5 minute read

Terapia dell’Avventura e inclusione sociale

Termina la quattordicesima campagna della Fondazione Tender to Nave Italia, la onlus costituita dalla Marina Militare e Yacht Club Italiano.

di Emanuele Scigliuzzo

Advertisement

Con l’arrivo dell’autunno il cigno ripiega le ali e ritorna in porto a La Spezia per il periodo invernale. Una nuova campagna di Tender to Nave Italia sta per terminare dopo aver coinvolto all’incirca 200 utenti di 14 diversi enti. L’inclusione sociale è il vero motore di una Fondazione che dal 2007 ogni anno, a bordo di Nave Italia, “combatte per eliminare ogni pregiudizio sulla disabilità e sul disagio”. Alla base delle attività, una metodologia basata sulla Terapia dell’Avventura che attraverso il senso di responsabilità e l’integrazione dell’individuo in un gruppo, mira a far comprendere le proprie capacità ai singoli. In questo modo la persona prende coscienza delle proprie possibilità per affrontare la vita con la giusta consapevolezza. Direttore scientifico di Tender to Nave Italia dal 2009 è il prof. Paolo Cornaglia Ferraris, cagliaritano, laureato in Medicina e Chirurgia all'Università di Genova nel 1976, successivamente si è specializzato in “Ematologia e clinica e di laboratorio” e in Pediatria. Dirigente all'Ospedale Gaslini di Genova per vent'anni e Visiting Associate Professor alla University of South Florida in un programma di ricerca farmacologica, ha fondato nel 2000 la ONLUS Camici & Pigiami e ha aperto, nel 2003, uno studio medico gratuito per bambini senza permesso di soggiorno nei vicoli della vecchia Genova.

Incontriamo il prof. Paolo Cornaglia, direttore scientifico di Tender to Nave Italia

Direttore, come nasce l’idea di Terapia dell’Avventura e a chi si rivolge in particolare?

Nasce da Carlo Croce, allora Presidente dello Yacht Club Italiano e da Sergio Biraghi, allora capo di Stato Maggiore della Marina Militare. Intuiscono quanto efficace possa essere per una persona resa fragile da disabilità o disagio, un forte stimolo emotivo, unito alla sicurezza di una disciplina militare. Nei 14 anni di attività, questa cornice di forte stimolo emozionale, l'avventura appunto, è diventato processo terapeutico capace di unire prossimità e gerarchia. La prossimità è fisica e psicologica: i ragazzi stanno vicini, mangiano col comandante, col nostromo e tutti gli altri membri dell'equipaggio, condividono spazi stretti e doveri tipici di chi sta a bordo. Una prossimità psicologica che diventa inclusione, sollievo, senso di appartenenza ad un gruppo di persone capaci di non considerare i limiti di ciascuno come invalidanti, ma di valorizzare le loro risorse. I ragazzi devono anche obbedire: nessuno viene esentato dai doveri di partecipare alle manovre alle vele, alla lucidatura degli ottoni e alla pulizia di ponti, cabine e piatti sporchi. Non importa se si è non vedenti, autistici, diabetici, epilettici: queste etichette sono del mondo di fuori. Su Nave Italia si affronta il mare insieme senza stigma sociale, per diventare marinai speciali di un'avventura che emoziona così tanto da diventare memoria perenne, esperienza capace di modificare la percezione di se stessi e migliorare l'autostima, passaggio essenziale nel percorso di modificazione in meglio della qualità di vita di ciascuno. Se credi in te stesso, e accetti i tuoi limiti e quelli altrui, vivi meglio.

In che modo questa terapia aiuta i ragazzi che imbarcano?

