Nd giugno 2013

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CIBO

GALASSIA SALUTE

FERTILITÀ OSPEDALI

BENESSERE

FARMACI

MENOPAUSA

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MEDICINA DI GENERE

RICERCA

GOVERNO/ SETTE MINISTRE SU VENTUNO PERÙ/ BAMBINE E LAVORATRICI prezzo sostenitore 3,00 euro Anno 68 - n.06 ISSN 0029-0920

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PSICOLOGIA CONTRACCEZIONE


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Maggio 2013

DELFINA

di Cristina Gentile

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www.noidonne.org

SOMMARIO

01 / DELFINA di Cristina Gentile

MAGGIO 2013 RUBRICHE

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03 / EDITORIALE di Tiziana Bartolini

4/7 ATTUALITà 04 Femminismi nel Terzo millennio di Giancarla Codrignani 06 PaPa FranCesCo e la Tenerezza al PoTere di stefania Friggeri 07 sComuniCare i CorroTTi di Grazia Giurato

8/9 BIOETICA

16/19 FOCUS/ ELEZIONI: CERCASI PREFERENZE 16 reGione lazio / GiunTa zinGareTTi sei su DieCi, ma l’amarezza resTa inTerVisTa a Valentina Grippo di maria Fabbricatore 18 reGione lomBarDia inTerVisTa a Sara ValmaGGi di marina Caleffi

umani, TroPPi umani di anna mannucci

11/15 INTRECCI 11 PoTenza / assoCiazione TeleFono Donna Casa Per le Donne “e. sCarDaCCione” inConTro Con Cinzia marroCColi di silvia Vaccaro 12 uDi / lo sTuPro Di monTalTo Di CasTro 14 san Giuliano Terme FesTiVal Donna e saluTe 15 TrenTaCinque anni Della l. 194 di michele Grandolfo

32 Birmania. aunG san suu Kyi la Forza Della sPiriTualiTà di albertina soliani 34 KurDisTan TurCo / a DiyarBaKir inConTro Con le maDri Della PaCe di emanuela irace

36/47 APPRODI

20/25 JOB 20 reGione lazio / ConsiGliere Di PariTà un TaVolo PermanenTe ConTro DisoCCuPazione e DisCriminazioni di alice Casale 22 FonDazione nilDe ioTTi / l’aGriColTura Delle Donne Per una nuoVa iDea Di CresCiTa di Tiziana Bartolini 24 CaVezzo / TuTTo un alTro sHoPPinG un CenTro CommerCiale nei ConTainer di antonella iaschi

36 libri nienTe Ci Fu / BeaTriCe monroy di mirella mascellino Pensiero PoliTiCo e Genere Dall’oTToCenTo al noVeCenTo / F. TariCone e r. BuFano di elena luviso soGnanDo PariTà / rossella PalomBa di elisabetta Colla Donne senza Veline / elisa salVaTi di rosanna marcodoppido 38 riuso e riCiClo / TuTTo un FesTiVal Con: risCarTi, reCiClamaDriD e DraParT di elisabetta Colla

26/27 EmILIA ROmAgNA 28 /35 mONDI

mensile di politica, cultura e attualità fondato nel 1944

DirettorA Tiziana Bartolini

Anno 68 - numero 05 Maggio 2013

eDitore Cooperativa libera stampa a.r.l. Via della lungara, 19 - 00165 roma

autorizzazione Tribunale di roma n°360 del registro della stampa 18/03/1949 Poste italiane s.p.a. spedizione abbonamento postale D.l. 353/2003 (conv. in l.27/02/2004 n°46) art.1 comma 1 DCB roma prezzo sostenitore €3.00 euro Filiale di roma

PresiDente isa Ferraguti

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stAMPA s.uP.e.ma. srl Via Trapani, 2 - 00041 Pavona (roma) tel. 06.9314578 fax 06.9315044 sUPerVisione elisa serra - terragaia.elisa@gmail.com AbbonAMenti rinaldo - mob. 338 9452935 redazione@noidonne.org

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29 Birmania. le Donne GiraFFa CiTTaDine a meTà e senza DiriTTi di maria elisa Di Pietro

AMiche e AMici Del Progetto noiDonne laura Balbo luisella Battaglia Francesca Brezzi rita Capponi Giancarla Codrignani maria rosa Cutrufelli Giuliana Dal Pozzo anna Finocchiaro Carlo Flamigni umberto Galimberti lilli Gruber ela mascia elena marinucci luisa morgantini elena Paciotti marina Piazza margherita Hack

marisa rodano Gianna schelotto Clara sereni michele serra nicola Tranfaglia ringraziamo chi ha già aderito al nuovo progetto, continuiamo ad accogliere adesioni e lavoriamo per delineare una sua più formale definizione l’editore garantisce la massima riservatezza dei dati forniti dagli abbonati e la possibilità di richiederne gratuitamente la rettifica o cancellazione contattando la redazione di noidonne (redazione@noidonne.org). le informazioni custodite nell’archivio non saranno né comunicate né diffuse e verranno utilizzate al solo scopo di inviare agli abbonati il giornale ed eventuali vantaggiose proposte commerciali correlate. (l.196/03)

39 maGniTuDo emilia. lo sGuarDo sulle Cose liBro FoToGraFiCo di a. Vandelli e l. ottani di maria elisa Di Pietro 40 anTonieTTa raPHaël, la raGazza Con il Violino Giulia maFai raCConTa la maDre e l’arTisTa di Flavia matitti

05 le idee di Catia iori 09 il filo verde di Barbara Bruni 15 Salute BeneComune di michele Grandolfo 21 note ai margini di alida Castelli 25 strategie private di Cristina melchiorri 44 leggere l’albero di Bruna Baldassarre 44 donne e consumi di Viola Conti 45 spigolando di Paola ortensi 46 famiglia, sentiamo l’avvocata di simona napolitani 46 UiSp 47 l’oroSCopo di Zoe 48 poeSia il paradiso è restare vivi Franca maria Catri di luca Benassi

42 KiKi, ConseGne a DomiCilio / Hayao miyazaKi qualCuno Da amare / aBBas KiarosTami di elisabetta Colla

ringrAziAMo le AMiche e gli AMici che generosAMente qUesto Mese hAnno collAborAto

Daniela angelucci Bruna Baldassarre Tiziana Bartolini luca Benassi Barbara Bruni marina Caleffi alice Casale alida Castelli Giancarla Codrignani elisabetta Colla

Viola Conti maria elisa Di Pietro maria Fabbricatore stefania Friggeri Cristina Gentile Grazia Giurato michele Grandolfo emanuela irace antonella iaschi Catia iori elena luviso anna mannucci Flavia matitti Paola marani rosanna marcodoppido

mirella mascellino Cristina melchiorri roberta mori simona napolitani Paola ortensi albertina soliani silvia Vaccaro

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NapoliTaNo-Bis,

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I vINCItoRI E LE SCoNfIttE

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’è sempre una prima volta. E il secondo mandato al Quirinale per Giorgio Napolitano inaugura la possibilità di rielezione del Presidente della Repubblica, possibilità che la Costituzione non prevede ma neppure impedisce. Indipendentemente dalle regole sancite nella Carta un esercizio di veto lo avrebbe certo dettato il buon senso, in considerazione degli 88 anni del Presidente e della richiesta di un cambio di passo emersa chiaramente dalle recenti elezioni. Poiché la politica si esprime anche attraverso i simboli, è incontestabile che questa riconferma è la certificazione della paralisi della classe dirigente italiana, quella politica e quella che abita i palazzi dei vari poteri che compongono il sistema-paese nel suo complesso. Non immaginiamo un pressing di banchieri e industriali sul PdL (che ha proposto da subito il settennatobis di Napolitano) e neppure una lobby che ha imposto al PD di affondare Marini e Prodi e di non proporre Rodotà. Non è immune dalla critica neppure il M5S, inchiodato ad un pugno di nomi da un misterioso sondaggio sul web. Sembra piuttosto che un così tanto rinnovato Parlamento si sia immediatamente adeguato ai criptici rituali del Palazzo, ai tempi lunghi della peggiore politica, ai rinvii defatiganti, alle continue prove tecniche di cambiamenti che o sono di facciata non arrivano proprio, insomma all’eterno gioco delle parti in commedia affinché nulla cambi se non con il placet dei poteri forti. Il più giovane Parlamento d’Europa, composto per circa un terzo da donne, si è impantanato al primo passaggio istituzionale, incapace di gesti di autonomia, senza orgoglio, timoroso di infrangere consuetudini, prigioniero di faide antiche o contrasti recenti che non hanno alcuna relazione con l’Italia viva e le sue gravi emergenze economiche e sociali. Senza dubbio il PD ha il primato delle

colpe avendo irresponsabilmente coinvolto l’intero Paese nella sua irrisolta crisi di identità e dando prova di una arroganza indigeribile persino per i suoi più fedeli militanti ed elettori. Come potrà, ragionevolmente, riproporsi alla guida del Paese una sommatoria squallida di personalismi ed egocentrismi che non è stata in grado di auto-governarsi in un passaggio così delicato e decisivo? Cosa ha impedito la polarizzazione delle tante e positive forze rigeneratrici che pure ci sono in Parlamento e nel PD intorno ad un nome da scegliere quale simbolo (Rodotà o altro di analoga caratura e forza istituzionale) per accompagnare una nuova fase di autentico e profondo mutamento? L’occasione perduta accentua solchi già profondi e vi aggiunge l’amarezza di assistere ad una scelta imposta a Giorgio Napolitano da un’emergenza fabbricata in laboratorio con una miscela di silenzio, pavidità e cinismo. Abbiamo assistito ad una lotta i cui protagonisti - vincitori e vittime - sono stati uomini che hanno agito con logiche maschili e machiste. Per costoro la Repubblica e la Democrazia, che avevano (e hanno) urgenza di cura e manutenzione, possono aspettare. Aspettare che maturino i tempi per una Politica propositivamente dialettica e condivisa quando necessario. Aspettare che arrivi da chissà chi il via libera per mutare equilibri e occupare spazi decisionali. Aspettare che 290 tra senatrici e deputate elaborino strategie alternative alle regole dominanti e sbagliate. Aspettare…. il contrario esatto dell’abusato slogan ‘se non ora quando’. Il femminile legato all’idea di Rinascita e di Rigenerazione anche questa volta ha passato la mano. Il prossimo giro non tarderà molto. Conviene attrezzarci per tempo. Tiziana Bartolini


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Società neutra

Femminismi nel terzo millennio di Giancarla Codrignani

Le parlamentari sono tante, ma permane la resistenza di meccanismi ‘neutri’ e il sistema è ancora patriarcale sperimenteremo grandi cambiamenti. Simbolico l’inizio del “troie” di Battiato. E, anche peggio, la Roberta Lombardi capogruppo M5S alla Camera dei Deputati nel giudizio assolutorio su Mussolini. Le altre presenti erano così assenti dalla logica istituzionale da non essere venute in mente come “sagge” per una “commissione di saggi”. Si può essere state madri della Repubblica o addirittura presiederla e non averne la rappresentatività femminile in diritto.

La ricerca biotecnologica sta inventando un analogo biologico del computer che penetra la cellula e, dopo averla analizzata, la riprogramma. Forse guariremo da malattie, forse diventeremo alieni: comunque pochissimi di noi contemporanei è all’altezza degli avanzamenti che determinano la storia futura. Nemmeno i politici si interrogano: il fatto che non studino è peggiore della corruzione. Non si tratta di cultura o competenze tecniche: lo si constata anche dai giornalisti, che ormai lavorano solo al desk e dal computer non gli esce nulla di equivalente ai rapporti diretti con la gente in strada. Le donne hanno di nuovo immagine sfuocata e appaiono sempre più stritolate. Quando maiora premunt, facciamo le portatrici d’acqua. Mentre, proprio quando tutto cambia bisognerebbe immettersi nei meccanismi trasformativi. Le elezioni di febbraio hanno portato in Parlamento 290 donne, il 30,2 %, un primato europeo. Non tutti i partiti sono uguali: nel PD le elette sono 156, mentre M5S ne ha 61. Tuttavia, alzi la mano femminista chi crede che

Essere uno a tre in Parlamento, dunque, illude poco: anche in Algeria sono un terzo, eppure il diritto di famiglia resta patriarcale. La resistenza dei meccanismi, che non sono neutri, resta forte, anche se le donne studiano di più e sanno fare meglio. Ma hanno studiato su testi scientifici “neutri”, privi della loro storia e della consape-

volezza che c’è un “altro genere”. In Algeria le avvocate e le magistrate sono più o meno come da noi. Ma il diritto è quello scritto in nome dell’uomo, che “comprende” le donne e si riserva il potere. Sembra che davvero il femminismo sia morto e sepolto: bisognerà inventarsi qualcosa, se è vero che in tutta Eu-


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ropa le donne vogliono avere marito e bambini, lavorare “come gli uomini”, ottenere servizi “per la famiglia”, e perfino subire riduzioni di orari senza lamentarsi perché agli Stati fa comodo un ammortizzatore sociale accomodante e a basso costo. Personalmente sono arrivata a capire non tanto le Femen ucraine, quanto la loro seguace tunisina Amina Tyler che si è messa a seno nudo su Facebook e ora è reclusa in casa: che fare se alla nonviolenza tolgono la libertà? Forse ci faremo insegnare da amiche lontane. Il 20 dicembre l’Assemblea generale dell’Onu ha adottato la “Risoluzione per la messa al bando universale delle mutilazioni genitali femminili” su cui da anni si erano impegnate donne di tutti i paesi in cui il costume impone questa pratica di odio estremo (a fine sec.XIX la clitoride di isteriche e ninfomani veniva cauterizzato anche da noi). In Bolivia, dopo le pressioni femminili degli ultimi anni contro gli assassinii “di genere”, il 10 marzo è stata firmata dal presidente Morales la legge che introduce il reato di “femmicidio” (con pena fino a 30 anni, la più elevata mai espressa dal codice boliviano). Per “garantire una vita libera da violenze di genere”. Eppure nei paesi emersi ed emergenti le violenze di genere sono molto più pesanti anche giuridicamente e le donne sono così culturalmente condizionate da subirle e alimentarle. Ma anche dove le donne rischiano di più ci sono segnali: in Pakistan, dove è possibile avere un capo del governo donna (una governante?) come Benazir Bhutto - poi uccisa per ragioni politiche e non di genere -, una quindicenne, Malala Yousafzai, era stata sparata alla testa dai talebani che non sopportavano la sua decisione di rivendicare il diritto allo studio per le bambine: in Inghilterra l’hanno ricostruita, è pronta a ricominciare il suo impegno e, se le daranno il Nobel, diventerà un faro per tutte. In Italia per lo stupro di branco agito nel 2007 a Montalto di Castro ai danni di una quindicenne non creduta (il sindaco Carai del PD investì 40mila euro per la difesa dei “ragazzi”), il Tribunale ha chiesto - sette anni dopo - per gli otto ex-minori imputati un nuovo periodo di messa in prova (la prima era stata revocata dalla Cassazione per mancanza di segni di ravvedimento e aveva portato a riaprire il processo) che porterebbe all’estinzione del reato. La nuova udienza l’11 luglio. La dignità della ragazza? quella di tutte noi? ❂

nella foto di sinistra: Malala Yousafzai nella foto di destra: FEMEN in appoggio a Amina Tyler

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IDEE di Catia Iori

SoLe Ma inteGre

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oi donne abbiamo questo di bello, che sappiamo cambiare e ripartire da capo, anche dopo anni di angherie, patimenti e dipendenza. La prospettiva della solitudine terrorizza molte perché spesso vi si associa un senso di abbandono, quasi una sorta di puerile punizione di qualcosa che non è andato nel verso giusto. Se in momenti difficili come questi invece ogni donna riuscisse a godere della propria libertà interiore che non è certo mai isolamento e chiusura verso gli altri ma consapevolezza del proprio valore, credo che davvero la giornata acquisirebbe colori e sapori intensi e nuovi. Quando si arriva a coscientizzare che esiste una sola persona al mondo sulla quale si può contare incondizionatamente , che può riconoscere i nostri bisogni più profondi, che può realizzare le aspirazioni più genuine e quella siamo noi, nulla di altro che noi stesse, il gioco è fatto. Ma per arrivare lì confesso che la strada è lunga e irta: bisogna allenarsi come ci si allena a una maratona cittadina. Apprezzare la compagnia di se stesse, tollerare l’ascolto dei propri pensieri, sostenere il proprio sguardo che penetra nelle profondità del proprio essere. Queste sono mete finali e a furia di battaglie, un po’ vinte,un po’ perse, ci si arriva. Siamo minimaliste per natura. Può bastare un paio di ore in palestra, un film o una pizza con le amiche. Certo non siamo ancora alla piena esperienza della solitudine creativa ma è già un modo di essere sole in compagnia. Gli uomini sono sempre i benvenuti nella nostra vita ma francamente non sono indispensabili. Anzi,direi che sono quasi pleonastici. La loro presenza può essere un prezioso arricchimento, ma è sbagliato far dipendere la propria vita da un uomo e pensare di non avere abbastanza risorse per cavarsela da sole. Basta avere la voglia di provare e i risultati saranno sorprendenti. Ho visto tante persone unirsi in matrimonio o in convivenze premature per scongiurare il rischio di un’esistenza priva della vicinanza e del conforto di una presenza costante al proprio fianco. Non importa poi se questa presenza finisce per rivelarsi, più che altro, una fonte di incomprensione, di sofferenza e di penosa solitudine morale. Epperò è difficile che dall’incontro di due solitudini intese nel senso più deteriore del termine, possa nascere uno stato di gioioso benessere a due. In genere accade che il disagio personale venga amplificato da uno stato di conflittualità o addirittura di indifferenza reciproca. Meglio allora riconciliarsi con la propria solitudine prima di fare scelte avventate. Se il bisogno rende ciechi e sordi alla più elementare prudenza, meglio riconciliarsi con la propri solitudine. A tutti i costi.


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Papa Francesco

La tenereZZa aL Potere di Stefania Friggeri

Conviene non farsi sedurre dal carisma e misurare Bergoglio sui risultati concreti del suo difficile cammino per la conciliazione della tradizione con il cambiamento Ancora una volta assistiamo al fenomeno sociale definito “culto della personalità”, un’inconscia e profonda mancanza di autostima che ci porta a rifiutare le nostre responsabilità e ad affidare le speranze ad un personaggio carismatico: sedotti, gratificati da una nuova identità militante, eleggiamo a nostra guida chi ha saputo toglierci dall’abulia, da un atteggiamento rinunciatario o fatalistico. Mentre invece l’impulso che viene dall’alto diventa fruttifero, introduce un cambiamento nel modo di sentire e di pensare quando è preparato prima, e sostenuto dopo, dalla “cultura” espressa a livello di base. Certo i primi atti e le prime parole di papa Francesco hanno introdotto nella Chiesa cattolica uno stile ed un clima che giustifica la speranza di rinnovamento: a parte la rinuncia alla pompa nel vestire (vedi la riconoscenza degli animalisti) Bergoglio auspica l’ “avvento” di una Chiesa che diffonde nel sociale un modello di vita fondato sulla tenerezza, il sentire utopico già auspicato dal conterraneo Che Guevara (“bisogna essere duri senza mai perdere la tenerezza”). Il messaggio della tenerezza infatti promuove una rivoluzione morale perché la tenerezza è un sentimento capace di terremotare i rapporti umani: guardare all’altro con “simpatia”, cercando di capirlo nel profondo, oltre i ruoli e la superficie, attraverso un ascolto libero da pre-giudizi e disinteressato. Inoltre, per restituire credibilità alla Chiesa infangata dagli scandali e sfigurata dalla passione mondana del potere, Bergoglio ha scelto il nome del poverello di Assisi lanciando il mes-

saggio di “una Chiesa povera per i poveri”. E in questa luce è stato letto ed apprezzato il suo stile sobrio e gesti, quale l’aver pagato il conto in albergo, che lo sottraggono alla pompa della Chiesa trionfante e lo incorniciano nella quotidianità e nella normalità di un semplice cristiano. Recuperando l’opzione preferenziale per i poveri (proclamata nel 1968 dai vescovi latinoamericani a Medellin) Bergoglio ha promosso molte iniziative a loro favore mantenendosi però sempre nel solco della tradizionale dottrina sociale della Chiesa: i ricchi e i potenti siano caritatevoli e rispettosi del dovuto ai lavoratori; i poveri, se contestano un’ingiustizia, non prendano parte ad atti eversivi. Una Chiesa insomma a favore dei poveri ma non contro la povertà. L’interpretazione reazionaria di questa linea ha indotto la Chiesa argentina ad appoggiare la più sanguinaria ed ottusa dittatura latinoamericana, che ha lasciato orfano il paese di un’intera generazione: ben trentamila desaparecidos. Famose le parole del nunzio apostolico Laghi e del cardinal Benelli “soddisfatti dell’atteggiamento assunto dalla nuova giunta di governo per la sua vocazione cristiana e occidentale” cioè anticomunista. Una politica criminale di cui ha chiesto scusa lo stesso Bergoglio, anche se ha lasciato intendere di non aver cambiato idea sulla resistenza armata alla dittatura e sulla teologia della liberazione. Ma non erano guerriglieri i due gesuiti, Yorio e Jalics, sequestrati e torturati a morte. Erano colpevoli di voler sfamare ed educare gli infelici delle favelas quando la dittatura vedeva nella povertà e nell’ignoranza


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gli strumenti per sostenere una politica neoliberista selvaggia che arricchiva i ricchi e le multinazionali. Nel suo “L’isola del silenzio” Horacio Verbitsky scrive che Bergoglio chiese loro di cessare ogni attività solidale e che, di fronte al loro rifiuto, li escluse dalla Compagnia del Gesù. Secondo Adolfo, fratello di Yorio, quello fu il segnale che i due giovani, non più sotto la protezione della Chiesa, potevano essere arrestati. Parole dure vengono anche da Estela de La Quadra che accusa Bergoglio di ostruzionismo nel processo intorno al sequestro dei figli nati in carcere dalle prigioniere politiche: “ho chiesto di chiamarlo a testimoniare ma lui si rifiutò e pretese che gli mandassero le domande per iscritto”. “Ci sono ombre che pesano su di lui” dice anche Estela de Carlotto, presidente delle Abuelas de Plaza de Mayo, “durante la dittatura non ci ha mai parlato, mai chiamato”. Ma dal teologo Leonardo Boff vengono parole di fiducia, anzi lo ritiene personalità capace di far riprendere alla Chiesa cattolica il dialogo con la modernità, che vuol dire rivolgersi alla cultura contemporanea senza arroganza, non in termini di aggressione ideologica. Anche Perez de Esquivel, Nobel per la pace, interviene per difendere il papa dalle accuse riportate non solo da Verbitsky ma anche da Mignone, famoso difensore dei diritti civili. Non è la prima volta che il terrore del comunismo porta i vertici della Chiesa cattolica su posizioni che poi generano infinite dispute tra gli storici: oggi papa Francesco, ieri Pio XII. Finita la dittatura Bergoglio si è espresso come esponente della destra peronista ma oggi, con le sue prime ed impegnative scelte simboliche, che non hanno un significato solamente religioso, ha trasmesso al mondo le speranze radicate profondamente nelle masse dei diseredati del terzo mondo. L’abdicazione di Ratzinger ha dato la scossa necessaria perché la Chiesa proceda verso la necessaria autoriforma, ovvero verso la vera povertà nel senso della spoliazione dalla mondanità spirituale. Compito non facile perché il papa, per ripulire la curia, lo Ior, affrontare gli scandali, sessuali e non, deve combattere una struttura potente e ramificata, conciliando la tradizione col cambiamento. Bergoglio infatti rimane un conservatore su temi come il sesso, la famiglia, gli omosessuali, la figura della donna. Alla quale non ha lesinato riconoscimenti ma che dice sulla contraccezione? Anziché slanciarsi spinti da aspettative iperboliche a dichiarare il proprio entusiasmo, conviene aspettare papa Francesco al traguardo del suo difficile cammino e misurarlo sui risultati concreti. b

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Scomunicare i corrotti

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apa Francesco suscita in tanti di noi, credenti e non, una grande speranza per il rinnovamento della Chiesa e conseguentemente della società tutta. Uno dei temi che più ha sottolineato ancor prima di essere Papa, ed io penso gli stia molto a cuore, è quello della corruzione, che definisce “cancro morale”. Nel suo libro ‘Guarire dalla corruzione’ si sofferma a spiegare la differenza tra reato e peccato. Per me la corruzione è il problema principale della nostra società. Capisco che anche altri Paesi per quanto si legge - soffrono e vivono situazioni analoghe, ma purtroppo abbiamo un triste primato in Europa e la Corte dei Conti attribuisce alla corruzione un valore di circa sessanta miliardi l’anno. Oltre a creare danni dal punto di vista economico e finanziario, la corruzione è come una ragnatela che invade, infesta e si espande causando degrado culturale globale e coltivando avidità, cupidigia. Basta pensare alle varie complicità nella politica, dal criterio della spartizione alla gestione quotidiana nella Pubblica Amministrazione, alla furbizia e all’imbroglio nel settore produttivo, alla diffusa evasione fiscale, alle truffe delle banche e dei banchieri, al mondo del lavoro dove prevale il sistema “amico dell’amico”..., e la stessa Chiesa per anni complice che ha fatto finta di non vedere e non sentire (vedi scandalo del S. Raffaele a Milano e la stessa Compagnia delle Opere). Basta pensare ai ritardi della Giustizia e alla non certezza della pena perché spesso nessuno paga per il reato commesso se arriva la “famosa prescrizione”. Basta pensare anche alla Ministra Severino, che ha tentato di far approvare una legge anticorruzione e che è stata ostacolata da tutti i politici, di destra e di sinistra. Anche questa è CORRUZIONE! Ed è così diffusa, ahimè, anche perché ci siamo assuefatti ai vari scandali ed alle menzogne spacciate per verità. Tutto ciò è molto grave e dobbiamo dire BASTA. BASTA ,BASTA. Cogliamo questo vento di cambiamento che ci viene da Papa Francesco. È una opportunità e può essere provvidenziale e mi rivolgo a lui (è possibile?) con una proposta forse “strana” ed anche provocatoria, come mi ha insegnato il femminismo. Ricordando la storia della Chiesa, ci sono stati momenti particolari come quelli che hanno deciso la scomunica per chi votava il P.C.I. (Partito Comunista Italiano) ed anche per chi leggeva la stampa Comunista. Bene? Male? Non so, tempo passato. La mia proposta, oggi, è: perché non annunciare la scomunica per chi si rende responsabile della corruzione? Grazia Giurato


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Anna Mannucci Istituto Italiano di Bioetica www.istitutobioetica.org

UMANI TROPPI UMANI S

pecie selvatiche che si estinguono, ambienti naturali sempre più ridotti in tutto il mondo, crisi delle zone umide e delle foreste. Non c’è più spazio per gli elefanti e per i gorilla in Africa, per le tigri in India, per gli oranghi in Borneo, per gli orsi in Trentino e per altre migliaia, centinaia di migliaia di animali. Anche quando le cose sembrano andare bene, si va sul grottesco, come quando si parla di “ritorno del lupo” in Italia e in realtà si tratta di poche centinaia di individui… a confronto con 50 milioni e più di umani! Dovremmo condividere la Terra con le altre specie e invece la stiamo invadendo in modo irrazionale e poco lungimirante. Noi umani dovremmo essere i custodi della natura e delle altre specie animali, e non i padroni

lare dell’invasione e diassoluti e devastatori del LO STATO struzione del territorio, mondo. La popolazione un fenomeno che gli umana, anzi la DOVREBBE ecologisti chiamasovrappopolazioAIUTARE no antropizzazione umana, quasi SERIAMENTE ne: costruzione mai, soprattutto in di case, palazzi, Italia, viene citata SOLO CHI FA UNO strade, autostrade, come una delle O DUE FIGLI E NON centri commerciali, principali cause dei CHI NE FA DI PIÙ ferrovie, dighe, skilift, problemi del pianeta. villaggi turistici, navi, aeSiamo passati dai circa roporti e molto altro. 2 miliardi e mezzo degli Che cosa resta alle specie selvatianni ‘50 ai più di sette miliardi alla che? Ben poco, qualche riserva o fine del 2011. Una crescita abnorme, parco dove sopravvivere. Spesso in pochissimo tempo, innaturale, si potrebbe dire, con tutto quel si tratta di animali quasi prigionieri, strettamente sorvegliati dagli umache evoca questo aggettivo così ni (che comunque non riescono a controverso. fermare i bracconieri). Si pensi, per Sovrappopolazione umana non siesempio, alla pratica di ammazzare gnifica soltanto troppa gente, come gli animali “eccedenti”. In Italia si nell’immagine di una stanza sovrafchiama proprio “controllo” e signifollata (che comunque già è fastifica ammazzare gli animali considiosa). Significa che queste persoderati di troppo (di troppo rispetto a ne consumano acqua, mangiano cosa?); internazionalmente si chiaanimali (da qui la caccia alle specie ma culling, che fa meno effetto di rare e il proliferare assurdo degli aluccisione a freddo. levamenti intensivi), coltivano piante, Bisognerebbe allora prendere coeliminando spazi selvaggi che spetscienza di questa situazione e divulterebbero alle specie selvatiche; gare la necessità della riproduzione usano le macchine, automobili e responsabile, invece di piangere trattori, che consumano combustibili per il crollo demografico. Certo in e inquinano, si scaldano bruciando Italia questo problema sembra non legno o altri materiali. Per non par-


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Il filo verde ne di animali allevati ci sia, perlomeno tra PROMUOVERE costrette a fare figli gli italiani. Ma nel UNA CULTURA fino allo stremo), mondo, in geneper produrre rale, il probleDELLA RIPRODUZIONE nuovi soldati ma esiste ed è RESPONSABILE E NON o nuovi adepdrammatico. Le PIANGERE PER IL ti (come in Italia politiche di poche CROLLO succedeva durante associazioni umaniil ventennio fascista). tarie che incentivano DEMOGRAFICO Nel discorso quotidial’uso di anticonceziono, nei mass media, binali e la sterilizzazione sognerebbe anche smetvolontaria sono malviste. terla con la cultura del piagnisteo, Mentre, chissà perché, non sono del compatimento per chi fa troppi malviste le politiche anche statali figli e non sa come mantenerli. Il “diche vogliono le donne costrette a soccupato da dieci anni con quattro rimanere di continuo incinte invofigli piccoli” non va compatito, ma lontariamente perché prive di inindicato come irresponsabile. Lo formazioni e di strumenti rispetto stesso giudizio per “la copalla gestione del proprio pia senza soldi che da un corpo. Troppe Ong e Onanno vive in macchina e lus terzomondiste non IL MAGGIOR FRENO da due mesi aspetta divulgano l’uso dei un bambino”. Sono contraccettivi e preALLE NASCITE È disponibili molti anferiscono chiedere LA SCOLARIZZAZIONE ticoncezionali e, soldi per i bambinei casi previsti ni che muoiono di FEMMINILE E LA dalla legge, l’interfame. RESPONSABILIZZAZIONE ruzione volontaria di Tutti dovrebbero gravidanza. invece acconsentire DELLE DONNE Lo Stato dovrebbe aiualla diffusione di una tare seriamente chi fa cultura della riproduziouno o due figli. Oltre quene responsabile, su cui è sto numero, lo Stato non dovrebbe d’accordo, almeno nelle sue dichiafornire aiuti ulteriori. E se uno è ricrazioni ufficiali, anche la Chiesa catco, buon per lui. Una persona dotolica, che insiste soprattutto sulla vrebbe riprodursi solo quando è in sessualità responsabile, necessaria grado - non solo economicamente premessa della riproduzione re\- di mantenere e prendersi cura del sponsabile (anche se ovviamente figlio. rimane contraria all’aborto volontario e, in modo meno drastico, agli anticoncezionali). Ma il maggior freno alle nascite è la scolarizzazione femminile, la responsabilizzazione delle donne. E infatti la riproduzione dissennata è tipica di culture in cui le donne, le bambine, sono sottomesse e non hanno possibilità di scelta, neanche rispetto al marito. Ancora peggio quando ci sono scelte politiche che considerano le donne delle fattrici (uso apposta questa orribile parola di solito riservata alle femmi-

di Barbara Bruni

FUMETTI AMICI DELL’AMBIENTE Seguendo le orme della Disney, del Giornalino e dell’editore di figurine Pizzardi, oggi anche un’azienda italiana, la casa editrice che stampa Dylan Dog, Tex Willer e Martin Mystere, utilizzerà solo carta certificata Pefc. Si tratta di una carta che rispetta l’ambiente, proverrà quasi esclusivamente da foreste svedesi e non contribuirà, quindi, alla deforestazione delle aree tropicali.

IL CANE CHE RISPETTA L’AMBIENTE Si chiama Tubby, è un labrador che in Galles smentisce quanti pensano che riciclare sia faticoso o scocciante. A parlarne è il magazine online “In a Bottle”, che racconta come Tubby - entrato nel Guinness dei primati per aver raccolto oltre 25mila bottiglie di plastica PET, in sei anni - una volta identificata la bottiglia di plastica - l’accartoccia con i denti la consegna alla sua proprietaria.

CONSUMO COLLABORATIVO: NASCE LOCLOC.IT Prende piede in Italia un nuovo modo di concepire gli oggetti, trendy e in linea con l’ambiente. www.locloc. it è il primo portale italiano di consumo collaborativo per il noleggio tra privati. È una vetrina virtuale dove chi cerca e chi mette in affitto cose del proprio vissuto si incontrano. È una tendenza già molto diffusa all’estero, il noleggio “peer to peer” unisce l’idea di un uso più accorto del denaro con il rispetto per l’ambiente. Prova prima di comprare, affitta invece di conservare inutilizzate cose seminuove. Perché acquistare per poi parcheggiare in garage una mountain bike, delle sedie per una festa o la videocamera per un viaggio? Noleggiale, costa meno ed è più intelligente. Viceversa, metti in affitto il lettino da campo di tuo figlio, il kit da giardinaggio e la tavola da surf.

RESIDUI FARMACEUTICI NEI FIUMI Secondo uno studio pubblicato sulla rivista Ecological Applications, è allarme crescente sui residui farmaceutici nei fiumi di tutto il mondo. Se un antiallergico può essere considerato “la salvezza” per un naso che cola, se finisce nei fiumi arriva a disseccare anche il 99% del biofilm, ossia lo strato di alghe, funghi e batteri che rende scivolose le rocce e che è vitale per l’ecosistema. Questo tipo di inquinamento - spiegano i ricercatori - è dovuto sia a perdite di acque reflue da condotti obsoleti o fatiscenti, sia al fatto che troppo spesso i filtri utilizzati non sono adatti allo scopo.



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AntiviolenzA Fili che si riannodano per tessere nuove storie di Silvia Vaccaro

L’Associazione Telefono Donna e la Casa per le donne “Ester Scardaccione”. A Potenza incontriamo Cinzia Marroccoli Il problema della violenza in Italia è tutt’altro che risolto: poche e non istituzionalizzate le attività di prevenzione e di contrasto agli stereotipi, una legislazione che andrebbe rivista e pochi fondi per i Centri che forniscono un sostegno straordinario e insostituibile. Incontrare Cinzia Marroccoli, Presidente dell’Associazione Telefono Donna di Potenza ci ha permesso di fotografare uno scorcio di Italia dove si lavora in maniera efficace e creativa contro le violenze di genere. Cinzia, nata a Potenza, ha studiato Psicologia all’Università La Sapienza di Roma e in quegli anni ha fatto parte di un collettivo femminista. Dopo una tesi sulle carriere femminili è tornata nella sua regione, con altre compagne si è dedicata alla diffusione della contraccezione, soprattutto nell’entroterra, e ha deciso di costituire l’associazione Telefono Donna, che formalmente è nata nell’aprile del 1989. Cinzia racconta che la violenza domestica non veniva nemmeno riconosciuta e per molte donne rientrava nella normalità delle dinamiche coniugali. La sfida più grande di quegli anni è stata lavorare sulla consapevolezza: tra il 1989 e il 2001 l’associazione ha organizzato numerose iniziative di sensibilizzazione delle donne, seminari sull’identità femminile e sull’educazione alla sessualità. La sede di allora era una stanza all’interno della sede potentina dell’AVIS, dove, alternandosi, fornivano consulenza e ascolto tre pomeriggi a settimana in maniera totalmente auto-finanziata. Ester Scardaccione, avvocata e legale di Telefono Donna, è stata amica e compagna di Cinzia, che la ricorda come una persona molto energica e vitale. Dopo anni con l’Associazione, Ester è diventata Presidente della Commissione Pari Opportunità del Consiglio regionale di Basilicata, av-

Ventennale dell’Associazione Telefono Donna: 5/11/2009. Sulla torta è scritto Presenza, Impegno, Passione, che è stato anche il titolo della manifestazione tenutasi al Teatro Francesco Stabile dove erano presenti donne e uomini che in questi anni a vario titolo hanno collaborato con l’Associazione

viando un grosso lavoro di coinvolgimento e confronto tra tutte le realtà attive contro la violenza di genere. Nel 1997 Ester è morta suicida, lasciando le sue compagne sgomente e alle prese con un grande vuoto, che è stato colmato con la Casa per le donne “Ester Scardaccione”, il primo Centro antiviolenza della Basilicata, l’unico ad oggi, aperto nel 2000 grazie al contributo della Fondazione Banco di Napoli. Le donne arrivano al Centro o chiamando in prima persona o su segnalazione dei Servizi Sociali: questa differenza, apparentemente marginale, determina in modo rilevante lo scenario che si creerà nei mesi successivi. Delle 1550 donne che si sono rivolte al Centro dal 2001 ad oggi, quelle che hanno deciso in autonomia hanno maturato un alto grado di consapevolezza cosa che, numeri alla mano, ha determinato mag-


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giore facilità nel trovare un lavoro e un posto dove stare. Quando arrivano al centro le donne sono in uno stato che tecnicamente si definisce “post-traumatico da stress”, ed è importante, come prima cosa, farle sentire sicure e allo stesso tempo libere di ricominciare a pensare a se stesse. La quasi totalità delle donne non ha un lavoro o percepisce un reddito molto basso, alcune sono straniere e tra queste alto è il numero delle donne sposate con italiani, dai quali poi fuggono. Dopo i primi giorni, si inizia a parlare di quello che è successo e si chiede alla donna di raccontare sia la storia affettiva, sia la storia di violenza con l’uomo da cui sono scappate. È come riannodare un filo spezzato: ripartire dai suoi punti di forza, dalle persone Cinzia Marroccoli che possono starle vicino, per pensare a nuove soluzioni che vanno dal cambiare la scuola frequentata dai figli, al cercare un lavoro e una casa, al denunciare e separarsi se la donna decide di proseguire su questa strada (l’associazione, in quei casi, si costituisce parte civile e le accompagna nel processo). In ogni caso è la donna che ha l’ultima parola e alcune decidono di tornare con il marito per dargli un’altra possibilità. La porta del Centro resta comunque sempre aperta, perché se è vero che in alcuni casi le violenze si esauriscono e i due partner ritrovano una serenità di coppia, spesso le cose vanno diversamente. Come già ribadito, la violenza sulle donne è un tema quanto mai attuale e anche la società civile, grazie al lavoro di Centri come quello di cui Cinzia è Presidente, vuole contribuire alla lotta contro gli abusi. Complice l’enorme successo dell’evento One Billion Rising, molte donne, giovani e no, si sono avvicinate all’associazione che ha organizzato l’evento a Potenza. A quell’evento sono seguiti i festeggiamenti per l’otto marzo con alcune letture di testi scritti da donne, e l’invito a Riccado Iacona a presentare il suo libro “Se questi sono uomini”. Oltre ai consueti appuntamenti nelle scuole, nei prossimi mesi Telefono Donna sta organizzando un progetto di arte, musica e cinema al femminile e sarà impegnata su un progetto finanziato dalla regione Basilicata, per far accedere le donne vittima di violenza a corsi di formazione professionale. Telefono Donna è una realtà che si muove e Cinzia collabora con associazioni di altre regioni e si spende per organizzare iniziative di sensibilizzazione affinché il problema della violenza sulle donne venga affrontato e raccontato nella sua complessità. E oggi insieme a Cinzia e alle altre operatrici, lavora anche Cristiana Coviello, avvocata e figlia di Ester. Un altro filo spezzato che si riannoda. b

SenzA GiUStiziA! lo StUPRo Di MontAlto La notte tra il 31 marzo e 1 aprile del 2007 nella pineta di Montalto di Castro una ragazza di 15 anni che si era recata alla festa di compleanno della sua migliore amica viene stuprata e seviziata da altri otto ragazzi presenti a quella festa. Il 25 marzo 2013 il Tribunale dei Minori di Roma decide - nonostante la richiesta del PM Carlo Paolella della condanna ad una pena di quattro anni per sette degli imputati, essendo stata provata la violenza di gruppo - di affidarli in prova ai servizi sociali. Nell’ultima udienza dell’11 luglio 2013 gli assistenti sociali dovranno presentare il programma a cui saranno sottoposti e, se valutati positivamente al termine della messa in prova, il reato sarà estinto. Questo dopo oltre sei anni dallo stupro e a prescindere dal fatto che i colpevoli non hanno mai mostrato segni di consapevolezza, che hanno tentato in tutti i modi di screditare la loro vittima e che ritengono di aver fatto solo una sciocchezza. Una bravata, niente di più. Perché così loro, le loro famiglie, il paese in cui vivono ha giudicato il loro atto e la distruzione psicofisica e sociale di una ragazza di 15 anni a cui hanno devastato la vita e che da allora vive con enorme sofferenza in un mondo sospeso aspettando giustizia. Una giustizia ancora una volta negata, come ha detto la madre della ragazza dopo l’udienza del 25 marzo “il branco è libero, mia figlia ha perso tutto”. Contro questa ennesima ingiustizia M. ha deciso di non ricorrere in appello e aggiunge che se avesse saputo cosa l’aspettava


