(AUTORIZZAZIONE DEL TRIBUNALE:BZ N6/03DELL'11/04/2003)
POSTE ITALIANE SPA - SPEDIZIONE IN ABBONAMENTOPOSTALE - DL353/2003 (CONV.INL27/02/2004 N. 46) ART.1 COMMA1 NE/TN
Organo informativo ufficiale dell’associazione Pro Vita & Famiglia Onlus - Organizzazione Non Lucrativa di Utilità Sociale -
ANNO VIII APRILE 2020 RIVISTA MENSILE N. 84
P. 14
P. 28
P. 10
Giulia Tanel
Francesca Romana Poleggi
Blandine Fiore
«Questo non è tuo figlio, è un business». Intervista a Monica Ricci Sargentini
Donne generose, madri surrogate vive e morte
«La Manif Pour Tous non demorde mai!» Intervista a Ludovine de La Rochere
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Notizie Pro Vita & Famiglia
«Chi pensa che la “surrogazione solidale” possa essere davvero un libero atto di autodeterminazione della donna, avrà modo di ricredersi».
aprile 2020
Editoriale
In passato il Parlamento ha modificato l’articolo 604 del codice penale dichiarando la punibilità dello sfruttamento della prostituzione minorile e della pedofila anche se commessi all’estero. In base allo stesso principio il senatore Simone Pillon ha presentato poco più di un anno fa un disegno di legge teso a punire i compratori di bambini e gli sfruttatori di donne che praticano il turpe mercimonio dell’utero in affitto fuori dai nostri confini. Tale proposta non è mai stata discussa: la maggioranza che siede in Parlamento ha a cuore i diritti delle donne solo se essi non intaccano gli interessi delle potenti cliniche della fertilità, che a loro volta strumentalizzano le lobby “Gbt” (senza L, perché le lesbiche sono in prevalenza contrarie a “prestare” l’utero): il potere economico e mediatico delle lobby omosessualiste fa molto comodo a coloro che fanno milioni prevalentemente con coppie etero.
Intanto, alcuni vorrebbero la legalizzazione della “surrogazione solidale”, che consentirebbe a donne molto generose, libere, non sfruttate, di “regalare” un figlio a chi non può averne. In questo numero di Notizie Pro Vita & Famiglia, allora, lasciamo la parola alle madri surrogate (quelle vive, perché ogni tanto qualcuna muore, nell’indifferenza generale). Ascoltiamo il grido di dolore non solo delle Ucraine, che sono particolarmente bisognose di denaro, ma anche di quelle donne dei Paesi cosiddetti “civili” che - più o meno pagate - offrono il loro grembo soprattutto per spirito altruistico. Chi pensa che la “surrogazione solidale” possa essere davvero un libero atto di autodeterminazione della donna, avrà modo di ricredersi. ... Che la luce del Risorto illumini i cuori induriti e consoli tante vittime innocenti. Buona Pasqua a tutti!
Toni Brandi
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Notizie Pro Vita & Famiglia
Sommario 3
Editoriale
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Lo sapevi che...
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Dillo @ Pro Vita & Famiglia
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Versi per la vita Silvio Ghielmi
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Intervista a Ludovine de La Rochère, La Manif Pour Tous, p. 10
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La Manif Pour Tous non demorde mai!
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Blandine Fiore
Utero in affitto (o in comodato d’uso) «Questo non è tuo figlio, è un business»
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Giulia Tanel
Un business da 6,5 miliardi di dollari
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Giuliano Guzzo
Un grido di dolore dall’Ucraina
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RIVISTA MENSILE N. 84 — Anno VIII Aprile 2020
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Editore Pro Vita & Famiglia Onlus Sede legale: via Manzoni, 28C 00185 Roma (RM) Codice ROC 24182
Renate Klein
Donne generose, madri surrogate vive e morte Francesca Romana Poleggi
Cultura e società Persona e mistero. L’antropologia di Romano Guardini
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Mirko Ciminiello
Adottare una Lucetta
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Luca Scalise
Scienze “esatte” e conoscenza critica
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Luciano Leone
La dimensione contemplativa della difesa della vita umana
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Toni Brandi
Redazione Toni Brandi, Alessandro Fiore, Francesca Romana Poleggi, Giulia Tanel Piazza Municipio 3 39040 Salorno (BZ) www.provitaefamiglia.it Cell. 377.4606227 Direttore responsabile Toni Brandi Direttore editoriale Francesca Romana Poleggi Progetto e impaginazione grafica Co.Art s.r.l. Tipografia
In cineteca
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In biblioteca
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Distribuzione Caliari Legatoria Hanno collaborato alla realizzazione di questo numero: Toni Brandi, Mirko Ciminiello, Blandine Fiore, Silvio Ghielmi, Giuliano Guzzo, Renate Klein, Luciano Leone, Francesca Romana Poleggi, Luca Scalise, Giulia Tanel. In copertina: foto Fornaciari
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Notizie Pro Vita & Famiglia
Lo sapevi che... Femminicidi da Ru486: quelli che non interessano a nessuno I Radicali nostrani stanno spingendo per la diffusione dell’aborto chimico, ossia l’aborto in pillole, che costa meno e funziona meglio, secondo la loro propaganda: vorrebbero si facesse comodamente a casa, senza troppe formalità. Ci sono pure delle femministe (sic!) che insegnano su internet, in collaborazione con Medici senza frontiere, come farlo da sé, senza neanche consultare un medico (ma non erano quelle che
strillavano contro l’aborto clandestino?). Eppure l’aborto tramite Ru486 (e cose simili) è quattro volte più pericoloso dell’aborto chirurgico per le donne che lo praticano. Il dato è dell’American Journal of Physicians and Surgeons del 2019, che tra l’altro riporta che 24 donne sono morte per l’aborto in pillole e 3.000 sono finite in ospedale.
La pillola di Drion L’assurdo concetto di “morte per vita completata” sta già prendendo piede nei Paesi del Nord Europa: il governo olandese sta elaborando «l’approvazione di una pillola suicida, o “pillola di Drion” (il nome di colui che ha sollevato questa possibilità), destinata a persone di più di settant’anni che vogliono semplicemente porre fine
alla loro vita, sia che siano sane, sia che siano malate». Insomma, chi ha vissuto abbastanza può anche togliersi di mezzo. Quanti ultrasettantenni in un momento di depressione potrebbero farla finita, semplicemente assumendo una pillola?
Avio (TN): un sindaco ragionevole Il comune di Avio ha respinto la richiesta di una coppia di uomini di registrare la bambina comprata tramite utero in affitto come figlia di entrambi. I due ritengono che la paternità non abbia nulla a che fare con i legami biologici. Ma il sindaco Federico Secchi
ha detto che non è una questione ideologica o biologica: esiste una normativa specifica che è quella cui l’ufficio anagrafe fa riferimento e che oggi declina le cose in maniera molto chiara: per iscrivere un bambino all’anagrafe come genitori, bisogna dimostrare di essere tali.
Vasectomia obbligatoria Rolanda Hollis, parlamentare in Alabama, ha proposto una normativa che impone a ogni uomo di sottoporsi a vasectomia entro un mese dal suo cinquantesimo compleanno o dalla nascita del suo terzo figlio
biologico, a seconda di quale evento si verifichi per primo. «Non possiamo affidare tutta la responsabilità del controllo delle nascite alle donne. Anche gli uomini devono essere responsabili», afferma la Hollis.
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Solo in Spagna l’aborto nuoce alla salute delle donne? Il Tribunale Commerciale numero 3 di Gijàn, in Spagna, ha riconosciuto come “fuorviante” una pubblicità abortista, in quanto avrebbe mentito alle donne, facendo credere loro che l’aborto non ha conseguenze e che non
espone al rischio di infertilità. Si tratta di una sentenza storica: viene riconosciuto finalmente da un tribunale che l’aborto volontario fa male alla salute delle donne e che non è lecito mentire a riguardo per pubblicizzarlo.
Grazie alle cellule staminali adulte La rivista Nature ha scritto che un secondo paziente affetto da Hiv è finalmente in remissione e può smettere l'assunzione di farmaci antiretrovirali: da 18 mesi il virus non si ripresenta. Molti ne hanno parlato, ma nessuno ha detto che il merito è delle cellule staminali adulte, quelle eticamente ineccepibili, per ottenere le quali non serve creare e distruggere embrioni in laboratorio. Grazie ad esse vengono curati circa 70.000 pazienti all'anno, per le più diverse patologie. Ora anche per l’Hiv. Il paziente ha ricevuto un trapianto di cellule staminali da un donatore con una rara mutazione genetica, presente in circa l’1% delle persone discendenti dai nord europei,
grazie alla quale risulta immune alla maggior parte dei virus dell’Hiv. Il trapianto ha cambiato il sistema immunitario del paziente londinese, dandogli la mutazione del donatore e la resistenza all'Hiv. Purtroppo, questa cosa non è generalmente applicabile a tutti i pazienti con Aids. I donatori devono avere una corrispondenza genetica particolare con i riceventi, piuttosto rara. Resta il fatto però che solo le cellule staminali adulte servono al progresso della medicina. Sarebbe ora di smetterla di usare la scusa delle cellule staminali per giustificare gli esperimenti prometeici che si fanno sugli embrioni.
Un selfie con il morto Da un paio d’anni gira in rete un’App chiamata “With me”, che permette di creare degli Avatar (cioè dei personaggi virtuali) con cui scattare selfie e “interagire” sul telefonino. Ciò consentirebbe anche di continuare a “parlare” con i cari defunti. Il che potrebbe essere
psicologicamente devastante (per non parlare del pericolo spirituale che corrono coloro che vogliono “parlare con i morti”). Un’altra trovata per distruggere “dal di dentro” le persone.
Se un’istituzione invita a fare meno figli... … è inutile parlare dei problemi demografici e della necessità di invertire la tendenza suicida presa dalla nostra società. A Spazio Comune e in altre zone della città di Cremona, su iniziativa di Filiera Corta Solidale e del Comune di Cremona, è stato diffuso un volantino dal titolo “Fai una spesa responsabile”, che per combattere il cambiamento climatico consiglia di fare meno figli. Anche il sindaco ha detto che è «profondamente sbagliato e stupido, grave e non condivisibile» e il volantino è stato ritirato.
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Notizie Pro Vita & Famiglia
Dillo @ Pro Vita & Famiglia
Spett. Redazione, su Notizie Pro Vita & Famiglia del novembre scorso, tra i suoi interessanti articoli (letti tutti), mi ha colpito quel che scrive Maria Rachele Ruiu in “Femminismo 2.0”, riguardo agli asili nido. Volevo sottolineare che i costi degli stessi sono pesanti, non soltanto per i genitori che pagano le rette, bensì anche per i comuni che li istituiscono. Molti anni fa vidi i bilanci dei quattro asili nido di una cittadina marchigiana: con tutti quei soldi si sarebbero potuti tenere comodamente a casa loro madri e bambini! Ma attorno a queste istituzioni, come a tante altre, girano interessi economici, e sussiste la volontà politica di espropriare i figli dai genitori: la Regione Emilia Romagna vorrebbe imporre per legge regionale aberrante l’asilo nido a tutti i piccoletti. Si aggiunge a questo la tendenza di parecchie madri, le quali sono scarsamente propense a trattenersi a lungo lontane dalla loro attività lavorativa mentre evitano di calarsi totalmente nel ruolo materno: c’è una mentalità “anti-bambino” che sta montando… Cordiali saluti Luciano
aprile 2020
Versi per la vita FORSE Forse la vita è solo una finzione: essere, avere, oppure l’apparire con certa eccezional reputazione, e serie di miraggi a non finire per suscitare ammirazione e invidia su mandria rassegnata nell’accidia, che chiede sol di soddisfare istinti. In fondo se la vita è una commedia perchè si deve fare una tragedia per la scomparsa dei valori sacri? Ci sono alternativi simulacri Come futura sorte del pianeta lontana come coda di cometa, laddove questa specie prevalente dovrebbe rassegnarsi a nuovi assetti, selezionando i validi e i perfetti e sbarazzando il grande inconveniente di mantenere prolungati costi, secondo sorpassati presupposti.
