno alle variopinte Giasone dell’Elba, passando per la falena Acanthobrahmaea che vive solo alle pendici del Vulture (in Basilicata), sono 289 le specie che abitano nella nostra penisola. Se da un lato cambiamenti climatici e attività umane ne minaccino l’habitat - mettendo a rischio di estinzione 18 specie - quest’anno a Montecristo sono state individuate 2 nuove specie ed è stata confermata la presenza della “Parargeaegeria” un tipo di farfalla vista l’ultima volta 40 anni fa.
BARRIERA CORALLINA AUSTRALIANA
Oltre il 90% delle scogliere che compongono la Grande barriera corallina australiana, patrimonio Unesco, è colpita da sbiancamento. È come se 10 cicloni l’avessero colpita simultaneamente. E in alcune scogliere si registra un tasso di mortalità dei coralli fino al 50%. Lo sbiancamento - che si verifica quando per effetto delle acque più calde i coralli espellono una speciale alga fondamentale per il loro nutrimento, e che dà loro il colore - non è solo un danno ambientale. L’unica vera azione efficace nel medio e lungo termine è quella di “ridurre le emissioni di CO2”.
OCCHIO ALLE BALENE
Al via la decima stagione di monitoraggio dei cetacei nello spazio marittimo del Santuario Pelagos, area marina protetta di 87.500 km quadrati compresa nel territorio francese (Costa Azzurra e Corsica), monegasco e italiano (Liguria, Toscana e Nord Sardegna). I Marine Mammal Observers, studenti e ricercatori formati per l’avvistamento e il riconoscimento dei cetacei, nella parte sarda del Santuario la scorsa estate hanno avvistato 45 branchi di stenella striata, 12 di tursiope, 8 balenottere, ma anche 3 zifio, un capodoglio e il raro delfino comune.
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“VOLEVAMO CAMBIARE IL MONDO” E VOGLIAMO CONTINUARE A FARLO di Barbara Leone
Femminicidio, schiavitù, immigrazione e cittadinanza europea, guerra e pace, integrazione, lavoro e autodeterminazione, tra i temi affrontati nella tre giorni di lavori congressuali dell’UDI (Roma 6/7/8 maggio 2016)
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ono passati settanta anni da quando si svolse a Firenze nel 1945 il Congresso che, dai Gruppi di Difesa della Donna, diede vita all’UDI e in quello stesso anno venne finalmente riconosciuto il voto alle donne, realizzando così compiuta democrazia. La memoria delle battaglie condotte richiama oggi il dovere di una costante partecipazione alle vicende del Paese per inverare quotidianamente i valori alla base della nostra convivenza civile. Nella certezza che dai lavori e dal confronto delle vostre idee potranno scaturire spunti di riflessione nell’interesse della nostra comunità formulo a tutte voi i più sinceri auguri di buon lavoro”. Con queste parole il Presidente della Repubblica Sergio Matterella ha salutato il XVI Congresso nazionale dell’UDI - Unione Donne in Italia - che si è concluso lo scorso 8 maggio a Roma. Messaggi importanti e affettuosi sono arrivati anche dalla Presidente della Camera Laura Boldrini e dalla Vicepresidente del Senato Valeria Fedeli, che nel suo messaggio ha ricordato come il loro Congresso rappresenti “una straordinaria occasione di confronto e discussione sul presente e sul futuro dell’Unione Donne in Italia. Queste ricorrenze
conferiscono al vostro appuntamento un significato ancora più profondo, che permette di guardare al futuro consapevoli del contributo che il movimento delle donne ha dato e ancora potrà dare alla qualità della nostra democrazia, al consolidamento delle nostre istituzioni, alla partecipazione nella costruzione dell’agenda politica dell’Italia”. Sulla ricorrenza dei 70 anni dal voto si è soffermata anche la Presidente della Camera Laura Boldrini, che ha sottolineato come esso “costituisce un importante momento di riflessione sulla funzione del femminismo ai nostri giorni, da analizzarsi attraverso le tappe lungo le quali si è sviluppato il processo di emancipazione delle donne italiane - precisando che - c’è ancora molto da fare perché venga riconosciuto alle donne ciò che è delle donne; il loro valore, la loro storia e tutte le conquiste raggiunte verso l’eguaglianza”. Una tre giorni di dibattito vivo e confronto acceso, che ha sviscerato tutte le questioni del mondo viste con sguardo di donne e del femminismo in cui UDI è da sempre parte attiva. “Fare un congresso non è cosa semplice - ha ricordato la Responsabile nazionale UDI Vittoria Tola salutando la folta platea del Congresso nella sua relazione molto condivisa - e non lo è in particolare per un’associazione di donne che lavorano in modo volontario e senza mezzi se non quelli che noi investiamo in questa passione. Donne che già sostengono le loro molteplici attività locali e nazionali, pagano la loro partecipazione quando vengono a Roma o partecipano a iniziative nazionali. La nostra ambizione è e rimane, se la vogliamo dire con la battuta fulminate del personaggio di Meryl Streep in ‘Suffragette’, non protestare ma fare la legge. In tutti i sensi. Mentre siamo costrette tutti i giorni a protestare nonostante tutte le nostre conquiste. A partire da leggi che stanno dimostrando da tempo di essere sempre più svuotate. Lo
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vediamo con la legge 194 sempre più inapplicata da coloro che la dovrebbero rispettare, legge che abbiamo voluto come uscita dalla clandestinità, quella che faceva morire d’aborto le donne. La libertà delle donne - ha precisato Vittoria Tola - è in cammino, anche se faticosamente, in tutti i continenti e le forme di restaurazione che vediamo dimostrano che un ordine storico, politico, culturale è stato messo in discussione e cerca di reagire. Tutto questo ci interpella come femministe soprattutto in un momento storico come questo in cui, anche tra di noi, le differenze passano per molte strade e siamo divise da molte questioni come ci dice Colonia o la maternità surrogata. Sulla violenza contro le donne voglio solo ricordare l’enorme lavoro che abbiamo dovuto fare noi, in questi decenni, per farla emergere dalla
cronaca nera o dai delitti passionali, per mostrarla nel nostro mondo come una fenomenologia strutturale dei rapporti di potere degli uomini nelle nostra società. Dobbiamo pertanto ricordare che il soggetto politico del cambiamento non sono solo le donne, ma è il femminismo come pensiero e pratica delle donne per leggere il mondo e trasformarlo. Decidere insieme dove resistere, contrastare contrattaccare un potere spesso invisibile o imprendibile. Non so se ce la faremo, ma penso che noi abbiamo il dovere, e mi rivolgo a tutte noi, il dovere storico di aprire il dibattito su questi temi che aiuti il passaggio di una eredità politica di grande valore a quante più donne possibile. Soprattutto alle giovani donne! Native e migranti. Cittadine del mondo!”. Nei tanti interventi delle donne UDI, arrivate al Congresso dalle sedi di tutta Italia, si è sottolineata l’urgenza di un agire politico mirato ai problemi del mondo attuale partendo dalla cultura femminista. Quella cultura che è linfa vitale dell’UDI sin dalla sua nascita voluta dalle madri della Repubblica italiana. E che oggi è linfa vitale dell’agire sul campo di migliaia di donne, che nell’UDI continuano ad avere un insostituibile punto di riferimento politico. Tra i numerosi in-
terventi ricordiamo quelli di Marisa Ombra e Marisa Rodano, di Luciana Romoli, Alessandra Bocchetti, Daniela Brancati, Stefania Cantatore, Daniela Dioguardi, Rosanna Marcodoppido, Valentina Muià, Rosangela Pesenti, Laura Piretti, Elisa Veronesi e tante altre. Molte le rappresentanti istituzionali presenti al Congresso, unitamente alle donne di altre associazioni come Simona Lanzoni della Fondazione Pangea e rappresentante per l’Italia a Strasburgo del GREVIO per il monitoraggio della Convenzione di Istanbul. E ancora Rosa Mendes, presidente di NO.DI, Ozlem Tarikulu, presidente dell’Ufficio d’informazione del Kurdistan in Italia, Susan Diku a nome delle donne congolesi, Kadra Jama, donna somala che vive a Parigi, oltre alle rappresentanti della Casa Internazionale delle Donne, della CGIL, della UIL e artiste come Serena Dandini. Tutte hanno sottolineato l’importanza di interloquire con l’UDI: si vince solo con una unità di azione, si è detto, che dia forza all’agire delle donne in tutti i luoghi dove c’è bisogno di modificare la realtà delle cose. Un altro mondo è non solo possibile ma sta arrivando. Anche se la strada è ancora tutta in salita. Nel 2016 sono sinora 37 le donne uccise, tra cui 3 bambine. E siamo solo a maggio. La “lista orribile” presentata al XVI Congresso UDI mostra chiaramente come il fenomeno femminicidio non sia in remissione. Numeri che sono il tragico risultato di politiche parziali ed emergenziali. Numeri ai quali bisogna aggiungere quelle donne che non sono morte ma non hanno più una vita. Eppure il colpevole non verrà tecnicamente considerato assassino. Una strage che non si ferma perché mancano le risposte necessarie sul piano politico e culturale a partire dalla natura e consistenza reale del fenomeno.
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Violenza sulle donne ma anche collaborazione e condivisione con la commuovente testimonianza di Ribka Sibhatu, del Coordinamento eritreo per l’intercultura, che ha denunciato la drammatica realtà in cui vivono le donne in Eritrea, dove tortura e schiavitù sono la norma. E dove moltissime donne non riescono a usare i canali umanitari.. E ancora difesa della 194, educazione di genere, precariato, maternità surrogata, nuove politiche del lavoro a partire dalla piattaforma “Corpo-Lavoro”, volta ad coordinare le politiche di conciliazione e di welfare da un punto di vista generale, locale e familiare. Due le mozioni votate all’unanimità nel corso del Congresso. Una sulla necessità di una legge sulle statistiche di genere e problematiche che stanno investendo l’Istat e che hanno allontanato dal suo incarico Linda Laura Sabbadini. E un’altra sulla questione della schiavitù. Da ricordare anche le parentesi artistiche che hanno movimentato il Congresso. A cominciare dalla proiezione del documentario “Io vado… all’UDI”, realizzato da Ilaria Scalmani, e il docufilm “Non si può vivere senza una giacchetta lilla” diretto da Novella Benedetti, Chiara Orempuller e Valentina Lovato, E Margherite Volanti e la rassegna di manifesti dell’Udi. E poi due momenti musicali, con “Sebben che siamo donne”, e “Il Giardino della Pietra Fiorita”. L’ultima giornata congressuale è stata dedicata allo Statuto, modificato per permettere a tutte le sedi UDI di costituirsi parte civile nei processi al fianco delle vittime di violenza, e all’organizzazione interna dell’UDI. Quindici le donne elette dal Congresso nel Coordinamento nazionale, dopo la riconferma di Vittoria Tola quale Responsabile nazionale UDI affiancata da Laura Piretti, anche lei eletta Responsabile nazionale. b
HAPPENING ARTISTICI AL XVI CONGRESSO UDI “Io vado… all’UDI” realizzato da Ilaria Scalmani e promosso dall’UDI Modena con la collaborazione del Centro Documentazione donna di Modena e il contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Modena. Il documentario, realizzato con la partecipazione dell’UDI nazionale Archivio Centrale, Associazione Nazionale Archivi dell’UDI e Rete Regionale degli archivi UDI Emilia-Romagna, nasce all’interno del progetto “Io vado… all’UDI. 70 anni di partecipazione politica delle donne
modenesi dell’Unione donne in Italia” e ha come fulcro le interviste a due storiche partigiane e protagoniste dell’associazione: Marisa Rodano e Marisa Ombra, entrambe presenti al Congresso. Ancora un video con “Non si può vivere senza una giacchetta lilla”, con Lidia Menapace e la regia di Novella Benedetti, Chiara Orempuller e Valentina Lovato (prodotto da Decima Rosa). Un docufilm che racconta la vita intensa e appassionata di Lidia Menapace, partigiana, senatrice, pacifista e femminista militante, che per motivi di salute non è riuscita ad intervenire al Congresso.
Musica poi, con “Sebben che siamo donne”, canti di donne nella storia per voce di Susanna Buffa, Isabella Mangani, Sara Marchesi e Stefano Donegà alla chitarra. Un omaggio a storie individuali e collettive di donne, unite nelle lotte e nelle conquiste politiche, sociali e culturali. Storie in cui il canto, come forma di denuncia, protesta e incontro, è nato sul terreno fertile di una cultura musicale popolare più antica. Canti che oggi sono forma e sostanza di un racconto condiviso e che fanno un po’ di luce sulla strada che è stata aperta da quelle lotte al futuro di tantissime altre donne e uomini.
A chiudere la scena musicale del Congresso UDI è stato “Il Giardino della Pietra Fiorita”, ensemble di organetti diretta dal Maestro Alessandro Parente che rappresenta sei regioni dell’Italia centro-meridionale (Abruzzo, Lazio, Puglia, Molise, Campania e Calabria) e ha lo scopo di ridare vita a questo meraviglioso strumento che è l’organetto. Il repertorio per l’esibizione dedicata al Congresso UDI è stato scelto in base al contenuto e al significato di ogni singolo brano e si è composto di diverse “suite”: una dedicata alla musica più antica (precedente alla nascita dell’organetto), una dedicata alla donna, una dedicata alla guerra, una dedicata alla musica della Louisiana e un’altra ancora dedicata alle nostre radici e alla nostra cultura popolare.