Vivere una fragilità significa avere di sé stessi una percezione riduttiva. Ci si sente incapaci di fare, di agire e di pensare, perché gli altri ti hanno sempre fatto capire che così è la tua realtà, limiti invalicabili di una tristezza perenne. Ne risulta una scarsa considerazione delle proprie risorse e capacità, con atteggiamenti di rinuncia o rifiuto, che favoriscono percorsi di vita adolescenziale caratterizzati da cattiva qualità della vita. L'avventura in un mare grande ed ignoto diventa così metafora perfetta del cambiamento, lo stimolo emozionale forte da cui partire per rovesciare questa triste prospettiva e scoprire di possedere risorse inespresse. Si diventa rapidamente capaci di issare le vele e partecipare a tutte le attività di bordo, senza sconti, senza se e senza ma, dentro una disciplina militare che non perde mai di vista la tenerezza. Una prossimità fisica e psichica che aiuta a riconsiderare se stessi e gli altri come comunità solidale capace di includere e mai di escludere chi è più fragile.

Prima di salire a bordo di nave Italia le associazioni devono seguire dei protocolli di preparazione? Cosa resta ai ragazzi al termine del periodo a bordo e come si fa a non vanificare i risultati raggiunti in questi giorni?

La Terapia dell'Avventura si avvale di tre momenti, la cui organizzazione è affidata ad un team coordinato dal dottor Gabriele Iannelli e condotto dalla Prof.ssa Ludovica Rocca. I tre momenti, definiti dal Comitato Scientifico sulla base degli studi condotti dal Prof. Michele Capurso dell'Università di Perugia, sono costituiti da una fase di pre-imbarco, organizzata dai nostri educatori e Project manager presso la sede della associazione, ospedale o scuola selezionata per originalità e fattibilità del proprio progetto. Durante tale fase ci si prepara a diventare gruppo, identificando limiti e risorse di ciascuno e del gruppo stesso ed istruendo educatori, medici e infermieri coinvolti alle tappe necessarie perché la terapia dell'avventura raggiunga il massimo dell'efficacia. La fase di imbarco successiva è quella che innesca le emozioni più forti. Venti, mare, onde, disciplina, gioco, laboratori didattici, divertimento, mensa comune, costituiscono un perfetto mix di attività concentrate in un'unica settimana indimenticabile. Tanto più forti le emozioni, tanto più profonda la memoria che si conserverà dell'evento, che resterà nel tempo una traccia indelebile di “superamento”. “Anche io ci sono riuscito”, è ciò che pensano e vivono i ragazzi con disabilità. “Non credevo che lui (o lei) sapesse fare queste cose”, dicono educatori, medici e infermieri abituati a considerare di quei ragazzi solo gli aspetti del deficit e non quelli delle risorse mai espresse, che l'avventura riesce a far emergere. Il percorso si conclude con una fase di post imbarco, che si concentra sulla narrazione; i ragazzi e le ragazze riportano a famiglie, scuole ed a tutti coloro che non hanno direttamente partecipato all'avventura, i risultati, le foto, i filmati e, qualche volta, inventano perfino nuovi strumenti di comunicazione, come hanno fatto gli autistici di Rimini che hanno costruito a bordo un fotoromanzo fantastico, poi venduto a ristoratori e albergatori della riviera romagnola. Abbiamo raggiunto e scientificamente pubblicato dati incontrovertibili su ragazzi con epilessia, cancro, deficit cognitivi, disturbi del comportamento e stiamo per pubblicare dati importanti su disturbi alimentari, diabete ecc. La Terapia dell'Avventura funziona, perché solidamente basata su prossimità e disciplina militare vissute dentro un contesto emozionante. Nave Italia è un esempio convincente di ciò e l'augurio è che possa fare da apri pista per rotte educative, riabilitative e formative di nuova concezione. Diventerebbe più efficace e rapido riabilitare un deficit con metodi che non siano quelli dei poliambulatori nei servizi ASL, in cui di avventure se ne vivono solo per affrontare tempi morti, noia e liste d'attesa. Nave Italia è un'eccellenza della Marina Militare e dello Yacht Club Italiano, delle capacità di affrontare nuovi ed originali percorsi per servire meglio chi è destinato a subire uno stigma sociale pesante ed a restare indietro.

This article is from: