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A scuola sul mare di Vincenzo Grienti
Venezia, un marinaretto sul bompresso di nave Scilla (foto Ufficio Storico della Marina Militare).
A scuola sul mare
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110 anni fa la nascita delle navi-asilo. A scuola sul mare per imparare a navigare la vita e capire che uniti si vince se si fa equipaggio.
di Vincenzo Grienti
Da discoli a marinaretti il passaggio non fu breve per centinaia di bambini e ragazzi che furono strappati dalla strada e dalla criminalità grazie alla Regia Marina. Era il 13 luglio 1911 quando su proposta del ministro della Marina, Pasquale Leonardi Cattolica, venne autorizzata la costituzione di un Consorzio fra Ministero della Marina, dell’Interno, della Pubblica Istruzione e degli enti locali della città di Napoli per l’istituzione e l’esercizio di una nave asilo sull’unità radiata Caracciolo, concessa dallo Stato per accogliere allievi e istruirli nella professione marittima. Una data che segnò per sempre l’avvio di un’esperienza unica in Italia e una svolta per gli orfani della gente di mare e per l’infanzia abbandonata della periferia partenopea. Alla proposta fece seguito l’approvazione dello statuto del Consorzio avvenuto per decreto il 28 giugno del 1912. Fu il primo passo per l’organizzazione di queste speciali “navi scuola” che a terra e a bordo educarono decine di senza famiglia e giovani disagiati in un momento in cui nessuno pensava al loro futuro. Il 21 giugno 1914, un mese prima dello scoppio del primo conflitto mondiale, venne istituito l’Ente Morale Opera Nazionale di Patronato per le navi asilo Caracciolo e Scilla con sede a Roma presso il Ministero della Marina. L’Opera aveva come fine quello “di promuovere la fondazione e lo sviluppo delle navi asilo” e di “provvedere all’azione benefica in concorso con altre istituzioni pubbliche aventi scopi affini”. Il Ministero della Marina cedette “in via temporanea o definitiva per l’istituzione di navi asilo quelle navi destinate all’alienazione e a negli stati di previsione di spesa incluso un sussidio annuo a favore di detta Opera rispettivamente di 40.000, 60.000 e 80.000 lire”. Un onere e un impegno di cui la Marina si fece carico a beneficio dell’educazione dei figli di pescatori e marittimi con difficoltà. Inoltre il Ministero della Marina autorizzava a cedere gratuitamente alla “Società veneta di pesca e acquacoltura” nave Scilla che già nel 1904 era stata data in consegna a detta società per “farne sede in Venezia della scuola di pesca ed istituirvi un asilo per i figli dei pescatori del litorale Adriatico”. Le navi-asilo introdussero di fatto in Italia il metodo educativo della cultura del mare e della vita di bordo. Una tradizione che fino a quel momento traeva origine dalle training ships britanniche, promossa sin dalla seconda metà del ‘700 dalla Royal Navy, da enti e istituzioni benefiche sulle sponde del Tamigi. Le imbarcazioni, cedute dalla Marina inglese, per vari motivi, perché in disarmo oppure radiate, accoglievano equipaggi di giovani per impartire loro una educazione marinara. Si trattava di fanciulli che erano figli di nessuno, abbandonati o trovatelli. In Italia, con il sostegno della Regia Marina, il primo esperimento di navi-asilo era stato compiuto a Genova, a bordo di quella che era stata chiamata nave scuola-officina per
discoli. Era il 1° dicembre del 1883 quando Nicolò Garaventa mise in parallelo la vita di mare con la redenzione sociale, due ambiti apparentemente lontani, ma intrinseci per dare una formazione a ragazzi altrimenti senza futuro. Il docente di matematica genovese era un insegnante di lungo corso presso il Liceo ginnasio Andrea Doria del capoluogo ligure. Egli intuì che la vita marinaresca poteva diventare un progetto educativo e un’autentica opportunità di riscatto sociale per i giovani "marinaretti". Così il Daino, un brigantino ormai in disarmo che aveva combattuto la guerra navale del 1848 contro l’Austria, fu destinato dalla Regia Marina alla famiglia Garaventa. Il veliero fu adattato per accogliere i ragazzi e diventò una