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QUELLE CHE FURONO MAGGIORENNI NEL 1946 Una capillare ricerca di testimonianze e riflessioni al servizio della memoria collettiva in occasione del 70° anniversario del suffragio femminile. È il progetto “1946: il voto delle donne”
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a sinergia, la passione, l’impegno protrattosi per mesi e la lettura politica del presente costituiscono la miscela creativa che ha permesso a Maria Paola Fiorensoli (Il Paese delle Donne), Gabriella Anselmi (FILDIS) e Fiorenza Taricone (Università di Cassino e del Lazio Meridionale), di dare vita al Progetto “1946: il voto delle donne”, in progress che nei tanti mesi di lavoro in vista dell’inaugurazione, il 31 maggio, nella Casa internazionale delle donne (Roma) ha raccolto molti consensi e la partecipazione attiva di associazioni, enti, studiose, studenti e studentesse e soprattutto delle donne al centro del nostro interesse e della nostra riconoscenza: quelle che furono maggiorenni nel 1946 e i cui preziosi ricordi abbiamo raccolto in una capillare ricerca nazionale. Tra loro, molte centenarie la “decana”, Gilda Pietropaoli di 107 anni di Roma e Luisa Zappittelli di 104 anni (nelle foto) di Città di Castello (Pg), donna della Resistenza e resiliente, allevatrice di canarini gialli e mascotte del club della vespa; un mezzo che ha guidato fino ai 95 anni e che ancora oggi utilizza seduta “sul sellino posteriore”, con casco, come ha specificato nella straordinaria intervista rilasciata per il Progetto e pubblicata su “paese delle donne-on line-rivista”. Ricordare il 70° anniversario della conquista del suffragio femminile significa parlare di democrazia - uno degli atti perfetti di una democrazia ancora incompiuta - e parlare della sua conquista da parte dell’elettorato femminile e maschile, cioè di suffragio universale e del ruolo che esso ha avuto e ha nel percorso simbolico, rappresentativo e identitario d’Italia. Con l’aiuto delle tante generose donne delle nostre associazioni che si sono entusiasmate a questo lavoro in primis politico nel senso più alto e più coinvolgente della parola, abbiamo operato sul campo una ricerca che confluirà nella Mostra - convegno itinerante e sarà divulgata nelle scuole anche attraverso filmati e opuscoli editi in collaborazione con Caravan. Le nostre amatissime “testimoni” sono in parte note, come Marisa Rodano, Maria Chiaia, Vittoria Tola, Antonia Sani, Vinzia Fiorino, Rosangela Pesenti, Vera Michelin Salomon e altre, e in parte rintracciate nelle sedi più impensate attraverso un tam tam che è stato esso stesso un’esperienza
nell’esperienza, magnifica, di ascoltare racconti che narrano e spesso riscrivono la storia d’Italia delle due Guerre mondiali, Resistenza, Liberazione, periodo costitutivo della nostra Repubblica.. La ricerca ha suggerito spesso il bisogno di allacciare, riallacciare o vivificare legami affettivi. Di rintracciare materiali e ricordi familiari gioiosi o dolorosi. Una riconciliazione profondamente affettiva anche con la figura materna: uno dei pilastri per la costruzione del proprio sé profondo e riduce lo stereotipo contro le persone non più giovani. Le donne anziane sono archivi e biblioteche viventi, campi di grano per sfamare le generazioni presenti e future, arche di ricordi veritieri non piegati ad altre necessità o interessi che il rimandare ad altre donne, guardandole negli occhi o parlando loro al telefono o tracciando con bella calligrafia, spesso stampatello, il loro vissuto. La Mostra-convegno itinerante oltre Roma (31/5-4/6), toccherà Castello Manservisi di Castelluccio di Porretta Terme (31/7-16/8), l’Università di Cassino e del Lazio Meridionale (ottobre - novembre); sono in definizione altre tappe nel Centro Sud e nelle Isole maggiori. Ai tre enti promotori, si aggiunge oggi il patrocinio di: Casa internazionale delle donne, Archivia, Udi nazionale e alcune Biblioteche e Archivi di Udi locali, Cif, Cndi, Wilpf-Italia, Ande. Maria Paola Fiorensoli, Fiorenza Taricone, Gabriella Anselmi
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DIRETTA DALLA
STORIA di Silvia Vaccaro
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he senso ha votare oggi? Una domanda che tanti e tante si pongono in un momento di crisi delle democrazie a livello globale. Eppure questo 2016 è un anno speciale per il voto in Italia: proprio settanta anni fa le donne conquistavano, non senza fatica, il diritto a una piena cittadinanza. Sebbene sia in Italia che in altri paesi già dalla fine dell’Ottocento fossero iniziate le lotte per il suffragio femminile, nel nostro paese fu solo con le elezioni amministrative, nel marzo del 1946, e poi con le votazioni del 2 giugno che le donne mossero i primi passi nelle istituzioni. Le pagine di Noi Donne, che come rivista di politica femminile era nata ufficialmente già due anni prima, nel luglio del 1944, rappresentano una fonte preziosa per ricostruire le fasi che precedettero le prime votazioni cui presero parte anche le donne. Riflessioni lucide e coinvolgenti, quelle che si trovano sfogliando l’archivio, come le parole Marisa Rodano che nel gennaio del 1946 sul numero 11 di Noi Donne scriveva: “Il Consiglio dei Ministri ha approvato la legge elettorale amministrativa e ha approvata anche la data dei comizi elettorali che avranno luogo ai primi di marzo.[…] Vi sono alcuni, cioè, che hanno uno strano ragionamento; essi dicono: ‘Le donne italiane non hanno mai votato, quindi in gran parte non si cureranno di votare. Bisogna che la legge stabilisca che votare è un obbligo per tutti i cittadini e che chi non vota dovrà pagare una forte multa’. Che ve
Tra il 1944 e il 1946 Noi Donne sostiene il suffragio universale e combatte le resistenze dei politici (maschi). Alcuni flash sul dibattito del tempo
ne pare, di questo discorso, care amiche dell’UDI? […] Voi risponderete sicuramente che questa teoria che il voto sia un obbligo è molto nuova: quando le donne lottavano per conquistarsi il diritto di votare, non è mai venuto in mente a nessuno di dire che il voto era un obbligo. Come mai a questi signori viene in mente solo ora che il voto non è un diritto, ma un obbligo?”. E aggiungeva: “E se poi ci fosse qualche donna che, malgrado tutto, non avrà compreso l’importanza e il dovere morale (dovere verso se stessa, la sua famiglia, i suoi figli) di andare a votare e si asterrà dal voto, noi domandiamo ai sostenitori del voto obbligatorio: se questa donna fosse obbligata per legge a votare, quale contributo potrebbe dare? Se non è nemmeno arrivata a comprendere l’importanza di andare a votare, come saprà scegliere con giudizio per chi votare? Voi dite che tutti i cittadini devono contribuire a ricostruire il paese. Ma per far questo non basta andare a gettare una scheda in un’urna senza sapere quello che si fa. Per far questo bisogna essere coscienti e coscienti si diventa nella libertà!”. Sebbene ci fossero stati uomini, tra la fine del 1800 e l’inizio del 1900, che sostenevano il voto alle donne, durante il ventennio fascista, in cui le donne venivano educate sin dai banchi di scuola ad essere le regine della casa e nulla più, e durante i tragici anni della Seconda guerra mondiale che seguirono, alle donne italiane fu negata una piena citta-
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dinanza. Per questo la battaglia per il diritto di voto assunse, non appena furono deposte le armi, assoluta centralità. Rosetta Longo nel febbraio del 1946 la descrive così: “Una fondamentale conquista per le donne italiane è stata quella del voto. […] Ben a lungo dunque gli uomini hanno difeso questo privilegio che sanciva la loro superiorità riservandosi la qualifica di cittadini. Lo hanno difeso armati della forza della tradizione: una tradizione che risaliva ai lontani tempi in cui il diritto di partecipazione alla vita pubblica era connesso al dovere di impugnare le armi. […] Ben lontani quei tempi e ben diversi. Ora ogni guerra richiede la partecipazione di tutti, uomini e donne. Non si tratta soltanto di combattere – e del resto anche le donne hanno combattuto - ma di sopportare e resistere ad ogni genere di sofferenza e di privazione. […] Quindi, se pur ci teniamo a rispettare la vecchia tradizione, possiamo ben dire di avere conquistato il diritto di essere considerate cittadini, parte integrante dello Stato. Ma nel diritto ottenuto noi non vediamo solo il riconoscimento dovuto alle combattenti, alle partigiane, alle martiri, alle eroine; noi vediamo un riconoscimento, a cui teniamo assai di più: quello dell’opera insostituibile della donna nella famiglia e nello stato, del suo contributo di lavoro fecondo e indispensabile, della sua intima energia, fonte di speranza e di forza”. Non solo un riconoscimento alle deportate, fucilate e arrestate, alle oltre 40mila staffette e partigiane che combatterono per la Liberazione e si organizzarono nei Gruppi di Difesa della Donna, conquistandosi un ruolo da protagoniste nella Storia, bensì un diritto per tutte le donne alla partecipazione politica a partire dal quel contributo enorme e invisibile che le donne davano (e danno) alla società attraverso il lavoro di cura. Pochi mesi dopo le donne di Novara scrivono al giornale tornando proprio sull’importanza della politica
– e quindi della scelta dei candidati da votare - nel determinare aspetti concreti della vita di una donna. “La donna ha votato e voterà perché vuole un domani migliore, un domani in cui la maternità sia rispettata, in cui l’infanzia, la fanciullezza, la gioventù, la vecchiaia siano tutelate con eque previdenze, in cui l’intelligenza dei bambini dei lavoratori sia riconosciuta e le porte dell’Università siano aperte anche ad essi, in cui la lavoratrice sia considerata alla stessa stregua del lavoratore”. Nonostante i leader dei due maggiori partiti politici - il PCI e la DC - intuirono da subito la convenienza politica dell’estensione del voto alle donne, tale conquista non fu scontata. In un primo momento il diritto di voto nacque monco, poiché il decreto del 1945 non contemplava anche la possibilità che le donne venissero elette (elettorato attivo) ma solo che fossero elettrici (elettorato passivo). Tanti uomini politici di fatto erano contrari al suffragio universale e consideravano le potenziali elettrici ignoranti, inadeguate, non meritevoli di esercitare una piena cittadinanza. Ma ormai non si poteva tornare indietro. L’argine dei conservatorismi dovette cedere all’impeto vitale delle donne, che votarono per la prima volta alle elezioni amministrative nella primavera del 1946. “Le elezioni di domenica 10 marzo hanno dato ragione a noi e non ai pessimisti. Molte donne per la prima volta hanno assistito ad una riunione pubblica, ad un comizio, e hanno sentito parlare di schede, di urne e di candidati. La democrazia ha conquistato un grande e forte alleato: la donna” scrive Rita Montagnana su Noi Donne all’indomani di quel primo appuntamento elettorale. Il 2 giugno 1946, anche grazie al voto femminile, l’Italia deciderà per la Repubblica e ventuno donne, le cosiddette Madri Costituenti, entreranno nell’Assemblea che scriverà il testo della nostra splendida Carta costituzionale.◆
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I 70 ANNI CHE ABBIAMO ATTRAVERSATO di Nadia Angelucci
Leggi, discussioni, lotte e domande che ancora interrogano
Il 2 giugno 1946
i corpi delle donne irruppero sulla scena politica; invasero le strade, riempirono i seggi elettorali e impressero una marca indelebile sulla Costituzione della nascente Repubblica italiana. Quando le 21 costituenti donne entrarono nell’Assemblea si produsse una frattura così profonda con il passato da garantire l’impossibilità di tornare indietro. Tuttavia sarà ancora lotta durissima. Le 21 entrarono nella Commissione dei 75, incaricata di elaborare e proporre il progetto di Costituzione repubblicana ma, delle tre sottocommissioni in cui questa si divise, i partiti non proporranno alcuna donna nella seconda lasciandole fuori dalla discussione sull’ordinamento dello Stato. Le donne si cercarono e si allearono sui temi dell’emancipazione femminile; si dedicarono alle materie riguardanti la famiglia e il lavoro femminile trasferendo in Parlamento una divisione delle sfere di azione dei generi che ancora pesa sulla vita politica e parlamentare. L’apporto più significativo che ha prodotto per la Repubblica italiana la pattuglia delle prime 21 può essere ravvisato nella radicata consapevolezza che un avanzamento della società italiana, e la realizzazione di una democrazia compiuta, dovesse passare assolutamente attraverso un ampliamento dei diritti di cittadinanza alla popolazione femminile. Il loro lavoro fu caratterizzato da una difesa strenua del principio di parità tra i sessi e dalla tenacia perché tali principi fossero sempre garantiti e rispettati
nella Carta nascente. Il loro impegno sarà fondamentale per il futuro di tutte le donne italiane. Molto di ciò che le Costituenti avevano costruito nell’Assemblea però resterà ancora da realizzare. Se sul piano costituzionale si erano raggiunti dei risultati, mancava ancora l’adeguamento legislativo e, soprattutto, la valorizzazione e il riconoscimento completo delle forze femminili. Le realizzazioni legislative si compiranno nel decennio 1955-65 con l’apertura a tutte le carriere (usando anche ricorsi costituzionali), la parità salariale, la tutela della lavoratrice madre. Negli anni ‘70 esploderà il movimento femminista, una grande rivoluzione che impose nuovi modelli sessuali, culturali, sociali e politici vincolando tutti, uomini e donne, a ridefinire la propria identità e a proseguire le battaglie che trasformarono quei nuovi costumi in diritti per tutte e tutti: è il momento della legge sul divorzio, sulla depenalizzazione dell’aborto, sul nuovo diritto di famiglia. Il trentennio che abbiamo alle spalle, pur avendo mostrato uno sviluppo rapido della posizione femminile in ambito scolastico e lavorativo, un avanzamento sul tema della violenza sessuale con la legge del 1996 e con la normativa sullo stalking del 2009 (anche se la violenza sulle donne è forse in questo momento l’emergenza sociale più pressante), non ha presentato gli stessi risultati in ambito politico. La discussione, e le leggi sulle quote, non hanno risolto il problema della rappresentanza né quello della disaffezione delle donne alla partecipazione politica. La ‘questione morale’, la perdita di idealità nella lotta politica, lo scivolamento verso il personalismo esasperato hanno travolto anche le donne e quelle che si erano avvicinate al mondo della politica con entusiasmo e con la speranza di poter esprimere tutta la propria creatività, dentro questo meccanismo sono rimaste schiacciate. E adesso in molte sono deluse, oppresse tra il ‘familismo’ riemergente e le nuove forme di precarietà che le vedono tra i soggetti più deboli; amareggiate per una promessa che non si è mantenuta. Questa è la sfida che, a 70 anni dal quel primo voto, le donne italiane si ritrovano ad affrontare. Come ritrovare l’entusiasmo e la consapevolezza della necessità di impegno e di una responsabilità verso il paese, come trovare nuovi modelli e proposte convincenti?. ◆
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TESTIMONIANZE RICORDI RIFLESSIONI Un anniversario è occasione per le celebrazioni e stimolo per fare il punto a 70 anni dalla ‘nostra prima volta’. Abbiamo interpellato alcune donne chiedendo loro un’opinione sul senso del voto, oggi. Oltre a Lucia, ultranovantenne romagnola che ha frugato nella sua memoria, Kwanza, Simona Baldelli, Igiaba Scego, Marica Di Pierri ci affidano le loro considerazioni. Insieme contribuiscono a scattare un’istantanea da incorniciare e da guardare di tanto in tanto, come si fa con le foto di famiglia. Le giovani di seconda generazione sono ferite dalla negazione di un diritto su cui, invece, nutre dubbi chi può esercitarlo normalmente. Concordano nell’osservare la distanza tra la politica e il sentire comune. E che le donne nelle istituzioni non ‘fanno la differenza’.
UN DIRITTO-DOVERE DA NON SPRECARE
Kwanza 23 anni, è responsabile Organizzazione ‘Questa è Roma’. È nata in Germania da papà brasiliano e mamma bolognese.
“Settanta anni è un ottimo traguardo per i diritti alle donne, quello che però dovrebbe oggi far riflettere dopo così tanto tempo è che, superata la fase degli anni ‘70 - in cui le donne, italiane in particolare, sulla scia dei moti studenteschi ed operai, hanno ottenuto notevoli successi a livello legale per il raggiungimento di diritti che ci spetterebbero
per natura (vedi leggi aborto o divorzio) - dagli anni ‘80 in poi i cambiamenti sono stati scarsi, come se fossimo in un periodo di stallo. Ma c’è anche da far notare che, intanto, i politici e negli ambiti istituzionali, oltre che in televisione, la donna continua ad essere utilizzata e rappresentata come oggetto. E le donne che ci dovrebbero rappresentare in Parlamento e nelle Assemblee elettive sono spesso succubi. Rientrano perfettamente nel disegno di un sistema costruito da e per la supremazia maschile, in modo non più ostentato come nei secoli precedenti, ma più sottile e apparentemente impercettibile. Inoltre la donna per ‘competere’ con l’uomo e farsi riconoscere alla pari, si è ritrovata a cercare di assomigliargli sempre di più invece di lottare con le proprie armi valorizzando l’essere donna come arma vincente. Infine il valore simbolico del voto alle donne temo stia perdendo via via la sua importanza perché le giovanissime generazioni sono troppo disinteressate alla storia contemporanea. Non possiamo permetterlo. Non possiamo lasciare che questa conquista venga devalorizzata. Il diritto al voto è una questione che a noi di ‘Questa è Roma’ interessa da vicino. La Rete G2 nel 2005 ha intrapreso una battaglia precisa: concedere la cittadinanza (e quindi il diritto al voto) ai figli degli immigrati nati e/o cresciuti in Italia. Sembra incredibile che dopo più di dieci anni di battaglie, proposte di legge di iniziativa popolare, manifestazioni e campagne di ogni genere, oggi siamo ancora in attesa di una concessione, ma per meglio dire un riconoscimento legittimo agli italiani di fatto, cresciuti e pasciuti dal Bel Paese, che considerano casa propria. Sono fermamente convinta che le battaglie delle donne del ‘46 abbiamo molto in comune con quella che portiamo avanti noi nel 2016. Il diritto al voto oggi è sottovalutato, devalorizzato, sprecato, snobbato, semplicemente perché non si conosce o si è dimenticato il privilegio e il potere che ne deriva. Ritroviamo quel valore, costruiamo la società più adatta ai nostri bisogni, utilizzando tutti gli strumenti legittimi che ci sono concessi, a partire dal diritto-dovere del voto”. Silvia Vaccaro 4 segue a pagina 18
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DISEGNARE IL MONDO IN CUI VIVREMO
Simona Baldelli Scrittrice, autrice del libro “La vita a rovescio.
VOTA ANCHE PER ME, PERCHÉ IO NON LO POSSO FARE
Igiaba Scego Scrittrice italiana di origine somala.
“Mi pare che Turati dicesse di essere contrario al voto alle donne, anche in contrapposizione a certe aperture del suo partito, perché prima o poi avrebbero finito per votare il padrone. E credo che già all’epoca abbia sollevato una questione di non poco conto. C’è, infatti, una tendenza che non viene curata, che non viene corretta, e che riguarda l’educazione delle bambine e quindi delle donne, che ci spinge ad essere sempre compiacenti, accondiscendenti, e finisce per rendere drammaticamente vera questa affermazione. È forse questa una delle cause per cui le istanze femminili, non solo da quando le donne hanno diritto al voto ad oggi, ma anche da prima, sono disattese. Per questo credo che ci sarebbe bisogno di una profonda rilettura politica a partire dalle scuole, dalla moda, dai costumi, dai libri di testo sui quali ci formiamo. Penso che ci sia ancora una maniera di raccontare la vita quotidiana che è molto lontana dalla realtà e da quello che la realtà potrebbe essere. È anche vero che c’è grande difficoltà di rappresentanza: quando arriviamo al voto, noi donne in particolare, ci chiediamo a chi dare questo voto, ci chiediamo chi sarà in grado di farsi carico delle nostre domande e di prendersi cura dei nostri problemi. Perché non vedo una grande differenza di sensibilità di percezione della politica. Non vedo la differenza di genere. Ci sono esigenze e bisogni che da troppo tempo chiediamo che vengano soddisfatti. A volte sento quasi di dover andare su barricate femministe non essendoci andata da ragazzina. Per questo credo che sia necessario tornare alle origini di questo percorso, tornare alle esigenze, alle istanze che ci hanno spinte a chiedere il voto perché decidere per chi si vota non significa solo dare un volto ad il mondo in cui viviamo ma anche disegnare il mondo in cui vivremo. Significa decidere se avremo accesso all’educazione, alla sanità, alla democrazia partecipata. Non sono convinta che le donne ragionino in questi termini e mi sembra che abbiamo perso la forza di pretendere delle cose che siano legittimamente ed eticamente giuste, come fu per il voto”. Nadia Angelucci
“Poter votare è una grande fortuna, speriamo di poterlo fare sempre. La democrazia, certamente, non è perfetta, dobbiamo lavorarci su, ma perderla sarebbe peggio. Per questo bisogna tenersela stretta, fare in modo che funzioni e farlo presto. Quando ero piccola ho visto la dittatura di Siad Barre. La Somalia ha votato due volte, poi c’è stata la guerra. Ora la gente non vede l’ora di andare a votare. È un diritto non scontato, che si può anche perdere, ha un valore serio: possiamo fare delle scelte, anche se non ci piace un partito. Il voto è una cartina di tornasole e spero che la gente riconosca il merito di chi ha combattuto e di chi combatte ancora oggi per poter votare. Vedo gente non votare qui, in Italia; vedo figli di migranti che non hanno mai votato; fra loro c’è chi sogna di fare politica, chi sarebbe perfetto per la politica, ma ne è escluso. Il voto è molto importante, non devi andare dall’altra parte del mondo per capirlo: io ci penso ogni volta che qualcuno mi dice “vota anche per me, io non lo posso fare. C’è un grande scollamento fra la popolazione, fra chi siamo tutti noi, e le persone che ci rappresentano. Anche i discorsi sulle rappresentanze per età, sesso, seconde generazioni di migranti, spesso sono solo spot, quasi come se i giovani, le donne o i migranti fossero ospiti sgraditi; essi ci sono, ma non c’è una legge di cittadinanza. Nei partiti c’è una sottovalutazione dell’Italia multiculturale, che non è rappresentata mai, nemmeno nei movimenti. Eppure, a guardar bene la storia, l’Italia è da sempre multiculturale, e ancora parliamo di consulte, anziché aprire all’organizzazione politica. La stessa cosa capita per le donne. Molte sono riuscite a fare delle battaglie, ma il problema non è solo esserci, ma stare bene. Mi ha preoccupato sentire tutti quegli insulti e commenti sessisti rivolti alla Presidente della Camera Laura Boldrini. Serve un percorso a tutto campo, nei media, nelle scuole, nella cultura. Vedo un paese bloccato, dove una persona della cosiddetta seconda generazione non può fare nemmeno l’autista del bus. Londra ha il suo primo sindaco musulmano, Sadiq Khan; qui tutti si scandalizzano, ma lì l’hanno votato perché è bravo. A me ha colpito di più che sia figlio di operai: è un traguardo per una società classista come quella inglese”. Elena Ribet
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SCELTA, PARTECIPAZIONE E CONTROLLO SOCIALE
Marica Di Pierri Attivista per la giustizia ambientale e sociale.