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A sinistra: Striscione affisso allo Studio Coccia (Napoli) Sopra: Presidio UDI in Via dei Bresciani (Roma)

non avrebbe denunciato perché in questo caso giustizia e pietà sono state uccise. Infatti il caso dello stupro di Montalto di Castro ha qualcosa che, ai “normali” casi di ordinaria ingiustizia che tutte le vittime di stupro e violenza conoscono bene, aggiunge alcuni elementi che rimangono nella memoriae ne fanno una storia emblematica. Da subito il branco si difende affermando che si è trattato di rapporti consenzienti con una ragazza “facile”, da subito le loro buone famiglie li hanno difesi, da subito molti abitanti di Montalto, tra cui molti vecchi laidi hanno espresso la loro invidia per quei ragazzi, da subito il sindaco del paese, Carai del PD, si è schierato dalla loro parte arrivando a pagare con i soldi pubblici gli avvocati degli stupratori per la modica cifra di 20mila euro fino a quando la Corte dei Conti non lo costringe a restituirli. Il sindaco resta al suo posto e viene ricandidato dal suo partito invece che essere espulso nonostante gli insulti sanguinosi dai lui dedicati ad autorevoli donne del suo partito che avevano condannato i suoi atteggiamenti. I dirigenti del suo partito si guardano bene dall’interferire. Come minimo si tratta di apologia di reato e connivenza criminale, ma loro la chiamano cultura e tradizione. Nonostante, o forse grazie a

tutto questo, gli stupratori vengono affidati in prova ai Servizi Sociali e solo l’intervento della Cassazione, grazie alla coraggiosa denuncia della famiglia di M., annulla l’affidamento e riapre il processo. Ma la prima udienza dovrà aspettare il 1° ottobre 2012 perché nel frattempo con mille cavilli era sempre stata rinviata. Nonostante lo scandalo intanto l’opinione pubblica e l’attenzione mediatica si era ridotta al lumicino. È stata la presenza UDI a fianco della madre di M. e di Daniela Bizzarri, già consigliera di parità di Viterbo, che non ha mai mollato la presa, a provare a riaccendere i riflettori sul caso. Davanti al Tribunale dei Minori di Roma udienza dopo udienza abbiamo visto la tenacia, il coraggio e la lucidità della madre di M. e abbiamo visto i ragazzi del branco con la corte dei loro familiari e degli avvocati, la loro sfrontatezza e la tranquillità esibita. Certo non scalfita dall’ultima udienza con la sua verità dimezzata. Abbiamo continuato a richiamare questa vicenda ovunque si parli di violenza alle donne o ovunque ci sia una persona che può agire. Abbiamo visto l’indignazione di tanti/e e pensiamo che, qualunque cosa decida, M. non deve essere lasciata sola. Questa storia non può finire così. La Ministra Severino ha chiesto il fascicolo per valutare l’accaduto. Speriamo che non sia un atto privo di conseguenze, ma in ogni caso ci auguriamo che il Parlamento prenda coscienza che il caso Montalto dimostra che non si può aspettare sei anni una sentenza che non arriva, che per gli stupri di branco non ci dovrebbe essere affidamento ai Servizi Sociali, che anche se minorenni il reato è gravissimo e la pena deve essere conseguente. Altrimenti loro, come altri che abbiamo già visto, sono sempre e solo bravi ragazzi, loro con molti diritti mentre le loro vittime sono massacrate due volte. Dalla violenza maschile e dalla società complice, da Tribunali attenti ai diritti degli stupratori minorenni e disattenti ai diritti delle minorenni vittime. Siamo davanti a un caso insopportabile per tutte e a una regressione assurda in questo paese. Si parla di una nuova legge sul femminicidio. Perché non partire da Montalto? b

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San Giuliano Terme e l’Ente Parco Migliarino San Rossore Massaciuccoli

FESTIVAL DONNA E SALUTE

REDAZIONALE

Prima edizione dal 9 al 12 maggio 2013

L’Amministrazione Comunale di San Giuliano Terme e l’Ente Parco Migliarino San Rossore Massaciuccoli, ispirandosi al principio di Gender Mainstreaming, organizza dal 9 al 12 maggio 2013 la Prima Edizione del Festival Donna e Salute. “Questo evento intende diventare un appuntamento ricorrente sulla salute al femminile, coerentemente con gli ‘Obiettivi di sviluppo del Millennio’ delle Nazioni Unite e si articolerà secondo alcuni significativi focus tematici”, dichiara l’Assessora Fortunata Dini. Il primo focus avrà il compito di promuovere e consolidare una sensibilità di genere sia nell’ambito delle organizzazioni sanitarie, sia nella ricerca medico/farmacologica, promuovendo quella che ormai da alcuni anni si sta affermando come la Medicina di genere. Per troppo tempo infatti le malattie, la loro prevenzione e terapia sono state studiate prevalentemente su casistiche del solo sesso maschile, sottovalutando le peculiarità biologico ormonali proprie della donna. La Medicina di genere è chiamata dunque a ristabilire un equilibrio tra le disuguaglianze di studio, di attenzione e di trattamento che fino a oggi sono state operate a carico delle donne, anche introducendo cambiamenti nei programmi universitari, non costruendo tuttavia una medicina al femminile e una al maschile, ma applicando il concetto di diversità per garantire a tutti, donne e uomini, il miglior trattamento possibile. Un secondo filone di indagine e divulgazione sarà la trattazione medico scientifica, ogni anno diversa, di alcune patologie più frequenti e di forte impatto sociale che interessano l’u-

niverso femminile, innescando necessariamente il tema della prevenzione e della cura specialistica. Il terzo ambito di interesse si sposterà verso un concetto di salute che integri e si allarghi a comprendere il benessere della donna, inteso come equilibrio sinergico di condizioni sociali, di cultura della parità, di conciliazione dei tempi di vita. Tutto ciò implicherà trattare anche fenomeni di viva attualità come la violenza sulle donne, il crescente fenomeno delle reti femminili e dell’Associazionismo su scala locale e nazionale. Stimoli, questi ultimi, vistosamente crescenti che si vanno allargando e radicando nella società italiana, e che tutti insieme attestano la forte volontà da parte delle donne di rivendicare un ruolo di protagoniste dei cambiamenti, prima di tutto culturali e di mentalità di cui il nostro paese ha profondamente bisogno. “Ci auguriamo che tali stimoli possano gradualmente favorire la consapevolezza e aumentare il coinvolgimento di interlocutori quali i decisori politici, gli operatori sanitari, i professionisti della ricerca, il mondo accademico, il terzo settore e la cittadinanza”, ha precisato l’Assessora Fortunata Dini. A completamento del composito programma è stata prevista una prestigiosa iniziativa di respiro europeo, tesa a celebrare la Festa dell’Europa, dedicando un’interna giornata di riflessione e dibattito allo scambio di buone prassi, sul tema Donne Migranti e Salute, tra le diverse realtà aderenti al Network delle città del dialogo interculturale, promosso e sostenuto dal Consiglio d’Europa, di cui il Comune di San Giuliano Terme si onora di far parte.


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L’interruzione voLontaria di gravidanza in itaLia

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l varo della legge 194/78 gli oppositori esprimevano la preoccupazione che la legalizzazione facilitasse il ricorso all’aborto, ipotizzando fosse quella delle donne una scelta di elezione e non un’ultima ratio. La legge non solo toglieva il velo dell’ipocrisia sull’aborto clandestino, riconosceva il diritto della donna all’ultima parola, chiamando documento, non certificato, la presa d’atto della volontà della donna da lei firmato e controfirmato dal medico di sua fiducia coinvolto nella procedura per il ricorso all’IVG. Dopo sette giorni di attesa per un eventuale ripensamento la donna poteva accedere al servizio per l’esecuzione dell’IVG. Nel caso in cui il medico accertasse condizioni d’urgenza le certificava, autorizzando la donna a non attendere i sette giorni. Pertanto è scorretto chiamare certificato (e certificazione la procedura) il documento di presa d’atto e scorretta la dizione sul modello ISTAT D12. È evidente il significato politico dell’”errore” nel voler dare a intendere che il ricorso all’aborto dovesse essere autorizzato, in contrasto con il dettato della legge. Per molti era indigeribile l’idea dell’autonomia della donna nel prendersi cura di sé. Come era indigeribile per molti l’idea di servizi innovativi istituiti nel 1975 (legge 405/75), seguendo un’idea geniale del movimento delle donne che ne aveva creati femministi autogestiti, come i consultori familiari. Previsti con competenze multidisciplinari in coerenza con un modello sociale di salute, erano dedicati alla promozione della salute con un approccio non paternalistico direttivo, come necessario per promuovere le competenze al fine di determinare un maggior controllo autonomo sul proprio stato di salute, attenti al punto di vista di genere. Veniva privilegiata la salute della donna e dell’età evolutiva, usualmente coinvolti su aspetti di fisiologia, coinvolti nel cambiamento e quindi disponibili al ripensamento che è condizione favorente la promozione delle competenze. Indagini dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) nei primi anni Ottanta evidenziarono - come detto - che il ricorso all’aborto non era una scelta di elezione ma un’ultima ratio, che le conoscenze della fisiologia della riproduzione e dei metodi per controllarla erano scadenti. Pertanto si poteva ipotizzare che l’aver riconosciuto alla donna il diritto all’ultima parola e l’azione dei consultori familiari avrebbero determinato maggiori conoscenze e migliori competenze con conseguente minor rischio di gravidanze indesiderate e, quindi, minor ricorso all’aborto. Così è stato, nonostante l’obiezione di coscienza, spesso di comodo e in odio all’autonomia delle donne. Con le regioni non chiamate in giudizio per interruzione di pubblico servizio, che devono garantire come detta la legge. Anche l’uso inappropriato (più dannoso oltre che più costoso) ricorso all’anestesia generale, invece che alla locale manifesta la volontà di controllo sul corpo delle donne. Ed ha lo stesso significato il non uso dell’aborto medico in tutte le circostanze possibili e tenendo conto della volontà delle donne. A conferma dell’indigeribilità dell’autonomia delle donne, sta la sempre più estesa medicalizzazione della nascita. l’ostracismo sistematico verso i consultori familiari e la non applicazione del Progetto Obiettivo Materno Infantile.

22 maggio 1978 - 22 maggio 2013

35 anni di LiBERTà Trentacinque anni fa veniva approvata la

legge 194 sull’Interruzione volontaria della gravidanza, dopo decenni di lotte delle donne per contrastare l’aborto clandestino. Il bilancio è positivo perché la legge ha consentito l’emersione del fenomeno clandestino, ha restituito dignità e libertà di scelta alla donna, ha fatto scendere il numero delle IVG. Ha permesso di parlare di salute riproduttiva nei Consultori e di informare milioni di donne, rendendole più consapevoli. Il bilancio è negativo perché l’altro numero di obiettori di coscienza nelle struttura pubbliche impedisce la piena applicazione della legge 194 e dell’IVG. Le lotte, quindi, non sono ancora finite: per l’applicazione di una legge dello Stato e per riportare i Consultori ad un pieno funzionamento.


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elezIonI regIonalI / Preferenze cercasi

Sei Su dieci, ma l’amarezza reSta Il PD DI nuovo non elegge Donne nel lazIo, ma nIcola zIngarettI nomIna seI assessore su DIecI In gIunta. Il rIequIlIbrIo DI genere c’è, ma Il Problema rImane di Maria Fabbricatore

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uardiamo la Regione con occhi nuovi. Alla Regione Lazio vota PD e scegli una donna”. Così recitava lo slogan che ha accompagnato la campagna elettorale delle recenti elezioni regionali del Lazio, con ventiquattro occhi delle candidate che guardavano sorridenti. Ma nessuna è stata eletta, analogamente a quanto accaduto nella precedente legislatura. Nel nuovo Consiglio regionale non ci sono donne neppure tra le fila del PDL, in compenso il Movimento 5 Stelle ne ha elette quattro su sette consiglieri e una entra con la Lista Storace. In compenso sono cinque le donne portate in Consiglio grazie al listino bloccato di Nicola Zingaretti. È stridente la discordanza tra l’alta presenza femminile PD in Parlamento e lo zero della Regione Lazio. La causa di questa situazione è individuabile nel sistema di selezione delle candidature. Con le liste bloccate previste dal Porcellum la responsabilità delle candidature è dei partiti e degli apparati, mentre quando occorrono le preferenze (e tante) per le donne la strada è tutta in salita. Il sistema della doppia preferenza (possibilità di esprimere due preferenze sulla scheda elettorale ma solo di sesso diverso, pena annullamento del voto) sembra quello più efficace ad ottenere l’elezione di donne. “Dieci donne su cinquanta al Consiglio Regionale, solo cinque sono state elette e nessuna nelle liste del centrosinistra. Cinque delle dieci sono nominate con il listino”. Marta Bonafoni è una delle cinque nominate attraverso il listino del Presidente e ci tiene a sottolineare

che “le sei Assessore scelte dal Presidente Zingaretti per la sua Giunta rappresentano un equilibrio di genere fatto di competenze e di merito e non di quote”. Nella squadra più rosa d’Italia c’è Alessandra Sartore - già dirigente al Ministero dell’Economia - con il ruolo di Assessora al Bilancio; c’è la scrittrice Lidia Ravera all’Assessorato Cultura e Sport e c’è Rita Visini alle Politiche Sociali; Agricoltura, caccia e pesca sono state affidate all’imprenditrice agricola Sonia Ricci; Lucia Valente, docente di diritto del Lavoro alla Sapienza, è Assessora al Lavoro mentre Concettina Ciminiello, direttore amministrativo della Scuola Superiore dell’Economia e delle Finanze, è Assessora alla Semplificazione e Pari Opportunità. “Non si tratta di una scelta di facciata - ha dichiarato il Presidente Zingaretti -, ma del risultato di grandi cambiamenti nella nostra società e del ruolo che le donne stanno conquistando nel nostro paese”. A Valentina Corrado del Movimento 5 Stelle è andata la presidenza del CO.RE.CO.CO. Comitato di Controllo Contabile, un comitato strategico che ha accesso a tutta la documentazione contabile. “Siamo soddisfatti del risultato ottenuto – ha dichiarato Corrado -. Ma non possiamo non constatare che all’interno degli organi di controllo istituzionali non è stato rispettato l’equilibrio tra sessi, la cui garanzia è disciplinata dall’articolo 6 comma 6 dello Statuto della Regione Lazio”. Le sfide che attendono Zingaretti sono notevoli e riguardano anche, e non solo, un bilancio disastroso lasciato in eredità dalle amministrazioni precedenti. L’in-


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debitamento che supera i 22miliardi di euro comprende in gran parte il deficit sanitario pari all’80% della totalità del bilancio. Il capitolo sanità è il fulcro centrale che Zingaretti vuole affrontare cambiando l’ottica e considerando la sanità “non una spesa, ma una risorsa” come affermato in campagna elettorale. In quest’ottica si leggono i provvedimenti che si vogliono prendere: la chiusura dell’ASP, l’Agenzia di Sanità Pubblica, ma anche la Centrale Unica degli Acquisti che vanno sotto le

Valentina: se cinquemila Vi sembran Poche… Valentina Grippo è Vice presidente del PD regionale ed è Assessora alla Scuola al Municipio III di Roma. Candidata alle recenti elezioni regionali nel Lazio, nonostante le cinquemila preferenze raccolte non è entrata in Consiglio e risulta quinta dei non eletti. Abbiamo raccolto le sue opinioni circa le ragioni di questo risultato, importante ma insufficiente. Per la seconda legislatura regionale consecutiva nessuna donna del PD è eletta. Il problema è burocratico, legato alla legge elettorale, oppure è problema politico? Sicuramente è un problema politico. Le donne nella rappresentanza politica sono una novità perché è da meno tempo che ci sono e la resistenza del sistema si dimostra di più negli ambiti dove c’è più potere, e poiché nella regione di soldi e di potere ce n’è parecchio, è l’ambito nel quale le strutture dentro ai partiti nei meccanismi para-clientelari faticano ad essere sfondati dall’opinione pubblica, nonostante un grandissimo tamtam popolare, come è avvenuto nel mio caso. Ben cinquemila persone mi hanno votato avendo io messo in rete solo opinioni. Dall’altro ci sono truppe che si muovono in modo strutturato e finché la politica non compie azioni positive per sbloccare questa situazione, saranno penalizzate le donne ma anche i giovani e chi non è organico al sistema. Quindi il consenso di opinione è gestito da gruppi di potere maschili e ben strutturati? Non solo. In un momento di crisi economica, di crisi di potere dove i posti diminuiscono i gruppi di potere sono ancora più impermeabili di quanto fossero in precedenza e quando qualcuno li sfida si arroccano ancora di più perché nel momento in cui passa il principio del femminile al potere si crea un problema nel sistema. Nello stesso momento però le donne non sono state in grado di creare una classe dirigente consapevole, pronta ad occupare gli spazi e pronta anche a solidarizzare e a coalizzarsi, a credere in una donna e tenersi intorno a

voci di risparmio per rientrare di quelle spese oramai insostenibili. Insomma il riordino dei conti a partire dalla lotta agli sprechi. Di fatto l’approvazione del bilancio è il primo vero scoglio senza il quale non si può governare, poi la sanità e quindi l’emergenza rifiuti. “Ci spetta un lavoro molto difficile vista la situazione che ritroviamo nell’intera regione - ha affermato Zingaretti -, ma sono sicuro delle capacità delle persone che abbiamo scelto e che faranno ripartire davvero il Lazio”. v

lei. Nel mio caso, dentro al mio comitato avevo tutte donne: dall’ufficio stampa alla capa dei volontari, tra l’altro tutte competenti, laureate, brillanti. Donne che ereditano una società che è un disastro. Nei consessi strutturati, come nella direzione romana e regionale del PD, ho chiesto a tutte di pensare alle donne, di portare ognuna cento voti così da eleggerne almeno due. Quindi il problema è anche dentro di noi, perché se uno è portatore d’acqua alle proprie correnti non faremo mai un’azione di sfondamento al femminile. In che modo e quali donne si scelgono nelle cooptazioni o per la composizione delle giunte? La sensazione è che nella composizione delle giunte o nelle cooptazioni si scelgano donne che abbiano varie caratteristiche fuorché l’autonomia e quindi si educano le giovani donne che fanno politica a essere comunque succubi di un indirizzo o di un ‘capobastone’. Quando una donna non è controllabile diventa un problema. Non a caso mi si rimprovera spesso: “tu hai un limite che è quello che non rispondi a nessuno”, dunque la non controllabilità viene spesso imputata perché se si promuove una donna autonoma dai un messaggio anche a tutte le altre che possono smetterla di fare le portatrici d’acqua e che si devono invece liberare. La cosa grave è che questo succede in ambienti “illuminati” e di sinistra .. Nell’individuare candidate si tende a scegliere donne che coniugano affidabilità al non essere un pericolo per il leader, al non metterlo in discussione. Invece è proprio “l’intelligenza libera” ad aiutare un leader illuminato insieme alle nostre specificità femminili. Questo mi rattrista molto ed è la cosa che mi spinge a continuare fare politica. Maria Fabbricatore

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elezIonI regIonalI / Preferenze cercasi

Piccoli, Piccoli PaSSi in avanti?

Il 50e50 è InutIle senza la DoPPIa Preferenza. IntervIsta a Sara valmaggi, vIcePresIDente Del consIglIo Della lombarDIa

di Marina Caleffi

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el Vangelo secondo Tommaso, Gesù cui viene chiesto dove si può trovare la propria salvezza, risponde “Ovunque non vi siano donne”. Risposta gnostica, se mai ve ne fossero… La citazione è di Cioran, e con un filo di amara ironia possiamo aggiungere che allora quel posto è il Lazio e la Lombardia….ma anche tante altre Regioni in Italia, dove ogni rivoluzione è datata, perché si fa con sopravvivenze ideologiche. In ritardo rispetto al cammino del mondo, e dello spirito stesso del Paese. Il dibattito intorno alla rappresentanza politica delle donne per qualcuno sarebbe addirittura un contenuto astratto, superato. E lo sarebbe se il nostro Paese fosse un filo più europeo. Mi viene in mente un aneddo“Non possiamo più essere to: un francese chiede ad un delegato sindacale sveveementi nelle analisi dese: “Che cosa può desie sbrigativi nei giudizi. derare ancora un operaio/a La democrazia è una comunità di destini. Quella paritaria di più. in Svezia? Ha tutto, non c’è più nulla che si possa desiLa doppia preferenza può derare.” Il delegato risponpermetterci di uscire de: “Sì, i doppi servizi”. Muda questa atmosfera asfittica tatis mutandis, questo è da retrobottega.” quello che vorrei rispondere Twitter@marinacaleffi#doppiapreferenza a chi pensa che la rappresentanza politica femminile abbia raggiunto quasi lo zenith a questa tornata elettorale, che tinge con oltre il 30% di rosa il Parlamento. Ironia della sorte, negli stessi giorni, accade in Lombardia: 15 donne su 80 eletti in Consiglio regionale, il 18,75% circa. E il dato interessa tutti i partiti, nessuno escluso. Il Pdl ne elegge 1 su 19, lista Maroni 4 su 12 (meglio), Lega Nord 3 su 15, Fratelli d’Italia 0 su2, il Partito dei Pensionati 1, M5S 3 su 9, Patto civico per Ambrosoli 1 su 5, Pd 2 su 17. Dunque 3 donne in tutto espresse dallo schieramento di centro sinistra su 22 consiglieri. Possiamo dire che in Lombardia le pre/omesse elettorali non sono state mantenute. In barba al parimerito.

