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O S S E D A È H C R PNOIEDONNE ha bisogno del tuo sostegno O S S E D A È H C R Pva Edifesa l’informazione libera O S S E D e t n A e t s i È s E H R e l C PpiùEchRe mai questo vuole essere un giorna Le possibilità di abbonamento a NOIDONNE sono le seguenti:
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NOVEMBRE / DICEMBRE 2015
NOT IN MY NAME prezzo sostenitore 3,00 euro Anno 70 - n.11-12 ISSN 0029-0920
24/11/15 23.22
Trascorriamo insieme il 2016 scoprendo, settimana dopo settimana, le belle copertine del giornale che da oltre settanta anni racconta la società con gli occhi delle donne.
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Novembre-Dicembre 2015
DELFINA
di Cristina Gentile
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www.noidonne.org
SOMMARIO
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01 / DELFINA di Cristina Gentile 03 / EDITORIALE
4/7 ATTUALITà 04 IL CONTESTO INTERNAZIONALE Secondo noi di Giancarla Codrignani 06 UN PAPA CONSERVATORE MA ILLUMINATO di Stefania Friggeri
8/9 BIOETICA IMMIGRATI, APPRENDIMENTO, DISLESSIA L’ESEMPIO DI ALESSANDRIA di Rita Anna Fara
14 L’AGENDA 2016 DI NOIDONNE di Silvia Vaccaro
28 CONFRONTI/L’ALTRA VIA TRE RESISTENTI A ROMA di Stefania Sarallo
40 MARCELLA BRAVETTI/ AMORE PER VINCENT di Anna Lia Sabelli Fioretti
31 EGITTO/DIRIGERE IL TRAFFICO COMBATTERE GLISTEREOTIPI di Zenab Ataalla
41 Daniela Amenta/La ladra di piante di Flavia Matitti
20/23 FOCUS / NOT IN MY NAME
32 AFGHANISTAN/ROYA, ALKA E IL LORO FESTIVAL di Simona Lanzoni e Barbara Gallo
20 Valeria, figlia d’Italia e del mondo Vittima degli attentati di Parigi Lettera aperta a ISIS in ricordo di Madeleine di Marta Mariani
24/25 JOB&JOB 24 Donne in Campo/Puglia Agricoltura sana e nella legalità Intervista a Rosaria Ponziano di Tiziana Bartolini
26 /37 MONDI 26 UNGHERIA/MURI E IDENTITA’ EUROPEA di Massimo Congiu
Direttora Tiziana Bartolini
Anno 70 - numero 11-12 Novembre-Dicembre 2015
Presidente Maria Costanza Fanelli
La testata fruisce dei contributi di cui alla legge n.250 del 7/8/90
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16 WEWORLD/ RAPPORTO VIOLENZA ROSA SHOCKING2 di Tiziana Bartolini 18 Cicatrici di vita /Il calendario Associazione ‘Per te donna’
Mensile di politica, cultura e attualità fondato nel 1944
Autorizzazione Tribunale di Roma n°360 del Registro della Stampa 18/03/1949 Poste Italiane S.p.A. Spedizione abbonamento postale D.L. 353/2003 (conv. In L.27/02/2004 n°46) art.1 comma 1 DCB Roma prezzo sostenitore €3.00 euro Filiale di Roma
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34 USA/ DOROTHY DAY CATTOLICESIMO SOCIALE di Cristina Carpinelli
42 FESTA DEL CINEMA DI ROMA di Elisabetta Colla 44 EFFE /IL SITO INTERNET di Daniela Colombo
37 SIRIA/ LA POESIA DI MARAM AL-MASRI di Ester Rizzo
38/44 APPRODI
10 DonnaeSalute/Bologna e Torino
13 UDI di Persiceto/nuova sede di Sara Accorsi
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23 Cameroun/Le kamikaze bambine di Boko Haram di Emanuela Irace
10/18 INTRECCI
12 Herstory, app femminista di Tiziana Bartolini
novembre/dicembre 2015 RUBRICHE
Editore Cooperativa Libera Stampa a.r.l. Via della Lungara, 19 - 00165 Roma Stampa ADG PRINT s.r.l. Via Delle Viti, 1 00041 Pavona di Albano Laziale tel. 06 45557641 PROGETTO GRAFICO Elisa Serra - terragaia.elisa@gmail.com Abbonamenti Rinaldo - mob. 338 9452935 redazione@noidonne.org
38 Katia Sassoni/La Ladra e il Gentiluomo di Elisabetta Colla Cristina Melchiorri/Istruzioni per ragazze smart
05 Versione Santippe di Camilla Ghedini 07 Le idee di Catia Iori 09 Il filo verde di Barbara Bruni 15 Salute BeneComune di Michele Grandolfo 25 Strategie private di Cristina Melchiorri 45 Spigolando di Paola Ortensi 46 Leggere l’albero di Bruna Baldassarre 46 Famiglia, sentiamo l’avvocata di Simona Napolitani 47 L’oroscopo di Zoe 48 Poesia Laura Garavaglia Quanti di poesia di Luca Benassi
39 TEATRO/INTERVISTA A FRANCESCA BIANCO di Alma Daddario
amiche e amici del progetto noidonne
Clara Sereni Michele Serra Nicola Tranfaglia
Laura Balbo Luisella Battaglia Francesca Brezzi Rita Capponi Giancarla Codrignani Maria Rosa Cutrufelli Anna Finocchiaro Carlo Flamigni Umberto Galimberti Lilli Gruber Ela Mascia Elena Marinucci Luisa Morgantini Elena Paciotti Marina Piazza Marisa Rodano Gianna Schelotto
Ringraziamo chi ha già aderito al nuovo progetto, continuiamo ad accogliere adesioni e lavoriamo per delineare una sua più formale definizione L’editore garantisce la massima riservatezza dei dati forniti dagli abbonati e la possibilità di richiederne gratuitamente la rettifica o cancellazione contattando la redazione di noidonne (redazione@noidonne.org). Le informazioni custodite nell’archivio non saranno né comunicate né diffuse e verranno utilizzate al solo scopo di inviare agli abbonati il giornale ed eventuali vantaggiose proposte commerciali correlate. (L.196/03)
ringraziamo le amiche e gli amici che generosamente questo mese hanno collaborato
Elisabetta Colla Daniela Colombo Massimo Congiu Alma Daddario Rita Anna Fara Stefania Friggeri Barbara Gallo Cristina Gentile Sara Accorsi Camilla Ghedini Daniela Angelucci Michele Grandolfo Zenab Ataalla Catia Iori Bruna Baldassarre Emanuela Irace Tiziana Bartolini Simona Lanzoni Luca Benassi Marta Mariani Barbara Bruni Flavia Matitti Cristina Carpinelli Cristina Melchiorri Giancarla Codrignani Simona Napolitani
Paola Ortensi Ester Rizzo Anna Lia Sabelli Fioretti Stefania Sarallo Silvia Vaccaro
‘noidonne’ è disponibile nelle librerie Feltrinelli ANCONA - Corso Garibaldi, 35 • BARI - Via Melo da Bari 117-119 • BOLOGNA - Piazza Galvani, 1/h • BOLOGNA - Piazza Porta Ravegnana, 1• FIRENZE - Via dei Cerretani, 30-32/r MILANO - Via Manzoni, 12 • MILANO - Corso Buenos Aires, 33 • MILANO - Via Ugo Foscolo, 1-3 • NAPOLI - Via Santa Caterina a Chiaia, 23 • PARMA - Via della Repubblica, 2 PERUGIA - Corso Vannucci, 78 - 82 • ROMA - Centro Com.le - Galleria Colonna 31-35 • ROMA - Via Vittorio E. Orlando, 78-81 • TORINO - Piazza Castello, 19
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IL CONTESTO INTERNAZIONALE
SECONDO NOI
SONO TANTE LE DONNE CHE CON COSCIENZA E COMPETENZA VOGLIONO LA PACE. VARREBBE LA PENA DI AVVIARE UNA NOSTRA “INTERNAZIONALE”
di Giancarla Codrignani
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isogna guardarsi attorno. Almeno ogni tanto. Come donne siamo preoccupate, soprattutto a partire da noi. Donne di altri paesi sono tornate sulle copertine con il volto da vittima della guerra. E, naturalmente, con il commento che le donne vorrebbero la pace. Cosa non del tutto vera perché incontriamo ragazze che partono per la Siria convinte peggio dei maschi combattenti che “dio lo vuole” o “madri di “martiri” che armano i figli ancora superstiti per vendicare i morti. Tuttavia le sfide, le lotte, la violenza piacciono soprattutto ai maschi: noi donne, quando ricuperammo lo slogan “la guerra fuori dalla storia”, non avevamo così chiaro come oggi che davvero la guerra non ce la possiamo più permettere. Un recente appello di esperti di intelligenza artificiale tra cui Elon Musk, Stephen Hawkings e Noam Chomsky, presenti alla International Joint Confe-
rence on Artificial Intelligence di Buenos Aires chiedeva il bando globale “delle armi autonome”, quelle che, se l’ “intelligenza artificiale” rendesse operative strategie elettroniche autonome, potrebbero selezionare e colpire obiettivi autocomandandosi senza intervento umano. Un salto qualitativo: dalla clava alle armi da fuoco, al nucleare, all’ “intelligente” che renderebbe possibili pulizie etniche, attentati destabilizzanti, appropriazioni di territori, esecuzioni selettive a costi irrilevanti e strumentazione accessibile a dittatori e terroristi. Davvero diventeremo stupidi e le cose intelligenti? Putin e Obama, dopo essere stati a guardare il formarsi delle cellule terroristiche e l’occupazione di mezza Siria da parte dell’Isis, pur consapevoli dei rischi, si sfidano tra loro. Come se il Medioriente non si fosse tremendamente allargato dalla Tunisia al Pakistan, con problemi sempre più gravi.
Dal 1947 è aperto il fronte Israelo/Palestinese e il Libano, la Giordania, l’Egitto ne hanno pagate e ne pagano le conseguenze. L’Europa potrebbe farsi mediatrice ma manca di forza politica. Straordinario il caso Gheddafi: non era un liberale, ma era pur sempre stato Presidente dell’Unità Africana; tuttavia, quando la Francia decise di aiutare la democrazia libica con le armi, l’Italia, nonostante l’allora Presidente Berlusconi gli avesse baciato la mano, lasciò fare, il tiranno venne ucciso e le fazioni aprirono un conflitto che speriamo di risolvere diplomaticamente, almeno per non passare l’inverno al freddo senza gas. A sua volta Obama vuole la testa del siriano Bashar al Assad: non è un angioletto, ma nel 2010 era stato nominato Cavaliere di Gran Croce da Napolitano e frequentava riverito l’Eliseo di Sarkozy perché considerato un elemento di equilibrio in un’area
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a rischio, dove, per esempio i cattolici non incontravano problemi. Per favorire il passaggio alla democrazia gli Usa hanno fornito dollari e armi ai sunniti, che sono il 90% della popolazione. Lo stesso scenario era già stato visto nella guerra contro l’Iraq di Saddam Hussein da parte di Bush interessato alle vie del petrolio fino a mentire all’opinione pubblica internazionale. Buona socia in affari degli Usa era ed è l’Arabia Saudita, che è sunnita, sostiene i confratelli siriani e contrasta l’Iran sciita. Sullo sfondo, amorosamente coltivato dalla politica di potenza degli occidentale (Russia compresa), si è consolidato l’Isis dei fanatici che promettono morte al mondo per ricostruire il grande Impero Ottomano. Anche Putin è dovuto intervenire: anche a lui interessano le vie del petrolio e gli fa paura la presenza di paesi islamici in casa. Ma ha preso posizione a favore dell’altro campo, gli sciiti e l’eretico Bashar. Siccome il problema vero è l’Isis, sarebbe ovvio unire le forze contro il nemico comune. Invece i due leader si impelagano nelle contraddizioni e gli altri governi si adeguano. Per non avere aiutato i paesi più svantaggiati con una efficace cooperazione e con le competenze della diplomazia, il bacino del Mediterraneo si è riempito di morti che cercavano rifugio da pericoli e guerre ed è cresciuto l’odio, quello fratricida tra paesi divisi al loro interno e quello nei confronti degli occidentali, sfruttatori, capitalisti e cristiani per sempre “crociati”. Anche ad arabi e musulmani, come a tutti del resto, manca una “visione” che produca consapevolezza del comune processo di trasformazione che coinvolge il futuro comune. Eppure ovunque ci sono donne che, non solo intuitivamente, ma con coscienza e competenza vogliono la pace. È perché non abbiamo i mezzi materiali, ma varrebbe la pena di avviare una nostra “internazionale”. ❂
di Camilla Ghedini
E
ra un pezzo che mi ronzava in testa un certo fastidio in situazioni tipo, ‘Cara, ti presento Tizia, moglie di Caio’. Il tutto in un teatrino a tre al femminile. E così stamattina mi è venuta la curiosità di ‘googlare’ e ho digitato due parole chiave: ‘associazione’ e ‘mogli’. Non dico altro, chi legge vada a verificare il risultato. Perché: ESISTONO. Esistono donne che si riuniscono in realtà il cui comune denominatore è l’essere coniuge di un...professionista. Perché mica sono sceme. Le mogli dei taglia erbe e degli imbianchini non esistono. Bella roba, bei passi avanti. Certo costoro non si definiscono femministe, almeno spero. Ma certamente neanche maschiliste, che pare una brutta parola. Perché va svelata anche questa ambiguità. Nell’immaginario collettivo essere
che a queste signore, in fondo in fondo, sta bene fare passare la propria credibilità per quella del proprio ‘lui’. È ben più comodo e non contempla responsabilità. Perché è qualcosa che va oltre la stima, l’orgoglio. È qualcosa che è sotto l’indipendenza, che la calpesta proprio, l’indipendenza. Eppure, io immagino la fierezza di sorseggiare the raccontandosi le assenze di uomini tanto impegnati, la vita dura in case vuote e splendenti, la pochezza di certi pomeriggi ad ammazzare la noia con lo shopping e ad inventare eventi culturali a tema. Che poi, fossero gruppi di auto aiuto, capirei. Si condivide la sfiga e vabbé. Ma qui la sfortuna non c’entra niente, perché si tratta di forme celebrative ed auto celebrative. Che infinita tristezza. Che poi, signore, fate la stessa ricerca in google, al contrario, digitando
SCRIVI MOGLI DI, LEGGI MASCHILISTE femministe è una cosa positiva, forse retrò e un po’ anacronistica, ma significativa comunque di un’ideologia che sottende una lotta per l’emancipazione. Essere maschilisti equivale invece ad essere dei bruti che difendono modelli di comportamento arretrati. Ecco, io credo che nel mezzo andrebbe fatta molta, ma molta chiarezza. E credo che ad essere maschiliste, purtroppo, siano molte donne. A cominciare dalle mogli di.... Ma a cosa è servito battagliare per il raggiungimento della parità d’istruzione, di diritti, di carriera, di guadagno, se c’è ancora chi rinuncia alla propria identità per darsi valore con quella del compagno? Ma che senso ha avere nome, cognome, talento, se poi non ci si presenta col proprio nome, cognome, talento? L’unica risposta è
‘associazione’ e ‘mariti’, e vedrete che visualizzerete ben poco, a parte l’associazione dei Mariti Maltrattanti, ossia di quanti riconoscono di avere un problema. Ma questo è un altro discorso, che attiene peraltro alla consapevolezza delle proprie vulnerabilità. E sapete perché le vostre metà mela non si riuniscono? Perché nel ‘loro’ maschilismo, alla loro identità tengono eccome. E sì, vi avranno anche messo l’anello al dito, ma poi si sono ritenuti a posto. E hanno fatto bene. Perché finché ci saranno signore che partecipano a queste fiction perbene e perbeniste, allora, strade verso il riconoscimento del proprio valore, le donne, faticheranno a farne. Ma non prendiamocela coi ‘maschi’, che a sbagliare questa volta sono le ‘femmine’.
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UN PAPA CONSERVATORE MA ILLUMINATO Le idee e il cammino di Francesco in una Chiesa cattolica che guarda al futuro, tra cambiamenti possibili e fedeltà alle tradizioni. Rimangono spinosi i capitoli sul ruolo delle donne, sull’aborto, sull’omosessualità di Stefania Friggeri
I
n un organismo plurisecolare e radicato nella tradizione come la Chiesa cattolica - che non sopporta modifiche accelerate ma piuttosto deve adattarsi a cambiamenti parziali, a spostamenti graduali - le riforme sono lente. Papa Bergoglio ha introdotto una novità che è stata subito riconosciuta ed apprezzata: l’attenzione alla vita concreta e reale, in particolare alla vita degli umili e dei poveri; e, contemporaneamente, ha denunciato con fermezza le responsabilità del liberismo selvaggio (“ questa economia uccide”) che, come lui stesso ha potuto vedere quando viveva in Argentina, riempie gli agglomerati urbani delle periferie di esseri sofferenti che la società ha scartato. Di qui la sua insistenza nel denunciare la “cultura dello scarto”: vengono scartati i poveri, gli anziani, i malati, chi è rimasto solo, i bambini sfortunati. Inclinazione verso il comunismo? No, Bergoglio lo ha detto più volte: secondo la dottrina sociale della Chiesa l’umanità può trovare riparo alle sofferenze nel dono che il ricco offre al povero, nella reciproca solidarietà. In questi due primi anni di pontificato, inoltre, il Pontefice, che si è presentato come “vescovo di Roma”, pare intenzionato ad alleggerire la struttura di una Chiesa rigidamente monarchica e romanocentrica incoraggiando il decentramento e il contributo dei laici affinché diventino dei soggetti attivi e collaborativi, non dei passivi destinatari del “verbo”. Infine per noi italiani c’è una buona notizia: finora non c’è stata da parte di Francesco nessuna insistenza sui “valori
non negoziabili” e forse con lui si conclude la stagione ruiniana della CEI che interviene apertamente nella politica del paese, sia attraverso iniziative tese a fermare leggi contrarie alla morale cattolica, sia attraverso la promozione di norme che sembrano scritte Oltretevere, come la legge 40. Dopo aver chiuso la finestra che il Concilio Vaticano II aveva aperto perché entrasse l’ossigeno dei pensatori osteggiati dagli ultraconservatori, la Chiesa cattolica appariva un piccolo grande impero attento a conservare se stesso, i suoi privilegi e il suo potere mondano, incurante del numero dei fedeli in declino a causa della secolarizzazione in Europa e della competizione con le varie chiese e gruppi religiosi “fai da te” in America Latina. Ma il messaggio pastorale di Francesco potrebbe ridestare lo spirito del Concilio Vaticano II cancellando l’immagine disonorevole in cui è caduta la Chiesa cattolica sia per gli scandali legati alla banca vaticana, lo IOR, sia per quelli a sfondo sessuale dei preti pedofili. E tuttavia sui temi oggi più controversi (la sacralità della vita, il celibato dei preti, il sacerdozio femminile, l’omosessualità) Bergoglio ha confermato la dottrina tradizionale della Chiesa anche se, distinguendo fra peccato e peccatore e portando se stesso come esempio del pastore che si lascia impregnare dalla “puzza del gregge”, alle donne che hanno abortito si è rivolto con parole piene di umana comprensione per confermarle nell’immagine di una Chiesa madre vicina a chi soffre, incline a perdonare ed a soccorrere i figli, più che a giudicare e a condannare.
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Eppure sulla contraccezione e sull’aborto Francesco potrebbe avviare un riesame dal momento che la condanna proclamata nell’enciclica “Humanae vitae” deriva da un gesto di assolutismo da parte di papa Paolo VI, che ha ignorato le conclusioni innovatrici espresse dalla commissione che aveva ricevuto il compito di studiare il problema. Un atteggiamento monocratico e gerarchico che Bergoglio pare voler abbandonare preferendo agire in concerto col collegio episcopale quale semplice “primus inter pares”. Quanto all’omosesualità, dentro la Chiesa è rumorosa la presenza di coloro che non la intendono come una variante naturale della sessualità, ma la interpretano come un disordine mentale e sessuale caratterizzato da un desiderio malato nei confronti dei minori. E temono (sinceramente?) che il riconoscimento delle unioni civili, compreso il matrimonio fra due persone dello steso sesso, diventi la rottura di una diga che mette a rischio il dovuto rispetto verso i bambini. Anche in questo caso Francesco si mostra aperto ed umanamente disponibile ad accogliere tutti nella casa del Signore (“chi sono io per giudicare?”), ma contemporaneamente non dimentica di essere il custode della storia plurisecolare e della dottrina rigorosa della Chiesa. Anche sull’altro tema cui la Chiesa cattolica ormai non può sfuggire, e cioè quello del ruolo delle donne, Bergoglio si mostra un conservatore trascurando la risoluzione della stessa Pontificia Commissione Biblica che, nel 1976, ha concluso che non esistono impedimenti scritturali all’ordinazione sacerdotale delle donne. Anche le teologhe femministe, appoggiate dal cardinale Martini, sulla base delle loro ricerche sostengono che su questa strada non c’è alcun ostacolo di tipo teologico. Infatti in tutto il mondo cattolico ha fatto molto rumore lo scontro aspro fra la curia vaticana e la gran parte delle suore statunitensi che, riunite nel LCWR (Leadership Conference of Women Religious) erano state per anni al centro di un’indagine avviata da Ratzinger per verificare la presenza di errori dottrinali e di posizioni “radicalmente femministe”. Francesco, come i papi che lo hanno preceduto, loda molto le doti femminili, anzi, dopo averlo auspicato, ha lui stesso nominato delle donne in ruoli di grande responsabilità. Sui cosiddetti “temi sensibili” dunque Bergoglio ha parlato da “figlio della Chiesa” fedele alla tradizione, senza dire una parola di condanna, ma neppure di sostegno, verso le richieste di chi vuole introdurre dei cambiamenti dentro la Chiesa cattolica. Infatti, dovendo fare i conti non solo con le forze ultraconservatrici del mondo cattolico, ma anche col clima culturale in cui ha vissuto e si è formato, su certi argomenti, comprensibilmente, Francesco si ritrova frenato di suo. Forse papa Francesco è un conservatore che apre al futuro.