“La democrazia rappresentativa sta attraversando una crisi profondissima. Fondata sull’idea che la sovranità popolare si sostanzi nella scelta dei propri rappresentanti istituzionali, essa ha visto nei decenni slabbrarsi sempre più la cinghia di trasmissione tra società e istituzioni, tra popolazioni e élite dirigenti. Nell’assetto attuale, che non prevede più neppure il voto di preferenza, votare equivale a firmare una delega in bianco a chi vincerà, decisamente eccessiva in assenza di strumenti correttivi (quali istituti di partecipazione e controllo sociale). Di certo i padri costituenti non immaginavano il degrado cui sarebbe giunto il nostro sistema politico, e non hanno di conseguenza disposto di controbilanciare i poteri dello stato con strumenti che permettessero ai cittadini di intervenire non solo ad abrogare norme infauste, ma anche, ad esempio, a dare indicazioni e a fare proposte. La necessità di un dibattito su questo tema è sentita da molti, ma trova la sua perfetta antitesi nel progetto di riforma costituzionale su cui (contro cui) saremo chiamati a votare ad ottobre. In Italia il voto universale maschile fu introdotto nel 1912. Prima di allora votavano solo le classi agiate. Per attendere l’estensione del voto alle donne si dovette aspettare fino al
1946. Il suffragio universale ha allargato la base della democrazia rappresentativa e eliminato discriminazioni intollerabili. Pur consci dei limiti strutturali del modello di governo esistente, scegliere di abdicare al diritto al voto non ha in alcun modo effetti benefici per la tenuta democratica. Anzi. Il voto resta non solo un dovere ma anche e soprattutto un sacrosanto diritto, non negoziabile in alcun caso. Questo non esclude la necessità di spingere affinché alla scelta di chi ci rappresenta si associ una profusa attività di impulso e di controllo nell’agire pubblico da parte dei cittadini”. Elena Ribet
ERAVAMO TANTE DONNE IN FILA
Lucia Matteucci Ha 95 anni, è una delle donne più anziane di Granarolo Faentino.
“Non sapevo che il 2016 è il settantesimo anniversario del voto alle donne e dovuto pescare nella memoria. Pian piano mi sono tornati alcuni ricordi. La cosa che più mi è rimasta impressa è che si votava al primo piano di quella che era allora la casa comunale. C’erano tre rampe di scale e tante donne, ma tante, tutte in fila sugli scalini per salire e tante che aspettavano. Stavamo dalla parte del corrimano per consentire alle altre di scendere. Ricordo bene questa animazione. Votavano anche gli uomini, ma quando andai eravamo tutte donne. Che poi eravamo ragazze. Se qualcuno mi aveva convinto ad andare al voto? Io mi convinsi da sola, anche se, adesso che ci penso, mio padre era di tendenza socialista, ed anch’io, dentro di me, stavo da quella parte. Però va detto che il voto fu preceduto da una grande propaganda dei partiti che, come adesso, litigavano tra loro. Ma più che altro mi è rimasta impressa quella fila indiana sulle scale”. Rossella Ciani
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SENZA COMUNITà NON C’È DEMOCRAZIA di Tiziana Bartolini
Il diritto al voto presume consapevolezza e capacità di scelta in base agli interessi comuni e non personali. Intervista alla filosofa Nicla Vassallo
Stiamo vivendo una profonda crisi della democrazia rappresentativa. Cosa ha determinato questa situazione? Da filosofe e filosofi abbiamo riconosciuto che vige un sistema non in grado di garantire a cittadini e cittadine gli strumenti, cognitivi e conoscitivi, per votare con ragionevolezza. La nostra non solo non è più una democrazia rappresentativa, rispetto a quanto vorremmo, ma forse non rappresenta neanche una qualche democrazia. Direi ormai che egoismo e individualismo dominano in molti e molte: ne segue, quando ci si reca alle urne, che ci si esprima, non pensando al bene comune o alla democrazia, bensì agli interessi prettamente personali e privati.
Avendo smarrito il senso della comunità, le persone pensano di bastare a se stesse. Da ciò deriva che la crisi non è riconducibile ad un certo sistema elettorale o ai (tanti) casi di corruzione della politica. È più un problema di fondo, che precede le forme organizzative della rappresentanza o della giustizia… Sì, concordo. E dal punto di vista strettamente filosofico, parecchi intellettuali di area anglosassone sono della medesima opinione: chi va a votare lo fa privo di una corretta coscienza delle esigenze di una società democratica, delle esigenza della cittadinanza, del punto in cui ci troviamo e di quello che si intenderebbe raggiungere.
C’è quindi il tema della partecipazione, parola abusata ma di cui abbiamo smarrito il senso autentico…. in fondo il voto è solo una delle tante modalità di partecipazione…
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ilosofa eclettica dai multiformi interessi e dalla imponente produzione scientifica, Nicla Vassallo è una intellettuale che non corre il rischio della banalità. L’abbiamo interpellata per raccogliere alcune considerazione in occasione dei 70 anni del voto alle donne. Ci porge un punto di vista assai (e saggiamente) poco celebrativo.
Pensiamo al referendum sulla fecondazione assistita… non ha raggiunto il quorum perché molte persone e molte coppie non hanno tenuto presenti, in quel momento, le necessità di altri. Mi sembra immorale che ciascuno consideri solo se stesso o se stessa; mentre un sistema democratico dovrebbe poggiare sull’idea di comunità. E quindi non abbiamo alcuna scusa di lamentarci, se la politica non dà le risposte che attendiamo o quelle che occorrono. Mi chiedo in quale democrazia e in quale società viviamo, nel momento in cui non ci si indigna di ignoranze, egoismi e individualismi.
Le donne possono avere un ruolo in questa crisi, possono contribuire a recuperare questo deficit di democrazia? Si pensi alla rivoluzione francese. Inizialmente, il ruolo delle donne pareva potesse fiorire, con i Cahiers de Doléances
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des femmes in cui venivano ben espressi i diritti delle donne. Diritti rivendicati anche da Olympe de Gouges nel suo romanzo Le prince philosophe. Eppure questa richiesta di diritti è cessata quando Olympe inizia a criticare il buon Robespierre. Destino segnato: ghigliottinata! Ci sono donne (si pensi alle suffragette) che hanno lottano, ottenendo riforme in parecchi paesi del mondo. D’altra parte, ci sono donne che non hanno mai recepito alcuna esigenza di democrazia, o assunto una qualche opinione sull’attuale crisi politica, poiché preferiscono una vita puntellata di appuntamenti estetici (unghie, capelli, cerette ecc.). Dunque, vi sono donne pensanti e donne non pensanti, donne consapevoli e donne non consapevoli, per cui un qualche loro ruolo può risultare addirittura deleterio al fine del recupero del deficit. Ma sappiamo che nel mondo ci sono donne che a questo recupero hanno donato molto. Da noi, invece, nonostante le apparenze, rimangono gli uomini a dominare la scena pubblica, anche se talvolta mostrano in televisione alcune loro ‘belle rappresentanti’: la realtà è che molte donne non sono indipendenti e lo attestano proprio quando sono interpellate sul loro agire in ambito democratico.
Vede strade da percorrere per ritrovare il senso di comunità e riprendere il bandolo di una matassa che appare parecchio intricata? Va detto, a proposito del suffragio universale, che le donne sono state giudicate incapaci di votare per un presunto deficit razionale o di conoscenza politica, mentre è stato concesso a tutti gli uomini, indipendentemente dalle loro capacità cognitive o dalla loro preparazione. Oggi come oggi? Spiace dirlo, ma si stanno elaborando teorie contrarie al voto a tutti, perché non tutti hanno la cognizione dell’importanza del voto quale espressione di idee per il bene comune. La mia speranza è che questa ignoranza cessi, tramite un’adeguata istruzione, permettendo che si instauri una vera e propria democrazia per cui i cittadini e le cittadine giungeranno a non credere più ai troppi clown di cui siamo circondati.
La sua è un’analisi impietosa non priva di elementi forti. Tra chi il voto lo vende e chi lo svende, quasi quasi è meglio chi non va a votare... È un’ipotesi, certo. Rispetto al qualunquismo, che detesto, il non voto come ribellione ha più senso.
La ricorrenza dei 70 anni del voto alle donne stimola molte celebrazioni e riflessioni. Dal suo punto di vista che tipo di sollecitazione può venire, appunto, dalle donne? La cosa opportuna, oggi, sarebbe che le donne, quelle pen-
santi, prendessero coscienza della loro capacità di modificare sia il voto, sia la democrazia senza impiegare mezzi ‘femminili’, intesi nel senso della seduzione o della dipendenza sessuale e culturale dagli uomini. Penso, ad esempio, alle statistiche che hanno mostrato come le donne siano state le maggiori elettrici di Berlusconi. Ma non intendo accusare gli uomini e dunque conto davvero in donne più consapevoli. Occorre guardare in faccia la realtà con i nostri occhi e le nostre menti, senza subire strane influenze, e considerare che, quando andiamo a votare, lo dobbiamo fare per una comunità, non per le nostre unghie o i nostri capelli. Dobbiamo andare a votare anche per i diritti civili e umani, inclusi quelli omosessuali, che le donne, purtroppo, non stanno prendendo più in grande considerazione.
La filosofia e il rigore Nicla Vassallo
www.niclavassallo.net unige-it.academia.edu/NiclaVassallo Specializzatasi al King’s College London, è attualmente professore ordinario di Filosofia teoretica presso l’Università di Genova. Il suo pensiero e le sue ricerche scientifiche hanno innovato e rinnovato settori dell’epistemologia, della filosofia della conoscenza, della metafisica, dei gender studies. È autrice, coautrice e curatrice di ben oltre centocinquanta pubblicazioni in italiano e in inglese e pubblica nelle maggiori riviste e quotidiani nazionali. Tra i volumi più recenti: Filosofia delle donne (Laterza 2007), Teoria della conoscenza (Laterza 2008), Knowledge, Language, and Interpretation (Ontos Verlag 2008), Donna m’apparve (Codice Edizioni 2009), Piccolo trattato di epistemologia (Codice Edizioni 2010), Terza cultura (il Saggiatore 2011), Per sentito dire (Feltrinelli 2011), Conversazioni (Mimesis 2012), Reason and Rationality (OntosVerlag 2012), Frege on Thinking and Its Epistemic Significance (Lexington– Rowman&Littlefield 2014), Il matrimonio omosessuale è contro natura: Falso! (Laterza 2015), Breve viaggio tra scienza e tecnologia con etica e donne (Orthotes 2015), Meta-Philosophical Reflection on Feminist Philosophies of Science (Springer, New York 2016). Attualmente sta lavorando su differenti aspetti dei rapporti affettivi e amorosi, in relazione alle istituzioni, specie eteronormative, oltreché sul problema dell’ignoranza conoscitiva e i modi per porvi rimedio. Ha vinto il premio di filosofia “Viaggio a Siracusa” nel 2011.
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La lunga maratona per la parità di Giovanna Badalassi
Un bilancio sui traguardi raggiunti e sul cammino da fare. Che chiede ancora grande impegno e convinzione
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ettanta anni fa milioni di italiane votarono emozionate per la prima volta. Da allora molto è cambiato sul ruolo delle donne nella nostra società e sulla loro presenza nelle posizioni di potere. Ma non abbastanza. È importante che le donne siano consapevoli di quanto raggiungere la parità dipenda da loro stesse. Nessuno ci regalerà l’uguaglianza, ma dovremo continuare a conquistarsela giorno per giorno. Una stima del World Economic Forum ha valutato che, andando di questo passo, in Italia si raggiungerà la parità tra ben 118 anni. Un dato che certamente fa venire i brividi e che ben riassume la complessità dalla condizione femminile nel nostro paese. Per quanto sia opinione comune e condivisa che la parità di genere in Italia sia ancora più lontana da raggiungere rispetto ad altri paesi occidentali ed europei, è innegabile comunque che in questi 70 anni il ruolo delle italiane nella società sia comunque cresciuto, a cominciare dalla partecipazione politica: dalle 21 donne elette nell’Assemblea Costituente nel 1946 siamo arrivate a 284 parlamentari nelle ultime elezioni politiche del 2013. Ben più significativo, forse, è il dato delle donne presenti nelle amministrazioni comunali in qualità di consigliere, sindache o assessore. Qui si misura infatti il peso effettivo delle donne nella classe politica italiana, più ancora che nel dato parlamentare che rappresenta il punto più alto ma anche più elitario di una carriera da amministratrice. Ebbene, gli archivi delle elezioni locali ci restituiscono per i Comuni una presenza di donne che è salita da 8.556 amministratrici nel 1985 a 33.870 nel 2014. Una crescita quadruplicata, anche se insufficiente, essendo rimaste ancora il 26 per cento del totale. Un altro dato interessante su cui riflettere ancora è che
la classe politica femminile che abbiamo ora è il risultato ultimo di un cambiamento sociale che ha visto le donne affermarsi sempre di più nella vita pubblica, dove per vita pubblica intendiamo la vita che si svolge al di fuori delle mura domestiche, che riguardi lo studio, il lavoro o la partecipazione sociale. Negli ultimi anni infatti si è registrata in Italia una crescita progressiva di presenza delle donne nella società: è aumentato in modo considerevole il numero di donne che studiano, sia tra le diplomate che tra le laureate. Se nel 1995 il tasso di partecipazione delle donne nell’istruzione secondaria superiore era il 79,7 per cento, nel 2011 si è arrivati al 94,5. Dato ben più vistoso quello delle laureate: nella fascia di età 30-34 anni il tasso di istruzione terziaria delle donne era del 18,4 per cento nel 1995 ed è arrivato al 29,1 per cento nel 2014. Un progresso, seppur ancora insoddisfacente e nonostante la crisi, si è visto anche nell’occupazione femminile: la percentuale di occupazione femminile è passata dal 37,5 del 1995 al 47,2
STRATEGIE
PRIVATE del 2015. Certo, pur sempre lontanissimo dalla media europea e dall’obiettivo di Lisbona del 60 per cento. Non si può comunque non notare come la presenza delle donne nelle cariche politiche sia intrinsecamente legata ad una più generale crescita del ruolo femminile nella nostra società, e ad un aumento considerevole delle capacità femminili in termini di istruzione, lavoro e interesse per la “cosa” pubblica. Con il passare delle generazioni, infatti, stanno anche aumentando le donne che si interessano di politica: tra il 2006 e il 2015 la percentuale di donne che si informa di politica qualche volta alla settimana è passata dal 18,8 al 22,8. Questi dati ci indicano un aspetto che non va sottovalutato: la crescita della presenza femminile nella società e nella politica dipende soprattutto dalla voglia, dalla preparazione e dall’interesse stesso delle donne. Molto spesso, infatti, le battaglie politiche e sociali per la parità e l’uguaglianza tra donne e uomini si concentrano sugli ostacoli e sulle discriminazioni esogene che impediscono alle donne di raggiungere la parità. È innegabile che tali impedimenti esistano e soprattutto resistano, ma è altrettanto chiaro che oggi le donne hanno delle possibilità impensabili per quelle che 70 anni fa votarono emozionate per la prima volta. La parità, insomma, non la regala nessuno, ma può essere solo il frutto di un impegno quotidiano, prima di tutto da parte delle donne stesse, per migliorarsi, crescere, diventare sempre più forti, continuare a studiare non solo le materie “tradizionali” ma anche temi relativi ad esempio alla leadership, l’assertività, la gestione delle persone. Si tratta di crescere anche sotto quell’aspetto comportamentale che agli uomini viene insegnato sin dalla più tenera età ma che le donne devono imparare da grandi, e che rimane indispensabile sviluppare per accrescere il ruolo sociale e politico. La strada per la parità, lo sappiamo tutte, è ancora lunga, ma la consapevolezza del percorso che è stato fatto ad oggi rappresenta un segnale di incoraggiamento e deve spingere a continuare a impegnarci, nella consapevolezza che raggiungere la parità dipende molto anche da come noi stesse sapremo lottare ogni giorno per conquistarla. ❂
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di Cristina Melchiorri
INFORMATICA, PRECARIA, SOLA Sono Francesca, mi sono laureata in economia e sistemi complessi con il massimo dei voti. Da qualche anno faccio la freelance da casa, cercando e trovando lavoro sul web. Faccio siti, gestisco progetti di marketing digitale per aziende clienti, che spesso devo prendere a prezzi stracciati. Non parliamo poi di valore del lavoro. Se ti chiede un sito web il negozio sotto casa devo stare 10 - 12 ore al computer. Più che una professionista mi sento un’operaia. Mi pesa essere precaria e sola. E non vedo una diversa prospettiva per il mio futuro. Francesca Accorsi (Castelfranco Emilia, Modena) Cara Francesca, come te sono oltre 500mila i giovani lavoratori digitali in Italia, 85% uomini, 1 su 3 con la laurea. Non esiste una normativa a vostra tutela, o un tariffario o regole professionali di ingaggio, che non siano prendere lavori al massimo ribasso. Faticate a dare valore a ciò che fate. C’è una concorrenza spietata, internazionale. Il confine è il web, che viene sempre considerato, per definizione, gratuito. Lavoro senza orario. Tutto il giorno, tutti i giorni. Una sorta di “carpenteria digitale”. Un impiego routinario e discontinuo che non fa crescere. Hai provato a cercare un posto di lavoro in un’azienda o in una web agency? Manda il tuo curriculum vitae, enfatizzando la tua capacità di lavorare in team. Questo cercano le aziende, chi sa rapportarsi con gli altri, colleghi o clienti che siano.. Questa rivoluzione digitale che permea la nostra società impatta sul mercato del lavoro di oggi e di domani, ancora senza regole specifiche per voi. Ma incide pesantemente anche sui comportamenti delle persone. Lavorare soli, più che autonomia rischia di produrre isolamento. È un tipo di solitudine che, anche quando si è con gli altri, fa dell’essere sempre connessi uno stato psicologico permanente. Direi di dipendenza. Il cellulare è sempre acceso. Sempre in mano, sulla tavola quando si mangia, la prima cosa che guardi al mattino, l’ultima prima di dormire. Prima delle persone in carne ed ossa che ti stanno accanto ci sono gli amici virtuali o quelli via social. La perfezione della relazione digitale, nel lavoro come nella vita, dovrebbe lasciare il posto d’onore all’imperfezione dei rapporti fra le persone.