SILVIO GHIELMI classe 1926, laureato in chimica a Milano, Master alla Harvard Business School, lunga esperienza nella produzione di materie plastiche, è il meno giovane di una famiglia numerosa (85 membri). Già cofondatore e presidente di Mani Tese, nel 1978 è stato uno dei fondatori del Movimento per la Vita. Poi, insieme a Giuseppe Garrone, mons. Michel Schooyans, Mario Paolo Rocchi e Francesco Migliori [nella foto], nel 1994 ha dato avvio al Progetto Gemma, la nota “adozione prenatale a distanza”, per sottrarre all’aborto le mamme incinte in difficoltà (le donazioni arrivano specificamente e direttamente alla persona prescelta, non si tratta di una generica questua). Diffonde queste meditazioni in versi come strumento di legame con chi resiste in difesa della verità e della vita. Lui ci ringrazia per questa pagina mensile dedicata ai suoi versi pro vita: noi ringraziamo lui e siamo onorati di ospitare il suo contributo.
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Notizie Pro Vita & Famiglia
La Manif Pour Tous non demorde mai! Blandine Fiore
Abbiamo avuto il piacere e l’onore di intervistare Ludovine de La Rochère, che ha fondato e presiede La Manif Pour Tous, il grande movimento popolare che in Francia è sceso in piazza a favore della famiglia e del diritto dei bambini ad avere una mamma e un papà. La Manif Pour Tous è nata nel 2012 (come ProVita!), dalla fusione di diverse associazioni. Com’è andata? Quali battaglie ha combattuto? «In effetti, La Manif Pour Tous è stata creata ex nihilo nell’ottobre 2012. Siamo stati tre semplici cittadini francesi che hanno voluto dare una pronta risposta al fatto che, nel settembre 2012, il presidente della repubblica ha annunciato la presentazione di un progetto di legge sul matrimonio e l’adozione per le coppie dello stesso sesso.
Ludovine de La Rochère
Nel settembre 2012 il presidente della repubblica ha annunciato la presentazione di un progetto di legge sul matrimonio e l'adozione per le coppie dello stesso sesso: nell’ottobre dello stesso anno, per tutta risposta, è nata la Manif Pour Tous.
È stato quindi necessario scendere in piazza subito per dimostrare che molti francesi erano contrari a certe idee. E mentre le associazioni che già esistevano esitavano, noi iniziammo. Siamo stati rapidamente aiutati da molti volontari e poi tante altre associazioni si sono unite a noi, a poco a poco». Su Wikipedia c’è scritto che vi si può definire omofobi. Ma cosa significa? «Wikipedia si basa soprattutto su quello che scrive la stampa. I maggiori media progressisti hanno spesso definito La Manif Pour Tous un’associazione omofoba, cercando chiaramente di denigrarci e di zittirci. In realtà, La Manif Pour Tous ha sempre condannato esplicitamente tutte le forme di omofobia: tutte le persone devono essere rispettate, non possono essere insultate, per alcun motivo. La Manif Pour Tous non ha
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Parigi, 19 gennaio 2020
mai insultato nessuno, né nei suoi slogan, né sui social network, né durante i suoi eventi! Va anche detto che le associazioni di attivisti Lgbt non ci sopportano perché non siamo d’accordo con loro. In effetti contestiamo le loro affermazioni, e questo a loro non piace. Usano quindi l’accusa di omofobia. Ma noi continuiamo, qualunque cosa accada, a
difendere il rispetto per la diversità sessuale, il significato del matrimonio, la realtà della procreazione e della filiazione umana. Non ci interessa l’omosessualità, sulla qualcosa non abbiamo mai fatto commenti». Ci sono persone omosessuali nella vostra associazione? «Sì, abbiamo persino un portavoce nazionale
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Notizie Pro Vita & Famiglia
«Preferiscono ignorarci piuttosto che discutere, perché sanno che le nostre argomentazioni sono fondate e ponderate molto bene».
che non smette mai di spiegare dappertutto e in ogni occasione che non è perché è omosessuale che non capisce il significato del matrimonio e che per fondare una famiglia c’è bisogno di un uomo e una donna. Insiste anche molto sulla difesa e il rispetto per il bisogno fondamentale del bambino di avere un padre e una madre. Certamente, ci sono bambini che non vivono con i loro due genitori. Ma questi sono gli alti e bassi della vita. È cosa molto diversa dall’attuale progetto del governo francese, che è quello di legalizzare la fecondazione artificiale per single e per coppie di donne. Ciò significa privare volontariamente i figli del padre. È terribilmente ingiusto e scandaloso: un padre è ovviamente molto importante nella vita!». 600.000 persone sono scese in piazza il 6 ottobre; 40.000 il 19 gennaio. Perché? «No! In verità c’erano 600.000 persone sia il 6 ottobre, sia il 19 gennaio! 40.000 è la stima della prefettura di polizia di Parigi, che ha dato la stessa cifra il 6 ottobre. È una stima ridicola: è sufficiente vedere le foto di questi eventi per capirlo immediatamente. Ma, almeno, la Prefettura riconosce che eravamo tanto numerosi il 19 gennaio, quanto il 6 ottobre! E 600.000 era la nostra stima per il 6 ottobre. Per il 19 gennaio, non abbiamo fornito cifre precise per evitare le sterili controversie su questo argomento e per non distrarci dal punto della questione: il diritto dei bambini ad avere un padre. Questo è importante! Quindi abbiamo semplicemente detto “diverse
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Parigi, 6 ottobre 2019
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centinaia di migliaia”. Basta visitare il nostro sito, www.lamanifpourtous.fr, per vedere le foto: eravamo una folla sterminata». L’establishment può continuare a ignorare il sentimento comune delle persone? «La Manif Pour Tous è molto nota e generalmente abbiamo molta risonanza sulla stampa. Anche interviste televisive. D’altra parte è vero che il presidente della repubblica francese non dice nulla sul disegno di legge cui ci opponiamo e che, per il momento, non ha fatto commenti sulla nostra opposizione. Preferisce ignorarci, piuttosto che discutere: sa che le nostre argomentazioni sono fondate e ponderate molto bene. In generale, negli ultimi anni, abbiamo visto che alcuni Paesi non rispettano le regole della democrazia. La Francia è uno di questi. È tanto più facile, qui da noi, perché al presidente della repubblica la Costituzione francese conferisce poteri particolarmente importanti. Tuttavia, la posta in gioco è essenziale - per gli esseri umani, per l’etica, per la società - perciò continuiamo a combattere intensamente. Stiamo preparando altri eventi molto importanti. La Manif Pour Tous non demorde mai!».
«Continueremo, qualunque cosa accada, a difendere il rispetto per la diversità sessuale, il significato del matrimonio, la realtà della procreazione e della filiazione umana».
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Notizie Pro Vita & Famiglia
«Questo non è tuo figlio, è un business» Giulia Tanel
La nota giornalista Monica Ricci Sargentini ha gentilmente risposto ad alcune nostre domande: nonostante le sue idee non coincidano esattamente con le nostre su tutti i temi toccati nell’intervista, anche lei condanna decisamente, “senza se e senza ma”, lo sfruttamento e la mercificazione di donne e bambini praticate con l’utero in affitto.
«La gravidanza è un evento potentissimo, direi miracoloso: come si può pensare di banalizzarlo e ridurlo a un momento di produzione qualunque?»
Dottoressa Sargentini, cosa pensa dell’utero in affitto? O forse dovremmo usare un’altra terminologia, tipo “maternità surrogata” o “gestazione per altri”? «Io preferisco usare il termine utero in affitto perché mi sembra più rispondente a quello che avviene nella realtà. “Gestazione per altri” non mi piace: è un modo per mascherare il fatto che una donna viene usata come contenitore al solo scopo di produrre un bambino che cederà per soldi. Io mi sono avvicinata a questo tema tramite le Famiglie Arcobaleno, l’associazione di genitori omosessuali. All’inizio, debbo confessare la verità, non mi ero interrogata a fondo sulla questione e avevo preso per buono quello che mi veniva detto. Poi partecipai a un dibattito di femministe in cui si denunciava il fenomeno come una mercificazione del corpo della donna e come un bieco commercio di neonati anche nei Paesi in cui la pratica era ben regolamentata come, ad esempio, gli Stati Uniti d’America. Così decisi di recarmi sul posto e fare finta di voler affittare un utero per avere un figlio. Andai a Santa Monica in California. Rimasi stupita da come fui trattata: ero solo una cliente, una che avrebbe pagato, e tutti si premuravano di rassicurarmi che sarebbe andato tutto bene. Mi dissero persino che se non avessi avuto tempo o modo di tornare in Usa per la nascita, avrebbero tenuto loro il bambino fino al mio arrivo. Uscii dalla clinica schifata».
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Da donna, da femminista, quali sono le motivazioni principali che la portano a condannare questa pratica? «Una cosa è certa: siamo tutti nati da donna. La gravidanza è un evento potentissimo, direi miracoloso, come si può pensare di banalizzarlo e ridurlo a un momento di produzione qualunque? Una volta intervistai una madre surrogata che faceva la reclutatrice per un’agenzia di surrogacy. Mi disse: “Loro ci mettono gli ingredienti, io sono il forno”. Ma tra il feto e la mamma c’è uno scambio talmente forte da modificare l’informazione genetica del bambino anche in assenza di un legame biologico diretto. Si chiama epigenetica. Non siamo contenitori, non siamo “portatrici” (un altro termine usato dalle agenzie per riferirsi alla madre surrogata), siamo donne. Quando venne a Roma Mario Caballero, il direttore di Extraordinary Conceptions, l’agenzia californiana cui si è rivolto Nichi Vendola, ci raccontò che alle madri surrogate viene affiancato uno psicologo che ogni giorno ricorda loro: “Questo non è tuo figlio, il tuo è un lavoro, un business”. Ecco, questa è la realtà, non la balla del dono fatto per amore a degli emeriti sconosciuti. L’altro tema, non meno importante, è il bambino. Si parla tanto di superiore interesse del minore, e allora io mi chiedo: ma cosa vuole il neonato quando viene al mondo? Non certo essere strappato alla madre che gli ha dato la vita. È un trattamento disumano che non riserviamo neanche ai cuccioli di cani e gatti». Il 2020 si è aperto con la notizia, peraltro poco enfatizzata dai media, dell’ennesima donna morta mentre metteva al mondo il bambino che le era stato commissionato. Di fronte a queste tragedie viene spontaneo chiedersi: alle donne, chi ci pensa? «Nessuno. Non ci pensa nessuno. Trovo
Monica Ricci Sargentini
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Notizie Pro Vita & Famiglia
Sylviane Agacinski, scrittrice, giornalista e filosofa francese è stata una delle prime esponenti del mondo femminista a parlare forte e chiaro contro l’utero in affitto.
incredibile che il decesso di questa madre californiana non abbia fatto notizia. E non è il primo. Nel 2016 Brooke Lee Brown morì in Idaho facendo figli per conto terzi. Chissà quanti altri casi ci sono stati. Nel 2017 ho intervistato Kelly Martinez, una madre del Sud Dakota che aveva fatto ben tre maternità surrogate e che nell’ultima aveva rischiato di morire, un’eventualità che non aveva mai messo nel conto quando aveva accettato. Le cliniche non mettono in guardia le donne dai
pericoli che corrono, la loro attenzione è rivolta tutta verso chi paga. Oggi Kelly è una surrogata pentita e gira il mondo per raccontare l’orrore dell’utero in affitto. Mi disse queste parole: “Non credete a quello che vi dicono le agenzie o i ‘genitori’ intenzionali. Non c’è nessuna protezione per noi surrogate. Io mi sono sentita usata e poi buttata via. È solo una questione di soldi. A me hanno mentito. Per questo oggi parlo. Voglio avvisare le altre. Se solo potessi tornare indietro...”. Quello che mi colpì maggiormente di lei fu la tristezza nel suo sguardo, i figli che aveva messo al mondo su commissione le mancavano: avrebbe voluto sapere che stavano bene. Proteggerli». Un altro mercato che vede le donne vittime del profitto e della disinformazione è quello della pillola contraccettiva. Anche in questo caso, chi pensa alla loro salute e al loro benessere? «Qui mi coglie meno preparata. Sono convinta che la contraccezione sia uno strumento importante, poi certo bisogna valutare i rischi. Vale per la pillola anticoncezionale, come per la terapia ormonale sostitutiva che si fa quando si va in menopausa. Sono scelte personali. Non me la sento di entrare nel merito». Torniamo al tema dell’utero in affitto, questa volta
«Tra il feto e la mamma c’è uno scambio talmente forte da modificare l’informazione genetica del bambino anche in assenza di un legame biologico diretto. Si chiama epigenetica».