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IDEE di Catia Iori
LA SOLITUDINE DELLE DONNE NUMERI
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odici, password, indici, medie: la società contemporanea tende sempre più a porre in secondo piano la centralità del lavoro di cura gratuito delle donne per ridurla a nient’altro che a un numero, un dato statistico, un elemento quantificabile e perfettamente intercambiabile. Svuotate della loro dimensione più profonda, private della propria unicità, le donne del terzo millennio vivono spesso con rassegnazione l’imperante processo di atomizzazione che sempre più interviene a polverizzare le appartenenze e sgretolare le identità collettive. Abituate come siamo a ricondurre ogni scelta e ogni azione a una valutazione meramente quantitativa, perdiamo di vista la ricchezza impagabile che scaturisce dalle relazioni autentiche basate sulla gratuità. Ci abituiamo a fare i conti con proiezioni, tassi e statistiche, ma non a contare veramente sugli altri; impariamo a fare stime dei costi e dei vantaggi di ogni opzione potenziale che ci si apre di fronte, ma non stimare le persone il cui percorso di vita si intreccia con il nostro. In una prospettiva utilitaristica, nessuno o quasi fa niente per niente. Il “quanto” diviene più importante del “come”, del “perché” e soprattutto del “chi”, poiché di fronte all’imperio dei numeri le motivazioni e le modalità che orientano l’agire diventano componenti irrilevanti. E allora come la mettiamo con le centinaia di donne che si occupano gratia et amore della casa e dei loro anziani, delle volontarie che prestano tempo ed energie per un causa giusta, spesso affettiva, talora politica, non necessariamente in corrispondenza di un prezzo da pagare? Non è un caso che le donne siano più abituate a fare rete, a scegliere di scrivere per se stesse frammenti di vita, poco importa che sia sul pc, a matita o su fogli sparsi. Alla sera o in qualche momento di vita rubato alle corse di ogni giorno, le donne scrivono, parlano a lungo con l’amica cercando di scavare dentro loro stesse e portare a galla emozioni, paure, preoccupazioni, quasi per riconoscere la loro unicità e sentirla propria. Non vogliono essere incasellate ma restituite alla storia di un percorso di vita unico e solo loro, con un nome, un cognome e un’anima. Credo che spesso questo esercizio aiuti a non morire dentro, a sentirsi vive e amate. Quando si scrive o si parla di sé con sincerità, si apprezzano le virtù liberatorie dello sfogo. E ci si riappropria quasi per magia della propria energia vitale, sentendosi almeno per un momento fuori dai recinti massimalisti di impietose statistiche.
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di Rita Anna Fara Istituto Italiano di Bioetica www.istitutobioetica.org
IMMIGRATI, APPRENDIMENTO E DISLESSIA
L
a società è in rapida trasformazione: la complessità che stiamo vivendo richiede alla scuola un rinnovamento continuo sul piano strutturale e qualitativo. Le classi, sempre più eterogenee, accolgono minori profondamente differenti per cultura, lingua, credo religioso, vissuti, interessi, stili cognitivi e modalità di apprendimento. Sono realtà culturalmente molto stimolanti e feconde, ma anche impegnative, per la presenza di molteplici disagi che gli alunni sperimentano nell’apprendimento, nei comportamenti, nelle relazioni, nella sfera emozionale, nell’ambito familiare, con pesanti ricadute sul percorso scolastico. Dopo aver adottato l’educazione interculturale per favorire il dialogo e lo scambio tra culture diverse, recen-
Quando la scuola si fa ponte. L’esempio di Alessandria
te, nei piccoli, che di fronte alle pertemente il nostro sistema educativo, sistenti difficoltà nell’apprendimento prendendo atto dei mutamenti in cordella nuova lingua, questi siano inviati so, ha individuato nei Bisogni Educativi ai servizi di Neuropsichiatria per soSpeciali il contesto idoneo alla presa spetta dislessia, con smarrimento e in carico delle difficoltà permanenti apprensione dei genitori, che avvertoe transitorie degli allievi. Accogliendo no un ostacolo alla carriera scolastica i principi della centralità dell’alunno dei figli, nella quale ripongono le specome persona da valorizzare a livello ranze di un futuro migliore. cognitivo e affettivo, e richiamandosi al Imparare a leggere e scrivere equivale a modello ICF (Classificazione Internazioimparare a leggere il mondo, non solo nale del Funzionamento, disabilità e Sacon i nostri occhi, ma anche con quelli lute) emesso dall’ Organizzazione Mondei nostri simili. La lettura e la scrittura diale della Sanità, mutuato dagli studi hanno in sé una forte valenza sociale e di Amartya Sen e Martha Nussbaum formativa; si apprendono con l’ingresso - secondo cui il soggetto con difficoltà nella scuola primaria attraverso un perva messo in condizione di sviluppare le corso scandito da regole, richiedono proprie potenzialità, capacità e aspiraspecifici comportamenti, che coinvolzioni - la scuola potrà perseguire l’efgono i piccoli nella loro globalità fisica fettiva uguaglianza e l’inclusione di tutti e intellettiva, ed esigono applicazione gli alunni attraverso percorsi pedagogicostante; nonostante ciò, rappresentaco-didattici individualizzati e personano, per la maggior parte dei bambini e lizzati, nonché stringendo alleanze con delle bambine, un’esperienza serena e le altre agenzie educative presenti sul fonte di gratificazione. Se, per la quasi territorio. totalità degli alunni, il percorso è privo I minori, figli degli immigrati, spesso madi intoppi, per alcuni si presenta irto di nifestano insuccessi scolastici a causa difficoltà, motivo di frustrazione per se della precaria conoscenza della lingua stessi e per la famiglia e ragione di anformale impiegata nello studio delle sia per l’insegnante. Sono i bambini che discipline, nonché per le sofferenze leall’inizio dell’iter scolastico incontrano gate al progetto migratorio. Una consiun disturbo specifico di apprendimenstente percentuale di questi è in ritardo to, in particolare la dislessia, nel percorso scolastico, che cioè la difficoltà a identificaspesso non giunge a comre i segni scritti e a tradurli pimento, pregiudicando IMPARARE in fonemi, in presenza di così l’inserimento nel A LEGGERE E SCRIVERE un normale sviluppo mondo del lavoro reEQUIVALE A IMPARARE intellettivo. Non è golare. A LEGGERE IL MONDO, NON SOLO semplice, per un letAvviene di frequen-
CON I NOSTRI OCCHI, MA ANCHE CON QUELLI DEI NOSTRI SIMILI
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Il filo verde tore normodotato, rendersi conto dello sforzo a cui è sottoposto un bambino dislessico durante l’esercizio di lettura e di scrittura; per questo motivo, sia a scuola che a casa, può dare l’impressione di essere un allievo svogliato, poco interessato e che non si applica a sufficienza. Gli studi evidenziano che nei soggetti dislessici, a seguito di ripetuti insuccessi, possono manifestarsi ansia, instabilità emotiva, bassa autostima, fino al coinvolgimento in episodi di bullismo. Come scritto poc’anzi, questi problemi, rischiano di amplificarsi negli allievi provenienti da Paesi poveri, ritenuti doppiamente vulnerabili perché provati dagli effetti del progetto migratorio e dalla eventuale presenza della dislessia; condizioni che mettono a dura prova il percorso di integrazione e il successo scolastico. Rammentano gli esperti che, in questi casi, l’iter per giungere a una diagnosi di dislessia è complesso, in quanto sussiste il rischio di diagnosticare la dislessia in luogo di una temporanea difficoltà con la nuova lingua, come può accadere il contrario, dando vita a falsi positivi e falsi negativi. Le ricerche in questo campo sono solo agli inizi; il capitolo dei minori di cittadinanza non italiana con dislessia, non è ancora stato scritto. Nel frattempo, per andare incontro ai bisogni speciali di questi allievi, la scuola, i sevizi alla persona, il terzo settore, hanno stretto preziose alleanze, creando una fitta rete di interventi a sostegno dei minori e delle loro famiglie. Un esempio, fra i tanti, è rappresentato da Alessandria, città con un significativo numero di immigrati, dove doposcuola religiosi e laici danno vita a molteplici iniziative per i figli delle famiglie immigrate, soprattutto per quelli della delicata fascia preadolescienziale, i più esposti a possibili comportamenti devianti. In questi luoghi educativi, i minori, a fianco dei coetanei autoctoni e alla presenza degli educatori, in un clima sereno e improntato alla collaborazione
e alla condivisione, trovano aiuto nelle difficoltà scolastiche, praticano sport, attività ludiche e artistiche, dialogano, imparano ad organizzarsi e acquistano più autonomia. È l’educatore che, in sinergia con le altre figure del progetto, genitori inclusi, si prende cura di questi giovani, ne condivide i disagi, le gioie e le aspirazioni, all’interno di una relazione educativa a valenza sociale e pedagogica. Nell’educatore, le ragazze e i ragazzi, trovano una persona pronta ad ascoltare e ad accogliere il disagio che nasce dal confronto con i compagni più bravi, l’ansia e il sentimento di impotenza di fronte agli impegni scolastici e la difficoltà nel far dialogare due culture diverse, con gli inevitabili conflitti che ne conseguono sul piano personale e interpersonale. Quello dell’educatore è un lavoro paziente e silenzioso: richiede disponibilità, autenticità, autorevolezza, forti doti di empatia e, non ultimo, capacità di mediazione con tutti gli attori del progetto. Un compito poco conosciuto, tuttavia prezioso, dal momento che grazie alla frequenza assidua, molti di questi ragazzi riescono a rimettere in moto energie che sembravano sopite, trovano la forza di reagire e di inserirsi con fiducia nel tessuto sociale. Lo dimostra il fatto che spesso tornano al Centro come volontari, ad aiutare i nuovi arrivati. La strada dell’accoglienza e dell’impegno civile contribuiscono ad abbattere il muro dell’indifferenza e della diffidenza tra autoctoni e immigrati e conducono alla creazione di una cittadinanza attiva e responsabile, che lascia prevedere, per questi minori, un promettente futuro.
di Barbara Bruni
IL GHIACCIAIO ALTOATESINO SI RIDUCE
Secondo il Comitato Glaciologico Italiano, negli ultimi 12 mesi i ghiacciai altoatesini sono arretrati di oltre 3 metri. L’anno idrologico 2014-15 è stato il più caldo dal 1850, con una temperatura media di 14,5 gradi. Eccezione fatta per il mese di settembre, tutti gli altri mesi sono risultati più caldi rispetto alla norma. Questo ha portato anche a un esaurimento delle riserve di neve accumulate negli ultimi due anni nelle parti superiori dei ghiacciai altoatesini.
TORNA LA VITA A CHERNOBYL
A quasi 30 anni dal quel grave incidente, alci, caprioli, cervi rossi, cinghiali e lupi sono tornati a popolare la zona vicino la centrale di Chernobyl. Torna così la vita nell’area vicino la centrale nucleare. Descritta sulla Current Biology, l’area sembra oggi una riserva naturale, e può rappresentare un valido parametro per valutare l’impatto a lungo termine del più recente incidente nucleare di Fukushima.
OGM
Dal prossimo marzo 2016 gli Stati membri dell’Unione Europea potranno scegliere se limitare o vietare la coltivazione di organismi geneticamente modificati (Ogm) sul proprio territorio nazionale. Gli Stati membri potranno anche rivedere la propria decisione e richiedere successivamente che il proprio territorio o parti di questo entrino a far parte dell’ambito di applicazione dell’autorizzazione. Anche la Russia secondo quanto dichiarato dal vice primo ministro del Governo di Mosca, ArkadyDvorkovich, ad un anno dallo stop alle importazioni di prodotti geneticamente modificati - oggi ne vieta la coltivazione.
LA BICICLETTA CHE CREA ENERGIA
La casa del futuro potrà essere alimentata pedalando. Il miliardario statunitense di origine indiana Manoj Bhargava ha realizzato una bicicletta stazionaria: un’ora di cyclette è in grado produrre energia elettrica per un’intera giornata. La bici - che si chiama “Free Electric” - è stata pensata per i tre miliardi di persone che nel mondo non hanno l’elettricità. Le prime 10mila biciclette saranno distribuite in India all’inizio dell’anno prossimo, e avranno un prezzo intorno ai 100 dollari. HIMALAYA, OLTRE 200 NUOVE SPECIE Una scimmia che starnutisce quando piove, e un pesce che respira fuori dall’acqua fino 4 giorni e cammina sono solo alcune delle 211 nuove specie scoperte tra il 2009 e il 2014 in Himalaya orientale. Il nuovo rapporto del Wwf “Hidden Himalayas: Asia’s Wonderland” rivela e presenta i dati trasmessi da diverse organizzazioni. Si parla di un tesoro di 133 piante, 39 invertebrati, 26 pesci, 10 anfibi, rettili, un uccello e un mammifero. Particolare anche una specie di serpente dai colori sgargianti, che sembra uscito da un laboratorio di gioielleria.
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PROGETTO NAZIONALE PRESENTATO A ROMA IL 10 GIUGNO 2015 AL SENATO DELLA REPUBBLICA Con il Patrocinio di
Ottobre 2015
COMMISSIONE DELLE ELETTE
CON IL PATROCINIO DI E IN COLLABORAZIONE CON
un ponte tra buone pratiche
13 NOVEMBRE 2015 | SALA TASSINARI - CORTILE D’ONORE DI PALAZZO D’ACCURSIO PIAZZA MAGGIORE, 6 - BOLOGNA Le case della salute della città metropolitana
ORE 10.00 – 13.30 SALUTI ISTITUZIONALI Luca Rizzo Nervo, Assessore Sanità e integrazione socio-sanitaria Comune di Bologna Roberta Mori, Presidente Commissione di Parità Regione Emilia Romagna Clede Maria Garavini, Consigliera Ordine degli Psicologi dell’Emilia Romagna Giancarlo Pizza, Presidente Ordine Medici Provincia di Bologna SALUTE E MEDICINA DI GENERE – STATO DELL’ARTE
Intervengono: • Fortunata Dini, Presidente Associazione Salute&Genere Presentazione del Progetto Donna e Salute • Silvia Vaccaro, Giornalista, Presidente Associazione Noidonne TrePuntoZero Donne, salute e informazione • Anna Maria Bernardi, Primario Emerito Nefrologia e Professore ac Università di Padova, Responsabile Nazionale Medicina di Genere Soroptimist International La Medicina di Genere: perché e come parlarne • Patrizia Stefani, Presidente Associazione Medicina Europea di Genere (MEG) L’attività associativa a favore della Medicina di Genere Coordina: Tiziana Bartolini, Direttora NOI DONNE
Coordina: Giusi Marcante, Direttrice Responsabile Radio Città del Capo ORE 14.30 – 17.30 APERTURA SESSIONE POMERIDIANA • Simona Lembi, Presidente Commissione ANCI Pari Opportunità • Patrizia Dini, Direzione Nazionale AICCRE • Vera Romiti, Responsabile Pari Opportunità AUSER Regionale Emilia Romagna LUNGA VITA ALLE SIGNORE! PREVENZIONE E CURA
Intervengono: • Antonella Ninci, Avvocata INAIL, Presidente C.U.G. Nazionale INAIL Salute e sicurezza sul lavoro è una questione anche di Genere • Giuseppe Di Pasquale, Direttore Dipartimento Medico AUSL di Bologna Il cuore delle Donne • Marilena Manfredi, Responsabile organizzativa Centro Screening AUSL di Bologna Il percorso • Daniele Gambini, Coordinatore Area dipartimentale SERT AUSL di Bologna Differenze di genere nei disturbi da uso di sostanze
SALUTE DELLA DONNA: SERVIZI PER IL BENESSERE E LA QUALITÀ DELLA VITA
Intervengono: • Chiara Gibertoni, Direttore Generale Ausl Bologna La salute della donna nei servizi sanitari della città metropolitana • Corrado Melega, Ginecologo, Coordinatore Commissione Regionale Percorso Nascita Il percorso nascita in Emilia Romagna • Mara Morini, Direttora Dipartimento Cure Primarie AUSL Bologna
LE ASSOCIAZIONI E LA SALUTE DELLE DONNE: ALCUNE ESPERIENZE DEL TERRITORIO
Intervengono: • Katia Graziosi, Presidente UDI Bologna • Paola Falleroni, Presidente IL SENO DI POI onlus • Milena Schiavina, Responsabile SPORTELLO DONNA CGIL
Coordina: Maria Raffaella Ferri, Presidente Commissione Elette Comune di Bologna
CON IL PATROCINIO DI
INFORMAZIONI SUL SITO WWW.DONNAESALUTE.ORG CON L’ADESIONE DI
CON IL SOSTEGNO DI
UN PROGETTO DI
un ponte tra buone pratiche
NOIDONNE TrePuntoZero
Salute Genere
In collaborazione con Ottobre 2015
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Il benessere della mamma e del neonato il punto su diagnosi prenatale, parto pretermine, allattamento al seno e genitorialità consapevole Torino, 28 novembre 2015 (h 8,30 - 13 / 14 – 17,30) Aula Dellepiane - Dipartimento di Scienze Chirurgiche - P.O. Sant’Anna Via Ventimiglia 3
SESSIONE I Il punto su diagnosi prenatale, parto pretermine, allattamento al seno 8.30 Registrazione partecipanti 8.45 Saluti Istituzionali Laura Onofri Presidente Commissione Pari Opportunità Del Comune di Torino
11.20 Corticosteroidi nella donna a rischio di parto pretermine Anna Maria Marconi DISCUSSIONE Moderatori: Claudio Fabris, Daniele Farina 12.10 L’importanza del latte materno nel neonato pretermine Enrico Bertino 12.35 Bonding e allattamento Paola Serafini DISCUSSIONE
Chiara Benedetto Presentazione Convegno
13.00 Questionario ECM
Moderatori: Antonio Amoroso, Barbara Pasini
14.00 Saluti istituzionali Piero Fassino Sindaco di Torino
9.00 Screening biochimici: ruolo predittivo di patologie non cromosomiche Elsa Viora 9.30 Analisi sul DNA fetale nel sangue materno: caratteristiche dei diversi test Enrico Grosso DISCUSSIONE Moderatori: Chiara Benedetto, Enrico Bertino 10.30 Valutazione del rischio di parto pretermine Luca Marozio 10.55 Trattamenti preventivi Marina Zonca
Gianmaria Ajani Rettore Università di Torino Gian Paolo Zanetta Direttore generale AOU Città della Salute e della Scienza di Torino Chiara Benedetto Fondazione Medicina a Misura di Donna Onlus Cosa abbiamo fatto e cosa pensiamo di fare 14.30 Visita ai luoghi riqualificazione dalla Fondazione Medicina a Misura di Donna Onlus e inaugurazione di due sale di attesa in collaborazione con il Soroptimist International Club di Torino
SESSIONE II Genitorialità consapevole: dal corpo alla relazione, salute a misura di famiglie 15.00 Saluti Istituzionali Monica Cerutti Assessora Pari Opportunità Regione Piemonte
Fortunata Dini psicologa psicoterapeuta, presidente associazione Salute&Genere Divenire genitori: una grande occasione per crescere insieme, tra vecchi e nuovi modelli Irene Biemmi ricercatrice e formatrice, esperta in Pedagogia di genere e delle Pari Opportunità Crescere femmine e maschi senza pregiudizi di genere: una proposta
Moderatrice: Tiziana Bartolini direttora NOIDONNE
Anna Maria Venera psicopedagogista, coordinatrice settore formazione ITER, Città di Torino Genere, educazione e processi formativi: dalla formazione per adulti ai percorsi rivolti alle classi
Maria Grazia Anatra docente, presidente associazione Woman To Be Il progetto Donne e Salute: origine, sviluppi e prospettive
Silvia Vaccaro giornalista, presidente associazione Noidonne TrePuntoZero Donne, salute e informazione
Chiara Benedetto presidente Fondazione Medicina a Misura di Donna Onlus La medicina di genere
17.30 Chiusura lavori
Paola Berzano Presidente Commissione Pari Opportunità Regione Piemonte
Giovanna Badalassi esperta di bilanci di genere L’esperienza della Regione Piemonte sul bilancio di genere nella sanità
www.donnaesalute.org mail: info@donnaesalute.org cell. 3395364627-3470940720-335454928
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Femminismo e tecnologia? Si può fare... e arriva la App Un nuovo strumento per conoscere le lotte delle donne. Si chiama Herstory, lo propone Archivia ed è una App di Tiziana Bartolini
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etti la storia de femminismo e i materiali di un archivio con decine di migliaia di documenti, metti la memoria storica e la passione per le lotte delle donne, miscela energicamente con dosi di tecnologia e il risultato è una “speciale guida ai luoghi di attività e mobilitazione delle donne di Roma e del Lazio che offre un primo censimento localizzato di gruppi, collettivi, Centri e Associazioni delle donne”. Si chiama Herstory. I luoghi delle donne ed è una App realizzata grazie ad un progetto finanziato dalla Regione Lazio (bando “Innovazione sostantivo femminile”) ideato da Valeria Santini e Giovanna Olivieri. Quest’ultima spiega come orientarsi nella navigazione. “Le carte interattive sono organizzate cronologicamente. Le Mappe degli anni ’70 e ’80 individuano la posizione di oltre 300 sedi e la ‘Mappa anni successivi’ contiene anche segnalazioni di attività commerciali attualmente gestite da donne. Cliccando su ciascun segnaposto delle mappe si può raggiungere il luogo tramite navigatore e consultare una scheda informativa sintetica che rimanda alle pagine del sito, www.herstory.it”. La App è dunque uno strumento che propone una sorta di visita guidata attraverso i luoghi che hanno fatto la storia del movimento delle donne romane. “Sì e c’è anche la ‘Mappa Manifestazioni’ che propone una panoramica fotografica delle mobilitazioni, contro o a favore di”. Quali documenti avete maggiormente usato? “Soprattutto le fotografie di eventi e manifestazioni - selezionate fra le 35mila del nostro archivio - mettono in scena il cambiamento dei modelli di rappresentazione del femminile prodotti dalla conquista del diritto alla parola nello spazio pubblico; richiamano alla memoria momenti dimenticati o cancellati del protagonismo femminile; costruiscono di per sé un racconto, grazie alle/i fotografe/i che con professionalità straordinaria per rigore e bellezza formale hanno messo una passione particolare e caparbia nell’indagare un femminile poco o male rappresentato.