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DALLA TRADIZIONE AL FUTURO di Tiziana Bartolini
Un progetto che viene da lontano e si proietta in avanti. A raccontarlo è Maria Matilde Iungano, presidente di Donne in Campo della Basilicata
“A
rrivo alla guida dell’azienda di famiglia dopo mio padre e mio nonno. L’orgoglio di essere, con me, alla terza generazione è tanto, ma ho dovuto lottare non poco per farmi accettare e per affermare una nuova impostazione e la mia gestione femminile”. A Maria Matilde Iungano (43 anni), presidente di Donne in Campo Basilicata, non manca la determinazione. Idee chiare e sguardo lungo sullo sviluppo che immagina per il futuro della sua impresa agricola, situata in zona collinare a Forenza (835 slm) in provincia di Potenza. “La destinazione dei 300 ettari era sempre stata a produzioni intensive di cereali, grano (che era venduto alla Barilla), uliveti e vigneti. Nella mia gestione li ho un po’ ridotti e ho diversificato le produzioni. Ho avviato la produzione di frutti antichi facendo innesti su alberi selvatici e sto lavorando al recupero delle piane autoctone e dei frutti dimenticati, prevalentemente mele. Il progetto è ancora in
fase sperimentale e copriamo solo il mercato locale con mele annurche, mele ghiaccio e le mele olio, specie che non si trovano più da nessuna parte. Poi sto recuperando e producendo grani antichi”. Un raffinato e impegnativo percorso di sperimentazione che Matilde ha intrapreso per sviluppare della sua impresa puntando alla valorizzazione del legame tra i prodotti, il territorio, le tradizioni e l’ambiente. “Il mio obiettivo è affiancare alla produzione anche la trasformazione di una parte dei miei prodotti”. Idee chiare e sguardo lungo, appunto, che declina con la creazione di una filiera territoriale e di qualità. Ma c’è dell’altro ad alimentare questa visione armonica della terra, dei suoi prodotti e della loro fruizione. “Da venti anni faccio ricerca sulle ricette antiche e sui piatti tipici lucani. Non mi definisco una chef, ho solo unito la mia passione per la cucina con la curiosità e l’amore per la mia regione”. La consapevolezza di essere diventata un’esperta della cucina rurale ha permesso a Matilde Iungano di declinare le sue competenze in chiave innovativa sempre nel rispetto delle tradizioni e del legame identitario con le peculiarità del territorio. Questo intreccio è alla base dell’Agricatering, progetto avviato in Basilicata e in Toscana, che propone pranzi e rinfreschi preparati esclusivamente con prodotti locali quindi a filiera corta. “I miei buffet offrono menu tipicamente regionali realizzati esclusivamente con i prodotti delle nostre aziende. Con Donne in Campo abbiamo fatto un bel lavoro di recupero e il progetto Spesa in Campagna è indispensabile anche per coinvolgere i piccoli produttori, che sono fornitori ideali per l’Agricatering. Con altre imprenditrici agricole della regione abbiamo creato una rete con una specie di carta d’identità, non ci sono menu griffati ma garantiamo che
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RICETTE
Tratte da: http://www.viaherculia.it/vh/page/1458/1/2013/ Le_ricette_della_Via_Herculia
LAGANE E CECI (4 persone). Ceci g 250, Lagane g 300, Guanciale g 50, Olio extravergine di oliva Dop Vulture ml 100, Aglio spicchi n. 2, Prezzemolo tritato q.b, Sale q.b, Pepe macinato fresco q.b.
tutto è autentico”. La qualità è il sigillo che fa la differenza e i consumatori, aggiunge, se ne accorgono. Affermazioni categoriche, quelle di Iungano, di cui si fa garante - come si dice in politica - mettendoci la faccia. Cosa che avviene puntualmente apparendo in tv, con una rubrica sulle ricette antiche che tiene da tre anni al Tg3 regionale. Anche qui c’è un’idea complessiva a muovere l’insieme. Una visione di sistema cui il ‘ciclone’ Matilde sta lavorando in collaborazione con Alsia (Agenzia lucana di sviluppo e di innovazione in agricoltura). “C’è un progetto per riportare le pietanze più particolari negli agriturismi ed è in pubblicazione una raccolta di ricette con gli antichi ingredienti, rivisitando il tutto per renderlo gradevole al nostro palato anche grazie agli studi del Cnr”. Un perno importante del progetto di rivalutazione storica e gastronomica è l’antica Via Herculia (www.viaherculia.it) cui si aggiungerà un percorso tra i vecchi mulini. “Con la rete e con l’organizzazione della distribuzione cerchiamo di superare i problemi dovuti alle distanze e alla natura del nostro territorio. Stiamo attrezzandoci in vista del flusso previsto nel 2019, quando Matera sarà la Capitale europea della cultura (www.matera-basilicata2019.it). È un’occasione che non vogliamo perdere e già vediamo un incremento delle visite con le navi da crociera che attraccano a Bari e i turisti che arrivano in pullman a Matera. Qui devono trovare i nostri prodotti in luoghi destinati alle degustazioni e proposte di menù studiati per loro, che parlino della nostra regione e della nostra cultura. Entro l’anno contiamo di essere pronti!”. Non c’è dubbio: Matilde ce la farà. E con lei ce la faranno la Basilicata e tutte le Donne in Campo! ❂
Cuocere i ceci e tenere da parte l’acqua di cottura. Mettere in un tegame la metà dell’olio, l’aglio schiacciato e il guanciale a dadini e soffriggere. Quando l’aglio inizia a dorarsi aggiungere il prezzemolo e i ceci e lasciare insaporire. Sbollentare le lagane nell’acqua di cottura dei ceci allungata con altra acqua, aggiungendo un filo d’olio. A metà cottura scolarle e unirle al sugo di ceci. Regolare di sale e terminare la cottura, condire con il rimanente olio e spolverare con una grattugiata di pepe. Abbinamento consigliato: IGT Basilicata Bianco a base di Malvasia bianca o Fiano.
GELATINA DI GALLO O DI AGNELLONE Carne di gallo o di agnellone kg 5, Acqua litri 5, Aceto litri 1, Igt Basilicata bianco secco litri 1, Aglio spicchi n. 5, Alloro foglie n. 4, Peperoncini n. 2 Lessare la carne per alcune ore in acqua salata con foglie di alloro. Successivamente separarla dal brodo, disossarla e tagliarla a tocchi medi. Aggiungere al brodo aceto e vino bianco in parti uguali, bollire ancora per mezz’ora con la carne e quindi aggiungere le spezie:peperoncino, aglio e alcune foglie di alloro. Versare il contenuto nelle ciotole e lasciarle riposare in un ambiente fresco per una notte. La gelatina ottenuta si consuma fredda e puòessere conservata in un luogo fresco. Abbinamento consigliato: Terre dell’Alta Val d’Agri Riserva Doc.
TORTA DI VINO COTTO (4 persone). Vino cotto ml 200, Latte ml 200, Zucchero q.b, Mandorle tostate e tritate g 75, Cacao amaro g 40, Olio extravergine di oliva DOP Vulture ml 100, Lievito bustine n. 1, Ammoniaca bustine n. ½, Farina 00 q.b. Versare in una ciotola lo zucchero, il cacao, le mandorle tostate e tritate, la bustina di lievito e la bustina di ammoniaca. Aggiungere il vino cotto*, il latte e l’olio, mescolare e versare la farina quanto basta a ottenere un impasto di consistenza morbida. Porre il tutto in un tegame imburrato ed infornare a 170 °C per 35 minuti. Abbinamento consigliato: Vino Passito dolce a base di uve rosse di Aglianico o Primitivo.
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DA MIGRANTI A RICHIEDENTI ASILO DONNE UCRAINE IN ITALIA
SVOLGONO PREVALENTEMENTE LAVORI DOMESTICI O DI CURA E INSIEME A RUMENE, ALBANESI, MOLDAVE SONO LA POPOLAZIONE PIÙ NUMEROSA DELLE DONNE STRANIERE CHE VIVONO IN ITALIA. LA GUERRA DEL DONBASS HA ACCELERATO I FLUSSI MIGRATORI E AUMENTANO LE DOMANDE DI PROTEZIONE INTERNAZIONALE di Cristina Carpinelli
I
n Italia, gli ucraini costituiscono già da tempo una cospicua comunità. Sulla base dei dati Istat, al 31 dicembre 2014 gli ucraini presenti sul territorio italiano per motivi di lavoro, di studio o personali, erano 226.060, di cui 178.667 donne (21% uomini; 79% donne). Dopo i rumeni e gli albanesi, gli ucraini sono il gruppo più numeroso proveniente dall’Europa Centro Orientale presente in Italia, distribuito in quasi tutte le regioni del paese ma concentrato soprattutto nelle città di Roma, Napoli e Milano. I flussi migratori che si erano avviati con la dissoluzione dell’Urss e la caduta dei regimi nell’Europa Centro Orientale avevano interessato in modo consistente i paesi dell’Europa meridionale. Negli anni Novanta, i meccanismi impietosi delle economie in transizione dei paesi dell’ex blocco comunista
avevano generato forme estreme e stagnanti di povertà tali da innescare processi di femminilizzazione della povertà che si erano riflessi sulle scelte migratorie. Proprio in quel decennio si
assiste a una migrazione di massa degli ucraini verso l’Europa del Sud, e dunque anche verso l’Italia, di cui la componente maggioritaria era rappresentata da donne (spesso madri breadwinners), che migravano da sole, lasciando a casa (a Kiev, Leopoli, Chernivtsi o Odessa) la propria famiglia. L’immigrazione ucraina in Italia è un fenomeno prevalentemente femminile, circostanza che non ha avuto precedenti nella storia migratoria dell’Ucraina. Oggi le ucraine, insieme con altre donne provenienti dai paesi dell’Europa Centro Orientale (rumene, albanesi, moldave), rappresentano la popolazione più numerosa delle straniere che vivono in Italia (dati Istat 2015). Le immigrate ucraine svolgono prevalentemente lavori domestici o di cura, alloggiando presso le famiglie che le assumono, dove tempi di lavoro e di riposo frequentemente si sovrappongono. Questa condizione limita fortemente gli spazi d’autonomia, caratterizzando la loro vita in modo precario e provvisorio. Questo spiega l’intensità dei rapporti che le ucraine intrattengono con la società d’origine e, ovviamente, con la propria famiglia, che si mantiene in gran parte grazie alle rimesse che queste immigrate inviano a casa. Il flusso migratorio delle ucraine in Italia si è sempre caratterizzato per la sua permanenza temporanea, imperniata sulla volontà di guadagnare per la propria famiglia. Queste donne hanno, infatti, progettato di rientrare al loro paese d’origine dopo un periodo di lavoro (anche lungo) all’estero. Ecco perché vengono in Italia da sole. Emigrano soprattutto per i figli, reputando il trasferimento per lavoro uno dei pochi modi, se non l’unico, di prendersi immediatamente cura di loro, provvedendo ai loro bisogni primari e al loro benessere.
Tuttavia, il fenomeno migratorio ucraino sta assumendo caratteri nuovi. Da aprile 2014, con lo scoppio della guerra dell’Ucraina orientale, o guerra del Donbass, si è registrato un esodo sensibile (soprattutto fra luglio 2014 e agosto 2015) della popolazione ucraina innanzitutto verso la Russia e la Bielorussia, ma anche verso alcuni paesi dell’Unione europea: Polonia, Romania, Slovacchia, Ungheria, Germania e Italia. Il conflitto nell’Ucraina orientale sta avendo un impatto sui progetti migratori di coloro che sono direttamente o indirettamente coinvolti. La guerra civile, tuttora in corso, ha accelerato e innescato altri flussi migratori provenienti da quella parte di Europa. Contemporaneamente, si sta assistendo all’aumento progressivo di domande di protezione internazionale da parte di persone di nazionalità ucraina. I dati 2015 forniti dalla piattaforma di “Open Migration” mostrano che i richiedenti asilo ucraini ammontano complessivamente a livello europeo a 19.805 persone e l’Italia è il secondo paese Ue dopo la Germania per numero di richiedenti asilo (4.455 vs 4.655; Graf.1).Ma ancor più significativo, per quanto riguarda il nostro paese, è il dato relativo alle donne: le ucraine sono il secondo gruppo di richiedenti asilo dopo le nigeriane (2.325 vs 3.915). I dati Eurostat dal dicembre 2014 al novembre 2015 indicano che le donne che hanno formalmente richiesto protezione in Unione europea sono state 339.955, di cui 9.435 in Italia - quasi pari al 3%. Il numero più alto delle donne che chiedono asilo politico nel nostro paese è, appunto, rappresentato dalle nigeriane
con 3.915 presenze, corrispondente al 21,9% dei migranti richiedenti asilo provenienti dal paese africano. Al secondo posto si collocano, invece, le ucraine che con 2.325 presenze rappresentano la metà (49,7%) dei richiedenti asilo provenienti dall’Ucraina (Graf.2). Seguono le siriane che con 180 presenze costituiscono il 37,5% dei richiedenti asilo provenienti dalla Siria (Damasco e Aleppo). Tra gli altri gruppi nazionali che hanno chiesto protezione, la distanza tra uomini e donne è abissale: mediamente oltre il 98% delle presenze è costituto da migranti uomini (Graf.2). Sono in crescita forte i “migranti forzati” (uomini, donne e bambini costretti a fuggire dalle loro case a causa di guerre e conflitti, torture e persecuzioni) provenienti non solo dall’Africa subsahariana, dai Paesi asiatici o dal Medio Oriente, ma anche dall’Europa Orientale con in testa l’Ucraina che ha fatto registrare per la prima volta (fenomeno in precedenza non rilevato) richieste d’asilo in seguito alle forti tensioni del governo ucraino con i filorussi nell’est del paese. Ma perché gli ucraini, tra i vari paesi di destinazione, scelgono l’Italia? Certamente l’esistenza di una rete sedimentata di contatti e relazioni personali favorisce questa scelta: dall’inizio della crisi in Ucraina è cresciuta l’importanza di una correlazione fra presenza di connazionali e arrivo di richiedenti asilo nei paesi Ue. Com’è stato sottolineato è presente da tempo in Italia una comunità ucraina decisamente femminilizzata dedita al lavoro domestico e di cura. Avere delle amiche o parenti, a cui chiedere ospitalità e aiuto, è una forte opportunità per chi abbia intenzione di presentare domanda d’asilo. Un dato interessante è quello che mostra che tra le persone richiedenti asilo in Italia, coloro che fanno parte del continente Europa sono solo gli ucraini (totale richieste nel 2015: 77.395, di cui 4.455 dall’Ucraina; Graf.3). A differenza della comunità ucraina che vive sul nostro territorio e caratterizzata da un’elevata componente femminile, i nuovi migranti ucraini richiedenti asilo sono per metà uomini e per metà donne (rispettivamente 50,3% e 49,7%; Graf.2). Sono soprattutto persone che fuggono dalla guerra civile (e dalla devastazione materiale che questa ha prodotto), appoggiandosi alle consolidate reti familiari transnazionali femminili. In sintesi, tutti questi dati ci dicono prima di tutto che la composizione di genere dei flussi migratori dipende dalle nazionalità di provenienza. Le strategie migratorie che i cittadini mettono in pratica sono diverse da paese a paese. Tuttavia chi fugge dalla guerra (es: Ucraina o Siria) presenta un numero percentuale di donne e uomini più o meno bilanciato (la guerra colpisce tutti!). Coloro che fuggono, invece, dal servizio militare nazionale obbligatorio (giovani Eritrei), o che vanno in cerca di una vita migliore (migranti c.d. “economici”), scappano da soli e sono in altissima percentuale giovani uomini. ❂
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UNA NUOVA VISIONE
DEL MONDO
Le donne diventano la chiave con cui operare un vero e proprio cambiamento di coscienza. È l’obiettivo della prima edizione del simposio internazionale “Women gathering for change”
egitto
di Zenab Ataalla
A
lla luce dei grandi cambiamenti che stanno attraversando il mondo, non ci si può dimenticare della presenza delle donne. Il loro potenziale non può e non deve essere negato, ma deve essere esaltato. Ed è partendo da questa premessa che a marzo si è tenuta la conferenza “Women gathering for change” presso la biblioteca di Alessandria d’Egitto, organizzata dal Centro per la Democrazia e la Pace sociale e dalla Fondazione Umana.
mento di ogni tipo di restrizione mentale imposta alle donne in molte parti del mondo, le relatrici che si sono alternate sul palco hanno parlato delle loro esperienze personali in un’ottica femminile del fare gruppo e del condividere idee e modelli che coinvolgono ogni aspetto della vita per un mondo più giusto e salutare. Tutte sono state unite nel sostenere che nulla è impossibile perché l’unica chiave per cambiare le cose non è arrendersi agli ostacoli, ma provare a cambiare le cose. E farlo insieme è sicuramente meglio.