nave scuola con il nome prima di Redenzione e poi con quello di Nave Officina Redenzione Garaventa. La nave restò ancorata a Genova fino al 1904 quando la Regia Marina assegnò al professore Garaventa e ai suoi figli la cannoniera Sebastiano Veniero dismessa dal servizio. Il motto di nave Garaventa fu Ubi charitas ibi Deus e accolse non solo ragazzi sbandati di età non superiore ai sedici anni, ma anche giovani con pene detentive. A bordo si imparava a leggere, a scrivere e si apprendevano nozioni di cultura marinara. Nel 1904, a Venezia, David ed Elvira LeviMorenos diedero vita all’esperienza della nave-asilo Scilla da poco radiata dal naviglio militare e, in collaborazione con le autorità comunali, venne istituito un asilo per gli orfani dei pescatori con l’obiettivo di dare una istruzione elementare e professionale ai piccoli senza fissa dimora. Da Nave Scilla uscirono moltissimi ragazzi che intrapresero la carriera militare come allievi nocchieri, segnalatori, radiotelegrafisti, siluristi e motoristi navali. Molti altri, invece, presero servizio a bordo delle navi mercantili. Tra le altre unità impiegate come navi-asilo ci furono anche nave Eridano a Bari. Si trattava dell’ex Tevere ed ex mercantile britannico Edinburgh. La nave era stata radiata nel 1907 e mantenuta in servizio fino alla fine della guerra come nave deposito. Fu trasferita a Bari e data in gestione all’Opera Nazionale del Patronato (ONP) e poi senza non poche difficoltà ceduta all’amministrazione comunale. A Cagliari operò nave Azuni svolgendo un’opera di accoglienza e alfabetizzazione per i ragazzi della Sardegna. Ma ad attirare l’interesse nazionale e internazionale sulle navi-asilo tra il 1913 e il 1928 fu proprio nave Caracciolo che sperimentò un metodo pedagogico che coinvolse oltre 750 bambini e ragazzi sottratti alle più disparate condizioni di abbandono. Al timone del progetto c’era una donna, Giulia Civita Franceschi (1870-1957) mentre a bordo decine di “caracciolini” vennero restituiti alla vita civile, sana e dignitosa fornendo loro conoscenze e competenze per poter svolgere una professione non solo in Marina, ma anche nel mondo dei mestieri del tempo. Il metodo era semplice, ma incisivo: puntava al cuore e alla mente di ogni singolo bambino e ragazzo partendo dall’umanità, dalla relazione, dall’empatia, dall’affetto spesso mai provato. La nave non era solo una scuola di addestramento ai mestieri marittimi, ma piuttosto una “comunità” in cui, secondo l’impostazione di Giulia Civita Franceschi, ogni fanciullo veniva conosciuto e rispettato nei propri bisogni nonché incoraggiato e valorizzato nella proprie tendenze. Un’esperienza che attirò addirittura una grande firma del giornalismo italiano come Matilde Serao del quotidiano Il Mattino di Napoli che proprio a Civita Franceschi dedicò un ampio articolo pubblicato sulla Rivista Marittima del mese di maggio del 1913. “La nave-asilo Caracciolo raccoglie un senza-patria, un senza-famiglia e dà, a questa creatura diseredata, una patria, una famiglia, raccoglie un vagabondo, un mendicante, e dà a questo povero essere sbattuto e sperso, la casa, il pane, il letto, in una disciplina ferma e rigida, scriveva la giornalista. Raccoglie il figlio di un ladro e ne fa un galantuomo; raccoglie un pigro, un disobbediente, una pianta da galera e ne fa un ragazzo operoso, onesto, retto, destinato a fare il suo dovere di uomo e d’italiano, e a guadagnare la sua vita, sul mare e pel mare”. Una storia, quella delle navi-asilo della Regia Marina custodita presso l’archivio e la fototeca dell’Ufficio Storico della Marina Militare che nel 2019 è diventata anche una mostra e un libro dal titolo A Scuola sul mare, edito dallo Stato Maggiore della Difesa.
In alto a sinistra: Nave Asilo Caracciolo, a fianco marinaretti a bordo della Scilla, una delle navi Asilo della Regia Marina volute per recuperare e dare istruzione ai bambini abbandonati. A seguire: lezioni di matematica a bordo di nave Azuni, a fianco posto di lavaggio sul ponte di nave Scilla. In basso: nave Scuola Redenzione Garaventa a Genova (foto Ufficio Storico della Marina Militare).