Però sono stati selezionati anche documenti, volantini, ritagli e manifesti conservati ad Archivia con l’obiettivo di delineare le caratteristiche, o testimoniare l’esistenza, dei gruppi della mappa, proponendo contestualmente una scheda di approfondimento”. Che tipi di documenti conserva Archivia? “A partire dalla comune rivendicazione di una nuova soggettività, le tracce conservate negli Archivi che sono poi confluiti in Archivia, sono diverse: i collettivi femministi più forti, perché più eterogenei e longevi, più decisi nell’intervento all’esterno o più consapevoli dell’importanza della comunicazione scritta, hanno lasciato più testimonianze, pubblicazioni etc e assumono quindi una maggiore rilevanza”. Una App che guida ad una visita - o ad una rivisitazione - del patrimonio ideale e culturale con cui il femminismo ha vivificato la Capitale, soprattutto in alcuni decenni. Un patrimonio da scoprire o ripercorrere scaricando gratuitamente la App e visitando il sito collegato. b
Archivia
associazione di volontariato fondata nel 2003 - ha sede nella Casa Internazionale delle donne di Roma, Via della Lungara, 19 e conserva più di 20mila volumi e 700 testate giornalistiche consentendone la consultazione gratuita (catalogo su opacuniroma1.it) e realizza attività di valorizzazione e diffusione della cultura e della storia delle donne anche con prodotti multimediali e varie iniziative.
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l’uDi
Di persiceto la nuova seDe Una lUnGa e Bella storia iniZiata nel 1945 e ancora viva di sara accorsi
Domenica 29 novem bre ore 16 Nel cuore dell'autun fiore
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Inaugurazio ne nuova Sed e dell'UDI c/o Casa del Popolo Bertoldo (via Guard ia Naziona le 9)
Insieme pe r ricordare la giornata contro la internazio nale violenza al le donne: letture, m usica e pa ssi di danz a Con la pa rtecipazio ne di Gianc & di Amne arla Codri sty Intern gnani ational-se Associazion zione Persi e Dipetto ceto, , Associazi Mondo, S one Donne cuola di M dal usica Leona rd Bernste Dance Mov in, ement ba llet Sostiene l'i niziativa an che NOID onne
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a sezione Udi di Persiceto aprì i suoi battenti già nel 1945. La sede era una stanza piccola di corso Italia, animata da Berta Ballanti e dalle altre donne antifasciste, fortificate dall’impegno profuso negli anni della guerra. Da sempre in linea con le azioni dell’Udi nazionale, la sede di Persiceto si batté fin da subito per il diritto di voto e per la partecipazione delle donne alla politica, riuscendo a far eleggere nel primo Consiglio comunale post-bellico
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tre consigliere: Marta Borgatti, ostetrica nella frazione di San Matteo della Decima, l’insegnante Pia Cocchi e Rita Serra, impiegata nella ditta di scarpe della famiglia. Gli anni Cinquanta e Sessanta sono stati contrassegnati dal profondo impegno per il riconoscimento del lavoro a domicilio e proprio su questo delicato tema, che nella zona riguardava soprattutto il settore della maglieria, nel 1966 a Persiceto si tenne il Convegno nazionale dell’Udi. Dalla fine degli anni Sessanta, i temi pregnanti dell’operato delle donne Udi furono la chiusura dei manicomi e delle scuole speciali e l’apertura degli asili nido e scuole d’infanzia comunali. In un operato portato avanti in accordo con la giunta comunale, l’Udi di Persiceto organizzava dibattiti, ma anche e soprattutto riunioni di caseggiato in cui le famiglie venivano informate sulle nuove leggi in essere. L’attività dell’Udi nazionale è da sempre stata sostenuta con la promozione alla partecipazione alle manifestazioni organizzate a Roma e con la campagna abbonamenti al giornale Noi Donne, che negli anni Settanta contava a Persiceto numerosi abbonamenti, nonché con la festa estiva di Noi Donne. Lo sguardo specifico al territorio è stato portato avanti attraverso la stampa di ‘Appunti’, un ciclostilato in proprio in cui i grandi temi nazionali erano declinati sul locale, con approfondimenti a tema per ciascun numero: dalla situazione lavorativa femminile a Persiceto, all’apertura del Consultorio e alle tematiche relative alla maternità, dall’autodeterminazione all’accesso ai servizi. All’interno delle pagine di ‘Appunti’, inoltre, hanno sempre trovato spazio gli esiti dei sondaggi che la sezione Udi di Persiceto ha in più occasioni organizzato, raccogliendo i dati delle e dalle donne persicetane. La sezione ha sempre creduto nell’autofinanziamento; oltre alle iniziative della mimosa dell’8 marzo e di altre di respiro nazionale, non si può dimenticare una tradizione di lungo corso, ma da qualche anno ormai non più tale, quella delle trecce d’aglio confezionate per la tradizionale Firà di Ai di giugno, legata alla festività del patrono cittadino. Oggi la sede è aperta regolarmente due giorni a settimana con il Punto d’ascolto, nato nei primi anni Novanta, che offre consulenza legale e pareri sulle relazioni familiari. Il Punto d’ascolto opera a servizio di tutti i comuni dell’Unione Terre d’acqua (oltre a Persiceto, Sant’Agata Bolognese, Anzola dell’Emilia, Calderara di Reno, Crevalcore, Sala Bolognese) e ha consistenti accessi annuali. Proprio dalla preminenza che il servizio ha all’interno della sede Udi Persiceto, è nata la scelta di festeggiare la nuova sede in occasione della giornata del 25 novembre. La nuova sede (presso la Casa del Popolo Bertoldo, via Guarda Nazionale, 9) è inaugurata il 29 novembre, con la partecipazione di Giancarla Codrignani, di Amnesty International (sezione Persiceto), Associazione Dipetto, Associazione Donne dal Mondo, Scuola di Musica Leonard Bernstein, Dance Movement ballet.b
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L’AGENDA
UNO STRUMENTO POLITICO Ottima la partecipazione alla presentazione e interessante il dibattito. L’avvio di un nuovo percorso per questo giornale. Nonostante le difficoltà di Silvia Vaccaro
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n una sala gremita troneggiava lo sguardo fiero di Anna Magnani, volto scelto per la copertina della prima agenda 2016 NOIDONNEcult, presentata lo scorso 19 novembre alla Casa Internazionale delle donne di Roma. A 70 anni da quel 1946, anno del primo voto ufficiale delle donne italiane, prima alle amministrative di marzo e poi durante il referendum che sancì la fine della monarchia dei Savoia e la nascita della Repubblica italiana, la nostra storica e resistente rivista ha realizzato la prima di - speriamo una lunga serie di agende cult. Simbolicamente dedicata alle donne che lottarono affinché il suffragio in Italia fosse davvero universale e non a sesso unico - tra le quali menzioniamo Marisa Cinciari Rodano presente all’incontro e ritratta nella foto - l’agenda ripercorre, settimana dopo settimana, la storia della rivista. Lo fa attraverso alcune delle tantissime copertine, che, una dopo l’altra, restituiscono il valore di una rivista militante che ha avuto sempre l’ambizione di raccontare la società con gli occhi del-
le donne. E di fare giornalismo. Per presentare l’agenda, siamo partite da quell’anno simbolico, il ’46, rievocato attraverso la lettura di alcuni brani di articoli pubblicati in vecchi numeri di Noi Donne, affidata a Anna Maria Loliva, Tiziana Avarista e Federica Marchettini, ideatrici e protagoniste, insieme a Carmen Giardina, dello spettacolo “Signorinette” dedicato al voto alle donne, che andrà in scena a marzo al Teatro Tor di Nona di Roma. Dal dopoguerra siamo arrivate al presente, mettendo al centro il tema enorme della rappresentanza e della partecipazione politica delle don-
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Sanità pubblica e disuguaglianze sociali
U ne. Ne abbiamo parlato insieme a Simona Ammerata, attivista del collettivo Casa delle donne Lucha y Siesta, Barbara Bonomi Romagnoli giornalista e autrice di “Irriverenti e libere. Femminismi del terzo millennio”, Kwanza Musi Dos Santos attivista dell’associazione QuestaèRoma, Cristina Petrucci attivista e parte della delegazione di Osservatori internazionali alle scorse elezioni in Turchia. Quattro donne molto diverse tra loro ma accomunate dallo sguardo critico e attento e dall’esercizio quotidiano di una cittadinanza attiva. Oltre i singoli interventi, interessanti e critici rispetto ad uno status quo che come donne autodeterminate e femministe non ci convince e non ci soddisfa, si conferma la necessità di un movimento di donne forte fuori dalle istituzioni, come migliore garanzia perché le donne in politica, ancora poche nel nostro paese (poco più del 21% su 93mila incarichi politici secondo l’ultimo dossier sul tema di Openpolis), si possano sentire portatrici di istanze differenti. Dunque, perché cambino linguaggi e azioni concrete della politica, le donne, fuori e dentro le istituzioni, devono svolgere un ruolo da protagoniste. Come? Mettendosi in ascolto delle donne che non fanno politica e che non si dicono femministe, ma che affrontano concretamente tutte le difficoltà di essere donne in Italia, ancora al 41° posto nella classifica Global Gender Gap 2015. b DAtE
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n servizio sanitario pubblico ha ragione di esistere se è in grado di ridurre gli effetti delle disuguaglianze sociali sulla salute. Analizzare gli indicatori di salute specifici per condizione sociale è una obbligazione assoluta per autorità politiche, amministrative e tecniche che si assumono la responsabilità di governo. È altresì di interesse delle varie professionalità sociosanitarie avere consapevolezza dell’esistenza di eventuali divari degli indicatori nelle stratificazioni sociali per gli stimoli di riflessione sulle strategie operative e sui modelli di comunicazione adottati con le persone. È, infine, di interesse inderogabile per le comunità acquisire analoga consapevolezza, anche al fine di verificare con quale risultante qualità le risorse messe a disposizione con le tasse vengono impiegate e agire di conseguenza in forme adeguate perché i modelli operativi vengano modificati in modo da ridurre, se non annullare, le differenze osservate. Infatti, l’esistenza di differenziazioni di stato di salute per classe sociale è un segnale potente del malfunzionamento del sistema a parità di risorse impiegate. Quando si afferma che la salute è bene comune si intende sostenere che la salute di qualsiasi persona in una comunità dipende da quella di tutte le altre presenti, a qualsiasi titolo, nel territorio considerato. Accettare le differenze e giustificarle non è solo odioso e razzista, è soprattutto miope e stupido. La progressione della tassazione a seconda del reddito ha anche questo aspetto come suo fondamento. Si possono portare molti esempi che dimostrano la validità di quanto affermato. Quello più luminoso per il risultato e per l’universalità è rappresentato dall’eradicazione del vaiolo. Scomparso da diversi anni nel mondo industrializzato, grazie alla vaccinazione, perseguire l’obiettivo di eliminare la circolazione del virus in ogni angolo della Terra, per quanto remoto, era fondamentale per interrompere la profilassi vaccinale che comportava effetti collaterali gravi (ma inferiori alle devastazione della malattia). Così ci fu un grande impegno a livello internazionale ad applicare con intelligenza scientifica valide strategie operative, impegno facilitato, alla fine degli anni Settanta del secolo scorso, da più bassi livelli di azioni di guerra nel mondo. Intelligenza scientifica e solidarietà internazionale sono state le carte vincenti giocate prendendosi cura degli ultimi degli ultimi della Terra. Dopo due anni dall’ultimo caso di vaiolo scovato dal sistema di sorveglianza attivo internazionale, finalmente si poté dichiarare il vaiolo eradicato (dicembre del 1979) e, conseguentemente, eliminare la necessità di vaccinare da allora le nuove coorti di nati in tutto il mondo e non pagare più il costo delle complicazioni gravi da vaccino. Occuparsi in modo scientifico degli ultimi ha prodotto un beneficio di salute per tutti. In generale se si lavora male o non si raggiungono le persone che vivono in condizioni di marginalità sociale ciò è dovuto a una attitudine che si può riassumere nello schema del paternalismo direttivo, ma tale attitudine favorisce gli sprechi e impedisce di avere migliori esiti di salute anche per le persone più abbienti, perché il paternalismo direttivo si basa sulla dipendenza e sull’acquiescenza al comando mentre migliori esiti si ottengono quando si opera facendo emergere, valorizzando, promuovendo, sostenendo e proteggendo le competenze delle persone e delle comunità.
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VIOLENZA:
CONOSCERLA E COMBATTERLA Presentato a Roma Rosa Shocking2, rapporto di WeWorld sulla violenza contro le donne di Tiziana Bartolini
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er i giovani la violenza contro le donne è un fatto privato e la coppia deve sbrigarsela da sola anche perché la causa, spesso, è riconducibile ad un raptus momentaneo giustificato dal ‘troppo amore’. Non sono dati di un secolo fa, ma il risultato di una ricerca del 2014 commissionata da WeWorld e presentata lo scorso 17 novembre a Roma. Accanto a questa rilevazione sconfortante arriva però anche una nota positiva, ancora contenuta nel rapporto Rosa Shocking2, e cioè una tendenza a rappresentare nei media la figura di una donna non solo vittima passiva ma capace di reagire e di ricercare un suo riscatto. Questa, in estrema sintesi, l’interpretazione delle indagini condotte per WeWorld da Ipsos e da Giovanna Badalassi. Diverse per metodologia di ricerca e per focus di analisi, le due rilevazioni vanno però lette in parallelo per comprendere “come la società vive e affronta il fenomeno della violenza di genere contro le donne”. Il valore aggiunto di Rosa Shocking2 è la continuità. Infatti il percorso è iniziato tre anni fa e, tra i dati rilevati e messi a confronto, ci sono anche quelli che riguardano gli investimenti sulla prevenzione e sul contrasto alla violenza e che tengono conto delle variegate
attività realizzate sia dalla società civile sia dalle istituzioni locali e centrali. “Le risorse messe in campo per prevenire e contrastare la violenza contro le donne non rappresentano un costo per la società, bensì un investimento in capitale umano anche per il futuro e che darà i suoi frutti nel medio e nel lungo termine. Solo se sviluppato costantemente e trasversalmente, questo tipo di investimento potrà innescare quell’inesorabile cambiamento capace di scardinare stereotipi e pregiudizi su cui si fonda la cultura sessista e che alimenta la violenza degli uomini contro le donne”. Il presidente Marco Chiesara illustra l’impegno di WeWorld, i cui risultati si stanno via via consolidando lungo un percorso di ricerca che sin dall’inizio si è caratterizzato per l’originalità dell’approccio al fenomeno della violenza sessista. “Il nostro piano di contrasto si snoda su tre direttrici: l’advocacy (offrire letture ai decisori politici per poter attivare politiche efficaci), la sensibilizzazione (il rapporto è ottimo strumento per favorire opportunità di incontro, per esempio nelle scuole), la relazione (offrire alle donne una rete che permette di avere punti di riferimento). Il dato ancora pesante è che solo l’11% delle donne denuncia la violenza subita. Poiché noi crediamo nell’intreccio profondo tra il lavoro di ricerca e il lavoro sul
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campo, sosteniamo servizi specializzati in tre centri istituiti presso ospedali di Roma, Genova e Trieste dove le donne che vogliono uscire dalla violenza possono trovare ascolto e assistenza qualificata che le aiuta nel denunciare. In questo modo attiviamo un circolo virtuoso che va a beneficio di tutta la società”. In sostanza la pubblicazione Rosa Shocking2 rientra in una strategia multilivello di contrasto alla violenza di genere che WeWorld ha avviato nel 2013, “in un percorso di costante approfondimento tematico e sociale e di lavoro ‘con’ e ‘nel’ territorio per conoscere concretamente lo sviluppo del fenomeno nella nostra società e collaborare costantemente con gli attori locali al fine di promuovere i cambiamenti sociali necessari per un mondo in cui i diritti di ogni donna, bambino o bambina siano riconosciuti e garantiti”.
GLI INVESTIMENTI NELLA PREVENZIONE E CONTRASTO DELLA VIOLENZA Nel 2013 la ricerca ‘Quanto costa il silenzio?’ è stata “uno dei primi tentativi in Italia di ricondurre l’impatto economico e sociale della violenza a una scala di misurazione monetaria”. L’indagine ha riscosso molto interesse per un approccio decisamente innovativo, arrivando a calcolare in 17 miliardi all’anno i costi economici e sociali della violenza contro le donne nel nostro paese. L’obiettivo della ricerca era “ottenere elementi conoscitivi per produrre scelte politiche realmente efficaci”. Rosa Shocking2 ha approfondito un aspetto della ricerca riguardante gli investimenti in prevenzione e contrasto. I dati di questo terzo aggiornamento ci dicono che l’investimento economico in prevenzione e contrasto è stato di 6,3 milioni di euro nel 2012, 16,1 milioni nel 2013 e 14.4 milioni nel 2014. Per arrivare a questa valorizzazione si è provveduto a catalogare tutte le iniziative organizzate sul territorio restituite con la chiave di ricerca “violenza*donne” su www.google.it. Sono stati inoltre analizzati i servizi e le politiche attuate oltre alle iniziative a sfondo culturale e mediatico. Un primo elemento emerge dal salto quantitativo nella produzione di pagine web, che da 4.839 nel 2012, è passata a 11.152 nel 2013 - incre-
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mento dovuto ad alcuni eventi straordinari, quali l’approvazione della Convenzione di Istanbul, il Decreto legge su femminicidio, la Campagna One Billion Rising - a 9.602 nel 2014. La più alta produzione di pagine sul web si registra nel mese di novembre, in concomitanza con la Giornata mondiale contro la violenza sulle donne, come mostrano le tabelle. L’analisi nel dettaglio delle numerose iniziative condotte in Italia per la prevenzione ha poi consentito di trarre alcune conclusioni. Tra i punti di forza è emersa: una nuova immagine vincente delle donne vittime di violenza (“la narrazione mediatica non propone più solo un’immagine di donne vittime passive ma ne valorizza le capacità di reagire, non propone solo un corpo martoriato ma una personalità positiva e vincente che supera l’orrore e diventa esempio per altre donne in una dinamica di riscatto”); un’assunzione di responsabilità del decisore pubblico nella lotta alla violenza contro le donne e una maggiore inclinazione di tutti i soggetti interessati ad un atteggiamento maggiormente proattivo; meno chiacchiere e più azione (nel 2014 sono state dedicate meno pagine web a opinioni e manifestazioni e più pagine per servizi di contrasto e prevenzione). Tra i punti di debolezza: si è confermata una vistosa assenza di uomini; troppi articoli ridondanti; un’eccessiva frammentazione e dispersione territoriale; un’elevata concentrazione dell’informazione in due soli appuntamenti annuali; una insufficiente prevenzione nelle scuole; la non ancora attivata strategia nazionale.
LA PERCEZIONE DELLA VIOLENZA DI GENERE Approccio in chiave generazionale L’indagine condotta da IPSOS (settembre 2014) presso una popolazione italiana dai 18 ai 65 anni “ha fatto emergere come l’Italia rimanga ancora parzialmente ancorata a luoghi comuni, specie in relazione ai rapporti tra uomini e donne”. Infatti prevale l’idea di una figura femminile “in una posizione subordinata rispetto agli uomini”. Nella ricerca del 2015 l’istituto di ricerca ha voluto osservare i “luoghi comuni” in un’ottica generazionale. La tabella indica i 3
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#heForShe, riparte dal Senato sottogruppi individuati in cui solo il 45% si dice “dalla parte delle donne senza se e senza ma” e addirittura il 20% pensa che la donna abbia una qualche responsabilità nell’ingenerare la violenza. “Colpisce quel 19/22% di giovani che dichiara che quello che accade in una coppia non deve interessare gli altri” dichiara Nando Pagnoncelli, tendenza rafforzata nei colloqui individuali tenuti da Chiara Berardi con l’idea che sia l’istinto o il raptus momentaneo determinare la violenza (25%). Le conclusioni dicono che la corretta “promozione da parte dei media, della scuola e delle altre agenzie culturali” di relazioni basate sul riconoscimento e accettazione delle differenze è la precondizione per creare anche nelle nuove generazioni un terreno fertile che aiuti l’affermazione di una cultura del rispetto a sostegno della “relazione tra persone che vada oltre il genere”. ❂
Il 15 dicembre la campagna #heForShe sarà lanciata in Italia con un evento organizzato al Senato dalla vicepresidente Valeria Fedeli . “È indispensabile che gli uomini diventino i protagonisti di questa campagna, perché è da loro che passa la possibilità di contrastare le ragioni profonde della violenza di genere”. L’annuncio Valeria Fedeli lo ha dato intervenendo al convegno di WeWorld (Roma, 17 novembre) per commentare i risultati del rapporto Rosa Shocking2. “Segretario generale ONU, presidente dell’Assemblea, direttrice esecutiva UN Women, gentili ospiti: mi rivolgo a voi perché abbiamo bisogno del vostro aiuto. Vogliamo porre fine alla disparità di genere e, per farlo, abbiamo bisogno del coinvolgimento di tutti. Questa è la prima campagna ONU di questo tipo, vogliamo spronare più uomini e ragazzi possibile a sostenere un cambiamento; e non vogliamo solo parlarne. Vogliamo assicurarci che diventi concreto”. Con queste parole prendeva avvio l’efficace discorso dell’attrice Emma Watson, testimonial della campagna #heForShe che l’anno scorso ha presentato l’iniziativa a livello mondiale.
ALEX BRITTI, IL SUO ‘PERChÈ?’ E WeWorld ‘Perché?’anticipa il nuovo album “In nome dell’amore” ed è il singolo che Alex Britti ha inciso dopo un’esperienza diretta che l’ha visto testimone di una scena di violenza di un uomo contro la moglie. Tutti i diritti del cantante e della It.Pop del singolo “Perché?” sono destinati a WeWorld, ong internazionale che lavora da oltre 15 anni per difendere i diritti di donne e bambini in Italia e nel mondo con campagne di sensibilizzazione e progetti concreti sul territorio. Anche le immagini del videoclip, girato a Roma a Cinecittà Studios con la regia di Ivano De Matteo, saranno usate per la campagna di sensibilizzazione di WeWorld sulla violenza contro le donne.