Incontriamo Sara Valmaggi, Vicepresidente del Consiglio Regionale, per fare una riflessione: cosa non ha funzionato in Lombardia? E perché laddove ci sono le preferenze e non il porcellum, sembrano prevalere altre logiche anche tra donne? La nostra Regione non ha mai goduto di una presenza significativa di donne. In questo passaggio di legislatura c’è stato forse un incremento: viste le dimissioni di un po’ di consiglieri maschi…abbiamo terminato la legislatura con 11 donne. La nuova legislatura ne conta 14 e devo ammettere che questo esiguo ampliamento non è stato determinato dalle forze del centrosinistra, ma dalla Lista Maroni e dagli esponenti della lista M5S. Non è la prima volta che mi presento alle Regionali e so bene che il meccanismo della preferenza unica penalizza pesantemente le donne. È un fatto innegabile. Gli uomini hanno una maggior dimestichezza nel costruire reti e irrobustire cordate a sostegno delle candidature. Quanto pesa la regina pecunia nella corsa elettorale delle donne alle regionali? È un tema importante quello che si lega alla capacità di raccogliere i fondi. Le campagne elettorali sono viepiù dei ‘singoli’ e non sempre sono supportate adeguatamente dai partiti. Il sistema di potere della società degli uomini, più consolidato, fa sì che la ricerca di finanziamento sia più agevole. Non dico che sia da stigmatizzare una certa attitudine al potere, potrebbe anche avere valore intrinseco, ma sic stantibus rebus noi donne siamo sfavorite. Resta il fatto che il sistema vigente di preferenza unica è penaliz-


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zante, anche se le liste sono composte al 50e50. Il sistema vanifica qualsiasi composizione, la rende inutile. Insomma non abbiamo conosciuto nessuna gioia che non si abbia in un modo o nell’altro espiato: una misura apparentemente paritaria, e faticosamente conquistata, ha un baco all’interno che fa marcire la metà della mela. In tutto questo i partiti non possono chiamarsi fuori dal coro… Nella precedente legislatura abbiamo propostola doppia preferenza, bocciata dalla maggioranza. Portammo a casa solo la composizione al 50e50 della lista per tutti, (il PD l’aveva già prevista nello Statuto). Ma non basta. I partiti devono uscire allo scoperto e chiarirsi circa futuro e obiettivi: se davvero vogliono una rappresentanza femminile nelle istituzioni dove si deve esprimere la preferenza, i ragionamenti da fare sono altri da quelli formulati fin qui. A partire dallo scouting, individuando candidature di donne che devono essere sostenute non solo tra le donne stesse ma da tutto il partito, come un investimento prezioso. Per i partiti il cambiamento obbligatorio, il vero fronte di lotta e di mutamento socio-economico sarà conoscere e rispettare la realtà. E dunque tener conto del numero di donne che nascono, vivono e lavorano in Lombardia… Le istituzioni e la politica non sono all’altezza della presenza e importanza che le donne hanno in questa Regione. Basterebbe solo guardare i dati occupazionali che riguardano le donne. Al netto della crisi, le donne occupate nella nostra Regione superano di gran lunga tutto il resto del Paese. È un pensiero che mi accompagna, quello di poter rispondere adeguatamente ad una popolazione tanto impegnata e numerosa. Qualche sforzo è stato fatto, ma dal sapore squisitamente formale: è forse l’unica Regione che ha nel suo Statuto il principio della democrazia paritaria. Bellamente disatteso, peraltro, dalle precedenti Giunte. In questa nuova Giunta nominata dal Presidente Maroni effettivamente è stato rispettato il 50e50. Sono segnali importanti di cui va dato atto. Un primum movens, che effettivamente racconta anche di assessorati per nulla residuali, anzi. Somethingi’s changing, legittimo sperare che il progetto di legge di modifica della legge elettorale regionale faccia il suo corso e superi gli ostacoli trovati nella precedente legislatura, perché il testo approdi in Aula… È fondamentale e lo chiediamo a gran forza. È una questione di democrazia. Non è più possibile accettare di essere sottorappresentate nelle istituzioni. La nostra situazione non è diversa da quella di altre Regioni, dove non sono previsti meccanismi di riequilibro di genere. Penso all’Emilia Romagna, a Lazio e Toscana, dove le consiglie-

re sono 10, in Friuli e Veneto 3, giù giù fino alla Calabria, dove nessuna donna siede nell’assemblea elettiva. Per questo è fondamentale che sia introdotta la doppia preferenza di genere, come peraltro previsto dalla legge sulle autonomie locali per l’elezione dei Consigli Comunali. Già a maggio prossimo infatti si voterà alle amministrative con la doppia preferenza. È la strada per evitare l’esclusione delle donne dalla vita politica. Un exemplum in tal senso è offerto anche dalla Campania dove, introdotta la doppia preferenza, le consigliere sono passate da 2 a 14 su 60. Piccoli ma significativi passi. A livello nazionale centrosinistra e M5S hanno eletto una percentuale analoga di donne, con la differenza che il PD ci ha messo decenni, c’è stato bisogno di pungolarlo un po’ per ottenere i risultati da cui invece M5S parte. Una politica che nasce dalla Rete può essere più “amica” delle donne, anche per fare “rete”? Le generazioni giovani, più o meno ‘digitali’ non hanno problemi a superare ataviche ritrosie, riconoscendo alle donne competenze, potestà e possibilità ad aspirare a ruoli di governo, e questo fa la differenza. È indubbio che i giovani di M5S, e tutti gli altri, hanno trovato una strada già asfaltata da anni di impegno e di lotte sul fronte dei diritti. Per ottenerli, garantirli e salvaguardarli dagli attacchi puntuali. Anche questo fa la differenza. E l’unione fa la forza. È un detto ancora valido in Lombardia? Un sostegno e una certa consapevolezza non manca. Più ideale che sostanziale, se guardo i risultati elettorali. Anche tra le stesse elettrici del centrosinistra non è maturata adeguatamente la continuità e la capacità pervasiva nel tempo. Per ciò che attiene le Associazioni, un alto grado di frammentazione e una politica sempre più incentrata sul singolo fatica a rafforzare ciò che è fondamentale per le donne: fare rete. v

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Regione Lazio

Un Tavolo permanenTe per il lavoro di Alice Casale

Nella foto: a sinistra la Consigliera regionale di Parità Alida Castelli e a destra la Consigliera provinciale (Roma) Franca Cipriani

Una politica di mainstreaming di genere contro la disoccupazione e per l’occupabilità femminile. Per le Consigliere di Parità la lotta alle discriminazioni inizia dalla verifica preventiva degli atti Fare rete è spesso la parola d’ordine con cui le donne si confrontano e qualche volta si scontrano. Sicuramente, e sempre più, sembra essere la parola vincente. Anche le donne del Lazio, più precisamente le Consigliere di Parità (quella regionale e le Consigliere provinciali di Roma, Latina, Frosinone, Rieti e Viterbo) e le neo elette al Consiglio regionale hanno deciso di fare rete tra loro, costituendo un “tavolo permanente” di elaborazione e confronto. L’occasione per dare il via all’iniziativa è stata una recente riunione. I temi che costituiranno la base della collaborazione, del confronto e dell’approfondimento sono quelli su cui, per incarico istituzionale, le Consigliere di Parità agiscono da anni nel territorio regionale. La lotta alle discriminazioni di genere nel lavoro, sia collettive che individuali, compresa la violenza sessuale nei luoghi di lavoro, la lotta alla disoccupazione femminile e lo sviluppo dell’occupabilità delle donne, la promozione e la diffusione di una cultura di genere tra le nuove generazioni sono i cardini attorno ai quali si intende avviare un primo confronto, già iniziato peraltro, nella riunione di insediamento del “tavolo”.

Ora occorre condividere e scambiare contenuti, idee e proposte anche a partire dal programma adottato dalla Giunta del Presidente Zingaretti. La situazione occupazionale del Lazio presenta innanzitutto una profonda differenza tra la realtà che caratterizza la provincia di Roma, allineata sostanzialmente su livelli che non molto si discostano dalle regione più virtuose, e il resto delle province le cui performance lavorative sono più simili alle regioni del mezzogiorno. Tali differenze si riproducono anche sulla dotazione di servizi per la conciliazione (nidi, scuole materne ecc. ma anche per presidi di assistenza agli anziani). Dal “tavolo” dovranno anche scaturire nuove proposte, nuove idee per affrontare la disoccupazione femminile nel Lazio, per sviluppare anche nelle imprese una cultura di genere che favorisca percorsi di inserimento per le donne, di conciliazione tra lavoro e famiglia e che veda nuove politiche anche per lo sviluppo del lavoro autonomo ed imprenditoriale delle donne. Alla base del lavoro vi è l’assunzione, condivisa da tutte, dell’opportunità di una politica di mainstreaming di genere, che diventi lo strumento permanente di verifica di ogni


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NOTE AI MARGINI di Alida Castelli

iSTrUZioni per leGGi a miSUra Di Donne e Uomini

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egli “Stati generali sul lavoro delle donne in Italia”, organizzati dalla seconda commissione CNEL e dalla Consulta delle donne nel mese di aprile, ci si è proposti di valutare in ottica di genere due importanti leggi approvate l’anno scorso: la riforma delle pensioni e la riforma del mercato del lavoro. Al di là delle riflessioni sui singoli provvedimenti 1 sicuramente di grande interesse, vorrei sottolineare alcune questioni di metodo che mi sembrano rilevanti. Queste iniziative si configurano come azioni di valutazione in itinere. Il vero problema però che qui voglio segnalare è che non vi è traccia negli atti parlamentari di una valutazione ex ante. L’iniziativa del CNEL è quindi ottima, ma si è dovuta muovere a cose fatte, senza che fosse possibile invece valutare, dopo un certo lasso di tempo, se gli effetti che le leggi in questione avevano previsto, si fossero realizzati. Allora ricorro nuovamente come ho fatto in articoli precedenti alla legge vigente, al solito articolo 1 comma 4 del Codice delle Pari Opportunità, quello che recita “L’obiettivo della parità di trattamento e di opportunità tra donne e uomini deve essere tenuto presente nella formulazione e attuazione, a tutti i livelli e ad opera di tutti gli attori, di leggi, regolamenti, atti amministrativi, politiche e attività” per ricordare - a me a tutte noi - che esso impone di valutare ex ante ogni provvedimento. Concretamente significa che se io voglio fare una riforma delle pensioni, ad esempio, non basta che mi ponga degli obiettivi di risparmio, cosa che si è fatta, non basta che io proietti questi obiettivi nel futuro più o meno lungo (e su questo, grafici e tabelle ce ne sono parecchi), ma è assolutamente necessario che io valuti come questi risparmi influiranno sulla vita delle persone - uomini e donne - concretamente. Allora innanzitutto devo sapere non solo quando risparmio, ma che effetto avranno concretamente le misure adottate sulle persone coinvolte nelle misure che sto adottando, prima di adottarle. Quindi quante donne e quanti uomini saranno da subito coinvolti, quanti nell’anno prossimo e così via e cosa cambierà per loro. Difficile? Forse. Ma solo così avremmo saputo subito quanti e quante esodati/e si sarebbero creati/e. Forse avremmo capito che, vista l’anzianità media di contribuzione delle donne, una grande maggioranza rischia d’ora in avanti - e senza possibilità di porvi rimedio - di rimanere senza pensione. 1. vedi per approfondire http://www.cnel.it/application/xmanager/projects/cnel/attachments/temi_ evidenza/files/000/000/011/Stati_generali_sul_lavoro_delle_donne_in_Italia_2013.pdf

atto e di ogni provvedimento della Regione Lazio. Concretamente le partecipanti si sono impegnate ad analizzare i lavori regionali, per valutarne gli effetti sulla vita concreta di uomini e donne. Il presupposto teorico da cui partire, assunto come metodo di lavoro, sarà quindi quello di valutare in ottica di genere i vari provvedimenti. Base di partenza e supporto ad ogni riflessione sono i dati, rigorosamente divisi non solo per aree geografiche - e questo perché chiara è emersa la consapevolezza delle profonde differenze tra province e territori della regione - ma anche divisi per genere, ogni proposta ed intervento. Faranno da sfondo e ne rappresenteranno un utile strumento anche gli indicatori contenuti nel rapporto adottato e presentato da CNEL e ISTAT denominati BES (indicatori di Benessere Equo e Sostenibile, recentemente presentati anche nella Regione Lazio). Il progetto è ambizioso, richiederà nuove e vecchie competenze ma rappresenta la strada maestra, anche in un periodo di crisi per utilizzare al meglio le (poche) risorse. Gli assessori regionali competenti (alle Pari Opportunità, alla Formazione e al Lavor) saranno naturalmente coinvolti nei lavoro del “tavolo”. Prossimi passi operativi saranno ora quelli di sviluppare un metodo di lavoro comune e costante, prevedendo, per poter condividere metodo e contenuti, alcuni incontri che permettano di allineare le competenze del gruppo, prevedendo di volta in volta la partecipazione al “tavolo” di competenze esperte, di rappresentanti delle diverse categorie e gruppi coinvolti nella riflessione.❂

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L’agricoLtura deLLe donne

Per una nuova idea di crescita di Tiziana Bartolini

Il convegno della Fondazione Nilde Iotti per capire le innovazioni possibili e quelle già realizzate in agricoltura. E non solo In tv le trasmissioni sulla cucina abbondano mentre è scarsa l’informazione dedicata al cibo o all’agricoltura in generale e ancor meno si parla delle donne impegnate nel comparto, nonostante una azienda agricola su tre sia diretta da una donna e oltre 400mila siano le lavoratrici occupate nel settore. “Il mondo femminile agricolo era molto silenzioso e sconosciuto in passato, oggi è una realtà importante sia per i numeri sia per le capacità innovative che ha saputo introdurre trasformando in economia i saperi antichi, rigenerando le aziende con nuove attività legate alla qualità del cibo, alla multifunzionalità, alla cura del territorio e del paesaggio”. Alessandra Tazza, una vita in Coldiretti e oggi volontaria della Fondazione Nilde Iotti che ha organizzato il convegno L’agricoltura delle donne. Per una nuova idea di crescita (Roma, 11 aprile 2013, ‘noidonne’ è stato media partner) ha illustrato il senso dell’incontro che ha inteso valorizzare il ruolo femminile nel mondo agricolo soprattutto in relazione alla necessità imposta dalla crisi strutturale che attraversiamo di trovare nuovi equilibri e nuovi paradigmi economici fondati su valori condivisi: la cura dei beni comuni (acqua, suolo, paesaggio, diversità), la sostenibilità, la qualità, la dignità di persone e animali. “L’agricoltura ha nella sua memoria storica un giacimento di valori utilissimi, oggi, nella ricerca di nuovi modelli di consumo”. Non è un caso, quindi, che si stia affermando una nuova imprenditoria femminile basata sui “profondi cambiamenti che le donne in agricoltura stanno attivando, forti della loro capacità innovativa - come ha sottolineato Livia Turco, Presidente della Fondazione -, e che è indispensabile valorizzare con iniziative come queste”. Solido supporto alle riflessioni sono stati i numeri illustrati da Catia Zumpano, ricercatrice INEA. A colpire non è tanto il 3% del totale delle donne occupate in Italia (la media europea è del 4%) o che le imprese a conduzione femminile sono il 33%, piuttosto è quel 43% di donne che ruota intorno ad un’azienda agrico-

la, forse contribuendo a vario titolo a quel dinamismo e capacità di innovazione che caratterizza il comparto. Del resto le politiche agricole in Italia da anni non sono al centro dell’attenzione di un Paese in cui l’agricoltura “rappresentava nel 1960 il 20% della ricchezza del Paese e oggi è il 2%, in cui in 50 anni la superficie agricola si è ridotta del 36% e le aziende agricole sono diminuite del 62%. Un Paese in cui un terzo degli intestatari di aziende sono over 65”. La fotografia consegnata da Anna Carbone, dell’Università della Tuscia, ha utilmente illustrato i punti di forza (eccellenze, tradizioni, reputazione, sinergie tra cibo e territorio) e le fragilità (la frammentazione del tessuto produttivo, la distribuzione poco internazionalizzata, la difficoltà a fare sistema, leggi poco efficaci contro le frodi). Caratteristiche e difficoltà confermate dalle testimonianze di Gabriella Ercolini

(Unipol) e dalle imprenditrici Maria Annunziata Bizzarri (Donne in Campo /CIA) e Marina Di Muzio (Presidente Confagricoltura Donna). “Le donne sono la spina dorsale dell’agricoltura e per questo devono essere sostenute - ha


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affermato Adriana Bucco, imprenditrice dell’astigiano e Presidente del COPA (Comitato Europeo delle Organizzazioni Agricole) -. È indispensabile, quindi, riconoscere il ruolo femminile e la necessità delle Pari Opportunità. A Bruxelles abbiano chiesto che le donne entrino a pieno titolo nella PAC, ma la proposta è stata recentemente bocciata dal Consiglio. È stato un colpo durissimo alla possibilità per le donne di contribuire all’innovazione. E senza le donne non c’è innovazione”. Giuseppe Gaudio, ricercatore Inea, ha sottolineato come le esperienze di “nuova agricoltura” producano beni e servizi ma anche benefici che “travalicano il settore agricolo coinvolgendo il territorio” innescando contaminazioni positive nel benessere collettivo, nelle relazioni, nella reciprocità e recuperano valori tradizionali, innovati rispetto ai cambiamenti in atto, quali: sovranità alimentare, filiera corta, autonomia decisionale degli agricoltori, rispetto del territorio”. “Innovazione è la parola chiave per chi è manager del territorio, per chi vende il territorio. Infatti il contributo dell’agricoltura al modello di sostenibilità nel contesto economico ampio (italiano e europeo) è eccezionale e innovativo come nessun altro comparto produttivo” ha spiegato Annalisa Saccardo di Coldiretti parlando di un’impresa agricola che “modella e costruisce il paesaggio a seconda di come decide di investire e coltivare”. Alla produzione alimentare quale caposaldo si aggiungono “servizi ambientali e ricreativi (agriturismo) o dedicati all’istruzione (fattorie didattiche), attività che richiedono di sviluppare una capa-

cità anche di sapersi proporre e comunicare”. Rossana Zambelli, direttore nazionale di CIA, ha sottolineato come “l’agricoltura rappresenta un unicum che si declina in ambiente, valore delle aree rurali, culture, tradizioni, alimentazione, PIL, economia. Importante tenere presente il tutto con le varie sfaccettature e parlare di agricolture e di mercati, al plurale. C’è bisogno di competenze e di una rappresentanza adeguata a in Europa anche sostenendo una capacità di spesa a livello regionale e la necessità di integrarsi superando conflittualità, complessità e miopie”. La politica, con le parole dell’On Susanna Cenni, già assessora all’agricoltura in Toscana, ha portato lo sguardo oltre il presente. “Occorre prendere atto che si è concluso, e ha fallito, un modello di sviluppo e ormai il cambiamento non va solo evocato, ma va praticato. Le donne sono già attrici straordinarie di questa voglia di innovazione e il successo di queste esperienze è nei numeri. Si riconosce valore al cibo e attorno al cibo si creano dei circuiti economici rilevanti che non sono più piccole nicchie ma che hanno l’ambizione di scardinare e di modificare profondamente le cose. Occorrono politiche adeguate, che superino la logica dei poli industriali o dei grandi cantieri e che puntino all’infrastrutturazione sociale, dove sarebbe utile investire per scardinare i danni pesanti di questo modello di sviluppo”. La strada è già aperta, quindi, e siamo ben oltre la sperimentazione. Il passo successivo è individuare le modalità per mettere a sistema un vasto patrimonio di competenze, tradizioni ed esperienze. b

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terremoti emilia romagna

tutto un altro shopping di Antonella Iaschi

L’idea è quella del BoxPark di Londra. Con 30 container marittimi è stato realizzato Cavezzo 5.9 ShopBox, un modo per rinascere dopo il terremoto Foto gentilmente concesse da Giovanni Fattori

All’inizio, 5.9 era la terribile realtà che ha colpito la mia gente, poi una radio di ragazzi fra i quali uno che ho visto crescere anno dopo anno lavorando con la sua mamma, oggi ritrovo quei numeri nelle insegne di un centro commerciale. 5.9 terremoto, la distruzione, la paura, la morte… poi la voglia di reagire di quattro ragazzi in gamba infine loro, tutti i negozianti che ho conosciuto con la loro forza e la loro voglia di ricominciare. Scrive l’ottico Giovanni Fattori, che non ha perso come tanti la sua attività ma si è speso per il bene comune: “Una delle frasi più ricorrenti qui nella bassa è: a stem in un brut post, con al sinsali, l’umidità, al nebbie, l’afa ma anghem minga di teremot (stiamo in un brutto posto con le zanzare, l’umidità, la nebbia, l’afa ma non abbiamo il terremoto)”. Eh sì, noi emiliani pensavamo di essere al sicuro, protetti dall’elasticità della terra che ogni tanto tremava, ma mai così forte. Un mese esatto dopo la prima scossa, i commercianti si riuniscono con l’Amministrazione perché non accettano le proposte dell’assessore, hanno le loro convinzioni dettate dall’esperienza e una donna, Antonella, tira fuori alcuni fogli stampati. Sono le immagini del BoxPark di Londra, un’idea che folgora tutti quelli che in seguito l’hanno vista. Quel giorno nasce Cavezzo 5.9 ShopBox. La possibilità di costruire un piccolo centro commerciale fatto di container marittimi da 12 metri, usati, ricondizionati e modificati per le esigenze dei commercianti è un’idea giovane, accattivante, ecologica e ambiziosa per Cavezzo: l’idea giusta per rinascere dalle macerie del terremoto. Gli Emiliani con una manciata di grano sono riusciti a fare la

miglior cucina al mondo, con un pezzo di ferro i migliori motori, non sarà certamente un terremoto a fermarli. Ed ecco che 30 container marittimi dismessi, di quelli che stanno accatastati a centinaia nei porti, riprendono a vivere nel cuore della bassa modenese. Il Comune ha messo a disposizione un’area di 35 metri per 45 in Piazza Martiri, la Phoenix di Genova si è occupata di sistemare i box diventando referente e partner investitore, e tutti hanno messo i propri risparmi e il proprio lavoro. “Di soldi per ora non ne abbiamo visti. Io per esempio sono stata costretta a chiedere due finanziamenti, uno per pagare il container e uno per pagare le tasse e l’anticipo dell’IVA” dice una commerciante. Nel centro, durante il mese di dicembre, hanno aperto pian piano esercizi commerciali di ogni tipo: una gelateria, un bar, un fiorista, un parrucchiere, un atelier dove si riciclano mobili e oggetti d’arredamento, un centro estetico e una spaghetteria, uno spazio bimbi con ludoteca e servizio di baby sitter e


