DIFFUSIONE STRAORDINARIA
NOIDONNE MARZO 2016
Fai del tuo otto marzo un giorno di impegno a favore delle donne Listino vendita copie noidonne 2016
GENNAIO / FEBBRAIO 2016
L’UTERO È MIO E...? NO
MATERNITÀ SURROGATA
LE OPINIONI DI LEA MELANDRI, MARISA RODANO, GIORGIA SERUGHETTI E DELLE DETENUTE DI REBIBBIA
IDO
NN ED AB EV BO E V NA IVE TI RE
prezzo sostenitore 3,00 euro Anno 71 - n.1-2
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ISSN 0029-0920
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I T A N O ABB O P M E IL T O S S E D ÈA
O S S E D A È H C R PNOIEDONNE ha bisogno del tuo sostegno O S S E D A È H C R Pva Edifesa l’informazione libera O S S E D e t n A e t s i È s E H R e l C PpiùEchRe mai questo vuole essere un giorna Le possibilità di abbonamento a NOIDONNE sono le seguenti:
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Gennaio-Febbraio 2016
DELFINA
di Cristina Gentile
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SOMMARIO
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14 UDI / VERSO IL CONGRESSO Conoscere la nostra storia per scrivere il futuro di Rosangela Pesenti
01 / DELFINA di Cristina Gentile 03 / EDITORIALE
4/7 ATTUALITà
16/23 FOCUS / L’UTERO È MIO E…?
04 CAMBIARE IL MONDO NONOSTANTE TUTTO di Giancarla Codrignani 06 LA SOTTILE DIFFERENZA TRA DOTTRINA E MISERICORDIA di Stefania Friggeri
16 La politica anomala del femminismo Verso Paestum, 4/6 marzo Intervista a Lea Melandri di Silvia Vaccaro 18 Conversando a tutto campo Intervista a Marisa Rodano di Tiziana Bartolini
8/9 BIOETICA VIVERE CON L’ARTE LA FELICITà A PASSO DI DANZA di Ileana Mattion
20 Madri a tutti i costi Le opinioni delle detenute di Rebibbia 22 Che sia maternità surrogata ma Stop al libero mercato Intervista a Giorgia Serughetti di Tiziana Bartolini
10/15 INTRECCI 10 Culture indigene di pace I sentieri della Terra di Federica Tourn 11 ORGANISMI DI PARITà. ARRIVA L’EBOOK IL PUNTO, OGGI, E LO SGUaRDO SUL FUTURO POSSIBILE 12 DonnaeSalute/ Salsomaggiore Terme Salute del perineo, benessere della donna
24/25 JOB&JOB 24 Donne in Campo/Calabria Coltivare canapa sulla Sila Intervista a Antonella Greco di Tiziana Bartolini
Mensile di politica, cultura e attualità fondato nel 1944
Direttora Tiziana Bartolini
Anno 71 - numero 1-2 Gennaio-Febbraio 2016
Presidente Maria Costanza Fanelli
Autorizzazione Tribunale di Roma n°360 del Registro della Stampa 18/03/1949 Poste Italiane S.p.A. Spedizione abbonamento postale D.L. 353/2003 (conv. In L.27/02/2004 n°46) art.1 comma 1 DCB Roma prezzo sostenitore €3.00 euro Filiale di Roma La testata fruisce dei contributi di cui alla legge n.250 del 7/8/90
gennaio/febbraio 2016 RUBRICHE
Editore Cooperativa Libera Stampa a.r.l. Via della Lungara, 19 - 00165 Roma Stampa ADG PRINT s.r.l. Via Delle Viti, 1 00041 Pavona di Albano Laziale tel. 06 45557641 PROGETTO GRAFICO Elisa Serra - terragaia.elisa@gmail.com Abbonamenti Rinaldo - mob. 338 9452935 redazione@noidonne.org
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26 /31 MONDI
34 Locri/Minacce al calcio a 5 femminile di Maria Fabbricatore Genova/L’edicola di Officina Letteraria
26 POLONIA/Svolta a destra di Beata Maria Szydło di Cristina Carpinelli 28 GERMANIA/Rete donne Italiane a Stoccarda di Silvia Vaccaro
35 Francesca Prestia, ballata per Lea Garofalo di Mirella Mascellino
29 ECOPROFUGHI Le donne le prime sentinelle di Emanuela Irace
36 Violenza sessista/Campagna HeforShe La parola agli uomini di Vanna Palumbo
30 EGITTO/Centro El Nadeem Violenza domestica tra povertà e paura di Zenab Ataalla
38 Appennino/Zaino in spalla Due cavalle per amiche di Francesca Mastracci
31 AIDOS/Rapporto sulla popolazione
40 Arte e teatro potrebbero salvarci Intervista a Maddalena Crippa di Alma Daddario
32/44 APPRODI 32 La disillusione/ Scilla Finetti di Elisabetta Colla Trotula de’ Ruggiero/ Tommasina Soraci Le marocchinate/Stefania Catallo Chi trova un tesoro trova un pirata/ Narrare la parità
amiche e amici del progetto noidonne
Clara Sereni Michele Serra Nicola Tranfaglia
Laura Balbo Luisella Battaglia Francesca Brezzi Rita Capponi Giancarla Codrignani Maria Rosa Cutrufelli Anna Finocchiaro Carlo Flamigni Umberto Galimberti Lilli Gruber Ela Mascia Elena Marinucci Luisa Morgantini Elena Paciotti Marina Piazza Marisa Rodano Gianna Schelotto
Ringraziamo chi ha già aderito al nuovo progetto, continuiamo ad accogliere adesioni e lavoriamo per delineare una sua più formale definizione L’editore garantisce la massima riservatezza dei dati forniti dagli abbonati e la possibilità di richiederne gratuitamente la rettifica o cancellazione contattando la redazione di noidonne (redazione@noidonne.org). Le informazioni custodite nell’archivio non saranno né comunicate né diffuse e verranno utilizzate al solo scopo di inviare agli abbonati il giornale ed eventuali vantaggiose proposte commerciali correlate. (L.196/03)
42 ROMA/ASIATICA FILM MEDIALE CARRARA/CANTIAMOGLIELE di Elisabetta Colla
05 Le idee di Catia Iori 07 Versione Santippe di Camilla Ghedini 09 Il filo verde di Barbara Bruni 13 Salute BeneComune di Michele Grandolfo 25 Strategie private di Cristina Melchiorri 45 Spigolando di Paola Ortensi 46 Leggere l’albero di Bruna Baldassarre 46 Famiglia, sentiamo l’avvocata di Simona Napolitani 47 L’oroscopo di Zoe 48 Poesia Müesser Yeniay Il lamento e la pietra di Luca Benassi
44 CORA /LE DONNE RACCONTANO LAVORO E NON LAVORO
ringraziamo le amiche e gli amici che generosamente questo mese hanno collaborato
Maria Fabbricatore Stefania Friggeri Cristina Gentile Camilla Ghedini Michele Grandolfo Catia Iori Emanuela Irace Daniela Angelucci Mirella Mascellino Zenab Ataalla Francesca Mastracci Bruna Baldassarre Ileana Mattion Tiziana Bartolini Cristina Melchiorri Luca Benassi Simona Napolitani Barbara Bruni Paola Ortensi Cristina Carpinelli Vanna Palumbo Giancarla Codrignani Rosangela Pesenti Elisabetta Colla Federica Tourn Alma Daddario Silvia Vaccaro
‘noidonne’ è disponibile nelle librerie Feltrinelli ANCONA - Corso Garibaldi, 35 • BARI - Via Melo da Bari 117-119 • BOLOGNA - Piazza Galvani, 1/h • BOLOGNA - Piazza Porta Ravegnana, 1• FIRENZE - Via dei Cerretani, 30-32/r MILANO - Via Manzoni, 12 • MILANO - Corso Buenos Aires, 33 • MILANO - Via Ugo Foscolo, 1-3 • NAPOLI - Via Santa Caterina a Chiaia, 23 • PARMA - Via della Repubblica, 2 PERUGIA - Corso Vannucci, 78 - 82 • ROMA - Centro Com.le - Galleria Colonna 31-35 • ROMA - Via Vittorio E. Orlando, 78-81 • TORINO - Piazza Castello, 19
Gennaio-Febbraio 2016
CHI, SE NON TU? “Con NOIDONNE arriva una ventata d’aria buona. Se mancasse, mi sentirei più sola”. Così un’amica ci ha scritto rinnovando il suo abbonamento. Poche parole che aprono finestre su mondi poco conosciuti e che interpretiamo così. Un flusso martellante di notizie ci soffoca e al tempo stesso non soddisfa il nostro bisogno di leggere la realtà. È lontano dalla necessità di una lettura corale che non risponda alla frenesia dell’immediato ma che tenti di percorrere strade a noi familiari con linguaggi in cui ci riconosciamo. Che interpreti fatti e fenomeni con l’altro punto di vista. Quello che è certamente assente dalla debordante e parziale narrazione quotidiana. NOIDONNE da oltre 70 anni svolge questo ruolo e racconta l’altra faccia della luna al mondo intero e non solo al genere femminile. Lo fa attraverso le donne, pensandole come soggetto plurale (noi e non io), rispettando le diversità (donne e non donna), sempre rinnovandosi ma nel solco delle sue origini. Senza NOIDONNE questo flusso cesserebbe lasciando uno spazio vuoto. In assenza di vicinanze ci si sente sole. In mancanza di idee originali manca l’aria buona. Questo, crediamo, ci ha voluto dire la nostra amica e abbonata. Pensiamo a quanto, tutte noi, siamo debitrici a quelle giovani staffette partigiane che hanno trasportato i primi fogli clandestini di questo giornale, pedalando con la forza delle gambe e lottando per il sogno della loro e della nostra libertà. Noi, oggi, stiamo lottando affinché questo cammino delle donne continui e perché le nostre voci non siano soffocate e oscurate nel magma indistinto e falsamente neutro della fabbrica dei media. Il mese scorso abbiamo scritto ‘il tempo è adesso’. Per abbonarti e per contribuire alla campagna del 2016. Lo ripetiamo: è una lotta per la R-Esistenza che ha bisogno delle energie di tutte. A partire da te. ADESSO. **
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CAMBIARE IL MONDO NONOSTANTE TUTTO
L’OCCIDENTE È IN RITARDO SULL’ANALISI DEI FENOMENI ATTUALI E COME DONNE NON CONTIAMO ABBASTANZA ANCHE SE IN EUROPA ABBIAMO FATTO I CONTI CON IL PATRIARCATO. MA DOBBIAMO AVERE IL CORAGGIO DI GUARDARE AVANTI PUNTANDO IN ALTO E AVENDO LA TENACIA DEL “FARE FEMMINILE”
di Giancarla Codrignani
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l 2015 si è presentato proiettando sul nuovo anno le conseguenze di tre eventi, destinati a condizionare ancora a lungo non solo noi italiani: l’attentato del 13 novembre a Parigi, la Conferenza sul clima finita l’11 dicembre, la minaccia di Marine Le Pen sulle amministrative francesi. Anche volendo, noi, donne di buonissima volontà ma piene di problemi (anche “Noi Donne” sta sempre più in crisi), non potremo dimenticarcene. Anche perché sono tutti segnali di trasformazioni del mondo in cui la cultura femminile - ancora politicamente poco riconosciuta - deve potersi manifestare prima che fatti “imprevedibili” ci cadano addosso come folgori improvvise. Pazienza i cittadini normali; ma i governi, le istituzioni internazionali, i partiti politici dovevano capire che la sicurezza era in pericolo almeno dal 2001, quando sono state abbattute le “torri gemelle”. Contro il fanatismo islamista che ha massacrato 129 francesi, Hollande ha fatto subito partire i Rafale a bombardare Raqqa: senza consultare il Parlamento e gli altri governi europei, e senza una strategia adatte a forme di guerra totalmente inedite. Sull’ambiente l’allarme rosso era scattato alla Conferenza di Kyoto del 1997: purtroppo siamo ancora fermi alla favola di chi sente gridare al lupo e aspetta che il lupo arrivi. Le modificazioni ambientali reclamano urgenti soluzioni unitarie, dato che il clima non si adegua alle frontiere; ma l’Europa non ha unità politica. Così anche la
nuova Conferenza mondiale ha deliberato risoluzioni che non vincolano le scelte nazionali.Le elezioni francesi sono “andate bene” e il Front national ha perso. Le vicende viste da lontano si leggono meglio: si è constatato che la sinistra ha perso così tanto consenso da essere stata esclusa dal ballottaggio, aver dovuto ritirare i propri candidati ed essersi ridotta a chiedere al proprio elettorato di votare Sarkozy (come se da noi si dovesse votare Berlusconi). Memorizziamo la lezione: si vota secondo regole che sono democratiche anche se non piacciono, non si votano principi non negoziabili e non ci si astiene, anche se la sofferenza, la rabbia o l’ignoranza inducono a reazioni autolesioniste. Essere responsabili non significa rassegnarsi. Se Tony Blair ha chiesto scusa per aver imbrogliato il popolo per seguire Bush contro l’Iraq petrolifero con la scusa di “portargli la democrazia”, non possiamo più cedere a nessuna voglia di guerra. Cercando di capire il terrorismo, ricordiamo che anche le brigate rosse credevano di dovere abbattere uno Stato che gli faceva schifo. Oggi altri, di altre culture, purtroppo fondamentaliste, si sentono giustificati se vogliono distruggere un sistema che sfrutta, emargina e danneggia il futuro con la sua immoralità. In Italia non ci potevano essere indulgenze per i “compagni che sbagliano” ai tempi dell’uccisione di Aldo Moro; nemmeno per i musulmani ci possono essere
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“islamici che sbagliano”, ma alle loro incertezze non si può rispondere bombardando i loro paesi. Si rafforza l’odio. Sotto tutti questi aspetti, la sinistra occidentale rischia molto, insidiata com’è dai movimenti populisti che, loro sì, sono il nuovo fascismo. Già ai tempi di Craxi in Italia finiva il socialismo dell’Ottocento; oggi finisce anche la socialdemocrazia perfetta dei paesi nordici, vittime della globalizzazione e passati alla destra e ai partiti nazionalisti. Il ritardo nel rinnovare analisi e progetti paralizza; ne pagano il prezzo soprattutto i giovani, privi di sostegni anche solo morali e non sempre consapevoli di vivere dentro un’economia finanziarizzata a beneficio del profitto, lecito e illecito, che insegna corruzione, egoismo proprietario e nazionalismi, frontiere, paura dello straniero, ricorso alla violenza. Con l’aggravante di un contesto in cui gli stranieri di origine araba sanno che, dopo la prima guerra mondiale, gli occidentali si spartirono regioni che avevano costituito l’Impero ottomano; e sanno che, quando l’Algeria lottava per l’indipendenza, la polizia di Parigi sparò contro le manifestazioni dei loro padri, algerini francesi, causando decine di morti. Siamo in ritardo e dobbiamo avere il coraggio di guardare avanti per recuperare, sapendo che noi occidentali siamo i più ricchi e i meno amati. Come donne non contiamo abbastanza, anche se noi europee abbiamo fatto i conti con il patriarcato e ottenuto la parità di genere. In tutti i paesi arabi ci sono gruppi di femministe, ma sono minoranze esigue che si sono fatte conoscere in questi anni negli organismi internazionali che tutelano i diritti delle donne, senza poter incidere sul potere. Purtroppo non siamo state capaci di costruire relazioni concrete nemmeno con le donne che studiano nelle nostre università o lavorano nelle nostre città. Anche loro, meno ascoltate di noi, a tutti i livelli, in quanto donne, si “fanno carico”. Ci sono ragazze che non vogliono essere vittime dell’Occidente e si fanno vittime volontarie dell’Isis; ma in generale, nei paesi musulmani restano tutte “sottomesse”, pur non volendo nemmeno loro subire la violenza e la guerra. Noi avremo da sostenere l’attraversamento della crisi senza conformarci troppo all’esistente. Nei passaggi storici le cose possono cambiare: basta avere la tenacia del “fare femminile”, che non si adegua alla necessità. Un puntare alto che per noi non è egoistico, significa puntare al bene comune. ❂
IDEE di Catia Iori
UN REGALO A NOI STESSE: LIBERTÀ DI AMARE
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o letto un libro che è un gioiellino di sensibilità umana. Meraviglioso. Regalatevelo, se volete e potete. Avevo bisogno di qualcosa di vero. Che mettesse a nudo i miei sentimenti. Arruffati dalla confusione sociale e da una certa paralisi emotiva che blocca, là fuori, ogni cosa. Il cuore, la mente, i progetti. Se all’esterno non trovo nutrimento per la mia anima femminile, allora preferisco viaggiare “dentro”, alla ricerca di immagini che mi facciano vivere. Che diano corpo alle fantasie più profonde. Sono le parole e le immagini a dare senso al nostro andare. ‘Che tu sia per me il coltello’, ormai datato ma di una profondità sconcertante, è scritto da David Grossman. Un autore che riconcilia col perbenismo superficiale di certo universo maschile. O, all’opposto, stona con la violenta aggressività di chi depone la propria parte femminile andando in guerra metaforica ogni giorno contro tutto e contro tutti. È un libro che ti scava dentro e ti restituisce, se va bene, a una parte, forse la migliore di te stessa. È un libro intimista che ti rende migliore facendoti intravvedere orizzonti nuovi di libertà. Poiché ci si sposa e si procrea con tanta facilità quasi fosse un dovere sociale, assoggettandosi a un comune legge della specie umana e del cosi fan tutti, queste pagine rammentano a me stessa e anche alle donne che cercano valori autentici quanto sia difficile mettersi a nudo e quanta strada occorra percorrere per vincere la paura e arrivare a toccare liberamente, con pienezza, l’anima e il corpo di un altro essere umano. Non pensiate che la cosa sia cosi semplice. Si dà per scontata, è vero, come un normale prassi di empatia individuale. Ma non è così. Ci vuole pazienza, dolore, umiltà nel raccogliersi dentro di sé e radersi con la punta affilata di un coltello “dentro” per poi offrire all’altro qualcosa di puro, di vero, di non comune. E mai banale. Proviamoci. Credo sia il più bello dei regali che possiamo a fare a noi stesse. Sentire che siamo vive nella libertà del nostro essere. Solo così si è davvero capaci di amare e si cantano, se piacciono, le nenie natalizie dal profondo di noi stesse. Un abbraccio a tutte.
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LA SOTTILE DIFFERENZA TRA DOTTRINA E MISERICORDIA
di Stefania Friggeri
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a concessione dell’eucarestia ai divorziati e il consenso al matrimonio degli omosessuali: nel Sinodo della famiglia che si è concluso ad ottobre questi, fra gli altri, gli argomenti di discussione più delicati e problematici che, infatti, hanno trovato voce anche nei media dove le indiscrezioni giornalistiche hanno riferito di uno scontro aspro fra conservatori ed innovatori. Fra i primi, autori di una lettera di protesta contro il metodo sinodale adottato da papa Francesco, ritenuto troppo democratico; fra i secondi l’arcivescovo Claudio Celli (“Prendiamo il caso dei matrimoni falliti: non stiamo parlando di oggetti ma di uomini e donne che soffrono. E lo stesso vale per i gay: la Chiesa non giudica ma soccorre”) e il vescovo Domenico Mogavero (“Ci sono preti gay che consacrano se stessi nel celibato e lo vivono serenamente in una vita equilibrata”), parole che confermano la linea papale: non
giudicare, accogliere (“Guardiamoci dall’avere un cuore duro che non lascia entrare la misericordia di Dio”) ma, contemporaneamente, rispettare la dottrina. E infatti in nome della misericordia Bergoglio, attraverso un Motu Proprio che ha semplificato le procedure processuali, ha affidato ai vescovi l’esame di nullità dei matrimoni falliti affinché i divorziati, dopo un percorso di tipo penitenziale, possano accedere all’eucarestia. Una soluzione sagace che, senza rinunciare al principio dell’indissolubilità del matrimonio, permette di riaccogliere nella Chiesa questi fedeli reietti grazie all’adozione di un nuovo paradigma: “la fecondità degli sposi in senso pieno è spirituale”; ovvero: un’elaborazione più ampia del significato di fecondità ha allargato “il campo semantico” del termine “procreativo” fino ad includere alcune forme di “fecondità spirituale”. La vita di coppia è già feconda nel suo darsi per-
Quando Francesco ha detto “Chi sono io per giudicare?” non si riferiva alla omosessualità ma al singolo omosessuale
ché è dono di sé per l’altro. Genera valore aggiunto… il noi emerge dall’ io-tu come qualcosa di nuovo” (Brogliato, Migliorini). Anche il magistero della Chiesa dunque ha compreso infine che la bellezza dell’unione matrimoniale non si limita alla fecondità biologica ma germoglia dalla generazione del noi. Si legge in “Razzismo e noismo” di L.L.Cavalli Sforza e Daniela Padoan: “(un sentire) in cui la sensibilità e la compassione indicano una possibilità di essere chiamati fuori di sé, a immedesimarsi con l’altro non per possederlo né per difendersene o trarne vantaggio…. ma per dargli il sostegno della presenza”. Se il Motu Proprio mantiene di fatto inalterata la dottrina e la potestà del foro ecclesiastico sull’istituto matrimoniale, la tradizione fa sentire il suo peso anche intorno al tema della omosessualità. Quando Francesco ha detto “Chi sono io per giudicare?” non si è riferito alla omosessualità ma al singolo omosessuale, ovvero ha ribadito la distinzione fra la dottrina e la misericordia, una parola-chiave che esprime l’ascolto e la sollecitudine della Chiesa verso chi soffre, pur sempre nel rispetto della norma generale che rimane immutata. Nonostante siano numerosi gli studi, l’ezio-
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logia della omosessualità non è stata ancora chiarita e nessuna delle teorie proposte (ormonali, psicologiche, genetiche) ha offerto una risposta convincente, causa l’intreccio complicato di vari elementi. La dicotomia etero-omo è dunque scientificamente inaccettabile: “La nostra modalità conoscitiva sta nell’identificare - idem facere, ridurre al medesimo - le cose che ci circondano….chiudendole in categorie che condividano le stesse caratteristiche; ma, come mostra la moderna biologia, e anche il comune buon senso, le soglie sono plurime e si compenetrano, rendendo un puro atto d’arbitrio le pretese di stabilire un confine netto….Definire le caratteristiche di ciascun evento biologico è senza dubbio necessario ma solo a fini classificatori; certo non per ingabbiare in una definizione rigida quanto di meno rigido vi è al mondo, ovvero la vita intesa nelle sue varie forme ed espressioni biologiche” (ibidem). E tuttavia la Relatio Sinidy non denuncia le leggi persecutorie che esistono in vari paesi, per tacere della rigidità dei vescovi africani che hanno promosso nella loro terra leggi omofobe che prevedono pene severissime, compresa la condanna a morte. La Relatio, infatti, spende poche parole sulle unioni omosessuali anche se la loro diffusione e solidità ha costretto il magistero a riconoscere che “il mutuo sostegno fino al sacrificio costituisce un appoggio prezioso per la vita del partner”. Forse vale per la Chiesa cattolica quello che Wittgenstein ha detto di sé: “Il mio lavoro consiste in due parti: quello che ho scritto e inoltre tutto quello che non ho scritto”, ovvero: il silenzio tradisce l’incapacità della Chiesa cattolica di trovare una mediazione fra conservatori e riformatori, e dunque la soluzione è stata rimandata a tempi migliori, magari in attesa del rinnovamento delle alte cariche, ora ricoperte da personaggi nominati dai precedenti papi.
di Camilla Ghedini
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ei giorni scorsi pensavo a quanto ci si spertichi a rivendicare il valore e il senso dell’amicizia, che si traduce e compiace spesso in auto celebrazioni di cui tutti, credo, inconsapevolmente, siamo vittime...’io per te ci sarò sempre’, ‘puoi contare su di me’ e così via, la carrellata è lunga, anzi lunghissima. Ed è fuori discussione che il più delle volte sono frasi pronunciate con assoluta convinzione, al di fuori della retorica e prosopopea. Poi però basta fermarsi un attimo a provare a dare risposta pratica a ciascuna delle soprascritte rassicurazioni per vedere che non è così, per il semplice fatto che non può essere così. Perché ciascuno ha la sua vita, il proprio modo di gestirla. Al punto in cui io mi chiedo fino a che punto ha senso la confidenza, l’am-
sta, quindi posso evitare la narrazione. Tra le persone cui tengo di più, una, che in realtà è uno, ha la sensibilità della carta vetrata passata su un braccio reduce dalla ceretta, se l’amicizia è balsamo... lui è ferita. Eppure il bene è invariato, io so che quando ci vediamo non devo parlare di nulla, se non amenità, così lui sta sereno. Insomma alla fine, la verità è che l’età adulta, nel campo delle relazioni, ti concede moltissime deroghe...ti avvicina al compromesso...riduce le aspettative. Ti fa capire che puoi volere bene e basta, senza motivo, perché ci sono legami che sfuggono, perché c’è un principio di benessere, in quel rapporto, che vale quel non potrà mai esserci come condivisione e partecipazione. Così come credo, sempre più, che dire tutto quel che si prova o
L’AMICIZIA ADULTA missione di debolezza, che induce spesso gli altri, probabilmente per protezione, a darci soluzioni che non ci sono o comunque abbiamo già sperimentato. E allora ti dici che forse, tutta la ‘letteratura’ sul dimostrarsi per ‘come si è veramente’ è una cavolata. Tanto più perché uno è comunque sempre se stesso: quando manifesta, quando non manifesta. E questo perché, in un caso come nell’altro, sceglie. Io che sono sempre stata una che si è fatta prevalentemente i fatti propri, ho capito che forse, se parli di poco o di niente, è meglio. Se non dici, l’amico non sa che hai taciuto, molto semplicemente. Gli amici più consolidati sono quelli cui non racconto, perché non ho bisogno di confidare, mi vivono nella quotidianità, ci sono e ba-
si pensa non è ‘il segno’ di amicizia, lo è in parte, ma vale anche accettare che gli altri sono diversi da noi e il nostro punto di vista è giusto per noi, ma non per tutti. L’altro giorno avevo la febbre e la mia amica Erika alle 8 di mattina mi ha portato le medicine prima di andare in ufficio, mi ha mandato un sms alle 6.30 per sapere se avevo dormito, è uscita apposta per andare in farmacia e venire qui. Non mi ha detto ‘qualsiasi cosa tu abbia bisogno ci sono’ , aspettando la mia richiesta, mi ha scritto ‘cosa ti serve?’. È un po› la differenza che c›è tra chiedere ‹come stai?›, che non significa niente, e chiedere ‹come stai oggi?›. La differenza è sostanziale. In amicizia vince la quota fiducia, non la completezza delle informazioni.