L’istruzione
Alla presenza di donne provenienti da ogni parte del mondo, dai diversi contesti lavorativi e sociali, nei due giorni di dibattito si sono alternati interventi focalizzati sul tema dell’istruzione, dell’economia, della salute e della partecipazione politica. Partendo da un’idea di fondo che prevede lo scardina-
Si è esaminato il ruolo giocato dall’educazione, e non solo dell’educazione rivolta all’apprendimento in generale, ma anche di quella rivolta più specificatamente al genere. “Non trattare l’educazione di genere vuol dire prescrivere quello che le donne in realtà sono e rappresentano per le società nelle quali vivono - ha sostenuto Lovisa Fhager Havdelin, direttrice dell’organizzazione svedese Teskedsorden che lavora con i giovani per la tolleranza ed il rispetto -. “Immaginate quanto più felici saremmo se non avessimo il peso delle aspettative di genere imposte dall’esterno”. Si tratta di rimarcare quanto già stabilito dalle Nazioni Unite che hanno inserito l’inclusione scolastica delle bambine tra gli obiettivi principali da raggiungere nei prossimi anni. Tuttavia non si tratta solo di questo. “C’è anche bisogno di
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Il business femminile
“Essere una donna istruita vuol dire avere più possibilità di diventare una protagonista nei diversi settori. Vuol dire diventare politiche, economiste ed imprenditrici. “Nelle imprese nelle quali è incorporato fin dall’inizio l’elemento femminile, si sviluppa un flusso di consapevolezza maggiore di tutto il processo produttivo. Dove questo avviene c’è la chiara percezione di quale sarà l’impatto del processo di produzione all’interno della comunità della quale fanno parte anche le donne” dice Julie Esterly, guida del Sufi Ruhaniat International. Si tratta di un diverso tipo di business non solo rivolto al profitto economico, ma interessato soprattutto all’impatto sociale che un prodotto o una idea può portare nella società di riferimento.
La salute di genere
Se tutto viene trattato in un’ottica di genere, va da sé che anche la salute ricopre un ruolo fondamentale. Secondo Paola Conti, sociologa e membro dell’Istituto europeo di medicina femminile “una crescente formazione di genere si sta inserendo nella medicina, trasformando nel profondo la ricerca medica. Si sta iniziando ad utilizzare il filtro del genere e non è una cosa da poco. La medicina di genere deve essere integrata con la medicina tradizionale. Soltanto così facendo avremo dei netti passi in avanti”. La medicina di genere può aiutare lo studio di come le malattie differiscono tra gli uomini e le donne in termini non solo di cura e trattamento terapeutico, ma anche di prevenzione, prognosi e aspetti psicologici.
La partecipazione politica
“Le donne devono essere presenti nel processo decisionale perché sono portatrici di nuove idee e di nuovi saperi - ha spiegato la sociologa Maryam Yaseen - attraverso i quali è possibile innescare quei meccanismi che di fatto costruiscono delle vere e proprie economie sostenibili a beneficio delle società e dell’umanità nel suo insieme”. Importante sottolineatura, visto che ancora oggi nel mondo le donne sono sottorappresentate nell’arena politica. b
egitto
dare alle donne la possibilità di accedere con uguali diritti degli uomini all’assistenza sanitaria ed al lavoro. È fondamentale che le donne siano consce del loro potenziale. E questo lo si può fare con la scuola e con tutte quelle strutture ad essa connesse perché solo così facendo si è in grado di “distruggere tutte quelle impalcature sociali che le donne sono costrette a subire e a portare avanti col passare degli anni” ha spiegato Havdelin.
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LIBRI a cura di Tiziana Bartolini
L’OBIETTIVO (NON RAGGIUNTO) DELLA DEMOCRAZIA PARITARIA Nel mese in cui in Italia si celebrano i settanta anni dell’estensione del voto attivo e passivo alle donne non può mancare la lettura – o rilettura – di questo librino denso di elementi di riflessione. Le due autrici, ricercatrici di fama nazionale, attraverso l’alternanza di dati e statistiche e di parole a commento ed elementi di contesto, riescono nell’intento di ricostruire le fasi storiche del rapporto delle donne italiane con la politica e si scopre che spesso, proprio le donne con il loro voto hanno favorito i partiti di centro-destra sposando soprattutto negli anni ’50-’60 idee conservatrici e moderate. Sappiamo però che negli anni del femminismo questa tendenza muta per poi cambiare nuovamente in epoca berlusconiana. E sebbene le donne abbiano compiuto una vera e propria rivoluzione, prendendosi piazze e strade e riuscendo a far approvare leggi rivoluzionarie che cambiarono i rapporti di potere tra i generi sia nella sfera privata che in quella pubblica, a causa di numerosi fattori, tra cui le resistenze all’interno dei partiti nei confronti delle leadership femminili, la democrazia paritaria resta un obiettivo da raggiungere a livello nazionale e in molti contesti di politica locale. Silvia Vaccaro Assunta Sarlo e Francesca Zajczyk Dove batte il cuore delle donne? Ed Laterza, pagg 152, euro 12,00
IERI, COME OGGI, È ANCORA SESSISMO La politica per le donne non è mai stata un luogo accogliente. Al contrario, dal 1946 in poi, da quando hanno iniziato a muovere i primi passi all’interno delle Istituzioni a seguito della conquista del diritto di voto attivo e passivo, sono state oggetto di insulti e di atteggiamenti sessisti più o meno violenti da parte di parlamentari e uomini di partito, di ogni area politica. Questa breve storia del sessismo l’ha ricostruita un giovane uomo, giornalista, che ha analizzato una gran quantità di documenti, compresi vecchi numeri di NOIDONNE. L’evento da cui parte la narrazione è la Seconda guerra mondiale ed è con poca sorpresa che scopriamo che nemmeno alle partigiane venivano risparmiate le offese. Per molti militanti le donne potevano, sì, sostenere la lotta ma era opportuno che non fossero in prima fila e che non ricoprissero ruoli di rilievo. Carla Capponi, gappista e medaglia d’oro della Resistenza, racconta nella sua autobiografia che era l’unica della sua brigata a non possedere un’arma – perché in quanto donna non le spettava – e che per procurarsela dovette sfilarla dalla cintura di un fascista. Per molti uomini politici, le donne dovevano (e devono) essere sobrie, castigate, ma la bruttezza, per carità, non può mai essere perdonata. Di contro anche la bellezza non viene considerata un semplice dono della natura bensì un’arma attraverso cui colpire l’avversaria. Nel 1948 la deputata Laura Diaz venne soprannominata la pin-up di Montecitorio e venne ipotizzato che le quarantamila preferenze che le avevano accordato gli elettori fossero dovute alle sue doti fisiche. Oggi lo stesso accade ad altre, belle o meno belle, criticate e talvolta insultate in quanto donne e non per via delle loro idee politiche o del loro operato. Silvia Vaccaro Filippo Maria Battaglia Stai zitta e va’ in cucina Ed Bollati Boringhieri, pagg 109, euro 10,00
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UN FOCUS SUL FEMMINILE
NELLE COOP
I
n occasione del 70° anniversario del diritto di voto alle donne, la Commissione Pari Opportunità di Legacoop Toscana, presieduta da Chiara Grassi, in collaborazione con Unicoop Tirreno, presenta il libro “La Coop di un altro Genere”, con sottotitolo “Lavoro, rappresentanza, linguaggi e ruoli al femminile da ‘La Proletaria’ a ‘Unicoop Tirreno’ (1945 – 2000)”. La pubblicazione, curata da Enrico Mannari, Direttore Scientifico della Fondazione “Memorie Cooperative”, vede i contributi di Anna Pellegrino, Marco Gualersi, Tito Menzani, Anna Caprarelli e ci consegna una riflessione ancora da chiudere, un cammino ancora da compiere. La domanda che si pone Anna Pellegrino è il filo conduttore di tutto il volume: quanto la presenza femminile è stata importante per realizzare un certo tipo di sviluppo della cooperativa, e viceversa quanto la presenza della cooperativa ha contribuito a realizzare spazi sociali diversi e a favorire processi di autonomia e di emancipazione femminile nella quotidianità. Marco Gualersi sottolinea le “azioni positive” intraprese verso le donne nella cooperativa, mentre Tito Menzani mappa l’evoluzione della componente femminile a partire dalle funzioni operative nei punti vendita e negli uffici amministrativi fino a quelle di consigliere o direttore evidenziando il ruolo fondamentale che ha svolto l’UDI. Con il contributo di Anna Caprarelli si scava nell’archivio fotografico e si mostrano le immagini delle donne dando forza alla memoria visiva. Nei 70 anni trascorsi, la strada verso la parità non è stata in discesa e la storia della partecipazione delle donne ai processi decisionali non è stata lineare, anche per la duratura sottorapresentanza negli organismi elettivi e nei luoghi decisionali, nonostante le donne siano sempre state protagoniste delle lotte per i diritti di tutte e tutti. La presentazione di questo libro rappresenta un’occasione importante per ricordare le conquiste sociali, politiche ed economiche delle donne e per rinnovare l’impegno contro ogni forma di discriminazione.
Il Il libro sarà presentato a Firenze il 28 giugno (9,30-13,00, Cis Meeting, via Fiume, 7) inuna Tavola rotonda con la partecipazione di . Rosanna Pugnalini (Presidente Commissione Pari Opportunità del Consiglio Regionale della Toscana), Dora Iacobelli (Presidente Commissione Pari Opportunità Legacoop Nazionale), Enrico Mannari (Direttore Scientifico della Fondazione”Memorie Cooperative”), Tiziana Bartolini (Direttora di NOIDONNE), Anna Pellegrino (Università di Padova).
LA MADRE CHE FUI
O CHE AVREI VOLUTO ESSERE “I sentimenti sono un mistero e nulla è scon-
tato” scrive Camilla Ghedini nel primo dei quattro ritratti cui affida il compito di scandagliare il senso e le ragioni dell’essere o del non essere madri. Per i casi della vita o per scelta. ‘Interruzioni’ è il titolo. Scarno, essenziale come lo stile con cui l’autrice - giornalista professionista ed esperta di comunicazione - si apre alla dimensione della maternità senza reticenze, libera dagli stereotipi che ancora ne ingabbiamo la narrazione in una rete di ipocrite compiacenze, sofferenze o aneliti. In sole novantanove pagine Ghedini consegna a chi legge la grandiosità del dolore, del dubbio, della delusione, dei sentimenti, dell’accoglienza e della negazione. E lo fa con la maestria di un’artista capace di usare tutta la potenza delle parole attingendo al loro significato profondo. Parole e descrizioni nette ed efficaci che arrivano direttamente al cuore ma anche alla mente, perché sono l’approdo di un percorso intimo e contemporaneamente una rappresentazione universale di un’altra faccia della maternità, quella che preferiamo non vedere. Troppo difficile, infatti, gestire le tante sfaccettature dell’essere donna e la complessità dei nostri sentimenti, anche quelli che la vulgata vorrebbe ‘naturali’. Troppi tabù ancora ci condizionano. È proprio il coraggio di liberarsene che rende affascinante il libro di Ghedini, a partire dalla considerazione che figlie si è per sempre, mentre madri possiamo non diventare. Si attraversano quattro ‘stanze’ in cui ogni protagonista si racconta in prima persona, o impronta un dialogo immaginario, e affronta altrettante circostanze di maternità rifiutata razionalmente, di ‘lucido’ figlicidio, di un dolente e sereno estremo saluto alla madre, di una maternità desiderata ma inattuata. È un libro che va letto per assaporare la sua struggente bellezza e perché, nonostante sia fiorito in un percorso di grande dolore, è permeato della forza dell’amore. Per la vita, per il prossimo, per la famiglia. Un libro autobiografico in cui, scrive l’autrice, “io ci sono come figlia, come non madre, come giornalista”… ma aggiunge “non ci sono tutta, ci sono in parte, ci sono io in evoluzione”. Camilla è una giovane donna del nostro tempo che si interroga con coraggio e libertà, proponendo la condivisione intorno al (grande) tema dell’assenza, origine di molti mali e profonde sofferenze. E chi può dire di non aver sperimentato, subìto, sofferto l’assenza di qualcosa o di qualcuno? Regaliamoci una carezza e, superando la condizione di spettatrici del racconto, come sollecita nella prefazione Marilù Oliva, “entriamoci dentro” accompagnando Camilla e facendoci accompagnare da lei. Tiziana Bartolini Camilla Ghedini Interruzioni
Giraldi Editori, pagg 99, euro 10,00
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IL MADE IN ITALY
DELLE DETENUTE
in grado di proporsi al mercato facendo leva sulla qualità e sul prezzo. Attualmente le cooperative coinvolti sono quattro (Catania, Venezia, Milano e Vigevano). I prodotti principali sono soprattutto borse e gadgettistica. Mediamente ogni laboratorio ha tra le quindici e le venti persone impiegate dalle cooperative che lo gestiscono, per un totale di circa cinquanta lavoratrici coinvolte nel progetto. b
di Costanza Fanelli
La prima agenzia nazionale di coordinamento di imprenditorialità delle donne detenute. Sigillo è il primo progetto di questo genere in Italia e in Europa e coinvolge tre cooperative sociali
S
ono tante, ma non certamente quante servirebbero, le esperienze che sono impegnate, dentro e fuori le mura degli istituti di pena, a creare e sviluppare attività produttive e di lavoro per persone detenute. Eppure il rischio che chi esce dal carcere torni a delinquere si riduce dal 76% al 12% per chi ha un lavoro esterno al carcere. Ma sono in pochi a sapere che, all’interno di questo impegno portato avanti da associazioni e cooperative, sta nascendo un vero e proprio distretto produttivo tra realtà che si occupano in modo specifico di donne detenute o ex detenute. Un po’ di storia. Nel 2013 nacque Sigillo, la prima agenzia nazionale di coordinamento di imprenditorialità delle donne detenute, allo scopo di curare la qualità dei prodotti e il rapporto con il mercato. Il progetto - il primo nel suo genere in Italia e in Europa - venne alla luce dopo anni di collaborazione e confronto tra il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria e tre cooperative sociali (Alice di Milano, Officina Creativa di Lecce e Uno di Due di Torino) che negli anni hanno saputo distinguersi per le proprie capacità imprenditoriali e per la propria esperienza in laboratori tessili all’interno delle sezioni femminili delle carceri italiane. Nel suo primo anno di attività Sigillo contava già 15 aderenti La tappa successiva è stata “Socially Made in Italy” www.sociallymadeinitaly.com). Nato nel 2015, è una sorta di rete produttiva organizzata tra i laboratori di cooperative sociali che si occupano di inserimento lavorativo per le detenute e ha l’obiettivo di coinvolgere direttamente i marchi dell’alta moda a collaborare per rendere questi laboratori all’altezza della qualità e dello stile del Made in Italy. L’intento è quello di dare vita ad una filiera produttiva
ROLE MODELS:
PROMUOVERE LA LEADERSHIP FEMMINILE
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roppi “soffitti e muri di cristallo” ci limitano. Uno spreco di talenti nocivo perché quando le potenzialità e possibilità perdono, perdiamo tutti. Lo scopo del workshop tenuto presso il Centro polifunzionale dell’Università degli studi di Bari “Aldo Moro” lo scorso 14 maggio è stato parlare di Modelli di Ruolo dove le donne hanno dimostrato che sono capaci di parlare di Ricerca, Imprenditorialità e di Business, Finanza, Ingegneria, di visioni e strategie per il futuro. Il workshop, oltre a proporre alcune buone pratiche per la Leadership Femminile e alcuni suggerimenti per Leader Future e Leader Attuali, ha presentato le associazioni ITWIIN (Italian Women Inventors and Innovators Network) e EUWIIN (European Inventors and Innovators Network) accanto alle associazioni di ricerca della Marie Slodovska Curie, rispettivamente MCFA (Marie Curie Fellows Association) e MCAA (Marie Curie Alumni Association), dei ricercatori europei che hanno fatto un’esperienza di mobilità in Europa o fuori dall’Europa con una borsa di studio Marie Curie. Le buone pratiche sono state discusse e messe in evidenza nei Role Models e presentate in due tavole rotonde, nel campo della Ricerca, dell’Industria e del Business, da ricercatrici di livello internazionale, imprenditrici e innovatrici.
collage di Loredana
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UN INSERTo SPECIALE
DALLA PARTE DEI BAMBINI E DELLE BAMBINE Con piacere e orgoglio proponiamo un inserto speciale, frutto del laboratorio di scrittura che per il secondo anno consecutivo NOIDONNE ha tenuto nel carcere femminile romano di Rebibbia. È il secondo inserto, dopo quello pubblicato nel numero di febbraio 2015, e contiene scritti delle detenute che hanno partecipato agli incontri settimanali iniziati a novembre e coordinati da Tiziana Bartolini, Paola Ortensi e Silvia Vaccaro. ‘A mano libera’ - questo il titolo del laboratorio - si è confermato come spazio di libertà di parola, di autonarrazione, di esplorazione sia del vissuto personale sia dell’attualità. Nella modalità che ogni partecipante ha scelto per sé. Noi abbiamo ascoltato, sollecitato, stimolato, proponendo di volta in volta una chiave di lettura sociale delle circostanze - private o dettate dalla cronaca - che si ponevano all’attenzione del gruppo. Un esercizio che abbiamo definito ‘l’acchiappanotizie’. Le sintesi delle riflessioni che nei vari incontri si sono intrecciate (la maternità surrogata, il corpo delle donne, l’8 marzo…) sono state pubblicate nei numeri cartacei di NOIDONNE e nel sito www.noidonne.org; anche il settimanale L’Espresso vi ha dedicato un articolo (nr 12 del 24/3/2016). Le notizie tremende dei piccoli morti affogati nel Mediterraneo o dei minori immigrati non accompagnati - oltre alla moltitudine di quelli che risultano dispersi persino in Italia - ci ha sollecitate a riflettere e scrivere sui bambini e sulle bambine. Ricorrendo ai ricordi, anche. Dunque a loro è dedicato questo inserto. Ai bambini e alle bambine del mondo, figli e figlie dell’umanità. Dovrebbero essere il nostro tesoro, ma pare che così non li percepiamo. "…Tutti gli adulti sono stati prima di tutto dei bambini. Ma pochi di loro se lo ricordano” è scritto nel Piccolo principe. Ecco, questo inserto raccoglie la sollecitazione di Antoine de Saint-Exupery… immaginando che sia solo l’inizio di un cammino...
NoIDoNNE
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Dedicato a mio padre Quando sarò troppo grande per ritornare piccola, starò più tempo nel lettone dei miei. Quando ritornerò bambina la mia valigia sarà troppo stretta per contenere tutti i libri che amo. Quando ritornerò ancora piccola la mia pelle diventerà più morbida per sentire meglio i baci e le carezze, e averti ancora vicino, e mi piacerebbe continuare ad andare a cavallo e cadere ancora. Quando sarò di nuovo piccola voglio che mi restino questi occhi che fecero incantare papà mio, e se sarò così bambina non avrò più rughe di tormenti, di passioni, di pianti e di gioia. Mi piace pensare che non sarò poi così grande per poter dire un ‘ti voglio bene per sempre’. E vorrei che tu, quando sarò di nuovo bambina, mi crederai di più. Quando sarò di nuovo piccola vorrei ricominciare a dimostrarti che ti amo come ho sempre fatto.