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Tanto di noi occhi è invisibile agli
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‘PER TE DONNA’, IL CALENDARIO si chiama Cicatrici di Vita e ritrae, mese dopo mese, 12 donne che “vogliono mostrarsi con le cicatrici dovute ad operazioni subite per sconfiggere il cancro”. Chiara Vogliazzo ha preso l’iniziativa e insieme a annalisa, donatella, Federica, Gina, isabella, loredana, luana, raffaella, sandra, simona l, simona r. lancia “un messaggio molto importante: le cicatrici sono profonde nel corpo e nell’anima, ma la rinascita è ancora più forte, si può guarire e uscirne con il sorriso”. Gli scatti sono del fotografo alessandro citti e silvia Gerzeli ha curato make-up & hair mentre a rino d’anna è stata affidata la progettazione grafica. un progetto che propone uno sguardo positivo e sostiene le attività dell’associazione “Per te donna”, che dal 2002 aiuta le donne coinvolte in un’esperienza oncologica.
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VALERIA
FIGLIA D’ITALIA E DEL MONDO
L’ISIS con un’ondata di attentati scuote il mondo, che si interroga su come fermare la furia omicida di feroci terroristi che massacrano persone innocenti in nome di Allah. Il ricordo di Valeria Solesin, vittima italiana uccisa nell’attentato al Bataclan
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entre mandiamo questo numero in tipografia, a Venezia, in piazza San Marco, si stanno svolgendo i funerali di Valeria Solesin (24 novembre 2015), l’unica italiana uccisa negli attentati dell’ISIS a Parigi del 13 novembre. Tutto il paese si è inchinato di fronte alla civiltà con cui la famiglia vive il dolore per la perdita di una figlia esemplare: 28 anni, attivista di Emergency, ricercatrice alla Sorbona. Una donna di oggi, cittadina del mondo impegnata nel dare il suo contributo per migliorare le condizioni di vita di tutti e tutte. Valeria è stata colpita a morte nell’assalto al Bataclan, durante un concerto rock, insieme a tanti altri giovani, ragazzi e ragazze di varie nazionalità. Quella notte
a Parigi il terrorismo ha voluto colpire le persone comuni, cogliendole nei momenti di svago in una grande città europea simbolo della libertà e dell’accoglienza. Le 120 vittime di quella notte di orrore si aggiungono ad una macabra sequenza: gli assalti al museo Bardo e alla spiaggia di Sousse in Tunisia, l’esplosione in volo sul Sinai dell’aereo russo diretto a San Pietroburgo e decollato da Sharm el-Sheikh vanno letti come un unico disegno di strategia del terrore. La lotta per contrastare questa follia globale, che estende le sue radici anche nelle città europee, sarà lunga e per nulla facile. Gli slogan di una politica insulsa sbiadiscono di fronte alla proporzione della sfida che si pone davanti all’umanità, vestita di nero e armata di affilati coltelli ma capace di abbattere aerei. Che il buon senso guidi chi ha il potere di contrastare la barbarie, dalle potenze mondiali fino all’ultimo cittadini. Una strada ce la indica la famiglia di Valeria. “Siamo qui contro ogni fanatismo - ha detto Alberto, il papà -. Il nostro comportamento, definito esempio di compostezza, è dovuto. È dedicato a tutte le Valeria che studiano, soffrono e non si arrendono”. La famiglia Solesin ha impedito che la politica o la rabbia si impossessasse del loro dolore e ha invitato a parlare in Piazza San Marco i rappresentanti di varie fedi, che hanno condannato ogni forma di estremismo e terrorismo praticato in nome del credo religioso. Sabato 21 novembre siamo andate alla manifestazione in piazza SS.Apostoli a Roma e abbiamo raccolto immagini e voci di musulmani e musulmane che rifiutano la violenza dell’ISIS. “Siamo italiane, ci sentiamo italiane e condanniamo questo orrore, che non appartiene alla nostra religione”. Non hanno paura di parlare e si mostrano, famiglie intere, facendosi fotografare con i cartelli scritti a pennarello. “Not in my name”, ripetono. La pioggia non bagna le teste velate e non affievolisce la voglia di esserci per affermare, forte e chiaro, “non nel mio nome”.
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In memoria di Madeleine: lettera aperta all’ISIS di Marta Mariani
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Parigi il clima è ancora di lutto nazionale e nei luoghi del massacro del 13 novembre - rue Bichat, rue de la Fontaine-au-Roi, rue de Charonne, il Bataclan e boulevard Voltaire, Saint-Denis e lo Stade de France – tappeti di fiori e candeline. Tra le molte lettere aperte lasciate nelle strade dove i terroristi hanno sparato e ucciso, ne abbiamo scelta una. È una lettera molto toccante, perché capace di suonare, pur nella rabbia, corde insolite (come la pietà e la compassione) e capace di rinunciare a reazioni più basse, per quanto più immediate e naturali. È perfino ironica, certo dolente, ma in alcuni punti di lancinante amarezza, addirittura forte di una vibrante umanità. È scritta in memoria di Madeleine, cugina dell’autore morta durante gli attentati. La traduciamo per ricordare che l’essere umano è capace anche di questo. Dal blog di Simon Castéran, affermato giornalista indipendente di Tolosa. “Mio caro Daech, sì, ho letto il tuo vittorioso comunicato
stampa. Come si può ben immaginare, devi essere contento del successo degli attacchi di venerdì sera a Parigi. Massacrare dei civili innocenti che non chiedevano altro se non godersi una sana partita di calcio, un concerto rock o, semplicemente, un piccolo ristorante in compagnia di qualche amico, tutto questo ti sfoga, non è vero? Allora certo, non ti fanno troppo effetto i milioni di soprusi e le violenze commesse quotidianamente (da anni ormai) in Iraq e in Siria. Bisognava che ti imponessi e ti affermassi sul mercato occidentale nella tua veste di multinazionale di codardi e di impotenti. Felicitazioni! Grazie ai tuoi sordidi e sanguinosi fatti, il marchio Daech è ora più forte che mai. Ha stinto perfino il ricordo di Al-Quaeda che, accanto a te, sembra ormai un’organizzazione quasi ragionevole. E quindi hai ucciso. Oh, certo, non per il mero gusto del sangue e della violenza, ma piuttosto nel nome di ‘Allah, il Sommo Misericordioso’. Io, che credevo che la ‘misericordia’ sottintendesse la bontà e l’indulgenza nei confronti de-
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gli altri, farei meglio a buttare al secchio il mio dizionario. Farei meglio a comprarmi un kalachnikov e delle granate per andare ad elargire, anch’io a mia volta, amore e compassione... ovunque voi vi troviate... prima di lasciare, sui vostri benedetti corpi, la foto di mia cugina Madeleine, che la vostra misericordia ha vilmente assassinato venerdì al Bataclan. L’aveste conosciuta, quanto l’avreste immediatamente detestata! Era una donna libera e felice, piena di quella luce interiore che vi manca tanto. Orrore supremo: era anche un’intellettuale, che amava il suo mestiere di professoressa di lettere nelle scuole medie. Perché è chiaro, da noi le donne hanno non solo il diritto di essere educate, ma anche di insegnare. Così come hanno il diritto di andare
dove gli pare, di ascoltare la musica, di bere un bicchiere e di amare chi gli piaccia. Senza né burqa, né violenza. Quindi, detto in breve, di godere di quella libertà che vi fa tanto orrore. E di cui Parigi ‘la capitale degli abominii e della perversione’, tu dici, si è fatta da tempo rappresentante. Sì, care sorelle e cari fratelli, è fuor di dubbio: l’abominio e la perversione non è da cercare nel massacro degli innocenti perpetrato dai fanatici bardati di armi, che trasfor-
mano il Corano in un manuale del perfetto terrorista, ma piuttosto in questa vita pagana, fatta di piaceri e di gioie. Questa ‘festa della perversione’ che riunisce, di settimana in settimana, dei milioni di ‘idolatri’, i quali, anziché adorare la Morte come voi fate, ‘divorziando dalla vita triviale di qui’, preferiscono raccogliersi per chiacchierare insieme, in un momento di condivisione e di adorazione dell’esistenza. Alla luce di questo, mio piccolo, ridicolo, meschino Daech, ti devo una confessione: anche io sono un perverso e un idolatra. Amo la vita, il rock, i ristoranti e, persino alle volte, guardare una partita di football. Mea culpa, mea maxima culpa. Sono un Crociato, come tu dici, un Crociato della libertà, dell’amore e della convivialità; con la differenza, tuttavia, che contrariamente a te, io sono cresciuto dopo il Medioevo. La mia religione non è fatta di ferro e di sangue,
come la tua, ma di carne e di speranza. E poi, se vuoi un savio consiglio, mio caro Daech, sbrigati: che la Storia ti è alle calcagna, come già il secolo dei Lumi che tu vuoi spegnere minacciandolo dall’alto del tuo anacronistico califfato. ‘Allah è il più grande’, tu scrivi. ‘Ora, è ad Allah che va tutta la potenza, così come al Suo messaggero e ai suoi credenti’. Ma gli ipocriti non lo sanno” (sura 63, versetto 8). Su questo punto non posso darti ragione. Che lo si chiami Dio, Yahveh o Allah, l’Onnipotente non ha affatto bisogno che si uccida nel suo nome, né che si corrompano le sue leggi. Allora, perché continuare ad uccidere? Il tuo Signore è forse così debole, nel tuo spirito, che non riesce ad agire e operare da solo? Non posso crederci. Credo, invece, che ti faccia comodo il Suo silenzio. Uccidendo nel nome stesso dell’Islam e dei musulmani pretendi difendere (di fatto assassinando) la Creazione divina. Questo fa di te un empio, un peccatore, ancora più colpevole dei credenti per te tanto esecrabili, o dei pagani che noi tutti siamo. Ma questo, gli ipocriti non lo sanno”.
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LE KAMIKAZE BAMBINE DEL CAMEROUN di Emanuela Irace
I terroristi di Boko Haram fanno esplodere tra la folla bambine costrette a indossare cinture che portano la morte
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l colonnello Didier è il portavoce del ministero della difesa del Cameroun . Un ministero strategico da quando a fine luglio gli attentati suicidi di Boko Haram hanno annullato ogni possibile resistenza dell’esercito. Un’evoluzione di strategia che fino ad oggi utilizzava mine ed esplosivi sul territorio. Una mattanza, specie per le popolazioni dell’estremo nord del paese, ai confini con la Nigeria, lo stato che ha allevato Boko Haram. Il gruppo terrorista affiliato al Daesh che arruola con la forza o volontariamente migliaia di giovani combattenti. Sono soprattutto ragazze. Bambine che si arrabattano, con una età tra i dieci e quindici anni. Senza istruzione e senza mezzi. Venditrici ambulanti di datteri che per 10 dollari diventano portatrici di morte, spesso inconsapevolmente. Le cinture di esplosivo ai fianchi sembrano una merce e poi ti pagano bene per trasportare quella merce così preziosa. E tu lo fai perché tua madre ha altri sei figli e pensi di esserle d’aiuto così, con i dieci dollari che porterai a casa la sera, senza sapere che da qualche parte c’è qualcuno che premerà un tasto e bum, di te e della tua cintura non resterà niente. Esplosione a distanza. L’evoluzione del jihadismo nel Cameroun passa attraverso i corpi delle bambine e il colonnello Didier lo sa, ma ha pochi mezzi per contrastare l’offensiva di Boko Haram, traduzione letterale di “l’educazione occidentale è peccato”. Nonostante le politiche tra paesi confinanti per coordinare le azioni anti terrorismo comuni all’area. Nonostante la difficoltà di ottenere risultati, quando i 5 stati del Sahel premono per rigettar fuori dai propri confini i guerriglieri jiahdisti che così si riversano nei paesi limitrofi. Come in Cameroun che da due anni lotta senza alcun supporto esterno. Per fortuna c’è l’ONU. Il 13 luglio il dipartimento della si-
curezza delle nazioni unite manda una informativa, per aiutare le forze governative a smascherare i jihadisti in cui si legge: “Sono individui sospetti la cui attitudine suggerisce siano portatori di materiale esplosivo artigianale. Bisogna fare attenzione al viso, più chiaro dove la barba è stata rasa da poco. Sono individui molto concentrati e attenti, spesso parlano tra sé e sé, molto probabilmente perché recitano l’ultima preghiera. Indossano vestiti sporchi e pesanti. E camminano con determinazione”. Una descrizione che non funziona in Cameroun e Didier lo sa, le sue bambine indossano abiti leggeri e puliti e non si fanno la barba. E intanto muoiono. Come le quattro donne che lo scorso 21 novembre sono saltate in aria uccidendo capo villaggio e famiglia, in un sobborgo di Fotokol, a pochi chilometri dalla capitale del Tchad dove il 19 si era aperto il summit
G5 Sahel contro il terrorismo. In Italia lo chiameremmo un avvertimento, in Cameroun è l’ennesimo attentato che fa psicosi tra la gente. In una intervista rilasciata al “Cameroon Tribune” il colonnello Didier Badjeck spiega: “A volte l’esplosivo viene semplicemente consegnato alle giovani che ignorano cosa contenga il pacco che trasportano. Sono ragazzine e adolescenti provenienti dagli ambienti più disagiati. Quando i terroristi le vedono arrivare in mezzo alla folla si aziona un comando a distanza e la bomba esplode. Abbiamo raccolto molte testimonianze al riguardo e sappiamo che questa modalità viene ormai utilizzata sempre più spesso”. Diversamente dalla Nigeria, dove Boko Haram utilizza la tecnica dei sequestri di massa e le giovani kamikaze “scelgono” di darsi la morte per porre fine al calvario della prigionia e sfuggire a torture sessuali. Come nel caso delle liceali rapite a Chibok nell’aprile 2014.
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AGRICOLTURA SANA E NELLA LEGALITÀ di Tiziana Bartolini
L’economia pulita della Puglia che rispetta le leggi e guarda all’innovazione. Conversazione con Rosaria Ponziano, presidente regionale di Donne in Campo
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oi in Capitanata combattiamo il caporalato da oltre venti anni e lo facciamo per un fattore umano, per una questione di etica e anche per non essere danneggiati. Bisogna che si sappia che questa lotta, anche come Cia, la facciamo tutti i giorni e non solo quando scoppia lo scandalo. Purtroppo le buone azioni quotidiane non fanno notizia”. Rosaria Ponziano, presidente Donne in Campo Puglia, è titolare dell’azienda che porta il suo nome e che sottolinea la scelta produttiva del biologico con la specifica ‘Società agricola bio2P’. Le parole di Rosaria vengono dal cuore ma non perdono mai di vista il centro del problema. “La questione del caporalato indebolisce il nostro reddito allontanando le aziende che si sono rifiutate di vendere i prodotti delle nostre terre o le industrie di trasformazione che non hanno più fatto contratti con noi. Il problema c’è, non lo neghiamo, ma vanno valorizzati anche i risultati raggiunti in tanti anni di contrasto al modo di operare di questi delinquenti, perché questo sono: delinquenti. Rappresentano il retaggio di una cultura medievale che approfitta dei bisogni dei più deboli e sfrutta migranti e italiani facendoli lavorare con paghe da fame. Non dimentichiamo che anche il Trentino ha questo problema, solo che da noi fa più scalpore”. Certo, è difficile liberarsi dello stereotipo anche quando le azioni di contrasto - forti, articolate e prolungate nel tempo - hanno effetti positivi. “Durante i suoi dieci anni
di governo della regione, Nichi Vendola è stato molto vicino a noi agricoltori con azioni concrete. Nel foggiano, per esempio, un accordo per la raccolta dei pomodori prevedeva un abbattimento dei costi della mano d’opera che ci ha consentito di mettere un bollino aziendale. In questo modo abbiamo preso a lavorare in regola tanti africani o polacchi che vivevano nei ghetti, abbiamo restituito loro una dignità di persone oltre che di lavoratori. La stessa Unione europea ha contrastato questa pratica attivando il fascicolo aziendale. Una notevole attenzione la sta dimostrando anche il ministro delle politiche agricole Maurizio Martina, con un decreto legge che prevede la confisca dei patrimoni ai caporali identificati. Insomma si è fatto molto e non bisogna mai dimenticare che le aziende in regola sono la stragrande maggioranza. Le poche fuori legge ci danneggiano tantissimo ed è interesse di tutti isolarle e denunciarle; posso assicurare che sono una razza in via di estinzione. L’agricoltura vera è un lavoro serio che non si improvvisa ed è l’unica che nel lungo periodo riesce a tenere. In più, il contrasto avviene con un’alleanza di soggetti interessati ad operare nella legalità lungo tutta la filiera, dalla produzione alla consegna dei vari prodotti e oltre alle leggi c’è il sostegno importante dell’Europa”. A proposito di Europa, è interessante quello che dice Rosaria della scelta delle coltivazioni biologiche. “La mia azienda nasce nel 1998 con agricoltura convenzionale e nel 2010 introduciamo il biologico. Tuttora manteniamo in modo parallelo sia il convenzionale che il biologico con produzione integrata. Perché questo doppio binario? Io credo nell’agricoltura convenzionale, che garantisce ai consumatori produzioni
STRATEGIE
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di Cristina Melchiorri
PASSIONE O CALL CENTER?
di qualità grazie alle norme italiane ed europee. Il biologico ha delle marcature in più per i pochissimi prodotti chimici che sono consentiti; in Italia siamo i portabandiera del biologico e noi agricoltori ci crediamo molto. Infatti le statistiche dicono che in Italia ci sono più aziende agricole biologiche rispetto ad altre nazioni, che pian piano si stanno avvicinando. Noi siamo così avanti perché in Italia guardiamo di più alla tutela dell’ambiente e, nonostante l’agricoltura non sia valorizzata a livello nazionale, tiriamo il carro dell’economia nazionale”. È interessante sapere come ha vissuto l’Expo una donna del mezzogiorno dal punto di vista, anche, dell’imprenditrice agricola. “Expo mi è piaciuta tantissimo, parlo da donna e da visitatrice. Mi ha dato l’opportunità di toccare il mondo e di vedere tradizioni basate sul cibo e sull’agricoltura. Questa è stata la sensazione che ho provato visitando i vari padiglioni. L’unica pecca, poiché era basato sul cibo, è che ha prevalso la tecnologia, l’agricoltura è rimasta un po’ in ombra. Dominavano il presente e il futuro e, tranne in alcuni padiglioni, le tradizioni sono state oscurate”. Arriviamo a parlare di Donne in Campo e, alla presidente della Puglia, chiediamo come vede questa associazione, qual è il contributo che porta. “La sento mia perché è un’associazione di donne, e come sempre noi donne dobbiamo combattere le tante diversità che ci accomunano rispetto agli uomini. Inoltre rappresenta una priorità nella Cia, che ci ha dato l’opportunità di esprimerci in piena liberta. Questo ha consentito all’indole della donna di emergere. Abbiamo dato un grande contributo all’idea di cura dell’ambiente compatibile con la possibilità di avere reddito. Poi abbiamo dimostrato, nella pratica, in che modo la campagna può contribuire nel sociale come, ad esempio, con gli agriasilo e agrinido. Siamo riuscite a fare in modo che tornassero i semi autoctoni in un’idea di valorizzazione delle tradizioni e al tempo stesso abbiamo accolto e usato le nuove tecnologie e le innovazioni. Ecco, tutto questo è il portato delle donne in Cia. Siamo la tradizione e l’innovazione. Poi, solo il fatto di incontrarci e guardarci ci fa sentire vicine. Insomma, con Donne in Campo mi sento a casa, anche quando incontro nuove donne e anche se sono di un settore che non conosco. È straordinario vedere le laureate, per esempio che scelgono di tornare in campagna e portano nell’agricoltura il loro bagaglio di studi che diventa patrimonio di tutte e dell’associazione. È una cosa bellissima. Sì, sono molto contenta di far parte di questa comunità”.
Sono Elisa ho 27 anni e una laurea in lettere, con un sogno: fare la giornalista sportiva. In questi tre anni dopo la laurea ho tentato in vari modi di entrare in contatto con molte emittenti televisive, ma mi sono arrivate le stesse considerazioni: una donna a commentare le partite? Mah! Se vuoi provare gratis per le competizioni minori… Poi, per caso un mio compagno di università mi ha detto che sta lavorando in un call center e che cercano altro personale. Non so neppure quali caratteristiche dovrei avere per fare questo lavoro che mi pare così banale… guadagnare mi serve... ma che senso ha avuto studiare tanto per questo? Elisa Mottini (Milano)
Cara Elisa sono tre le questioni che poni. Cominciamo dai requisiti necessari per lavorare bene in un call center. Ovviamente l’obiettivo del lavoro è saper gestire e risolvere un problema segnalato da chi chiama il call center, il tuo cliente. Il che significa che riceverai una formazione preliminare sul contenuto tecnico e procedurale delle materie che tratterai. Perché dovrai comprendere velocemente qual è il problema e soprattutto saper proporre la soluzione migliore altrettanto velocemente. Il tutto filtrando le emozioni negative mantenendo la calma anche con chi è in collera perché lamenta un disservizio, un pacco non giunto a destinazione, un’utenza staccata, un guasto…Dovrai anche avere la capacità di non annoiarti o infastidirti per la monotonia o la ripetitività dei problemi posti dai clienti. E di mantenere una voce cordiale, “sorridente”, gentile, consapevole che rappresenti la azienda e non te stessa. È anche un’attività che richiede di lavorare per turni, compresi orari in cui i tuoi amici e famigliari sono liberi. Tre qualità in sintesi: saper ascoltare in modo empatico; elaborare le informazioni; dare la soluzione in modo rapido ed efficiente. Naturalmente dovrai avere familiarità con la maggior parte degli ambienti e programmi informatici e il software della società per cui lavori per scambiare dati sui problemi e relative soluzioni. Se ci pensi bene non c’è nulla di banale in queste attività. E allenarti all’uso professionale della voce non potrà che giovarti quando commenterai le partite. Non accantonare il tuo sogno. Coltivalo e renditi disponibile a farlo gratis, in un primo tempo. Se hai passione, capacità, costanza e determinazione vedrai che queste doti emergeranno. E avremo una cronista sportiva che sa persino parlare un perfetto italiano!
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I MURI CHE DIFENDONO L’IDENTITÀ EUROPEA
LE BARRIERE HANNO LIMITATO L’AFFLUSSO DI MIGRANTI IN UNGHERIA. LE DIVISIONI DELLA POPOLAZIONE TRA CHI CONDIVIDE LE SCELTE GOVERNATIVE E CHI OFFRE AIUTO ALLE FAMIGLIE IN TRANSITO
UNGHERIA
di Massimo Congiu
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er circa tre mesi intere famiglie di migranti hanno dormito pure “Se vieni in Ungheria devi rispettarne la cultura e le leggi”. nei sottopassaggi della stazione Keleti (Orientale) di BuIn precedenza il primo ministro Viktor Orbán aveva chiarito il dapest. Per loro le autorità cittadine avevano approntato suo punto di vista sul fenomeno dell’immigrazione che condelle aree cosiddette di transito dove gli “attendati” potesidera negativo da tutti i punti di vista. Il premier non ritiene vano usufruire di acqua corrente da bere e da usare per l’igiene opportuno che genti di altre culture si mescolino agli ungheresi. personale. L’orientamento assunto dall’esecutivo ha provoLa disposizione del comune non è stata apprezcato la critica dell’opposizione di centro-sinistra zata dall’estrema destra di Jobbik che vedeva che ha definito vergognosa la campagna goIL SENSO DI nei migranti una presenza ingombrante dal punINQUIETUDINE vernativa sul tema migranti e ha stigmatizzato PER IL FENOMENO to di vista dell’igiene e della sicurezza pubbliche il nesso tra immigrazione e terrorismo stabilito DEI MIGRANTI È e chiedeva che i medesimi venissero cacciati dalle autorità di Budapest. Questa critica è conSTATO ACCENTUATO dalla zona. In poco tempo è sorto un dibattito divisa dai settori progressisti della società civile E INCORAGGIATO sulla qualità dell’accoglienza ai migranti da parche si sono attivati in modo concreto contro le DALLA PROPAGANDA te delle istituzioni e della popolazione. Quest’ultiiniziative del governo. Gruppi di persone hanno GOVERNATIVA ma è risultata divisa tra chi di migranti e profughi stracciato e pasticciato i manifesti in nome della non voleva sentirne parlare e chi invece riteneva disobbedienza civile; alcuni manifestanti sono fosse il caso di assicurare aiuto e solidarietà a stati fermati dalla polizia. quanti fuggivano dai loro paesi e si trovavano temporaneamente La disapprovazione degli ambienti ostili al sistema rappresenin Ungheria. Nella maggior parte della popolazione si è diffuso tato da Orbán e quella della comunità internazionale non hanno un senso di inquietudine a fronte di un fenomeno che è indubbiafermato il governo ungherese che ha realizzato le barriere mente di notevole portata, ma questo sentimento è stato accenantimigranti illegali ai confini con la Serbia e la Croazia. Le tuato e incoraggiato dalla propaganda governativa. due strutture sono state erette per fermare i numerosi miPrima dell’estate l’esecutivo ha inviato agli ungheresi un quegranti che, provenienti per lo più da Siria, Afghanistan, Iraq stionario chiamato “Consultazione nazionale sull’immigrae Pakistan, seguono la cosiddetta rotta balcanica per entrazione e il terrorismo”; i destinatari dovevano rispondere a dodire in Ungheria e da lì raggiungere i paesi più ricchi dell’Europa ci quesiti sull’argomento, nessuno dei quali formulato in maniera occidentale. Ancora adesso alcuni migranti arrivano ai punti di tale da presentare in modo positivo la figura del migrante. In quel ingresso ufficiali al confine serbo-ungherese ma le domande di periodo a Budapest e nelle altre città ungheresi sono comparsi asilo vengono respinte. La sezione ungherese del Comitato di cartelloni recanti messaggi ai migranti, scritti in ungherese: “Se Helsinki fa notare che la cosa avviene in aperta violazione delle vieni in Ungheria non puoi portare via il lavoro agli ungheresi” opnorme europee.
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L’esecutivo difende la sua politica; insieme ai governi slovacco, ceco e romeno non ha mai condiviso il principio delle quote obbligatorie che secondo Orbán sarebbe accettabile solo se i paesi europei fossero realmente capaci di difendere i loro confini. Per Budapest il modo migliore di gestire l’emergenza migranti è proteggere in modo efficace le frontiere nazionali e quindi quelle di Schengen. Il premier ungherese continua quindi a sostenere la linea della fermezza. Si trova in disaccordo con la politica dell’Ue sull’immigrazione che definisce fallimentare e aggiunge che non accetta la parte del cattivo europeo, lui che dà prova di impegnarsi per tutelare l’Europa da flussi sempre più imponenti di migranti
che mettono in pericolo la sopravvivenza del continente inteso come entità culturale ben precisa. Il governo ungherese ha intrapreso un percorso basato sulla difesa della sicurezza nazionale per recuperare i consensi perduti in questi anni ed è riuscito a ottenere dei risultati discreti stando ai sondaggi condotti nel mese di settembre. Secondo l’Istituto Publicus l’opinione pubblica è moderatamente soddisfatta della gestione della crisi da parte dell’esecutivo ma la critica c’è e nei mesi scorsi ha trovato espressione in manifestazioni pubbliche contro la politica del governo e a sostegno IL GOVERNO dei migranti. “Not in my name”, è stato lo UNGHERESE, slogan del corteo che agli inizi di settemINSIEME A QUELLO bre si è diretto alla piazza antistante il ParSLOVACCO, lamento per protestare contro scelte che i CECO E ROMENO, dimostranti hanno definito prive di umanità. NON HA MAI Per i migranti attendati nei sottopassagCONDIVISO
IL PRINCIPIO UE DELLE QUOTE OBBLIGATORIE
gi della Keleti e per quelli che in questi mesi hanno raggiunto altre località del paese si è mobilitata la solidarietà sotto forma di raccolta di alimenti, abiti, medicine e beni utili alla cura dei bambini. L’iniziativa è stata realizzata grazie all’intervento di organizzazioni e gruppi di attivisti quali Migszol, Menedék, Amnesty International Hungary che si sono impegnate a fondo per sensibilizzare l’opinione pubblica all’argomento e provare ad aiutare concretamente i migranti. Sempre a settembre questi ultimi si sono riuniti in gruppi che hanno deciso di lasciare la Keleti per recarsi a piedi al confine austriaco, visto che i treni non partivano e la situazione non si sbloccava. Lungo la marcia, durata fino all’arrivo dei bus inviati per accompagnarli alla frontiera, i migranti sono stati aiutati da ungheresi che hanno offerto loro acqua e generi alimentari. Secondo la recente inchiesta di Publicus la maggior parte dei connazionali di Orbán è contraria all’accoglienza dei profughi ma due terzi di loro ritengono che aiutarli sia un dovere morale. Non la pensano così le autorità di Ásotthalom, piccolo centro abitato prossimo al confine con la Serbia: alle stazioni dei bus sono comparsi dei cartelli che mettevano in guardia la cittadinanza dalle malattie contagiose diffuse dai migranti e ammonivano la gente a non toccare gli oggetti lasciati da loro per strada. Il sindaco di questo piccolo comune si chiama László Toroczkai ed è un esponente di Jobbik. Il mese scorso è apparso in un video mentre avvertiva minaccioso i migranti illegali di non entrare in Ungheria e soprattutto di non passare per la città da lui governata. A settembre le immagini della operatrice tv che scalciava e sgambettava i migranti, tra essi un padre con il suo bambino, ha fatto il giro della rete dove i commenti sono stati numerosi. Tra essi quelli di alcune sue connazionali, unanimi nel considerare il gesto ancora più odioso proprio perché commesso da una donna.. ❂
UNGHERIA
PROTESTE CITTADINE CONTRO LE SCELTE GOVERNATIVE DEFINITE PRIVE DI UMANITÀ. “NOT IN MY NAME” LO SLOGAN DELLA MANIFESTAZIONE DI SETTEMBRE NELLA PIAZZA DEL PARLAMENTO
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PRATICHE PACIFISTE TRE RESISTENTI A ROMA
L’alternava alla guerra e alla violenza è possibile. E parla la lingua delle donne. La rivista “Confronti” con il progetto ‘L’altra via’ valorizza le esperienze di Selay Ghaffar (Afghanistan), Ozlem Tanrikulu (Kurdistan) e Rada Zarkovic (Bosnia Erzegovina)
roma
di Stefania Sarallo
L’
altra via. Dal conflitto alla ricostruzione: strategie al femminile è il nome del progetto che impegna la rivista Confronti dal 2012. Obiettivo dichiarato, quello di dare sostegno a piccole esperienze imprenditoriali promosse da donne che vivono in aree interessate dal conflitto; donne appartenenti a gruppi religiosi ed etnici diversi che, nell’ambito di un più ampio processo strutturale di ricostruzione del tessuto sociale ed economico che interessa i loro Paesi, hanno deciso di impegnarsi in prima persona, costituendo attività imprenditoriali e associazioni nel settore del microcredito, dell’emancipazione femminile e dell’assistenza sociale. Quando parliamo di un’altra via ci riferiamo a un diverso modo di pensare ed agire, tutto al femminile: l’altra via è un’alternativa sociale ed economica al “sistema”, un percorso fatto di cura e condivisione di ideali prima ancora che di lavoro; è un impegno politico volto alla risoluzione pacifica dei conflitti. L’altra via, ancora, è una strada sterrata ma ben battuta da coloro che, di fronte alle piccole difficoltà della vita quotidiana così come ai grandi ostacoli che in tempo di guerra impediscono lo svolgersi della vita stessa, decidono rimboccandosi le maniche, per sé stesse e per i loro figli, ma anche per una società e un territorio che intendono valorizzare e alla cui ricostruzione vogliono contribuire. L’altra via è quella che hanno voluto tracciare, tra le altre, Selay Ghaffar (Afghanistan), Ozlem Tanrikulu (Kurdistan) e Rada Zarkovic (Bosnia Erzegovina) protagoniste del convegno “Voci di donne che resistono” (promosso da Confronti, grazie al sostegno dell’8 per mille della Chiesa valdese) che ha avuto luogo a Roma lo scorso 15 ottobre presso la Federazione Nazionale Stampa Italiana. Tutte e tre, nonostante i differenti ambiti di azione e contesti geografici e culturali di provenienza, condividono una stessa visione del mondo, e proprio per questo hanno scelto di
Selay Ghaffar
Ozlem Tanrikulu
Afghanistan
Kurdistan
Rada Zarkovic Bosnia Erzegovina
confrontarsi con il pubblico italiano e narrare le loro esperienze di resistenza. Tutte e tre hanno scelto di abbracciare una causa, politica ed economica, e di farne una missione di vita, ed hanno testimoniato il coraggio che le spinge a lavorare per il superamento della barriere etniche e religiose tracciate a tavolino. Selay Ghaffar è portavoce ufficiale di Hambastagi (Partito della Solidarietà dell’Afghanistan), l’unico partito di opposizione attualmente presente nel Paese. Giovane e carismatica, si occupa di diritti umani sin dall’età di 13 anni quando, profuga con la famiglia in Pakistan, avvertì l’urgenza di fare qualcosa di concreto per il suo popolo, proprio a partire dall’educazione, perché l’istruzione è il primo passo verso qualsiasi forma di autodeterminazione. Da questa
esperienza di volontariato in favore di donne e bambini, nasce nel 1999 l’Humanitarian Assistance for the Women and Children of Afghanistan (HAWCA), associazione che attualmente presiede, attiva anche in Pakistan. La decisione recente di accogliere un incarico di grande visibilità all’interno di Hambastagi, invece, scaturisce dalla constatazione da parte di Selay che il lavoro nelle organizzazioni umanitarie non è di per sé sufficiente: un vero cambiamento, più incisivo e duraturo, capace di intaccare il sistema e non solo di trovare soluzioni ai danni che esso arreca, si può ottenere soltanto attraverso l’azione politica. L’obiettivo principale di Hambastagi è proprio quello di perseguire la parità dei diritti tra donne e uomini, oltre alla laicità dello stato, impresa non certamente semplice in un paese come l’Afghanistan che, secondo un recente sondaggio, è in assoluto il più pericoloso al mondo in cui una donna può vivere. Un paese dove le donne, accusate per sedicenti reati morali, subiscono da quarant’anni le pene più atroci e degradanti che vanno dalle violenze di gruppo alle lapidazioni, fino alle acidificazioni; dove carcerazioni e torture sono all’ordine del giorno. Diverso da quello di Selay, ma non meno complesso, è lo scenario descritto da Rada Zarkovic, Presidente della Cooperativa bosniaca “Insieme”, volto senz’altro noto a molte lettrici di NOIDONNE. È lei a mostrare a tutti noi “l’altra via possibile”, quella tracciata attraverso il lavoro, che oggi, dopo anni di impegno e perseveranza, comincia a dare i suoi frutti. Storica femminista e pacifista jugoslava, profuga a Belgrado con le Donne in Nero, Rada non è solo un’imprenditrice e il suo progetto è qualcosa di più di un’impresa economica. I frutti cui allude, infatti, non solo soltanto le more, i lamponi e i mirtilli coltivati biologicamente dai soci della Cooperativa sulla riva della Drina, a pochi chilometri da Srebrenica, utilizzati poi per la produzione di marmellate; i frutti che oggi raccolgono sono anche quelli che hanno portato al ripopolamento dell’area attorno a Srebrenica, tragicamente desertificata dopo il genocidio dell’11 luglio del 1995. La Cooperati-
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va Insieme ha dato una risposta concreta ai bisogni di un territorio massacrato, coinvolgendo donne (ma anche uomini) in un progetto che proprio attraverso il lavoro sta ricucendo un tessuto sociale smembrato, riallacciando le relazioni lacerate a partire dalla condivisione del dolore dell’altro. Rada, d’altronde, ha sempre resistito ai tentativi di strumentalizzazione politica volti a sottolineare le “differenze etniche” tra le lavoratrici della cooperativa. “Tutti si aspettano da noi lamenti e manifestazioni di dolore, racconti delle perdite subite - afferma Rada richiamando uno stato delle cose che vuole le sue donne sempre e soltanto delle vittime, vedove di guerra bisognose di aiuto -. Io non sono qui per rappresentare il dolore di nessuno, neanche il mio. Sono qui per parlare di donne che hanno deciso di prendere la propria vita in mano, che sono state capaci di guardare al futuro invece di lamentarsi per quello che è stato”. “Un altro mondo è possibile ma solo se costruito dalle donne con le donne”, conclude Ozlem Tanrikulu, presidente dell’Ufficio informazione del Kurdistan a Roma e membro del Congresso Nazionale del Kurdistan, ammiccante verso le compagne. È lei a richiamare l’attenzione verso un altro tipo di resistenza, ben nota a noi tutti: quella delledonne curde che lottano a Kobane (nel Rojava, Siria) come a Bakur, in Turchia, contro l’avanzata dell’ISIS. Una lotta, sottolinea, che al dì là dei sensazionalismi e della strumentalizzazione mediatica, ha avuto origine negli anni Settanta, quando il movimento delle donne curde ha assunto dovunque il carattere di un movimento di ricostruzione della società e dell’economia che parte dal basso; un percorso di contrapposizione a un sistema patriarcale e/o clanico e/o religioso che distrugge, uccide. Un percorso, certamente, che richiama la vita, della quale la donna è unica portatrice. b Foto gentilmente concesse da Mario Boccia
EGITTO
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DIRIGERE IL TRAFFICO
PER COMBATTERE GLI STEREOTIPI Su più fronti le donne stanno lavorando per affermare la loro presenza nella vita pubblica
Il Cairo. È recente l’avvio del progetto fortemente voluto dal Ministero della Gioventù e dello Sport in collaborazione con il Ministero degli Interni che intende coinvolgere un numero sempre più alto di donne nel ruolo di vigilesse per i prossimi anni.
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all’inizio di settembre sono 20 le donne tra i 18 e 25 anni assunte per dirigere il traffico nelle strade della capitale egiziana. Chiamate a lavorare su turni giornalieri di otto ore, le neo vigilesse sono state dislocate in diversi punti della città con il compito di sanzionare le irregolarità e infrazioni strdali. A piazza Kit Kat, zona molto trafficata della metropoli, troviamo Asmaa Ramadan, una ragazza di 20 anni che ci racconta la sua esperienza appena iniziata. “Ho lasciato la farmacia in cui lavoravo per questo incarico. Per me si tratta di una vera e propria sfida economica e personale. Anche se guadagno solo 20 lire egiziane al giorno, sono felice della decisione presa. Sono qui per sfidare anche la società maschilista che sicuramente non vede di buon occhio una donna che dirige il traffico”. Dopo aver letto l’annuncio di lavoro postato sul sito del Ministero della Gioventù nel mese di maggio, Asma non ci ha pensato due volte ed ha subito presentato la sua candidatura. Passata la prima selezione, ha poi iniziato il corso di formazione durato tre mesi e da poche settimane ha preso servizio. “Non avrei mai pensato di controllare la mobilità delle auto. Oggi invece sono qui e lo faccio con grande attenzione. Ogni giorno vengo schernita dagli automobilisti e dalle automobiliste che
mi guardano come fossi una matta. Sembrerà strano, ma fare questo lavoro mi sta aiutando ad essere me stessa e a non aver paura di ritrovarmi da sola per strada. Se c’è chi mi deride, ci sono anche quelli che mi sostengono e mi incoraggiano ad andare avanti come fanno i miei genitori”. Nonostante le difficoltà, Asmaa non demorde e spera che vedere più colleghe in servizio possa aiutare la società a mutare. “Questo lavoro può veramente cambiare la percezione delle donne, che possono e devono scegliere cosa vogliono dalla loro vita e che lavoro vogliono fare”. Asmaa è molto fiera delle cinque multe elevate nel suo primo mese di lavoro. “Non mi piace multare, ma se le norme stradali vengono infrante, devo per forza sanzionare. Vorrei che il mio lavoro aiutasse le persone che si trovano al volante di una macchina a rispettare il codice della strada per la loro sicurezza e per quella degli altri”. Per Mona Ezzat dell’organizzazione non governativa egiziana Nuova Donna “vedere una donna che dirige il traffico aiuta a eliminare gli stereotipi di genere ancora forti in Egitto affermando l’idea che le donne possono fare professioni qualificate e che hanno il diritto di scegliere il lavoro che vogliono. Inoltre tante presenze femminili nel settore pubblico può aiutare a ridurre il rischio di molestie e di violenza di genere dal momento che induce la società ad abituarsi all’idea che ci siamo e che siamo parte attiva nella vita del Paese”. Ali Aboul Fotouh, vice capo della Direzione Gioventù, nonché uno dei funzionari del Ministero incaricato del monitoraggio del progetto, conferma la volontà da parte del Governo egiziano di voler aumentare il numero delle vigilesse. Superata la prima fase che si conclude alla fine dell’anno, nell’estate 2016 inizierà la seconda che avrà una durata molto più lunga. Tutte le donne che vorranno prestare servizio sono però chiamate a soddisfare alcuni requisiti, tra cui quello dell’altezza, che non deve essere inferiore a 155 cm, e devono avere un titolo di scuola superiore. b
egitto
di Zenab Ataalla
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ROYA, ALKA E IL LORO FESTIVAL
AFGHANISTAN
UN MESSAGGIO DI SPERANZA
LE AVEVAMO CONOSCIUTE NEL 2008. GIOVANI DETERMINATE A FARE LE REGISTE, UN LAVORO IMPENSABILE IN AFGHANISTAN PER LE DONNE. NOIDONNE LE HA SOSTENUTE CON IL PROGETTO ‘IL SOGNO DI ROYA E ALKA’, CHE MOLTE NOSTRE LETTRICI RICORDANO. IL SOGNO HA CONTAMINATO LA REALTÀ E DOPO ANNI LE INCONTRIAMO DI NUOVO E GUIDANO UN LORO PROGETTO: UN FESTIVAL INTERNAZIONALE DEL CINEMA DELLE DONNE. ENTRAMBE SONO DIVENTATE MADRI E SONO CRESCIUTE PROFESSIONALMENTE, NONOSTANTE LE CONDIZIONI DEL LORO PAESE E DELLE DONNE NEL LORO PAESE. NONOSTANTE TUTTO.