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di Ileana Mattion Istituto Italiano di Bioetica www.istitutobioetica.org
VIVERE CON L’ARTE LA FELICITÀ A PASSO DI DANZA “Ogni forma d’arte, di letteratura, di musica deve nascere nel sangue del nostro cuore. L’arte è il sangue del nostro cuore; io non credo in un’arte che non nasce dal desiderio dell’individuo di rivelarsi all’altro. Io non credo in un’arte che non nasce da una forza, spinta dal desiderio di un essere di aprire il suo cuore”. Edward Munch
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l benessere psicologico è uno stato che si può anche misurare, e chi ci ha provato, su un vasto campione di popolazione, ha scoperto che il massimo della felicità si raggiunge nella fase finale della vita, ma non è una crescita costante, perché, dopo gli alti livelli della gioventù, si raggiunge il minimo del benessere a circa 50 anni. A 18 anni la felicità è a livelli alti, poi declina rapidamente fino a 25 anni, quindi rimane stabile per poi crollare di nuovo dopo i 35 e arrivare ai minimi intorno ai 50. Ma la buona notizia è che poi le cose migliorano continuamente: più si va avanti con l’età, più ci si sente felici e in pace con se stessi, liberi da preoccupazioni, rabbia e stress, nonostante la salute declini. La percezione di stress è ai
tiva, permette un’espressione diretmassimi intorno ai 25 anni, poi diminuta, immediata, spontanea. Lavorando isce sempre, crollando dopo i 50. La sulle risorse individuali e utilizzando le preoccupazione, invece, cresce fino parti positive, si ottengono dei camai 50 e poi declina rapidamente. La biamenti più facilmente e stabilmenrabbia diminuisce costantemente con te che andando a sollecitare le parti l’età. La tristezza, invece, ha una prenegative. Ad esempio, attraverso l’arsenza piuttosto stabile, con il massimo te grafica, attraverso un disegno, un sui 50 ed un nuovo incremento dopo colore si può tenere sotto controllo i 70. La gioia ha un andamento specul’aggressività. La musica, invece, può lare: dopo aver subito un crollo tra i 18 facilitare l’espressione dei sentimenti e i 30, rimane costante fino ai 55-60, Attraverso il teatro si ha la possibilipoi aumenta parecchio, ma comincia tà di impersonare ruoli nuovi e meta declinare dopo i 75. La felicità ha più tersi nei panni degli altri; ma è con la o meno lo stesso andamento. danza che si lascia libero il corpo di Ognuno ha in sé delle risorse proprie esprimersi al di là delle convenzioni. che vanno semplicemente stimolaLa danza è una forma di espressione te. Le Arti Terapie svolgono questa di sentimenti che lavora sui funzione e ci consentono comportamenti muscodi credere ed essere fidulari e modalità posturali ciosi nelle capacità che L’ARTE che riflettono tensioni tutti quanti noi posPASSA ATTRAVERSO e modalità psicolosediamo. L’arte non L’INTELLETTO, giche. L’obiettivo passa attraverso È ISTINTIVA, PERMETTE principale è metl’intelletto, è istin-
UN’ESPRESSIONE DIRETTA, IMMEDIATA, SPONTANEA
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Il filo verde nifestarsi della propria tersi in contatto con il L’OBIETTIVO individualità, in una proprio corpo e dare PRINCIPALE completa aderenza ascolto alle emozioDELLA DANZA È METTERSI IN CONTATTO al proprio io. Nesni che vi albergano, CON IL PROPRIO CORPO suna arte ha confini sciogliendo tensioE DARE ASCOLTO così ampi .. chi danza ni fisiche, risolvendo ALLE EMOZIONI si abbandona alla beablocchi emotivi e psititudine di un gioco concologici. La musica ha sacrato, all’ebbrezza che la funzione di stimolare il lo allontana dalla monotonia movimento creando un amdella vita di ogni giorno, dalla realtà biente favorevole dove sia possibile tangibile e dalla prosaica esperienza dare forma corporea ad una emozioquotidiana e giunge là dove immagine nascosta. La danza può essere vista nazione fantasia e sogno si destano e come un dramma, in cui il linguaggio diventano forze creative … Non esiste del corpo sostituisce quello verbale. avvenimento nella vita dei popoli priInteressanti le parole di Curt Samitivi che non sia consacrato dalla chs, musicologo tedesco, scompardanza. Nascita, circoncisione, iniziaso a metà del secolo scorso, tratto zione delle fanciulle, nozze e morte, da Storia della danza: “La danza è la seminagione e raccolto, onoranze ai madre delle arti. Vive ugualmente nel capi, caccia, guerra e banchetti, lutempo e nello spazio. In essa creatonazioni e infermità: per ogni cosa è re e creazione, opera e artista, fanno necessaria la danza. E non si tratta di un tutt’uno. Movimento ritmico in una spettacolo e di festa secondo la nostra successione spazio-temporale, senso odierna concezione ... La danza, nella plastico dello spazio,viva rappresensua essenza, altro non è che la vita intazione di una realtà visiva e fantastinalzata a un grado più elevato e intenca. Danzando, l’uomo ricrea queste so ... ma quando nelle civiltà superiori cose con il suo stesso corpo, ancora essa diviene arte nel senso più stretto prima di affidare alla materia, alla del termine, allorché diviene oggetto di parola,il risultato della sua esperienspettacolo e la sua influenza è diretta za. Nella danza i confini tra corpo e agli uomini e non più ai demoni, il suo anima, tra espressione libera dei senuniversale potere si spezza, si frantimenti finalità utilitaria, tra socialità e tuma...ma ciascuna civiltà racchiude individualismo, tra gioco, culto, lotta e ancora in sé, come germe spirituale, la rappresentazione scenica, tutti i connozione sublime che ‘danza’ è ogni mofini che l’umanità ha costruito nel corvimento soprannaturale e sovrumano”. so della sua evoluzione, si annullano. Tutto è presente nella danza: il corpo, che nell’estasi viene trasceso e dimenticato per diventare ricettacolo della sovrumana potenza dell’anima; l’anima che trova una felicità e una gioia divina dall’accresciuto movimento del corpo liberato d’ogni peso; il bisogno di danzare, perché una prorompente gioia di vivere strappa le membra al loro torpore; il desiderio di danzare, perché chi danza acquista un potere magico che elargisce vittoria, salute, vita; un legame mistico, che nella danza unisce la tribù tutta, e il libero ma-
di Barbara Bruni
VERBANIA, LA CITTÀ PIÙ VIVIBILE D’ITALIA
È Verbania il luogo ideale in cui vivere. Secondo una ricerca di Legambiente, la cittadina piemontese di 30mila abitanti situata sulla sponda del lago Maggiore sarebbe il capoluogo più verde e vivibile d’Italia 2015. Si tratta di un’eccellenza dal punto di vista ambientale e della qualità dell’aria. Verbania presenta un’alta concentrazione di piste ciclabili e si distingue anche in ambito di raccolta differenziata (circa il 72%). Il capoluogo è primo, a pari merito con Pisa, per la più bassa concentrazione di polveri sottili: nel 2015 la città ha superato i limiti per l’ozono un solo giorno.
FUKUSCIMA: ARRIVA IL PRIMO CASO DI TUMORE
Per la prima volta dal disastro di Fukushima del 2011 un lavoratore della centrale nucleare ha sviluppato un cancro riconducibile alle radiazioni. Ad annunciarlo è il ministero della salute giapponese, che riconoscerà all’uomo indennizzo e pagherà le spese mediche. Sono circa 45mila le persone che hanno lavorato nell’impianto e nelle aree circostanti dopo il disastro.
TUTELA DEGLI OCEANI
Secondo uno studio dell’università canadese della Columbia Britannica solo il 4% delle acque del Pianeta rientra in un’area marina protetta. Il divieto di pesca ed estrazione di risorse dal sottosuolo riguarda invece solo lo 0,5% degli oceani. Il piano strategico per la biodiversità adottato dalle Nazioni Unite prevede di raggiungere la tutela del 10% delle aree marine mondiali entro il 2020. La questione non si limita a istituire nuove aree protette ma anche a gestire in modo adeguato, estendendo il numero delle zone dove è proibito il prelievo di petrolio e gas, così come di pesci, crostacei e alghe, conservando in tal modo la biodiversità. E mentre Barack Obama annuncia in Usa la creazione di due riserve in Maryland e Wisconsin, in Cile si lavora alla realizzazione della terza più grande area marina del mondo al largo dell’isola di Pasqua, dove saranno vietate le trivellazioni e la pesca commerciale. E se in Nuova Zelanda sorgerà un santuario oceanico di 620mila km quadrati, in Antartide è al vaglio la proposta di istituire quattro riserve marine.
I COCCODRILLI DORMONO CON UN OCCHIO APERTO
Anche i coccodrilli dormono con un occhio aperto, proprio come i caimani, i delfini e gli uccelli. Lo conferma uno studio, pubblicato sul Journal of Environmental Biology, secondo cui questi rettili si concedono al sonno lasciando attivo metà del cervello. I coccodrilli hanno infatti un sonno uniemisferico, fanno cioè riposare un emisfero cerebrale alla volta, lasciando una parte sveglia in modo da tenere sotto controllo potenziali minacce o prede.
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CULTURE INDIGENE DI PACE I SENTIERI DELLA TERRA
Da anni Culture indigene di Pace, l’annuale convegno internazionale organizzato dall’associazione Laima, studia le società matrifocali. A Torino il terzo appuntamento di Federica Tourn
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nche in un momento storico in cui si è finalmente capito che la Culture indigene di pace cura del pianeta e il rispetto delI sentieri della terra torino, 18/20 marzo 2016 le sue risorse sono fondamentali per la nostra stessa sopravvivenza, l’attenzione alla Terra viene demandata alla politica dei governi, così legata agli interessi economici dei potentati interni e delle alleanze internazionali. Si è visto lo scorso dicembre a Parigi alla Conferenza internazionale del clima, dove i capi di stato, quasi tutti uomini, hanno Abbiamo i mezzi e la volontà di correggere la direzione inaugurato un vertice blindato, lontano cieca e arrogante in cui ci siamo incanalati da lungo dagli uomini e dalle donne che abitano tempo? In questa terza edizione del convegno, dal un pianeta inquinato, sfruttato e violato titolo “I sentieri della terra”, che si terrà a Torino dal nei suoi delicati equilibri. 18 al 20 marzo 2016, alla Fabbrica delle E in corso Persino quando la nostra cultura occiTrapani 95, verrà data voce agli insegnamenti delle codentale definisce la Terra come Madre munità indigene e a coloro che hanno stabilito relazioni assennate e come fonte di nutrimento sempre sottende una visione ecologicon la Terra e le sue creature. Molti gli ospiti e le ospiti del conca neutra, distaccata e antropocentrica, frutto della scissione tra vegno, fra cui: Maria Teresa Panchillo e Yessica Huenteman, Spirito e Materia, tra regni separati e incomunicabili. rappresentanti del popolo Mapuche, il fotografo parigino Pierre Le società matriarcali viventi, invece, troppo spesso completade Vallombreuse, Michel Odent, neonatologo che, proseguendo mente oscurate dai media, non il lavoro di Leboyer, ha cambiato il modo di concepire la nascita, hanno mai dimenticato di onorare Angelo Vaira, che parlerà della relazione empatica con gli animala vita del suolo che ci nutre. Da li, Francesca Rosati Freeman, Luciana Percovich, Clara Scoanni Culture indigene di Pace, petta. Tra i workshop, Malika Grasshoff, che illustrerà la cosmol’annuale convegno internazionagonia delle donne Kabyle delle popolazioni berbere di Algeria, le organizzato dall’associazione Piero de Marinis e Rossella Semino che condurranno, in un’eLaima, studia le società matrisperienza ludica e creativa, a sperimentare la vita in un’agrocomufocali, che non sono bizzarrie nità, Susun Weed, che condividerà il suo sapere sui benefici delle geografiche o anomalie dello erbe. Simbolo di questo evento sarà l’Orsa, antica manifestazione sviluppo dell’umanità, ma l’esito della Madre Terra nella parte settentrionale dell’emisfero boreale, di un’epoca di ineguagliato equiMadre Primeva che nutre con devozione la sua prole e guarisce librio sociale e di polarità non ancora in opposizione attraverso le ferite, antica e potente Signora degli Animali e delle Piante. b cui è passata verosimilmente tutta l’umanità prima di affacciarsi alla “Storia”. Programma, informazioni, iscrizioni Qual è il rapporto di queste società con la Natura? Come conside(scadenza il 20 febbraio): rano e come difendono i doni della Terra, i semi che sono l’eredità www.associazionelaima.it - tel 340 6220363 comune che le nostre Antenate e Antenati ci hanno affidato? Associazione Laima presenta
@ La Fabbrica delle E, corso Trapani 95 info+programma
www.associazionelaima.it t +39.340.6220363
convegno internazionale
Tre giorni di incontri e seminari per dar voce alle culture che onorano la Terra, in armonia con tutte le creature. Esperienze e idee per una visione più equilibrata della vita.
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ORGANISmI DI PARITÀ: ARRIVA L’E-BOOK!
in generale, di analizzare e proporre interventi sul delicato e complicato rapporto tra donne e potere. Noi Rete Donne ha poi, insieme ad altre, promosso la costituzione dell’Accordo di azione comune per la democrazia paritaria. Molti i risultati raggiunti sia a livello territoriale che nella legge elettorale e che giustificano anche un certo ottimismo. Ma sono tanti quelli da raggiungere ancora; di qui derivano le nostre amarezze, ma anche il dovere di continuare, valorizzando la grande intesa tra l’associazionismo femminile che si è realizzata e la trasversalità, in molti importanti passaggi decisivi, tra le parlamentari. Il risultato nel voto regionale, accompagnato dall’altissimo astensionismo, non è stato incoraggiante. Anche per questo avvertiamo la necessità di dissolvere l’equivoco il punto, oggi, e lo sguarDo che le norme per la democrazia paritaria (quelle approsul futuro possiBile vate e quelle che, ne siamo certe, faremo approvare) da sole bastino a realizzare la parità di genere. Riproponiamo con lungo cammino dell’Acforza, perciò, l’importanza dei cordo di azione comune meccanismi per le pari opportuper la democrazia panità. Valutiamoli, rivisitiamoli, ma ritaria, costantemente percorcon l’intento di valorizzarne e so per agevolare la promozione rafforzarne il ruolo. La discrimiORGANISMI DI PARITÀ delle pari opportunità nell’acnazione di genere necessita di Il punto, oggi, e lo sguardo cesso alle assemblee elettive, strumenti specifici di intervento, al futuro possibile nel 2014 si è concentrato sugli non diluibili genericamente nelle Atti degli incontri organizzati da Accordo di azione comune per la democrazia paritaria organismi di parità, sul ruolo che misure contro le discriminazioni. hanno svolto e sui nuovi obiettivi Al contrario, le discriminazioni da raggiungere. È avvenuto con razziali, di età, di condizione due seminari (16 luglio e 3 disociale si concretizzano specificembre) i cui interventi ora sono camente in relazione al genere. raccolti in un eBook realizzato da Per intervenire, c’è bisogno di NOIDONNE, che è tra le circa 60 reti e saperi: le rappresentanti associazioni e realtà femminili nei Cug (comitati unici di gafirmatarie dell’Accordo e che ha ranzia), le Consigliere di parità, inteso valorizzare questo lavoro le Commissioni, le Consulte, gli pubblicando gli atti dei due apOsservatori”. È possibile scapuntamenti: “Organismi di paricare gratuitamente l’eBook 2 | I QUADERNI DI NOIDONNE rità: lavoro in corso” (16 luglio, dal sito di NOIDONNE (www. Roma, Villa Huffer) e “Democranoidonne.org), trovandovi - olzia paritaria e pari opportunità: tre agli interventi di: Rosa M. norme, esperienza e confronto Amorevole, Maria Bollini Lucicon altri paesi europei” (3 dicembre, Roma, Sala del sano, Alida Castelli, Daniela Colombo, Marilisa D’Amico, Parlamento europeo). “Non consideriamo la pubblicazioFederica de Pasquale, Antonella De Santis, Angela Di ne un approdo - spiegano Marisa Rodano, Daniela CarStefano, Annunziata D’Orazio, Bianca Ferramosca, Aleslà, Roberta Morroni, Graziella Rivitti, coordinatrici dei sandra Maggiani, Flavia Marzano, Anna Maria Isastia, seminari -. Il nostro intento è quello di offrire un materiale Mara Pirozzi, Lucinda Spera, Fiorenza Taricone, Alessanper la riflessione e per l’attività futura nella consapevolezdra Servidori e Arianna Voto - anche una riflessione della za che vi è tanto lavoro ancora da fare”. Consigliera nazionale di Parità, Franca Bagni Cipriani, Quali i passaggi e gli impegni che hanno portato sin qui e la testimonianza della sottosegretaria al lavoro Teresa questo sodalizio? “Nel 2010 era nata Noi Rete Donne Bellanova raccolta da Tiziana Bartolini sull’impatto del sull’obiettivo prioritario di diffondere la doppia preferenza Job Acts sull’occupazione femminile e sulla conciliazione di genere, adottata allora dalla Regione Campania, e, più tra lavoro e famiglia. b
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Nell’ambito di DonnaeSalute il 4 e 5 marzo a Salsomaggiore Terme convegno nazionale per fare il punto su una parte del corpo poco conosciuta ma molto importante. “Salute del perineo, benessere della donna” è il titolo dell’evento proposto dalla onlus Avi Emilia Romagna
Sveliamo il mistero del perineo
“L
e donne crescono senza conoscere il proprio perineo e le sue funzioni, una lacuna che compromette, talvolta anche in modo grave, il loro benessere”. Luigina Baistrocchi e Nicoletta Mestieri, sono l’anima della onlus Avi Emilia Romagna e promotrici del convegno nazionale “Salute del perineo, benessere della donna” che si terrà a Salsomaggiore Terme (4 e 5 marzo 2016) nell’ambito di DonnaeSalute 2016. “Questo titolo ha per noi un significato fondamentale, perché richiama il percorso emozionale che la donna vive sin dalla prima infanzia, quando acquisisce il controllo degli sfinteri e successivamente quando compare il menarca, poi durante la trasformazione tipica della pubertà, alle prime esperienze di sessualità attiva, alla gravidanza e al travaglio di parto, fino al sopraggiungere della menopausa. In tutte queste fasi il perineo è coinvolto a pieno titolo e il rispetto della sua funzionalità si ripercuote sul benessere complessivo della donna, che
può vivere appieno le sue emozioni durante le varie fasi e azioni della vita. Diventa perciò fondamentale aiutarle ad acquisire consapevolezza dell’importanza della salute del perineo, dallo sviluppo dell’immagine di sé fino al ricorso delle cure necessarie, nell’età adulta, per recuperare eventuali malfunzionamenti perineali che, oltre a provocare fastidi, talvolta arrivano ad essere fortemente invalidanti, basti pensare all’incontinenza, alla dispareunia o alla vulvodinia”. L’obiettivo della due giorni - che si terrà presso l’Hotel Valentini Terme - è duplice: lavorare sulla comunicazione, cercando di raggiungere molte donne con le informazioni minime necessarie ad avere cura del perineo, e fare il punto sul versante tecnico scientifico attraverso le relazioni dei massimi esperti nazionali della materia. Anche la politica sarà coinvolta allo scopo di sensibilizzare i decisori su un tema poco conosciuto. “L’apertura dell’evento è affidata alla Senatrice Grazia Emilia De Biasi, presidente della Commissione Sanità del Senato della Repubblica: una partecipazione che è già un impegno a dare ascolto e voce alle donne che soffrono in silenzio e in isolamento di queste problematiche”. Una realtà come l’associazione Avi Emilia Romagna onlus mette a disposizione le proprie competenze e, attraverso la collaborazione con la rete di DonnaeSalute, promuove la possibilità di un ascolto politico, istituzionale e sociale anche allo scopo di diffondere la conoscenza e la pratica di alcune semplici attività necessarie per una prevenzione primaria. Accanto alla divulgazione, il convegno sarà utile occasione di confronto tra professioni che studiano le funzioni del perineo e che dovrebbero lavorare in équipe multiprofessionali, comprendenti anche figure quali: psicologo, psicopedagogista e ricercatore, per meglio comprendere e attuare appropriati percorsi di cura. “Quello che immaginiamo - continuano Luigina e Nicoletta - è che l’equipe dei professionisti si metta a disposizione per una formazione di tutti gli operatori sanitari, affinché il perineo venga conosciuto in tutta la sua complessità”. Gli aggiornamenti saranno pubblicati in: www.donnaesalute.org Info: aviemiliaromagna@libero.it
SI PARLERà DI…
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Nel programma figurano, tra gli altri, interventi di
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Giuseppe Crovini
(ginecologo, dirigente unità specialistica di ostetricia e ginecologia dell’ospedale di Vaio e direttore dipartimento chirurgico Ausl di Parma); Enrica Bertola (uroginecologa ospedaliera, sulla consapevolezza del perineo e delle sue funzioni); Paolo Di Benedetto (fisiatra e neurologo, sul silenzio intorno alle disabilità perineali e la qualità della vita); Giuseppe Dodi (coloproctologo, sul prolasso rettale); Stefano Mazzieri (ingegnere biomedicale) e Roberto Merletti (ingegnere ingegneria del sistema neuromuscolare) sui costi sconosciuti delle incontinenze); Antonella Cavalieri (ostetrica riabilitatrice, sull’approccio olistico nella riabilitazione perineale); Roberto Carone (urologo unità spinale); Lodovica Cugini (ostetrica ospedaliera); Michele Grandolfo (epidemiologo, sulle incontinenze post parto); Mario De Gennaro (urologo pediatrico, sull’urologia nel bambino), Andrea Prati (urologo dirigente unità specialistica di urologia dell’ospedale di Vaio); Mauro Garaventa (presidente A.I.U.G -Associazione italiana uro-ginecologi); Anna Maria Gibin (psicologa) e Antonella Cavalieri (ostetrica-riabilitatrice) su disturbi alimentari e disfunzioni perineali; Filippo Murina (ginecologo, responsabile del servizio di patologia vulvare dell’ospedale V.Buzzi di Milano, direttore scientifico Associazione Italiana di Vulvodinia) sulle disfunzioni perineali e sessualità e vulvodinie; Carla Verrotti (ginecologa salute donna Az Usl Parma) e Samuela Frigeri (avvocata, centro antiviolenza di Parma) su violenza alle donne e mutilazioni genitali femminili; le fisioterapiste Elisa Scotti e Giulia Freschi insieme a Daniela Isetti (presidente federazione ciclistica italiana) sulla tutela del perineo nelle attività sportive; Manila Massari (psico-pedagogista) e Luciana Malmassari (responsabile commissione invalidi civili Azienda Usl di Parma) su un’indagine epidemiologica nelle realtà lavorative di aziende del territorio. Carmen Motta, già deputata, seguirà i lavori anche come moderatrice di alcune sessioni.
www.donnaesalute.org mail: info@donnaesalute.org cell. 3395364627 - 3470940720 - 335454928
ABORTO FARMACOLOGICO E APPROPRIATEZZA DELLE CURE
L’
associazione AMICA (associazione medici italiani contraccezione aborto) ha inviato una lettera aperta alla ministra della salute, Beatrice Lorenzin, riguardo le modalità dell’aborto medico (o farmacologico, RU486), sollecitando un cambiamento della normativa di applicazione che oggi prevede un ricovero ospedaliero di tre giorni. Sulla base delle evidenze scientifiche, dell’esperienza ultraventennale e delle raccomandazioni dell’OMS, non c’è alcuna ragione che sostenga la ragionevolezza dell’attuale normativa. L’aborto medico può essere espletato in sede ambulatoriale e sarebbe raccomandabile nei consultori familiari dove, peraltro, l’obiezione di coscienza è molto meno presente rispetto all’ambito ospedaliero, solo in ultima ratio in regime di day hospital, come peraltro prescrive con molta previdente saggezza la stessa legge 194/78. Come dovrebbe essere per tutti i servizi di primo, secondo e terzo livello per qualsivoglia attività del servizio sanitario nazionale deve essere garantita l’integrazione in rete. Sostenere che tale semplificazione possa rappresentare una banalizzazione del ricorso all’aborto è un’offesa alla dignità della donna e un insulto all’evidenza dei fatti. Anche i legislatori oppositori della legge 194/78, tra le altre motivazioni, addussero tale timore sostenendo che legalizzando l’aborto si sarebbe banalizzato il suo ricorso e sarebbe aumentata la sua richiesta. L’andamento epidemiologico dell’IVG, documentato ogni anno dalle relazioni ministeriali al parlamento, grazie al sistema di sorveglianza attiva messo a punto e gestito dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS), in collaborazione con il ministero, l’Istat e le Regioni e Province Autonome, ha clamorosamente smentito tale timore: la legalizzazione, e soprattutto il riconoscimento alla donna del diritto all’ultima parola, ha determinato una crescita di consapevolezza sempre maggiore nella gestione della procreazione responsabile, grazie all’impegno dei consultori familiari nel garantire informazione e counselling. Le indagini nazionali condotte negli ultimi 15 anni dall’ISS testimoniano l’aumento nell’uso di metodi per la procreazione responsabile in modo incontrovertibile. Il ricorso all’aborto tra le italiane è diminuito del 70% (relazione ministeriale 2015) e anche tra le straniere il ricorso all’aborto sta diminuendo, grazie al lavoro prezioso dei consultori familiari. È espressione di totale irresponsabilità politica, amministrativa e tecnica effettuare interventi terapeutici in strutture inappropriate anche per i costi aumentati indebiti che si devono sopportare e senza trascurare i rischi di infezioni nosocomiali, particolarmente perniciose e difficilmente controllabili a causa dell’antibiotico-resistenza. Il richiamo all’appropriatezza gestionale rimanda anche alla insensatezza scientifica di limitare l’aborto medico entro i 49 giorni quando le raccomandazioni OMS e l’esperienza consolidata internazionale indicano appropriato un termine di 63 giorni , il che aumenterebbe fino a oltre il 50% il numero di IVG espletabili con procedura medica. Il quadro dell’appropriatezza clinica e gestionale si completerebbe se si ponesse fine allo scempio di eseguire l’aborto chirurgico in anestesia generale. Alla maggiore tutela della salute della donna corrisponderebbe un ingentissimo risparmio di risorse da impiegare per potenziare i consultori familiari secondo le raccomandazioni del Progetto Obiettivo Materno Infantile, il che produrrebbe ulteriori innumerevoli benefici di salute e ulteriori risparmi economici.
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Verso il Congresso udi (maggio 2016)
CONOSCERE LA NOSTRA STORIA PER SCRIVERE IL FUTURO “..Il corpo è il punto da cui partire, perché è il nostro esistere nel mondo…” di Rosangela Pesenti
Questa notte ho fatto un sogno.
Estate, sono a una specie di festa di non so quale associazione. Intervengo spostando l’attenzione sulla cancellazione della storia politica delle donne. Mi si affollano intorno delle ragazze che mi chiedono di raccontare. Cerco di trovare delle coordinate di tempo e spazio, delle parole chiave che restino. La negazione del corpo femminile, l’interdizione dello spazio politico e scolastico, l’esclusione dall’eredità dei patrimoni, l’emarginazione e lo sfruttamento lavorativo, la persecuzione delle vite. I passi avanti e indietro, le lotte vinte e le sconfitte, i buchi neri della storia in cui sono affondate le intelligenze femminili, le porte chiuse delle categorie interpretative che hanno cancellato grandi presenze collettive. A scuola avevo qualche anno di tempo, ma qui… Il pensiero scorre rapidamente all’indietro, dalla me stessa che distribuisce volantini l’8 marzo in una piazza diffidente di paese nella straordinaria stagione del neofemminismo, all’Udi delle assemblee autoconvocate, le donne della resistenza che ho conosciuto, le antifasciste che non hanno visto la liberazione di cui nessuno ricorda il nome, le pacifiste dell’inizio secolo, e poi le scrittrici che non si studiano a scuola e indietro indietro la Rivoluzione francese e ancora prima, il dibattito sulla scienza, la Riforma, la persecuzione delle streghe … Ed è solo la storia d’Europa ma c’è molto altro. In un lampo migliaia di immagini mi si affollano, poi, come facevo a scuola, trovo un punto in cui conficcare un “segnatempo”: “Sapete che fu una donna a scrivere il primo trattato di ostetricia e ginecologia? Si chiamava Trotula de Ruggiero, insegnava all’Università di Salerno e probabilmente faceva parte di un gruppo di studiose …”
E mi sveglio. Il corpo è il punto da cui partire, perché è il nostro esistere nel mondo. Da giorni affastellavo appunti per scrivere del prossimo Congresso Udi senza riuscire a comprimere nelle battute richieste un testo scorrevole, ostacolata anche dalla solita influenza che non mi faccio mancare intorno alle feste. Il sogno mi ha portato una situazione che vivo spesso: chiacchiero con ragazze in treno, in aereo, poi loro si tengono in contatto, mi chiedono informazioni. Una che ho conosciuto sull’aereo di ritorno da Reggio Calabria è venuta a trovarmi, un’altra è venuta all’inaugurazione della sede dell’Udi. Ecco il punto da cui cominciare per il Congresso.
Serve ancora un’associazione come l’ Udi? E per fare cosa? Intanto per sapere che cosa hanno fatto le tante donne che l’hanno costituita attraversata conosciuta, nei settant’anni che coincidono con l’Italia democratica.
L’Udi è nata un anno prima della Repubblica e sono certa che anche la sua azione è stata determinante per la scelta, come il primo sparuto nucleo fu importante per il diritto di voto alle donne. Unione di tutte le donne: a lungo sembrò un programma ingenuo e pretenzioso eppure proprio la generazione del neofemminismo, diffidente nei confronti delle vecchie forme della politica, compresa quella che si era sedimentata nell’ Udi sul modello di tutte le formazioni politiche, partiti sindacati e non solo, portò allo scoperto quel corpo differente che il diritto non aveva previsto, la cultura cancellato, la storia rimosso e la politica negato.
Non sappiamo cos’è una donna, ma tutte sappiamo quale potente modellamento simbolico hanno operato le prescrizioni sociali sull’essere donna nel-
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le nostre vite e com’è stato imprevisto il vario percorso di liberazione che ancora continua. Un percorso individuale che cambia il mondo se ci accade insieme. È accaduto e continua ad accadere che donne si trovino in gruppo per un progetto comune che si fonda prima di tutto sul piacere di essere insieme. Oggi i progetti comuni sono anche lavoro di donne a favore di altre donne. Più complicato è trovare un collegamento tra tutti i gruppi per azioni che possano andare oltre investendo la condizione di tutte, mutando l’immaginario sociale. Ormai ci soccorre la tecnologia, ognuna può aprire un blog e lanciare le proprie parole al mondo. Ma ci basta davvero?
Oggi esiste un ceto politico femminile cresciuto all’università, erede degli stessi diritti un tempo maschili, a cosa serve un’associazione nazionale politica delle donne?
Eppure se non conosci la tua storia, quella della casa in cui abiti, delle scarpe che porti, del cibo che mangi, dei diritti che eserciti, dei privilegi che godi, se non hai parole per la storia che si snoda dietro di te, sedimentata nel tuo Dna, nelle memorie che agisci e che ti agiscono, se non sai da dove vieni, il tuo futuro ha la durata della tua piccola vita, ed è davvero poco. L’accesso ai diritti è uno strato sottile di vivibilità del mondo pronto a incrinarsi appena dietro di te, sotto i tuoi piedi di donna se lo percorri con sicumera maschile, se ti tieni stretta al potere di chi preferisce lasciar affondare molte e molti per assicurare la propria salvezza, personale e famigliare. Stiamo scoprendo che quello strato sottile di diritti non era fatto per sostenere il cammino di molti e le donne sono da
sempre selezionate solo per fedeltà al servizio. Eppure sotto quella crosta precaria c’è acqua in cui nuotare, perfino un fondale su cui costruire palafitte sicure per case e istituzioni da abitare come luoghi confortevoli, senza soffitti inarrivabili e porte custodite da guardie armate.
Il patriarcato, o comunque si voglia chiamare un sistema che utilizza forme mutevoli di classificazione delle differenze tra i sessi organizzando un apparato simbolico e giuridico del dominio, ha superato indenne la crisi di due grandi sistemi economicopolitici: la società schiavile dell’Impero romano e il sistema feudale europeo e potrebbe attraversare indenne, solo mutando forme e definizioni, anche la crisi del capitalismo. Come accade? Nel passato anche cooptando quote di donne a sostegno del sistema, attraverso l’elargizione di privilegi e la costruzione di una gerarchia sociale femminile dipendente e/o subalterna e/o imitativa del maschile. Vestali, badesse, casalinghe, governanti, regine, badanti, colf, first ladies, veline, preziose, escort, mogli, ecc. ecc. Sono tante le definizioni della complicità ammantata di scelta, della servitù paludata dal sentimentalismo, della ferocia gerarchica giustificata dal merito. Siamo cittadine sulla carta, ma la strada per molte è ancora lunga e non basterà la vita a percorrerla. La legge è spesso il filo spinato che protegge e rinchiude, il muro che garantisce privilegi e cancella esistenze. L’imprevisto del presente sono le moltissime donne che oltre ad aver consapevolezza della propria condizione, hanno anche gli strumenti per denunciarla e agire una diversa visione della propria vita e del mondo.
Molte donne dell’Udi continuano a pensare quest’associazione come un luogo fatto di molti spazi materiali in cui esistere costruendo progetti che vanno oltre il desiderio.
Ho imparato, nella mutazione del mio esistere come donna, un desiderio che affonda le sue radici nei luoghi oscuri della vita che hanno fatto la storia dietro di me e so che ci sarà una fioritura oltre il tempo della mia vita. Un desiderio che non può essere esaudito da pochi spiccioli e un angolo da piccola parvenu alla mensa di una storia che non parla di noi. Abbiamo un elenco di questioni da discutere. Ma ho bisogno ogni giorno di una visione per stendere un’efficace e utile “lista della spesa”. Per questo sarò al Congresso dell’Udi, portando colori per disegnare una visione e ingredienti commestibili per il lavoro quotidiano di pensare il mondo. b
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L’UTERO È MIO E…? | 1
LA POLITICA
anomala
DEL FEMMINISMO di Silvia Vaccaro
La “scandalosa inversione tra vita e politica”: un mondo creato a partire da sé. Maternità surrogata e molto altro nelle riflessioni di Lea Melandri in vista dell’incontro di Paestum
“È
vero, raramente il femminismo è stato così diviso come oggi su entrambe le questioni, forse perché sono strettamente connesse. Ma, come sempre accade quando nascono divergenze, capita anche di trovarsi davanti a condivisioni inaspettate. È il mio caso”. Così risponde Lea Melandri, voce autorevole e sempre originale del femminismo italiano, che incontriamo durante il suo laboratorio di scrittura di esperienza presso la Casa Internazionale delle donne di Roma. Il suo richiamo alle divergenze e alle condivisioni all’interno del movimento femminista risponde a una mia sollecitazione sui due temi che dividono profondamente le militanti: la prostituzione e la gestazione per altri, su cui si è scatenato un ampio, e talvolta aspro dibattito all’indomani della pubblicazione dell’appello del gruppo Se Non Ora Quando Libere in cui si chiedeva alle istituzioni europee di sancire un divieto assoluto rispetto alla possibilità di ricorrere a questa pratica. “In posizione critica da tanti anni rispetto al pensiero di Luisa Muraro, nel caso della ‘gestazione per altri’ sono d’accordo con lei: lo considero uno sfruttamento della capacità procreativa del corpo femminile, con l’aggravante ‘di classe’. Sappiamo bene quanto possa essere condizionante in questo caso la povertà. Provocatoriamente, lo chiamerei proprio ‘utero in affitto’, per sottolineare che restiamo nella concezione più antica del corpo della madre come ‘contenitore’, dimora, luogo di passaggio, e non come l’esperienza di una singolare unità a due, che segna la vita della donna come dell’essere che cresce dentro di lei, e che si può ipotizzare all’origine della differenziazione che abbiamo ereditato tra
l’identità di un sesso e dell’altro. Il femminismo è stato per me innanzi tutto presa di coscienza di quanto avesse pesato sulla cancellazione della donna come persona, individualità, la sua riduzione a corpo, sessualità al servizio dell’uomo e obbligo procreativo. Da questo punto di vista penso che il processo di liberazione da modelli imposti e purtroppo interiorizzati, per non dire incorporati, sia soltanto all’inizio. Avere oggi, come ricaduta dell’emancipazione, una maggiore possibilità di scelta, uscita dalla passività - ad esempio l’uso del proprio corpo per finalità diverse (successo, denaro, potere, ecc.) - non significa tout court ‘essere libere’ di scegliere. Detto questo, preciso che non chiedo nessun divieto per legge, ma solo che si continui a discuterne senza cedere a facili contrapposizioni”.
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Guardando indietro, negli anni ‘70 le donne si presero le strade e le piazze conquistando diritti di cui godiamo ancora oggi e consapevolezze importanti sul loro ruolo nell’ambito pubblico e in quello privato. Negli anni il tessuto sociale ha subito grandi mutazioni e chiedo a Lea quali pensa possano essere i temi su cui le donne tornino a tessere alleanze e a proporsi come soggetto politico forte. “Si può dire che il femminismo degli anni ’70 è stato un fenomeno di massa, che ha raggiunto le donne di estrazione sociale, istruzione, cultura e professionalità diversa. È entrato nella case come nei luoghi di lavoro: dalle fabbriche alle redazioni dei giornali, dalla scuola alle organizzazioni politiche e sindacali. Non c’è stata mai più una ‘politicizzazione’ così estesa e così radicale nell’assunto di voler andare ‘alle radici dell’umano’. Se tante storie personali, destinate come la mia a restare chiuse nella dimensione ‘privata’ si sono aperte allora all’impegno sociale, a passioni durature, amicizie consolidate da ideali e progetti condivisi, è perché la politica è venuta vicino alla vita, alle domande che chiedevano una risposta collettiva. Nel ‘piccolo gruppo femminista’ ognuna riconosceva alle altre la possibilità di vedere ciò che lei non vedeva di se stessa. L’autocoscienza era una ‘pratica’ e, come si è detto spesso, si poteva trasmettere solo ‘praticandola’. Chi ha visto nel femminismo degli anni ’70 solo la conquista di alcuni diritti e libertà, ignora che cosa è stata la rivoluzione culturale e politica di un movimento che intendeva partire dai luoghi più lontani dalla politica - come le problematiche del corpo, dell’inconscio - per sovvertire l’ordine esistente, i suoi poteri, i suoi saperi, le sue istituzioni pubbliche e private. Non si trattava, allora come oggi, di costruire un ‘soggetto politico’ forte, né tanto meno ‘rappresentanze’ istituzionali, alleanze e così via. Se nei decenni successivi la radicalità delle sue pratiche si è andata sempre più eclissando, è perché si sono incontrati ostacoli esterni - ostilità, messa sotto silenzio, ignoranza, emarginazione -, e difficoltà interne: adattamenti, ritiri nel privato, chiusura sia pure involontaria nelle proprie associazioni. Detto questo, bisogna aggiungere che il femminismo è l’unico movimento che è andato oltre gli anni ’70 e che oggi è presente con pratiche, temi, azioni diverse in tutte le città. Una frammentazione dovuta al fatto che si tratta di una politica anomala, che interroga la vita nei suoi risvolti più intimi, che ha mantenuto in molti casi l’assunto iniziale del ‘partire da sé’, anche quando si tratta di affrontare i problemi della vita sociale nella sua complessità. Non uscirà mai da una costellazione così variegata di interessi un ‘soggetto unico’, per cui la forza collettiva necessaria per essere incisive va cercata nei rari momenti di aggregazione, incontro, scambio di idee ed elaborazione di scelte condivise che sono i convegni nazionali, come i due ultimi che ci sono stati
a Paestum nel 2012 e 2013. E come quello che ci terrà il 4/5/6 marzo 2016”. Proprio di questo appuntamento le chiedo qualcosa di più, circa le intenzioni con cui si è deciso di organizzarlo e quali speranze vi sono riposte. “L’idea di ritornare in un luogo storico del femminismo italiano - a Paestum si era svolto l’ultimo incontro nazionale degli anni ’70, nel 1976 - è nata, occasionalmente o no, da un invito che ricevetti da alcune donne di Paestum l’8 marzo 2012. L’accoglienza che ricevetti, il loro desiderio di farci tornare e la generosa disponibilità dell’organizzazione in loco, decisero con immediatezza di quello che è venuto dopo. Per l’incontro che ci sarà il prossimo anno sono state decisive: la grave situazione in cui sono venuti a trovare i Centri antiviolenza, dopo l’uscita di un “Piano d’azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere”, che istituzionalizzandoli, ne cancella di fatto l’autonomia, riducendoli a servizi sociali; le ricadute sulla scuola, chiamata a fare azione ‘preventiva’ attraverso l’educazione di genere, ma senza tenere conto che portare nella scuola le problematiche del corpo vuol dire innanzitutto formare gli adulti, mettere in discussione la neutralità della cultura trasmessa finora. Un immenso lavoro culturale che non può ridursi, come rischia di accadere, al ‘politicamente corretto’. Promotrice dell’iniziativa è l’associazione nazionale dei centri antiviolenza, D.I.Re, ma con un impegno e coinvolgimento diretto di altre realtà: dalla Libera Università delle Donne di Milano a Scosse, ai Consultori privati laici di Milano alla Casa Internazionale delle Donne di Roma, e altre singole e gruppi legati ai temi della salute nei consultori, e al mondo del lavoro più in generale. Tre giorni insieme, in un luogo incantevole, sarà, come in passato, prima di tutto l’esperienza di cosa voglia dire, nella storia del femminismo, la pratica di un ragionare, discutere, decidere ‘collettivamente’, fuori dagli schemi che hanno imbrigliato finora la politica organizzata, che cosa ha significato per la generazione degli anni ’70 e per quelle venute dopo, la ‘scandalosa inversione tra vita e politica’”. Primum vivere, come è stato lo slogan di Paestum 2012. Versione integrale dell’intervista e videoscrittura in: http://www.noidonne.org/blog.php?ID=06872
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CONVERSANDO A TUTTO CAMPO CON MARISA RODANO di Tiziana Bartolini
Dialogo aperto, dalla maternità surrogata alla politica internazionale fino alle donne arrivate ai vertici. Con la speranza che ad affermarsi sia il meglio di noi
MATERNITÀ SURROGATA
“Sono contraria alla gestazione per altri perché penso che la maternità non si possa comperare. In questa pratica, che viene anche chiamata ‘utero in affitto’, vedo l’idea liberista per cui tutto è mercato e tutto si può vendere e comperare. Credo che l’utero non sia comperabile né vendibile, ma soprattutto non lo è il figlio. Condivido l’opinione di Lea Melandri che sia uno sfruttamento della capacità procreativa femminile con l’aggravante di classe. Ritengo quindi giusto che sia vietato per legge, o almeno sanzionato. Invece penso sia ragionevole che in una coppia che si costituisce, se uno dei due ha un figlio, sia possibile farlo diventare il figlio di entrambi, sia possibile adottarlo”.
La pacatezza e semplicità di Marisa Rodano sono figlie di una lunga esperienza umana e politica. La sua chiarezza è illuminante. “Non capisco le ragioni della confusione che si è fatta tra l’appello di chi chiedeva all’Europa una normativa contro la gestazione su commissione e la proposta di legge Cirinnà che non interferisce con questo dibattito e intende, giustamente, consentire alle coppie, anche a quelle omosessuali, di riconoscere il figlio o la figlia dell’altro/a. Confesso che poco capisco la necessità di ricorrere ad una soluzione estrema come quella dell’utero in affitto quando ci sono migliaia di bambini abbandonati. In Italia sono centinaia i minori soli, sfruttati non si sa bene da chi ed esposti ad ogni tipo di crudeltà. Potrebbero essere adottati, non farlo è una cosa scandalosa e sbagliata”. Una aspirazione antica, forse: quella di avere un figlio ‘mio’… “Torniamo al possesso, all’idea che tutto possa essere comprabile come una merce”.
NUOVI DIRITTI POLITICA FEMMINISMI
Il progresso scientifico, con la possibilità dell’inseminazione artificiale, ha aperto le porte sulle nuove frontiere dei diritti, ma Rodano spiega chiaramente che “i diritti non possono essere illimitati e che il confine è delineato dalla liber-
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tà e dalla dignità dell’altro. Chi vende pezzi del suo corpo non può dirsi libero anche se non gli viene imposto”. Ma perché a suo parere si è aperta una polemica così aspra tra femministe, tra donne che hanno fatto percorsi di riflessione e lotte simili? “Sui movimenti delle donne, oggi, (o, meglio, sui gruppi di donne, presenti soprattutto in modo virtuale, sulla rete) le considerazioni che si possono fare sono tristi. Viviamo in un mondo contrassegnato dalla forza dei media e per esistere devi far parlare di te. D’altro canto la tendenza alla personalizzazione individuale - tipica anche delle forze politiche che ormai sono tutte espressione di una persona o al più di una corrente - ha contagiato anche le donne. I movimenti, o almeno una parte, si sono adeguati a questo meccanismo perverso che intreccia da un lato la pervasività della comunicazione e dall’altro una politica individualista. In questo modo le donne cercano di ottenere visibilità”. Ma la visibilità non ha nulla a che vedere con l’ottenimento di risultati concreti: le battaglie delle donne in anni passati hanno ottenuto leggi e hanno inciso concretamente nella società italiana. Marisa Rodano, nell’Udi e nel Partito Comunista Italiano, è stata alla testa di grandi battaglie che riguardavano milioni di donne. Oggi sono tante le associazioni di donne, che hanno anche molta visibilità, ma non c’è una mobilitazione diffusa sui temi del lavoro, sulla mancanza dei servizi sociali, sull’età della pensione. Come lo spiega? “Penso che una delle spiegazioni sia riconducibile al femminismo che, se ha profondamente mutato la coscienza di sé delle donne e la loro libertà, ha portato, almeno in una parte del movimento, al rifiuto della politica e delle istituzioni e addirittura delle elezioni; qualcuna ha teorizzato persino il non voto. Questa visione ha avuto la conseguenza di ridurre il problema della emancipazione e liberazione femminile ad un fatto individuale o a due, con l’altro sesso o con lo stesso sesso. Si è perso di vista il rapporto con i problemi. Si è così perduto un patrimonio di consapevolezza della lotta collettiva: ‘insieme si lavora, si lotta e si vince’”. Però abbiamo tante donne ai vertici, in Italia e non solo, che ci sono arrivate senza dirsi o sentirsi femministe o figlie di quei movimenti. “Il femminile lo costruisci giorno per giorno, nelle singole circostanze. Non si può stilare un vademecum. Per esempio ho apprezzato l’intervento della ministra Maria Elena Boschi quando si è discussa la mozione di sfiducia nei suoi confronti alla Camera dei Deputati; penso che solo una donna poteva farlo con quegli argomenti, non si è buttata sul politichese e ha fatto la cosa giusta anche sul piano politico. È la conferma che se le donne introiettano il modello maschile e si comportano da uomini, abbiamo perso tutte”.