Laura
La comoda permanenza nell’hotel a 5 stelle … Ecco è il 2 gennaio 1951. Sono circa le ore 18 e succede che si interrompe la mia comoda permanenza nell’Hotel a 5 stelle: il ventre adorato di mia madre. Bella, adorabile, mamma mia !!! Me la ricordo da che ho memoria, nel prosieguo del lungo viaggio della mia vita. Sì, perché la mia vita è stata, ed è, un meraviglioso viaggio …… Arrivo a casa di Cesarina - questo è il nome della mia adorata mamma - a Trastevere e mi trovo in un posto molto rumoroso, con dei bambini che corrono e piangono e ridono e fanno un casino infernale. Sono tre, i miei fratelli. Anzi, due sorelle - Lucia e Iole - ed un maschio, mio fratello Checco, “Francesco”. Poi da un altro lato della grandissima stanza arrivano dei rumori assordanti di ferro, e c’è un uomo carino, piccolo, con un grembiule nero che 34
odora di qualcosa di forte. È il mio dolcissimo papà che lavora nel suo angoletto e usa martello, chiodi, mastice e pelle. Sì, perché il mio tenero papà faceva il calzolaio. Che bella era la mia famiglia!!! L’albergo, certo, era molto diverso dal primo (il ventre di mamma..). È meno comodo, più rumoroso, ma bello…… Poi nel febbraio del 1956 in quel triste viaggio persi per sempre il mio dolcissimo papà. Era esattamente il 14 febbraio del 1956, e Roma era tutta coperta di neve (…tutta pulita e lucida che brillava per me e moriva per te)… Io a quei tempi non me ne rendevo conto cosa fosse la morte e cosa fosse l’amore. So solo che se in quel viaggio da Trastevere ad Acilia non ci fosse stata mamma Cesarina , donna e mamma di ferro e panna nello stesso tempo, io sarei sparita con mio papà.
Anna Maria
Mi chiamo Maurizia Sono nata l’8 marzo, se ricordo le parole di mia madre e mio padre “tutta di giallo come una mimosa”. Ora i miei non ci sono più ma la loro dolcezza e amore che mettevano in quella frase chi se la scorda più. Di mio padre, da quanto lo adoravo, ero tremendamente gelosa. Ma di lui ho preso tutto: lo sguardo, la fierezza, l’orgoglio. Mia madre? L’umiltà in tutto.
dalla redazione/dalla redazione/dalla redazione/ dalla redazione/dalla redazione Sono nata dopo 14 anni dall’ultimo fratello. Mia madre era in menopausa; che colpo!!! Ricordo ancora le mie marachelle, la mia paura di essere scoperta, la prima sigaretta! Oddio no! No la prima sigaretta e il primo schiaffo da mio padre. Ancora mi fa male il viso! Poi la vita si stravolge, io perdo i miei e divento mamma. La santa frase di mia madre: “ Figli piccoli, pensieri piccoli, figli grandi pensieri grandi!” E ora il ciclo continua. Ho due figli: MARONNA MIA! Chi si innamora, chi si lascia e mamma dove sta? In carcere… ma come una fenice risorgerò dalle mie ceneri e tornerò a pensare: bambini si nasce, MAMME si diventa per sempre!
Maurizia
Almeno 250 milioni di bambini vivono per strada. I bambini disperati ed esclusi costituiscono un’enorme riserva per l’economia illegale, il crimine organizzato e i conflitti armati. Secondo il rapporto Every Last Child di Save the Children 58 milioni non possono andare a scuola e in quasi 6 milioni muoiono ogni anno per malattie facilmente curabili e prevenibili prima di aver compiuto i 5 anni. Sono quasi 90mila i baby-migranti soli giunti in Europa nel 2015. Oltre 1 su 10 ha meno di 14 anni. Bambini che lasciano la famiglia e affrontano i pericoli del viaggio da soli, col sogno di una vita nuova e di aiutare i genitori o i fratelli rimasti nel paese di provenienza. Spesso però sono vittime di sfruttamento e violenza. Dei piccoli che giungono in Europa molti svaniscono nel nulla: 10mila di quei 90mila risultano scomparsi. In Italia Terres des Hommes conta oltre 90mila bambini maltrattati. Le bambine sono quelle più a rischio di violenze e abusi. Save the Children ha promosso la campagna nazionale “Illuminiamo il Futuro” (14-15 maggio) per contrastare la povertà educativa. Centinaia di eventi nelle piccole e grandi città italiane sono stati dedicati ai bambini e hanno coinvolto più di 10mila persone e 390 tra associazioni, organizzazioni, enti e istituzioni. I bambini e le bambine della scuola elementare Perlasca nel quartiere del Trullo alla periferia di Roma hanno dato vita alla radio “Freccia Azzurra”. Quello che imparano durante le lezioni di matematica, italiano o scienze diventa un programma radiofonico che loro stessi scrivono e registrano. Inventano persino le pubblicità.
Mamma maga
E se avessi una bacchetta magica? se avessi una bacchetta magica vorrei tanto usarla per mettere nel cuore degli esseri umani tanto amore per l’umanità e in primis per i bambini di tutto il mondo affinché non soffrano più. e vorrei entrare nella mente di quelle persone che non vogliono la pace ma la guerra, che fanno del male ai bambini, li costringono a diventare soldati o obbligano le bambine a sposarsi. se potessi avere una bacchetta magica vorrei far scomparire all’istante tutto questo e vorrei continuare a far capire ai miei figli quanto li amo e fare in modo che tutto ciò che sta succedendo ora nella nostra vita non sia solo tempo sprecato ma sia un tempo che mi farà diventare una persona migliore. ma siccome non ho una bacchetta magica userò la mia fede, che mi sta già aiutando moltissimo, a vedere che chi ride è vincente.
Sonia
Ricordi dalla Tanzania ero ancora una bambina di 10 anni quando mia mamma era una contadina e mi faceva imparare come zappare la terra. Ha voluto comprare il suo terreno per costruire una casa, mentre prima abitavamo in una casa per cui ogni mese pagavamo un affitto. a quel tempo lavorava in un benzinaio. avevamo pochi soldi, quello che guadagnava non bastava per comprare una casa. poi ha iniziato a fare la contadina e vendeva mais, banane, riso per farci vivere bene a me e mia sorella. mia madre lavorava come un uomo e ci diceva “figlie mie, sto facendo questo lavoro per voi. sapete che vostro padre ci ha abbandonate. ci sono solo io a crescervi. anche vostra nonna mi ha insegnato così. sarebbe voluta vivere fino ad adesso, così anche io con voi mi sento ancora una bambina”… La mamma è per sempre.
Hidaya
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Se io fossi una mamma maga metterei un cagnolino in ogni casa in ogni appartamento un cagnolino su misura non calce o di cemento magari un piccolo bastardino di colore variopinto con il pelo che si spettina ad ogni attimo di vento con le orecchie tese ad ascoltare con lo sguardo attento cha sa incantare perfino con la voce perché ti possa cantare che sappia di atmosfera magica lunare e che ti accompagni nel tuo andare Poi con la mia bacchetta me ne andrei a fare magie in tondo per tutte le vie del mappamondo vorrei che oggi non piangesse un solo bambino che ci sia sempre un sorriso sul volto del bianco, del giallo e del morettino Con i cani sparsi nel mondo tutte queste belle cose accadranno facilmente perché nessuno come loro sa donare amicizia e fedeltà senza in cambio niente con una cuccia, un po’ di cibo un osso ed una passeggiata la loro stima è assicurata gli occhi lucidi ti guardano cercando di capirti sempre tu pensi che sia il tuo protetto ma è lui che si siede porgendoti la zampa e cercando il tuo affetto È così che ti strappa un sorriso contagioso ma anche doveroso in questo mondo così difficoltoso Ecco, questa è mamma maga, le magie si fanno almeno una volta all’anno! Loredana
Le fiabe di mia nonna Forse io bambina non lo sono mai stata e se lo sono stata lo ricordo poco. La cosa che mi ricordo di più della mia infanzia è il grande amore che portava la mia nonna materna quando entravo nella sua casa, o lei nella mia. Tutti i giochi e le fiabe che raccontava a me e mia sorella mi facevano sognare a occhi aperti e quando mi portava al cinema delle parrocchie (che ora non ci sono più) con un bel maritozzo con la panna e la bottiglietta di coca cola! Mia madre e mio padre sono stati sempre incostanti con il loro amore. Mia madre ci organizzava feste di compleanno e ci portava a fare ogni tipo di sport. Invece quando passavo un giorno con mio padre mi sembrava di volare perché non era spesso e quando accadeva inventava per me e mia sorella un giorno bellissimo. Ci portava all’aeroporto dell’Urbe e ci faceva fare il giro di Roma con il pilota. Era fantastico abbracciarlo. Mi ha insegnato l’amore per i cavalli e avevo 4 anni quando mi ha insegnato a montarli. Fino a una certa età mio figlio è stato la mia ombra; gli davo amore, giochi e valori. Poi la tossicodipendenza mi ha un po’ allontanato da lui e ringraziando Dio lui ha fatto tutto l’incontrario della vita che ho fatto io, anche grazie al grande aiuto che mi hanno dato i miei genitori. Ora ha 25 anni ed è un ragazzo sano e pieno di valori e di principi! Mi ama ma è molto arrabbiato con me perché l’ho lasciato un’altra volta solo e me l’ha fatta pagare a suo modo. Il più terribile, venendo a trovarmi molto poco. Ma vi do una grande notizia: sta venendo più spesso ed è felice di parlarmi al telefono!
Laura
Bambini, bene assoluto di tutte le generazioni Era bellissimo, erano tempi in cui a scuola si andava a piedi e da soli, o in compagnia di sorelle, fratelli, amici. Di bambini eravamo tanti, di automobili pochissime, quindi il pericolo non c’era. Io andavo a scuola dalle suore assieme alle mie sorelle e portavamo il grembiule bianco con un grande fiocco blu. A me la scuola piaceva molto. Si studiavano le poesie a memoria e le tabelline con le suore (maestre che se non studiavi ti mettevano in castigo dietro la lavagna. La scuola era la seconda famiglia. Nel periodo di Natale mi facevano fare la recita e la letterina da mettere sotto il piatto dei genitori la sera di Natale, cioè di mia madre.
Tutte cose oramai superate dalla troppa tecnologia e dalla corsa al consumismo. Non si prova più gioia e soddisfazione per le piccole ma grandi cose.
Anna Maria
La gioia e la speranza Se frugo nei ricordi della mia infanzia, mi accorgo di non averne moltissimi, se non una dolce filastrocca che mio padre scrisse per me e che iniziava più o meno così: “Nella via Lomellina, c’era una volta una bambina e chiama vasi Danina quella dolce birichina, era la gioia di mamma e papà…” e proseguiva con altre strofe baciate …. Non ricordo altre storie, altre favole, ci penso molto perché mi manca il ricordo di una voce conosciuta che per farmi addormentare mi parla di fare turchine e di magici castelli, ma anche di orchi cattivi finiti miseramente per non arrecare più danno a nessuno. Pensando ai bimbi di oggi, immagino le loro mamme raccontando storie meno fantastiche dove non esistono fate buone, ma sì moltissimi orchi: c’è l’orco puzzolente coperto di polvere e vestito di stracci, l’orco MISERIA; c’è l’orco sempre affamato, che mangerebbe qualsiasi cosa che incontra, il suo nome è FAME; c’è l’orco che esplode all’improvviso travolgendoti quando meno te lo aspetti e ti dilania riempiendoti di chiodi, l’orco GUERRA; poi c’è quello che si manifesta generoso promettendoti aiuto, riparo, perfino danaro, ma che una volta attratto ti sfrutta e ti schiavizza, l’orco SFRUTTAMENTO; ce ne sono moltissimi altri innominabili tra cui l’orco BULLO che per rendersi importante agli occhi dei compagni ti perseguita e ti minaccia; ed infine ce n’è uno tutto blu che sembra pacifico, ma che quando pensi di essertelo fatto amico, ti travolge e ti inghiotte con la sua bocca profonda e piena di onde e si chiama IMMIGRAZIONE. Immaginiamo attorno al mondo un girotondo di bimbi di ogni razza, religione e condizione, uniamoci alle loro mamme. Teniamoli per mano questi bimbi e queste bimbe che, una volta adulti, ricorderanno tutti con dovizia di immagini terribili, di essere stati bambini e incominciamo a narrare, non sottovoce ma con il tono di interpreti consumati, fiabe popolate di gioia e di speranza dove esistono mille fate buone che con la loro bacchetta magica vincono tutti gli orchi malvagi esistenti, chiaro con molto lavoro, ma con la comune volontà che è il vero motore del mondo.
Loredana
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LA FORZA DELL’ADOLESCENZA di Emanuela Irace
Intervista a Susanna Schimperna a proposito del suo ultimo libro “Eterne adolescenti” che esamina la figura della madre nella ‘narrativa post-femminista’
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embra una fotografia in movimento. Una carrellata di sentimenti e desideri che strappa il sorriso e tiene incollati alla lettura. Il saggio di Susanna Schimperna “Eterne adolescenti“ - Cairo editore - ribalta l’iconografia classica del maschio Peter Pan per mettere al centro della narrazione la leggerezza femminile, le tessiture amicali, l’incedere narcisistico dei rapporti parentali, su cui spicca tra nevrosi ed egoismo il legame con la madre. Un collage di esperienze ricco di sfumature che azzera il trascorrere del tempo restituendo pienamente l’analisi di Elisabetta Rasy: “Così come nel grande romanzo realista occidentale è cruciale il posto del padre (…) altrettanto cruciale nella nuova narrativa post-femminista è il posto della madre: una costellazione pre-edipica, in cui si alternano identificazione e distacco, desiderio di continuità e necessità di disaffiliazione”. Partiamo dalla citazione che fai nel capitolo dedicato alle cinquantenni abbarbicate nel ruolo di figlie sempre pronte, nonostante l’età, ad incolpare la propria madre di tutto, in un processo di deresponsabilizzazione continuo… Nel rapporto con la propria madre si rischia di cadere nella ragnatela dell’alibi. Una strada senza via di uscita, perché il passato non si può cambiare. Né si può passare la vita a rincorrere un modello che non è il proprio.
Da giovani la contrapposizione è sana e fa parte del processo di crescita, poi bisogna fare i conti con la realtà e guardare la propria madre con più leggerezza. Le accuse creano dipendenza, sono vischiose e si finisce per recitare un ruolo. E se la propria madre dovesse dire si, ho sbagliato tutto, il crollo è inevitabile, e sarebbe difficile ritirarsi su. Nel tuo libro raccogli testimonianze di amiche capaci di trovare spazi di leggerezza, dal lato opposto c’è la donna che si lamenta continuamente, perché ha troppo lavoro e non ce la fa a seguire tutto ma imperterrita continua senza delegare mai. Si, è una tipologia femminile molto comune, la donna che porta su di sé tutto il peso del mondo, l’eroina instancabile, una modalità di porsi tipica delle professioniste che dovrebbero sentirsi affermate ma che appena le incontri non fanno altro che lamentarsi del troppo lavoro, del marito, dei troppi impegni quasi volessero scappare da un ruolo che in fondo neanche loro riconoscono come proprio. C’è una pressione sociale molto forte sul ruolo femminile ancorato alla casa, e il lamento continuo diventa un modo per allontanare quel sottile senso di colpa, quasi sempre inconsapevole che poggia sul pregiudizio della donna madre e moglie. Un pregiudizio che ricalca il modello protettivo della donna accogliente per definizione… La questione è che abbiamo idee sbagliate su come sarebbe opportuno che fossimo. Dobbiamo smettere di farci ricattare dalle aspettative degli altri. Essere adolescenti in modo fiero significa anche questo: chiedersi perché no? È una domanda semplice ma può diventare un elemento rivoluzionario capace di trasformare questa società paludosa in una società gioiosamente in movimento, libertaria, erotica e creativa. È questa la forza dell’adolescenza, uno stato d’animo che si può ritrovare ad ogni età. b
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In collaborazione con:
Con il sostegno di:
Genova e Liguria
Archivio Biblioteca
14 Giugno 2016 ore 9.30‐13.00 Sala del Minor Consiglio, Palazzo Ducale, Piazza dei Ferrari GENOVA SALUTI: Sonia Viale, Assessore Sanità e politiche sociali Regione Liguria Emanuela Fracassi, Assessore Politiche sociali Comune di Genova Fortunata Dini, Presidente Associazione Salute&Genere, Il Progetto Donna e Salute: sviluppi e prospettive INTRODUCE Ileana Scarrone, Presidente AUSER Liguria MODERA Patrizia Vistori, Segretaria Responsabile Coordinamento Donne SPI‐CGIL Liguria INTERVENGONO Giovanna Badalassi, Esperta Politiche di Genere “La salute delle donne in Liguria: conoscere i dati di contesto per politiche più efficaci” Sandra Morano, Ginecologa, Università di Genova Ernesto Palummeri, Geriatra, Contrattista su fragilità e invecchiamento Ospedale Galliera, Coordinatore Rete Demenze ARS Liguria, “Invecchiamento attivo e in buona salute: prevenzione della fragilità” Ivana Carpanelli, Istituto Nazionale di Bioetica Stefania Silvano, “Consultori esperienza positiva di Spezia” Anna Manca, Responsabile donne Confcooperative nazionale, “Dimissioni protette “ CONCLUDE Vilma Nicolini, Responsabile Osservatorio Pari Opportunità Auser Nazionale Questo evento è una tappa della rassegna nazionale itinerante Donna e Salute ospitata in varie città. Ogni appuntamento è costruito in collaborazione con le realtà e istituzioni locali. Obiettivo del progetto è valorizzare le buone pratiche e le eccellenze territoriali, contribuire a fare il punto sull’idea di salute della donna, agire sulla divulgazione, sensibilizzazione e percezione del tema, far dialogare i soggetti che agiscono nei vari settori: operatori sociosanitari, associazionismo, politica, mondo accademico, istituzioni, ricerca.
