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Il giorno di festa
Il giorno della festa
In quest’anno così particolare, ci piace pubblicare questa testimonianza: una famiglia presente, i legami di sangue, hanno una forza tangibile, che non va sottovalutata.
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Claudio Vergamini
I giorni di festa sono occasioni che ci riservano varie opportunità, anche per poter riflettere sulla nostra esistenza. Ricordo quando andavo all’ospedale per attendere che mio padre terminasse la fisioterapia per poterlo far uscire, grazie al permesso concessogli dalla struttura: nella camera vuota, e con i silenzi spesso interrotti dalle voci dei pazienti e delle infermiere, non potevo fare a meno di pensare a cosa può rappresentare la domenica, giorno di festa, occasione per potersi ritrovare con i propri cari, o con amici, e passare insieme una giornata. Si sta perdendo il senso sacrale della domenica. La pandemia ha peggiorato la situazione rendendoci tutti un po’ più soli. C’è addirittura chi pensa che ritrovarsi in famiglia sia solo ipocrisia, un modo di far finta di vedere volentieri gente che si detesta, e quindi, al massimo, apprezza il fatto di non dover fare l’alzataccia per andare al lavoro: opinione che decisamente non condivido. Io credo che sia sempre molto bello, ogni tanto, fermarsi ed interrompere il tran tran, stare insieme alle persone care e rendere una giornata speciale, anche se di lì a poche ore ci si dovrà congedare, ed ognuno tornerà alla propria vita. Ritrovarsi tutti, anche se a volte si fa finta di essere felici, rappresenta, secondo me, qualcosa di cui, chi più chi meno, tutti abbiamo bisogno, ne sentiamo il fascino, e nessuno, in fondo in fondo, vuole mai farne a meno. Chissà quanto apprezzerebbero una bella giornata speciale quegli ospiti della clinica dove era mio padre che non avevano un familiare lì ad aspettarli per portarli con sé: ho visto quanto dolore c’era negli occhi di chi sapeva che nessuno li sarebbe andati a salutare e a dire loro: «Dai che ci stanno aspettando» e che la “giornata speciale” l’avrebbero trascorsa lì, tra quei corridoi, più silenziosi del solito, come silenziose erano le loro camere, con il
tempo che non passa mai, con la luce gioiosa della mattina che lascia il posto a quella meno gioiosa del pomeriggio, e poi alla tristezza del tramonto e della sera, che porta il buio e appesantisce ulteriormente una giornata passata in solitudine. Chissà quanto avrebbe voluto passare una giornata particolare quella donna anziana che, quando stavo prendendo l’ascensore con mio padre, ci chiamò e dopo averci salutati ci disse: «Io ho 4 figlie femmine, e nessuna viene oggi. Io starò qui da sola. Non si fa così». Non ho potuto fare a meno di ripensare a mia mamma, alle domeniche e ai giorni di festa trascorsi sempre in famiglia e con amici, ai suoi ultimi giorni con almeno uno dei suoi cari accanto a lei, con tutta la sua famiglia accanto nelle sue ultime ore. Chissà quanto sarebbe stato bello averla ancora qui, seduta al tavolo con noi, anche senza speciali parole, ma solo con quella atmosfera tipica delle nostre belle feste, patrimonio della nostra cultura che non dobbiamo mai sottovalutare né dimenticare. I nostri cari, i nostri familiari, anche se non sono perfetti, anche se ce ne combinano qualcuna ogni tanto, anche se ci fanno arrabbiare, sono poi quelli di cui veramente abbiamo bisogno. Loro ci saranno sempre: la famiglia è un punto fisso di riferimento. I legami familiari non sono meteore come, invece, purtroppo, tante amicizie, che sembrano belle e profonde, ma si rivelano fuochi di paglia. Senza un legame di sangue ad unirci, purtroppo svaniscono, e restano solo nell’album dei ricordi. Pensiamoci sempre, non dimentichiamo mai il valore del calore della famiglia, soprattutto quando si inneggia alla “indipendenza”, si reclama il bisogno “dei propri spazi”, della “autonomia” e ci si fa sedurre dal mito del “vivere soli”. Ripenso sempre al dolore di quei pazienti che, arrivata la domenica, avevano sì “i loro spazi”, la loro “autonomia”, ma ne avrebbero fatto volentieri a meno.