LA SINISTRA L’EUROPA La tua vita politica è stata tutta nel Pci. A distanza di tanti anni, anche dalla scomparsa di quel partito, ti definisci ancora comunista? “Posso dire che non rinnego il passato, e non me ne pento”. C’è una grande confusione, oggi. Secondo te cosa è ancora di sinistra? “Sono convinta che ci sono alcune questioni che rimangono permanenti: cercare di ridurre le disuguaglianze sociali; offrire condizioni di vita sopportabili alla parte più povera della popolazione; affrontare il problema dell’integrazione degli immigrati; creare le condizioni per l’ingresso dei giovani al lavoro. Queste rimangono questioni fondamentali per le quali una forza di sinistra si deve battere, con una prospettiva di cambiamento dell’assetto sociale per liberarlo dal dominio delle grandi concentrazioni finanziarie e multinazionali. Non si può negare, però, che la sinistra ha delle grandi contraddizioni e non è riuscita a trovare soluzioni o ad analizzare problemi che la globalizzazione ha reso più acuti e ha presentato in modo nuovo. Intanto questa sinistra dovrebbe essere unita quantomeno a livello europeo. E poi ci vorrebbe un’Europa che invece non c’è. In un mondo in cui sono presenti grandi potenze come USA, Russia o Cina, il fatto che l’Europa non sia una potenza politica è gravissimo, ed è remota la possibilità che lo diventi. Anche perché in tanti paesi prevalgono le forze di destra e le divisioni nella sinistra, l’area della socialdemocrazia è ormai debolissima. Sono grandi questioni che non hanno risposte, purtroppo”.
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PAPA FRANCESCO LA RELIGIONE Sei cattolica e ti chiedo che opinione hai di papa Francesco. “Mi piace, anche se secondo me finora si è concentrato sul tema dell’ambiente, e ha fatto bene, in vista del summit di Parigi. Ho l’impressione che sulle questioni della morale di coppia sia un po’ più conservatore: ha, evidentemente, una fortissima opposizione interna che al Sinodo della famiglia si è vista bene. Penso che, in questa situazione, aver lasciato al singolo prete la possibilità di valutare caso per caso per la comunione ai coniugi separati che si sono fatti un’altra famiglia, sia stato un passo avanti, vuol dire non condannare a priori e tenere conto delle specificità. Nel complesso mi sembra che stia svolgendo un ruolo positivo e che si muova nella direzione giusta. Sul dialogo interreligioso, per esempio, tende a dire alle altre religioni che, anche se lo chiamiamo con nomi diversi, c’è un solo Dio. Mi sembra una posizione molto avanzata, molto forte. In un tempo in cui ci preoccupano molto gli integralismi, che ruolo pensi possa giocare la religione? “Sono sempre stata per una netta separazione tra religione e politica. Sono contraria ad un intervento diretto della religione nelle vicende sociali. Il singolo potrà trarre dal suo credo il modo di comportarsi, ma l’essere umano può fare le scelte giuste anche se non è credente”.
UNO SGUARDO SUL MONDO Concludendo questa conversazione, diamo uno sguardo alle questioni internazionali che ci preoccupano molto. “È abbastanza deprimente che non ci sia più un movimento per la pace, ma mi rendo conto che siamo in guerra con un avversario sfuggente e che non c’è un interlocutore chiaro e definito. Come fare la pace con l’ISIS? Loro non vogliono e noi non possiamo. Le grandi potenze, anche strategicamente, non sono attrezzate per affrontare la situazione, ma bisogna anche dire che l’America e l’Europa l’hanno provocata. Si è pensato che eliminando i dittatori, si potesse introdurre la democrazia dall’esterno. E non ci si è resi conto che i movimenti popolari e democratici avrebbero potuto essere inquinati dall’estremismo religioso perché non erano sufficientemente robusti”. Ti piace Angela Merkel, definita persona dell’anno dal ‘Time’? “Si può condividere o no la sua politica - e oggi la politica della Germania non è condivisibile - ma non c’è dubbio che lei è una donna capace, è una statista”. Di don-
BREVE BIOGRAFIA di una lunga vita Maria Lisa Cinciari Rodano (Roma, 21 gennaio 1921) ha partecipato alla Resistenza a Roma nelle file del Movimento dei Cattolici Comunisti e nei Gruppi di Difesa della Donna, subendo anche il carcere. È sempre stata dirigente politica e anche tra le fondatrici dell’Udi, di cui è stata prima presidente e poi dirigente con vari incarichi fino al 1970. Iscritta al Partito Comunista Italiano dal 1946, è stata consigliera comunale a Roma (1946/1956), deputata (1948/1968), senatrice fino al 1972, consigliera provinciale di Roma (1972/1979) ed europarlamentare (1979/1989). È stata la prima vicepresidente donna della Camera dei deputati (1963/1968). Ha 5 figli, 11 nipoti e 10 pronipoti. Attualmente è impegnata nel seguire attivamente le iniziative dell’Accordo di azione comune per la democrazia paritaria.
ne ai vertici di organismi politici e finanziari mondiali ce ne sono molte. Vuol dire che le donne hanno aggiunto la parità? “L’impressione è che ce l’abbiano fatta solo ai livelli alti, mentre nella vita quotidiana continua ad esserci la violenza contro le donne, stipendi più bassi, più disoccupazione”. Insomma il cammino è ancora lungo e c’è da sperare che da lassù, le donne al potere scorgano i bisogni e i diritti negati di milioni e milioni di sorelle che ogni giorno continuano a lottare. Anche per loro.
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MADRI A TUTTI I COSTI Sul tema della maternità surrogata abbiamo chiesto le opinioni alle detenute di Rebibbia che frequentano il laboratorio ‘A mano libera’ che NOIDONNE organizza nella sezione femminile dell’Istituto di pena della Capitale per il secondo anno consecutivo. Alcune sono le stesse che abbiamo già conosciuto e delle quali sono stati pubblicati i testi nel 2015, altre sono nuove iscritte. Si è sviluppato un dibattito interessante che riportiamo sinteticamente quale valido contributo su un tema complesso e attuale. È interessante registrare i sentimenti profondi, le considerazioni e gli interrogativi, in buona parte condivisibili, espressi tra donne e come donne.
Alessia. “Non so se sarei disposta a far crescere un bambino dentro di me per conto di un’altra persona… dovrei provare per questa persona un grande amore. Però sono favorevole alla gestazione per altri perché penso che ognuno debba essere libero di scegliere come utilizzare il proprio corpo”. Anna Maria. “Io sono sicuramente contraria in tutti i casi, anche nelle situazioni più disperate. Tra l’altro sono sicura che diventerebbe un business per tutta la malavita a livello mondiale, come è stato per la tratta delle bianche negli anni ’50. La cosa da fare, invece, è snellire la burocrazia per le adozioni nazionali e internazionali”. Laura. “Fondamentalmente sono d’accordo per questo ‘utero in affitto’ solo per atto d’amore!! Io personalmente, essendo
mamma, non lo farei mai, ma non condanno assolutamente le donne che lo fanno. Dovrebbe essere tutto regolamentato, perché comunque il corpo è della donna, che è padrona di fare ciò che sente”. Loredana. “L’argomento è molto vasto e serio, bisogna trattarlo con cognizione e riguardo. È necessario che sia regolamentato più che da leggi, da persone che studino caso per caso anche se è ovvio immaginare percorsi burocratici lunghissimi ed imparziali, visto l’esempio dell’attuale legislatura. Personalmente non mi sento di approvarlo; essendo madre, non concepisco il distacco mirato da chi hai cresciuto per nove mesi, però ammetto che in tempi moderni la scienza ha bisogno di spaziare e di nuovi concetti. Però, ripeto, come dividere l’amore dalla scelta? Bisogna riflettere ed intanto permettere più adozioni facilitandole per costi e iter”. Luisa. “Non si può mettere in relazione la maternità surrogata con l’adozione, sono cose troppo distanti come concetto. Su quello che viene chiamato ‘utero in affitto’ io sono possibilista ( anche perché non credo si possa fermare qualcosa che è una realtà di fatto) ma con una regolamentazione per tutelare la donna e per evitare di far diventare merce il suo corpo. Ritengo molto pericoloso tutto l’aspetto economico che ruota intorno a questa cosa e mi sembra negativo che siano escluse le famiglie che non possono permetterselo”. Sara. “Io, oggi, non sarei disponibile ad accogliere un bambino per poi darlo via, se fossi in una condizione di bisogno piuttosto mi prostituirei; ma mi metto nei panni di chi fosse costretta a farlo… sarebbe terribile distaccarsi. Però penso anche a una donna che non può avere figli… che dolore. Quindi è difficile dire sì o no…”. Ausonia. “Decisamente no, mai! Impossibile, poi, chiamare atto d’amore un distacco così traumatico da un figlio. Un atto d’amore verso una persona può essere quello di donare un organo, non un figlio. Farlo per soldi, poi… è un’ipocrisia”. Maria. “Sono c’accordo con Ausonia. Io non lo farei mai, ma non mi sento di giudicare chi lo fa”. Federica. “Io non lo farei, ma penso che ogni donna debba essere libera di poter scegliere e, se vuole, di farlo. Senza dubbio serve una regolamentazione normativa e andrebbe vietata ogni forma di pagamento”. Sonia. “Mi domando dove finisce l’atto d’amore e dove inizia l’interesse economico. La grande differenza sta nell’aspetto economico: se non ci fossero i soldi di mezzo, quante donne lo farebbero?”
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CHE SIA MATERNITà SURROGATA MA STOP AL LIBERO MERCATO A cura di Tiziana Bartolini
La gestazione per altri non è di per sé una pratica liberatoria, ma è possibile mantenendo fermo il principio che la prima e l’ultima parola sul proprio corpo spetta a ogni donna
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ul tema della maternità surrogata abbiamo interpellato Giorgia Serughetti, femminista, filosofa e ricercatrice in sociologia all’Università Bicocca di Milano, che ha lavorato molto sui temi che il corpo della donna e il suo uso evocano, compreso il mercato del sesso con il suo libro ‘Uomini che pagano le donne’ (Ediesse, 2013). Dal tuo punto di vista, il fatto che una donna metta a disposizione di una coppia la sua capacità riproduttiva in cambio di denaro è una forma di libertà o di possibile nuova schiavitù? Di fronte all’alternativa risponderei: entrambe le cose, o nessuna delle due. E mi spiego. Io credo che la maternità surrogata faccia parte di quell’insieme di pratiche umane che possono assumere significati anche molto diversi per i soggetti coinvolti, a seconda di come sono organizzate socialmente e del contesto in cui si collocano. La condizione una madre portatrice povera e del tutto priva di tutele, in un paese come l’India, appare molto distante da quella di una portatrice negli Stati Uniti, dove chi si offre per la gestazione per altri deve dimostrare di avere un certo reddito, non essere ciò in stato di bisogno, e avere già dei
figli propri. Motivazioni, vissuti, grado di volontarietà e coercizione differiscono necessariamente nei due casi. L’analisi del contesto è perciò essenziale, mentre condannare tout court questa pratica come asservimento della capacità riproduttiva delle donne mi pare non tenga conto delle volontà singole, del limite che ognuna, se non è costretta da altri ed esercita pienamente la sua autodeterminazione, può e sa responsabilmente individuare per se stessa nell’uso del proprio corpo. Non credo che la gestazione per altri sia di per sé una pratica liberatoria, perciò non sono neanche disposta a celebrarla come tale, ma credo che abbia radici nel controllo che le donne esercitano sul proprio corpo, non nel suo contrario. Posta, ovviamente, l’espressione di piena volontà da parte della madre portatrice, che a mio parere dovrebbe essere garantita lungo tutto l’iter della gestazione per altri (Gpa), incluso il momento del parto, con facoltà di rivedere la decisione presa. La complessità di questo tema è tale che concordo molto con Lea Melandri quando chiede di tener aperto il dibattito e di evitare sterili tifoserie. Come non prevedere che sia più facile che una donna senza strumenti culturali e magari anche povera metta a disposizione il suo corpo solo per bisogno? Come non vedere il rischio che l’affermazione di un diritto per chi chiede la maternità surrogata entri in rotta di collisione con la dignità di un’altra donna? Si possono certo prevedere questi rischi, e siccome si tratta di un ambito d’azione diverso da altri in cui si mette all’opera una capacità fisica per denaro, questo tipo di scambio non può secondo me essere lasciato semplicemente alla regolazione del mercato. In un contesto di libero mercato ci sono infinite situazioni regolate da contratto in cui la diseguaglianza entra come fattore distorsivo, condizionando non poco quelle che definiamo scelte in ambito economico. Non c’è bisogno di guardare lontano, basta pensare alla vita delle badanti straniere in Italia, costrette a lasciare figli per anni o decenni nel proprio paese d’origine. Che tipo di scelta è? Quanto pesa l’assenza di altre opportunità? A maggior ragione nella maternità surrogata, dove la risorsa messa a disposizione è la capacità riproduttiva, c’è da immaginare che in condizioni
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di forte condizionamento economico o culturale possano determinarsi abusi anche gravi. Per evitarlo non servono però nuovi divieti, ma nuovi diritti, nuove tutele per la madre portatrice (nonché per la donatrice di ovuli), tutele che garantiscano protezione da danni fisici, psicologici, sociali, e ispirate al principio della prima e ultima parola sul proprio corpo che spetta a ogni donna. Il parlamento europeo, nell’ambito dell’annuale relazione sui diritti umani, il 17 dicembre ha approvato una Risoluzione in cui si condanna la pratica della maternità surrogata. Che valutazione dai a questo indirizzo e che impatto pensi avrà nei singoli paesi? Non condivido questo paragrafo del rapporto perché non distingue tra situazioni diverse, parla indiscriminatamente di violazione. Infatti qui i parlamentari europei, in prima fila quelli di area cattolica, sembrano indirizzare la condanna della pratica soprattutto ai paesi cosiddetti in via di sviluppo, in cui le condizioni in cui si svolge sono sotto tutti i punti di vista le peggiori. Si tratta comunque di un poche righe, che forse non avranno un particolare impatto. Vedo solo il rischio che si moltiplichino i procedimenti giudiziari verso le coppie che si rivolgono a madri surrogate fuori dall’Ue, affidando di fatto la materia ai tribunali. Come già nel caso della prostituzione, che è stata definita una forma di violenza dalla risoluzione Honeyball del 2014, anche in questo caso la condanna del Parlamento europeo si basa su un’idea oggettiva di dignità della donna, poco rispettosa a mio parere dei vissuti e dei significati che ogni donna può mettere in gioco in pratiche in cui è coinvolto intimamente il proprio corpo. Il movimento delle donne sull’utero in affitto si è diviso e non sono mancate le polemiche nel merito della questione ma molto si è discusso anche sulla scelta del momento in cui SNOQ Libere ha diffuso un comunicato
di condanna della maternità surrogata con un appello all’Europa perché venga dichiarata illegale. Come hai valutato quella presa di posizione? L’ho trovata non condivisibile per le ragioni che ho già espresso, in particolare perché chiede di mettere al bando la surrogacy, quindi adombra l’idea di nuovi reati di cui proprio non si sente il bisogno. Già il ministro Alfano aveva parlato di rendere il ricorso all’”utero in affitto” un reato universale, perseguibile anche se commesso fuori dall’Italia. Mi chiedo: è questa la direzione che vogliamo prendere come femministe? Vogliamo parlare a nome di tutte le altre donne e chiedere al diritto penale di sostituirsi alla nostra politica? C’è poi il fatto che l’appello ha rischiato di impattare non poco sul ddl sulle unioni civili, una misura di civiltà (per quanto ancora insufficiente) di cui non si può ulteriormente rimandare l’approvazione. Marisa Rodano si chiede cosa c’entrino le due cose l’una con l’altra. Tecnicamente, ben poco. La nascita attraverso Gpa riguarda una piccola minoranza di figli di coppie omosessuali a cui si estenderebbe il diritto alla step child adoption. Ma chi ha lanciato questo appello non poteva non sapere che molti avrebbero utilizzato l’argomento anti-surrogacy per provare a bloccare la legge o almeno stralciare l’adozione, senza la quale il ddl farebbe un enorme passo indietro, lasciando ancora una volta migliaia di bambini senza diritti.
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COLTIVARE CANAPA SULLA SILA di Tiziana Bartolini
Innovazione e amore per la terra. Intervista a Antonella Greco, presidente Calabria di Donne in Campo/Cia
“L
a Calabria è una regione bellissima, accogliente e ricca di tradizioni. È la mia terra e non vorrei vivere in nessun altro posto ”. La famiglia Greco coltiva i campi nella provincia di Cosenza da quasi un secolo e Antonella gestisce l’azienda di famiglia dal 1998, in continuità del papà e del nonno, che nel 1929 diede inizio a questa lunga e bella storia. Siamo nell’Altopiano Silano, immersi in magnifici paesaggi naturali dove si respira “l’aria più pulita d’Europa”. Antonella Greco, presidente regionale di Donne in Campo/Cia, descrive la sua azienda con l’orgoglio di appartenenza di chi si sente parte attiva di un contesto straordinario e troppo poco conosciuto per i suoi aspetti migliori. “La nostra è un’azienda a indirizzo zootecnico con duplice attitudine perché produciamo buona carne e ottimo latte. Alleviamo anche maiali che crescono all’aperto e i cereali con cui alleviamo gli animali li produciamo in azienda, che è biologica. Noi stessi facciamo la trasformazione sia del latte sia della carne e produciamo salumi, caciocavalli, ricotte e mozzarelle. Provvediamo anche
alla vendita diretta dei prodotti: ortaggi freschi e trasformati. È un modo per rapportarci con i clienti, ai quali insieme ai prodotti vendiamo tradizioni, sapori e saperi e facciamo conoscere le persone che lavorano tutti i giorni per valorizzare una terra che dovrebbe essere conosciuta di più per le sue tante meraviglie”. L’agriturismo “4 stelle”, completo di punti ristoro e possibilità di pernottare, è tra i vanti di Antonella perché è stata una delle modalità con cui ha ammodernato l’azienda di famiglia. Un processo, quello dell’innovazione, costantemente in corso. Oggi l’azienda è tra le prime in Italia a sperimentare la coltivazione della canapa sativa. “Con la sua farina si produce la birra, oppure un’ottima pasta che è particolarmente adatta ai celiaci visto che non contiene glutine. Anche per la macinazione abbiamo particolari accorgimenti e ricorriamo ai mulini a pietra, come avveniva in passato”. È interessante conoscere le ragioni che portano a cercare nuovi sbocchi di mercato. “Per ragioni climatiche in Sila la monocoltura si può praticare da aprile/maggio fino a ottobre e dovevamo cercare delle produzioni che nel periodo estivo si alternassero alla pataticoltura, la maggiore produzione agricola dell’altopiano silano. Ecco quindi la canapa: una produzione tradizionale nel nostro paese che è stata abbandonata per il pregiudizio che l’ha collegata unicamente alla marijuana. Due anni fa abbiamo sperimentato i campi di canapa da fibra e sativa. La forte escursione termica nell’Altopiano fa sì che i prodotti siano molto ricchi di zuccherina e
STRATEGIE
PRIVATE abbiamo visto che la canapa da fibra attecchisce ma non riesce ad alzarsi, mentre quella da seme matura bene. Nella sperimentazione siamo assistiti da Punto Verde Canapa, associazione che ci fornisce anche il seme garantito con i controlli di legge richiesti sul contenuto di THC. Infatti la pianta della canapa sativa è molto simile a quella per la marijuana e le forze dell’ordine controllano i campi con molta attenzione. Ancora non arrivano risultati economici, ma c’è grande curiosità anche per le sue ottime proprietà nutritive; infatti la farina di canapa è ricca di omega3 e omega 6”. Un’azienda, quella di Antonella Greco, che ha visto cambiare l’agricoltura nei decenni e, per poter continuare ad esistere, ha messo al centro la parola innovazione cercandone sempre nuove declinazioni. “Quando ho iniziato, negli anni ’90, fare agricoltura era molto più facile, soprattutto c’era meno burocrazia. Oggi non siamo considerate aziende agricole ma laboratori industriali, con tutto ciò che ne consegue come organizzazione”. E come competenze, aggiungiamo noi. Già, perché l’agricoltura è un lavoro complesso che ha imposto un aggiornamento straordinario in questi anni nelle produzioni, nel marketing e nelle scelte strategiche. A questa sfida le donne hanno saputo tenere testa, anche in Calabria. “La nostra era una famiglia molto numerosa e io sono una delle ultime nipoti. Ho deciso di continuare a mantenere viva una tradizione di famiglia, insieme a mio marito, ma ho capito subito che l’azienda non era più al passo con le moderne tecniche agricole e che solo con le produzioni non saremmo riusciti a sostenerla. Per gestire la vendita diretta abbiamo fatto investimenti e ristrutturazioni molto importanti; avevamo in mente - e l’abbiamo realizzata - un’azienda moderna di filiera corta. Abbiamo lavorato tanto e ci ha aiutato anche il Psr della Regione Calabria”. Ed è sul chilometro zero e sulla qualità e originalità che punta Donne in Campo per i suoi progetti futuri in Calabria. “Stiamo crescendo e vedo spazi di espansione con una bella rete di aziende interessanti, perché la nostra è una terra con un paniere di prodotti molto vari con terreni che vanno dal mare alla montagna. Vogliamo aprire delle botteghe associate, riducendo i costi di gestione, dove il consumatore può trovare prodotti di nicchia. Poi facciamo i mercatini itineranti e stiamo pensando all’agricatering: un progetto nazionale che stanno portando avanti altre regioni e che saremmo in grado di organizzare bene perché con i nostri prodotti riusciamo a offrire tutti i piatti per un pranzo completo”. Anche in Calabria, come in altre parti, c’è un ritorno alla terra dei giovani e delle donne. “Le giovani generazioni sentono un legame molto forte con le tradizioni e i saperi che non si vogliono disperdere, ma questo è un lavoro che puoi fare solo se ti piace e se hai voglia di veder crescere qualcosa di tuo. Noi donne, nonostante le difficoltà che aumentano, riusciremo certamente, insieme, ad ottenere eccellenti risultati. Buon lavoro, Antonella, con l’augurio che le quattro stelle continueranno a brillare nel firmamento della Sila. Contatti: info@agroturismo4stelle.com - tel 0984/579841 www.agriturismo4stelle.com
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di Cristina Melchiorri
VUOI FARTI ASSUMERE? COMPORTATI COSÌ Sono Anna Maria e, dopo una laurea in lingue, ho trovato subito lavoro nel settore che amo, quello della moda. Dopo quattro anni e dopo aver mandato centinaia di curriculum per ruoli di responsabile vendite, finalmente una prestigiosa azienda di abbigliamento femminile mi ha convocato. Sono un po’ preoccupata perché non ho mai fatto un vero colloquio di lavoro. Come devo comportarmi? Quando posso parlare degli aspetti economici, che ovviamente non sono secondari per me? Su quali aspetti devo essere sincera e su quali meno? Anna Maria Gentili (Milano) Cara Anna Maria, ecco per te dieci regole d’oro per farti assumere. 1.Infòrmati: devi sapere l’indirizzo esatto dell’azienda (non è detto che abbia una sola sede) e il nome della persona con cui sosterrai il colloquio. Attenzione: se non lo dicono, chiedilo tu, per evitare scene penose alla reception, “Con chi deve parlare?” “Boh,... sono qui per il colloquio” “Sì ma con chi?” “Non lo so, mi avete chiamato voi…”; 2.Sii puntuale: arrivare con troppo anticipo ti fa apparire ansiosa, ma certamente arrivare in ritardo farebbe una pessima impressione, 5 o 10 minuti prima dell’ora fissata andranno bene; 3.Il look: tieni presente lo stile dell’azienda, in ogni caso vestiti per il lavoro che vuoi, non per quello che hai già; 4.Come presentarsi: presentati con una buona stretta di mano, guardando negli occhi chi è di fronte a te, dicendo nome (prima) e cognome (dopo), un sorriso non guasterebbe, se l’emozione lo permette; 5.Controlla gli atteggiamenti inconsci: seduta di fronte a chi ti fa il colloquio non alzare “barriere” incrociando le braccia o appoggiando borse sul tavolo, guarda sempre in viso il tuo interlocutore o interlocutrice, la voce, lo sguardo, la postura sono importanti quanto le cose che dici; 6.Domande e risposte: se chi ti seleziona pone domande vaghe, tipo “Mi parli di lei” non rispondere “in che senso?”, la risposta suona eccessivamente difensiva e occhio a come rispondi, non sei su facebook, parla di te rispetto al lavoro, delle tue aspirazioni professionali; 7.La valutazione: nella seconda parte del colloquio chi ti esamina valuterà cosa potresti fare in quella azienda, la capacità di imparare ciò che ancora non sai e la tua disponibilità a farlo, in altri termini il tuo potenziale e la tua flessibilità; 8.Ora puoi fare tu le domande: nella parte finale del colloquio, le domande puoi farle tu sull’azienda, sul ruolo, sul percorso di carriera; 9.Quando parlare di soldi? In genere le domande sugli aspetti economici sono più opportune nel secondo colloquio. Non dimostrarti troppo venale, anche se la retribuzione e le forme contrattuali proposte sono fondamentali; 10.Si può mentire a un colloquio? Non mentire, fai marketing! È ovvio che l’obiettivo di un colloquio di selezione è farti valutare come la persona giusta per quel lavoro, ma è ancora più importante capire se è il lavoro giusto per te.