Un progetto di:
www.donnaesalute.org www.noidonne.org
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PARTORIRE CANTANDO? SI PUÒ di Enrico Monti
Un progetto di accompagnamento dolce al parto che ruota intorno alla musica. L’idea, sperimentata con successo, è della music- trainer Morgana Montermini
della muscolatura pelvico-perineale nel momento fondamentale del parto e del post-parto. A conclusione del progetto la coordinatrice e direttrice della sperimentazione, Morgana Montermini, assieme a chi scrive, medico che ha seguito dal punto di vista cardiologico le partorienti e raccolto i dati dai questionari compilati dalle stesse, ha raccolto le fasi e i dati del metodo e redatto una guida testuale importante con la pubblicazione del citato libro “Ascoltare la nascita”. Nella parte finale del libro vengono riportate le fasi della sperimentazione, avvenuta tra il settembre 2007 e il settembre 2008 su 150 gestanti dal sesto al nono mese di gravidanza, che hanno seguito le tecniche vocali e le musiche elaborate e composte personalmente da Morgana Montermini (metodo MO.SE) insieme all’ assistenza medica, équipe Dott, Ghirardini, e paramedica, le ostetriche del reparto di ostetricia del Nuovo Ospedale di Sassuolo, con risultati altamente positivi,
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er avere la risposta alla domanda ‘Partorire cantando si può?, potete leggere lo studio effettuato da una cantautrice music-trainer sassolese, Morgana Montermini nel suo libro “Ascoltare la nascita” (ed Il Fiorino). Presso il Centro Balnea di Terme della Salvarola a Sassuolo la music- trainer tiene specifici corsi per donare alle gestanti il benessere psicofisico con l’ausilio di tecniche vocali, di ascolto attivo e di musiche appositamente create. Morgana Montermini è l’autrice del metodo “Music is life”, del libro “Ascoltare la nascita “ per una gravidanza con musica, suoni e canto”, del cd-audio “Il sentiero dell’ Angelo”. Si tratta di materiali preziosi per guidare in un ludico viaggio, col potere immenso della voce, le mamme che, con facili tecniche per “cantare” e fonemi rilassanti tratti dalle diverse civiltà, si energizzano creando i presupposti per un riuscito parto armonico. Tale metodo ha ottenuto validazione scientifica tramite la sperimentazione ospedaliera, presso l’Ospedale civile di Sassuolo, patrocinata dalla Regione Emilia-Romagna e coordinata dal primario ginecologo dott. Ghirardini. La sperimentazione ha testato la validità e l’efficacia dell’interazione sinergica tra la retta apertura buccale, tramite il canto ed esercizi fonemici, e la perfetta apertura del canale utero-vaginale attraverso il giusto rilassamento e l’idonea contrazione
poiché ben oltre l’ 85 per cento (128 donne) ha partorito con parto spontaneo utilizzando la musica durante il travaglio e le tecniche apprese durante il periodo espulsivo del neonato. Il percorso proposto ha efficacemente aiutato, anche chi non ha avuto un parto naturale, ad affrontare dal punto di vista fisico e psicologico l’ evento nascita. Le puerpere hanno continuato anche nella crescita e nello svezzamento ad usare le tecniche apprese. Il lavoro di pianificazione del metodo MO.SE (metodo di benessere in gravidanza at-
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traverso la musica) era già stato presentato nel settembre 2003 al festival nazionale di filosofia sulla Vita da Morgana Montermini assieme al medico ostetrico-oncologo Sergio Basile e all’architetto Filippo De Francesco e al dott. Roberto Giussani. L’importanza di ascoltare la musica, inoltre, è destinato a creare un forte legame armonico tra mamma e nascituro indissolubile nel tempo, come un continuo gesto d’amore che, col canto, si rafforzerà per tutta la vita. I medici che hanno partecipato allo studio affermano che Morgana Montermini è unica e straordinaria nel comporre musiche per il benessere, condurre le partorienti nel cammino verso il parto dirigendole col canto e con l’utilizzo di strumenti musicali da lei ideati, come la fabula ispirata alla kalimba africana. Da cantautrice (premio Tenco) ha composto l’efficace cd di ninne-nanne inedite, “Ninne nanne d’amore eterno”, strumento molto apprezzato dalle mamme. La direzione del cen-
tro Balnea e lo staff medico e paramedico assieme alla music trainer Morgana Montermini propongono alle donne nel pre e post-parto questo programma esclusivo di benessere, armonizzazione e rafforzamento del rapporto vitale madrefiglio per creare donne “nuove ed armoniche” per un mondo migliore. “Scuola di ninne-nanne”, inoltre, è il seguito del progetto sonoro e musicale iniziato nel pre-parto. Consiste in un corso unico nel suo genere dal nome “abbraccio sonoro”, un laboratorio sensoriali per bebè e mamme proposto nello splendido scenario naturale del verde della collina del centro benessere di Salvarola Terme. Profumi, suoni, diffusione di colori rilassanti sono lo scenario magico per permettere la composizione di parole, canzoni e musiche personalizzate dalle mamme, le quali potranno addirittura registrare un cd audio con le loro ninne nanne dedicate al bebè. Music is life. Questo è il motto di Morgana Montermini! b
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LA CORRUZIONE IN SANITÀ
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a corruzione costa circa 5 miliardi di euro l’anno su un bilancio di poco più di 100 miliardi. Come è possibile un tale scempio delle risorse pubbliche? Si accusano i politici di tale misfatto. Certamente chi ha responsabilità politica di governo e di controllo deve renderne conto. Per comprendere le cause dietro le cause è necessario considerare che circa un quarto del bilancio complessivo è assorbito da interventi diagnostico terapeutici inappropriati o inutili che comportano sempre danni, iatrogeni, senza alcun beneficio alternativo che li giustifichi. Danni iatrogeni che comportano costi aggiuntivi. La sostenibilità del servizio sanitario pubblico viene messa in discussione da entrambi i fenomeni ma le soluzioni che si prospettano, come le privatizzazioni e le assicurazioni, faranno cadere dalla padella alla brace: maggiori costi e peggiori esiti di salute, come l’esperienza degli Stati Uniti dimostra (15% del Pil e i peggiori indicatori di salute del mondo industrializzato). Il ricorso a interventi inutili e inappropriati potrebbe essere contrastato per buona parte da una sistematica valutazione degli esiti di salute, attraverso opportuni indicatori di qualità. Dovrebbe essere interesse dei professionisti che dichiarano di agire secondo scienza e coscienza pretendere la valutazione della qualità per avere strumenti per l’aggiornamento professionale e per il progresso delle conoscenze. La valutazione della qualità dovrebbe essere alla base della progettazione operativa dei sistemi e delle procedure: quali obiettivi raggiungere, con quali attività rivolte a chi e come, dove, quando, con quali risorse. Un tale approccio taglierebbe le gambe in modo sostanziale alla corruzione. Un esempio paradigmatico degli sprechi e della corruzione si ha nel percorso nascita. Basterebbe potenziare e riqualificare i consultori familiari e il ruolo centrale delle ostetriche come indicato dal Progetto Obiettivo Materno Infantile (varato nel 2000 e oggi quanto mai attuale) e promuovere l’assistenza autonoma delle ostetriche nel travaglio, parto e puerperio per avere enormi vantaggi di salute con enormi risparmi di risorse. Il percorso nascita è cartina di tornasole del funzionamento dei servizi sociosanitari, non fosse altro perché prevalentemente si ha a che fare con la fisiologia e gli interventi debbono ridursi allo stretto indispensabile per valorizzare appieno le competenze delle donne e delle persone che nascono, così da ottenere i migliori esiti di salute. Gli interessi autoreferenziali pongono un freno a tale prospettiva ed è tempo che le persone e le comunità prendano coscienza che è loro diritto verificare che le risorse messe a disposizione con le tasse producano migliore salute apprezzabile con opportuni indicatori. Cominciare dal percorso nascita è la carta vincente, ora che le donne riprendono la parola a denunciare i fenomeni di violenza ostetrica: servono, tanto per cominciare, le linee guida per l’intrapartum e il puerperio elaborate dal Piano Nazionale Linee Guida, norme per il ricettario ostetrico, norme per il rimborso del parto a domicilio, aperture di case di maternità e di reparti nei centri nascita ospedalieri a conduzione autonoma delle ostetriche. Sarebbe l’inizio del cambiamento.
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A tutto schermo
IN FUGA DALLA REALTÀ
di Elisabetta Colla
Diverte e commuove il nuovo film diretto da Virzì, co-sceneggiato da Francesca Archibugi, con una straordinaria Valeria Bruni Tedeschi
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opo il successo alla Quinzaine di Cannes 2016, è uscito nelle sale italiane La pazza gioia, ultima creatura nata dal matrimonio professionale (e dall’antica amicizia) tra il regista e sceneggiatore toscano Paolo Virzì (Ovosodo, Tutta la vita davanti, Il capitale umano, La prima cosa bella) e la regista e sceneggiatrice Francesca Archibugi (Mignon è partita, Il grande cocomero, L’albero delle pere, Il nome del figlio). Se la regia di Virzì riesce a raccontare storie a tutto tondo ed a dirigere con acume attrici ed attori, fra quotidiana diversità ed aspirazioni/ deviazioni sociali, il tocco della Archibugi è personalissimo nel disegnare il disagio e la complessità dei personaggi femminili entrando profondamente nel loro intimo, con delicatezza ed incisività: da qui scaturisce l’equilibrio e la godibilità di un film ben riuscito, nella forma e nella sostanza, che parla di psicopatologia della vita di tutti i giorni, cercando di non creare una demarcazione netta tra la linea della
pazzia e quella della ‘normalità’. Le due protagoniste infatti, la fanfarona ed inarrestabile contessa decaduta Beatrice Morandini Valdirana (nel ruolo una Valeria Bruni Tedeschi in stato di grazia) e la fragile ex-cubista tatuata Donatella Morelli (una brava Micaela Ramazzotti), profondamente ferita dalla vita, sono entrambe approdate in una comunità terapeutica per donne con disturbi mentali, sottoposte a misure giudiziarie. Fra le due imprevedibili creature nascerà un’inattesa amicizia ed uno spregiudicato sodalizio che le condurrà ad aprirsi l’una all’altra ed a fuggire per qualche giorno, Beatrice in cerca di libertà ed emozioni forti, Donatella sulle tracce del figlio che le è stato strappato e dato in adozione: “Volevo che le due protagoniste facessero questo iter narrativo - racconta la Archibugi - un incontro, una fuga ed il ritorno a casa”. Il mondo reale, sembra uno dei temi del film, è pieno di follie e, come dice il regista: “Spesso le persone interessanti, da raccontare, sono quelle fuori degli stereotipi, quelle che sbagliano. Non bisogna aver paura dei matti, ma di quelli che ne hanno paura”. Da segnalare anche l’interpretazione di Valentina Carnelutti nel ruolo della psicologa ‘tosta’. Le musiche affidate a Carlo Virzì e le belle location in terra toscana completano una pellicola capace di far ridere e piangere, come si conviene all’arte del cinema. b
Giugno 2016
QUANDO IL Cinema PARLA Spagnolo
Marisa Paredes ospite d’onore a Roma alla nona edizione del Festival del Cinema Spagnolo
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na delle manifestazioni cinematografiche più longeve ed amate della capitale è senza dubbio il Festival del Cinema Spagnolo, giunto alla sua IX edizione, organizzato da EXIT media e diretto da Iris Martín-Peralta e Federico Sartori. Il Festival, svoltosi a Roma presso il Cinema Farnese Persol in Campo de’ Fiori, ha registrato quest’anno un incremento di presenze del 35 per cento con oltre 2.600 spettatori affluiti alle 23 proiezioni proposte nella sei giorni romana. Fra i film più gettonati al Festival: A cambio de nada, una storia di adolescenti diretta da Daniel Guzmán e vincitrice di 2 Premi Goya 2016 (Miglior Regista esordiente e Miglior Attore Rivelazione per Miguel Herrán), in uscita per EXIT med!a; Truman- un vero amico è per sempre, di Cesc Gay, incentrato su temi importanti quali l’amicizia, l’amore e la morte, con due straordinari attori, Ricardo Darín e Javier Cámara. Discorso a parte merita il delizioso film Isla Bonita, diretto ed interpretato, al di fuori di ogni schema, anche produttivo, dal regista ‘veterano’, un po’ disilluso un po’ anarchico, Fernando Colomo - al suo 20esimo film - e girato sulla bellissima isola di Minorca popolata da personaggi unici, che vivono in un’atmosfera rarefatta e particolare. Intervenuto alla proiezione del film in Roma, Colomo, sorta di anti-eroe ed alter ego di se stesso, racconta con semplicità ed ironia le diverse prospettive dei protagonisti: l’ansia di vita della giovane Olivia, la scultrice single Nuria appagata dalla sua arte, i desideri romantici frustrati di Fernando. Finale scintillante con la presenza di Marisa Paredes, attrice icona di Almodovar (Tutto su mia madre, Il fiore del mio segreto) e di un’intera generazione di cinema spagnolo, interprete del film di chiusura del Festival, El espinazo del diablo, di Guillermo del Toro, ambientato durante gli ultimi giorni della sanguinosa guerra civile spagnola, dove l’attrice interpreta la direttrice di un orfanotrofio, che ha perso una gamba. Dal ricordo della grande capacità comunicativa di Del Toro con i bambini sul set del film, alla partecipazione alla ‘movida’ culturale che seguì in Spagna al tragico ed oscuro periodo della guerra, la Paredes ha raccontato se stessa ed il ‘risorgimento’spagnolo: “La movida è stata l’espressione della riacquisita libertà, cessava qualcosa di terribile ed iniziava qualcosa di bello, c’era confusione ma anche energia. Quanto a me, ho sempre cercato ispirazione per la mia professione in artiste come Vivian Leigh e Catherine Hepburn, per la classe e l’eleganza, ma anche come Anna Magnani, per la forza dell’interpretazione, attingendo cose diverse da ciascuna di loro, pur cercando di rimanere me stessa”. Elisabetta Colla
Salomé bella e crudele L’interpretazione, originale, di Al Pacino, regista e attore
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incitore del Queer Lion alla Mostra del Cinema di Venezia, arriva in sala il film sperimentale, scritto e diretto da Al Pacino, Wilde Salomé, il cui titolo gioca con le parole wild (selvaggio) e Wilde, cognome di Oscar Wilde, autore di Salomé, uno dei più controversi lavori del grande e sfortunato scrittore irlandese. Un po’ cinema un po’ teatro (‘Il mio obiettivo - afferma Al Pacino - è stato quello di unire la qualità fotografica del cinema, con l’essenza dell’acting propria del teatro’), il film racconta la storia di Salomé - interpretata dalla bellissima Jessica Chastain - figliastra del Re Erode, innamorata senza speranza del profeta Giovanni Battista, tenuto prigioniero dal perfido patrigno, che a sua volta è invaghito della giovane donna: in cambio di una danza seduttiva, la testa del Battista sarà tagliata. Distribuito da ‘Distribuzione Indipendente’ il film, disponibile anche in versione con sottotitoli, sperimenta una nuova modalità di doppiaggio, dove gli attori (fra questi, Gabriele Lavia, Ivana Pantaleo, Annamaria Guarnieri, Paolo Sassanelli) interpretano i propri personaggi attraverso voci autentiche e poco ‘raffinate’. Al Pacino, regista, racconta la sua ossessione per l’opera Salomé e per l’artista Wilde, interpretando come attore il doppio ruolo di sé stesso e di Re Erode. Elisabetta Colla
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TRA EMOZIONI E SBERLEFFI Elisabetta Colla
Grande successo per lo spettacolo di Max Paiella, al Teatro Brancaccio, replicato al Premio Arvalia
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hi non ha mai riso a crepapelle per una delle tante esilaranti imitazioni del vitalissimo artista romano Max Paiella, comico televisivo e radiofonico, imitatore, cantante e vignettista? Fra le più riuscite ricordiamo quella di Augusto Minzolin e dell’ex-sindaco Gianni Alemanno (per citarne due fra le più note), per non parlare della capacità di Paiella di inventare personaggi caricaturali quali Vinicius du Marones, cantore di Trishteza da Porto Alegre, Demetrios Parakulis, cantautore greco di alto spessore morale o Nikolaj Tekorcov, cantante baritonale inviato da Grande Madre Rossija per "virilizzare" il pubblico italiano attraverso la Missione Virilova. La stessa poliedrica verve e straripante energia che Paiella, ha da sempre profuso nelle popolari trasmissioni radiofoniche (lo show ‘Il ruggito del coniglio’, in onda dal 2004 al mattino su Rai Radio 2, o ‘Max Paiella tutto compreso’, sempre su Radio 2) e televisive, e nei tanti programmi satirici cui ha partecipato (‘Telenauta’ '69 con Lillo e Gregg; ‘Parla con me’, ‘The show must go off’, con Serena Dandini; ‘Gazebo’, con Zoro; ‘Tintoria’ e molti altri) sono pienamente valorizzate dal vivo, come nel suo ultimo spettacolo Solo per voi, portato in scena di recente al Teatro Brancaccio di Roma ed ospitato successivamente al Premio Arvalia, organizzato presso il Municipio XI della Capitale dalla Compagnia della Terra Alta. Qui le doti di Paiella cantautore e musicista, attore comico e fantasista a tutto tondo, vengono fuori al meglio, insieme ad un naturale carisma di simpatia ed umanità, evidenti nel dialogo instaurato con il pubblico per le ‘canzoni a richiesta’, stile jukebox umano, sempre utilizzando lo stesso giro di accordi con la chitarra, o nella discesa fra le poltrone del teatro a stringere mani e scherzare con gli spettatori: “Avevo in mente di portare in scena dei paragoni fra musicisti e politici, vecchi e nuovi - afferma Paiella - per scoprire che la politica e le canzoni, talvolta, hanno dei punti in comune: la mia
idea era quella di ispirarmi ai cantastorie, artisti di strada che giravano di città in città raccontando l’attualità in musica, portandosi dietro un pannello dipinto con le storie a fumetti”. Irridente di tutto e tutti, il menestrello Paiella propone un viaggio attraverso il complesso universo delle emozioni umane, presentando un personalissimo e dissacrante ‘manuale di sopravvivenza emozionale’ fatto di musica, sberleffo ed ironia. b
