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Gallipoli, Isola Sant’Andrea, faro d’altura
perficie e 113,3 tonnellate in immersione mentre la lunghezza fuori tutto restava di 24,4 m e la larghezza 2,90 m per una capacità di immersione media di 2,78 m. Il battello raggiungeva una velocità massima in superficie di 6 nodi mentre in immersione si attestava a 5 nodi ed aveva un’autonomia di 165 miglia a 6 nodi. Dunque una macchina che per i primi del Novecento suscitava forte interesse sotto il profilo militare e tecnologico diventando addirittura oggetto di studi e di conferenze come quella dal titolo Sommergibili e Sottomarini tenuta a Mantova il 14 dicembre 1907 dall’allora tenente ingegnere del Genio Navale Giorgio Rabbeno. Una riflessione in cui l’ufficiale del Genio navale ripercorreva la storia dell’arma subacquea dalle origini fino ai primi del Novecento, testimoniando anche la sua esperienza a bordo del nuovo sommergibile Glauco. Nei confronti della piccola unità che contava un equipaggio composto da un ufficiale e sette uomini tra sottufficiali e marinai, Rabbeno riservò parole di elogio: “In Italia si costruì allora sui piani geniali dell’ingegnere Pullino, il nostro Delfino, il quale fu così felicemente ideato, che non solo riuscì ottimo fra i suoi contemporanei, ma, grazie alla attitudine dimostrata a ricevere successivi perfezionamenti, è ancora oggi uno dei migliori, v’è chi dice il migliore, dei nostri sottomarini”. Rabbeno nella sua ampia analisi partì dalle origini, cioè da una data significativa come il 17 febbraio 1864 quando la corvetta Housatonic della flotta federale era colata a picco durante la Guerra di secessione americana a causa di una mina “posata” da un piccolo sottomarino tipo “David”, chiamato così perché destinato ad abbattere i giganti del mare. L’arrivo del motore elettrico e in seguito anche del motore a scoppio costituì un altro grande progresso per i sottomarini. Se i primi esemplari come il David, infatti, secondo Rabbeno, “potevano contare sulla potenza motrice e i muscoli del loro equipaggio che usavano remi speciali o eliche mosse a braccia, non appena si diffuse la navigazione a vapore anche gli ingegneri e i progettisti navali di sottomarini ne approfittarono”. E’ il caso dello svedese Nordenfeldt e di quattro sottomarini costruiti fra il 1885 e il 1887 “tutti simili con motore a vapore che utilizzavano nella navigazione subacquea, a fuochi spenti, il calore ac-
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cumulato nella caldaia durante la navigazione a fior d’acqua coi forni in attività” spiegava lo stesso Rabbeno. Nella storia dei sommergibili, però, il Delfino restò una vera e propria pietra miliare per comandanti ed equipaggi che nel frattempo costituivano la spina dorsale della componente sommergibilistica italiana. Tra il 1903 e il 1905 la Regia Marina pose in cantiere cinque unità classe Glauco dotate di motori a benzina. Nel 1910, grazie al sostegno dell’ammiraglio Paolo Thaon di Revel, la flotta dei sommergibili italiani venne potenziata con l’entrata in linea del Foca e di otto unità classe “Medusa” da 250 tonnellate dotati di due tubi lanciasiluri. A questi si aggiunse l’Atropo, due unità classe “Nautilus” e due unità classe “Pullino” e “Argonauta”. I riscontri positivi in termini di efficacia si ebbero il 7 novembre del 1914 con l’avvio di un ulteriore programma di costruzione nei cantieri navali dell’Ansaldo di Genova e della Fiat-San Giorgio del Muggiano (La Spezia) con ordini per due unità classe “Pacinotti” da 710 tonnellate (I sommergibili; da Grande Guerra. Un racconto in cento immagini, SMD, 2018). Lo stesso Winston Churchill, Primo Lord dell’Ammiragliato britannico, il 27 novembre del 1914, a conflitto mondiale scoppiato, sottolineò l’importanza strategica dei sommergibili. Per l’Italia era l’anno della neutralità, ma l’ammiraglio Thaon di Revel e Marina italiana non erano rimasti con le mani in mano. Proprio nell’anno della non belligeranza l’arma navale proiettò i suoi sforzi verso i sommergibili classe “F” da 262 tonnellate in emersione e 319 tonnellate in immersione, armati con due tubi lanciasiluri sempre da 450 mm e considerati le migliori unità subacquee della Grande Guerra. All’ingesso dell’Italia nel primo conflitto mondiale, il 24 maggio 1915, la Regia Marina contava ben 21 battelli dislocati in due flottiglie, una con comando operativo a Venezia, composta da 13 unità e l’altra a Brindisi di 8 unità. Il Delfino, il cui motto era Subsum sed superis obsum, era comandato dal tenente di vascello Alessandro Giaccone ed entrò a far parte della 4ª Squadriglia sommergibili per poi passare nel gennaio del 1916 in forza alla 2ª Squadriglia diventando nel 1917 unità capo squadriglia.
Nel 1918 venne trasferito a Porto Corsini e, il 29 settembre 1918, fu posto in riserva. Nel corso della Grande Guerra compì 44 missioni di agguato difensivo foraneo, ma la sua principale attività fu quella di formare giovani ufficiali, sottufficiali e marinai destinati a imbarcare a bordo dei sommergibili italiani, veri e propri pionieri di una componente che ancora oggi resta tanto affascinante quanto di fondamentale importanza in termini di difesa, sicurezza e sorveglianza marittima.
Il progetto del sommergibile Delfino, nella foto a sinistra una delle prime uscite in mare. (Foto Ufficio Storico della Marina Militare)