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LA SVOLTA A DESTRA DELLA ‘LE PEN’ POLACCA Beata Maria Szydło, vicepresidente del partito polacco “Diritto e Giustizia” che ha vinto le elezioni politiche dell’ottobre 2015, è la nuova premier
POLONIA
di Cristina Carpinelli Figlia di un minatore, Beata Szydło era stata indicata da Jarosław Kaczyński (già premier dal luglio 2006 al novembre 2007 e gemello del defunto presidente Lech Kaczyński) come candidata alla presidenza del Consiglio dei ministri alle elezioni generali dell’autunno 2015. Dal 16 novembre è primo ministro della Polonia. Ma chi è, e soprattutto cosa rappresenta per la Polonia, questa donna di umili origini, laureatasi in Etnografia all’Università Jagellonica di Cracovia nel 1989* e assurta ad una delle massime cariche del Paese dopo una brillante e rapida carriera politica? Con la sua nomina, a seguito della vittoria schiacciante del partito “Diritto e giustizia” (Prawo i Sprawiedliwość- PiS), la Polonia, non c’è dubbio, ha di nuovo svoltato a destra. “Diritto e Giustizia” è una forza politica ultra-cattolica, molto vicina al tradizionalismo dell’episcopato polacco. Di stampo nazionalista e populista, que-
La Polonia sto partito ha potuto contare su un moviè tra i Paesi mento di base molto solido. europei Infatti, proprio a questo movimento di base con la più bassa deluso dai centristi di Piattaforma civica, acspesa cusati di averlo escluso dai benefici del boom per la protezione economico nazionale - Beata Szydło si è rivolsociale ta, promettendo di guardare alle campagne e ai cittadini più svantaggiati, spesso senza un lavoro, e non alle arricchite élite urbane. Dal 2004, anno dell’ingresso della Polonia nell’Ue, il Pil di questo Paese è quasi raddoppiato ed il volume delle sue esportazioni nel mercato comunitario è aumentato di tre volte tanto. Proprio per le performance della sua economia nell’ultimo decennio, la Polonia è stata definita la “Tigre dell’Europa centrale”. Eppure, alla crescita costante dell’economia non è corrisposta un’equa distribuzione della ricchezza: grandi profitti per le imprese trainate dall’export e bassi salari e stipendi per i ceti popolari. A questo si aggiunga che la Polonia rimane tra i Paesi europei con la più bassa spesa per la protezione sociale. Allineata alle destre radicali europee, l’etnologa Beata Szydło ha impostato la sua campagna elettorale sulle ingiustizie sociali, basandosi su un approccio statalista (rilancio della crescita attraverso gli investimenti pubblici) e su un sovranismo ostile all’Ue e, da ultimo, sfruttando il dramma dei profughi visto come un pericolo per la sicurezza, l’identità e perfino per la salute dei polacchi. Vergognoso, poiché stiamo parlando di un Paese di 40 milioni di abitanti a cui l’Unione europea ha chiesto di accogliere poco più di settemila profughi. Nonostante il diffuso sentimento cattolico e cristiano, le posizioni nei confronti dei migranti e dei profughi sarebbero state escludenti - come hanno dichiarato diversi esponenti del suo partito (PiS). Il modello da
soprattutto su “più stato sociale e politiche redistributive”. Nei documenti ufficiali del partito ricorre spesso l’espressione “prawo do równości” (diritto all’uguaglianza). Beata Szydło era la donna perfetta per assicurare la vittoria “bulgara” del suo partito (la Szydło regge il primo governo monocolore nella storia polacca dalla caduta del comunismo). Innanzitutto, non dobbiamo dimenticare che “Diritto e giustizia” nasce da una costola di Solidarność, il movimento, poi sindacato cattolico, fondato in Polonia nel settembre 1980 in seguito agli scioperi nei cantieri navali di Danzica. Beata Szydło, nata 52 anni fa a Oswiecim (il nome polacco di Auschwitz), è cresciuta a Brzeszcze importare, a cui la candidata premier ha più volte fatto riferimento (non lontano dal paese natio), nel cuore del bacino carbonifero nel corso della campagna elettorale, è quello ungherese xenofobo ed dell’Alta Slesia, terra di miniere e croci all’ombra della cattoliciseuroscettico di Orbán: “Portiamo Budapest a Varsima Cracovia. Il ruolo di Solidarność nelle lotte savia”. Sui temi socio-economici, Beata Szydło ha dei minatori della Slesia per migliori condizioni di promesso diverse cose: introduzione di nuovi suslavoro è stato decisivo. “Papà era un minatore” “Diritto e sidi per le famiglie con più figli (bonus di 500 zloty ha più volte ripetuto in campagna elettorale con Giustizia” è una al mese, equivalenti a 125 euro, per ogni bambino orgoglio, ricevendo subito il crisma dell’investituforza politica dopo il primogenito fino ai 18 anni); abbassamento ra popolare, in particolare nelle aree a Est e nelle ultra-cattolica, nazionalista, dell’età pensionabile portata dai liberali a 67 anni regioni più povere e rurali del Paese, dove hanno populista e (65 anni per gli uomini e 60 per le donne); medicine scelto in massa il PiS. molto vicina al gratuite per i pensionati; innalzamento della soglia Si è fatta le ossa in politica come sindaco della sua tradizionalismo di reddito esentasse; introduzione di un salario oraBrzeszcze, dove ha “dimostrato che anche una dondell’episcopato rio minimo, che oggi non esiste; tassazione speciale na è capace di fare”. L’esperienza di primo cittadino polacco sulla grande distribuzione, sulle banche e le tranle ha consentito di sviluppare le sue capacità ammisazioni finanziarie; controllo statale sulle imprese nistrative unite allo stesso tempo alla sua attenziostrategiche; diminuzione delle imposte sul reddito ne verso i bisogni sociali. Il presidente della Polonia, delle persone più povere; abbattimento dal 19 al 15% della tassa Andrzej Duda, subito dopo le elezioni presidenziali dell’estate 2015, per le piccole imprese; mantenimento di alcune prerogative per gli aveva dichiarato a Radio Cracovia che la Vice presidente del PiS, agricoltori, ecc. Beata Szydło, candidata premier per le elezioni di ottobre, “sarebOltre a quelle economiche e sociali, Beata Szydło ha messo sul be la persona giusta al posto giusto” (“Beata Szydło nadawałaby się piatto anche altre questioni: riorganizzazione doskonale do roli ... taka osoba byłaby właściwą osobą na właściwym in senso autoritario dei poteri dello Stato, con miejscu”). E l’ex premier, Jarosław Kaczyński, alla domanda: ‘Chi è l’esplicita previsione che il presidente della Beata Szydło?’ (“Kim jest Beata Szydło?”), aveva, invece, risposto Beata Szydłoera Repubblica possa governare per decreto, durante una conferenza stampa: “è davvero notevole, pur restando ha sfruttato mettendo la magistratura sotto il controllo una tipica donna polacca” (“Jest zupełnie niezwykłą, a jednocześnie il dramma dell’esecutivo, condizioni più restrittive in zwykłą polską kobietą”). dei profughi materia di controllo delle nascite, accesso Utilizzando un linguaggio “moderato”, tale da ribaltare l’immagine agproponendolo più difficile alla fecondazione assistita, stergressiva che il partito aveva assunto all’epoca dei gemelli Kaczyński, come un pericolo zata confessionale nel campo dell’educazioe toccando il vero punto critico dopo gli otto anni di un governo accuper la sicurezza, ne e dei diritti civili con il rafforzamento del sato di aver perso il contatto con i figli della Polonia, Beata Szydło si l’identità e per la salute ruolo della catechesi nell’ambito del sistema è guadagnata il consenso popolare per “affidabilità e patriottismo”. dei polacchi scolastico, dimostrando come l’impronta catE si è messa subito al lavoro con l’incarico di nuovo primo ministro, tolica e conservatrice sarebbe stata sempre affermando che “il buon cambiamento comincia dall’ascolto”…. più un elemento caratterizzante della sua politica, fino all’idea di introdurre la religione * Nel 1995 è diventata dottore di ricerca presso l’Università Jagelcome materia per l’esame di maturità. lonica di Cracovia; nel 1997 ha completato gli studi post-laurea in Il programma elettorale di Beata Szydło è stato vincente perché ha management culturale alla Scuola Economica di Varsavia e nel 2001 puntato dritto al welfare, che manca in Polonia da 20 anni. Diversain gestione del governo locale nell’Ue presso l’Accademia Economimente dalla precedente politica del partito tutta incentrata su “Dio, ca di Cracovia. È stata borsista del Dipartimento di Stato americano patria e famiglia”, questa campagna elettorale ha puntato anche e nell’ambito “dell’International Visitors Programme”. b
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POLONIA
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Una rete di donne L’amore e i diritti (acquisiti e negati). Se ne è discusso all’incontro annuale di Rete Donne a Stoccarda
GERMANIA
di Silvia Vaccaro
L’
amore, si sa, sconfina sempre. È nella sua natura prendere pieghe inaspettate, non fermarsi di fronte a barriere linguistiche, culturali, religiose o etniche, riuscendo così a mantenersi indomabile. Ma in un mondo in cui gli esseri umani sono chiamati ad assomigliare il più possibile, e non solo sul lavoro, a rigide macchine di calcolo, parlare d’amore, e per lo più di amori sconfinati, può suonare rivoluzionario. Le associate di Rete Donne, associazione presieduta da Lisa Mazzi e che coordina donne italiane che vivono in Germania, ha scelto proprio questo tema per il suo appuntamento annuale, dando vita lo scorso novembre ad un evento dal titolo “Amori sconfinati: diritti acquisiti e diritti negati nei rapporti di coppia binazionali”. Un evento che cambia città ogni anno e che in questo 2015 è stato ospitato a Stoccarda, grazie alla passione e alla disponibilità di due donne splendide quali sono Cristina Rizzotti, nata in Germania da famiglia italiana, organizzatrice di eventi proprio nell’Istituto italiano
di cultura della capitale della regione del Baden–Württemberg, che ha ospitato l’iniziativa, e Simonetta Puleio, docente di lingua e letteratura italiana all’Università di Stoccarda. All’iniziativa hanno partecipato donne italiane di diverse generazioni e residenti in varie città della Germania da periodi più o meno lunghi. Tutte insieme per parlare di amore e confrontarsi anche su
tematiche concrete, ad esempio, cosa fare se ci si separa da un uomo tedesco con il quale si hanno dei figli in comune. Quale diritto si applica nel caso del mantenimento? E nel caso dell’affidamento dei figli? Durante l’incontro c’è stato anche spazio per un contributo sugli amori LGBT, sulla situazione italiana con il DDL Cirinnà-bis fermo in Senato, e la follia gender a imperversare nei discorsi on e off line. Eppure, come abbiamo sottolineato durante l’intervento, nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea non si fa nessun distinguo tra eterosessuali e omosessuali, quando si esprime su ciò che costituirebbe, appunto, una famiglia. Invece l’Italia, scandalosamente, continua a non riconoscere nemmeno i diritti minimi a queste coppie e questa mancanza, tutta politica, contribuisce alla formazione di zone grigie senza tutele, in cui spesso si trovano minori. La società va avanti e la politica non tiene il passo. Da anni. Nonostante siano tante le voci di intellettuali e maestri del diritto ad essersi pronunciate in favore: “Prima riconosciamo pari dignità a tutte le relazioni affettive e prima saremo in grado di costruire dei modelli culturali adatti a questa nuova situazione. Finché manteniamo il conflitto e l’esclusione, tutto questo diventa più difficile”, ha dichiarato Stefano Rodotà alla Repubblica qualche mese fa durante un’intervista. La giornata a Stoccarda è proseguita con il pranzo da Loretta, donna toscana che si è inventata un Kulturgarage, si beve vino, si suona e si leggono ad alta voce - come i tedeschi amano fare grandi classici come ‘La Divina Commedia’ o ‘I Promessi Sposi’. Nel pomeriggio due bravissimi artisti hanno dato un assaggio dello spettacolo che porteranno nei teatri tedeschi sulla figura di Rosa Balistreri, amatissima figura del canto popolare siciliano, per tanti anni finita nel dimenticatoio, per poi ritornare in auge con le sue liriche struggenti. Un convegno che è stato momento di scambio e di arricchimento, oltre che di allargamento di questa rete al femminile. Un modo concreto per sentirsi italiane fuori dai confini nazionali e al tempo stesso cogliere, insieme ad altre donne, le possibilità, spesso straordinarie, che discendono dal vivere in un paese diverso da quello che ha dato i natali. b
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Troppa o poca pioggia sta provocando una emergenza umanitaria progressiva. I rifugiati climatici saranno circa 500 milioni entro il 2050 e almeno 200mila si sposteranno dall’Africa
di Emanuela Irace
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iccole isole che scompaiono, popolazioni senza più terra ma anche dati statistici e cifre che si dimenticano. Come il numero delle vittime di un uragano, donne e uomini scampati allo tsunami o al ciclone Katrina. Intere famiglie sfollate e dirottate nei campi profughi. Sono i popoli strappati alla terra dopo una catastrofe naturale. Sono i sopravvissuti alla siccità o alla troppa acqua. Per molti osservatori sono le vittime di un modello di sviluppo che produce rifugiati ambientali, con cifre da capogiro. Secondo un rapporto dell’Environmental Justice Foundation,
sfioreranno i 500 milioni entro il 2050. Tra questi almeno 200mila, soltanto per l’Africa, potrebbero accedere allo status di rifugiato climatico. Una emergenza umanitaria progressiva, meno eclatante della guerra, ma che come la guerra richiede protezione. “Environmental refugees”, è stato il termine coniato per gli oltre 300mila evacuati in seguito all’esplosione del reattore nucleare di Chernobill. Era il 1986. Da allora in ambito accademico la configurazione giuridica si è evoluta. “Il punto - spiega la giurista Anna Brambilla - è trovare una categoria di protezione umanitaria che connoti i rifugiati climatici dando loro uno status giuridico che li differenzi da altre categorie di migranti e richiedenti asilo”. Un popolo di invisibili, quasi sempre piccoli gruppi sociali, prevalentemente
donne, contadini e pescatori che hanno perso ogni capacità di auto sostentamento. Intere comunità che in ogni parte del globo sono costrette a migrare perché il mare entra dappertutto e il sale brucia la terra. Perché la stagione delle piogge dura meno con conseguenze drammatiche in tutta l’Africa australe, ma non solo. In Senegal per proteggere le coltivazioni si potenzia l’utilizzo di mangrovie, le foreste acquatiche che trattengono l’alta marea. Ai bordi del lago Vittoria si coltivano varietà arboree che fanno da scudo ai problemi legati alle variazioni climatiche. Piogge che duravano 80 giorni ridotti a 60 e ci si industria importando razze di capre capaci di sopportare lunghi periodi di siccità. Altrove non c’è modo di resistere. In Tchad il cambiamento climatico spinge interi villaggi a continui spostamenti interni, col corollario di tensioni inter-etniche strumentalizzate dal terrorismo di matrice jihadista. Succede in Mali nella comunità peules dove ancora una volta sono le donne le prime sentinelle ambientali. Attente ai particolari sono le prime a monitorare il territorio perché sono loro da sempre a cercare cibo e acqua per la famiglia. Anche la salute della comunità è in mano alle donne. Erbe medicinali sensibili ai cambiamenti ambientali che non si trovano più mettendo in crisi economie basata sulla sussistenza. Migrazioni fuori confine per i rifugiati del Bangladesh fuggiti da paesi letteralmente sommersi dall’acqua. Fantasmi che sfuggono alle statistiche e nessuna legge internazionale che li riconosca. Condizioni legate all’ambiente che sono sempre esistite ma che negli ultimi due decenni hanno subito un’impennata. Che si abbracci la tesi negazionista o che si esageri nell’allarmismo resta un dato incontrovertibile: sono sempre meno le terre a disposizione, e senza terra non c’è cibo. “Per questo prosegue la giurista Anna Brambilla - “è indispensabile considerare il contesto di provenienza e distinguere tra ambiente e clima, tra migrant worker e rifugiato climatico”. Un rompicapo per associazioni come l’UNCHR e uno spauracchio per la politica che prima o poi dovrà confrontarsi con una nuova categoria di richiedenti asilo. b Foto tratte dal sito: http://www.alovelyworld.com/webmali/htmfr/djenne_ marche_malienne.htm
ecoprofughi
Le donne prime sentinelle ambientali
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VIOLENZA DOMESTICA TRA POVERTà E PAURA Da anni le associazioni femminili egiziane si battono perché si parli della violenza domestica e perché si affronti concretamente. La testimonianza di Magda Adly, direttrice del Centro El Nadeem
EGITTO
di Zenab Ataalla
S
econdo l’indagine governativa pubblicata nel 2014 che prende in considerazione più di 20mila intervistate, il 36% delle donne sposate con un’età compresa tra i 15 e i 49 anni ha subito violenza fisica o psicologica tra le mura di casa. L’aguzzino è il marito per il 64%, ma a questo si aggiunge il 26% di chi viene maltrattata dal padre o patrigno ed il 30% di chi subisce violenza da parte della madre o matrigna. La ricerca, che incrocia diverse variabili tra cui età e livello di istruzione, evidenzia tuttavia un dato già ben noto. La violenza è presente soprattutto dove le condizioni di vita sono al limite della povertà. E più una donna è povera, più sarà soggetta ad atti di violenza. Se poi alla povertà si aggiungono tutta una serie di fattori come la paura, l’incapacità di reagire personale e la mancanza di giustizia il quadro che ne viene fuori è sicuramente poco tranquillizzante, come sottolinea Magda Adly, direttrice del Centro El Nadeem che da anni si occupa della riabilitazione fisica e psicologica di chi subisce violenza. “Tutta una serie di cose permettono il perpetrarsi della violenza contro le donne in Egitto. Non ci sono solo la paura e la vergogna. C’è anche lo scarso impegno da parte delle istituzioni e del sistema giudiziario a tutelare quanto si dovrebbe le vittime” dice Magda Adly, e continua “la realtà è ancora più dura da accettare quando persistono idee retrograde che mal si declinano con una possibile emancipazione femminile. Persistono ancora atteggiamenti di forte retaggio maschilista e un uomo si sente in diritto di picchiare la propria moglie se il pranzo non è preparato o addirittura se una pietanza è troppo salata”. Il punto è proprio la difficoltà di denunciare in una società nella quale è forte l’autorità maschile. Per questa ragione non tutte le donne egiziane sono in grado di allontanarsi da casa con i figli e chiedere il divorzio e tanto meno di rivolgersi alle forze dell’ordine.
“Una volta che le vittime trovano il coraggio, è fondamentale dare loro tutto il sostegno possibile” sottolinea Magda Adly, perché “la capacità delle donne di fronteggiare la violenza subita dipende anche dal sostegno che ricevono. Ma prima di tutto è fondamentale aiutarle a recuperare l’autostima ed il pieno senso di loro stesse”. Parliamo di un sostegno che dovrebbe venire prima di tutto dalla famiglia di origine, ma che purtroppo non è scontato: “quando i genitori delle donne maltrattate si trovano a vivere in condizioni di povertà, impossibilitati ad aiutare, sono loro stessi a spingere le figlie ed i nipoti a rientrare a casa, nonostante le violenze”. La mancanza di indipendenza economica e la paura relegano le vittime in un angolo, anche per la paura di perdere i figli. E alla luce di tutto questo, come si comporta la legge per aiutare le vittime di violenza domestica, cioè le vere parti lese? “Di solito per segnalare la violenza subita, una donna deve recarsi in ospedale per farsi visitare ed ottenere il re-
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AIDOS
Rapporto UNFPA sullo stato della popolazione nel mondo 2015
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l riparo dalla tempesta. Un'agenda innovativa per donne e ragazze, in un mondo in continua emergenza”. È il titolo dell’annuale Rapporto UNFPA sullo stato della popolazione nel mondo 2015 presentato a Roma lo scorso 3 dicembre 2015, in contemporanea con altre capitali. Il documento è redatto dall’UNFPA, Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione, in collaborazione con AIDOS - Associazione italiana donne per lo sviluppo, che cura il lancio e l’edizione italiana. Il titolo del documento “Al riparo dalla tempesta. Un'agenda innovativa per donne e ragazze, in un mondo in continua emergenza”, richiama immediatamente all'attualità di questi giorni, ai milioni di persone che fuggono da cataclismi e conflitti varcando confini tra innumerevoli difficoltà. Sono oltre 100 milioni le persone che hanno bisogno di assistenza umanitaria attualmente nel mondo, secondo gli ultimi dati forniti da UNFPA, di queste circa 26 milioni sono donne e ragazze. Mai, dalla seconda guerra mondiale, si era raggiunta una cifra così alta. “Tre quinti del totale delle morti materne si verificano nei paesi cosiddetti fragili, a causa di un conflitto o una catastrofe naturale, in tali aree gravidanza e parto uccidono giornalmente una media di 507 donne”, ha affermato Giulia Vallese, rappresentante UNFPA in Nepal, intervenuta alla presentazione romana. “Il rifugio dalla tempesta è un richiamo a governi e organizzazioni affinché in situazioni di crisi venga sempre garantito il diritto alla salute di donne e ragazze, specialmente quella sessuale e riproduttiva, nonché il diritto alla protezione da violenza. Dobbiamo fare
si sentono doppiamente sole” osserva Magda Adly. Ma quando le donne vittime di violenza chiedono aiuto “siamo lì ad offrire loro quell’assistenza psicologica e legale di cui hanno bisogno. E siamo al loro fianco nel combattere quello stigma della società che le vede colpevoli di aver denunciato il marito”. Si tratta di un percorso lungo che porta ad una nuova rinascita che “inizia con la consapevolezza dei propri diritti in quanto donna ed in quanto essere umano” conclude Magda Adly, più volte minacciata per il suo lavoro a favore delle donne egiziane. b Foto: Frontline Defenders
in modo che i bisogni delle donne non vengano più relegati in fondo alla lista di priorità negli interventi umanitari ma che siano posti al centro”. Maria Grazia Panunzi, presidente di AIDOS, ha sottolineato come già all'interno dei nuovi Obiettivi di sviluppo sostenibile, approvati a fine settembre a New York, la necessità di raggiungere la parità di genere entro il 2030 non è solo obiettivo a se stante ma trasversale a tutti i 17 obiettivi della nuova Agenda di sviluppo. Soffermandosi sull’Italia? Panunzi ha sottolineato che “nell’ambito della cooperazione internazionale italiana, il primo documento triennale di programmazione previsto dalla nuova legge di cooperazione 125/2014 non riporta riferimenti alla salute sessuale e riproduttiva”, richiamando l’attenzione sul fatto che il nostro Paese “ha ora la possibilità di riconfermare il suo impegno a considerare prioritario l’empowerment delle donne, anche con il finanziamento di programmi specifici volti a garantire servizi per la salute sessuale e riproduttiva”. Lo stesso obiettivo è stato richiamato da Giampaolo Cantini, direttore Generale per la Cooperazione allo Sviluppo, che ha sottolineato come sia essenziale il coinvolgimento delle istituzioni nel favorire l'empowerment di donne e ragazze anche da un punto di vista legislativo allo scopo di favorire “un approccio integrato e olistico che dia una formazione diversa agli operatori umanitari per i bisogni di donne e ragazze, per lavorare davvero tutti al raggiungimento della parità di genere”. Pertinente la definizione di ‘forma di persecuzione” che la rappresentante dell'UNHCR Cristina Franchini ha dato della violenza di genere, spiegando che il viaggio delle migranti e rifugiate sia quasi sempre un percorso rischioso che spesso le vede oggetto di violenza. Secondo l'UNHCR l'approccio di genere è fondamentale nelle emergenze umanitarie per garantire, come lo stesso rapporto UNFPA enfatizza, una ripresa reale.