VERSIONE SANTIPPE una replica Nello scorso numero, Santippe - col pezzo dal titolo Chiesa e omosessualità, la bellezza del dubbio - si era dedicata a Krysztof Charamsa, l’ex Ufficiale della Congregazione per la Dottrina della Fede, noto per avere fatto outing, ad ottobre 2015, alla vigilia del Sinodo. Nel pezzo si faceva riferimento alla sua lunga relazione con Eduard, di cui a suo tempo tanto si parlò, senza che il particolare fosse mai stato smentito. Forse l’eccesso di comunicazione - ricordiamo anche l’annuncio, sempre durante la conferenza stampa passata alla storia, dell’imminenza dell’uscita di un libro autobiografico - hanno indotto Charamsa a rivedere quel ‘pezzo’ della sua vita che ha fatto la cronaca. Fatto sta che ci ha gentilmente scritto, e il gentilmente non è ironico, per chiederci di apportare una correzione laddove scrivevo che la sua relazione durava da 16 anni. Il loro amore, ci dice, è invece recente. Un aspetto che secondo Charamsa cambia il quadro generale, perché farebbe supporre una doppia vita che lui, invece, dichiara di non avere avuto, essendosi rigorosamente attenuto alla disciplina della Chiesa. E che a differenza di colleghi, che vivono relazioni nascoste, lui mai ha pensato di fare altrettanto. Accogliamo dunque la richiesta di Charmsa, che tiene ad evitare ogni ambiguità interpretativa. Va detto che a chi ha apprezzato la sua scelta d’amore e verità, e grazie a questa ha messo in discussione se stesso e la propria capacità di giudizio, cambia davvero poco. Ad Eduard e Krysztof, che si dice sicuro che la nostra rivista fa bene, “se riesce a porre al centro del dibattito italiano la donna e la donna in prima persona e al plurale, non secondo uno schema preconfezionato a cui le donne dovrebbero umilmente sottomettersi secondo una rigida visione patriarcale cattolica”, Noi Donne augura ogni bene e la felicità. b di Camilla Ghedini
Giugno 2016
DONNE IN POLITICA: LE SUFFRAGETTE E ANTIGONE
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eryl Streep, nella parte di Emmeline Pankhurst nel film Suffragette afferma: noi non vogliamo violare la legge, noi vogliamo fare la legge e riecheggiano le parole di Virginia Woolf - sono gli stessi anni - che ne Le tre ghinee dichiara, in riferimento alle giovani donne del suo tempo: “le figlie degli uomini colti volevano come Antigone …trovare la Legge... si tratta di leggi che vanno scoperte ogni volta da ogni nuova generazione con uno sforzo della ragione e della fantasia...”. Essendo queste due caratteristiche, continua Woolf un prodotto del corpo, poiché esistono due tipi di corpi, che presentano differenze sostanziali ne consegue che le leggi devono essere interpretate in modo diverso; la scrittrice allora si chiede “se sia possibile a ciascun sesso non solo scoprire le proprie leggi e rispettare quelle dell’altro, ma anche condividere con l’altro i risultati delle scoperte reciproche”, concludendo poco dopo “ma tutto questo e prematuro”. Non posso affrontare in poche righe il continente (o matassa) che si apre dietro queste affermazioni, lo tratterò anche altre volte, per ora rilevo come da più parti la riflessione femminista contemporanea, il postfemminismo o l’oltre femminismo torni a interrogarsi come fare la differenza in politica, come significare la differenza sessuale nell’agorà? Pure di fronte a una accresciuta partecipazione di donne alla vita politica? Forse in parlamento è presente l’androgino? ironicamente si sono chieste parla-
mentari, filosofe, accademiche ed esponenti di associazioni storiche come l’UDI in un incontro, richiamandosi al bel libro L’androgino tra noi a cura di Barbara Mapelli, (collana sessismoerazzismo, Ediesse, 2015) che tra l’altro si interroga su la scomparsa della differenza nella politica istituzionale. Se Suffragette ricorda le aspre battaglie femminili dei primi del ‘900, se in Italia si festeggiano i Settanta anni del voto alle donne, il gender gap in politica - la sottorapresentanza - come in altri ambiti sociali ed economici è ancora rilevabile, non solo, ma si insinua la sensazione (e il fatto concreto) di una sorta di neutralizzazione, di uno svuotamento delle differenze nelle istituzioni politiche. Personalmente un filo della matassa concettuale e pratica lo colgo nel disegno di una cittadinanza non-indifferente (che approfondirò nel prossimo SOS), che oltrepassa il “senza distinzione di sesso, razza ecc.” (espresso in tante costituzioni, nella dichiarazione dei diritti), ma volendo risalire a un modo diverso di “essere cittadine”, ritorno a Antigone, l’eroina di Sofocle, quale espressione di un’antropologia sessuata e quindi di una nuova politica possibile. Antigone rappresenta l’abbattimento di fortificazioni, non un ghenos prepolitico o l’esclusione femminile, ma piuttosto segna l’ingresso nella polis di una serie di valori fondamentali, anzi urgenti, oggi: la priorità del dominio morale, l’apertura a una prassi della relazione, in cui etica e politica non si scontrano ma si intrecciano. Non solo, ma proclama (con modalità femminile?) il diritto d’esistenza nella sfera pubblica di leggi altre da quelle di una ragione di stato, sorda alla passione personale. Donna, combattuta ma non scissa fra due leggi, Antigone invita a riconoscere cittadinanza ai sentimenti morali e alle passioni civiche nella/nelle città. E oggi Antigone può tornare in soccorso della politica morente nelle nostre democrazie di inizio millennio. b
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Giugno 2016
LEGGERE L’ALBERO dI BRUnA BALdASSARRE
IL TEMPO DELL’EQUILIBRIO TRA LAVORO E FAMIGLIA Cara Bruna, sono una trentatreenne laureata in giurisprudenza lavoro in banca e ho due bambini. Sono sposata e ultimamente ho qualche problemino, mi sento un po’ spaesata come se avessi perso i miei obiettivi. Mi aiuti a recuperarli? Il mio albero ti dice qualcosa? Ketty Cara Ketty, per molte donne questo periodo, che corrisponde alla fase ‘centrale’ della vita, presenta l’aspetto di una maggiore compenetrazione della nostra individualità nel corpo fisico. Si dovrebbe ricevere la forza per realizzare gli obiettivi posti e vederne i frutti. A differenza degli uomini, nella stessa fase, le donne sono più orientate verso la propria famiglia, soprattutto se hanno dei bambini. Questa fase, in un’ottica biografica, è chiamata ‘epoca dell’anima razionale e affettiva’, poiché si deve integrare nella nostra personalità il pensiero e il sentimento, cioè ragione e cuore. Può anche essere definita come lo sviluppo delle ‘aspirazioni obiettive’. La fase che va dai 28 ai 35 anni rispecchia il periodo preadolescenziale della vita e si può individuare un interrogativo fondamentale nel funzionamento del mondo e nell’organizzarsi in rapporto ad esso. Può essere difficile trovare il giusto respiro rispetto all’ambiente in cui si vive, nel senso di un adeguato equilibrio tra lavoro e famiglia. Capacità di adattamento e sviluppo libero dell’individualità affinché l’Io non venga soffocato! Occorre creare un giusto equilibrio tra idealismo e illusioni. Nel matrimonio solo un vincolo comune e spirituale può introdurre il legame in una nuova fase futura. In realtà verso la fine della fase dei 28-35 possono affiorare delle sensazioni - come descrive bene Dante nell’immagine della ‘foresta oscura’- tipiche della fase successiva, e presagio che la vita possa avere anche un altro contenuto rispetto alla semplice obiettività. È come se il mondo ci fosse ancora per essere afferrato e cambiato! Il tuo albero ci dice che sei ancora una grande sognatrice e che hai avuto un forte trauma all’età di circa 2 anni e un altro all’età di circa 7 anni. La base del tronco ci dice che puoi avere una certa inibizione a partire nelle imprese, come una sorta di freno, e un attaccamento al passato (figura materna) con difficoltà a svincolarti, con il rischio di restare legata e dipendente dalla figura affettiva di riferimento. La chioma, equivalente al tuo Io sociale, rivela il rischio di un’eccessiva difesa, espressa con il silenzio o con una sorta di auto aggressività ma anche gentilezza, buone maniere con un bel senso della forma.
FAMIGLIA
Sentiamo l’Avvocata ZAINO IN SPALLA TRA MAMMA E PAPÀ di Simona Napolitani mail: simonanapolitani@libero.it
L
a crisi coniugale e la conseguente separazione, consensuale o giudiziale, comporta una regolamentazione dei rapporti tra i coniugi e tra i genitori. Tra tali regole vi è anche la modalità con cui i figli devono incontrare il genitore non collocatario, quello cioè che ha lasciato la casa coniugale e non convive più con i figli. La prassi vuole che li incontri a fine settimana alterni (e qui i giorni possono variare dal venerdì alla domenica, dal sabato al lunedì mattina con riaccompagnamento a scuola, ecc. ecc), una/due volte durante la settimana con eventuale pernottamento tra un pomeriggio e l’altro. La riforma del diritto di famiglia e quindi l’introduzione della legge sull’affidamento condiviso ha portato una maggiore considerazione dei diritti del genitore non affidatario e, tra questi, anche quello relativo alla frequentazione con i figli che sono rimasti in casa, nella prassi si è pertanto ampliato il tempo in cui i minori sono in compagnia e frequentano il genitore con cui non convivono. C’è chi è favorevole ad un’ampia frequentazione e c’è chi è contrario, secondo questi ultimi i minori - già provati dalla separazione del loro padre e della loro madre - devono avere una vita che si svolge con una certa stabilità e, nel concetto di stabilità di vita, rientra certamente evitare che i ragazzi siano sottoposti ad un continuo spostamento tra la casa del padre e la casa della madre, con le valigie in mano, con lo zaino in spalla e con un senso di frammentazione del loro sé. È vero che i minori sottoposti ad un regime di continui spostamenti possono presentare, nel tempo, alcuni disagi come ad esempio forme di iperattivismo o difficoltà di concentrazione, con conseguente minore resa scolastica. Di recente, sul punto si è espresso il Tribunale di Roma secondo cui: “i figli minori hanno rispettivamente 5 e 3 anni.... in ordine alla frequentazione infrasettimanale del padre si ritiene di limitare il pernotto infrasettimanale alle settimane in cui i minori staranno con la madre per il week end onde evitare una periodo lungo di distacco dalla madre, sconsigliato anche in relazione dell’età ancora tenera”. Come al solito le scelte migliori sono quelle non estreme, per cui personalmente ritengo più utile una permanenza presso la casa del genitore collocatario, che preveda due/tre giorni accorpati e consecutivi, anziché un “frequente andirivieni”.
Giugno 2016
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SPIGOLANDO tra terra, tavola e tradizioni di Paola Ortensi
GIUGNO Tra l’acqua di San Giovanni e il nocino delle streghe Giugno racconta, nei colori e nelle lunghe giornate, la fine della primavera come preparazione alla maturazione della natura con l’esplosione generosa di ciò che la terra, dopo la fioritura primaverile, darà nell’estate. La terra acquerellata da pomodori, meloni, cocomeri o fiori di zucchine provocatoriamente aperti, e magari poggiati sul viola di una melanzana che al sole aspetta la piena maturazione e occhieggia ai peperoni appena sotto a rami di frutta colorata, o a quei fichi neri, che le hanno copiato il colore e che, grandi e grossi fioroni d’estate, sembrano
godere del gusto che daranno a chi li coglierà per assaporarli. Le scuole sono chiuse, il ritmo delle famiglie prende il segno dell’estate e, tra week end e prime fughe dalle città, le feste che non mancano mai sono occasione di allegria e di rivitalizzazione di tradizioni e culture. Ed eccone una, il 24 giugno, quasi corrispondente al solstizio: San Giovanni Battista. Una ricorrenza che, a considerarla con attenzione, più che mai esalta quasi al di là di ogni volontà, quel matrimonio tra sacro e profano che spessissimo, portato dei secoli, segna
INTRIGANTE PORTA D’ESTATE
ricorrenze e festività di un paese come il nostro e come tanti che nella campagna, nella natura, nel verde dei campi, dei boschi e delle montagne abbiano radici importanti della loro storia. E allora il 24 giugno, festa di San Giovanni, viene incredibilmente dopo la notte del 23, ovvero la notte delle streghe. Quella notte che in tanti paesi - narra “la storia” - le streghe appunto ballavano, o forse ballano, il sabba sotto un noce,famoso per l’Italia quello di Benevento. E a ricercare, fra le due ricorrenze si possono identificare imprevedibili punti di contatto come, in primis, l’acqua di San Giovanni. L’acqua veniva e viene “prodotta” raccogliendo all’alba erbe e fiori quando ancora la rugiada brilla tremula sul verde. Erbe aromatiche scelte per le proprietà medicamentose. Erbe come: l’iperico, la rosa canina, la menta, l’artemisia, la lavanda, l’assenzio, la verbena , il ribes rosa, il vischio o il sambuco, la ruta o il rosmarino e altre ancora. Erbe che, poste una notte nell’acqua - che poi filtrata può usarsi per bagnarsi viso e mani e non solo - viene tramandato come avessero un forte potere contro malocchio e malasorte e promettessero comunque benessere e fortuna e di guarire tutti i mali. Una narrazione che continua, oggi, in tanti luoghi - come gli agriturismi, per esempio - attivi nel far rivivere le antiche tradizioni Acqua, chissà, forse in memoria di un’acqua ben più significativa, quella del fiume Giordano con cui Gesù volle farsi battezzare da San Giovanni appunto Erbe come quelle che le donne da sempre raccoglievano conoscendone i poteri medicamentosi e che forse per questo nel Medioevo divennero una delle cause
di accuse di stregoneria per magie considerate inspiegabili.. E forse di magia fu accusato anche quel liquore, il nocino, che si può presumere le streghe “inventarono” raccogliendo dopo il sabba le noci in maturazione il cui mallo fresco risulta indispensabile per la ricetta del liquore. Più difficile la ragione - e la lasciamo alla fantasia - spiegare la tradizione per San Giovanni, almeno a Roma, della raccolta delle lumache, che escono di norma dopo la pioggia e che sono considerate un cibo prelibato per chi ne è goloso.
RICETTE Nocino 250 gr di noci verdi da porre a macerare per 40 giorni in 250 gr di alcool a 60° e 250 gr di acqua, mettere in un recipiente chiuso esposto al sole; alla fine 2 gr di corteccia di cannella, 10 gr petali di rosa, 6 gr di semi di finocchio e qualche chiodo di garofano. Lasciare riposare ancora qualche giorno poi filtrare e gustare!
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Giugno 2016
Francesca Piovesan
La vita della poesia Una discesa nell’abisso dell’amore, del dolore, della morte, della natura di Luca Benassi
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a poesia, al pari di un testo sacro, può essere letta all’infinito, in epoche della vita e in contesti diversi, ogni volta offrendo la scintilla di un pensiero o di un’emozione che alla lettura precedente erano rimasti nascosti, che non si era riusciti a cogliere. Questo perché la poesia è frutto di un dialogo continuo e sempre diverso fra la parola e chi la legge, fra
il suono e l’orecchio di chi l’ascolta. La raccolta di esordio di Francesca Piovesan, pubblicata nel 2015 da Giuliano Ladolfi Editore, sembra richiamare fin dal titolo “Una vita, tante vite” questa necessità di una continua rilettura, di una discesa nel profondo che da una vita ne fa gemmare altre, come semi nascosti al centro del vaso, pronti a germogliare. La scrittura di Piovesan è limpida, cristallina, di una chiarezza a tratti disarmate, come osserva Giulio Greco nella prefazione al volume, ma in questa semplicità apparente nasconde la profondità di una ricerca nelle contraddizioni della vicenda umana, un affondare nell’abisso dell’amore, del dolore, della morte, della natura. Insomma, dietro la facilità del linguaggio, comunque mai banale ma sempre controllato negli esiti formali, si celano un pensiero forte, un esercizio del dubbio e della fede per fare i conti con le domande che da sempre attanagliano il genere umano. Si leggano i testi che aprono il libro, dedicati alla tragedia del Vajont e alla figura del Crocefisso, nei quali il «brivido della morte» dell’onda di fango sembra trovare una via di fuga nel «buio che si fa luce» del Cristo coronato di spine, già presago di una prossima resurrezione. Analoga tensione è rinvenibile nelle poesie più sentimentali, dedicate all’amore, al ricordo, alla ricerca di un’armonia che sappia coniugare la lontananza della persona amata con il desiderio più vero e bruciante. Più distesi sono i testi di argomento naturalista, dedicati alle stagioni, al loro passaggio come specchio della condizione umana. Anche in questi, tuttavia, la poetessa è sempre alla ricerca di una smagliatura, di un varco montaliano verso la luce che possa dare senso al faticoso cammino della vita: «Nell’amorfo torpore/ di una profonda afflizione/ ecco apparire due scaglie di mare./ Rifrangono riverberi smeraldo.» La poesia di Piovesan si fa leggere con attenzione e sentimento, anche grazie a una felicità del dettato che regala un lirismo puro, segno di una penna matura piena di passione.
Vajont. L’onda infame D’un tratto il buio brivido di morte. Occhi allucinati sbarrati nella notte. Vento furioso senza tempesta. Parole sospese in grida di terrore. Volti strappati alla vita. Il tutto, il nulla.
— Stagioni In una danza perpetua ondeggiano le stagioni simili a desideri insoddisfatti. Volteggiando leggiadre al ritmo di quadriglia si prendono per mano e poi si lasciano. La vita dell’uomo prodigiosamente allietano scandendo il tempo rapace. Stagioni: odori, colori, suoni perpetuamente ondeggiano cristallizzati in un attimo fuggente.
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Lontananza Io ti sento, ti sento vicino. Per un attimo tutta mi pervadi. Come sangue caldo come dolce vino mi ottenebri la mente e un sopore mi prende. Mi abbandono al ricordo per amarti ancora.
adesso è h c o n r g e t s o pe s o u t l o de n g o s i b a h E N NOIDON adesso è h c r pe ra e b i l e n o i z a m or va difesa l’inf e t n adesso e t s i è s E h R e l c per to vuole essere un giorna
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