STRATEGIE

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PRIVATE

di Cristina Melchiorri

Fuori Dal gusCio

Con Coraggio e DeterminaZione Sono Anna Rosa, una biologa ricercatrice di trentatré anni, e lavoro in un’azienda farmaceutica da cinque anni. Anche se cambiare lavoro in questo momento è difficile, vorrei comunque provarci. Ad un convegno di settore ero seduta accanto ad una dirigente di un’azienda concorrente, con la quale tra l’altro mi piacerebbe lavorare, ma non ho osato agganciarla apertamente in quella circostanza. Pensavo di mandarle una mail, presentando la mia esperienza e inviando il curriculum. Ho pensato che, nella peggiore ipotesi, non succede nulla. Qualche consiglio? Anna Rosa Sarpi, Saronno Cara Anna Rosa, ti rispondo volentieri con un fatto vissuto e citato da Sheryl Sandberg, direttore operativo di Facebook, nel suo libro “ Facciamoci avanti”, Mondadori editore, dedicato alle donne che si vogliono affermare nel lavoro e nella carriera. Dopo un mese dal suo ingresso in Facebook, ricevette la telefonata di una giovane dirigente del marketing di EBay, Lori Goler, che le disse: “Vorrei lavorare con te, quindi ho pensato di chiamarti per dirti cosa so fare bene e cosa mi piace fare. Poi mi sono detta che tutti avrebbero fatto così. Quindi ti chiedo: qual è il tuo maggiore problema e come posso aiutarti a risolverlo.” L’approccio stupì positivamente la Sandberg, perché di solito le persone cercano il ruolo giusto per se stesse, con il sottinteso che le loro capacità saranno utili all’azienda. Quindi rispose: “Il mio maggior problema sono le assunzioni. È sì, tu puoi risolverlo”. La giovane non aveva mai pensato di lavorare alle risorse umane, ma ci si buttò a capofitto. Oggi guida People@Facebook. Sono tre gli aspetti che mi hanno colpito di questo episodio. Il primo è l’approccio di Lori, che mette al primo posto le esigenze dell’azienda e non le proprie. Il secondo, lo spirito di iniziativa dimostrato, telefonando a una manager importante senza timidezze. Il terzo, il suo coraggio di rischiare, nell’esporsi ad un possibile rifiuto, e nell’iniziare un mestiere nuovo. Ma solo così si cambia e si cresce. Con coraggio e determinazione. Forza, ragazze, fuori dal guscio!

uno studio grafico. In totale 15 attività. È stato un lavoro duro e stressante, con subentri e abbandoni dovuti spesso al fattore economico, alla fine però dalle macerie è nata una struttura unica in Italia, con tenacia e fierezza. Il complesso è costato 500mila euro, i commercianti si sono uniti in consorzio e si sono autotassati. Sono arrivate anche donazioni e ancora una volta un’associazione femminile ha capito l’importanza di fare futuro. Soroptimist International ha donato 90mila euro. È un’organizzazione vivace e dinamica, per donne d’oggi impegnate in attività professionali e manageriali, che promuove un mondo dove le donne possano realizzare il loro potenziale individuale e collettivo, le loro aspirazioni, e avere pari opportunità di creare forti comunità pacifiche. E già c’è chi vuole copiare il progetto, segno che come diceva Fabrizio De Andrè “dai diamanti non nasce niente…”. ❂ Info: wwww.cavezzo59.it - facebook cavezzo 5.9

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OLTRE LA CONCILIAZIONE

LE POLITICHE PER IL LAVORO IN TEMPO DI CRISI di Roberta Mori, presidente Commissione regionale per la Parità

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REDAZIONALE

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elle ultime settimane la Commissione “per la promozione di condizioni di piena parità tra donne e uomini” ha intensificato i suoi impegni, per arrivare entro giugno ad un testo di legge organico che introduce correttivi e innovazioni normative utili a rafforzare i diritti femminili. Tra i numerosi gap da colmare, quelli riguardanti l’occupazione e il lavoro hanno una centralità derivante dalla crisi recessiva che non demorde e dall’urgenza di offrire prospettive; perché se è vero che nessuna politica di welfare tesa all’occupazione di qualità delle donne può avere respiro in assenza di un massiccio sostegno alla ripresa economica, è altrettanto vero che senza questa politica le donne non saranno mai protagoniste della ripresa che verrà. Sottolineo alcuni dati di contesto che abbiamo ricavato e che ci indicano dove intervenire. Nonostante siamo nel sesto anno consecutivo di crisi economica, in Emilia-Romagna non assistiamo a una contrazione tout court del tasso di occupazione femminile (al 61% nella fascia d’età 15-64 anni), anche se un calo c’è nella fascia fino a 24 anni. Il punto vero è che da noi come in tutto il Paese diminuisce l’occupazione qualificata e tiene solo quella non qualificata, intesa anche come precarizzazione contrattuale, part-time involontario, ecc. In regio-

ne infatti le donne sono molto più “precarie” (17,1% di contratti non a tempo pieno e indeterminato, rispetto al 10,3% degli uomini); inoltre nel settore del lavoro dipendente guadagnano il 25% in meno degli uomini, mentre nel lavoro autonomo il gap reddituale sale a oltre il 30%. Un dato che appare peculiare dell’Emilia-Romagna è che sta aumentando il numero delle donne disponibili a entrare nel mercato del lavoro, sintomo di tenacia e non rassegnazione nella ricerca di opportunità occupazionali, nonché del bisogno di integrare il reddito familiare. Tale partecipazione attiva è riscontrabile anche nel numero di richieste dei voucher conciliativi,

un sostegno alla retta dei Nidi che la Regione eroga per i genitori con reddito medio-basso grazie ai fondi europei integrati con quelli comunali: si è passati dalle 465 famiglie beneficiarie dell’anno scolastico 2009-2010 alle 892 del 2012. Più in generale, le politiche di sostegno alle madri lavoratrici sono cruciali ma, ben oltre l’ottica della conciliazione, in uno sforzo prima di tutto culturale di condivisione piena con gli uomini delle responsabilità familiari e di cura, parte integrante di un welfare in cui ogni persona dà - paritariamente - il proprio contributo. Secondo questa ottica di nuova inclusione sociale e antidiscriminatoria, le politiche per il lavoro dovrebbero dunque incidere su tutti i fronti, in una visione davvero complessiva e organica dei problemi da affrontare. Ecco ancora qualche dato di realtà per completare il quadro. L’EmiliaRomagna registra una disoccupazione giovanile di poco superiore alla media europea, intorno al 22%, con una percentuale di Neet (giovani non inseriti in un percorso scolastico o formativo né impegnati in un’attività lavorativa) del 15,3%, bassa rispetto alla media italiana nel cui ambito le donne sono comunque di più rispetto agli uomini. Qui il problema è dare ai giovani delle opportunità in più e dunque cambiare l’idea, presente ora


nelle famiglie, che dei propri figli e delle proprie figlie in particolare debbano farsi carico per molti anni. Un piccolo esempio di buona politica è un recente bando regionale finalizzato a stabilizzare precari e incentivare assunzioni nella fascia d’età 18-34 anni. Il Fondo sociale europeo ha messo a disposizione 20 milioni di euro e la Regione ha disposto un incentivo differenziato: 7.000 euro per le donne, 6.000 per gli uomini. Altre leve da utilizzare sono la formazione professionale, i contributi alle imprese disponibili ad assumere mono-genitori con figli a carico, gli incentivi per la stabilizzazione dei contratti a tempo determinato, i programmi formativi e di rétravailler mirati al reinserimento lavorativo di donne che da anni ne sono uscite per motivi familiari. Tali ragionamenti e correttivi li abbiamo portati anche all’attenzione degli organi europei nell’ambito della sessione annuale comunitaria, vale a dire il contributo di merito della Regione Emilia-Romagna alle politiche della UE. Ricordo infine a tutte noi che il lavoro è il principale strumento per realizzare la propria libertà. Va detto anche in ragione dell’accertata correlazione fra emancipazione femminile e violenza di genere. L’Emilia-Romagna non ha solo un tasso di occupazione femminile fra i più alti in Italia, registra anche numeri molto alti di separazioni o divorzi e, purtroppo, uno dei tassi più elevati di violenza contro le donne. Occorre dunque molta attenzione, nella proposta politica e legislativa, ad intervenire a sostegno dei percorsi di autonomia sia dopo episodi di violenza domestica, sia più in generale dopo rotture di legami familiari di dipendenza. Vogliamo arrivare, un giorno, ad azzerare il prezzo che le donne stanno pagando a causa del ritardo con cui la società, e gli uomini in particolare, adattano i propri modelli culturali alle trasformazioni del mondo, non solo femminile.

Scuole d’Infanzia a Bologna Esperienza che vale a fronte di uno Stato latitante di Paola Marani

consigliera regionale PD

Secondo l’ordinamento vigente il sistema nazionale di

istruzione è composto da scuole statali e da scuole paritarie le ultime delle quali, nel caso delle scuole d’infanzia, sono costituite pro quota da scuole a gestione dei Comuni e da scuole a gestione privata. L’integrazione dell’offerta garantita dalla scuola pubblica, a cui concorrono oltre allo Stato gli Enti locali ed i privati, costituisce un valore forte del sistema scolastico della Regione Emilia-Romagna fin dal 1995, anno in cui con la legge 52, si è avviato il sistema integrato delle scuole per l’infanzia. Grazie a questo modello è stato possibile sostenere ininterrottamente fino ad oggi, la qualificazione e la diffusione delle scuole d’infanzia sul territorio della nostra regione. I risultati di questa sinergia hanno fatto sì che mentre a livello nazionale la scuola d’infanzia statale copre circa il 60% dell’offerta complessiva di posti, in Emilia-Romagna la presenza dello Stato si riduce al 47% ed il restante 43% è coperto da scuole paritarie comunali (per circa il 20%) e da scuole paritarie private per circa il 33% del totale. Il Comune di Bologna ha poi una particolarità: la scuola d’infanzia statale copre appena il 17% del totale, mentre le scuole comunali rappresentano il 61%, superando di molto la media regionale. Questi dati evidenziano l’impegno straordinario del Comune di Bologna profuso per la costruzione di un sistema di servizi educativi destinato ai bimbi da 0 a 6 anni con un’offerta sia per gli asili nido che per le scuole d’infanzia fra le più alte d’Italia. Altra particolarità sta nel modello integrato che stabilisce attraverso le convenzioni sia standards che modalità di accesso, tali da offrire garanzie di omogeneità nella qualità dell’offerta da parte di ciascun soggetto del sistema. Questa lunga premessa è necessaria

per riflettere sul referendum indetto a Bologna per chiedere di dirottare sulla scuola pubblica le risorse oggi destinate dal Comune per sostenere le scuole d’infanzia paritarie. Stiamo parlando di un milione di euro di contributi che il Comune eroga, a fronte dei 35 milioni di euro che investe annualmente nelle sezioni comunali. Ci si chiede perché, proprio in una realtà territoriale dove lo Stato è più latitante che altrove e dove il Comune si fa carico del 61% dell’offerta, dovremmo affossare l’aiuto che consente di tenere in piedi quel 20% di scuole paritarie private che, insieme alle paritarie comunali, suppliscono alla mancanza dello Stato. Inoltre è sotto gli occhi di tutti come la riduzione delle risorse statali prevista a partire dalla legge Gelmini abbia prodotto un durissimo attacco al diritto allo studio ed al sistema educativo, oltre che un aggravio delle spese e dei disagi per le famiglie. La realtà e gli effetti del referendum sono purtroppo ben diversi da quelli che i promotori

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vorrebbero ottenere per rilanciare la scuola pubblica. L’eliminazione dei finanziamenti alle scuole paritarie private non aumenterebbe l’offerta pubblica, bensì diminuirebbe l’offerta complessiva e la sua qualità soprattutto nella scuola dell’infanzia, non “tutelata” dall’obbligo scolastico. Un quesito mal posto su una questione di principio giusta come la difesa della scuola pubblica, rischia di diventare lo strumento che riduce ulteriormente, per tante famiglie, la possibilità di trovare posto ai loro figli nella scuola dell’infanzia ed aumenta la discriminazione fra coloro che hanno la possibilità di essere inclusi ed il numero sempre maggiore di esclusi.



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LE Padaung, cittadine a metà

Testo e foto di Maria Elisa Di Pietro

Una pratica secolare crudele e la politica violenta di oggi impongono alle donne-giraffa di rimanere ostaggi del turismo etnico (Thibi Kawbi), tra Tibet e Deserto del Gobi. Durante il colonialismo inglese (18451948) hanno mantenuto l’autonomia statale ed erano la tribù birmana più nota, tanto Colori vivaci spiccano tra la vegetazione: è un gruppo che le donne erano esibite di donne giraffa o donne cigno, in birmano Padaung, che come attrazione in Thailandia significa ‘lungo collo’, per l’uso di indossare anelli e spire e Inghilterra. Ottenuta l’indidi metallo che abbassano clavicola e cassa toracica, pendenza, il governo birmano causando l’apparente allungamento del collo (anche 25ha avviato una politica accen30 cm). Una pratica curiosa e fotogenica, ma costrittiva e tratrice e discriminatoria delle mortale, che attira migliaia di visitatori all’anno. Quattro di minoranze, perciò i Karen inloro si riparano all’ombra, in attesa di posare per i turisti. sorsero per mantenere il controllo di un’esigua striscia di Indossano abiti tradizionali e coprono la testa con fasce territorio (circa 640 Km) lungo la frontiera montuosa a rie fazzoletti. Tutte tradiscono un velo di tristezza. La più dosso della Thailandia. Di qui i Padaung sono fuggiti prigiovane tesse svogliatamente e fissa il vuoto pensosa. La ma in Thailandia e negli ultimi tre anni anche in Cina, nella più anziana aggrotta le sopracciglia. Lo sguardo severo provincia dello Yunnan. Oggi la Thailandia ne conta almee circospetto accentua le rughe, arse dal sole e scavate no 133mila, di cui 500 in tre villaggi tra le dagli anni. risaie della provincia settentrionale di I Padaung sono una tribù montana Mae Hong Son, al confine con la Birmaappartenente ai Karen (circa 3,5 milioni, Nel 1998 nia. Nel 1989 la Thailandia ha esentato 7% della popolazione birmana), uno dedal rimpatrio i nuclei familiari che annogli otto gruppi in cui confluiscono le 135 i giorNali haNNo veravano donne giraffa tra i componenti etnie presenti sul territorio nazionale. VideNuNciato e ha concesso loro la residenza tempovono prevalentemente in un’area interper la prima ranea per promuovere il turismo locale. detta ai visitatori nella Birmania centrovolta Nel 1990 il conflitto è giunto al culmine: orientale, ma frequentano anche i siti tudopo i rastrellamenti, gli uomini sono ristici della Divisione di Mandalay e dello la segregazioNe stati costretti a lavorare come portatori, Stato Shan. Appartengono al ceppo tidei padauNg mentre le donne hanno fruttato la loro beto-birmano e giunsero in Birmania nel a scopo turistico unicità per sopravvivere. Nel 1994 la BirIV secolo a.C, da una mitica regione

Nel tardo pomeriggio i turisti affollano le scalinate della Shwe Sandaw Paya, la pagoda del tramonto, in tempo per ammirare la valle di Bagan sotto la luce più suggestiva. Intorno è un via vai di turisti e camion zeppi di monaci e pellegrini.

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mania ha siglato il cessate il fuoco, ma l’esercito non ha rispettato gli accordi. I Karen hanno subito la confisca dei terreni, lavori forzati, violenze, omicidi e stupri di massa. Nel 1995 la Birmania ha seguito l’esempio tailandese allestendo uno zoo umano di donne giraffa nella capitale per promuovere il turismo internazionale. Nel 1998 i giornali hanno denunciato per la prima volta la segregazione dei Padaung a scopo turistico in Thailandia. Tuttora non sono formalmente rifugiati, perché non sono ospitati in campi profughi, ma appositamente relega-

Il presidente birmano Thein Sein ha inaugurato una poti in villaggi accessibili ai turisti, che per l’ingresso pagano litica di apertura, ma la questione dei diritti umani delle una cifra irrisoria (circa 6 euro), in minima parte destinata minoranze non compare ancora nell’agenda politica del al sostentamento dei Padaung. L’importo non compensa governo. Tutti i gruppi etnici auspicano che Aung San Suu affatto i divieti cui sono sottoposti: non possono lavorare Kyi possa svolgere una mediazione efficace col governo all’esterno di quell’area, né cacciare, pescare, coltivare centrale, confortata dalla presenza di osservatori ONU terre in concessione e nemmeno raccogliere legname. Tra nelle aree colpite da emergenze. il 2005 e 2008 circa 20mila Padaung sono stati trasferiti Non tutte le Padaung percepiscono drammaticamente all’estero, dove conducono una vita dignitosa. Nel 2008 la loro condizione. Pur di sentirsi al sicuro, molte indossaZember (23 anni), ha tolto pubblicamente gli anelli in seno il collare e posano per i turisti come se fosse la migliore gno di protesta e ha ammesso “mi hanno fatto soffrire molopportunità di lavoro. Anche altre donne giraffa che ho into. Non li indossavo per i turisti, ma per tradizione. Ora mi contrato in Birmania, nei negozi allestiti nelle palafitte del sento comunque prigioniera”. Lago Inle, tessono malinconia e rassegnazione, sfoggianDal 2011 le ostilità tra milizie indipendentiste Karen ed do sorrisi artificiali e sollevano lo sguardo dal telaio solo esercito birmano sono riprese: quasi 75mila Karen sarebper farsi fotografare. Quello che un tempo era un segno di bero fuggiti dalla Birmania, oltre la metà sarebbero rimasti bellezza e prosperità, oggi è una palla al piede. per il timore di rappresaglie. La Cina, benché firmataria delLa leggenda più accreditata sull’origine dell’usanza narla Convenzione sui Rifugiati (1951) e del Protocollo aggiunra che secoli fa gli spiriti venerati dai tivo (1957), non tutela i profughi, ma Karen (Nat), per punire i Padaung, dal 2011 rinnova azioni di respingiaizzarono le tigri della foresta contro mento d’accordo col governo birmale donne. Un vecchio saggio consino e provvede regolarmente al rimNoN tutte le padauNg gliò di forgiare anelli d’oro per propatrio dei fuggitivi. La preoccupaziopercepiscoNo teggerle dai morsi dei felini: chi non ne di mantenere buoni rapporti tra i drammaticameNte le indossava era giudicata priva di due paesi e salvaguardare interessi moralità, non poteva sposarsi, né economici e strategici pare prevalere la loro coNdizioNe avere figli. L’oro fu sostituito da una rispetto all’esigenza di riconoscere e lega meno preziosa, ma l’uso non tutelare le minoranze etniche.