POPOLAZIONI
ferto medico che viene trasferito alle autorità per la verifica del tipo di violenza subita. Solo in seguito parte la denuncia e il marito viene convocato in tribunale” spiega Magda Adly, sottolineando che “l’ospedale può anche rifiutare di rilasciare il referto e non dare seguito alla denuncia, cosa che avviene spesso quando la prognosi è inferiore a 21 giorni”. Va detto, poi, che non sono stati rari i casi in cui le donne che hanno deciso di denunciare siano state trattate in modo aggressivo dagli agenti di polizia, che “rimproverano le donne di essere lamentose per un piccolo litigio” e tentano di dissuaderle ripetendo “che non c’è motivo di denunciare il marito”. “È normale che in questo modo le vittime
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LIBRI a cura di Tiziana Bartolini
TROTULA, LA MEDICA DI SALERNO Ha vissuto “circondata dall’ammirazione e dal rispetto di tutti, popolani e non”, ma nel corso dei secoli è “diventata maschio e poi leggenda”, per essere riscoperta e studiata nel suo valore a partire dall’800. Trotula de’ Ruggiero (1035?1097) è stata medica e figura di spicco della Scuola Medica Salernitana, una tra le numerose mulieres salernitanae e “certamente la più rappresentativa”. Suo il primo trattato di ginecologia e ostetricia,“De passionibus mulierum ante, in et post partum”, con nozioni di pediatria Dopo i libri sulla cortigiana del ‘500 Imperia, sull’intellettuale del ‘400 Christine de Pizan e sulla beghina del’300 Margherita Porete, Tommasina Soraci torna con questo agile volumetto dedicato alla medica salernitana - contenente anche brevi contributi di Tiziana Bartolini e Fulvia Signani - realizzando un altro ritratto di una delle (non poche) donne del passato che parlano all’oggi. E Trotula è davvero moderna, considerata la sensibilità che esprime e la “riscoperta della naturalità e dell’unità del corpo e delle sue emozioni”. Il dialogo sulle cure al femminile è continuato al di fuori dell’ufficialità, tramandando da donna a donna ricette e rimedi della scuola e diventando “medicina popolare fino alla loro trasformazione in streghe”. Tommasina Soraci trotULa De’ rUGGiero. Una meDica DeLLe Donne Per Le Donne Ed Era Nuova, pagg 98, euro 10,00
ANNA, PARTIGIANA IN LOTTA ANCHE DOPO LA GUERRA Delle staffette partigiane si è parlato e scritto molto ma la storia raccontata nel bel romanzo La disillusione, della brava autrice, scrittrice, insegnante, traduttrice e femminista militante Scilla Finetti, non è solo la storia di una ragazza, Anna, che nel 1944 sulle Alpi italiane aiutava la Resistenza contro il nazifascismo insieme a tante coraggiose coetanee in tutta l’Italia, ma anche il racconto esistenziale di una donna che assiste ad una trasformazione, dall’epoca dei grandi e necessari ideali a quella del dopoguerra, dove il quotidiano, la porterà, su tanti fronti, a vivere la disillusione impressa nel titolo. Così la vicenda sentimentale di Anna, che incontra Alessio, l’amore della sua vita, durante la lotta partigiana, e con lui inizia una relazione pericolosa ed esaltante, sarà costretta a confrontarsi con le difficoltà e gli stereotipi socio-politici e di genere del periodo post-Liberazione, quando sembrerà scontato - benché poco prima si condividessero pienamente idee ed azioni - che ad occuparsi del figlio e della sua crescita in una coppia sia la donna mentre l’uomo porta avanti l’impegno politico ed il lavoro fuori casa. Nel descrivere le tante esperienze della protagonista, il libro ci conduce in un percorso rievocativo e formativo, individuale e collettivo, che, oggi più che mai, ci chiama ad una riflessione sulle autentiche credenze e sulle ipocrisie sociali, sulla necessità, per tutte e tutti, di avere consapevolezza di sé e della propria identità nella ricerca costante delle nostre vere passioni. Non a caso il romanzo inizia con una dedica di Ada Gobetti dal Diario Partigiano, della quale ci piace ricordare una frase: “Dedico questi ricordi ai miei amici vicini e lontani, di vent’anni e di un’ora sola. Perché proprio l’amicizia, legame di solidarietà fondato non su comunanza di sangue, né di patria, né di tradizione intellettuale ma sul semplice rapporto umano del sentirsi uno con uno tra molti, m’è parso il significato intimo, il segno della nostra battaglia”. Elisabetta Colla Scilla Finetti La DiSiLLUSione ebook@women – 4.99 euro Ed Il Mio Libro - 12.50 euro
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PER NON DIMENTICARE LE MAROCCHINATE. E RESTITUIRE LORO DIGNITà “Le Marocchinate” tornano a parlare per chi vorrà ascoltarle. Queste donne hanno raccontato le loro storie, la Storia dimenticata delle donne ciociare e delle violenze da parte dei goumiers, al seguito del V Corpo d’armata francese del Generale Alphonse Juin nel maggio del 1944 in Ciociaria, avallate, sembra, dai comandi alleati. Dopo un silenzio durato oltre 70 anni, esse cercano ancora con forza quella giustizia che non hanno mai avuto e che invano era stata reclamata. Questo libro è frutto di una ricerca sul campo durata 12 anni, durante la quale l’autrice Stefania Catallo, fondatrice del Centro Antiviolenza e Biblioteca “Marie Anne Erize” di Tor Bella Monaca, ha potuto raccogliere le memorie orali di quante hanno voluto rivivere assieme a lei quei giorni di maggio del 1944. Vittime destinate all’oblio, oppure ribelli sopravvissute condannate al silenzio o resistenti e fiere, sono questi i profili delle “marocchinate” raccolti in brevi e dense interviste che costituiscono il cuore di questo libro. Il loro vissuto emerge prepotente in tutta la sua drammatica verità in ottanta vibranti pagine. Il tutto a mostrare come ancora oggi il dolore di quegli accadimenti sia ben persistente nella mente e nelle anime nonostante lo scorrere del tempo e la “ragion di stato”. Sul dramma delle “marocchinate” sopravvissute ad una tragedia che ebbe proporzioni immense, si pensa infatti che furono 20mila le donne violentate dai goumiers soltanto nel Basso Lazio, calò un velo di oscurità già all’indomani della fine del secondo conflitto mondiale. Un velo spesso che nemmeno l’intervento della deputata Maria Maddalena Rossi, i cui atti parlamentari sono posti a mo’ di conclusione nelle ultime pagine di questo testo, riuscì a squarciare. Un velo che gli anni, però, hanno reso più sottile e che ora, con questo sforzo di ricerca e di analisi, si tenta di sollevare definitivamente restituendo dignità alle tante vittime di una guerra silenziosa e sporca, compiuta da soldati armati e feroci contro donne indifese e ignare della furia dei dominatori. Il libro ha ottenuto il patrocinio morale dei comuni ciociari più colpiti dal fenomeno: Ausonia, Castro dei Volsci, Ceccano, Esperia, Pastena, Vallecorsa e Villa S. Giovanni. Tutt’ora queste terre conservano la memoria di quei giorni, rinnovandola ogni anno con iniziative culturali per non
dimenticare. Risulta particolarmente toccante la testimonianza di una suora, vittima di una furia inarrestabile che non conobbe senso di umanità e pietà per nessuna delle vittime. Stefania Catallo Le marocchinate Ed Sensibili alle Foglie, pagg 80, euro 12,00
LA PIRATA CHE COMBATTE GLI STEREOTIPI Il libro di Francesca Bossini “Chi trova un tesoro trova un pirata” (ed Giralangolo, collana Sottosopra diretta di Irene Biemmi) ha vinto il Premio Narrare la parità (2015), che a settembre è stato consegnato a Milano, nello spazio WE Women for EXPO. Ideato dall’Associazione Woman to be e sostenuto dalla Regione Toscana, il premio ha “l’obiettivo di diffondere sin dalla più tenera età modelli di comportamento rispettosi di tutte le forme di diversità, a cominciare da una delle fondamentali e cioè quella tra i sessi”. Il premio, che da questa seconda edizione ha un respiro europeo, è rivolto alla fascia d’età prescolare (0/6 anni) e “lancia una sfida agli scrittori/trici per l’infanzia: quella cioè di proporre alle bambine e ai bambini testi liberi da stereotipi sessisti in modo che imparino a riconoscerli e a superarli, a non associare la differenza tra i generi a destini prestabiliti, a limiti, a divieti, a non identificarsi in ruoli preconfezionati e rigidi”. Il testo, accompagnato dalle belle illustrazioni di Agnese Baruzzi, narra di Lilla, una ‘strana’ pirata ‘fatta a forma di bambina’ che urla cose tipo ‘corpo di mille cannoni’ e che, organizzando la pulizia della spiaggia, trova un tesoro, diventa ‘capitana’e… offre un bell’esempio di correttezza!
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Se l’edicola torna a nuova vita. LETTERARIA
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etti un’edicola di giornali, chiusa da tempo. Metti un’associazione che, non a caso, si chiama . E, complice il caldo sole di settembre, l’edicola riapre i battenti e assume nuova vesta, diventando uno spazio temporaneo di iniziative intorno ai libri e alla lettura. È accaduto a Genova, in piazza della Meridiana, in occasione dei Rolli Days e una bella idea, , ha permesso di realizzare un laboratorio di montaggio storie aperto a tutti. “Persone di tutte le età si sono avvicendate ai tavoli e, guidati da scrittori e illustratori, hanno dato vita a un piccolo, prezioso libro. L’edicola è diventato il centro di scambio non soltanto di libri ma di consigli di lettura, di informazioni, spazio di incontro e di relazione. Per solo giorno. Ma non è detto…”. L’iniziativa di Officina Letteraria, un’associazione cittadina che organizza laboratori di scrittura creativa, ha avuto un bel successo e l’auspicio è che possa ripetersi e consolidarsi. L’appoggio delle istituzioni c’è, con l’assessora del Municipio Centro Est, Maria Carla Italia, e anche la collaborazione di alcune associazioni, a partire dall’Udi, è assicurata Le scrittrici Emilia Marasco ed Ester Armanino hanno lavorato al progetto con Officina Letteraria, il Collettivo Linea S e Antonio Paolacci. predisponendo tre tavoli:
uno per organizzare le idee e scegliere quella giusta per una storia; uno in cui scrivere e montare un breve racconto e il terzo, dove si è progettata e disegnata la copertina, completando la realizzazione di un piccolo libro. “Una vera e propria ‘catena di montaggio’ che ha visto anche la partecipazione di illustratori professionisti (Gregorio Giannotta, Matilde Martinelli, Stefano Rusca/Detrocboi, Stefano Tirasso) e, con un leggio e un microfono, le storie sono state poi lette ad alta voce”. Il cuore di Genova si è animato di pensieri e parole donati ai passanti e a chi si è lasciato catturare dalla magia della fantasia. Una bella idea davvero, da seguire nelle sue evoluzioni anche attraverso il sito: www.officinaletteraria.com. b
LOCRI / STOP AL CALCIO FEMMINILE. PER MINACCE
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opo sei anni di attività, nonostante l’entusiasmo e i risultati eccellenti di questi anni, l’Asd Sporting Locri, società di calcio femminile a 5, ha annunciato il ritiro dal campionato nazionale di serie A Elite e la fine di ogni attività. La decisione del presidente, Ferdinando Armeni, e della dirigenza di gettare la spugna arriva dopo una serie di avvertimenti in stile mafioso a farsi da parte contenuti in alcuni biglietti anonimi fatti recapitare allo stesso Armeni, alla famiglia e ad altri dirigenti della società sportiva. Gli episodi sono stati denunciati alle forze dell’ordine, che hanno avviato accertamenti per vagliare la natura delle minacce e risalire agli autori. “Siamo senza parole - dice Armeni - il nostro è solo un hobby, una passione per il calcio.
Non è accettabile che si possa correre il rischio di essere colpiti anche nei nostri affetti più cari. Certo, può darsi che si tratti di una bravata, ma davvero non ce la sentiamo di andare avanti. Inutile nasconderlo, c’è rammarico nel dover chiudere dopo anni di successi che ci hanno consentito quest’anno di diventare la squadra rivelazione del campionato nazionale di serie A. Non riusciamo a capire, tuttavia, quali interessi ci possano essere da parte di chi vuole ostacolare un’attività sportiva come questa”. Lo Sporting Locri è ritenuta, anche per il suo attuale quinto posto in classifica, la squadra rivelazione della serie di calcio femminile a 5, l’unica calabrese in nazionale di categoria. Sostegno al presidente, alla squadra e alla dirigenza è giunto da tutta Italia insieme alla solidarietà delle altre società presenti nel
campionato nazionale. Il presidente della Commissione regionale contro la ‘ndrangheta Arturo Bova, il sindaco di Locri Giovanni Calabrese e il presidente del Consiglio regionale Nicola Irto hanno espresso vicinanza invitando la società ad andare avanti. Maria Fabbricatore
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Francesca Prestia E LA BALLATA PER LEA
Ci sono tanti modi di dire no alla ‘ndrangheta. La maestra-cantastoriE calabrese ricorda con la musica il sacrificio di Lea Garofalo
di Mirella Mascellino
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rancesca Prestia è una maestra-cantastorij calabrese impegnata. Vive a Catanzaro ed è autrice di una ballata dedicata a Lea Garofalo, una delle donne di Calabria che ha detto no alla ‘ndrangheta, pagando con la vita la sua scelta. La canzone è stata scritta tre anni fa, quando ancora nessuno conosceva la storia di Lea. Era l’inizio del processo per il suo atroce assassinio. Tra le altre sue composizioni c’è una ninna nanna, composta dopo la lettura di una lettera inviata ad una delle figlie da Giuseppina Pesce, collaboratrice di giustizia di Rosarno. Quando e perché hai scritto la ballata per Lea? L’ho scritta tre anni fa, composta di getto, quando ancora nessuno conosceva Lea. Eravamo all’inizio del processo e della battaglia condotta da Denise. La cantai per la prima volta davanti al primo magistrato a cui Lea aveva chiesto aiuto e poi il primo maggio con le donne della Cgil con Susanna Camusso e da lì è stato un crescendo, compresa l’apertura della manifestazione di Se non ora quando. Per me raccontare la storia di Lea è raccontare il dramma di noi donne calabresi, mamme che abbiamo figli e viviamo in Calabria, vicino alla ‘ndrangheta. Non ho conosciuto Lea, ma ho incontrato la madre, nell’ultimo anno della sua vita, la sorella Marisa, il cognato e i nipoti. Sono stata a Petilia Policastro, il suo paese natale ed anche Pagliarelle, dove vivevano. Lì ho visto anche la sua casa. Di recente, c’è stata una petizione su Avaaz per chiedere al regista Tullio Giordana di mettere nella fiction la tua ballata. Com’è andata? Appena si è diffusa la notizia della fiction di Giordana su Lea (andata in onda a novembre n.d.r.), tutti cominciarono a chiedermi su
facebook se ci sarebbe stata la mia ballata. All’inizio non risposi a nessuno, ma vedendo che le domande erano tante scrissi un post in cui raccontai i contatti che c’erano stati con la produzione nel corso della lavorazione della fiction, contatti che non hanno avuto il risultato sperato, cioè di utilizzare la mia ballata per quella produzione. A partire dal mio racconto su facebook mi ha chiamata una signora che non conoscevo, Maria Grazia Simari - che mi aveva sentito cantare in vari concerti ed era mia fan - e mi chiese se poteva fare una petizione. La cosa mi commosse e lasciai fare. Insomma, si voleva dire a Giordana che noi donne della piana di Gioia Tauro ci sentivamo rappresentate da questa canzone per Lea. Tu canti in lingua grecanica. Come nasce questa passione che ti ha perfino fatto cantare con Roberto Vecchioni? L’incontro con Vecchioni avviene grazie al suo produttore Danilo Mancuso. Il grecanico è la lingua evoluta dalla Magna Grecia ai nostri giorni. Io sono stata affiancata dal poeta Salvino Nucera. Si parla ancora in cinque o sei paesi della Calabria. All’interno del parlato ci sono dei termini arcaici che risalgono all’epoca dorica, presenti solo in alcune opere di Eschilo, di Sofocle e di Euripide, cioè parole che non usano più i greci di oggi, ma che usano in questi paesini della provincia di Reggio Calabria. Perciò quando Vecchioni ha saputo che io avevo composto questo duetto d’amore ha voluto sentirlo e poiché gli è piaciuto l’abbiamo cantata insieme. Sono salita a Milano, abbiamo provato, registrato e poi siamo andati a MusiCultura. Ho provato un’emozione inenarrabile. È stato un danzare e un cantare. Sembravamo due innamorati. Vecchioni mi ha detto:“Francesca stasera abbiamo una grande responsabilità, cantiamo l’amore”. b Per info www.francescaprestia.it
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eforShe’ - insieme verso la parità di genere - continua a volare. Di continente in continente. Sospesa sulle ali del pensiero più evoluto e delle idee di donne e uomini che, nelle nazioni cosiddette avanzate, condividono vite frenetiche ed impegni di cambiamento. La campagna promossa da UN Women per l’uguaglianza di genere ha coinvolto nel mondo oltre 560mila uomini, fra capi di stato e di governo come Barack Obama e Shinzo Abe, amministratori delegati di multinazionali, rettori universitari, tutti calamitati dall’appello lanciato lo scorso anno dalle Nazioni Unite e rivolto proprio a loro, gli uomini, perché collaborino nell’impresa di infrangere quello schermo innaturale, meglio noto come tetto di cristallo, che impedisce alle donne di ‘volare’. E se la sua propagazione virale ha raggiunto livelli inusitati grazie alle parole sorprendenti pronunciate di fronte all’attonita Assemblea Onu da una testimonial altrettanto sorprendente, la giovane attrice inglese Emma Watson, la campagna
‘HeforShe’ incede senza sosta solo grazie alla spinta cocciuta di chi prende in mano la ‘staffetta’ egualitaria, marciando contro le rigide barriere e le resistenze opposte dal muro di pregiudizi culturali sedimentati che frenano, quando non impediscono, un benessere più diffuso, una società più giusta ed eguale, la piena e pari dignità di donne ed uomini nella vita e nel lavoro. Pregiudizi persistenti anche in Italia. Dove ad impugnare questa bandiera di civiltà sono le stesse istituzioni. Ed in particolare la vicepresidente del Senato, convinta che “l’eguaglianza di genere è una questione di diritti umani, e in quanto tale riguarda tutte e tutti”. Radunate le associazioni delle donne
HeforShe
E che gli uomini prendano parola Presentata in Senato la campagna promossa da UN Women e che ha coinvolto nel mondo oltre 560mila uomini, fra capi di stato e di governo come Barack Obama e Shinzo Abe
di Vanna Palumbo
ed i sempre più numerosi gruppi maschili schierati contro il divario di genere, Valeria Fedeli rilancia l’iniziativa ‘HeforShe’ (LuiperLei) promettendo una campagna “diffusa, continua e costante sul territorio” e con l’impegno a “farla vivere ovunque ed ogni giorno”. Sulla scena della parità si affacciano quest’anno diverse aziende interessate a sostenere anche economicamente l’obiettivo di uno sviluppo più equilibrato fra i diversi individui e, in attesa di quella ripresa economica che tarda ad arrivare, a traguardare questo messaggio in tutti i luoghi di lavoro. È cosi che parte, con la sponsorizzazione di Carrefour, Ferrovie dello Stato, Atlas Consulting, Federmeccanica, Deutsche Bank, Legacoop, Stati Generali dell’innovazione, Sodexo, Vodafone, L’Oreal Italia, Telecom Italia, Facebook, Enel, Barclay’s Italia, Pubblicità Progresso, la campagna ‘made in Italy’ che si avvale della collaborazione di Rai Sport. Il suo direttore Carlo Paris, intervenuto nella sala Zuccari del Senato al lancio della campagna lo scorso
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dicembre, non fa infatti mistero della lunga strada che anche il mondo dello sport deve compiere per essere più women friendly. Anche perché tutti sanno, e gli uomini che parlano dal podio ne paiono convinti, che l’abbandono delle discriminazioni, del modello a trazione machista, della subcultura della disparità accresce la salute collettiva dell’intera comunità, la sua economia, la sua cultura, il suo equilibrio. In una parola, la sua felicità! Cambiare la cultura, si sa, è opera improba ma, dai e dai, si può effrangere qualche cardine arrugginito. Magari iniziando proprio da dove i pregiudizi vengono, forse non per scelta, istillati: la scuola. Ecco quindi giungere all’uditorio l’impegno ed il sostegno del Miur (ministero istruzione università ricerca) presente con la sottosegretaria Angela D’Onghia, ad attuare la legge 107 del 2013 per l’educazione alla parità. Ed ecco le parole semplici e chiare di un atleta coi fiocchi e due volte campione mondiale di nuoto, Filippo Magnini, che vuole “metterci la faccia” avendo la fiducia di poter sensibilizzare il mondo dello sport ad essere ‘HeforShe’. Tre brevi paroline, “già pronunciate da centinaia di migliaia di uomini nel resto del mondo” rivendica orgogliosa Simone Ovart di UN Women la cui impresa è stata fin qui far riconoscere a tanti uomini che “l’eguaglianza delle donne è un diritto umano fondamentale che avvantaggia tutti”. Ma si sa, l’educazione o la rieducazione ha tempi lunghi. Meglio attrezzarsi anche con qualche spot che ‘scuota’ le coscienze degli adulti. Pubblicità progresso ne ha lanciati due, proiettati entrambi durante l’incontro. Con l’espediente della telecamera nascosta essi mettono a nudo una realtà fatta di stereotipi, di volgarità offensive e vigliacche, sempre dirette a modelli di donne che non esistono più. Il Presidente del Senato, Pietro Grasso, è stato la prima personalità a prendere la parola nella storica ed affollata e sala senatoriale. Ci piace però parlarne a chiusura di questo articolo perché non era mai capitato che una così alta carica istituzionale, incarnata da un uomo, usasse parole cosi nette, definitive: “lo studio ‘Stereotipi, rinunce e discriminazioni di genere’ presentato dal Dipartimento Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri e dall’Istat ci consegna il ritratto di una nazione dove gli stereotipi sessisti sono tuttora duri a morire. Ci dice, infatti, che, nonostante per il 40 per cento dei cittadini le donne subiscano evidenti discriminazioni di genere, un italiano su due ritiene che gli uomini siano meno adatti ad occuparsi delle faccende di casa e la metà della popolazione trova giusto, in fondo, che in tempo di crisi i datori di lavoro debbano dare la precedenza ai maschi. In ambito lavorativo le donne sono più svantaggiate nel trovare una professione adeguata al titolo di studio, nel guadagnare quanto i colleghi maschi, nel fare carriera e conservare il posto di lavoro. Infatti il 44,1% delle donne contro il 19,9% degli uomini ammette di aver rinunciato ad opportunità per essersi dovute occupare della famiglia e dei figli”. Ben venga perciò, diciamo noi insieme a Grasso “ogni azione tesa a ridurre il divario di genere. Purtroppo ce n’è ancora estremo bisogno. Anche nelle società più evolute”.