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spostando il focus sul bambino, reso oggetto di una trattativa tra adulti e strappato appena nato dalla madre che durante i nove mesi di gravidanza aveva imparato a conoscere. Un’altra vittima... «La prima vittima. Anche perché inconsapevole. Il neonato viene trattato come se fosse un prodotto. Infatti la venditrice di ovuli si sceglie su un catalogo: di solito la si preferisce bianca, bella, con gli occhi azzurri. Poi la madre surrogata può essere anche brutta e nera. Tanto i geni non saranno i suoi. Ma non si tiene conto dell’epigenetica, di cui parlavo prima. Spesso i fautori dell’utero in affitto tirano in ballo la libertà della donna di autodeterminarsi e di scegliere di fare quello che vuole del proprio corpo. È un discorso che non sta in piedi. In primis perché c’è di mezzo un altro essere umano, ma poi anche perché i corpi non si vendono e non si comprano. L’utero in affitto è “una pratica che offende in modo intollerabile la dignità della donna e che mina nel profondo le relazioni umane”, come ha stabilito la Corte Costituzionale nel 2017». E cosa pensa del fatto che un bambino possa essere cresciuto da due uomini, oppure da due donne? «Non sono contraria, però seguano la strada dell’adozione. E, comunque, c’è una differenza in natura tra l’uomo e la donna. Due uomini non
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possono mettere al mondo un bambino, hanno bisogno di qualcuna che glielo partorisca». Come vede, dal suo osservatorio di giornalista e di donna, lo svolgersi della battaglia sull’utero in affitto? Si riuscirà mai a porre fine a questa pratica? «È una battaglia ardua perché il mercato è molto florido e in continua espansione nonostante siano pochissimi, e sempre di meno, i Paesi che permettono questa pratica. Voglio ricordare che solo 18 Paesi in tutto il mondo hanno regolamentato l’utero in affitto. Nel 2018, per iniziativa di alcune organizzazioni femministe, è nata la Coalizione internazionale per l’abolizione della maternità surrogata (Ciams). Finora vi hanno aderito quasi 250 Ong in 20 diversi Paesi. Negli Stati Uniti l’associazione Stop Surrogacy Now è una voce, instancabile, nel deserto di un Paese che pensa solo ai soldi. Purtroppo, i media sono dalla parte del business e troppo spesso ci raccontano la favola della donna “altruista” che vuole “donare” un bambino a coppie sterili. Le agenzie sono abilissime nel veicolare questo tipo di narrativa. Al contrario, quando un bambino viene abbandonato dai “genitori intenzionali” perché “difettoso”, come è successo recentemente in Ucraina, non fa notizia. Esattamente come le madri surrogate che muoiono».
Luisa Muraro, filosofa e scrittrice italiana, esponente di spicco del femminismo della “seconda ondata” o “della differenza”, ha esposto in questo libro le sue tesi contro l’utero in affitto.
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Un business da 6,5 miliardi di dollari Giuliano Guzzo
«La surrogazione di maternità non è mai a favore della vita. È solo un business»
La pratica dell’utero in affitto, almeno in Italia, dove resta proibita, è qualcosa sì di discusso ma, tutto sommato, ancora percepito come lontano, se non marginale. Di conseguenza manca probabilmente, in tanti, la consapevolezza delle dimensioni economiche e planetarie del fenomeno. Che muove giri d’affari enormi, assai difficili quantificare ma, senza timore di smentita, stimabili in svariati miliardi di dollari. Le stime più accreditate affermano che l’utero in affitto muove, nonostante le restrizioni (o proibizioni) vigenti in molti Paesi, circa 6 miliardi e mezzo di dollari l’anno, a livello internazionale. I Paesi in cui questa barbara pratica è ammessa non sono molti, eppure risultano significativi per peso economico e rilevanza. Essi infatti sono: gli Stati Uniti, la Gran Bretagna, la Russia, l’Ucraina e la Bielorussia, l’India, la Grecia, il Belgio, i Paesi Bassi, la Danimarca, il Sudafrica, il Brasile. Fino a pochi mesi or sono - quando è entrata in vigore una restrizione, che limita la cosiddetta maternità surrogata alle sole coppie richiedenti locali, sposate da 5 anni e senza figli - la patria mondiale del fenomeno era però
Negli Usa una coppia può arrivare a spendere fino a 150.000 dollari per comprare un figlio.
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una: l’India. Basti pensare che, dal 2001 in poi, sono 3.000 le cliniche indiane che hanno soddisfatto le richieste di milioni di persone, coppie composte da un uomo e una donna, gay e anche single. Tale mercato dell’infertilità - solo in India - si aggira sui 2,3 miliardi di dollari l’anno, quindi più di un terzo di quello globale. Il motivo del successo indiano è facilmente spiegabile con il fatto che là il prezzo dell’intera operazione oscilla tra i 25.000 e i 30.000 dollari, risultando ben inferiore al costo dello stesso trattamento in Usa, che arriva fino a 50.000 dollari. Come minimo. Sì, perché negli Usa una coppia può arrivare a spendere anche fino a 150.000 dollari per comprare un figlio; dipende tutto dal portafoglio del committente. Per esempio, pare che la “paternità” rocambolescamente raggiunta da Nichi Vendola - seme del compagno, ovulo di una californiana, utero di una indonesiana - sia costata 140.000 dollari. Anche in Canada la maternità surrogata non costa poco (90.000 euro), mentre risulta decisamente più accessibile in Grecia (tra 40.000 e 60.000 euro), Ucraina e Russia (40.000 euro), Paesi dai prezzi di poco superiori a quelli degli Stati asiatici del cosiddetto Secondo Mondo. Chiaramente, più un Paese è povero, più appare interessante agli occhi del mercato; lo prova anche l’esperienza di Tabasco, uno dei più poveri Stati del sud del Messico, dove - guarda caso - si è sviluppata un’intensa attività commerciale legata all’utero in affitto. In generale possiamo affermare che le differenze di prezzo sono dovute da una parte al diverso grado di ricchezza di ciascun Paese e, dall’altra,
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alle diversificate retribuzioni che vanno alle “madri surrogate”, ossia alle donne che mercificano il proprio grembo per i 9 mesi di gestazione. Una differenza che può essere notevole, se si pensa che una “madre surrogata” può essere pagata dai 20.000 ai 25.000 dollari negli Stati Uniti, mentre in India tra i 4.500 e i 5.000 dollari. Con queste somme di danaro, si badi, la “madre surrogata” non è tenuta soltanto a tenere in grembo per nove mesi un figlio dal quale al momento del parto si dovrà definitivamente separare; i contratti che queste donne sottoscrivono con le agenzie specializzate alle quali si rivolgono le coppie committenti possono prevedere tutta una serie di clausole che impongono rigorosi stili di vita: niente fumo, anche passivo, niente alcol, niente droghe o farmaci al di fuori della prescrizione medica, ma anche divieto di mettere su chili di troppo rispetto al peso considerato opportuno dal medico; divieto di bere più di una tazza di caffè al giorno; divieto di trasportare o cambiare la lettiera del gatto… Non è purtroppo finita perché detti compensi, in aggiunta alla “prestazione”, comportano tutta una serie di rischi e complicazioni. Al punto che alcune di queste “madri surrogate” sono anche morte, come provano le drammatiche e poco note vicende di Premila Vaghela, Brooke Lee Brown e, un paio di mesi fa, Michelle Reaves. Tornando al mercato dell’utero in affitto, va evidenziato come diverse cliniche che promettono di soddisfare le aspirazioni genitoriali ai loro clienti presentano - a
Una “madre surrogata” negli Stati Uniti può essere pagata dai 20.000 ai 25.000 dollari, mentre in India tra i 4.500 e i 5.000 dollari.
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conferma della dimensione puramente economica e ben poco etica che le anima - dei veri e propri “pacchetti”: economy, standard e vip. Tutto insomma è all’insegna del business. Con la conseguenza che chi si ribella può rischiare anche la vita. Basti guardare alla vicenda di Madhumati Thakur, giovane donna di 22 anni che è stata uccisa nel Maharasthra - Stato dell’India Centro-occidentale - perché si era ribellata al racket di ovuli e alla vendita del suo bambino. Questo il commento di Pascoal Carvalho, medico cattolico, a quella vicenda: «La surrogazione di maternità non è mai stata a favore della vita. È solo un business. […] È un mercato che fattura miliardi di dollari, in gran parte non regolamentato e privo di etica, ricco di avidità e pieno di potenziali pericoli. […] La vita non viene mai presa in considerazione nella pratica dell’utero in affitto. Strategie di marketing ingannevoli dipingono questo business in maniera diversa da quello che è: mercificazione della vita. Il bambino non è mai visto come un dono, bensì come un articolo da procurare. […] Le decine di migliaia di embrioni distrutti, i pericoli per le donne assoldate, e ora anche l’omicidio di una di loro a Pune, rivela l’amara verità della surrogazione: la sconfitta del valore intrinseco della vita umana». Al di là di tanti numeri - per quanto, lo si è visto, impressionanti l’aspetto più raggelante dell’utero in affitto e del suo mercato, in fondo, è proprio questo: la messa al bando di ogni valutazione del lato umano della questione; lato umano da intendersi sia in relazione alla lesa dignità femminile, naturalmente, sia per quanto riguarda il grande dimenticato, il figlio, colui che viene ridotto a mero oggetto di compravendita.
Nell’ottobre del 2016 Elisa Gomez è morta in circostanze poco chiare. Americana di origini ispaniche, aveva 47 anni ed era impegnata a dare la sua testimonianza contro l’utero in affitto. Pochi mesi prima di morire era stata invitata a Roma da Pro Vita Onlus, che aveva organizzato una conferenza stampa al Senato. La Gomez, nel 2006, per sfamare la sua famiglia, aveva deciso di affittare il proprio utero a una coppia di uomini che, dopo la nascita della bambina, non hanno rispettato gli accordi presi e le hanno procurato un grosso trauma psicofisico e seri guai giudiziari. Da allora andava in giro a raccontare il suo incubo per dissuadere altre ragazze - magari ingenue e in stato di necessità economica - dal cadere nella trappola dell’utero in affitto.