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struttura ossea, i muscoli si atrofizzano e non reggono il peso del capo senza collare. Se fosse tolto, la testa cadrebbe in avanti bloccando la respirazione. Collo e arti sono stretti in una morsa, perciò la circolazione deve essere favorita con massaggi quotidiani. La prosecuzione di questa pratica pone quindi delicate questioni, non solo antropologiche, ma anche politiche ed etiche, poiché le Padaung sono cittadine a metà e non sono libere di scegliere. Interrogativi specifici riguardano lo sviluppo del turismo etnico, che dovrebbe essere boicottato quando la domanda di primitivismo alimenta meccanismi di sfruttamento e spettacolarizzazione. b

scomparve e il monile conservò valore sociale e morale, come un simbolo di fedeltà che rendeva la donna attraente, non solo per l’aspetto. La preferenza per i colli lunghi è infatti l’unica caratteristica estetica condivisa da tutte le culture ed è associata a dignità, autorità e benessere. Le bambine che indosseranno gli anelli sono selezionate nei giorni di luna crescente tra quelle nate in giorni di buon auspicio che abbiano raggiunto 5 o addirittura 3 anni, età in cui non si manifesta certo un deliberato consenso. Durante la cerimonia del plenilunio si applica il primo collare (circa 3 kg), talvolta aggiungendo altre spirali o anelli a braccia e caviglie. Ogni due anni si aggiunge un anello al collo, fino al matrimonio, quando il peso può arrivare a 10 kg. In seguito, alcuni anelli sono sostituiti da una o più spirali ed è possibile togliere temporaneamente solo il pezzo alla base del collo. I danni fisici sono irrimediabili: il peso e la trazione esercitata dalla corazza deformano la


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Aung SAn Suu Kyi e la forza della spiritualità

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di Albertina Soliani

Il cammino della democrazia guidato da una donna. Un vita al servizio del suo Paese Mi è venuta incontro sorridendo e mi ha avvolto in un abbraccio che racchiudeva la nostra reciproca gratitudine: per la sua eroica testimonianza dei valori della democrazia, per il nostro sostegno in questi anni in Italia e nel Parlamento italiano fin dal tempo dei suoi arresti domiciliari. Indossava l’abito dell’etnia Kachin, una sciarpa rossa sulle spalle, fiori bianchi infilati tra i capelli raccolti. Così ho incontrato a Naypyidaw, sede del Parlamento del Myanmar, Aung San Suu Kyi, Premio Nobel per la Pace, leader della Lega Nazionale per la Democrazia (NLD) e oggi capo dell’opposizione, il 28 febbraio scorso. Con me, Presidente dell’Associazione Parlamentare “Amici della Birmania”, l’On. Sandra Zampa del PD e portavoce di Romano Prodi, il mio collaboratore Giuseppe Malpeli che è stato il tramite dei rapporti con lei e la Birmania, Maria Giuseppina Bartolini ordinaria di matematica all’Università di Modena e Reggio Emilia e membro dell’International Commission on Mathematical Instruction, Beaudee Zawmin, da quarant’anni in esilio, dirigente dell’ufficio Burma di Bruxelles. Un colloquio molto cordiale e lungo, con una donna straordinaria che sta costruendo la storia. Ci ha parlato con determinazione del cambiamento, necessario subito, in Birmania. Del cambiamento urgente della Costituzione, che oggi prevede l’impossibilità dell’elezione a presidente di chi ha legami con stranieri (lei è vedova di un inglese e i suoi figli vivono in Occidente), la riserva del 25% dei seggi ai militari, il tetto del 75% dei voti di maggioranza per approvare le leggi. Per questo il confronto con il governo, guidato oggi da

Per tutti Aung SAn Suu Kyi è l’unicA leAder in grAdo di unire le diverSità e di Prendere in mAno il deStino del PAeSe


Thein Sein, un ex generale in veste civile, è indispensabile. Oggi la responsabilità assunta da Aung San Suu Kyi è tutta politica, volta a condurre la Birmania verso la democrazia e le elezioni politiche del 2015 per le quali è già stata candidata dal suo Partito alla Presidenza. Alcuni giorni dopo la nostra visita si è svolto a Rangoon il primo Congresso della NLD, dopo vent’anni di clandestinità, che ha puntato sull’unità, l’allargamento del primo gruppo dirigente e l’inclusione dei giovani, la trasformazione del partito da movimento “contro” a soggetto di governo. Il realismo con cui sta affrontando questa fase assai delicata e decisiva, verso una compiuta democrazia, suscita discussioni. Di recente Aung San Suu Kyi ha partecipato per la prima volta alla parata militare in occasione delle “Giornata delle forze armate”. Vuole che l’esercito sia a servizio del popolo nella democrazia, non strumento della sua oppressione. In queste settimane per la prima volta sono usciti alcuni quotidiani liberi in Birmania, anche quello della NLD, dopo decenni di censura. Abbiamo anche incontrato i rappresentanti delle etnie (sono 135), di altre forze politiche e di Generazione 88, i leader studenteschi della rivolta dell’8/8/88 con molti anni di carcere alle spalle: per tutti Aung San Suu Kyi è l’unica leader in grado di unire le diversità e di prendere in mano il destino del Paese. Aung San Suu Kyi è la figlia di Aung San, il Padre della Patria, suo liberatore, ucciso nel 1947 a 32 anni. Oggi Aung San Suu Kyi ne raccoglie l’eredità con la forza di una donna. “Usate la vostra libertà per promuovere la nostra” diceva anni fa. Ed è così che nel 2006 ho fondato l’Associazione Parlamentare “Amici della Birmania” e sono intervenuta poi in Parlamento con dichiarazioni, mozioni, audizioni presso la Commissione Diritti Umani del Senato. È a lei che oggi guarda la comunità internazionale mentre la Birmania si apre al mondo. A lei guarda il suo popolo che spera nel cambiamento. Da anni Aung San Suu Kyi incontra le persone comuni, ne ascolta i problemi e ogni fine settimana si rivolge al popolo davanti al cancello della sua casa parlando della democrazia. Una leadership che abita nel cuore delle persone e di un’intera nazione. Una missione gigantesca, quella di Aung San Suu Kyi, che lei affronta con la forza morale che l’ha sempre sostenuta, con la benevolenza verso tutti, con la sua fiducia nei valori della non violenza, del dialogo, della verità, della tenerezza, della riconciliazione, anche nei momenti più drammatici. Con gli strumenti della politica. Qui sta la straordinaria novità di una storia umana e politica, personale e collettiva, che la spiritualità buddista alimenta, e che ha saputo trasformare la condizione difficilissima di un popolo, prigioniero nel suo stesso Paese, in un cammino di

liberazione. “Liberi dalla paura” è il primo cambiamento, che spezza il blocco che imprigiona sia chi detiene il potere sia chi ne è vittima. Io credo che la forza di Aung San Kyi sia la sua spiritualità. Un fattore non frequente in politica, eppure in lei inscindibile con essa. Quando la sofferenza attraversa la vita delle persone e dei popoli, la politica non può non raccoglierne il grido e solo lo spirito può intenderlo. Aung san Suu Kyi parla anche a noi della democrazia, a noi che in questi anni abbiamo visto fortemente indebolirsi la nostra. Per questo oggi il legame tra noi e lei è molto forte. Oggi la democrazia nel mondo ha il volto di Aung San Suu Kyi e questo è il segno che la democrazia ha oggi bisogno soprattutto delle donne. Di donne che cambino la politica con la forza della loro intelligenza e della loro umanità. Le ho lasciato, al termine dell’incontro, alcuni cd di Giuseppe Verdi. Ama la musica, so che li ascolta. Mi ha accompagnato sottobraccio sulla soglia, e lì ha atteso che il pulmino si allontanasse. In piedi, sola. Con lei il futuro del suo popolo. E anche noi.b

dA Anni Aung SAn Suu Kyi incontrA le PerSone comuni, ne AScoltA i Problemi e ogni fine SettimAnA Si rivolge Al PoPolo dAvAnti Al cAncello dellA SuA cASA PArlAndo dellA democrAziA

Foto gentilmente concesse da Albertina Soliani

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DIYARBAKIR Incontro con le Madri della Pace KURDISTAN TURCO

di Emanuela Irace

Hanno figli in prigione o desaparecidos e come le madri di Plaza de Mayo organizzano sit in e conferenze annuali Strette l’una all’altra aspettano in silenzio di raccontare la propria storia. Sono le “Madri della Pace”. Mogli e madri dei martiri guerriglieri kurdi. Le incontro a Diyarbakir, storico capoluogo del Kurdistan turco, città dall’imponente cinta muraria lungo il corso del Tigri.

Duecento km a nord dai confini con la Siria. Le stanze dell’associazione sono pulite e luminose. Tappeti per terra e bicchierini di the. Si entra senza scarpe. Ci aspettano. L’incontro è stato organizzato dalla Ong italiana Verso il Kurdistan, di Antonio Olivieri, che tra i molti progetti a sostegno della popolazione porta avanti da oltre dieci anni l’adozione a distanza delle Madri della Pace. L’emozione è forte. Anche quest’anno si rinnova la solidarietà. Sono di religione sunnita. Indossano un foulard bianco e si ispirano all’esperienza argentina delle madri di Plaza de Mayo, come loro, organizzano sit in e conferenze annuali. Lottano per avere giustizia e visibilità. Premono sul governo turco di Erdogan e manifestano pacificamente una volta a settimana per denunciare la violenza di Stato che continua a decimare il popolo kurdo. Hanno figli in prigione o desaparecidos. Parlano sottovoce reggendo tra le mani articoli di giornale e fotografie dei propri uomini, giovani e ingialliti dal tempo.

Hanno il viso e il corpo aLcune sono segnato, difficile indovinarne l’età. Alcune sono mogli MogLi e Madri e madri dei Peshmerga, dei PeshMerga, guerriglieri e guerrigliere guerrigLieri e della montagna, emblema guerrigLiere della resistenza di un popolo che da oltre mezzo secodeLLa Montagna, lo combatte per il solo diriteMBLeMa deLLa to di esistere. In Turchia i resistenza di kurdi rappresentano la miun PoPoLo che noranza più cospicua. Da oltre mezzo secolo sono da oLtre Mezzo costretti a subire l’assimilasecoLo coMBatte zione violenta da parte di Per iL soLo diritto un Governo che pur volendi esistere do entrare in Europa continua a negare loro diritti elementari: parità di trattamento, uguaglianza giuridica e riconoscimento del proprio status nella Costituzione. “Mia figlia è stata uccisa insieme ad altri 15 guerriglieri l’anno scorso. Aveva 23 anni. L’esercito turco ha usato armi chimiche e sono tutti morti in maniera orrenda, ecco, guarda qui, c’è la sua fotografia “, dice la madre di Fatima Karain, mostrando un articolo di giornale con l’immagine della ragazza. “Vogliamo pace e dignità per il nostro popolo” prosegue Serine Unat, madre di un ragazzo desaparecidos da 21 anni. Raccontano senza lacrime di interi villaggi dati alle fiamme, delle perquisizioni violente, delle torture e delle tante esecuzioni extragiudiziali compiute sotto i loro occhi: ”La violazione dei diritti umani in Turchia è all’ordine del giorno - spiega Serine -, noi cerchiamo di denunciare gli abusi e le atrocità compiute contro il nostro popolo ma le notizie non arrivano in Europa e Madri della pace Diyarbakir, foto di Mirca Garuti per Alkemia, gentilmente concessa


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quando accade, nessuno muove un dito. Ci sono troppi interessi economici”. Interessi che hanno condizionato anche l’Italia, come avvenne nel 1999 per mano di D’Alema. Quando il nostro Governo ricattato dalle lobbies commerciali turche e contravvenendo alla Costituzione, art. 10 e 26 sull’asilo politico - si rese responsabile dell’arresto del leader del Pkk Ocalan, condannato a morte e tutt’ora in carcere a scontare una pena commutata in ergastolo. Una guerra silenziosa che non interessa alle cancellerie europee. Le Madri della

partito Dep nella città di Barman. È stato ucciso in un agguato al mercato con la complicità della polizia locale. La sua è stata una esecuzione extragiudiziaria e da allora non c’è stata più pace per la mia famiglia”. b Madri della pace Diyarbakir, foto di Mirca Garuti per Alkemia, gentilmente concessa

KURDISTAN TURCO

Le Madri della Pace premono sul governo turco di Erdogan e manifestano pacificamente una volta a settimana per denunciare la violenza di Stato che continua a decimare il popolo kurdo

Madre di Fatima karain, guerrigliera uccisa a 23 anni, l’anno scorso, dalle armi chimiche dell’esercito turco foto di Emanuela Irace

Pace lo sanno e a ogni operazione militare fanno da scudo umano come forza di interposizione contro le violenze di polizia ed esercito turco. “Stiamo cercando di unirci alle madri dei soldati turchi che sono morti. Insieme vorremmo porre fine a una guerra che sembra non finire mai. Ho perso mio marito a 25 anni e adesso che sono vecchia piango la morte dei miei nipoti”. Leyla Astan ha trascorso la vita fuggendo. Prima dai villaggi rasi al suolo in montagna, poi dalle denunce dei vicini in città: “Facevano la spia perché la mia famiglia era ricercata. Mio fratello era presidente del

Serine Unat, madre di un ragazzo desaparecido da 21 anni foto di Emanuela Irace


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LIBRI a cura di tiziana Bartolini

Il NO dI FraNca VIOla tra mItO e realtà

Niente ci fu, di Beatrice Monroy, è una storia siciliana dolorosa ed emblematica, avvenuta nel 1965. La protagonista è Franca Viola, all’epoca una ragazza diciassettene, di Alcamo, paese mafioso in provincia di Trapani, dove come in altri paesi siciliani era comune la pratica di rapire le donne che rifiutavano i pretendenti e dopo il ratto, secondo l’articolo 544 del Codice Rocco, il matrimonio riparatore premiava il rapitore, senza chiedere l’opinione della preda. Franca Viola fu la prima donna che ha detto“no”al matrimonio col carnefice Filippo Melodia, malacarne di famiglia mafiosa, che per otto giorni la rapì e violentò, in una casa di campagna. Dalla sua parte Franca ebbe i genitori forti e determinati, Bernardo e Vita. Benché semplici, si opposero al matrimonio riparatore e con “Niente ci fu”, espressione tipicamente siciliana per indicare un nonnulla, incoraggiarono la figlia a rifiutare le nozze riparatrici che per il Codice penale fascista perdonava lo stupratore. La Monroy, da brillante narratrice quale è, fa si che Franca Viola, attraverso il suo No di libertà, dia voce alle tante donne sopraffatte dal dolore della violenza, nel silenzio e nella vergogna senza resistervi, soccombendo talvolta e rimanendo ferite a vita. Un racconto tra il mito e la realtà, la storia della Sicilia di cinquant’anni fa, fra le voci di Danilo Dolci, Leonardo Sciascia e Lodovico Corrao, deputato e avvocato di Franca Viola, le pagine del quotidiano L’Ora con la cronaca dei tempi, lo stupro durante la guerra in Kossovo e l’attualità della violenza contro le donne. Franca diventa un’eroina, Melodia, viene condannato a undici anni di carcere, con sentenza senza precedenti, finirà la sua vita ammazzato. Nel 1968, la Viola si sposerà in abito bianco con un uomo che ama, vivendo, tuttora, in riservatezza, consapevole della rivoluzione, cui è legata la sua vita, che cambiò la Sicilia, l’Italia e la storia di noi donne. Mirella Mascellino Beatrice monroy Niente ci fu ed la meridiana, pagg 110, euro 13,50

lIBertà, demOcrazIa, uguaglIaNza IN uNa prOspettIVa dI geNere

Pensiero politico e genere dall’Ottocento al Novecento è un’opera curata da Fiorenza Taricone (Università di Cassino e del Lazio Meridionale) e da Rossella Bufano (Università del Salento), con prefazione di Leonardo La Puma (Università del Salento). Le due studiose, in particolare la Taricone, coltivano da diversi anni gli studi di genere cercando di valorizzare e riscoprire un pensiero politico al femminile. Il volume raccoglie gli interventi di altre studiose che da tempo si adoperano per ridare visibilità al ruolo rivestito dalle donne nella storia politica e delle idee: Ginevra Conti Odorisio, Marisa Forcina, Rosanna Basso, Laura Pisano, Christiane Veauvy. A questi si aggiungono i contribuiti di giovani ricercatrici e ricercatori che a questi temi stanno dedicando la loro energia e il loro entusiasmo come Gianna Proia, Giulia Mancino e Massimo Ciullo. A dispetto di quanto la cultura generale e la formazione (dalla scuola dell’obbligo all’università) fanno pensare, cioè che l’azione e la riflessione delle donne siano state sporadiche nella storia, questo libro dimostra che sono tantissime le figure femminili che si sono misurate su temi quali la libertà, la democrazia, l’uguaglianza, l’emancipazione, al pari dei colleghi uomini, ma con una prospettiva che oggi si è solititi definire “differenza di genere”. Arricchendo la discussione dell’epoca e, spesso, esercitando una forte influenza sul processo storico o sulle scelte parlamentari del proprio paese. Olympe de Gouges, Eleonora de Fonseca Pimentel, Harriet Martineau, Daniel Stern, Cristina di Belgiojoso, Gualberta Alaide Beccari, Oronzina Tanzarella, Grazia Deledda, tanti i nomi che da fine ’700 fino al ’900 vengono menzionati nel testo. Donne che a vario titolo, patriote, giornaliste, scrittrici, insegnanti, contribuiscono alla formazione o alla crescita dello statonazione attraverso l’esercizio di una cittadinanza che si fonda sulle relazioni e sulla circolazione delle idee. Elena Luviso Fiorenza taricone e rossella Bufano (a cura di) Pensiero politico e genere dall’Ottocento al Novecento ed amaltea, euro 20,00


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Quotidiano donna e le sfide del movimento femminista

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a Storia che mette al centro il protagonismo delle donne appare sempre più un pozzo senza fondo, così come le ricostruzioni del recente passato, dove la memoria spezzettata in mille gesti e soggetti aspetta impaziente di farsi narrazione storica. Donne senza veline di Elisa Salvati (Teseo editore) non fa eccezione e non di rado ti stupisce con informazioni nuove e figure sconosciute o dimenticate. L’autrice, con un paziente lavoro di ricerca, ci restituisce le vicende legate ad una esperienza editoriale breve, ma molto significativa e densa di contenuti, collocandola nel contesto in cui nacque e si sviluppò. Quotidiano Donna viene pubblicato per la prima volta a Roma il 6 maggio del 1978 come supplemento politicamente autonomo del Quotidiano dei Lavoratori. Dopo mesi di incontri il primo nucleo della redazione formato da Marina Pivetta, allora giornalista del QdL, Emanuela Moroli e Chantal Personé dà vita al primo numero del giornale. La collocazione della redazione è molto significativa: siamo in via del Governo vecchio, a palazzo Nardini, occupato nel ‘76 dal Movimento di liberazione della donna (Mld) e divenuto presto il simbolo del femminismo romano. La novità è rappresentata, rispetto ai femminili di allora, non solo dai contenuti che risultano essere espressione diretta di riflessioni ed esperienze dei collettivi femministi, ma anche dalla ferma volontà di rifiutare una comunicazione autoritaria per realizzare una interlocuzione il più possibile orizzontale. Il 16 dicembre del ‘78 cessa di essere un supplemento per diventare un giornale completamente autogestito. Nel leggere le pagine di questo libro si ripercorre l’atmosfera di quegli anni, le utopie, i desideri, il bisogno di dirsi di ciascuna, la necessità di nominare un noi (testi scritti collettivamente), la paura di questo noi visto come cancellazione del sé (nessuna poteva parlare a nome delle altre), ma anche il desiderio di costruire una elaborazione teorica capace di andare al di là dell’esperienza soggettiva. Intanto alla fine del ‘79 iniziano a nascere redazioni in altre città. Le donne parlano in prima persona di sé, della propria vita riattraversata col sapere guadagnato con la pratica dell’autocoscienza. Si parla di salute, contraccezione, aborto, lavoro, di eterosessualità e lesbismo, di violenza contro le donne in ogni sua forma. Mi sento di ringraziare l’autrice di questo interessante libro, difficilmente sintetizzabile per le tante informazioni, considerazioni e ricostruzioni che contiene. Ne consiglio vivamente la lettura non solo per meglio capire l’esperienza politica di una parte del movimento delle donne nel passaggio dagli anni Settanta agli Ottanta, ma anche perché alcuni problemi e nodi politici sono drammaticamente attuali e chiedono ancora una responsabilità politica collettiva. Rosanna Marcodoppido

La versione integrale della recensione è su http://www.noidonne.org/blog.php?ID=04207

se la parItà è sOlO FOrmale e NON sOstaNzIale Tra i pamphlet scritti negli ultimi anni sul tema delle pari opportunità, ben s’inserisce il volumetto di Rossella Palomba dal titolo evocativo ‘Sognando parità’ appena uscito per la casa editrice Ponte alle Grazie, con il sottotitolo: ‘occupazione e lavoro, maternità, sesso e potere, violenza e povertà: le pari opportunità, se non ora quando?’. Demografa sociale, esperta di problemi di genere e lavoro femminile, l’autrice - che è stata ambasciatrice europea per le pari opportunità nella scienza ed ha alle spalle numerose pubblicazioni sui temi delle politiche sociali ‘al femminile’fotografa in brevi capitoli, come altrettanti flash, la situazione del nostro Paese in materia di pari opportunità, dagli anni delle grandi conquiste fino ai giorni nostri. Ne risulta un quadro tristemente noto, dove nonostante l’evoluzione delle leggi e del diritto, persistono, pressoché a tutti i livelli, disparità di genere, specialmente nel lavoro: l’Italia è al 74esimo posto nel Report sul Global Gender Gap 2011, 90esima per occupazione femminile, 121esima per parità salariale, 97esima per incarichi al vertice, una donna su due non lavora se ha un figlio. Inoltre il femminicidio è aumentato del 6,7% negli ultimi due anni. Dunque nel nostro Paese la parità sostanziale è un traguardo lontano almeno un paio di secoli. Prenderne coscienza sarebbe già un passo avanti. “La mia generazione - afferma l’autrice - ha creduto che il sogno della parità fosse a portata di mano, che avessimo trovato la strada giusta e che il treno delle pari opportunità si sarebbe fermato alla stazione in cui lo stavamo aspettando. Abbiamo aspettato con fiducia e con speranza. Quel treno però non si è fermato, ha proseguito la sua corsa ed è passato tanto velocemente che nessuna di noi è riuscita a salirci sopra. Era il treno della parità, sì, ma quello della parità politically correct, quello delle pari opportunità nei discorsi di principio, quello delle parole senza effetti concreti e tangibili”. Elisabetta Colla

rossella palomba SOgNaNdO Parità Occupazione e lavoro, maternità, sesso e potere, violenza e povertà: le pari opportunità, se non ora quando? ed ponte alle grazie, pagg. 144, euro 12,00