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HeforShe spiegato al mondo da Emma
Dal discorso di Emma Watson, ambasciatrice di buona volontà delle Nazioni Unite, per lanciare la campagna HeforShe (20 settembre 2014). “… Vogliamo provare a spronare quanti più uomini e ragazzi possibili ad essere dei sostenitori del cambiamento e non vogliamo solo parlarne. Vogliamo provarci ed essere sicuri che sia tangibile.… Dovremo smettere di definirci l’un l’altro in base a cosa non siamo e cominciare a definire noi stessi secondo chi siamo. Possiamo essere
tutti più liberi e questo è ciò di cui si occupa HeforShe. Riguarda la libertà. Voglio che gli uomini prendano su di sé questo impegno, affinché le loro figlie, sorelle e madri possano essere libere dai pregiudizi, ma anche affinché i loro figli possano avere il permesso di essere anche loro vulnerabili e umani e, così facendo, diventando una versione veritiera e completa di loro stessi. …”
Onu. Lo sapevi che...
Il prossimo Segretario Generale della Organizzazione delle Nazioni Unite (Onu) potrebbe essere una donna. Alla scadenza del mandato di Ban Ki-moon, attuale titolare dell’importante incarico internazionale, cioè alla fine del 2016, l’avvicendamento potrebbe infatti innovare il genere prescelto. Continuano le prese di posizione in favore di una donna alla guida dell’organismo più influente al mondo, fondato nel 1945 dai primi 51 paesi aderenti. Quali possono essere i nomi delle favorite?
Eige. Il report…
L’Istituto Europeo per l’Uguaglianza di Genere (EIGE) ha pubblicato il report Gender Equality in Power and DecisionMaking, che analizza l’attuazione della piattaforma d’azione di Pechino negli Stati membri dell’UE per quanto riguarda la parità di genere nelle posizioni decisionali all’interno delle istituzioni pubbliche, economiche e sociali tra il 2003 e il 2014. Il report presenta inoltre nuovi dati sui processi decisionali nelle organizzazioni sportive. Mentre a livello politico le donne occupano un terzo delle posizioni più importanti, in ambito finanziario la situazione è molto diversa: gli uomini dominano le banche centrali, i ministeri delle finanze e i cda, con una sola donna ogni 25 posizioni apicali. b
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o viaggiato a piedi con due cavalle: Bila, una avelignese, e Primavera, la sua puledra mezza avelignese e mezza bardigiana, una razza tipica di Bardi, un paese dell’Appennino parmense. Sono partita con Matteo, mio compagno di viaggio e proprietario delle cavalle, durante l’estate di San Martino. Cinque giorni di cammino da mercoledì 11 a domenica 15 novembre, nel sole autunnale in un cammino che attraversa l’Appennino Tosco-Emiliano tra il parmense e la Lunigiana. Non so esattamente quanti chilometri abbiamo percorso. So che abbiamo camminato instancabilmente per circa cinque ore al giorno. In autostrada ci si impiega più o meno un’ora e si percorrono ottanta chilometri. La nostra partenza è stata Granara, un villaggio ecologico in provincia di Parma nel paese di Valmozzola, la nostra meta Ripola, una frazione di Licciana Nardi in provincia di Massa, che per qualche tempo sarà la nuova casa di un’associazione di promozione sociale - Paese Liberato - che abbiamo creato con alcuni amici con lo scopo di ripopolare e far rivivere un luogo abbandonato delle nostre montagne. Lì Bila e Primavera potranno passare l’inverno serene, pascolare nei boschi, trainare l’aratro negli orti e trasportare la legna, proprio come si faceva una volta. Il viaggio è subito filato liscio. Primavera ha trotterellato dietro la mamma ed è stata incuriosita da ogni cosa, anche se all’inizio appariva un po’ svogliata soprattutto sulle lunghe salite. Bila invece è stata un vero trattore, carica di tenda, cibo, coperte, attrezzatura varia, ha camminato instancabilmente. Nella prima tappa abbiamo superato Belforte, un paesino delizioso sulla cima di un colle, e siamo arrivati nel bosco prima
Viaggiare nella natura
ZAINO IN SPALLA E DUE CAVALLE PER AMICHE Diario di un cammino nei luoghi dell’Appennino Tosco-Emiliano tra il parmense e la Lunigiana ammirando scenari poco conosciuti ma meravigliosi
di Francesca Mastracci del Passo della Cisa. Ci siamo accampati sotto un fienile con la tenda. Bila e Primavera sono rimaste in compagnia di qualche mucca lasciata al pascolo poco distante. Il nostro piano è stato ogni giorno quello di camminare fino alle 15.30 circa, creare poi il “campo base”, fare un piccolo fuoco per cucinare del riso, sempre buonissimo dopo mille salite. Il fuoco ci accompagnava fino alle 19.30 circa, quando ci addormentavamo in tenda in mezzo a strati di coperte e sacchi a pelo. Il secondo giorno ci siamo svegliati alle 5.30 e dopo una buo-
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na colazione a base di caffè, tisana e biscotti, sempre cucinata sul fuoco, siamo ripartiti verso la Cisa. Il percorso è stato un po’ più pesante in salita attraverso la nebbia, ma una volta giunti al Passo, verso Berceto, abbiamo deciso di proseguire fino al Passo del Cirone. Siamo passati su un tratto di Via Francigena, sotto la porta della Toscana. Sulla strada il paesaggio è stato spettacolare, nessuno sui sentieri, giochi di luce sui monti, cavalli e bovini allo stato semi brado ci guardavano dai pascoli. Anche durante il secondo giorno ci siamo accampati in tenda, poco lontani dal Groppo del Vescovo. Purtroppo abbiamo trovato i rifugi tutti chiusi, anche se i rifuggisti contattati per telefono sono sempre stati gentilissimi, dandoci informazioni preziose sui sentieri più brevi e percorribili con una cavalla carica. Dal Groppo del Vescovo siamo ripartiti alla volta del Passo della Colla. Abbiamo attraversato una zona meravigliosa fino al Lagdei e poi su al lago Santo, tra i ruscelli, le faggete che si trasformavano in abetaie, il muschio verde sui massi in mezzo al bosco, con un tappeto di foglie rosse ai nostri piedi. Quella sera ci siamo accampati a circa 1.500 metri, sotto il Monte Navert che svettava bianco panna in mezzo ai prati verdi e ci siamo goduti uno dei tramonti più belli che io abbia mai visto. Altrettanto bella è stata l’alba, che ha colorato di rosa le pareti della montagna e ci ha aperto cuore e polmoni. Dopo è iniziata la strada in discesa fino a Valditacca, una piccola frazione di Monchio delle Corti nella valle del torrente Parma. Lì i nostri viveri iniziavano a scarseggiare e visto che tornavamo nella civiltà dopo circa tre giorni di cammino in mezzo alla natura incontaminata, ci siamo fermati in un bar dove una signora molto gentile ci ha fatto accompagnare da suo figlio a fare la spesa a Monchio. Dopo ci sentivamo dei signori, con olio d’oliva, cioccolato bianco con nocciole e pane fresco. Bila e Primavera si sono riposate vicino a una fontana e poi siamo ripartiti sulla strada asfaltata fino a Rigoso, una bellissima frazione di Monchio, che abbiamo scoperto essere un comune molto esteso in superficie ma con una densità abitativa abbastanza scarsa. Sembrava di essere in un piccolo villaggio alpino. Lì ci siamo accampati dopo il centro abitato sul sentiero che porta al lago Squincio. La mattina, quando ci siamo alzati, abbiamo incontrato il primo, vero, intoppo del viaggio: le cavalle erano sparite. Dopo circa due ore di ricerche, parolacce lanciate nel bosco, su e giù seguendo le tracce di zoccoli e letame, abbiamo pensato di cercarle in paese. Lì le ho trovate che pascolavano serene tra l’erba di un prato nel centro, proprio vicino al bar principale. Le ho riprese tra i bambini festanti che volevano coccolarle. Quando sono tornata al nostro accampamento con Bila alla capezza e Primavera dietro trotterellante, Matteo era combattuto tra il sollievo e la voglia di uccidere la mamma cavalla a mani nude, viste le implicazioni che poteva comportare il fatto che fosse fuggita
attraversando una strada con la puledra e che noi non sapessimo dove rintracciarle. Eravamo in ritardissimo. Erano le 11.50 ed era domenica, noi dovevamo arrivare a Ripola entro la sera per rimanere nei tempi che ci eravamo dati, sperando anche che sulla strada non facesse buio. Abbiamo deciso quindi di prose-
guire sull’asfaltata, tutta in discesa, camminando senza neanche pranzare. Abbiamo pensato: “al nostro arrivo riposeremo”. Alle 16.30 eravamo in dirittura di arrivo, dopo il Passo del Lagastrello, giù fino a Tavernelle e poi sterrata fino a Ripola, dove i nostri amici ci hanno accolto e ristorato, tra le feste dei bambini, felicissimi di avere dei cavalli intorno. Anche noi siamo stati davvero soddisfatti di aver compiuto il viaggio in cinque giorni e di esserci sempre divertiti e meravigliati di ogni piccola cosa. Per quanto mi riguarda questo viaggio nell’Appennino è stato un’esperienza meravigliosa, che mi ha permesso di immergermi nella sintonia con la natura e con me stessa. Certo, forse ero abbastanza allenata, ma credo che tutte e tutti potrebbero provare a fare un viaggio del genere, oggi va di moda dire into the wild. Io, che grazie alla mia famiglia amavo la natura e l’ambiente prima che si scoprisse il Magic Bus, penso che assaporare questo contatto autentico sia un vero regalo che la vita può dare a ognuna e ognuno di noi, e chissà che con la bella stagione non si riparta per un altro viaggio alla scoperta di nuovi percorsi.b
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TEMPI DA MEDIOEVO MA L’ARTE E IL TEATRO POTREBBERO SALVARCI Maddalena Crippa, “animale da palcoscenico”, denuncia le discriminazioni nel mondo dello spettacolo
di Alma Daddario
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addalena Crippa è una delle attrici italiane più eclettiche e interessanti. Per quello che riguarda la scena teatrale è tra le più note a livello europeo, interprete di testi importanti e impegnativi, come l’ultimo “Der Park” di Boto Strauss, per la regia di Peter Stein, ispirato a “Sogno di una notte di mezza estate” in chiave contemporanea, ricco di riferimenti all’attualità, presentato al Teatro Argentina di Roma e al Piccolo di Milano. Cinema, tv, concerti nel percorso artistico dell’attrice, formatasi alla scuola di Giorgio Strehler, con il quale ha debuttato recitando nel “Campiello” a soli 17 anni, affiancando grandi nomi come Didi Perego, Achille Millo, Pamela Villoresi, Ferruccio Soleri, Edda Valente. La incontriamo durane la tournèe di “Der Park”.
Quando hai capito che avresti voluto fare l’attrice? Se sono attrice lo devo a mio padre: lui amava il teatro, avrebbe voluto recitare, ma nella vita ha fatto il commerciante per mantenere cinque figli. Ho avuto una specie di “folgorazione sulla via di Damasco” a dodici anni. Eravamo in oratorio, c’era anche mio fratello Giovanni. Mio padre come regista aveva organizzato uno spettacolo molto semplice: delle poesie che dovevamo recitare. Ero emozionatissima, ricordo che presi una “papera”, ma capii che recitare era quello che avrei voluto fare nella vita. Il teatro mi era sembrato un luogo magico, dell’emozione e della libertà. Ancora oggi per me il teatro è l’unica dimensione in cui l’uomo è veramente libero e può permettersi di mantenere intatta la propria umanità. E’ il luogo dell’emozione perché è fatto da gente viva, per i vivi. È il luogo della comunica-
zione e condivisione per eccellenza, sviluppa il pensiero critico, e la salvezza dell’uomo passa attraverso il confronto e il ragionamento.
Pur avendo interpretato film e fiction di successo, a teatro ti senti più realizzata come artista? Io sono un animale da palcoscenico. Il teatro è quello che dà più soddisfazione in tal senso. Al cinema non mi hanno mai offerto ruoli interessanti, forse perché non ho le fisique, non buco lo schermo, ma questo accade soprattutto in Italia.
Rispetto all’Europa e agli Usa, trovi che le donne siano più penalizzate in Italia, sia in termini di ruoli offerti, sia in riferimento all’età che all’avvenenza? Al cinema più che a teatro c’è questa discriminazione, il teatro è un luogo diverso, dove contano doti che superano l’apparenza, per fortuna. Certo la presenza delle donne anche qui però fa la differenza. In Italia ci sono poche drammaturghe, poche registe e ancor meno donne direttore artistico. Anche in questo settore le donne non hanno un gran potere decisionale; anche qui, come nelle istituzioni e nelle grandi aziende, c’è il famoso “soffitto di cristallo” che non si riesce a superare.
All’estero gli spettacoli rimangono in cartellone più a lungo rispetto a noi. Cosa ne pensi? Il teatro dovrebbe essere abitato dagli attori, non dagli impiegati. Qui il teatro ha la funzione di un’affittacamere. All’estero ci sono compagnie stabili che contano anche più di cento
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elementi, come nella Comédie Française. In Italia grasso che cola se ti danno una o due settimane per fare uno spettacolo, anche se si tratta di qualcosa di importante che ha comportato tanto lavoro. In una grande città come Roma o Milano, dove funziona perlopiù il passaparola, è impensabile tenere uno spettacolo in cartellone per così poco tempo. Ci sarebbe molto da dire su questo. Il guaio è che la politica ha rovinato tutto. Le istituzioni e i dirigenti politici sono praticamente assenti, non vengono a teatro, non danno il buon esempio, ci costringono a lavorare controcorrente, azzerano i contributi utili a chi fa cultura, non incentivano chi merita, perpetrando una mentalità “mafiosa”, più che sostenere la qualità dei prodotti artistici. C’è troppa distanza tra arte e istituzioni: c’è mancanza di responsabilità, corruzione, clientelismi, e tanta superficialità.
Che utilità può avere il teatro in tempi difficili come questi? In questo momento storico più che mai l’arte e il teatro potrebbero salvarci. La gente ha bisogno di incontrarsi, di stare insieme per condividere speranza, sogni, voglia di libertà e di andare avanti, cose che solo l’arte può dare.
Spesso incontri i giovani, nell’ambito di seminari e masterclass organizzati da te e Peter Stein, cosa si aspettano dal teatro? Per fortuna ci sono giovani di gran talento che si appassionano e credono in quello che fanno. Sono anche consapevoli che questa scelta comporta molto sacrificio e uno studio
che dura tutta la vita. Recentemente ho conosciuto un giovanissimo regista, Fabio Condemi, allievo dell’Accademia Silvio D’Amico, che ha avuto il coraggio di mettere in scena “Bestia da Stile” di Pasolini, un testo impegnativo e difficile, con grande sensibilità e talento. Non mi dispiacerebbe essere diretta da lui.
Progetti futuri? Nei progetti futuri c’è un “Riccardo II” per la regia di Peter Stein, dove reciterei nel ruolo del re. Un po’ come faceva Sarah Bernard. In fondo perché no: al tempo di Shakespeare era
interdetto alle donne calcare il palcoscenico, è come prendersi una rivincita. Ci sarà poi un esperimento musicale, tratto dalla Vedova Allegra, dove canterò in tutti i ruoli, in quello della protagonista ma anche in quello di Danilo. Poi l’evento “Lampedusa way”, con un testo scritto dalla poetessa siciliana Lina Prosa. Mi piacerebbe anche che venisse ripreso lo spettacolo multimediale “La nave Argo” di Giorgio Barberio Corsetti, dove interpretavo la mitica Europa, nella magnifica sala Ottagona, l’ex osservatorio astronomico di Roma, in collegamento con la Cripta Balbi e il Colosseo. Un bell’esempio di come il teatro possa declinarsi in linguaggi diversi, sfruttando al contempo tecnologia e archeologia, per valorizzare la ricchezza artistica del nostro Paese.
È superfluo chiederti se riesci ad avere del tempo libero? Il tempo libero cerco di ritagliarmelo come posso. Ho una casa in Umbria, in un piccolo borgo verde e suggestivo, dove trovo la pace dell’anima e mi rigenero a contatto con la natura. Lì coltivo le rose, invito gli amici, condivido le giornate con gli affetti, medito e respiro aria buona. Tutte cose utili per ricaricarsi, per ricominciare più propositiva che mai, malgrado questi tempi da medioevo! b
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A tutto schermo
Asiatica Film Mediale, nota manifestazione apprezzata per il lavoro svolto in 16 anni, si è tenuta grazie a sostenitori privati
LA CINEMATOGRAFIA ORIENTALE TRA BELLEZZA E CONTRADDIZIONI di Elisabetta Colla
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onostante le difficoltà ed i tagli dei contributi pubblici, che sembrano colpire spesso chi opera nel settore culturale con maggior serietà ed impegno, anche quest’anno l’Asiatica Film MedialeIncontri ravvicinati con il cinema asiatico, la manifestazione capitolina di maggior valore in materia di cinematografia orientale ideata e diretta dal bravo Italo Spinelli - attesa a Berlino nel 2016 - è riuscita a rilanciarsi ed offrire prodotti di elevata qualità artistica grazie alle donazioni del suo pubblico e dei suoi sostenitori, la cui solidarietà e partecipazione hanno confermato il valore della Rassegna. Ospitata al Maxxi - Museo nazionale delle arti del XXI secolo, la manifestazione, giunta alla sua XVI edizione, ha proposto una ricca ed originale selezione di opere (lungometraggi, documentari e cortometraggi) provenienti da Paesi di Orienti molto diversi tra loro, come Corea del Sud, Indonesia, Filippine, Cina, Taiwan, India, Pakistan, Sri Lanka, Azerbaijan, Iran, Turchia, Libano e Israele. Da segnalare, fra le pellicole che hanno
dato maggior attenzione alla condizione femminile, Oblivion Season, dell’iraniano Abbas Rafei, film duro e cupo, vincitore ex-aequo del Premio della giuria per il miglior film, ben inserito nella scia del cinema di denuncia contro le violenze ed i soprusi che soprattutto le donne (ma non solo) subiscono in un regime che tenta in tutti i modi di mantenere il controllo attraverso l’uso strumentale della religione e l’oppressione della parte più vita-
le della società, spesso giovani e donne. Qui la protagonista, pur maltrattata e segregata in casa dal marito paranoico, che vede ovunque tradimenti inesistenti e non riesce a perdonare un passato difficile con cui la donna continua saltuariamente a mantenere contatti - alcune amiche costrette a prostituirsi
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CANTIAMOGLIELE DONNE TRA LOTTA E CANTI POPOLARI
A Carrara centinaia di persone riunite per cantare contro la guerra
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a un episodio molto spiacevole ad una bellissima giornata di canti ed inni di lotta: questo è quanto accaduto in quel di Carrara, città da sempre considerata patria dell’anarchia, dove lo scorso 4 novembre l’attrice e cantante Soledad Nicolazzi - figlia di Alfonso Nicolazzi, tipografo di quasi tutta la stampa anarchica - durante una cerimonia delle Forze Armate in Piazza Gramsci, alla quale partecipava anche la scuola di suo figlio, non tollerando la celebrazione dei ‘giovani morti per la patria’, ha deciso di intonare una famosa canzone della tradizione anarchica e antimilitarista O Gorizia tu sei maledetta (che racconta il massacro di tanti giovani ignari inviati al fronte nella Grande Guerra, una canzone che era vietato cantare pena la morte) ma, dopo la prima strofa, è stata sollevata da 8 militari e portata in questura per l’identificazione, una reazione che è parsa quantomeno esagerata. La replica dei tanti cantori di musica popolare, soprattutto di quelli antimilitaristi ed amanti della libertà, disseminati per l’Italia non ha tardato ad arrivare: in poco più di un mese è stata organizzata per il 12 dicembre (giorno della strage di piazza Fontana -1969 - che indirettamente costò la vita anche all’anarchico Pinelli) una grande manifestazione di cori in Piazza Gramsci e nelle altre piazze di Carrara, promossa dal Coro “Inni e Canti di lotta” della Scuola Popolare di Musica di Testaccio di Roma, diretto da Giovanna Marini con l’aiuto di Sandra Cotronei. “Quando abbiamo saputo quello che era successo - spiega Susanna Cerboni, del coro “Inni e Canti”, insegnante e storica del Circolo Gianni Bosio, militante da sempre anche nel movimento anarchico, vera promotrice e realizzatrice della manifestazione per la sua opera di comunicazione e network fra tutti i cori e gli artisti, le associazioni interessate, la Biblioteca Archivio Germinal di Carrara e la stampa - abbiamo deciso di organizzare questa iniziativa, principalmente per tre ragioni: perché questa canzone (O Gorizia) non può essere censurata, perché va ricordato cosa è accaduto realmente durante la Grande Guerra e perché oggi più che mai, visto il periodo storico che stiamo vivendo, bisogna cantare queste canzoni per ricordare cosa è la guerra”. Circa due ore di pura emozione, oltre 400 persone con sciarpa rossa al collo, fra brevi interventi e canti anarchici e della tradizione popolare, contro la guerra ma anche per i diritti al lavoro ed alle famose ‘8 ore’, come recita il canto delle mondine Combattete lavoratori cantato dal Coro del Testaccio, mentre Le Voci di Mezzo da Milano, hanno ricordato con grande intensità la canzone Ignoranti senza scuole, scritta dal sindacalista Pietro Besate nel 1951 in occasione di un Congresso dell’allora settimanale ‘Noi Donne’ (una delle strofe recita infatti: “Ma ‘noi donne’ è un gran faro/Che c’illumina il cammin/ Per noi donne è arma di progresso/È la voce di tutte noi mondin”). Gran finale in Piazza Gramsci con O Gorizia e Stornelli d’esilio, a suggellare il valore della libertà di espressione e la forza della non-violenza: “Nostra patria è il mondo intero, nostra legge è la libertà ed un pensiero ribelle in cor ci sta”. Oltre al coro Inni e Canti di Lotta di Testaccio, sono intervenuti: Le Voci di Mezzo di Milano, il Coro Seduto di Genova, il Coro Garibaldi d’Assalto di Livorno, il Coro Controcanto Pisano, il De Soda Sister, il Coro de I Malfattori di S. Arcangelo di Romagna, il Coro Novecento di Fiesole, il Duo Peto e Leo da Piadena, i Suonatori Terra Terra, oltre ai i bravissimi solisti Marco Rovelli e Davide Giromini da Massa, Evelin Bandelli (figlia dell’indimenticabile Alfredo) da Pisa, Anna Barile da L’Aquila, Simona Ugolotti da Genova, Massimo Ferrante da Napoli. Hanno aderito, oltre a tanti Circoli, artisti ed Associazioni, il Coro Ingrato di Milano, il Coro di Micene mentre le Voci Arcutinate di Trieste hanno organizzato nella loro città una manifestazione antimilitarista nello stesso giorno ed ora. E.C.