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GOVERNI E UTERO IN AFFITTO (nota della Redazione) Il governo di sinistra spagnolo, nell’ambito delle sue politiche femministe, ha esplicitamente dichiarato: «Diciamo NO alle “pance a noleggio”, los vientres de alquiler: lo sfruttamento riproduttivo è vietato nella nostra legislazione, in linea con le raccomandazioni del Parlamento europeo, votate da buona parte della sinistra. L’utero in affitto mina i diritti delle donne, soprattutto di quelle più vulnerabili. Per questo agiremo contro le agenzie che offrono questa pratica sapendo che è vietato nel nostro Paese». Infatti, come dappertutto, i ricchissimi intermediari operano indisturbati anche sul suolo spagnolo e da lì le coppie vanno soprattutto in Ucraina a comprare i figli. Come prima misura concreta in questo senso, l’ambasciata spagnola in Ucraina non autorizza più l’iscrizione all’anagrafe di bambini nati con surrogazione di maternità. Su ordine del ministro della Giustizia Dolores Delgado, i bambini nati in Ucraina dovranno prima ottenere la cittadinanza ucraina (per la qualcosa possono servire anche alcuni mesi). Ottenuto quindi un passaporto ucraino, potranno tornare in Spagna, dove, per avere il passaporto spagnolo, dovranno attendere altri mesi, se non anni. In Francia, con la fecondazione artificiale “per tutti”, anche per single e lesbiche, Macron ha di fatto aperto la porta all’utero in affitto: se hanno “diritto al figlio” le donne, avranno lo stesso diritto anche gli uomini. In Italia, dove il commercio di gameti e di bambini è vietato dall’art. 6, comma 12 della legge 40 del 2004, la sinistra, invece, è divisa. Anzi, sono proprio nella sinistra italiana i più strenui difensori del turpe mercimonio. Tant’è che i nostri radicali stanno elaborando ben due proposte di legge per introdurre nel nostro ordinamento la “surrogazione solidale”, cioè l’utero in affitto gratuito (che gratuito non è mai). Il senatore Pillon ha presentato nel febbraio 2019 un disegno di legge che punisce con la reclusione da tre a sei anni e con la multa da 800.000 a un milione di euro «chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità», e che ribadisce «in via definitiva il già sussistente divieto di iscrizione o trascrizione di atti di nascita dai quali risultino due padri o due madri». Questo disegno di legge finora non è mai stato discusso.
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Vincent Van Gogh, La siesta (1890), Musée d'Orsay, Parigi.
L’immagine di copertina della pagina Facebook della BioTexCom: sembra un paesaggio da fiaba…
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Un grido di dolore dall’Ucraina Renate Klein
La Tv ogni tanto ci propone qualche storia strappalacrime: un lui e una lei che si amano e che non possono avere bambini. Sono davvero disperati, soprattutto lei. Si presenta poi una “salvatrice”, una donna buona, generosa e sensibile, già madre, che si offre, in cambio di una retribuzione che le spetta come a una qualsiasi professionista, per dar compimento al sogno d’amore dei due sventurati: si fa impiantare un embrione e presta il suo utero alla creatura che dopo nove mesi sarà data, tra lacrime di gioia e di gratitudine, alla “madre d’intenzione”. Tutto questo, condito con tanta melassa di buoni sentimenti, serve a sdoganare la turpe pratica dell’utero in affitto. Un esempio di “utero in affitto professionale” è stato presentato dalla trasmissione di Rete 4 Confessione Reporter, che qualche tempo fa ha intervistato anche Francesca Romana Poleggi, ma che in sostanza ha presentato le madri surrogate ucraine come donne buone, generose e perfettamente felici del “lavoro” che fanno. Abbiamo mandato un messaggio, allora, a Stella Pende, la giornalista che cura la trasmissione, perché leggesse anche le testimonianze dall’Ucraina di cui parla Renate Klein, una femminista doc, che desideriamo condividere anche con i nostri Lettori. Il suo articolo ha un titolo piuttosto eloquente: Un grido di dolore dall’Ucraina. A sua volta, la Klein parla del documentario girato la scorsa estata dalla coraggiosa giornalista australiana Samantha Hawley (quella che commosse il mondo - o almeno la parte di umanità umana che c’è ancora in questo mondo - con la notizia di Baby Gammy, il bambino con sindrome di Down rifiutato dai “compratori”, come merce difettosa: accettarono solo la sua gemellina). L’articolo della Klein è stato pubblicato sul sito stopsurrogacynow.com di Jennifer Lahl. La traduzione, con adattamenti, non rivista dall’Autrice, è della Redazione.
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“MERCE” FALLATA L’Ucraina è uno dei paesi più poveri dell’Europa orientale e ancora soffre per la guerra civile iniziata nel 2014. La legge consente alle donne di affittare l’utero solo a coppie eterosessuali che mostrano un certificato medico di sterilità. Tuttavia, le donne che vengono assunte come “madri surrogate” (un termine improprio, sono in realtà “surroganti”) non hanno alcun potere contrattuale e sono totalmente nelle mani di agenzie senza scrupoli come la BioTexCom. Spesso sono rifugiate di guerra che non possono tornare alle loro case. E non hanno lavoro. Bridget, 3 anni, è un’altra bambina come Baby Gammy, abbandonata come merce difettosa dagli acquirenti, Matthew Scott Etnyre e Irmgard Pagan, che vivono in California. È gravemente disabile ma sta migliorando grazie alle cure che riceve nella Casa di accoglienza di Sonechko. Un’ex-infermiera, Marina Boyko, si è occupata di lei sin dalla nascita. I due americani avevano fatto scrivere dall’avvocato una lettera all’ospedale chiedendo di lasciar morire la piccola (nata prematura) perché era «in stato vegetativo» e incurabile. «Non la porteremo in America», avevano aggiunto. Tre anni dopo, “Brizzy” vede, ascolta, conosce alcune parole, sorride, mangia e un giorno con la giusta terapia fisica sarà in grado di camminare da sola (è nata a 25 settimane, pesava solo 850 grammi). Marina dice che per lei è la bambina più bella e più gioiosa del mondo. Ma è apolide. Ora vive nella casa di accoglienza per bambini, ma se non viene trovata una famiglia che si prenda cura di lei in modo permanente, all’età di sette anni perderà la possibilità di accesso a qualsiasi terapia. E all’età di 18 anni verrà inviata in un ospizio. Sì, la mancanza di figli può essere molto dolorosa, ma infliggere dolore a così tante altre persone è profondamente immorale, indifendibile. La piccola Bridget rimarrà nei nostri cuori.
Dopo che è stato visto il documentario della Howley, in Australia per lei è stata avviata una raccolta fondi: in due giorni sono stati donati quasi 5.000 dollari. Si spera che quindi potranno esserle garantite le terapie, così come le donazioni consentono a Baby Gammy, in Thailandia, di vivere con sua madre (la surrogata che lo ha partorito).
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I bambini con sospetta sindrome di Down di solito vengono abortiti. Se nascono da utero in affitto, i compratori spesso rifiutano di portarseli via, come la merce fallata.
La mancanza di figli può essere molto dolorosa, ma infliggere dolore a cosÏ tanti altri è profondamente immorale e indifendibile.
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Il difensore civico dei bambini, Nikolai Kuleba, nominato dal presidente ucraino, è a conoscenza della storia di Bridget e sa che i suoi compratori hanno concluso un secondo accordo di maternità surrogata, che ha portato alla nascita di altri due gemelli (anche Bridget ebbe un gemellino, che morì). Conosce almeno altri dieci bambini che sono stati abbandonati in Ucraina dai loro compratori stranieri. UNA DONNA-INCUBATRICE La Hawley, nel suo documentario, ha intervistato anche una madre surrogata reclutata dalla BioTexCom. Lei e suo marito sono rifugiati di guerra e vivono in una città di confine. La loro casa è stata distrutta e non possono tornare indietro. In una situazione tanto disperata è stato difficile resistere all’offerta di “lavoro” della BioTexCom. La donna ha voluto rimanere anonima, temendo persecuzioni legali da parte dell’azienda. La sua prima gravidanza è stata per una coppia spagnola. Sono stati impiantati tre embrioni, ma in seguito un bambino è stato eliminato: erano troppi. Lei non ha avuto alcuna voce in capitolo e si è dovuta sottoporre senza obiezioni alla “riduzione fetale”, cioè a un aborto parziale. Al quinto mese di gravidanza ha dovuto sottoporsi a un taglio cesareo d’urgenza. I bambini sono morti. Da quel momento è stata completamente abbandonata. Si è dovuta curare da sola e ha dovuto provvedere alla disposizione dei poveri resti da sé. Alla fine le hanno dato 250 dollari. Ancora alla disperata ricerca di denaro, inizia un’altra maternità surrogata per una coppia britannica. Ancora una volta vengono impiantati tre embrioni. Questa volta sono due quelli rimasti vittime della riduzione fetale. Anche questa volta dopo 25 settimane un cesareo d’urgenza. Baby Michael però ce l’ha fatta e ora è nel Regno Unito con i suoi compratori, anche se ha problemi di sviluppo. Per l’agenzia, le donne «sono solo incubatrici», ha detto alla Hawley: «Non ci trattano come esseri umani, non mostrano alcuna comprensione». INTERMEDIARI SENZA SCRUPOLI La giornalista ha ottenuto poi un’intervista con il capo della BioTexCom, Albert Tochilovsky. L’azienda, descritta come «una delle migliori cliniche non solo in Ucraina ma in tutto il mondo», è registrata nelle Seychelles, non in Ucraina. Quindi, quando un avvocato ucraino ha cercato di agire nei confronti dei compratori per costringerli ad eseguire il contratto, si è trovato di fronte a un ostacolo insormontabile: la legge ucraina non si applica alle società registrate all’estero. Tochilovsky è stato per poco tempo posto agli arresti domiciliari, accusato di traffico di minori, falsificazione di documenti ed evasione fiscale, nel maggio 2018. Ma ad oggi non è stato avviato alcun procedimento a suo carico. Nell’intervista, Tochilovsky insiste sul fatto che la BioTexCom non ha mai avuto
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un cliente chiamato Etnyre e che non ha alcuna responsabilità per Bridget. Ma anche per i compratori di bambini la pratica dell’utero in affitto non è così semplice e non sempre funziona come vorrebbero (della qual cosa, ovviamente, ci interessa assai poco. Però vale la pena parlarne per capire che gente gestisce le cliniche per la fertilità). La Klein riporta le testimonianze di due coppie australiane che hanno avuto a che fare con l’agenzia Lotus, sempre in Ucraina (registrata in Israele). Hanno pagato, rispettivamente, 110.000 e 140.000 dollari e hanno ottenuto un servizio molto scadente quando i loro gemelli sono nati prematuramente con emorragia cerebrale. Entrambe le coppie australiane hanno scelto la ditta Lotus, dopo aver seguito i consigli di Sam Everingham della società intermediaria Famiglie in crescita. Negli ultimi cinque anni, la società di Everingham ha guadagnato circa 2 milioni di dollari. Interpellato circa queste tragiche testimonianze, Everingham difende la sua professionalità di intermediario, affermando che sono le coppie che devono assumersi la responsabilità della loro decisione. Ha detto inoltre che lui lavora anche dove la legge pone limiti alla pratica dell’utero in affitto perché ritiene che tali leggi siano ingiuste. Personaggi come lui tengono convegni e conferenze sulla maternità surrogata internazionale anche negli Stati dove andare all’estero per comprare figli è reato. Uno dei libri denuncia della Klein
Un ex dipendente della Lotus si è licenziato per via dei modi disumani con cui venivano trattate le madri surrogate: «Una donna incinta di 24 settimane diceva che non si sentiva molto bene... I medici si sono rifiutati di curarla perché sarebbe stato troppo costoso. Doveva avere un cesareo d’urgenza a causa di un’infezione: se gliel’avessero praticato i bambini potevano essere salvati».