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Riuso e riciclo

è tutto un Festival di Elisabetta Colla

Quando ambiente, arte, cinema ed economia vanno a braccetto: RIscARTI, ReciclaMadrid e DrapArt. Iniziative dirette (non a caso) da tre donne

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a sempre le donne sono abili nell’arte del riciclo e del riuso, e da secoli hanno appreso l’importanza, per far quadrare i conti familiari, di economizzare rivitalizzando oggetti usati e trasformandoli in mille maniere diverse. Da necessità a virtù, si moltiplicano le iniziative legate al riciclare, valorizzato come forma d’arte. In tale direzione è andata la 1ª edizione di RIscARTI, Festival Internazionale di Arte e Riciclo (a cura dell’associazione RIscARTI e CAE), che ha proposto, presso il mattatoio di Testaccio, 10 giorni sul tema del riuso, con laboratori, proiezioni, spettacoli, esposizione di oggetti e design, per affrontare la tematica ambientale attraverso gli strumenti dell’arte contemporanea, tenendo

presente la regola delle 4 ‘R’: riduzione, recupero, riciclo e riuso. “Siamo felici di questo Festival - afferma Marlene Scalise, direttora di RIscARTI - che esiste sia grazie alle nostre energie, sia per la sinergia con altre associazioni che hanno i nostri stessi intenti e la nostra medesima passione, per generare ottimismo verso il futuro”. A tale proposito, per evidenziare l’importanza del ‘fare rete’, sono state invitate le direttore di due Festival spagnoli sempre legati al tema del riciclo artistico: Susana Aparicio-Ortiz, direttora del ReciclaMadrid (un festival molto noto nella capitale spagnola, giunto al qiunto anno di vita), artista ed artigiana di bellissimi gioielli realizzati con materiali di riciclo, e Tanja Grass, direttora del DrapArt di Barcellona. “Ci siamo conosciute intorno al progetto ‘gioielli per un mondo sostenibile’- racconta Susana - attraverso il quale promuoviamo gli eco-gioielli, ad impatto zero, che nascono da materiali ed oggetti scartati, ma che possono essere altrettanto belli ed alla moda degli altri, se non di più. Da lì abbiamo iniziato un sodalizio più ampio, perché le nostre associazioni ed i nostri Festival procedono su una linea comune, di pensiero ed azione, fra Italia e Spagna”. Altro trait-d’union fra queste


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realtà è l’artista e disegnatrice Karol Bergeret García (presente con le sue opere a RIscARTI), fondatrice del Taller de ideas a Barcellona, forse la rappresentante più creativa e pacatamente trasgressiva dell’arte riciclata, usata come veicolo per ricordare l’autonomia e l’autodeterminazione femminile. Oltre agli incontri ed alle proiezioni di film su temi ecologici (in particolare ricordiamo lo scambio con il Green Movie Film Fest di Roma), alle expo di artisti ed alle collezioni internazionali (Drap Art e ReciclaMadrid), alle performance dei Prototipi Di Scartus (musiche con strumenti autocostruiti) e dei percussionisti Bamboo, che trasformano i rumori degli elettrodomestici a due velocità in suono, RIscARTI ha presentato l’estetica del-

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lo scarto come modo propositivo di costruire il cambiamento, il riscatto: i materiali e l’energia contenuta nei ‘riuti’ diventano sempre più preziosi in un mondo dalle risorse sempre più limitate. L’arte è al servizio dello smaltimento e dell’ecologia: e così una vasca da bagno risulta più pratica in salotto, usata come poltrona, per chi preferisce una doccia veloce al mattino (made by ass. culturale C Tre); una caffettiera spanata diventa un’abat-jour da comodino (ass. Remmade), e le cassette della frutta e gli indumenti non più alla moda, possono avere mille nuove vite possibili. ❂

TERREMOTO IN EMILIA

SCATTI DI SOLIDARIETÀ

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l 10 aprile scorso, poco più di un mese prima dell’anniversario del sisma che ha sconvolto l’Emilia nel 2012, si è svolta la seconda presentazione romana del libro fotografico-narrativo “Magnitudo Emilia. Lo sguardo sulle cose” (edizioni Artestampa), accompagnata dalla mostra allestita per l’occasione. L’evento è stato organizzato a Piazza di Pietra a Roma, presso la Galleria 28 di Francesca Anfosso, una giovane donna che investe coraggiosamente sul connubio arte e solidarietà, alla presenza di autorità locali, parlamentari, responsabili della Protezione civile e rappresentanti ANCI. Cifre, luoghi e numeri sono stati fatti scorrere tra le immagini di un filmato cantato da Fiorella Mannoia sulle note di “Io non ho paura”, una delle canzoni con cui gli artisti italiani hanno sostenuto le manifestazioni benefiche organizzate fino ad oggi. Il volume, che raccoglie quasi un centinaio di scatti e testimonianze di gente comune, è opera della giornalista e scrittrice Annalisa Vandelli e del fotoreporter Luigi Ottani, che hanno colto e raccontato con sensibilità narrativa e fotografica il dramma, il coraggio,

le speranze e la forza di ricominciare delle popolazioni colpite. Non ci sono solo segni di devastazione, ma anche espressioni insospettate e insospettabili tra etnie coinvolte nel disastro, sia come vittime, sia come soccorritori e lavoratori. La ricostruzione di questa sciagura emiliana porta alla luce competenze, risorse, capacità ed eccellenze locali non solo tradizionali e agroalimentari, ma anche poco conosciute e finisce per riproporre orgogliosamente un’identità territoriale rafforzata e rinnovata, che si esprime con tenacia imprenditoriale e la ferrea volontà di vincere la sfida della ricostruzione, che richiede una lunga e faticosa riconquista della normalità. Immagini e scrittura suscitano forti suggestioni e stimolano riflessioni sull’esigenza di prevenire e organizzare il soccorso in situazioni di emergenza, inoltre pongono interrogativi sull’efficacia della ricerca, della prevenzione e della legislazione in materia. L’obiettivo del progetto editoriale ed ogni iniziativa correlata sono finalizzati alla sensibilizzazione e alla raccolta di fondi (prezzo di copertina: € 23, in offerta € 20) da destinare

alla formazione di bambini e ragazzi disabili del territorio, ad opera della Fondazione Scuola di Musica Andreoli di Mirandola, che dal 1966 si occupa dell’integrazione di disabili in collaborazione con la Ausl di Mirandola. Per saperne di più, consultate l’omonima home page dedicata, che troverete facilmente digitando il titolo del libro in qualsiasi motore di ricerca. È un’occasione per informarsi e per essere solidali con le popolazioni colpite. Maria Elisa Di Pietro


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Maggio 2013 Roma,1928: Antonietta dipinge sul terrazzo della casa-studio di via Cavour; sullo sfondo il tappeto berbero spesso riprodotto in molti suoi dipinti Roma,1938: Mario e Antonietta dopo la festa di addio prima della partenza per Genova, circondati dalle tre figlie, da sinistra Simona, Miriam, e Giuditta, detta Giulia

LEGAMI FAMILIARI E VITA DI UNA DONNA MOLTO PARTICOLARE, SPOSA DI MARIO MAFAI, NEL LIBRO DELLA FIGLIA, GIULIA

ANTONIETTA RAPHAËL ARTISTA E ANTICONFORMISTA di Flavia Matitti

S

i intitola La ragazza con il violino (Skira, pp. 208, euro 18,50) il bel libro che Giulia Mafai, nota costumista per il cinema e il teatro, oltre che storica del costume, ha scritto in ricordo della madre, Antonietta Raphaël (Kaunas 1895 - Roma 1975), artista celebre, la cui opera è riconosciuta e apprezzata a livello internazionale, ma anche donna anticonformista, fortemente legata alle sue origini ebraiche. Il libro, nel ripercorrere con sincerità e affetto le vicende e gli incontri di Antonietta Raphaël, restituisce con immediatezza anche il clima politico e culturale dell’Europa del tempo, soprattutto dell’Italia del fascismo e del dopoguerra, rivelando aspetti inediti della personalità degli artisti, critici, intellettuali e collezionisti con i quali Antonietta viene in contatto, primo fra tutti il pittore Mario Mafai (Roma, 1902-1965), che è stato l’amore della sua vita e dal quale ha avuto tre figlie: Miriam (1924), Simona (1928) e appunto Giulia (1930). In più La ragazza con il violino - il titolo deriva da quello di un famoso autoritratto dipinto da Antonietta nel 1928 - è anche una coinvolgente testimonianza di legami familiari tutti al femminile. Tanto per cominciare quello tra la Raphaël e sua madre Kaja. Nata in un piccolo villaggio lituano, ultima di dodici figli, all’età di dieci anni, morto

il padre, si trasferisce con la madre a Londra. Le difficoltà sono tante ma lei, che già parlava russo, tedesco e yiddish, impara l’inglese e si diploma in pianoforte e violino alla Royal Academy of Music, potendo così mantenere se stessa e la madre con le lezioni di musica. Nel 1924 però Kaja muore e Antonietta, avendo nel frattempo ottenuto il passaporto (perderà la cittadinanza inglese quando nel 1935 sposerà Mafai), decide di fare un viaggio in Europa. Visita prima la Francia, ma quando giunge a Roma ne resta ammaliata. Conosce e si innamora di Mafai, allora ventiduenne e più giovane di lei di sette anni. Come pittrice si forma a Roma, da autodidatta, ma presto attira l’attenzione della critica. Nel 1929, infatti, Roberto Longhi, con il suo proverbiale intuito, la definisce una “sorellina di latte di Chagall” e battezza il sodalizio tra lei, Mafai e Scipione “Scuola di via Cavour”, dall’indirizzo dell’abitazione della coppia. Due pittori in famiglia però sono troppi e per evitare conflitti Antonietta deciderà di dedicarsi alla scultura. Ma tornando ai legami familiari di cui è intessuto il libro, l’altro rapporto importante è quello di Giulia con sua madre. Siamo andate a trovarla nella sua abitazione romana, nei pressi di Ponte Milvio, in quella che fu la casa-studio della Raphaël, dove tanti oggetti e opere


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Genova, 1948: Antonietta insieme alle figlie

ricordano la sua presenza: dal candelabro di ottone appartenuto a suo padre, il rabbino Simon, al pianoforte, al grande dipinto intitolato Omaggio a Mafai. “Mia madre - racconta Giulia con voce sonora, che la fa sembrare tanto più giovane dei suoi 83 anni - era molto riservata e ingenua, non sapeva affrontare la vita reale. Era indipendente, anticonformista, vestiva in modo originale, non si truccava. Diceva che Dio è donna perché sono le donne a saper creare. A noi ragazze ha dato la coscienza che la nostra vita non dipendeva dal matrimonio. Come donna però ha sofferto molto, per fortuna sfogava tutto nella sua arte. Credo che nella pittura ci fosse il lato luminoso del suo carattere, mentre nella scultura riversava tutto il suo dramma”.

Il legame intenso con sua madre sembra in qualche modo ripetere quello di Antonietta con Kaja è d’accordo? Ho sempre pensato che il tema della maternità, un soggetto ricorrente nella scultura della Raphaël, fosse un omaggio alla figura di sua madre, la mitica nonna Kaja, che io purtroppo non ho mai conosciuto. Le fu sempre molto difficile festeggiare il mio compleanno, il 13 gennaio, perché cadeva lo stesso giorno in cui era morta sua madre. Le mie sorelle hanno avuto interessi diversi dai miei e poi si sono sposate e hanno avuto figli abbastanza presto. Io invece, proprio come mia madre, ho anticipato molte cose delle donne. Ho convissuto, ho avuto le mie figlie tardi, come si usa adesso, a 40 anni, non mi sono mai sposata e le mie figlie portano il mio cognome. Come era vivere con la Raphaël? Era dura. O eri un genio o non eri nessuno. Non stimava il mio lavoro, avrebbe voluto che i miei bozzetti fossero almeno come quelli dei costumisti e degli scenografi dei Balletti russi. Nel dopoguerra collaboravo con “Paese Sera” e con “Noi Donne”, allora diretta da Maria An-

Roma 1960: Antonietta nel nuovo studio a Roma in mezzo alle sue sculture

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tonietta Macciocchi. Facevo disegni di figurini di articoli di moda e guadagnavo bene. Su “Paese Sera” avevo una rubrica fissa. Nel nostro gruppo di amici, Turcato, Corpora, Consagra, io ero l’unica che aveva soldi. Ma mia madre aveva un concetto così alto della forma. Ha sempre puntato al massimo. Papà, invece, non mi giudicava, era forse più artigiano e da bravo romano era contento che mi realizzassi, che a vent’anni fossi già economicamente indipendente. Del resto i Fiori di Mafai sono una poesia contemplativa, un legame con l’umanità, mamma invece veniva da una storia millenaria di lotte, di fatica e la pace non era mai con lei. Qui siamo nel suo studio, lei abitava al piano di sopra ma era capace di scendere alle cinque del mattino perché le era venuta un’idea. Una volta ha rischiato di mandare a fuoco la casa perché si era dimenticata le patate a cuocere sui fornelli, fortunatamente se ne accorsero i vicini richiamati dal fumo. Anche d’inverno si metteva i suoi scarponi da militare e con due o tre giacche addosso, perché nello studio non c’era il riscaldamento, ha lavorato fino all’ultimo con le mani immerse nella creta bagnata. L’Omaggio a Mafai lo dipinse un mese dopo la scomparsa di papà. È una cosa meravigliosa e c’è tanto amore in quel quadro. Un amore verso l’artista. Lei ha sempre creduto molto in Mafai, anche se come uomo l’aveva delusa, come artista lo ha sempre sostenuto. ❂


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A tutto schermo

AmArsi, oltre le differenze

Nelle sale il film ‘giappoNese’ del regista iraNiaNo Kiarostami sulla solitudiNe e l’iNdividualismo, sulle scelte e le coNsegueNze

di Elisabetta Colla

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ualcuno da amare’, il titolo dell’ultima pellicola di Abbas Kiarostami, il regista iraniano di Close-up e Copia conforme - per citare solo alcune delle sue controverse, raffinate e spesso ermetiche opere - non sembra si addica ad un film piuttosto duro e complesso, che ha come protagonista Akiko, una studentessa-escort, giunta a Tokyo all’età di 14 anni dalla zona

giudicante, a tratti quasi lontano, ma in realtà profondamente e sapientemente umano. La scena iniziale, quasi pittorica, dove alcune studentesse sono ‘al lavoro’ in un bar con clienti senza volto, descrive una realtà di fatto, con ragazze più a loro agio, inserite e conformi alle regole di un gioco più grande di loro, ed altre, come la protagonista, che mal sopportano la situazione, raccontano bugie al fidanzato (su dove si trovano

rurale, e coinvolta, a 16, in un avviato traffico di prostituzione che le consente di mantenersi alla facoltà di Sociologia. Ed infatti il film, interamente girato nel Giappone moderno (cast, troupe, location, rigorosamente made in Japan) non ha davvero nulla di romantico ma descrive giovani, anziani, relazioni, situazioni, stati esistenziali e scelte più o meno etiche, con un occhio non

e con chi), urlano ma poi obbediscono. Molto diversa l’atmosfera dell’incontro fra Akiko (la giovanissima Rin Takanashi) ed il professor Takashi, un cliente molto particolare, che vuole solo cenare in compagnia, nella sua casa piena di libri e ricordi. Ma tutto si complica quando Noriaki (Ryo Kase), il fidanzato di Akiko, geloso e violento, scambia il professore per il nonno della ra-


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KiKi

streghetta volante

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ibri e film su streghe e maghetti funzionano sempre, affascinando bambini ed adulti (pensiamo al successo di Harry Potter, con lettori di ogni generazione), ma ancor più conquistano quando creano un forte legame tra magia e realtà, vita quotidiana ed immaginazione, sovrannaturale ed umano. È proprio questo il caso di ‘Kiki - Consegne a domi-

cilio’ (titolo originale: ‘Le consegne espresse della strega’), tratto dall’omonimo romanzo dello scrittore Eiko Kadono, e trasformato in film dalla straordinaria inventiva di uno dei più grandi registi e disegnatori di animazione di tutti i tempi, il giapponese Hayao Miyazaki (tra le sue pellicole più note, pluripremiate: La città incantata, Il castello errante di Howl, Ponyo sulla scogliera), anche produttore e fondatore dello Studio Ghibli. Il film racconta la storia di Kiki, una ragazzina con poteri magici (la mamma è una strega buona che produce medicamenti per gli abitanti del paese) che, come vuole la tradizione, a 13 anni deve partire dalla casa d’origine e cercare, in piena autonomia, un luogo dove compiere il suo apprendistato. In una notte di luna piena, con la sua scopa ed il fedele gatto nero parlante, Jiji, Kiki parte in cerca di una cittadina sul mare, luogo privilegiato del suo immaginario. Da qui si dipanano le avventure della ragazza: gli inizi difficili per la differenza tra campagna e città, la gentilezza della panettiera Osono che l’aiuta ed ospita, l’amicizia col giovane idealista Tombo, affascinato dal volo, e con l’indipendente pittrice Ursula, la decisione di aprire un’attività per consegne a domicilio dove sfruttare l’arte magica della sua scopa, l’alternarsi di momenti belli e tristi tipici della sua età. Il film racchiude tutto il mondo interiore e le tematiche care al regista giapponese: l’importanza ed il rispetto della natura e degli animali, l’entusiasmo e la vitalità dei giovani, la passione per il volo (il padre di Miyazaki, durante la guerra, possedeva una fabbrica di componenti per aerei), il pacifismo e la tolleranza per il diverso. La bellezza dei disegni di Miyazaki supera se stessa nella creazione dell’immaginaria città di mare Koriko, dove sbarca Kiki: il regista ed i suoi artisti, infatti, si sono ispirati, con viaggi e fotografie, a diverse città quali Stoccolma, Visby , Lisbona, Parigi, San Francisco e Milano, realizzando alcune scene come veri e proprio quadri, con colori ed immagini che rimangono e perdurano nell’occhio, e nell’anima, anche degli spettatori più esigenti. Distribuito dalla Lucky Red, il film uscirà anche sul mercato home video con un nuovo doppiaggio in italiano. E.C.

gazza. La recitazione ‘naturalistica’, o non-recitazione, caratteristica dello stile di Kiarostami, seguace dichiarato del neo-realismo italiano, lo ha portato a scartare attori ed attrici giapponesi di chiara fama, preferendo la spontaneità di comparse (come Tadashi Okuno, il professore, che per la prima volta in ottant’anni ha pronunciato delle parole in un film). “Non ho girato in Giappone solo perché mi piace il Paese, il sushi ed i giapponesi - afferma il regista - ma perché credo che il film rappresenti qualcosa che appartiene a tutto ed a tutti, iraniani, giapponesi, italiani. Quando siamo lontani crediamo di essere molto diversi fra noi, in realtà ci assomigliamo molto e rimarcare le differenze non fa che allontanarci. In Giappone il film è stato amato solo da alcuni, perché io mi ispiro al cinema tradizionale giapponese, quello di Ozo e Mizoguchi, mentre molti oggi in Giappone preferiscono il cinema americano.” Per mantenere intatta la naturalezza della recitazione, Kiarostami non dà l’intero copione ai suoi attori, ma giorno per giorno, come nel quotidiano - dove nessuno sa cosa accadrà veramente - accade qualcosa di nuovo e la storia, anche dopo l’ultimo ciak, potrebbe continuare. Importanti i personaggi secondari, come l’anziana nonna di Akiko che, indossando il kimono (simbolo delle tradizioni che scompaiono), aspetta invano la nipote alla stazione centrale, o l’invadente vicina di casa del professore, che nascondono vissuti, sofferenze, rimpianti, solitudini: ogni scelta, ogni relazione, anche la più apparentemente inoffensiva, può scatenare una catena di reazioni. Esteticamente affascinante, con scene d’interni dove immagini e personaggi si sovrappongono in sofisticati giochi di luce, ombra e colore, che danno risalto al carattere o al passaggio emotivo del personaggio, ma privo di scene scabrose, il film in Iran ha subito la ‘consueta’ censura (ed ovviamente gira nel mercato nero); a chi gli chiede notizie del suo rapporto con l’Iran, Kiarostami risponde: “Amo il mio paese, dove si esprime comunque molta creatività: con il governo non ci capiamo, non c’è reciprocità, ma non amo lamentarmi”.b

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LEGGERE L’ALBERO dI BRUNa BaLdaSSaRRE

DONNE

E CONSUMI di Viola Conti

pArtire dAll’interioritÀ Cara Bruna, sono una avvocata di circa 33 anni e da poco ho iniziato a lavorare. Effettivamente non è un buon periodo per i giovani che cominciano la loro professione. Dei dubbi vengono anche sui progetti di vita. Concordi che non si debba mai perdere la speranza di riuscire nei propri intenti? Cosa vedi nel mio albero? Lorenza

maggiore impegno di coerenza e di approfondimento si può combattere il rischio - sempre presente - del soffermarsi prevalentemente sull’esteriorità dell’esistenza. Le forme arcuate dei rami evidenziano una personalità disinvolta, diplomatica, vivace, anche se la chioma è un po’ come una pelle che nasconde un certo tipo di soggezione accanto a buone maniere e gentilezza. Il tronco, invece, rivela inibizione e la texture interna

Attenti Al botulino ConservAre bene i Cibi per non intossiCArsi

In

seguito alla tragedia verificatasi un mese fa a Fiumicino, vicino Roma, dove due persone sono morte dopo aver ingerito alimenti conservati scorrettamente, il Ministero della Salute ha diffuso un utile vademecum delle regole da seguire per evitare il rischio di assumere cibi contaminati da botulino, una tossina che può rivelarsi letale e che può essere presente negli alimenti inscatolati, in particolare quelli prodotti artigianalmente. Riteniamo quindi utile ribadire e diffondere il più possibile le precauzioni da adottare: 1 prestare la massima attenzione nella realizzazione domestica di conserve alimentari: rispettare scrupolosamente le norme igieniche, pulendo bene sia le verdure, che le stoviglie e i contenitori.