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oche settimane fa si è concluso, in Afghanistan, il Festival Internazionale del cinema delle donne che si è tenuto dall’11 al 13 ottobre. Il festival ha avuto luogo nella splendida ed antica città di Herat, una cornice ideale per le immagini e le parole di coloro che hanno voluto raccontare frammenti di un mondo fatto di realtà, drammi quotidiani e speranze. La rassegna cinematografica per la sezione Afghanistan ha trattato quest’anno il tema delle discriminazioni e della violenza alle donne e alle bambine. Questa è la terza edizione del festival ed è stato realizzato grazie alla caparbietà di Roya e Alka Sadat, due sorelle registe che NOIDONNE ha conosciuto anni fa e ha dedicato loro il progetto . È proprio grazie a NOIDONNE che , attivista per i diritti umani (componente GREVIO per la convenzione di Istanbul) e parte di , le ha conosciute. Lei lavora in questo paese dal 2003 con il per promuovere l’empowerment economico e sociale delle donne e per contrastare le violenze. Simona Lanzoni, che ha fatto parte della giuria internazionale del Festival insieme ad altre tre persone, racconta la sua esperienza. “Spesso si tende a credere, erroneamente, che un paese povero abbia persone poco interessate all’arte e che la sua produzione cinematografica sia, di conseguenza, di bassa qualità. In realtà questo festival ha messo in luce l’alta qualità e la professionalità, l’impegno e la dedizione di donne e uomini che hanno presentato cortometraggi e documentari molto coraggiosi e ben fatti. Questi giovani registi e registe, sceneggiatori, attori e attrici, hanno saputo magistralmente raccontare la società afghana, le tradizioni che
continuano a scandire il ritmo della loro esistenza, la voglia di trasformazione delle nuove e delle vecchie generazioni. Ecco perché vogliamo rendere omaggio ad alcuni dei film che hanno vinto descrivendoli brevemente”, della regista afgana è stato premiato come. È un film autobiografico che narra una storia di solitudine e di disperazione legata all’impossibilità di una madre di continuare a vivere accanto al proprio figlio. Sabela, sposa bambina, all’età di 15 anni diventa madre. Appena ventenne decide di separarsi dal marito violento. Il figlio è affidato al padre anche se incapace di crescerlo. La giovane donna cerca sostegno legale dalle avvocate
della sua città, ma la legge islamica vigente in Afghanistan stabilisce che è il padre ad avere il diritto a tenere i figli, non la madre. Da questo momento inizia per lei una lunga strada di sofferenza, fatta di continui tentativi per poter passare più tempo possibile con suo figlio. è stato riconosciuto, della regista . È la storia di una ragazza che non si piace, è figlia unica di una coppia di genitori malati e vorrebbe diventare un’altra persona, lasciarsi tutto alle spalle. Crea quindi un espediente per reinventare se stessa rubando le borse delle donne che le sembrano vivere una condizione migliore della sua. Così facendo capisce che tutto sommato, c’è chi sta molto peggio. Decide quindi di scommettere su se stessa.“Questo corto è stato premiato perché va oltre la realtà afghana, parla di tutte le ragazze e le donne del mondo, della difficoltà di accettare la propria situazione e della volontà di autodeterminarsi. Ci si riesce solo scommettendo su se stesse. Si parla di stereotipi, si parla di violenza sulle donne, si parla di empowerment, veramente ottimo il messaggio che trasmette”. è stata attribuita a , cortometraggio del regista . È uno squarcio di vita quotidiana in un villaggio, dove un fratello e una sorella si disputano il latte cremoso di un piatto di riso. Come la tradizione vuole, la parte migliore del cibo è destinato al fratello e la madre, consapevole di ciò, ignora le proteste della sorella. Il corto descrive una realtà in evoluzione. All’iniziale rabbia della bambina si sostituisce la capacità di trovare una soluzione all’ingiustizia subìta. Il film si conclude con il fratello che si rivolge alla sorellina dicendole: ‘Sei più intelligente di tua madre!’. “Ho avuto il piacere di parlare con Khadim in aereo al ritorno da Herat verso Kabul. Era molto contento di aver ricevuto il premio. È giovane e timido, nel suo breve inglese mi ha spiegato che lo ha girato in famiglia, ha mostrato dove è nato e cresciuto, in un villaggio nella provincia di Gazni, una delle più pericolose rispetto alla presenza talebana. Guardandolo e ripensando alle immagini del film, alle montagne e ai tramonti che mostra, penso sempre che la vita sia una grande opportunità. Se lui ora è all’università a studiare cinema lo deve alla madre e al
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padre, che è tassista a Kabul e non è d’accodo della sua scelta ma lo sostiene comunque economicamente”. A , cortometraggio del regista , è andato il riconoscimento per la . Racconta la complessità dell’attuale società afghana rispetto alla violenza sulle donne. Il film si dipana tra storie di più famiglie, tutte collegate a loro insaputa. È molto interessante perché mostra veramente la vita di tutti i giorni. Dopo una serie di eventi drammatici, alcuni uomini prendono coscienza di quanto sia importante essere rispettosi dell’altra metà del cielo. è andato al film , del regista iraniano , sul tema dei matrimoni precoci e forzati. Un signore di oltre cinquant’anni compra la figlia di dodici anni da un uomo eroinomane e la madre fornaia, disperata, cerca di riprendersela. È la storia della complicità e del coraggio di donne che trovano una via di uscita da un sistema patriarcale imperante. “Mi avvicino a Lina per farle i complimenti perché trovo che la sua interpretazione è qualcosa di eccezionale, che va veramente oltre lo schermo. Infatti è stato premiato il film e anche lei come miglior attrice. Lei con le lacrime agli occhi mi racconta che il film è quasi un miracolo perché è stato girato con pochissimi soldi e fino
all’ultimo non sapevano se riuscivano a realizzarlo. La popolazione del villaggio che li ha ospitati per girare le scene, nella valle di Shamali fuori Kabul, quanto hanno capito quale era l’argomento del film, volevano cacciare tutta la troupe. Li hanno minacciati e hanno temuto per la loro incolumità, ma non si sono arresi perché volevano testimoniare quanto avviene ancora oggi alle bambine, volevano raccontare la disperazione delle loro madri. Poi mi guarda e mi dice che è stupita dal fatto che noi occidentali capiamo questi problemi e mi ringrazia. Le rispondo che purtroppo, nella mia esperienza di vita vissuta in Afghanistan, seguendo poi negli anni il progetto Jamila di Fondazione Pangea e le sue beneficiarie, ho incrociato molte storie come quella di Gamar e purtroppo non sono finite bene come il film. Abbasso la testa perché mi escono le lacrime agli occhi. Ci guardiamo e ci capiamo. Andiamo avanti”. ❂ Testo di Simona Lanzoni, Vicepresidente Fondazione Pangea, e Barbara Gallo, giornalista pubblicista. Ringraziamo Simona Lanzoni per le foto
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Dorothy Day STATI UNITI
Icona del cattolicesimo sociale statunitense Unica figura femminile citata nel discorso al Congresso USA, Dorothy Day piace a Bergoglio per il suo conservatorismo sui valori della fede
di Cristina Carpinelli
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n occasione del suo viaggio negli USA, il Pontefice ha tenuto un memorabile discorso davanti al Congresso di Washington in seduta congiunta, durante il quale ha menzionato alcuni personaggi che hanno reso grande l’America, poiché “hanno dato forma a valori fondamentali che resteranno per sempre nello spirito del popolo americano”.
Si tratta del presidente degli Stati Uniti, Abraham Lincoln, del leader antirazzista Martin Luther King, del monaco trappista Thomas Merton e dell’attivista sociale Dorothy Day.Grandi americani, di cui onora-
re la memoria - afferma il Pontefice - poiché “nonostante la complessità della storia e la realtà della debolezza umana, questi uomini e donne, con tutte le loro differenze e i loro limiti, sono stati capaci con duro lavoro e sacrificio personale, alcuni a costo della propria vita, di costruire un futuro migliore…la loro visione continua a ispirarci”. Un filo conduttore tiene insieme questi paladini dell’amore per il prossimo, dell’avanzamento sociale e dell’incarnazione dei principi del Vangelo. Abraham Lincoln abolì la schiavitù, Martin Luther King fu il portavoce dei diritti dei neri,
Thomas Merton sfidò le certezze del suo tempo, aprendo nuovi orizzonti per le anime e la Chiesa e facendosi promotore di pace e di dialogo tra popoli e religioni, infine, Do-
rothy Day lottò a favore dei poverie per l’uguaglianza sociale,fondando nel 1933 il “Catholic Worker Movement” (il movimento dei lavoratori cattolici).
Il Pontefice, in diretta mondiale, sotto la scritta in “God We Trust” (che sovrasta l’aula del Congresso degli USA), ha proposto questi quattro grandi figli dell’America come modelli di vita da seguire: “Una nazione può essere considerata grande quando difende la libertà, come ha fatto il presidente Abraham Lincoln”; “quando promuove una cultura che consenta alla gente di ‘sognare’ pieni diritti per tutti i propri fratelli e sorelle, come Martin Luther King ha cercato di fare”; quando “lotta per la giustizia e la causa degli oppressi, come Dorothy Day ha fatto con il suo instancabile lavoro”, frutto di una fede che “diventa dialogo e semina pace nello stile contemplativo di padre Thomas Merton”. Nel Pantheon dei personaggi esemplari menzionati dal Papa c’è, dunque, anche una donna, che durante tutto
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l’arco del Novecento fu prima attivista sociale anarchica, militante suffragista, pasionaria dei diritti delle donne, poi figura di spicco del cattolicesimo sociale statunitense.
così importanti, non posso mancare di menzionare la serva di Dio, Dorothy Day, che ha fondato il ‘Catholic Worker Movement’. Il suo impegno sociale, la sua passione per la giustizia e la causa degli oppressi, erano ispirati dal Vangelo, dalla sua fede e dall’esempio dei santi”. Ma vediamo più da vicino questa figura femminile. Nasce a Brooklyn nel 1897 da una famiglia borghese di fede episcopaliana. Cresce tra San Francisco e Chicago e, dopo avere interrotto gli studi all’Università dell’Illinois, torna a New York, nella Lower East Side, dove si avvicina ai movimenti della sinistra radicale marxista allontanandosi dalla religione. Nel 1925 comincia il processo della sua conversione al cattolicesimo, che sfocia nel 1927 con il suo battesimo e quello della figlia. Per mantenersi si dedica al giornalismo ed è proprio in questi anni, quelli della Grande Depressione, che matura la sua fede per la causa dei poveri. Dopo aver assistito come inviata alla Marcia per la Fame a Washington dell’8 dicembre 1932, l’anno suc-
cessivo fonda, insieme al francese Peter Maurin, il quotidiano “The Catholic Worker” e il “Movimento dei lavoratori cattolici” (“The Catholic Movement Worker”), per aiutare i senzatetto e i bisognosi di New York, promuovere la causa
dei diritti dei lavoratori e la non violenza. In seguito, Dorothy Day apre in un quartiere povero di New York la prima “casa di ospitalità”. Il movimento dei “Worker”, con le sue case e le sue comunità agricole, si diffonde rapidamente in altre città degli USA, in Canada e in Gran Bretagna: dal 1941 in poi sono aperte decine di comunità agricole ispirate alla filosofia economica del distributismo, ognuna indipendente, ma tutte affiliate ai Catholic Workers. Dorothy Day morirà nel 1980 in una di queste comunità.
Dorothy Day è anche conosciuta per aver cambiato radicalmente idea sulla liberazione sessuale delle donne: in gioventù - erano gli anni ‘20 - si batteva per la pari-
tà di genere e l’indipendenza femminile che doveva passare anche attraverso il controllo delle nascite. Poi, l’esperienza drammatica di un aborto illegale mutò il percorso della sua vita, tanto che negli anni ‘60 e ‘70 si scagliò contro il sesso libero e l’aborto. Nel 1974, quando la Suprema Corte americana legalizzò l’interruzione volontaria di gravidanza, firmò una lettera pubblica per condannare quella decisione: “Rifiutiamo categoricamente la posizione della Suprema Corte secondo la quale l’aborto è una questione esclusivamente privata tra la donna che potrebbe diventare madre e il suo medico. Protestiamo contro la logica e probabilmente inevitabile diffusione di una pratica che, sebbene abbia origine da un contesto personale, è presto diventata una politica sociale che coinvolge cliniche finanziate dalle casse pubbliche”. Papa Bergoglio cita più volte Dorothy Day e lo fa anche quando discute della difesa della vita “in ogni fase del suo sviluppo”. Sappiamo che proprio la scelta della Day di abortire, quando era ancora una giovane donna, è stata la controversia più dibattuta nella sua canonizzazione, anche se poi nel 2000 il cardinale di New York, John O’ Connor, decise di appoggiare il percorso verso la sua santificazione, poiché Dorothy “si pentì dell’aborto ogni giorno della sua vita”. La “serva di Dio” aveva più volte sostenuto che “non c’è stato soltanto il genocidio degli ebrei. C’è anche un intero programma di controllo delle nascite e aborto, che è un altro genocidio”. Si era fatta, insomma difensora di uno di quei principi non negoziabili che già Benedetto XVI aveva posto come primo bastione contro il relativismo etico.
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Dorothy Day incarna a pennello il nucleo del pensiero e dell’azione di Bergoglio. Sostiene il Pontefice: “In questi tempi, in cui le preoccupazioni sociali sono
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I DITTATORI
STATI UNITI
NON AMANO LA POESIA
Non è certo casuale che il Papa menzioni questa “serva di Dio”, pentita di aver commesso il peccato di aborto, ora che in occasione dell’Anno Giubilare straordinario, che mette al suo centro la misericordia di Dio, il Papa stesso ha deciso di concedere a tutti i sacerdoti la facoltà di assolvere dal peccato di aborto le donne veramente pentite, poiché “il perdono non può essere negato a nessuno, soprattutto quando con cuore sincero si accosta al sacramento della confessione per ottenere la riconciliazione con il Padre”.
Quella di Dorothy Day è una storia complessa e contraddittoria. La sua ardente fede religiosa ispira e permea
le sue azioni: nel ‘41 fonda la Lega degli obiettori di coscienza cattolici. La sua lotta pacifista dura per tutti gli anni ‘50 e ‘60, soprattutto col rifiuto di partecipare alle esercitazioni per simulazione d’allarme atomico e con l’astensione dal pagamento delle tasse destinate alla guerra. Non si esime, neppure, dalla critica alle autorità ecclesiastiche, per esempio allo scoppio della guerra civile spagnola, quando la gerarchia parteggia per le forze franchiste, e successivamente dal condannare l’intervento americano in Vietnam. Ricorre sovente allo sciopero della fame nel corso delle sue battaglie. Ma il suo spirito antiautoritario, antimperialista, così come la sua difesa dei diritti delle donne e dei neri si coniugheranno sempre più con un vero attaccamento alla tradizione religiosa. Ecco perché Dorothy non si troverà in sintonia col movimento del Sessantotto, giudicandolo una vera e propria manifestazione di permissivismo assoluto, nella quale individua un disordine preoccupante e deprecabile. Si opporrà decisamente alla rivoluzione sessuale degli anni ‘60 e sul divorzio indicherà sempre a tutti l’insegnamento della Chiesa.
La poetessa siriana Maram Al-Masri parla del popolo oppresso, della condizione delle donne, di chi fugge e di chi muore nel suo paese d’origine. È accaduto a settembre ad Agrigento, nella Valle deI Templi, per iniziativa della Fidapa
di Ester Rizzo Le ho viste. / Loro, / i loro volti dai lividi celati. / Loro, / Gli ematomi nascosti tra le cosce / Loro, / i loro sogni rapiti, le loro parole azzittite / Loro, / i loro sorrisi affaticati. / Le ho viste / tutte / passare in strada / anime scalze, / che si guardano dietro, / temendo di essere seguite / dai piedi della tempesta, / ladre di luna / attraversano, / camuffate da donne normali. / Nessuno le può riconoscere / tranne quelle / che somigliano a loro.
Dorothy Day piace a Bergoglio per il suo conservatorismo sui valori della fede (contro l’aborto, il divorzio
e i matrimoni gay - anche se il Pontefice è più aperto su sessualità e bioetica) e rivoluzionarismo nel sociale. Proprio ripartendo dal Vangelo, il Pontefice sta cercando di portare aria nuova e pulizia, ridare vigore alla fede e rendere la Chiesa un punto di riferimento sostanziale per quanti vogliano costruire un futuro diverso da quello che i potenti hanno immaginato. Ma per realizzare la sua missione, dettata anche dalle circostanze storiche, ci vuole sia il rispetto della tradizione sia la tempra dell’innovatore. b
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ono i versi della poetessa siriana Maram Al-Masri, dedicati a tutte le profughe, alle “donne sommerse”, alle vittime di violenza. Maram nasce a Lattakia, una città bagnata dalle onde del Mediterraneo, molto vicina all’isola di Cipro, l’isola di Afrodite, dea della bellezza e dell’amore, e lì trascorre i suoi primi vent’anni. Ma Maram è una “ribelle”, si oppone al regime dittatoriale di Assad ed è quindi costretta a fuggire, a rifugiarsi in Francia, a Parigi. Que-
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La Siria per me / è una ferita sanguinante / è mia madre sul letto di morte / è la mia infanzia sgozzata / è incubo e speranza / è inquietudine e presa di coscienza. / La Siria per me / è un’orfana abbandonata. / È una donna violentata tutte le notti da un vecchio mostro / violata / imprigionata / costretta a sposarsi. / La Siria per me / è l’umanità afflitta / è una bella donna che canta l’inno della Libertà / ma le tagliano la gola. / È l’arcobaleno del popolo / che si staglierà dopo i fulmini / e le tempeste. Le parole di Maram trafiggono le nostre coscienze:
“avvolti nei loro sudari / i bambini siriani / sembrano caramelle da scartare / non fatte di zucchero / ma di carne / di sogno / di amore...”. Definisce i suoi connazionali “figli della libertà”. E quello che succede oggi al mio popolo, dice Maram, è terribile ed ingiusto. “La Siria storicamente è stata terra di accoglienza per altri popoli nei momenti bui della loro storia: curdi, armeni, libanesi vi hanno trovato rifugio. Oggi invece il mondo arabo ha voltato le spalle, non concede
visti, innalza muri e spesso, quando i profughi sono stati accolti, come in Serbia, non ci sono strutture ed organizzazioni adeguate. Si poteva e si doveva intervenire prima e questo ritardo ha creato delle piaghe che non curate sono andate in cancrena”. Le chiediamo del ruolo delle donne e lei ci ricorda che le poetesse arabe hanno svolto un ruolo fondamentale nella storia dei loro Paesi. Dal 1949 al 1975 sono state ben 95 quelle che, tramite la loro poesia, hanno spezzato gli antichi canoni stilistici, hanno infranto le regole, hanno frantumato la tradizione ed esaltato la libertà, compiendo così una grande rivoluzione. “Oggi le donne sono la colonna portante della Siria e partecipano attimo per attimo alla rivoluzione. Tante giovani poetesse usano la poesia come forma per esprimere il loro diritto alla libertà”. In ogni epoca la poesia non è mai stata tollerata dai dittatori, perché la poesia, anche se sembra fragile, come il profumo dei gelsomini, ha invece una forza potente che dimostra come la guerra è la più orribile delle realtà, e i versi possono diventare un inno alla giustizia ed alla libertà. “Con la poesia - ci dice - riesco a sublimare tutto lo squallore che ho intorno ed ogni giorno cerco la bellezza sperando sempre in un futuro migliore”. I siriani oggi sono undici milioni, ieri erano venti milioni: sono stati decimati, attualmente non stanno combattendo una guerra civile ma una rivoluzione democratica. Il problema non è solo l’esodo del suo popolo, ma quello che succede a chi resta: fame, torture, prigione. “I siriani non stanno emigrando, stanno tentando di fuggire alla morte, attanagliati da una parte dallo spietato regime dittatoriale di Assad e dall’altra dall’ISIS”. “Anime scalze” è il titolo di una raccolta di poesie di Maram e quelle anime quasi ci fanno percepire il lieve rumore dei passi scalzi di tante genti umiliate dall’indifferenza del mondo e soggiogate dalla violenza e dalla crudeltà. Sono anime in cammino sulle strade di questo nostro pianeta, alla ricerca di un angolo di pace. “I rifugiati fuggono dalla morte ma ne sentono i passi risuonare alle spalle”. b
SIRIA
sta fuga la imprime per sempre con l’inchiostro su una pagina bianca: “Lì ho sepolto mio padre il giorno in cui ho deciso di partire con una sola valigia e la sua fotografia”. A Lattakia, città martoriata oggi presa di mira dall’ISIS, vivono ancora tutti i suoi cari. E la sua terra le manca. Ci confessa che spesso fa un sogno: il suo bel paese finalmente libero e lei diventata un uccello dalle grandi ali che sorvola felice la sua nazione. Tra le sue raccolte “Arriva nuda la libertà” dove, leggendo i versi delle sue poesie, si percepisce come lei sia diventata un tutt’uno con il dolore del suo popolo e quello che scrive è un regalo, un omaggio a tutti i siriani che hanno perso la vita sotto le bombe e le torture del regime.