Il difensore civico dei bambini, in Ucraina, conosce più di dieci bambini che sono stati abbandonati dai loro compratori stranieri.
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Donne generose, madri surrogate vive e morte Francesca Romana Poleggi
Come funziona la “gestazione per altri” in Paesi molto “civili” dove le donne, più o meno pagate, sono spinte a prestare l’utero da spirito altruistico.
PREMESSA L’associazione Luca Coscioni, con l’associazione Certi Diritti, e con le Famiglie Arcobaleno da un lato, e il portale di informazione giuridica Articolo 29 dall’altro hanno elaborato due proposte di legge tese a regolamentare la pratica dell’utero in affitto. Anzi, la pratica dell’utero “in comodato”, cioè la “gestazione per altri solidale” o “maternità solidale”, o “gravidanza di sostegno”. Lo scopo è dare un figlio alle coppie “disperate”, impossibilitate a procreare per sterilità o per “questioni di genere” (cioè perché sono due maschi). Secondo queste proposte, lo Stato, attraverso i giudici, vigilerà assiduamente e strettissimamente sullo svolgimento della gravidanza, assicurando che non ci sia sfruttamento né mercificazione della donna. Donna che - si presume - conceda il suo utero per farsi impiantare un figlio che poi regalerà - davvero gratis et amore
Il fatto che certe persone possano essere oggetto di contratto, che i figli possano essere oggetto di diritti, vuol dire che a loro non è riconosciuta la stessa dignità degli altri.
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«Pensavo di poter aiutare gli altri, guadagnando qualcosa per me».
Dei - ai committenti (detti di solito “genitori d’intenzione”: le virgolette sono d’obbligo, perché chiamare “genitori” due che comprano o si fanno fare un figlio da altri ci sembra un insulto alla decenza e alla natura). Dall’esperienza dei Paesi dove è stata legalizzata questo tipo di “surrogazione solidale”, ci risulta comunque che poi, di fatto, un congruo “rimborso spese” ci sia sempre. Riservandoci di fare un’analisi più dettagliata di queste proposte se e quando saranno presentate in Parlamento (da esse ha preso le distanze perfino il segretario della Cgil Landini, che ha ospitato il convegno in cui le associazioni hanno illustrato i loro intenti), vogliamo offrire ai nostri Lettori la possibilità di farsi un’idea di come funzioni la “gestazione per altri” in Paesi molto “civili” come la California (dove è a pagamento), o l’Inghilterra (dove è gratuita, salvo rimborso spese): dove i giudici controllano, i cittadini sono liberi, i diritti sono garantiti. Vedremo quindi le testimonianze di donne emancipate, libere e non eccessivamente bisognose, in una realtà ben diversa da quella dell’Ucraina illustrata a p. 22.
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Prima di addentrarci in questa disamina, però, è necessaria una premessa. La pratica della surrogazione di maternità è assolutamente e radicalmente inaccettabile per un motivo di fondo: i bambini non si comprano, ma neanche si regalano. Lo abbiamo detto e ripetuto all’infinito. Il fatto che certe persone possano essere oggetto di contratto, che i figli possano essere oggetto di diritti, vuol dire che a loro non è riconosciuta la stessa dignità degli altri. Vuol dire creare una pericolosissima frattura nel principio di uguaglianza (tanto caro ai progressisti): chi decide da quando il bambino-oggetto verrà considerato soggetto? Sarà una questione di tempo? E il limite temporale potrà essere spostato avanti o indietro per legge? PARTE PRIMA: TESTIMONIANZE DAGLI USA Jennifer Lahl ha da tempo definito la California
Michelle Reaves, Crystal Wilhite, Brooke Lee Brown, Premila Vagela, Brooke Verity Cochran, Madhumati Thakur, Elisa Gomez… e chissà quante altre madri surrogate sono morte, nell’indifferenza dei più.
«la capitale mondiale del turismo riproduttivo»: l’industria della fertilità fa soldi, tanti soldi, sulla pelle di donne meravigliose e generose cui viene detto che stanno facendo un grande gesto d’amore, «donando la vita». Perché le surrogate a pagamento, in America, di solito sono mosse anche da uno spirito altruistico, oltre che da un innegabile bisogno di denaro. E dal Centro di bioetica e cultura, il Cbc, fondato e diretto da Jennifer Lahl, abbiamo appreso nel gennaio scorso della morte di Michelle Reaves, a San Diego, in California. La signora Reaves, giovane in ottima salute, moglie e madre di due figli suoi, aveva affittato l’utero per la seconda volta, alla stessa famiglia. La bambina che portava in grembo sta bene. Inizialmente, i media hanno fatto molta fatica
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a spiegare la causa della morte. Il Cbc poi è venuto a sapere che si è trattato di un’embolia fluida amniotica.
donne, comunque contraenti deboli rispetto alle grandi industrie della fertilità, sui rischi che corrono per la loro salute.
Alcuni si sono affrettati ad affermare che la signora Reaves è morta per rischi connessi a qualsiasi gravidanza, non alla maternità surrogata. E certamente le embolie amniotiche, pur essendo rare, possono capitare a tutte, ma i rischi da gravidanza artificiale sono maggiori che nelle gravidanze naturali. Per esempio, le donne incinte di bambini assemblati in laboratorio da ovuli di terze persone rischiano tre o quattro volte di più l’ipertensione in gravidanza e la pre-eclampsia (la gestosi).
Ma Michelle Reaves non è la prima surrogata a morire durante la gravidanza o il parto: Premila Vaghela, indiana, è morta a 30 anni nel 2012; Brooke Lee Brown, americana, è morta a 34 anni nel 2016. E chissà quante altre morti non sono state direttamente collegate all’utero in affitto, come dice anche la Sargentini nell’intervista a p. 14. Senza contare casi come quello di Brooke Verity Cochran, americana anche lei, deceduta per overdose a 37 anni nel 2017: non era riuscita a superare la profonda depressione post partum in cui era piombata dopo essere stata separata dai quattro gemelli che aveva partorito per una coppia gay. Stessa depressione che colpì Elisa Gomez, anche lei
Inoltre, queste possibili complicazioni non vengono spiegate: i contratti di utero in affitto sono transazioni ineguali che comportano di solito la non adeguata informazione delle
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separata dalla bambina che aveva partorito (in violazione del contratto stipulato), di cui potete leggere a p. 20, dove è ricordata anche Madhumati Thakur, uccisa a 22 anni, in India, per essersi ribellata al racket che gestisce in quel Paese le surrogate. Immediatamente dopo che il Cbc ha annunciato la morte della signora Reaves, Jennifer Lahl è stata contattata da un’altra donna che aveva affittato il suo utero, che ha raccontato di un’altra donna morta, nel 2017, sempre in California. La Cbc ha promesso di non fare il nome di questa testimone. Ecco le sue parole. «Crystal Wilhite era una surrogata del mio gruppo, al Center for Surrogate Parenting. È morta nel febbraio 2017 per complicazioni post parto, avvenuto pretermine. Ci è stato detto che la colpa era stata dell’ospedale, invece alla fine ho scoperto che la causa della morte è stata un coagulo di sangue. Non posso fare il mio nome perché queste informazioni sono state apprese durante riunioni di gruppo e scambi di e-mail riservate. Ci è stato detto di non parlarne pubblicamente per rispetto della famiglia di Crystal. Temo che l’agenzia, una delle più grandi della California, mi farebbe causa se parlassi pubblicamente di questi fatti». Continua: «Ora sono una donna distrutta, che è stata usata e sfruttata con l’inganno e la menzogna. Mi dispiace moltissimo di averlo fatto. Pensavo di poter aiutare gli altri, guadagnando qualcosa per me. Ho imparato che quando “sembra troppo bello per essere vero”, molto probabilmente non è affatto bello. Ora ho aperto
gli occhi sul fatto che si tratta solo di soldi, non si fa alcun bene ai bambini. Sono stata sfruttata, mi hanno mentito e ho provato tanta sofferenza e tanta angoscia. Oggi ho deciso di parlare in modo da poter salvare altre donne dal trauma e dalle ferite che ho dovuto subire io. Non esiste alcuna protezione contro lo sfruttamento delle donne che danno l’utero; nessun rispetto della loro vulnerabilità. La mia vita e la vita della mia famiglia non saranno più le stesse. Tutto è cambiato in peggio. Alle agenzie non importava nulla di me. Non ho “ampliato la mia famiglia” come speravo, come mi hanno fatto intendere. Mi sento usata e gettata. Il mio cuore si è per sempre spezzato, la mia famiglia è cambiata per sempre». Qui invece parla Kelly Martinez, che ha sofferto di un’infezione post partum e di pre-empclasia (rischiando l’ictus) e che nonostante ciò è stata obbligata da contratto a viaggiare per risolvere i problemi legali connessi alla registrazione all’anagrafe dei bambini: «La prima coppia per cui avevo partorito mi ha contattata qualche tempo fa dicendomi che dovevo risolvere diverse questioni legali per rimuovere il mio nome dal certificato di nascita della bambina che risulta a Parigi. La bambina che ho partorito ora è divisa tra due persone che si sono separate, non cresce in una casa amorevole. Nessuno sa come stanno i gemelli che ho partorito per una coppia spagnola. Non ho mai saputo se i compratori, alla fine, li hanno accettati: erano due maschi, anziché un maschio e una femmina come loro avevano ordinato (e pagato). Penso quotidianamente a questi bambini e vorrei poter dire loro quanto mi dispiace di averli messi al
«La legge non deve rendere più semplice lo sfruttamento delle donne: sia le donne vulnerabili a causa della povertà, sia quelle che sono ben intenzionate, ma male informate».