2 i cibi conservati crudi e che non presentano un ph superiore al 4,6 (quindi non molto acidi) possono sviluppare la tossina in questione: verdure e ortaggi come funghi, peperoni, melanzane, fagiolini e olive sott’olio presentano i maggiori rischi. Cara Lorenza, concordo pienamente nel non perdere mai la speranza e il tuo albero è vivo, pulsante di tanta speranza! I fiori sono l’atmosfera primaverile che ci sorprende in ogni occasione, è lo stato d’animo di chi “va a nozze” e quello dell’autoammirazione. Effettivamente non è un buon periodo, forse uno dei peggiori di questo ventennio, soprattutto per i giovani, ma con un

può arrivare a una certa inquietudine, con traumi e scarsa chiarezza. Le tappe traumatiche della tua vita: negli anni 6, 11, 27. La fase dai 28 ai 35 è organizzativa: il sistema di valori stabilisce la volontà che sceglie e prende decisioni. L’Io deve rafforzarsi superando se stesso, partendo dall’interiorità, così il grande tema da affrontare è morire e rinascere!

3 tenere presente che il botulino viene distrutto, se esposto alle alte temperature, quindi, la bollitura dei cibi, sia in vasetto che in scatola, per almeno 10 minuti ne assicura l’eliminazione.

4 le probabilità che il botulino possa svilupparsi si riducono drasticamente in presenza di elementi acidi, quindi è consigliabile aggiungere aceto e sale alle conserve.


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SPIGOLANDO tra terra, tavola e tradizioni di Paola Ortensi

Fragole e ciliegie infinite sfumature di rosso Profumi e sapori molteplici, difficili da definire, piacevoli da gustare. Fra i tanti segni della terra che maggio porta con sé, timide ma suadenti si fanno largo fragole e fragoline, coltivate o spontanee. Oramai fuori dalle serre, si espandono a pieno campo o nascoste nel verde ombroso del sottobosco; protette dalle loro foglie ricamate, occhieggiano piccole, grandi o giganti con gradazioni di rosso, prima tenue e poi sempre più intenso, ad invadere l’intero frutto che mantiene sempre un picciolo verde a ricordo permanente della pianta madre e spesso una o due foglioline bianche figlie del fiore che al frutto ha dato vita. Suadenti, attraenti, profumate, le fragole ci invitano a banchettare, dato anche il loro basso tasso di calorie e l’abbondanza di produzione che oramai da anni ci permette, nel cuore della stagione, di consumarne a volontà. Un’attrazione tanto forte, quella delle fragole, forse anche perché a lungo nel tempo erano rare le fragoline di bosco o di poche coltivazioni; fino all’aver dato vita alla “leggenda” delle voglie di fragola che alcuni bimbi/e porterebbero come ricordo di un desiderio inevaso delle loro mamme in attesa. Voglie che si affiancano, ispirate dai colori, a quelle di cioccolata o di latte. Sappiamo che non è certo un desiderio non soddisfatto a generare quei segni sulla pelle, ma come ogni leggenda mantiene il suo fascino e la sua dose di fantasia. Non ci stanchiamo di gustare fragole e fragoline che, verso la fine di maggio, timide ecco affacciarsi le prime ciliegie. Se in mucchietti, comunque in tante, le

fragoline o le fragole a pezzettini adornano i nostri dolci da spudorate esibizioniste sulla panna montata, la ciliegia sulla torta ci va da sola. E non con minor orgoglio, tanto da sentirsi ‘tocco di successo’. Solo quando le ciliegie sono in due, con quel picciolo che le tiene unite a memoria di un antico gioco che speriamo non divenga mai né vecchio né superato, pendono come preziosi e dondolanti orecchini per un giorno alle orecchie di qualche ragazza o signora spiritosa. Le cerase (come le chiamano a Roma) di sfumature di rosso non ne offrono meno delle fragole: dal bianco rosso delle durone al rosso intenso e intensissimo delle ravenna, al rosso nero delle visciole, parenti per forma e colore ai chicchi d’uva fragola. Intensissime nel sapore e dal grande invadente nocciolo. Una sproporzione quella fra noccioli e polpa che ad un certo punto ha fatto quasi scomparire le visciole dal mercato, per la loro poca resa. Ma tale è il sapore di quella ciliegia asprigna e tale il gusto della sua marmellata che fortunatamente sono riprese coltivazioni e produzioni.

RICETTE

Salsa di ciliegie Scottare mezzo kg di ciliegie nere succose e mezzo bicchiere di vino. Passate al setaccio ricavandone tutto il succo. Mettere in una ciotola con un cucchiaio di pan grattato bagnato con latte tiepido, 4 amaretti polverizzati, buccia di mezzo limone, una foglia di lauro e lasciare macerare per un paio d’ore. Ripassare al setaccio e la salsa è pronta. L’uso è per dolci, ma anche per formaggi e lessi, se piace. Gateau di fragole Ovvero mille foglie con fragoline e panna. Pasta sfoglia, tirata a un cm di spessore e tagliata in due tondi equivalenti alla tiella. Mettere in forno e cuocere senza dorare. Mettere sulla prima base: fragoline macerate in un liquore dolce, zucchero e panna montata poco dolce. Ricoprire con il secondo tondo ornandolo di altra panna montata e fragoline di bosco.


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FAMIGLIA

Sentiamo l’Avvocata

SE CI SI SEPARA

IN ATTESA DI UN BIMBO di Simona Napolitani mail: simonanapolitani@libero.it

U

na coppia di coniugi è in attesa di un figlio, lui non è certo di volere affrontare la paternità. La moglie decide di tenere il figlio, il rapporto si inasprisce al punto da spingere il marito a mettere alla porta la moglie e, conseguentemente, il nascituro. Alla donna non è consentito di rientrare in casa, anche perché è stata sostituita la serratura, tant’è che è costretta a far rientro nella casa dei genitori, non essendo possibile dalla sera alla mattina poter reperire un’altra abitazione, da allestire a sua nuova casa e anche perché riteneva di poter far rientro nella casa coniugale, insieme al figlio che stava per nascere. Come se non bastasse, le viene notificato il ricorso per separazione. All’udienza la moglie chiede l’assegnazione della casa coniugale; il marito, proprietario della casa, si oppone. Sulla base delle motivazioni che sorreggono l’assegnazione della casa coniugale (data in godimento al genitore convivente con i figli, perché continuino a vivere nello stesso habitat domestico in cui sono cresciuti), il Tribunale ha così ragionato “rilevato che allo stato il figlio che la moglie attende non è ancora venuto alla luce, non sussistono i presupposti per disporre l’assegnazione della casa familiare.. e che di conseguenza il marito resterà nel godimento esclusivo della casa familiare..”. Se è pur vero che occorre rispettare il contenuto delle norme, non si deve dimenticare che il diritto di famiglia è un diritto vivente e come tale va applicato, anche al di là delle rigide ingessature della legge. Forse il Tribunale avrebbe dovuto tutelare la giovane donna, pure per consentirle maggiore serenità per accogliere il nascituro, anch’esso titolare di un’aspettativa ad una vita migliore. ❖

UN POTERE NUOVO E LA CAPACITÀ DI SCELTA

Riflessioni dopo il Congresso nazionale… di Paola Lanzon

È

l’ultima volta che scrivo su questa storica testata nel ruolo di responsabile nazionale del coordinamento donne UISP. La tappa congressuale nazionale svolta ad aprile scorso determinerà i nuovi incarichi e le nuove responsabilità. Ai nuovi gruppi dirigenti e all’intera associazione di cui faccio parte auguro un futuro brillante coerente con la propria storica tradizione. È naturale in occasioni come questa qualche riflessione senza impegno, ma sincera sul lavoro di questi anni. Le donne si amano molto e contemporaneamente si combattono reciprocamente. Sono più brave in tutto, e questa è una grande verità. Nelle manifestazioni più generose, più brillanti più creative, più operative e concrete dell’estro e delle peculiarità che ci contraddistinguono; e dall’altra parte, accidentaccio, nella capacità di far del male, nella contrapposizione, nella mediocrità di un rapporto con il potere, con la Politica, con la incapacità ancora diffusa di costruzione relazioni mature che non permettono alle donne di diventare un soggetto e una forza collettiva per le battaglie che ancora oggi siamo costrette nostro malgrado a combattere (mi scuserà la cara Lidia Menapace se uso i termini guerreschi che lei non ama, ma di guerra in fondo si tratta). Mai sparare sulle donne, perché ci sparano a sufficienza da ogni parte. Ma con la passione che nutro per i temi che ci accomunano; per la responsabilità

che abbiamo verso tutte noi donne del 2013; per il rispetto che dobbiamo a chi più avanti negli anni ha vissuto sulla propria pelle le difficoltà delle prime e fondamentali rivendicazioni; per noi che ancora oggi dobbiamo avanzare sui gomiti e con i denti stretti sotto il filo spinato della realtà in tutti gli ambiti in cui operiamo; per le ragazze e le bambine alle quali abbiamo il dovere di consegnare una società migliore, amica delle donne e dei diritti di tutti e di tutte; non posso non rilevare quanto l’intera società, in tutte le sua articolazioni, è ancora troppo debole e il ruolo delle donne non trova una dimensione rappresentativa che grandi figure del passato, numerose, forti, determinate, avevano al contrario disegnato. Uomini e donne complici del sistema di potere fine a se stesso, a loro agio in forme di partecipazione formale e non sostanziale, pochi e poche disponibili a battersi per i propri principi, perché in molti e molte occupati a preservare se stessi e i propri percorsi personali, hanno infiacchito l’intera nostra società e anche di conseguenza la rappresentanza femminile. Le pari opportunità si sono stratificate: abbiamo come gli uomini la possibilità di essere ancelle, serve, combattenti, regine, madonne, eroine. Si è aperta una fase di una nuova ricerca e consapevolezza politica diffusa e confusa, entro la quale sta ad ognuna ed ognuno di noi SCEGLIERE la propria dimensione.


Maggio 2013

L’OROSCOPO DI

ZOE Maggio CARA ARIETE, come ho fatto il mese passato, anche per il prossimo mese voglio dedicarti un Haiku di Andrea Zanzotto, dalla raccolta Haiku for a season: “Neve truffaldina di maggio/punge pelli capelli rose/e nasi congelati”. Ti aspetta un bel mese di maggio dallo stato d’animo primaverile, con qualche insidia “truffaldina”, dovuta alla quadratura tra Plutone e Urano. Davvero niente di cui preoccuparsi troppo... CARA TORO, scriveva l’antropologo Ernesto De Martino: “Anche gli astronauti possono patire di angoscia quando viaggiano nel silenzio e nella solitudine degli spazi cosmici [...]; e parlano e parlano senza interruzione con i terricoli non soltanto per informarli del loro viaggio, ma anche per aiutarsi a non perdere ‘la loro terra’”. Forse non c’è bisogno di ribadirlo proprio con te, rappresentante di uno dei segni più terrestri dello zodiaco, ma per il prossimo periodo, che potrà essere entusiasmante, le stelle consigliano comunque concretezza. CARA GEMELLI, lo scrittore Daniel Pennac nel suo libro sulla scuola racconta un caso clamoroso di bugia condivisa: un ragazzino per non essere interrogato inventa un attacco di appendicite. Sebbene sia evidente che non è vero, il professore chiama i genitori, che portano il figlio dal medico, anche loro conniventi con la bugia. Ma è una bugia che anche al medico conviene. La storia termina con il chirurgo che esce dalla sala operatoria e, brandendo un’appendice sanguinolenta, dice: “Meno male, stava per andare in peritonite!”. Lo racconto a te, che dalle bugie creative puoi essere così affascinata! CARA CANCRO, ho pensato a te leggendo questi versi del poeta Heinrich Heine, dalla raccolta Nuove poesie: “Fu malattia ciò che mi diè /l’intimo impulso creativo./ Creando vidi che guarivo,/creare fu guarir per me”. Potresti venire, infatti, da un periodo caratterizzato da qualche disturbo, anche se la ripresa dovrebbe essere iniziata già dalla fine di aprile. Insomma: ora basta fastidi, l’evoluzione del tuo cielo suggerisce di accarezzare nuove aspettative e concentrarsi sulla creatività!

PREDIZIONI SEMI-SERIE E PRONOSTICI POSSIBILI

CARA LEONE, nel film del 1924 L’ultima risata di Murnau, il portiere del Grand Hotel Atlantic di Berlino, orgoglioso del proprio lavoro e della propria divisa, ne viene invece privato a causa della sua età. Prima della rivincita finale (in realtà, imposta dalla produzione), il protagonista - in una bellissima sequenza ricca di immagini in sovrimpressione - sogna di essere tornato giovane e forte e di alzare valigie pesantissime con un dito. Potresti sentirti molto stanca, nel corso di questo mese, ma presto potrebbe realizzarsi un cambiamento, e tornerai a sentirti come il nostro portiere, nella sua versione onirica naturalmente... CARA VERGINE, Sigmund Freud propone questa secca ed efficace descrizione dei tratti tipici del narcisismo: delirio di grandezza e disinteresse rispetto al mondo esterno. Una definizione eccellente di molti partecipanti al genere umano, no? I politici, gli accademici eccetera eccetera. Eppure questa è una descrizione che ben si attaglia anche agli innamorati, nel loro momento di gloria. Insomma, penso che, in fondo, ogni tanto, un po’ di delirio di grandezza non guasta... CARA BILANCIA, dopo un aprile un po’ agitato, nel mese di maggio i pianeti diventano tutti favorevoli, in particolare Giove, che vi renderà originali, amati e brillanti. E allora, l’unico cruccio potrebbe essere quello sottolineato dalla massima di Seneca: “Non ti preoccupare dell’amore che passa, non ti preoccupare della gelosia che passa con l’amore, preoccupati dell’invidia”, una delle passioni più forti e irrefrenabili dell’animo umano. CARA SCORPIONE, in uno dei suoi scritti per il teatro, Il gioco dell’amore e del caso, Marivaux fa dire a uno dei suoi personaggi: “In questo mondo bisogna essere un po’ troppo buoni per esserlo abbastanza”. Quanto sono d’accordo con questa affermazione! E tu? Nel mese di maggio, Marte e Mercurio potrebbero sfidare la vostra pazienza, e diventerete molto reattivi nei confronti di collaboratori che considerate, diciamo così, particolarmente mancanti d’acume. Una “brava astrologa” consiglierebbe prudenza, ma certo, bisognerebbe essere troppo buoni...

CARA SAGITTARIO, nel libro Il lupo e il filosofo, Mark Rowlands racconta la sua eccezionale esperienza: per undici anni ha vissuto insieme a un lupo, adattando i suoi ritmi, la sua casa, le sue abitudini alle necessità e alla natura selvaggia dell’animale. Naturalmente, non ti sto consigliando di adottare una bestia selvatica di qualche tipo. Più semplicemente, accogliere un incontro inaspettato, anche a costo di grande fatica, potrebbe davvero arricchire la tua esistenza. CARA CAPRICORNO, il poeta Valerio Magrelli ha raccontato in un articolo questa battuta tratta da un film americano di serie b, del quale ha dimenticato il titolo. Durante una scena di lite familiare, il figlio dice al padre: “Mi hai rovinato l’infanzia!” Risposta: “Io? Ma se non c’ero mai!”. A parte il divertimento di un cinismo così scoperto, è forse il caso di riflettere sui danni dell’assenza, uno dei modi più insidiosi di rovinare i rapporti. CARA ACQUARIO, la filosofa Simone de Beauvoir affermava che “scrivere [...] è, insieme, preferire l’immaginario e voler comunicare”. Vedeva in queste due tendenze due prospettive contrastanti: da una parte, chiudersi in se stesse, dall’altra, interessarsi agli altri. Non saprei come definire meglio i due aspetti predominanti e contrastanti della tua personalità astrologica, che nella seconda parte di maggio dovrai attivare in tutte le sue sfumature. Ti è richiesto un “passaggio all’azione”, ma è prevista anche molta fortuna! CARA PESCI, nel suo Lo zen nell’arte della scrittura, un meraviglioso e divertente manuale per scrittori, Ray Bradbury risponde a chi dice di non capire la poesia: “Dici che non capisci Dylan Thomas? Sì, ma i tuoi gangli lo capiscono, e anche la tua segreta presenza di spirito e anche tutto il tuo bambino mai nato”. Non è fantastico? E allora: per il prossimo mese, vorrei darti il consiglio strampalato di dare più fiducia ai tuoi gangli!

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Maggio 2013

FrAncA MAriA cAtri Il paradIso è restare vIvI

La rosa afgana

Una poesia nella quale sofferenza e bellezza si contendono la pagina di Luca Benassi

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ranca Maria Catri è un’autrice che ha alle spalle un lungo e consolidato percorso poetico, ha esordito nel 1955 con “Noi poveri” e ha pubblicato undici raccolte di versi con cadenze regolari. L’ultima di queste è “La rosa afgana” (edizioni il gazebo), del 2009, dalla quale sono tratti testi qui pubblicati. Fin dal titolo dell’opera di esordio, Catri ci mostra la peculiarità del suo punto di vista, che è quello di un’empatica condivisione con il dolore e l’emarginazione, con la tempesta della vita che spesso si abbatte sugli ultimi, segnandone le esistenze. Si tratta di una poesia nella quale sofferenza e bellezza si contendono la pagina per mostrare l’incandescenza di un’inquietudine profonda e umana. Nella fine tramatura metaforica dei versi emerge il portato dell’esperienza della scrittrice romana, impegnata da anni come medico in un quartiere di periferia segnato da tutte le solitudini della marginalità urbana. Scrive Giuliano Ladolfi in proposito de “La rosa afgana”: “domina in questa bella raccolta di versi della Catri un senso di empatia nei confronti del dolore e della morte; ella raccoglie le lacrymae rerum e le trasporta in immagini dolcissime che nella loro leggerezza recano lo stigma della tragedia. Sembra che la ‘somma

del dolore’ universale si raccolga nelle parole di un’anima esposta a raccogliere il grido dei diseredati, la miseria delle guerre, il sospiro degli alberi e della natura.” Effettivamente questa poesia, attenta al soffio e alla voce della natura, mostra la rara capacità di sapersi mettere in ascolto, di coltivare il dubbio delle proprie certezze per cogliere la bellezza che si nasconde nell’alterità, nell’ombra della sofferenza di chi ci è accanto. Nell’oscurità del dolore, questi versi riescono a trasformare il pianto in grido, in preghiera, forse anche in speranza poiché “comunque vada/ il paradiso è restare vivi/ in caso di sole.” È questa una poesia ricca e attentamente cesellata, che si sviluppa in testi lunghi e sintatticamente complessi, in grado di “condensare e contemporaneamente conferire alla parola quella energia necessaria al senso della favola e della metafora che richiami i segni capaci di detergere le ombre e reinventare il verso” (Antonio Spagnuolo). È in questa ricchezza umana, prima ancora che letteraria, che si può trovare il dono della poesia di Catri.

[…] più luce amore mio bisognerà dunque strappare al vento al bicchiere alla rosa che ancora cola innocente rosso come se fosse il sole vacilla il chiaro dell’andare di noi la folla caduta in un’onda triste oltre il magro abitare orlato di fumo amore mio adesso che tutto è aperto arresa menzogna di ferro e polvere adesso è il passo come ogni segno che sia chiaro e forte fino all’esplosione del cristallo traccia la rosa grande di cuore il luogo dell’incontro l’andare vegetale del sentiero verso l’irrisolta allegria o quanto di giusto il cuore sopporta Il giudizio partendo da qui cadute strappo a strappo le parole divergono dal rettifilo deduttivo lasciamo che sia casuale e inesplorata l’orma testimoniale vegliando i fatti per insistita vocazione e occhiali sta così il giudice appeso proprio lì il sangue goccia a goccia nel latte della tazza sete di forte gradazione così il dio sinistro delle arene beve blu e rossi crudeli tempesta di sabbia il mantello di Allah su queste rose di pietra se è una preghiera asciutta nella gola si spegne […]


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prezzo sostenitore 3,00 euro Anno 68 - n.05 ISSN 0029-0920

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