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LIBRI a cura di Tiziana Bartolini
STORIE COME TRACCE DI PERSONE Un’originale e romantica storia d’amore e cleptomania quella raccontata da Katia Sassoni - brava scrittrice e docente bolognese dallo stile penetrante, ironico e di piacevole lettura - nel suo ultimo romanzo, La Ladra e il Gentiluomo, costruito sull’alternarsi di brevi paragrafi che narrano il silenzioso dialogo interiore fra un uomo e una donna: attraverso le proprie intime riflessioni, i due protagonisti Gioia e Armando raccontano, da angolazioni differenti, un vissuto comune, fatto di passioni, memorie, incontri, scelte e trasformazioni. Gli incredibili personaggi che popolano il loro mondo, come l’anziana Laura morta senza il tempo di un saluto o il singolare Evaldo pianista sopraffino, ruotano intorno ad un comune luogo dell’anima, la Casa di riposo per artisti drammatici - fondata a Bologna con donazioni di ricchi mecenati ed intitolata nel 1961 a Lydia Borelli - denominata “Casa Borelli”. Qui troveranno risposta le inquietudini emergenti nei nostri protagonisti e verrà risolto l’enigma psicologico sottostante all’intero romanzo. Come scrive Alberto Beltramo nella sua prefazione: “I luoghi ci raccontano storie. Le storie sono tracce di persone. Casa Borelli è un luogo dove può capitare di tutto e la musica avvolge quando si entra”. Fra le opere più recenti dell’autrice la raccolta di racconti e poesie Ma…donne (2007) ed il romanzo biografico Gino Doné: l’italiano del Gramma, da cui sono stati tratti due spettacoli sulla vita di partigiani italo-cubani. Elisabetta Colla Katia Sassoni La ladra e il gentiluomo Ed Progetto Cultura, pagg 128, euro 10,20
LAVORO: DIFFERENZE TRA UOMINI E DONNE Un libro è dedicato alle ragazze “smart”, ragazze di tutte le età che vogliono realizzare pienamente se stesse nella vita personale e nel lavoro. Possono leggerlo con qualche utilità
anche gli uomini, è ovvio, ma molti suggerimenti sono proprio per noi donne. Perché? È più difficile per una donna affermarsi sul lavoro e raggiungere ruoli di primaria responsabilità. “Fare carriera”, si diceva lo scorso millennio. Deve essere brava, molto brava, spesso più brava dei colleghi uomini. E deve volerlo con molta determinazione. In fondo, cos’è il lavoro? Moltissimo! Se lo viviamo intensamente, ma anche se lo subiamo come necessità, il lavoro è parte rilevante della nostra vita. Quando non c’è ancora e quando non c’è più. E allora, perché non guardare meglio le regole del gioco, i comportamenti agiti da noi e percepiti dagli altri, i valori e i tranelli della vita lavorativa, e quelli che stanno dentro di noi e che portano o non portano le donne ad essere ai vertici? Le riflessioni e i consigli pratici contenuti nel libro di Cristina Melchiorri sono, in “pillole”, il frutto di studi, di dibattiti, di ricerche e di esperienze di vita vissuta. La seconda parte del volume deriva dalle esperienze, domande e risposte tratte dalla rubrica “Strategie private” pubblicate nel mensile NOIDONNE. Oggi ci troviamo di fronte a generazioni di giovani che, formati da una scuola ancora 1.0, hanno un dna permeato dal web, un nuovo proletariato informato e interconnesso, che ha cambiato radicalmente il proprio rapporto fra lavoro, tempo libero e denaro, rispetto alla generazione precedente, la nostra, che comunque governa ancora il mondo. Ma quanto contano per le aziende, oggi, gli anni di esperienza, le conoscenze e le competenze possedute dalle candidate e dai candidati? Sempre meno. E quanto la capacità personale e la velocità a capire e risolvere i problemi, di comunicare in modo efficace, di pensare per obiettivi e non per compiti, di essere proattivi, di saper entrare in feeling con gli altri? Sempre di più. E quanto conta l’energia personale, lo spirito di iniziativa, la fiducia nella propria capacità di raggiungere gli obiettivi per cui operiamo? Moltissimo. Ma c’è ancora nel mondo del lavoro di oggi una significativa differenza tra donne e uomini con pari titolo di studio e pari esperienza nell’entrare in azienda e nell’arrivare ai vertici? Si, troppa. È necessario cambiare alcune “regole” attuali, perché sono carenti e a volte ingiuste. Ma le regole si possono cambiare solo da una posizione di potere. Più donne varcheranno la soglia del comando nel mondo del lavoro, nella politica, nelle istituzioni, nella finanza e nella informazione, più facile sarà cambiare le regole che ci governano. Cristina Melchiorri Istruzioni per ragazze smart Ed Fausto Lupetti, pagg 120, euro 12,00
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EMOZIONI E STORIE IL BELLO DEL TEATRO di Alma Daddario
Intervista a Francesca Bianco, attrice teatrale eclettica e innovativa
È
una delle attrici teatrali più quotate ed eclettiche nel panorama italiano. Da trent’anni collabora con lo storico teatro Belli di Roma, interpretando ruoli da protagonista. Nel suo repertorio spiccano figure femminili di rilievo storico e mitologico, ma anche eroine contemporanee, come quelle descritte da Dario Fo, Woody Allen, Alan Ayckbourn, James Cain, Roberto Lerici. Si tratta di Francesca Bianco, che incontriamo reduce dal successo personale per l’interpretazione di una struggente Edith Piaf in “L’anima e la voce” (di Alma Daddario, ndr) e in procinto di partire in tournèe con un testo del britannico Simons Stephens, “Heisenberg”, che ha debuttato a inizio stagione insieme a Antonio Salines e con la regia di Carlo Emilio Lerici. Quando hai capito che volevi fare l’attrice? Tutto mi è capitato un po’ per caso. Le mia amiche dicono che da bambina rompevo le scatole a tutti quanti per obbligarli ad assistere ai miei spettacolini. Francamente ho rimosso questo ricordo. Però all’età di 14 anni, quando mia madre mi regalò l’abbonamento al Teatro Stabile di Torino, vidi il Peer Gynt con la regia di Aldo Trionfo, allora pensai che avrei voluto stare su un palcoscenico per il resto della mia vita. Alcune attrici lamentano il fatto che, soprattutto al cinema, alle donne si offrano ruoli stereotipati e poco interessanti rispet-
to ai colleghi maschi, con un occhio più attento all’età anagrafica. Che ne pensi? Non credo sia questo il problema. Piuttosto penso ci sia un’incapacità da parte di chi produce di pensare a un attore in un ruolo diverso da quello in cui siamo abituati a vederlo. Non sono quindi i ruoli ad essere stereotipati, ma gli attori ad essere usati in modo stereotipato. E questo vale sia per le donne che per gli uomini. Questo difetto, o se preferite mancanza di coraggio, fa si che alla fine lo stesso attore si trova a fare film diversi nei quali interpreta sempre lo stesso“carattere”. Per quello che riguarda il teatro c’è lo stesso problema, o si offrono più possibilità? In teatro si vivono situazioni analoghe, ma per motivi diversi. Il teatro è in balìa dei produttori e degli esercenti che pensano sia indispensabile avere dei “nomi” da mettere in cartellone. E i cosiddetti “nomi” alla fine sono sempre gli stessi. Ma sono convinta che il pubblico preferirebbe ogni tanto scoprire qualcosa di nuovo. La tua carriera artistica è caratterizzata da ruoli importanti. Oltre ai classici, ricordiamo Ipazia o Gertrude Bell, l’archeologa e scrittrice di “La regina senza corona”, o mostri sacri come Edith Piaf. Ma ti sei anche cimentata in ruoli più scanzonati e ironici come in “Coppia aperta, quasi spalancata” di Dario Fo, dove non fai rimpiangere l’interpretazione di Franca Rame. Cosa ti attrae di questi personaggi? A me piace raccontare storie nelle quali ciascuno possa riconoscersi attraverso le emozioni. Che siano le lacrime per Ipazia, bruciata viva per la sua difesa della libertà di pensiero, o le risate che suscita la moglie “cornuta” e nevrotica di “Coppia aperta”. Sono personaggi che sento miei perché raccontano qualcosa che fa parte indirettamente della mia vita, come della vita di tutti. Secondo te esiste una scrittura di genere, in teatro come in letteratura? Non credo. Ipazia, Gertrude Bell, Eleonora d’Arborea, Irene Nemirowsky, le due madri de “Gli occhi al cielo”, e altri ancora, sono frutto di una penna maschile. Walerka e Edith Piaf sono di penna femminile. “Coppia aperta”, così come altri testi interpretati negli ultimi anni, sono frutto di una scrittura a quattro mani maschile/ femminile, e dietro lo pseudonimo di Elena Ferrante, che ha scritto il personaggio de “L’amica geniale” che ho interpretato recentemente, non si sa se ci sia una donna, un uomo o addirittura una squadra di autori diversi. Alla base di una buona scrittura c’è la sensibilità oltre al talento, che non hanno sesso. Versione integrale dell’intervista in: http://www.noidonne.org/blog.php?ID=06792
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Pettinatura dei conigli
È
Fattoria
in assoluto l’uomo che ha amato di più nella vita e ama ancora appassionatamente. “Non passa giorno che non pensi a lui”, spiega, nonostante il suo lui sia morto suicida nel 1890. Quanto Vincent Van Gogh abbia influito nel suo modo di dipingere ed influenzato l’esistenza stessa di Marcella Bravetti lo si evince senza ombra di dubbio nei suoi 1200 dipinti, per i quali non solo ha usato gli stessi colori e pennellate e le stesse suggestioni, ma spesso anche gli stessi luoghi (Saint Paul, Arles, Baux, Auvers). Per non parlare degli autoritratti e dei soggetti “rubati” al grande olandese, ovviamente rivisti e riproposti attraverso la sua personale sensibilità d’artista. “Ancor prima di ‘incontrarlo’ per la prima volta in una mostra a Roma che ho visitato nel 1988 confessa Bravetti, che si prepara ad esporre oltre cento opere a Perugia (Ex Chiesa della Misericordia, Via Oberdan, 9-25 gennaio 2016, catalogo su fb) - nel mio modo di dipingere c’era qualche cosa che richiamava il suo stile. Avevo già Van Gogh dentro di me. Trovai la sua pittura magnifica ma molto triste, i suoi personaggi erano tutti particolarmente sofferenti. Però meravigliosi. Mi sono detta: voglio dipingere bene come lui ma i miei personaggi saranno meno sofferenti”. E così ha fatto, attingendo al suo personale vissuto di operaia della Spagnoli per 38 anni, di tre anni da sindacalista e di donna impegnata da sempre nel sociale per la difesa dei deboli ed in particolare delle donne. Per questo nella sua “galleria” artistica troviamo pastori, zingari, senzatetto, circensi, bambini, anziani, donne fragili. “Sono un’autodidatta - racconta -. Già negli anni della fabbrica , con il gruppo Acli facevamo un gior-
MARCELLA E L’AMORE PER VINCENT La passione per la pittura coltivata insieme a quella per le lotte in difesa dei diritti delle donne. Intervista a Marcella Bravetti
di Anna Lia Sabelli Fioretti nalino con il ciclostile e io disegnavo le vignette. A metà degli anni ’70 ho iniziato a dipingere ad olio su tela. Una rivelazione, una svolta. Non ho mai voluto andare a scuola, fare corsi di pittura. Ti mettevano davanti ad una mela e ad un vaso e poi ti dicevano di rifarli. Lo trovavo mortificante”. In quel periodo le piaceva Modigliani, così per il suo primo dipinto ad olio ha preso una donna bionda, l’ha messa di profilo e le ha fatto il collo molto lungo. “Avevo l’esigenza di esprimere tutto che quello avevo dentro: un’esplosione di colore, di volti e di forme. Quando sono andata in pensione le mie amiche mi hanno regalato un cavalletto professionale e lavoro ancora con quello”. Non si offende se qualcuno la considera una pittrice naif,
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GranGala
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UN GIALLO BOTANICO Il romanzo d’esordio della giornalista Daniela Amenta è una storia toccante contro il cinismo dei nostri tempi di Flavia Matitti
A Incontri nella notte
ma non si riconosce nella definizione. “A mio avviso sono un’espressionista. Esprimo me stessa attraverso la pittura. Mi considero, come Vincent, una persona sensibile e fragile”. Ed eccola a parlare di nuovo di Van Gogh. Marcella espone in questa antologica perché, precisa, “sono vicina agli 80 anni e voglio mostrare il meglio del mio lavoro di una vita. Non credo che andando avanti negli anni potrò fare di più. Oltre non posso andare”. Nella copertina del catalogo c’è un bellissimo ritratto di un anziano con la testa china e un cappellaccio che gli copre il volto. È suo fratello. L’ha copiato da un’immagine scattata dallo stesso fotografo che ha immortalato Benigni con in braccio Berlinguer. “L’ho trovata così intensa da farmi venire le lacrime. Non si capisce se sta dormendo o se si sta coprendo con il cappello il volto da chi lo sta fotografando”. b
DALLA FABBRICA AL CAVALLETTO Marcella Bravetti, perugina, è nata nel 1938. Inizia a dipingere nella seconda metà degli anni ’70, quando è ancora operaia nel tessile. Il richiamo naturale verso i colori è fortemente supportato nella necessità di esprimere le passioni sociali, sindacali, politiche e umanistiche che la caratterizzano, ora come allora, e che hanno segnato in modo profondo il suo vissuto personale. Molto impegnata nel movimento delle donne, ha fondato nel 1988 il Comitato internazionale 8 marzo, di cui è tuttora presidente. Iscritta nell’albo mondiale degli artisti, ha partecipato alla collettiva per lo speciale premio Marais, a Parigi nel luglio 2013, promossa dalla EA Editore. È presente in molti cataloghi nazionali, e in rete ha un proprio sito (www.bramar.org), in facebook e nei siti www.romart.it (ospite degli artisti romani), su www.celeste.it, www.bebopart.it (sito promosso da Vittorio Sgarbi); di recente è nella innovativa galleria virtuale 3D Art Gallery. In occasione della mostra sarà pubblicato un calendario con 12 opere artistiche. Informazioni e contatti: bramar11@virgilio.it.
nna, la “ladra di piante”, è una trentenne precaria. Abita a Roma all’ultimo piano di un palazzo nel quartiere di Monteverde Vecchio. L’appartamento è piccolo ma ha una grande terrazza, dove trovano asilo piante maltrattate di ogni genere. Le sue preferite sono le Aspidistre, piante ornamentali dalle foglie color smeraldo a forma di spada che andavano di moda negli anni Sessanta e oggi nessuno vuole più. “La gente è irriconoscente verso la bellezza. Non ha poesia, non ha ruggiti, non ascolta, non vede. È svagata, incoerente, modaiola”. Anna però resiste al cinismo dei tempi e alla solitudine prendendosi cura delle piante abbandonate. Le raccoglie dimenticate sul marciapiede dopo un trasloco, buttate nel cassonetto dell’immondizia passato il Natale, lasciate ad appassire negli androni o sui pianerottoli di vecchi palazzi. Talvolta pur di salvarle le ruba. Eppure La ladra di piante, toccante e coinvolgente romanzo d’esordio di Daniela Amenta, giornalista de “L’Unità” e critica musicale, appartiene al genere del giallo, un “giallo botanico” molto ben costruito, con tanto di omicidio da risolvere. La storia di Anna si intreccia perciò con quelle di altri due personaggi principali: Riccardo, cinquantenne cronista di nera in crisi e Lanfranco, vecchio giornalista, ex informatore, amante dei gatti. Nello sfondo Roma, una città amata e detestata “per quanto è cambiata, perché ha smesso di essere sorniona e in fondo generosa e si è scoperta un cuore nero, cattivo, respingente”.
Daniela Amenta La ladra di piante Baldini&Castoldi, 2015, pp. 238, € 16
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A tutto schermo
Alla decima edizione della Festa del Cinema di Roma tante le pellicole di registe e tanti i film sulla condizione delle donne nel mondo. Premio del pubblico al film indiano ‘Angry Indian Goddesses’. “Alice nella città” premia tre donne che parlano di adolescenze difficili e desiderio di libertà
UNA FESTA TUTTA AL FEMMINILE di Elisabetta Colla
È
stata davvero una Festa al femminile, e non solo per il titolo, ritornato da Festival a Festa come nelle prime edizioni. La Festa del Cinema di Roma, manifestazione con base all’Auditorium Parco della Musica giunta alla sua decima edizione, ha messo in luce la professionalità, l’originalità e le idee nuove di tante registe, attrici e produttrici poco note. Molti i film indipendenti selezionati provenienti da ogni parte del mondo, che si sono degnamente affiancati a film di grandi produzioni, con star sopraffine spesso, fortunatamente, al servizio di storie con messaggi utili ed importanti. Fra queste ultime da citare il film Freeheld, di Peter Sollett, tratto dalla vera storia di un amore omosessuale fra due donne, la detective Laurel Hestered il/la meccanico Stacie Andree, e dalla loro battaglia, condotta nel 2005, per i diritti civili delle coppie di fatto, in particolare per il riconoscimento della reversibilità pensionistica al momento in cui la prima si ammala di tumore. La pellicola, forse un po’ troppo didascalica, mette in luce però un problema molto attuale ed ancora irrisolto; nel ruolo delle protagoniste le bravissime Julianne Moore ed Ellen Page, oggi apertamente impegnata per il riconoscimento dei diritti del movimento LGBT dopo il suo recente coming out.
Sullo stesso tema, ma in altra epoca, quella del conformismo americano anni Cinquanta, è stato riproposto anche Carol, film di grande fascino estetico e non solo, già presentato a Cannes, con due attrici eccellenti quali Cate Blanchett e Rooney Mara, vincitrice del Premio come miglior attrice. Sempre Cate Blanchett ha vestito i panni della giornalista e produttrice televisiva CBS Mary Mapes nel film Truth - a fianco di un quasi ottantenne Robert Redford - esordio alla regia di James Vanderbilt, presentato alla Festa di Roma con grande successo: tratto dal libro della Mapes ‘Truth and Duty: The Press, the President and the Privilege of Power’, il film mostra le difficoltà di chi cerca la verità ed il caro prezzo pagato da chi si dedica al giornalismo impegnato toccando il potere e la politica. Vincitore dell’unico Premio offerto quest’anno dalla Festa del Cinema, quello del Pubblico (BNL Paribas), è risultato un film pirotecnico, dedicato alle donne e recitato da un gruppo di incredibili attrici, Angry Indian Goddesses - Dee Indiane arrabbiate, diretto da Pan Nalin, che ha saputo conquistare con la sua forza vitale gli spettatori votanti. L’India di oggi e quella di ieri si fondono in questa pellicola indipendente e carica di suggestioni, energia, passione, suoni, colori, ma anche ambivalenze,
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PROSTITUTE A MARRAKECH
In Italia il film scandalo marocchino, bandito dalle autorità, Much loved
A
cclamato alla Quinzaine des Realizateurs di Cannes 2015, il film Much loved del regista marocchino Nabil Ayouch ha sfidato la censura delle autorità marocchine che ne hanno vietato la visione, ritenendo che il film offenda gravemente i valori morali e la donna marocchina oltre che l’immagine del paese. Ciò che ha scandalizzato di più è senz’altro la crudezza della descrizione e delle immagini di come un gruppo di prostitute, in cerca di ricchi clienti spesso individuati fra i ‘religiosi’, si guadagnano da vivere, senza infingimenti e senza giudizi. Le quattro protagoniste Noha, Randa, Soukaina e Hlima, nella Marrakech dei giorni nostri, vivono di amori mercenari, vendono il proprio corpo al miglior offerente e sono oggetto dei più segreti desideri. Allegre, vivaci e complici, piene di dignità ed emancipate nel loro regno al femminile, queste donne, conducendo lo spettatore nel loro regno notturno fatto di violenza, umiliazioni ma anche risate e tenerezza, superano la violenza della società marocchina che, pur condannandole, le sfrutta. Il regista di questo film vive oggi sotto scorta e gli attori hanno subito minacce, mentre in Europa il mondo del cinema, dai fratelli Darnenne a Costa Gavras, si è sollevato per lanciare un appello di solidarietà. E.C.
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mistero e dolore: anche qui si tratta di matrimoni omosessuali (fra donne), coppie di fatto, donne professionalmente e sessualmente emancipate, ma contemporaneamente di maschilismo, abuso e femminicidio. Un film che si schiera con forza dalla parte delle donne e mette in luce le tante contraddizioni della società indiana rispetto alla condizione femminile. Accomunati da temi quali la ricerca d’identità e libertà degli adolescenti, incompresi e vessati da un mondo adulto cinico ed incapace di ascoltarli, e le loro differenti reazioni (violenza, fuga, isolamento, perseguimento dei propri sogni, rifugio nell’arte, nel cinema o nella follia), i tre film vincitori di ‘Alice nella città’ - sezione autonoma e parallela della Festa dedicata alle giovani generazioni - scritti e diretti da tre registe, ben rispecchiano e sintetizzano le opere presentate nell’intera sezione. Vincitore del concorso è Four Kings, della tedesca Theresa von Eltz, un film dall’impatto quasi documentaristico che racconta la storia di quattro ragazzi con vissuti difficili e complesse relazioni familiari e del loro incontro in un ospedale psichiatrico, dove metteranno insieme, non senza criticità, le proprie solitudini, sostenuti da un medico anticonformista i cui metodi di recupero non vengono compresi. Il premio Taodue Camera d’Oro per la migliore opera prima è stato assegnato all’originalissimo The Wolfpack - Il branco, girato dalla regista Crystal Moselle, già vincitore del Documentary Grand Jury Prize al Sundance Film Festival, sorprendente docu-film che racconta la vera storia dei giovani Angulo, fratelli e sorelle segregati per 14 anni in un modesto appartamento del Lower East Side dal padre - un inca fervido seguace di Hare Krishna, convinto di proteggerli dalla violenza, dalla droga e dai pericoli dell’ambiente degradato istruiti ed educati in casa dalla madre statunitense e sopravvissuti alla follia guardando centinaia di film. Una menzione speciale è andata infine a Mustang, altra opera tutta al femminile, di notevole spessore, diretta dalla regista turca Deniz Gamze Ergüven: la pellicola, già selezionata alla Quinzaine des Realizateurs di Cannes 2015 e scelta a rappresentare la Francia ai prossimi Oscar, evidenzia la condizione delle donne in un paesino sul Mar Nero attraverso il racconto di cinque sorelle, giovani ed indomite come cavalli selvaggi, che cercano di esplorare il loro spazio esistenziale, sessuale ed affettivo in una società (qui rappresentata dalla nonna di famiglia che erge muri, chiude cancelli ed organizza matrimoni combinati) impreparata e conservatrice che vuole imbrigliare la libertà e la giovinezza ai suoi dettami anacronistici. Molti gli eventi paralleli della Festa, tra mostre, retrospettive cinematografiche, incontri con autori e autrici, ed altrettante le location coinvolte che, oltre all’Auditorium ed allo spazio cinema del MAXXI, si sono estese fino al Pigneto, comprendendo il Nuovo Cinema Aquila ed il riqualificato Cinema Avorio. b
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effe E IL MOVIMENTO SI RILEGGE ON LINE
Lancio dell’Archivio on line della Rivista femminista Effe. di Daniela Colombo
Il 10 dicembre, dalle 16 alle 19.30,
a Roma presso la Casa Internazionale delle donne, Via della Lungara, verrà presentato l’ Archivio on line della rivista Effe che, dal novembre del 1973 al dicembre del 1982, è stata una delle principali voci del Movimento femminista in Italia. Nata come “settimanale di controinformazione al femminile”, dopo il numero zero del febbraio 1973, diventava mensile, pubblicata per un paio di anni dall’Editore Dedalo e poi, fino alla sua chiusura, in autogestione dalla Cooperativa Effe . Venduta nelle edicole e nelle principali librerie, con una veste grafica molto curata ed originale, tra alterne vicende, crisi finanziarie, cambiamenti di redazione e di formato, per una decina di anni Effe ha dato spazio alle idee, elaborazioni, ricerche, approfondimenti e lotte non solo dei collettivi e gruppi femministi di tutto il paese, ma anche di singole donne che la domenica si riunivano nella redazione di Piazza Campo Marzio 8 a Roma: scrittrici, giornaliste, storiche, sociologhe, letterate, scienziate, economiste, insegnanti, attrici, casalinghe, alcune famose ma per lo più sconosciute al grande pubblico. L’Archivio on line della Rivista ha avu-
to una lunga incubazione. Dopo una prima idea elaborata nel 2002 da Franco Zeri, già collega di Marina Virdis (che è stata non solo la grafica, ma anche socia della Cooperativa e redattrice), il progetto è stato infine ideato e realizzato da Cristina Chiappini, docente della Facoltà di Design, Comunicazione visiva e Multimediale della Sapienza, dalla sua ex-allieva e assistente, Rossella Giordano, che ha sviluppato una prima versione demo del sito per la sua tesi di laurea magistrale, in collaborazione con Daniela Colombo e Donata Francescato, le uniche due redattrici di Effe e socie della Cooperativa che hanno partecipato ininterrottamente alla vita della rivista dal primo all’ultimo numero. L’Archivio on line contiene tutti gli articoli e le immagini pubblicate negli 84 numeri della Rivista, suddivisi per argomento, scansionati e tradotti in OCR (riconoscimento ottico dei caratteri), in modo da rendere i testi rintracciabili dai motori di ricerca. Ne risulta una storia “in prima persona” del secondo movimento femminista in Italia e nel mondo. L’Archivio è stato concepito non solo per tener viva la memoria del patrimonio di idee e lotte del femminismo - di cui le giovani generazioni hanno spesso una visione distorta - e per fornire documentazione per studiose e tesiste, ma anche per ospitare tesi e studi sul femminismo, recensire libri, siti e blog che si occupano della condizione femminile oggi e promuovere iniziative di riflessione e di lotta. In occasione del lancio dell’Archivio on line di Effe, sempre alla Casa internazionale delle donne, verrà allestita una mostra con i materiali raccolti da Daniela Colombo: alcune copertine originali, le locandine, le copie dei manifesti e molte delle fotografie del periodo storico coperto dalla rivista. Ulteriori informazioni sull’evento nella pagina Facebook di “Effe Rivista Femminista”.