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mondo in questa situazione. Non so se sapranno mai di me. Prego solo che siano amati davvero». PARTE SECONDA: “GESTAZIONE PER ALTRI SOLIDALE” C’è un problema di fondo, in tutta questa questione: nessuno dice o spiega in modo chiaro e completo i rischi della fecondazione artificiale - che è il presupposto dell’utero in affitto - sia per la donna da cui si prelevano gli ovuli, sia per il bambino che, nei rari casi in cui nasce, molto spesso nasce con difficoltà e non gode di buona salute (ne abbiamo parlato anche in occasione dell’ultima edizione della Scuola di bioetica di Pro Vita & Famiglia). Ma ancora meno si spiegano a coloro che - gratis o a pagamento - offrono l’utero per dare figli ad altri gli ulteriori e maggiori rischi che corre la donna che resta incinta di embrioni che non possiedono niente del suo patrimonio genetico. Nel caso di utero in affitto, i rischi sono ancor più grandi di quelli che corre una donna in caso di fecondazione eterologa, perché oltre allo stress fisico dovuto anche al necessario bombardamento ormonale si aggiunge quello psichico dovuto al fatto che deve gestire sia l’idea che quel figlio che cresce nove mesi dentro di lei non le appartiene, sia i rapporti con i “genitori” d’intenzione. Una testimonianza in tal senso ci è offerta da Nordic Model Now!, un’associazione femminista inglese, molto “laica” (e abortista), che si batte contro la prostituzione e tutte le pratiche a
I rischi che corre una donna che si fa impiantare un embrione a seguito di fecondazione eterologa sono maggiori di quelli che corre una donna che ricorre alla fecondazione extracorporea omologa. Se poi la gravidanza viene portata avanti per dare il figlio ad altri, ai problemi fisici si aggiunge un notevole stress psichico con conseguente elevata produzione di cortisolo
Le madri surrogate sono informate sulle procedure mediche estremamente invasive e dannose che dovranno subire?
essa correlate: dalla lapdance, alla pornografia, all’utero in affitto. Una donna che ha prestato l’utero gratuitamente (nel Regno Unito la legge consente “solo” un rimborso spese) scrive: «Sono stata una surrogata “altruista”. Ho portato in grembo e partorito due gemelli. È stata un’esperienza incredibilmente traumatica, dopo la quale mi sono dovuta curare per disturbo post-traumatico da stress. Non ne parlo mai a nessuno perché la trovo ancora del tutto devastante». I media, pagati dalle organizzazioni miliardarie che promuovono l’utero in affitto, ci presentano sempre e solo belle storie “d’amore”, condite con tanto zucchero e miele: di tanto in tanto sarà bene che la gente senta parlare anche di come la maternità surrogata possa rovinare la vita delle donne che offrono il loro corpo per essere usate da altri. La signora in questione denuncia innanzitutto che è stata male informata. Credeva ingenuamente che, poiché la nascita dei suoi figli era stata senza problemi, sarebbe stato lo stesso anche per la gravidanza da madre surrogata. Si era
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informata, aveva fatto ricerche, aveva parlato con altre madri surrogate prima di imbarcarsi in questa vicenda. Tuttavia, quando ha accettato non sapeva abbastanza sulle procedure mediche estremamente invasive e dannose che avrebbe dovuto subire. Nessuno le aveva detto che le avrebbero bloccato il ciclo mestruale. “Non aveva capito” che, con un pesante bombardamento ormonale, prima di procedere all’impianto degli embrioni, doveva armonizzare il suo ciclo naturale per metterlo in linea con quello della donna che avrebbe fornito gli ovociti. Quando l’ha saputo, c’è stato un momento in cui avrebbe voluto tirarsi indietro, ma ormai non voleva deludere i “genitori” d’intenzione. È andata avanti contro il proprio istinto di conservazione, che la stava mettendo in guardia. Non voleva rinunciare a un gesto così nobile e generoso. Per lo stesso motivo ha accettato di farsi impiantare due embrioni per aumentare le possibilità di successo. Anche allora “non ha compreso” (perché non glieli hanno spiegati) i maggiori rischi per la salute annessi a una gravidanza artificiale gemellare. Afferma: «Ora mi rendo conto che ho compromesso la mia salute per esaudire i desideri di quella coppia». Psicologicamente, al momento di prendere queste decisioni, la malcapitata soffriva del “complesso del martire”: il suo altruismo era malato. Il precetto evangelico del “dare la vita per il prossimo” non può essere applicato per andare contro natura, coinvolgendo - per di più - degli innocenti che non hanno voce per difendersi (i bambini coinvolti nella faccenda, cioè quelli assemblati in provetta che - oltre ai due impiantati - non si sa quanti siano stati e che fine abbiano fatto). «Mi sono completamente annichilita», scrive la donna. E ora pensa che ciò fosse dovuto alla mancanza di autostima e di assertività che le faceva credere di valere qualcosa solo se poteva essere utile agli altri. Lo spirito di servizio e di sacrificio, che è cosa buona, va coltivato con il
Il precetto evangelico del “dare la vita per il prossimo” non può essere applicato per andare contro natura, coinvolgendo - per di più - degli innocenti che non hanno voce per difendersi.
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L’abuso sulle donne, quando è generato dalla mentalità asservita all’ideologia che prevede per alcuni il “diritto” al figlio e per altri il potere di guadagnare milioni, è legittimo?
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senso del limite: in questo caso era patologico. Del resto, fa parte della natura femminile l’istinto di dare priorità agli altri, di essere accoglienti, “gentili”. Di questo istinto è facile che gente senza scrupoli si approfitti, soprattutto se è combinato con una certa fragilità di fondo. Da questo nascono spesso l’abuso e la violenza sulle donne di cui tanto si parla quando c’è qualche “femminicidio”. Ma se invece, come nel caso in questione, l’abuso è generato dalla mentalità asservita all’ideologia che prevede per alcuni il “diritto” al figlio e per altri il potere di guadagnare milioni, l’abuso sulle donne che soffrono del “complesso del martire” pare sia legittimo. Il racconto della “madre surrogata altruista” continua con la narrazione della sorpresa, dello sconcerto e del disagio causatole durante la gravidanza dai “genitori” di intenzione. Ha subito la gelosia e la rabbia della “madre” per la facilità con cui lei è rimasta incinta al primo tentativo. Entrambi i “genitori” designati l’hanno asfissiata sul come e dove avrebbe dovuto partorire. A un certo punto ha avuto il coraggio e la forza di alzare la voce per chiarire che lei non era un oggetto a loro completa disposizione e che il processo fisiologico della I bambini che nascono da fecondazione artificiale presentano dei birth defects, difetti alla nascita, molto più frequentemente dei bambini concepiti naturalmente. Tra di loro c’è inoltre una maggior incidenza di tumori, malattie genetiche ed epigenetiche rare, disturbi circolatori o polmonari. Molti problemi si rilevano, più frequentemente che negli altri, anche a lungo termine: disturbi dell’attenzione, ipertensione, obesità, asma. Per i bambini nati da utero in affitto a tutti questi rischi si aggiungono i danni relativi all’esposizione al cortisolo prodotto dalla madre per via dello stress e i problemi psicologici derivanti dal trauma per la separazione da colei che li ha portati in grembo.
I “genitori” d’intenzione pensavano di "possedere" me e il mio utero e di "meritare" di dirigere la mia vita, la gravidanza e il parto perché i bambini che portavo in grembo erano “cose loro".
nascita funziona meglio quando la madre si sente completamente al sicuro, nel modo e nel luogo in cui è più a suo agio: «Ho dovuto puntare i piedi per affermare che certe decisioni dipendevano solo da me: mi rendevo conto che in qualche modo loro pensavano di “possedere” me e il mio utero e di “meritare” di dirigere la mia vita, la gravidanza e il parto perché i bambini che portavo in grembo erano “cose loro”». Il parto finì per essere estremamente traumatico. La donna dice di aver sofferto e pianto come mai nella sua vita. Uno dei due bambini è stato ricoverato nel reparto di terapia intensiva neonatale e, dalla storia che abbiamo letto, non si capisce bene che fine abbia fatto. Probabilmente è morto. Perché dopo, per la nostra narratrice è cominciato un orribile incubo durato due anni: è stata coinvolta nella causa che i committenti hanno fatto all’ospedale e le ostetriche l’hanno incolpata, dicendo che lei aveva impedito loro di assisterla come avrebbero voluto al momento del parto. Ovviamente il Servizio sanitario ha fatto di tutto per evitare di dover rispondere di negligenza medica. Sono state condotte quattro indagini separate da parte dell’organismo di vigilanza, che alla fine ha giudicato le ostetriche colpevoli del fallimento dell’intervento d’urgenza e del mancato monitoraggio della salute dei bambini durante il parto. Ma per la nostra “surrogata altruista” il trauma del parto è stato aggravato dal trauma delle false accuse e del dover sopportare due anni di indagini: «Anche se alla fine mi hanno scagionata, in tutto questo tempo non ho potuto ricominciare la mia vita
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normale, ma ho dovuto rivivere cento volte il trauma». In tutto questo i “genitori di intenzione” l’hanno quasi completamente abbandonata: «Non mi hanno neanche invitata al battesimo del bambino sopravvissuto. Sono stata usata e scaricata quando il mio utero non era più necessario. È stata l’esperienza più degradante e orribile della mia vita. La mia salute mentale è crollata e due anni dopo il parto mi è stato diagnosticato il disturbo post traumatico da stress e sono dovuta andare in terapia. Non parlo mai a nessuno di quello che è successo, nemmeno ai parenti stretti, poiché non voglio rivivere il trauma che ho subito. Mi sono rimaste anche delle lesioni fisiche, incontinenza e diastasi (separazione dei muscoli addominali) che mi causano problemi quotidiani. Non so quali saranno gli effetti a lungo termine sulla mia salute derivanti dall’assunzione della grande quantità di ormoni sintetici, né il potenziale aumento del rischio di cancro al seno poiché non ho allattato i bambini». Ora la malcapitata si dichiara completamente contraria a ogni forma di utero in affitto, sia commerciale, sia altruistico o “solidale”, come lo chiamano i Radicali nostrani. «È in ogni caso una pratica abusante. Le donne non devono essere incoraggiate a mettere in pericolo la loro salute emotiva e fisica per il “bisogno” di altre persone di avere figli. Le donne contano. Le donne non devono essere incoraggiate a mettersi in secondo piano e a rischiare la vita così». La testimonianza si conclude con un pensiero rivolto anche alla giovane che ha dato gli ovociti: una studentessa dell’Europa orientale che ha dovuto sopportare l’iperstimolazione ovarica, con le conseguenze che si porterà per tutta la vita, per pagarsi gli studi. E infine con la
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speranza che ogni forma di utero in affitto sia dichiarata fuori legge in tutti i Paesi del mondo: «La legge non deve rendere più semplice lo sfruttamento delle donne, sia le donne vulnerabili a causa della povertà sia quelle che sono tanto ben intenzionate, ma male informate come me». Il nostro ultimo pensiero, infine, va ai bambini coinvolti in questa vicenda. A quelli che sono stati scartati, a quelli che non sono sopravvissuti nel brodo di coltura, a quelli che forse vivono ancora congelati nell’azoto liquido, a -196°C; al bimbo morto poco dopo la nascita e, infine, a quello che è stato portato a casa dai committenti. Chissà che segno ha lasciato nel suo cuore e nella sua psiche l’essere stato separato improvvisamente da quel corpo che lo ha nutrito, scaldato e cullato per tutto il tempo della gravidanza; da quella voce che aveva imparato a riconoscere, da quell’odore che respirava insieme al liquido amniotico. Chissà se mai avranno il coraggio di dirgli chi è la sua mamma. Chissà se saprà mai a chi appartiene il patrimonio genetico che, a sua volta, trasmetterà ai suoi figli. Chissà se coloro che ha imparato a chiamare «mamma» e «papà» sapranno davvero volergli bene, dopo avergli causato tanto male.
«Non mi hanno neanche invitato al battesimo del bambino sopravvissuto. Sono stata usata e scaricata quando il mio utero non è stato più necessario. È stata l'esperienza più degradante e orribile della mia vita».
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Persona e mistero. L’antropologia di Romano Guardini Mirko Ciminiello
Il nostro collaboratore Clemente Sparaco ha scritto un interessante libro dal titolo: Il mistero del vivente concreto. Indagando l’uomo con Romano Guardini (Aracne editrice).
Il mistero del vivente concreto è un libro sull’antropologia di Romano Guardini, il grande teologo e filosofo italo-tedesco morto nel 1968. Guardini ha voluto indagare la persona nella molteplicità delle sue tensioni e delle sue dimensioni, ma sempre nel vivente concreto, a livello di quell’individuo personale che esiste come “io”. Nessuna astrazione, infatti: egli coglie la persona nella sua ineffabile complessità perché non è possibile racchiuderla in un concetto o in una definizione. Resta, quindi, sempre una sproporzione fra l’astrattezza del pensato, o anche del detto, e la concretezza del vivente. Ed è già qui il mistero. Ma un mistero ancora più grande è dentro l’uomo. Qui la sproporzione è fra quello che egli è e quello che aspira ad essere. Essa è sperimentabile nell’esperienza della parzialità di ogni soddisfazione, in quanto egli si ritrova a rincorrere una verità e una felicità che sembrano sempre sfuggire. Essa è sperimentabile ancora nel fatto che vive oppositivamente la sua stessa esistenza, in quanto cerca la verità, ma non disdegna la falsità; vede il bene, ma fa il male; è mortale e finito, ma aspira, anzi, pretende l’infinito.