per necessità - si mette alla guida del furgone del consorte per guadagnare i soldi necessari a curarlo, in una Teheran dove il maschilismo si rivela in ogni situazione quotidiana, ma il suo slancio di generosità ed amore resterà incompreso. Altro film interessante sui temi dell’identità culturale e di genere è Fig fruit and the wasps, del regista-pittore indiano Prakash Babu, storia di Gowri, una documentarista che insieme al suo cameraman giunge in un remoto e singolare villaggio indiano alla ricerca di un maestro di musica con conseguenze inattese. Ricordiamo inoltre due film molto diversi fra loro ma di grande forza evocatica: Taklub, stupenda opera già presentata al Festival di Cannes e vincitrice del Premio del Pubblico all’Asiatica, del noto e visionario regista filippino Brillante Mendoza, sulle drammatiche conseguenze socio-esistenziali del tifone Haiyan, e Tikkun, dell’israeliano Avishai Sivan, opera complessa e fortemente simbolica, a partire dalla scelta del bianco e nero, sui rapporti padre-figlio e sulle estreme difficoltà di aderire all’ortodossia religiosa (chassidica, in questo caso) per un giovane che si affaccia al mondo. Fra le opere documentaristiche di maggior rilievo: Silence in the courts, di Prasanna Vithanage, dallo Sri Lanka, ove due donne osano ricorrere alla giustizia contro i loro rispettivi mariti ottenendo l’esatto contrario; One Million Steps di Eva Stotz, storia di una danzatrice di strada che ad a Istanbul si unisce ai dimostranti di Gezi Park; il bellissimo The Walkers, di Singing Chen, sul rapporto intimo e vitale tra la famosa coreografa taiwanese Lin Lee-Chen e la sua compagnia di danza contemporanea; Manshin, di Park Chan-kyong, docufilm coreano (il focus della Rassegna era sulla Corea del Sud) che racconta la vita di una donna sciamana, indagando al contempo l’attuale società coreana, che vive profonde ambivalenze, come quella di barcamenarsi tra la cultura dello sciamanesimo e quella del ‘progresso’; K2 and the Invisible Footmen, opera della vulcanica attivista e regista coreana di origini brasiliane Iara Lee - ideatrice del network Cultures of resistance ed ospite dell’Asiatica - che descrive il lavoro oscuro, massacrante e sfruttato dei portatori pakistani nelle spedizioni sul K2, spostando per una volta la prospettiva rispetto agli ‘eroici’ alpinisti scalatori delle vette. b
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le donne
raccontano:
esperienze
femminili
di lavoro e non lavoro Progetto finanziato con i fondi dell’Otto per Mille della Chiesa Valdese
L’idea del progetto Le donne raccontano nasce nell’ambito della nostra pratica professionale e politica di condivisione delle battaglie che le donne conducono per i loro diritti di emancipazione, autonomia e libertà personale. Il progetto vuole dare voce alle narrazioni “minoritarie” delle innumerevoli forme di resilienza messe in atto dalle donne stesse per reagire ad una sofferenza sociale sempre più aspra che colpisce loro per prime e con particolare violenza. Negli oltre 25 anni di attività dell’Associazione CORA Roma abbiamo incontrato molte generazioni di donne, native, migranti, diverse per età, condizione sociale, provenienza geografica, livello di istruzione. Attraverso la ricostruzione delle loro traiettorie personali e lavorative, abbiamo cercato di leggere ciò che cambia nel lavoro, nei comportamenti, nelle relazioni, nei rapporti di potere, nelle rappresentazioni individuali e sociali, e gli ostacoli
che devono affrontare. Le donne, nei nostri percorsi formativi, hanno messo in evidenza elementi di criticità, suggerendo spesso nuovi punti di vista a tematiche complesse, quali le disparità nell’accessibilità nel mercato del lavoro, la svalorizzazione della propria storia formativa e professionale con conseguente accettazione di lavori dequalificati e sottopagati, la regressione rispetto all’esercizio di diritti di cittadinanza, la recrudescenza di forme di discriminazione. La metodologia orientativa, ampliata e approfondita attraverso la metodologia biografica e autobiografica, ha confermato che lo spazio della narrazione di sé contribuisce a: • esplorare bisogni, desideri e immaginari rispetto alla dimensione lavorativa; • organizzare la mappa della propria biografia formativa e professionale; • agire sugli stereotipi maschile/femminile legati ai ruoli sociali e familiari; • ampliare la consapevolezza di essere soggetti di diritto; • nominare i sentimenti che spesso accompagnano le situazioni di inoccupazione: vergogna, bassa autostima, solitudine, senso di inadeguatezza legato anche alla percezione dell’età. Nel corso del 2016 le partecipanti saranno coinvolte in ciascuna delle seguenti azioni: • laboratorio di scrittura autobiografica e biografica • raccolta delle storie di lavoro • costruzione del prodotto-libro per la pubblicazione digitale e cartacea • restituzione sociale del progetto attraverso l’organizzazione di eventi pubblici. In linea con la filosofia dell’Associazione, infatti, ogni fase del progetto prevede l’attivazione delle partecipanti che avranno la possibilità di sperimentarsi sul campo nella raccolta delle storie e partecipare, insieme all’ équipe, alla
costruzione dei vari passaggi che non sono contenitori già predisposti ma esito dei saperi che le narrazioni delle donne metteranno in circolo. Partiremo dunque con il LABORATORIO DI SCRITTURA AUTOBIOGRAFICA E BIOGRAFICA “Le tele di Penelope: scrivere le trame di saperi, professioni, sogni, progetti” che trasmetterà competenze per la scrittura della propria esperienza lavorativa e propedeutico alla successiva fase di raccolta di storie. QUANDO: venerdì 29 gennaio 2016, h. 18.00 DOVE: Associazione CORA Roma onlus, via della Penitenza, 37 DURATA: 24 ore erogate concordando tempi e modalità nel primo incontro Iscrizione obbligatoria entro il 25 gennaio, scrivendo a: coraromaonlus@gmail.com La partecipazione è gratuita e sarà rilasciato attestato di partecipazione a fine corso. Possono aderire al progetto donne di ogni età, provenienza geografica, settore professionale e condizione lavorativa o non lavorativa.
L’Associazione CORA Roma onlus è Centro di Orientamento e Formazione, di studio e ricerca su tematiche di genere collegate alle condizione delle donne nei contesti sociali, educativi, formativi e lavorativi. Fa parte dell’Associazione di Promozione sociale Casa Internazionale delle Donne di Roma. Ringraziamo la rivista NOIDONNE per il sostegno dato al progetto sin dalla fase della sua elaborazione. Info e contatti: www.coraroma.org coraroma@gmail.com FB CORAROMAONLUS cell. 3334408421
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SPIGOLANDO tra terra, tavola e tradizioni di Paola Ortensi
LA QUERCIA FRA REALTÀ E LEGGENDA Di querce la natura ne ha regalate di tante tipologie . Per dirla con un termine adeguato ai tempi… anche le querce offrono esempi di biodiversità. Ci sono quelle che d’inverno perdono completamente le foglie o quelle, come il leccio, che cambiano le foglie ma sono sempre verdi. Ci sono poi le querce da sughero, davvero particolari per le forme dei loro tronchi e rami e che, compiuti
15 - 20 anni, con la loro corteccia offrono una risorsa preziosa agli artigiani; per decenni - o forse per centinaia di anni - la trasformano negli oggetti più svariati, compresa una lavorazione assimilabile a un tessuto per capi di alta moda. Certamente il tappo di sughero rimane il manufatto più noto, anche se è facile notare che, data la preziosità di questo materiale, è utilizzato solo per i vini più nobili lasciando agli altri l’uso di plastiche o simili. Come sempre le diversità si affiancano anche alle caratteristiche che uniscono le diverse specie e così le querce sono tutte definite: forti, resistenti, capaci di vivere centinaia di anni e di crescere anche decine di metri. Non a caso, fra le frasi d’uso comune, forte come una quercia risulta uno di quei modi di dire che ognuno ha avuto modo di pronunciare, per definire qualcuno e forse più di una
volta nella vita. Accanto alla forza, nel tempo altre caratteristiche hanno definito la quercia: la maestà, la resistenza, la prosperità. Ed è fra storia e leggenda che la quercia fu assimilata a una divinità , o quanto meno un albero sacro già dai celti, dagli ebrei e poi dai greci e dai romani, che identificarono o forse dedicarono la quercia rispettivamente a Zeus e a Giove. Solo per tenere conto del nome adottato nelle due grandi civiltà. In quello che è un mix di tutti questi concetti, trova origine l’idea che la quercia rappresentasse il Dio del tuono. È certamente l’albero che più attira i fulmini e sotto il quale è bene non cercare riparo durante i temporali. Lasciando da parte la mitologia, la scienza spiega che il fulmine è attratto, fatalmente, dall’umido che le radici della quercia cercano. Un ramo di quercia insieme ad un ramo d’olivo, simboli di pace e di forza, identificano la Repubblica italiana dal gennaio del 1948. L’insieme è completato da una stella ed altro che noterete riosservando un simbolo importante e suggestivo per il messaggio che ci manda, rappresentando il nostro Paese. Le ghiande, frutto regalato dalle querce, sono una piccola opera d’arte della natura con cui chi non è più giovanissimo ha giocato, ottenendo un grande successo con il cappelletto che le copre e che diventava un ninnolo notevole o si impreziosiva con spruzzate di polvere d’argento. Cosa accaduta, chissà, anche nelle ultime feste natalizie. Le ghiande sono belle e anche godibili come cibo non solo per gli animali ma anche per
noi umani. Nei tempi antichi la povertà obbligava a farne un frutto ricercato e ora, ben mature, vengono valorizzate per le caratteristiche dietetiche simili a quelle della frutta secca. Ed è proprio di un’altra frutta secca di stagione che suggeriamo un utilizzo interessante.
RICETTE Lo sfizio di Marisa. A proposito di frutta secca… Crostino Su un crostino appena tostato posare un gheriglio di noce, un pezzetto di pancetta e un cucchiaino di miele. Due minuti al forno perche il miele abbracci pane noce e pancetta e buon appetito. Ghiande Ghiande, vari impieghi. Tornando alle ghiande, ben mature (marroni) si possono mettere in salamoia come le olive, oppure farne farina con cui un tempo veniva fatto il pane. Ancora, macinate allungavano la polvere di caffè..
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LEGGERE L’ALBERO DI BRUNA BALDASSARRE
CONOSCERE E AFFRONTARE GLI OSTACOLI Cara Bruna, ho 7 anni e vado a scuola volentieri, però ho una compagna che mi fa i dispetti senza farsi vedere dall’insegnate. Come faccio a dire al maestro che io sono innocente? Soprattutto quando parla durante la lezione e mi costringe a risponderle. Ho una sorellina più piccola di me, ci vogliamo molto bene e con lei, se ci sono dispetti, riesco a reagire. Dall’albero vedi tutto? Anche che sono arrabbiata? Francesca Cara Francesca, il tuo è un albero tranquillo, che cresce come dovrebbe. Il tronco continua nella chioma e non vuol dire che sei arrabbiata ma che la lotta è dentro di te. Sei indecisa, tra essere generosa, oppure non esserlo e pensare soltanto a te. Possiedi una tua immagine, di bambina obbediente, educata, studiosa, attenta, mentre il fastidio della tua compagnetta ti mette in crisi, perché non ti permette di pensare a lei come l’altra forse desidererebbe, cioè come una bambina che ha bisogno di essere accettata con tutti i suoi lati oscuri, dispettosi, fastidiosi. Per non subire il risultato delle sue azioni non hai molte scelte: o parli col maestro e ti fai sistemare in un altro banco - ma sarebbe come un’occasione mancata e il maestro capirà presto come stanno veramente le cose anche senza dirgli niente -, oppure cogli questa occasione per comprendere che la vita presenta degli ostacoli che dobbiamo assolutamente conoscere e affrontare. Questa è veramente la tua occasione, proprio come per la tua sorellina.. Reagire non vuol dire restituire il dispetto, semmai comprendere con affetto qual è la domanda che c’è dietro quello stimolo, quel modo di essere. Potrebbe trattarsi di una bambina inascoltata, alla quale chi le vuole bene le concede tutto meno che le vere attenzioni di cui ha bisogno una bambina, cioè anche i suoi piccoli ostacoli e limiti per aspettare momenti più giusti. Non si può avere tutto, altrimenti rischiamo di credere al Paese dei Balocchi, come Pinocchio e finiamo per diventare asini, cioè animali, esseri viventi che hanno una minore libertà rispetto a quella dell’uomo. La chioma del tuo albero è di una bambina gentile, calma, a volte un po’ pigra. Il disegno del tuo albero ci dice che all’età di 6 anni hai dovuto affrontare una prova un po’ difficile. Hai un bel segno deciso e vedrai che saprai risolvere bene il problemino che mi hai raccontato e tanti altri!
FAMIGLIA
Sentiamo l’Avvocata
SE IL PADRE DEVE SOSTENERE ULTERIORI SPESE OLTRE AL MANTENIMENTO di Simona Napolitani mail: simonanapolitani@libero.it
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alora accade che il genitore collocatario dei figli abiti in una località diversa da quella dell’altro genitore, ciò si traduce in un ovvio disagio per chi si vede costretto a raggiungere i minori ogni qual volta debba stare con loro. Il disagio non è solo legato allo spostamento, ma anche alle maggiori spese che il genitore deve affrontare. Nasce un conflitto tra i coniugi, perché quello che deve raggiungere i figli chiede una riduzione dell’assegno di mantenimento per la prole, dovendosi, a suo dire, computare le spese di viaggio nella determinazione della somma per i minori. Sul punto si è di recente espressa la Suprema Corte, secondo cui la natura dell’assegno per i figli e la destinazione cui l’assegno stesso assolve non può essere soggetta a decurtazione, insomma, non può essere ridotto il mantenimento in favore dei figli se il genitore separato, per vedere il bambino deve affrontare grosse spese di viaggio. Sempre in virtù del principio di irriducibilità dell’assegno per i figli, la giurisprudenza afferma che non può ridursi l’assegno quando il genitore a cui carico è disposto il pagamento si reca in vacanza con i bambini nel periodo estivo. Infatti, accade che il genitore onerato del mantenimento, in occasione delle vacanze, decurta la somma dovuta per i figli, sul presupposto che i minori, in quel periodo, stanno presso di lui. È giusto non decurtare il mantenimento per i figli, anche se occorre contemperare tale principio con eventuali ingenti spese di viaggio, specialmente quando i redditi sono limitati.
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L’OROSCOPO DI
ZOE Previsioni 2016 CARA ARIETE, scrive la filosofa Luisa Muraro nella bella conversazione con Riccardo Fanciullacci, dal titolo Non si può insegnare tutto: “La felicità per me è qualcosa di contingente. Contingente vuol dire che non ti è dovuto, ma significa anche che può toccarti. È una possibilità che sfugge alla nostra mira ma, di suo, è sempre vicina, si tratta di non dimenticarla”. Tanta felicità e piacevoli imprevisti nel corso del prossimo anno, in particolare a partire dalla primavera! Auguri! CARA TORO, ha scritto il teorico inglese Paul Hammond, nel suo testo Available light, che i surrealisti sono come “epicurei del detrito” che “scoprirono tesori poetici e sovversivi negli scantinati del cinema”. Niente paura, non prevedo alcun detrito o scantinato nel tuo futuro, per lo meno non in senso letterale. Voglio soltanto dirti che quest’anno troverai il tuo successo, il tuo “tesoro poetico e sovversivo”, probabilmente in luoghi inaspettati, lontano dal tuo solito ambiente, grazie all’opera di Giove e Plutone. Buon 2016! CARA GEMELLI, il Glaucus atlanticus è un animaletto che somiglia a una medusa, pieno di tentacoli blu. Dato che non può scappare di fronte ai pericoli, poiché si muove solo trasportato dalle correnti, ha questo geniale sistema di difesa: usa il veleno sottratto alle altre meduse per dissuadere i suoi nemici. Questo comportamento del piccolo Glaucus può essere d’esempio per un anno che si prevede per te molto soddisfacente e pieno di successi, ma durante il quale – proprio per questo – dovrai tenere d’occhio la “concorrenza”. Buon 2016! CARA CANCRO, nel racconto della grande Alice Munroe, Amica della mia giovinezza, l’io narrante mostra di non approvare la grande ammirazione manifestata da sua madre per una coetanea, che ha rinunciato al sesso a causa di un senso del sacrificio in effetti poco comprensibile. Il 2016 si profila come un anno produttivo, ricco di grandi occasioni, e con l’aiuto di Marte, pianeta della passione fisica, non dovrete rinunciare proprio a nulla! Un susseguirsi di attività e di impegni avrà inizio soprattutto a partire da maggio. Auguri!
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PREDIZIONI SEMI-SERIE E PRONOSTICI POSSIBILI
CARA LEONE, “Quant’è stolto il suo proposito di dipingere se stesso!”, affermava nel Seicento il filosofo francese Blaise Pascal, criticando il suo collega Montaigne, che troppo si occupava di sé e delle proprie opinioni nei suoi Saggi. Direi che non sei proprio d’accordo con lui, e i successi che conquisterai nel corso del 2016 confermeranno il tuo benevolo egocentrismo. Soddisfazioni sia nella vita affettiva sia per quel che riguarda l’ambito dei guadagni. Auguri!
CARA SAGITTARIO, Saturno, pianeta delle rinunce, è arrivato nel tuo segno, e ci rimarrà fino al 2017. Può essere un confronto faticoso, è vero, ma ti propongo di cogliere l’occasione per potare, tagliare via tutto ciò che non è più vitale, e lasciar andare così quello che ti ha appesantito finora. Ti dedico questa frase dello scrittore Italo Calvino, che invita a non dedicare troppo tempo al rimpianto: “I futuri non realizzati sono solo rami del passato: rami secchi”. Auguri!
CARA VERGINE, “Pensare è pericoloso. Perché per pensare è necessario distruggere gli strati del buon senso e del senso comune, ossia del pensiero normalizzato e dell’opinione generalizzata”, scrive José Gil nel suo libro L’impercettibile divenire dell’immanenza. Auguri per questo nuovo anno, in cui potrai mettere a frutto le tue mercuriali doti astrologiche – il tuo sguardo acuto e la tua intelligenza analitica – per pensare pericolosamente. Sono con te!
CARA CAPRICORNO, poiché il prossimo sarà per te un anno particolarmente fortunato, soprattutto per quel che riguarda le finanze – grazie a Giove, Plutone e Mercurio – ti voglio ricordare che non esiste solo l’utilità, la praticità, il guadagno. E lo faccio con questa netta affermazione del filosofo francese Georges Bataille: “Ogni volta che il senso di una discussione dipende dal valore delle parola utile, [...] è possibile affermare che la discussione è necessariamente falsata e il problema fondamentale eluso”. Auguri!
CARA BILANCIA, sono recentemente apparse in italiano le versioni originali delle favole dei fratelli Grimm, quelle che abbiamo conosciuto trasfigurate attraverso i film della Disney. Ebbene, l’atmosfera è sinceramente un po’ diversa: Cappuccetto rosso è un’adolescente che incontra un lupo piuttosto ambiguo, a tentare di uccidere Biancaneve non è la matrigna, ma la madre, e così via. Sei del segno più dolce dello Zodiaco, e avrai un anno lieto e sereno, senza matrigne e lupi cattivi. Ma ti propongo di rinunciare ogni tanto al tuo sguardo prospettiva innocente, per guardare in faccia anche la dura realtà. Questo non farà che aumentare le occasioni importanti. Buon anno! CARA SCORPIONE, finalmente Saturno è passato, nel corso del nuovo anno potrai sentirti liberata da questo peso, ma potrai anche dedicarti a scoprire quanto “il pianeta della rinuncia e della separazione” ha prodotto di buono per te. Per aiutarti a capirlo, ti dedico questa meravigliosa frase di Marcel Proust: “Poiché non avevo potuto amare che in tempi successivi tutto quello che questa sonata mi portava, io non la possedevo mai tutta intera: assomigliava alla vita”. Buon 2016!
CARA ACQUARIO, grandi cambiamenti, positivi e stimolanti, dal mese di agosto 2016 in poi. Faccio riferimento alla tua natura spumosa di segno d’aria, nel dedicarti questa frase del Così parlò Zarathustra di Nietzsche, che parla di te e del tuo prossimo anno: “E anche a me, che voglio bene alla vita, pare che tutti quanti gli uomini abbiano della farfalla e della bolla di sapone, sappiano meglio di tutti cos’è la felicità”. Buon anno! CARA PESCI, quest’anno, che si risolverà positivamente per te, prevede però anche qualche battaglia nella sua prima parte. Ti propongo questa citazione del filosofo Peter Sloterdijk, per incitarti ad assecondare l’andamento un po’ oscillante dei pianeti, senza cristallizzarti mai: “in certi momenti, dall’ignoto che sta tutt’intorno emergono delle novità della dimensione del saputo; viceversa, da ciò che è stato reso noto, qualcosa ricade nell’oblio [...]. Di conseguenza, la verità non ha una consistenza sicura, [è] qualcosa che va e che viene”. Auguri!
Ringraziamo Zoe per la generosa collaborazione e per i sogni che ci ha regalato in questi anni
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Müesser Yeniay
Il lamento e la pietra Poesie sulle donne, sulla libertà ridotta in schiavitù, la morte per lapidazione di Luca Benassi
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üesser Yeniay è nata a Izmir, in Turchia, nel 1984 e vive e lavora ad Ankara. Ha pubblicato tre libri di poesia, ma è anche traduttrice, critica letteraria e redattrice della rivista di letteratura “Şiirden”. Laureata in lingua e letteratura inglese, Yeniay è un’infaticabile viaggiatrice, in Europa, nei Balcani e in America, dove è stata diverse volte pubblicando traduzioni delle sue poesie. Da queste esperienze, dai contatti con poeti e linguaggi di diverse parti del mondo trae l’occasione per tradurre, pubblicare e far conoscere altre letterature in Turchia. Ha pubblicato un’antologia di poesia mondiale “Ho trovato la mia casa nelle montagne” (2011) e una “Antologia Spagnola contemporanea” (2014),
curata insieme a Metin Cengiz e Jaime B. Rosa. Müesser Yeniay rappresenta, non solo come poeta, la nuova generazione della poesia turca, la cui apertura verso l’esterno e verso l’Unione Europea in particolare, si concretizza in scambi, traduzioni, pubblicazioni estere. Anche i versi risentono di questo clima, attraverso l’adozione di una linguaggio all’apparenza semplice e immediato, ma in realtà capace di sondare le profondità del mistero, dell’inquietudine e del desiderio. Il suo ultimo libro, “Davanti a me il deserto” (2014), contiene testi brevi, fratturati in frammenti dove i silenzi della pagine servono a mettere in risalto versi non di rado composti da un sintagma o una singola parola, vicini a una dimensione gnomica e aforistica. Si tratta di una poesia che riflette sulle origini e sulla tradizione che, nelle distese desertiche, vede l’incontro con Dio e la Sua rivelazione, ma che in questa autrice è anche la manifestazione di una coscienza umana moderna e poetica. Yeniay è anche poetessa civile che guarda alle contraddizioni e alle problematiche di un Paese e una religione, l’Islam, alle prese con trasformazioni e conflitti. Nella sequenza inedita di “Poesie sulle donne”, dalla quale sono i tratti i testi qui pubblicati, Yeniay affronta il tema della violenza e della discriminazione nei confronti delle donne nei paesi islamici e nella Turchia contemporanea. Si tratta di un canto di dolore, nel quale le donne danno voce alla sofferenza, alla bellezza deturpata che si fa oggetto e merce di scambio nelle mani degli uomini, alla libertà ridotta in schiavitù, alla morte per lapidazione. La scrittrice turca usa un linguaggio e immagini senza tempo, capaci di affondare nel cuore di chi legge con la forza di una lama, regalando al pubblico italiano una verità vissuta e compresa del punto di vista della poesia. Le traduzioni sono della poetessa Laura Corraducci.
Recm* Fuori è notte dentro è separazione questo deve essere l’ultimo giorno del mondo in cui penserò a lui l’amore finisce… il cuore rimane come una donna lapidata a morte in mezzo alla realtà il mio cuore, è la pietra più grande che Dio mi ha lanciato addosso *Recm è la parola usata per indicare la lapidazione, punizione che in alcuni paesi islamici viene ancora inflitta alle donne colte in adulterio.
Schiava Dopo la guerra fui catturata con le catene come una treccia Venivo dal Nord in groppa ad un cavallo per un bottino al mercato delle schiave le mie labbra sigillate mai aperte con la voce di un mercante il mio corpo venne sparso nelle mani di sconosciuti Aspettai dunque che il mio padrone mi sciogliesse le catene in un sogno desolato i suoi occhi scivolarono giù per vedermi chiaramente dentro il velo
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