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SPIGOLANDO tra terra, tavola e tradizioni di Paola Ortensi
TERRA MADRE o MADRE TERRA Autunno, la terra con le sue zolle spaparacchiate all’aria, riposa. L’agricoltore l’ha girata e rigirata per farla respirare, per prepararla alle nuove semine. È rigenerante osservarla , nelle sue tante sfumature che vanno dal sabbia al ruggine, al marron chiaro, scuro e scurissimo. Colori che ne denotano la composizione, elementi che ne determinano la consistenza, può far
percepire la sacralità, il mito che da secoli la fa definire grande madre, generatrice di vita. Non a caso a lei si possono collegare le statuette di divinità femminili primitive ritrovate in tante parti del mondo, come le dee steatopigie, simboli di fertilità e testimoni di come fu immediato, per l’umanità, identificare nella terra l’archetipo stesso della vita. Ed è la terra, e la sua potenza generatrice, che nell’Olimpo dell’antica Grecia e poi di Roma ha ispirato le divinità. Gaia, e poi Gea e Cibele, Persefone e Proserpina,
Cerere e Demetra. Volti uguali e diversi della terra e dei suoi numi tutelari. Ed è a queste divinità che si collega il mito di come vita e morte si susseguano in un ritmo senza sosta, dove la pianta che muore ridarà eternamente attraverso radici e semi - che riposano nell’humus nuova vita, trasformando ogni residuo in energia. Terra e Madre dunque, parole unite da un’azione generatrice che è la nascita, la crescita in tutte le sue forme vegetali, animali e umane e nelle sue funzioni di cura, accompagnamento e protezione della vita. Nel miracolo per ogni specie della ricchezza della biodiversità e dell’evoluzione. Ma la parola Terra possiamo considerarla anche riferita al pianeta di cui siamo ospiti pro tempore e che a noi assicura alimenti, acqua ed energia nelle più svariate forme. Ricchezze di cui dovremmo essere custodi per garantirne l’esistenza alle generazioni future. In un tempo lontanissimo l’umanità, che guardava la terra come divinità misteriosa e potente, madre e matrigna che donava cibo per vivere, praticava anche sacrifici, di animali e non solo, per propiziarne fertilità e abbondanza. Oggi che del Pianeta e della sua fragilità sappiamo tanto, dovremmo sacrificare l’ansia di rapina dei suoi tesori, ed esercitare quella cura necessaria a mantenerne la fertilità per il futuro, insieme ai suoi fratelli e sorelle: l’acqua, il sole, il vento da cui i filosofi greci presocratici facevano discendere non a caso l’inizio di tutte le cose. Onoriamola con quello spirito che San Francesco ci ha regalato nel “Cantico delle Creature” quando scrive “Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre terra, la quale ne
sustenta et governa, et produce diversi fructi con coloriti flori et herba” e a , c’è da scommettere, si è ispirato papa Bergoglio nella recente “Enciclica sulla cura della casa comune”
RICETTE in onore di prodotti che sottoterra crescono e maturano. Patate a olio e aceto Lessare le patate con la buccia, lasciandole consistenti. Togliere la buccia, tagliare a fette ancora tiepide condendole con aceto in modo che penetri. Quando saranno fredde, olio d’oliva con un battutino di prezzemolo e aglio (se piace). Cipolle al forno Cipolle bianche, piatte. Tagliare a metà, lavare, infarinare e molto lentamente al forno solo con olio, sale e tanta pazienza per farle cuocere fuori e dentro fino a vederle rosolate e accasciate su loro stesse.
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LEGGERE L’ALBERO DI BRUNA BALDASSARRE
FAMIGLIA
Sentiamo l’Avvocata NUOVI MODELLI DI FAMIGLIA di Simona Napolitani mail: simonanapolitani@libero.it
FOGLIE COME NOTE AL VENTO Cara Bruna, sono una violinista quarantanovenne che lavora prevalentemente con i bambini. Non sono sposata e vivo con mio padre. Ho appena concluso una storia che durava da sette anni, proprio nel momento più delicato della mia vita, subito dopo la morte di mia madre. Di fatto, il mio ex non è stato in grado di restare in secondo piano in un momento in cui per me sarebbero state vitali le sue attenzioni. Ora mi sento sfiduciata nel rapporto con un altro eventuale partner. Che vedi dal mio albero? Lucia Cara Lucia, proprio il ritmo dei sette anni caratterizza lo sviluppo fisico, animico e spirituale della persona, e corrisponde a importanti cambiamenti che possono sfociare in crisi significative. Secondo la teoria biografica di B. Lievegoed la nostra interiorità può non corrispondere al nostro essere esteriore, in via d’inevitabile trasformazione. La tua età corrisponde al rispecchiamento della fase adolescenziale e sta già iniziando una nuova fase, nella quale la saggezza aiuterà a costruire il corso della tua vita. Per una musicista è certamente più naturale accettare il cambiamento del ritmo verso un rallentamento anche delle forze fisiche. La fase della ‘verità’, corrispondente al motto adolescenziale, è purtroppo stata caratterizzata dal distacco doloroso dalla tua figura materna. Probabilmente nessun animo sensibile avrebbe potuto soddisfare la tua disperata richiesta d’amore e d’attenzione. Sei veramente certa che il distacco sia l’unica soluzione per questo legame? Troppo spesso l’uomo, può anche restare bambino rispetto alla maturità della donna ma quando si arriva a una separazione occorre chiedersi quanto i problemi siano stati affrontati dall’interiorità verso l’esteriorità. Soprattutto nella fase della nuova creatività, dai 49 ai 56 anni tutto può giocare a favore di diventare finalmente padrona della tua biografia! Il tuo disegno è musicale! Le foglie, come note al vento, cantano la tua storia. Radici che affondano nel profondo di un inconscio che sembra volere affiorare con tutte la sua forza ma allo stesso tempo senza superare l’attaccamento alle figure rappresentative. Si vede tutto lo sforzo dell’Io nel tronco, sorretto da incisioni grafiche che danno stabilità e verticalità al tuo albero. Gli eventi significativi o traumatici negli anni: 4, 11, 34, 43. Il tuo buon gusto, i modi giovanili con il tuo carattere fresco, la sete di vita che favoriscono una spontaneità nelle relazioni e un buon adattamento non risparmiano però un po’ d’ansia e d’ambivalenza nel confronto tra l’io e il Tu.
È
molto recente la pronuncia della Suprema Corte, secondo cui l’instaurazione di una famiglia di fatto da parte dell’ex coniuge fa venir meno ogni legame con il tenore ed il modello di vita che hanno caratterizzato la precedente fase matrimoniale e, pertanto, fa venir meno il riconoscimento dell’assegno di divorzio a carico dell’altro ex coniuge. La Cassazione ha affermato che il diritto del coniuge titolare dell’assegno non entra in uno stato di “quiescenza”, pronto a rivivere nel caso in cui la famiglia di fatto venisse meno, ma resta definitivamente escluso. Secondo i Giudici, la formazione di una famiglia di fatto costituzionalmente tutelata ai sensi dell’art. 2 della Costituzione come formazione sociale stabile e duratura in cui si svolge la personalità dell’individuo - è espressione di una scelta esistenziale, libera e consapevole, che si caratterizza per l’assunzione piena del rischio di una cessazione degli effetti del precedente rapporto matrimoniale e, quindi, esclude ogni residua solidarietà post matrimoniale con l’altro coniuge, il quale non può che confidare nell’esonero da ogni obbligo. La decisione è innovativa laddove afferma che la mera convivenza di per sé non influisce sull’obbligo di corrispondere l’assegno divorzile, se non quando assuma i connotati di una vera e propria “famiglia di fatto”, ossia la stabilità e la continuità, in un contesto in cui i partner elaborino un progetto e un modello di vita comune, tale da costituire arricchimento e potenziamento reciproco della personalità oltre che la trasmissione dei valori educativi ai figli. Non esiste un solo tipo di famiglia, cosicché accanto a quello coniugale, regolato dall’art. 29 della Costituzione, possono coesistere altri modelli, rilevanti in quanto “formazioni sociali”, protette dall’art. 2 della Costituzione. La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha di recente affermato che il diritto al rispetto della vita privata e familiare, per la salvaguardia dei diritti umani e delle libertà fondamentali impone la qualifica di famiglia anche alle unioni formate da persone dello steso sesso. Si è così giunti all’elaborazione di un concetto di famiglia assai ampio, per cui sia che si tratti di unione omosessuale, sia che si tratti di unione tra soggetti di sesso diverso, è in ogni caso doveroso preoccuparsi della tutela dei singoli componenti all’interno del modello famiglia, prendendosi cura anche degli stessi rapporti interpersonali, a prescindere dal legame genetico eventualmente intercorrente tra padre e figlio e a prescindere dal tipo e dalle modalità dell’unione. Un cammino che ci porta verso nuove frontiere del diritto, verso nuovi principi che fanno propri l’evoluzione ed i cambiamenti dei modelli sociali e della società tutta, come è giusto che sia.
Novembre-Dicembre
L’OROSCOPO DI
ZOE Novembre - Dicembre
2015
PREDIZIONI SEMI-SERIE E PRONOSTICI POSSIBILI
CARA LEONE, CARA ARIETE, il filosofo francese Maurice Blanchot nel suo libro La conversazione infinita scrive che le più importanti filosofie del Novecento “si sono presentate con un gesto di rovesciamento, o di ‘smascheramento’, indicando non ciò che gli umani sono, ma ciò che hanno dimenticato di essere”. Lo so che per il tuo carattere impulsivo chiederti questo tipo di riflessione è davvero una tortura. Ma il mio consiglio proprio è questo: prova a pensare a quello che hai dimenticato di essere, e cerca di capire se vale la pena sottrarlo all’oblio.
lasciami mettere da parte le citazioni colte o i racconti strampalati per provare a fare la “vera astrologa”. In questo periodo, infatti, hai Marte e Venere in una posizione che vale proprio la pena di commentare. Questi pianeti, in Bilancia, ti spingono infatti a seguire i tuoi desideri, a sedurre donne e uomini, a stringere relazioni d’amicizia e soprattutto d’amore. Per non parlare della Luna che potrebbe darti anche un tocco di sfacciataggine in più. Insomma, perdonami se non uso eleganti giri di parole, ma voglio arrivare proprio dove forse hai già capito: tanto sesso! CARA VERGINE,
CARA TORO, esistono dei minuscoli animaletti detti “tardigradi estremofili”, in grado di resistere nelle condizioni più estreme: al caldo, al freddo, alle radiazioni o alle sostanze tossiche. Come fanno? Quando un tardigrado si trova in condizioni non idonee alla vita, entra in “criptobiosi”, uno stato in cui tutte le attività dell’organismo sono ai minimi livelli. Niente paura: nessuna radiazione ionizzante ti colpirà nel corso del prossimo mese! Solo qualche piccola difficoltà a cui, se vorrai, ti suggerisco di rispondere con una tua personale versione di criptobiosi.
nel film di Bruce McDonald Pontypool si racconta di una piccola cittadina canadese invasa dagli zombi. La causa del contagio che fa progressivamente divenire zombi gli ignari abitanti del luogo non è però un morso sul collo o qualche strano virus, ma semplicemente il linguaggio. In particolare, alcune parole o formule sentimentali e trite, cliché del linguaggio comune. Hai mai pensato al potere enorme delle parole? Conoscendo la tua intelligenza affilata, credo proprio di sì. Ora, però, è il momento di applicare nella pratica – parlando o astenendoti dal farlo – le tue conclusioni. CARA BILANCIA,
CARA GEMELLI, scriveva Bertolt Brecht nel suo dramma didattico intitolato L’eccezione e la regola: “Trovatelo strano, anche se consueto, / inspiegabile, pur se quotidiano, / indecifrabile, pure se è regola”. In questo momento, nella tua vita, riconosci qualcosa di consueto e di strano nello stesso tempo, di quotidiano eppure di inspiegabile, indecifrabile? Insomma, quante regole hai che dovrebbero invece essere soltanto un’eccezione? E viceversa?
così la scrittrice Nina Berberova, nel suo Il giunco mormorante, descrive quei momenti in cui un’occasione che credevamo perduta si mostra invece di nuovo praticabile, possibile: “quando la porta sbattuta all’improvviso e senza alcun visibile motivo di colpo si riapre, quando lo spioncino chiuso un attimo fa viene di nuovo aperto, quando un brusco no che sembra irrevocabile si muta in forse”. Potrebbe capitarti qualcosa di simile nel corso dei prossimi mesi: cogli al volo l’occasione di entrare in quella porta, un attimo prima chiusa e ora aperta apposta per te.
CARA CANCRO, l’altro giorno, mentre il mio amico Fabrizio mi mostrava una foto sul suo cellulare, per sbaglio è apparsa un’altra immagine. Intravedendo una figura femminile, abbastanza familiare, gli restituisco il telefono per non essere indiscreta. Solo dopo qualche secondo mi accorgo che si trattava di una mia foto, inviatagli per scherzo tempo prima. Insomma, ho provato il perturbante, la sensazione che proveremmo incontrando il nostro sosia. Potrebbero capitarti esperienze simili in questo periodo, ovvero potresti sviluppare la capacità di cogliere l’ignoto nelle cose finora per te quotidiane.
preannunciano molto buoni, anche rispetto al recente passato. Allora, riflettiamo insieme sul potere della memoria e sulle virtù dell’oblio. CARA SAGITTARIO, Damien Hirst, uno degli artisti più famosi del nostro tempo (quello dello squali in formaldeide, per intenderci), ha detto che la vera svolta nella sua carriera è avvenuta quando ha capito che tutto era già stato fatto e che a questo punto occorreva semplicemente rubare. Ebbene, da questi furti Hirst ha tirato fuori una enorme quantità di idee inedite e originali. Ruba pure le idee e i pensieri di coloro chi stimi accanto a te, e usa la tua intensa vitalità per trasformarli in nuovi progetti. CARA CAPRICORNO, in India un gruppo di giovani designer ha messo in piedi il progetto Taxi Fabric, riempiendo l’interno dei taxi di Mumbai di affreschi colorati che raccontano la storia e l’arte del Paese. Questa idea mi ha fatto venire in mente le possibilità che si aprono per le rappresentanti del tuo segno in questo periodo. Marte lascia la Bilancia, e tutto comincia ad andare per il verso giusto: approfittane per rendere belle e piacevoli anche le piccole cose. Come, per esempio, una corsa in taxi. CARA ACQUARIO, forse avrai sentito che il magnate russo Yuri Milner ha finanziato il progetto Breaktrough Initiative, che tenterà di inviare nello spazio segnali della nostra esistenza. Allo scopo è stato indetto un concorso, aperto a tutti, per formulare il messaggio più significativo e adeguato a raccontare il genere umano. Al di là di tutto, a me piace tanto l’idea di mandare messaggi nel vuoto, tanto per descrivere la propria esistenza, indipendentemente dal fatto che ci sia qualcuno ad ascoltarli. E a te?
CARA SCORPIONE, per te una citazione coltissima, nientedimeno che da Cechov: “Dimenticheranno. [...] Ciò che a noi sembra serio, significativo, molto importante, col passar del tempo sarà dimenticato o sembrerà irrilevante. Ed è curioso che noi oggi non possiamo assolutamente sapere che cosa domani sarà ritenuto sublime, importante e che cosa meschino, ridicolo”. Questi mesi si
CARA PESCI, diceva il filosofo francese Alain che “i veri pensieri non si sviluppano”. Imparare a pensare vorrebbe dunque dire imparare a non sviluppare. Mi sono sempre chiesta cosa significhi davvero questa affermazione. Forse che i veri pensieri si possono pensare ma non rappresentare, definire, spiegare. Piuttosto resistono, insistono e si ripetono. C’è qualcosa che ti viene in mente spesso, e che pure non riesci a spiegare? Forse è più importante di quello che pensi...
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2015
Laura Garavaglia Quanti di poesia
Nelle leggi della fisica si può trovare il senso delle vicende dello spirito di Luca Benassi
L
a cultura italiana lavora per compartimenti stagni: il sapere scientifico e la cultura umanistica non hanno fra loro contatti e, anche al loro interno, specialità e settori sembra staterelli autarchici sempre in procinto di darsi battaglia. In una civiltà che ha le sue basi in Michelangelo, Galileo e Leonardo è sorprendente osservare come non ci sia posto per i creativi e gli eclettici, per coloro che sono capaci di far interagire le diverse branche del sapere, per creare innesti, trovare soluzioni, far progredire l’arte, la scienza, la letteratura. Eppure, limitandoci al campo della poesia, il secolo pas-
sato ha offerto esempi illustri di tali fecondazioni, si pensi alla figura di Leonardo Sinisgalli e alla rivista “La civiltà della macchine”, che tuttavia non hanno avuto particolari sviluppi negli anni successivi. Per questo si saluta con estremo favore una poesia come quella di Laura Garavaglia, dove scienza e versi, cosmo e anima si incrociano e si nutrono con esiti sorprendenti. Non si tratta di una poesia descrittiva, che dall’osservazione della natura si limita a trarre uno spunto di scrittura, né di una poesia che si alimenta di un ‘furor mathematicus’ alla ricerca di una sintesi fra linguaggi all’apparenza inconciliabili: la poesia di Garavaglia è piuttosto la presa d’atto che nelle leggi del cosmo, nella conoscenza e nell’osservazione dell’infinitamente piccolo come dell’infinitamente grande si può trovare il senso delle vicende dello spirito, della tensione alla bellezza, all’amore, alla condivisione. Questa poesia, che per certi versi ricorda quella di Giancarlo Isetta, si situa sullo stesso versante del “Tao della fisica” di Fritjof Capra o delle “Sette lezioni di fisica” di Carlo Rovelli, in quanto mette l’essere umano al centro del tempo e dello spazio. Si tratta di una centralità che poggia sulle basi del dubbio e dell’indeterminatezza, sulla necessità di misurarsi con i limiti del suo essere finito, preda del turbamento di fronte all’immensità del cosmo e allo stesso modo temerario nel cercare di comprenderne le leggi che lo regolano. Il mistero della vita, l’insondabilità dei sentimenti –sembra dirci Garavaglia – fanno parte dell’enigma della materia: ciò di cui siamo fatti è, in fondo, ciò che conosciamo meno. Laura Garavaglia ha fondato e presiede l’Associazione culturale “La Casa della Poesia di Como” ed è organizzatrice e curatrice del Festival Internazionale “Europa in versi”. In poesia ha pubblicato “Frammenti di vita” (2009), “Farfalle e Pietre” (2010), “La simmetria del gheriglio” (2012), “Correnti ascensionali” (2013) e “Numeri e Stelle” (2015).
È tempo di scavare nella terra togliere sassi, piantare radici. Poi verranno i frutti. Raccogliere le schegge sotto il tavolo entrare nella vasca di ogni giorno, emolliente torpore per lavarsi il cuore. Dire esperienza, oggi, e non più vita astratto sostantivo singolare, scommessa inutile, illusoria partita. ~ Non ho voglia di uscire per farmi ingoiare da volti e parole. Misurare l’asfalto, nient’altro, ricomporre i minuti, le ore sciabola sulla pelle, il sole. Sulla terrazza la sera si affaccia con me alla ringhiera ~ Mi dici “Non c’è mai pace in questo posto”. Lo dici e levi lo sguardo. Ma il rimorso azzanna le viscere e l’invidia strappa i tendini con i suoi uncini. Morderei l’amore, se fosse mela o pane. Mi riempierei la bocca, lo stomaco. Ma è già molto poter stare vicini gusci di noce, simmetrie di gheriglio sulle onde dei nostri quantici destini. ~ Il mare ardesia a scaglie In superficie liquida la luce. Sciolgo intuizioni nel lavello. Non parola che scorga all’orizzonte né vento che rinforzi i pensieri né doverosa voglia di un ritorno. Solo la consapevolezza amara che tutto nella vita è breve sogno.
Trascorriamo insieme il 2016 scoprendo, settimana dopo settimana, le belle copertine del giornale che da oltre settanta anni racconta la società con gli occhi delle donne.
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NOVEMBRE / DICEMBRE 2015
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