Clemente Sparaco, docente di filosofia e storia in un liceo scientifico e dottore di ricerca in etica, ha al suo attivo diverse pubblicazioni in ambito filosofico e collabora con riviste specializzate del settore.
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Romano Guardini (foto: Avvenire)
E che dire poi del mistero della relazione per cui l’io personale scopre nel tu una novità che lo apre all’incontro, al dialogo e all’amore? «La persona esiste sempre rapportata, come “io”, a un’altra che costituisca il suo “tu”», afferma Guardini in Mondo e persona, il suo saggio fondamentale di antropologia, scritto nel 1939, quando la sua cattedra di Filosofia della religione e Weltanschauung (concezione della vita) cattolica all’Università di Berlino era stata soppressa per volontà delle autorità naziste. L’inquietudine che la persona, il vivente concreto, si porta dentro ritrova dunque nel tu una direzione, un senso, e si rivela cifra di trascendenza, via oltre la solitudine dell’io. Ma perché il mistero sia risolto egli ha bisogno di altro. Occorre una parola dall’alto, non dal basso, e non una parola in terza persona, consegnata ad un libro, per quanto autorevole questo possa essere, ma di una parola viva e nello stesso tempo definitiva, di una Parola che sia un Tu… Qual è l’intento di questo saggio su Romano Guardini?
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Non certo quello di seguire «gli sviluppi storici e i risvolti bibliografici della ricerca guardiniana, quanto proprio quello di indagare, con Guardini e grazie a Guardini, il mistero del vivente concreto» (cfr. p. 19 e 20), per evidenziare la forza teoretica e l’attualità di quella ricerca. Pertanto, fra il “parlare su Guardini” e il “lasciare la parola a Guardini” s’intende privilegiare la seconda possibilità garantendo così al lettore un contatto diretto col grande maestro di Monaco. Del resto, le opere di Guardini sono per lo più monografie dialogiche e, come ha scritto Hans Urs von Balthasar, «scelgono volutamente personaggi in compagnia dei quali valga particolarmente la pena di guardare alle origini e di dialogare nell’osservazione critica della realtà» (cfr. di von Balthasar, Romano Guardini, Riforma delle origini). Ed era questo stile di ricerca e di vita che impressionava i suoi giovani allievi, come rileva uno di questi, Joseph Ratzinger, papa Benedetto XVI, che in un’udienza ai partecipanti ad un congresso su Guardini ebbe a dire: «… noi, infatti, non volevamo conoscere un’esplosione di tutte le opinioni che esistevano all’interno o al di fuori della cristianità, perché noi volevamo conoscere ciò che è. E lì c’era uno che, senza paure e allo stesso tempo con tutta la serietà del pensiero critico, si poneva di fronte a questa domanda e ci aiutava a seguire il pensiero» (Discorso al Convegno promosso dalla Fondazione Romano Guardini di Berlino sul tema: “Eredità spirituale e intellettuale di Romano Guardini”, Città del Vaticano, Sala Clementina, 29 ottobre 2010).
L’uomo cerca la verità, ma non disdegna la falsità; vede il bene, ma fa il male; è mortale e finito, ma aspira, anzi, pretende l’infinito.
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Adottare una “lucetta” Luca Scalise
Difendere la vita è accogliere le fragilità prenatali: in questa intervista la dottoressa Anna Luisa La Teano, cofondatrice e responsabile del “Braccio familiare e testimoniale” de Il Cuore in una Goccia Onlus, illustra il sostegno che la sua fondazione dà alle famiglie che affrontano una diagnosi prenatale patologica.
Dottoressa La Teano in che modo la fondazione Il Cuore in una Goccia sostiene le famiglie che affrontano una diagnosi prenatale di patologia del proprio bambino? «La fondazione Il Cuore in una Goccia adempie alla sua mission in difesa della vita nascente seguendo diverse linee di azione. Innanzitutto, attraverso un supporto di tipo clinico-assistenziale, con affiancamento e accompagnamento delle famiglie lungo tutto il percorso che va dalla diagnosi al post- parto e anche oltre. Questo tipo di attività trova una corrispondenza fattiva in alcune nostre progettualità come il Progetto hospice, il Progetto Welcome to Life e la rete di Sportelli di Accoglienza per le Maternità Difficili; tutte iniziative che hanno l’obiettivo
Il Progetto “Adotta una lucetta” è un fondo dedicato a sostenere le spese spesso gravose che devono affrontare le famiglie che accolgono un bambino cui è stata diagnosticata una patologia in utero.
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di creare punti di riferimento per queste famiglie, in modo da sopperire a tutta una serie di mancanze e vuoti che gettano le mamme e i papà in uno stato di solitudine e sconforto totali. In secondo luogo, attraverso la cultura e la formazione, per medici, personale sanitario, volontari e famiglie. Poi, attraverso la ricerca e lo studio delle patologie prenatali: dall’osservazione della storia naturale di molte patologie prenatali fino ad arrivare alla realizzazione di progetti di ricerca mirati, come il Progetto Down appena lanciato proprio su iniziativa de Il Cuore in una Goccia. E, infine, attraverso un sostegno concreto, di tipo economico, per quelle famiglie che hanno scelto di portare avanti la gravidanza nonostante la patologia del bambino e che però necessitano, nella fase pre-natale e/o postnatale, di un aiuto economico per far fronte a tutte quelle spese, il più delle volte gravose, necessarie per far curare i propri piccoli. Sulla base della nostra esperienza, infatti, sappiamo bene che l’accoglienza di un bambino con una patologia comporta per le famiglie anche delle difficoltà in termini economici a causa dei costi di viaggio (perché spesso la specificità della patologia richiede spostamenti in centri specializzati lontani dai propri luoghi di residenza), costi di alloggio nei casi di lunga degenza, spese per visite mediche, esami specialistici, terapie, acquisto di medicinali e così via. Per rispondere a questi bisogni la nostra Fondazione ha promosso il Progetto “Adotta una lucetta”, ovvero, un fondo dedicato a questo tipo di necessità, alimentato dalla generosità di tutti coloro che vogliono sostenere la scelta d’amore di queste
famiglie. È fondamentale offrire un’assistenza concreta alle famiglie perché, come spesso capita, anche una situazione di indigenza economica o la paura di non avere i mezzi per poter curare il proprio bambino, possono incidere sulla scelta di accoglienza o meno di un bambino con una fragilità prenatale». Ma cosa sono le “lucette”? «Il nome di questo progetto, “Adotta una lucetta”, è ispirato alla tenera storia di un bimbo, figlio di una mamma-testimone della nostra Fondazione che, quando era molto piccolo, riusciva a vedere le nuove vite nelle pance delle mamme e le descriveva come delle “lucette”. Questo bimbo un giorno chiese alla mamma come avviene che una donna aspetti un bambino e la mamma gli fornì il massimo della spiegazione scientifica al riguardo, in un linguaggio a lui comprensibile. Lui restò molto deluso e poi disse: «Mamma, hai dimenticato la parte più importante! Se Dio non soffia la lucetta nella pancia, non succede proprio niente!». In seguito, il bimbo le spiegò che Dio è circondato da tante bellissime lucette e che ogni tanto decide di affidarne una ad una mamma e darle un corpo, ma che la lucetta («È molto importante!», disse) continua ad essere di Dio e che la mamma deve solo proteggerla e accompagnarla, ma che non è sua. Ecco, quello che noi vogliamo, attraverso il Progetto “Adotta una lucetta”, è far sì che le “lucette” rimangano sempre accese. Chiunque voglia contribuire a questa importantissima iniziativa, può trovare tutte le informazioni utili sul sito del Cuore in una Goccia: www. ilcuoreinunagoccia.com».
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«Timidi sono i pensieri dei mortali e poco stabili i nostri disegni. Il nostro corpo corruttibile è di peso all’anima, e questa tenda di creta grava la mente nei suoi pensieri. A stento possiamo comprendere ciò che è terreno, persino le cose, che pure abbiamo a portata di mano, conosciamo così poco: chi riuscirà dunque a capire le cose celesti? Chi mai conosce il Tuo consiglio, se Tu non gli concedi la Sapienza e non mandi il Tuo Santo Spirito dal più alto dei cieli?» (Sapienza 9, 14-17)
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Scienze “esatte” e conoscenza critica Luciano Leone
Riflettiamo sulla scienza, la scienza “esatta”, il suo oggetto e il suo scopo. E chiediamoci, poi: come avviene l’apprendimento nell’essere umano?
Il termine scienza deriva dal latino scientia (dalla radice del latino scire, conoscere) e significa conoscenza. L’uomo è imperfetto, e conseguentemente tutte le sue conoscenze sono imperfette: egli può soltanto cercare di avvicinarsi alla verità, che permane sempre in qualche misura, più o meno grande, nascosta alla mente umana. Appare degno di nota che il termine greco per verità sia alétheia, che equivale a disvelamento ovvero a rivelazione (a- prefisso negativo, letheia connesso alla radice del verbo lanthano, nascondo). La scienza cerca quindi sempre di approssimarsi alla verità di qualche fenomeno naturale, ma il risultato cui approda, soprattutto quando si tratti di fenomeni complessi, non è mai una conclusione (spesso per rafforzare il concetto si dice conclusione definitiva), costituisce bensì la premessa per ulteriori indagini. Si pensi, ad esempio, alle procedure diagnostiche in medicina e alle conseguenti possibilità di classificazione delle malattie, sempre più sottili negli ultimi decenni, eppure costantemente suscettibili di approfondimento, di revisione, addirittura di clamorose smentite. Il medesimo può essere affermato per ogni campo di indagine, dall’astronomia-astrofisica alla fisica atomica. L’intuizione di Democrito, il quale ipotizzava l’esistenza di particelle indivisibili della materia dette atomi (atomon soma, in greco, è il corpo indivisibile: a-, alfa privativo, e tomon, da témno, tagliare, dividere), nel corso di secoli è stata confermata dalla scoperta degli elementi chimici, ma poi gli sviluppi della fisica nucleare hanno portato alla scoperta degli isotopi e, all’interno dell’atomo, di particelle costitutive come protoni, elettroni, neutroni e altre ancora più difficilmente identificabili. La teoria del Big bang (cioè la grande esplosione) verrebbe ora sostituita da quella del Big bounce (cioè il grande rimbalzo). La teoria della relatività di Einstein dovrebbe essere riveduta in base alle osservazioni di Michelson
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e di Sagnac, le quali appaiono contraddirla (G.R., La grande menzogna cosmologica, in SìSìNoNo, anno 45, n.11, reperibile sul sito www.sisinono.org) Come scrive Ottavio De Bertolis: «In realtà ogni proposizione scientifica descrive il mondo esterno non come è, ma come se fosse riducibile nei termini, nel linguaggio, nelle categorie, che essa stessa presuppone, senza peraltro dimostrarle. Esemplificando, si potrebbe dire che nessuno ha mai toccato o visto un protone: e tuttavia la realtà fisica funziona come se ci fosse. Il protone è la spiegazione più “economica” del maggior numero di eventi: con il minor numero di proposizioni si spiega il maggior numero di cose. È l’ipotesi meno falsificabile. E tuttavia, quando la utilizziamo, per quanto la sottoponiamo al vaglio critico dei fatti empirici, diamo per assodati, senza verificarli, moltissimi parametri: la piena utilizzabilità del linguaggio matematico innanzitutto, e la legittimità dei suoi assiomi di partenza, le grandezze impiegate e altri dati ancora. L’esattezza delle scienze esatte appare agli occhi degli stessi scienziati meno certa di quanto non appaia al più vasto pubblico». Si deve considerare inoltre che la ricerca scientifica viene condotta da uomini influenzati dall’ambiente non diversamente dai loro contemporanei, e soggetti a tutte le passioni degli altri uomini. «La ricerca scientifica avviene ormai in condizioni socioeconomiche tali da rendere necessaria per ogni ricercatore, il quale voglia emergere in un mondo di competitività parossistica, la conoscenza approfondita di una nuova disciplina: l’imbroglionica. Grazie ad essa si possono imparare diversi trucchi per essere accreditati come scienziati degni di fiducia (e di soldi), metodi infallibili per ottenere un elenco di pubblicazioni chilometrico con poca fatica, etc.», scriveva Roberto Maiocchi in Scienza: Ai confini dell’imbroglionica, su Il Giornale del 6 marzo 2007. Pregiudizi e connivenze sono tali che il medesimo articolo può essere rifiutato da una rivista nazionale, mentre viene pubblicato da una ben più prestigiosa rivista a livello internazionale.
«Non esiste alcun mondo quantistico. Esiste solo una descrizione fisico-quantistica» (Niels Bohr, studioso di fisica atomica e meccanica quantistica, premio Nobel per la Fisica 1922)
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L’adulazione strisciante e mascherata nei confronti del direttore rende agevoli certe carriere, mentre contraddirlo rende invisi a chi può tagliarti le gambe. Un esempio è dato da Guido Mattioni in Cacciati dai baroni, scoprono gene anti cancro: Antonio Lavarone e Anna Lasorella avevano lasciato l’Italia accusando la loro università di averli emarginati per nepotismo. Nove anni dopo, lavorando alla Columbia University di New York, con una ricerca sulle cellule staminali, trovano un meccanismo chiave contro il tumore. La scienza non è dunque mai una scienza esatta. L’uomo tuttavia, per le sue necessità esistenziali, tende ad assumere le conoscenze della sua epoca, a lui note, come se fossero definitive, ovvero non ha altra scelta operativa che agire in base alle conoscenze disponibili. Ma come avviene l’apprendimento nel neonato e nel bambino? Consideriamo il neonato: egli apprenderà per imitazione la lingua di chi si prende cura di lui, l’Italiano da genitori italiani, il Tedesco da genitori tedeschi, lo Spagnolo da genitori spagnoli, costituendo nel suo cervello i cosiddetti engrammi. Aristotele osservava che «l’imitare è connaturato agli uomini» («Tò mimesthai symphyton anthropois»). Successivamente il bambino e il giovane apprendono innumerevoli altre nozioni da familiari, da maestri e professori, da amici e conoscenti, da letture, assumendo tali nozioni “per buone”, salvo poi sottoporle a revisione critica man mano che si sviluppa la personalità di ciascuno. Indubbiamente però gran parte delle nozioni acquisite non vengono sottoposte a critica, perché non è necessario, perché non c’è interesse, perché l’ambiente dove si vive non richiede di appuntare attenzione a quel tipo di nozione. Invero, se si volesse approfondire il discorso, l’uomo inevitabilmente vive assumendo concetti che egli stesso non è in grado di sottoporre a critica: ad esempio nel costruire il piano di un tavolo rettangolare assume implicitamente il postulato della geometria euclidea delle rette parallele, ma si tratta appunto di un postulato, non dimostrabile; nella logica assume il postulato
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della non-contraddizione (una cosa è, oppure non è) e dei criteri di eguaglianza (se A è uguale a B, e se B è uguale a C, A è parimenti uguale a C). Inoltre l’uomo, mentre comprende facilmente misure finite e fenomeni che hanno un inizio e una fine, come la sua stessa esistenza terrena, non è in grado di afferrare entità come il piquadro, numero trascendente, e tantomeno l’eternità di Dio. Insomma, per molti concetti si resta fermi o addirittura imprigionati nelle convinzioni proprie dell’epoca corrente e nelle nozioni scolastiche. La scuola statale costituisce pertanto un grande mezzo di omologazione della popolazione («L’Italia è stata fatta, occorre fare gli Italiani»), più palesemente sotto i regimi più totalitari, più subdolamente nei Paesi cosiddetti democratici, al fine di modellare i cittadini di uno Stato ovvero, come si suol dire, di “normalizzarli”. La scuola statale veicola dunque nozioni selezionate da coloro che detengono il potere. Così in Italia, come nel resto del mondo, i libri di testo scolastici riportano e impongono riguardo alla storia la “versione” gradita al Potere del momento, forniscono come “certezze” teorie scientifiche in fieri, e negli alunni viene tuttora inculcata l’idea della “verità inoppugnabile” della teoria darwiniana. Cui adesso si aggiunge l’ideologia gender che come è ormai noto viene
«A quanto pare non rientra tra i prerequisiti di chi scrive manuali scolastici possedere un minimo di cultura di base» (Elisabetta Sala, studiosa di lingua, storia e letteratura inglese).
spacciata per scienza. Tant’è vero che grazie anche all’ex ministro alla pubblica istruzione Fioravanti, l’attuale Governo ha stanziato un milione di euro annui per «promuovere l’educazione alle differenze di genere quale metodo privilegiato per la realizzazione dei principi di uguaglianza».
BIBLIOGRAFIA Ottavio De Bertolis, La metodologia giuridica di Norberto Bobbio, La Civiltà Cattolica, 3 gennaio 2004, p. 263. Andrea Giacobazzi, Piccolo vademecum antiscientista. Per sopravvivere al laboratorio di massa, La Tradizione Cattolica n.108, 2018, pp. 21-33; e n.111, 2019, pp. 34-41. Gli articoli si possono reperire sul sito www.fsspx.it: accurata disamina, di accessibile lettura, riguardo ai limiti della scienza; ottimo l’apparato bibliografico. Elisabetta Sala: L’ira del re è morte. Enrico VIII e lo scisma che divise il mondo, Ed. Ares, Milano 2008, p.91
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La dimensione contemplativa della difesa della vita Toni Brandi
Marina Casini Bandini, presidente del Movimento per la Vita, ha curato la raccolta di questi scritti inediti di suo padre, Carlo Casini: una lettura che dovrebbe essere meditata da ogni credente che sia anche impegnato civilmente e socialmente nella difesa della vita, della libertà e della Verità.
Per deformazione professionale, come imprenditore, tendo a essere molto concreto, attento all’efficienza e all’ottimizzazione delle risorse e del tempo, e questo anche nei momenti di svago o nell’attività di volontariato che mi ha portato a fondare e a dirigere Pro Vita, ora Pro Vita & Famiglia. Per impegnarsi al giorno d’oggi nella difesa dei bambini non nati (e nati), nel promuovere la cultura della vita mentre la cultura della morte (o dello scarto) sembra avanzare inesorabile, servono azioni concrete e tangibili: bisogna imparare a essere efficacemente presenti sul web; bisogna conquistare spazio e visibilità sui media; bisogna sfruttare al meglio i canali di comunicazione delle idee che oggi come oggi circolano fin troppo velocemente… Vanno inoltre coltivate le buone pratiche e quindi, laddove possibile, bisogna intervenire con aiuti concreti per le madri, le famiglie, i disabili. Oltre a tutto questo, ovviamente, è prioritario reperire i mezzi economici e le risorse umane da coordinare per condurre questa “buona battaglia”. Volendo cercare di essere un buon Cristiano, devo vigilare, però, affinché tutta questa attività non degeneri in arido attivismo.
«La vita è sempre al centro di una grande lotta tra il bene ed il male», scrive Giovanni Paolo II nell’Evangelium Vitae (n. 104)
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Bisogna sempre ricordare l’Origine, la fonte dei nostri talenti, bisogna sempre aver chiaro il Fine della nostra vita. Senza lo sguardo fisso oltre la materia, senza coltivare la fede e l’amore per Dio, anche attraverso l’amore per il prossimo, la tensione verso la realizzazione di un bene comune diventa arida filantropia fine a se stessa. La raccolta degli scritti dell’amico Carlo Casini realizzata dalla figlia Marina, La dimensione contemplativa della difesa della vita umana, è uno strumento indispensabile per ricordare a tutti coloro che operano - agiscono! - in difesa della vita professandosi credenti che la dimensione metafisica è indispensabile per dare un senso all’impegno civile e sociale. È fondamentale per dare slancio e speranza nei momenti in cui sembra che tutto sia troppo difficile e che la cultura della morte sia troppo forte per essere sconfitta. Ho tanti amici pro vita che non sono credenti: razionalmente e “laicamente” si può affermare e promuovere il rispetto della pari dignità di ogni essere umano a prescindere dall’età, dalla visibilità, da quello che si ha o che si sa fare. È una questione di giustizia, di umanità, iscritta nella legge naturale che alberga nel cuore di ogni persona, in ogni tempo, in ogni luogo. Ma chi si professa credente non può non pregare. E chi si professa credente non può non essere pro vita. Quindi la dimensione contemplativa, la preghiera, deve pervadere l’attività di chi si impegna per il bene comune. Carlo Casini ha fatto suo e ha rilanciato l’invito di Giovanni Paolo II: «È urgente una grande preghiera per la vita […]. Ritroviamo dunque il coraggio di pregare e di digiunare» (Evangelium Vitae, n. 100). Perché «la vita è sempre al centro di una grande lotta tra il bene ed il male» (n. 104), battaglia che si svolge nella storia, nel mondo, e nel cuore di ciascun essere umano. Notavamo insieme, io e Carlo, qualche tempo fa, che papa Wojtyla auspicava, una «grande preghiera per la vita, che attraversi il mondo intero: con iniziative straordinarie e nella preghiera abituale, da ogni comunità cristiana,
da ogni gruppo o associazione, da ogni famiglia e dal cuore di ogni credente» (Evangelium Vitae, n. 100); ma questo auspicio non si è tradotto in realtà. Persino la Giornata per la Vita non è celebrata in ogni parrocchia, né in ogni scuola cattolica. Raramente si sentono preghiere per la vita (nascente o morente) nelle Messe e nelle omelie domenicali. In un altro contesto Carlo ha scritto: «Molti uomini di Chiesa sono imbarazzati perché pensano: l’aborto è un argomento “dividente”, che rischia di allontanare qualche fedele. La legge, che lo disciplina, è un tema politico e la Chiesa deve essere superiore alla politica. Così, spesso, all’invisibilità dell’uomo [dell’embrione] che attraversa la fase più debole e povera del suo esistere, si aggiunge il rifiuto dello sguardo della mente e del cuore: non parliamo di lui! Al massimo, ci limitiamo a dire che l’aborto è male e che la vita è un bene. Ma la vita di chi? Una vita impersonale, o la vita di uno di noi? Se lui è ignorato, anche la preghiera diventa meno urgente e non ha bisogno di una speciale grandezza, intensità e costanza, rispetto ad altre esigenze materiali e spirituali per cui è opportuno invocare l’intervento di Dio». Anche per questo oggi l’aborto è percepito come qualcosa di simile alla contraccezione, molto meno grave di un omicidio. «Chi si impegna per la vita, incontra spesso una forza nemica fascinatrice e attentatrice, che semina la menzogna nelle menti e la paura nei cuori. Talora, essa sembra invincibile»: perciò la preghiera è l’arma decisiva. Essenziale per difendere colui che madre Teresa definiva «il più povero fra i poveri».
La dimensione contemplativa, la preghiera, deve pervadere l’attività di chi si impegna per il bene comune.
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La cultura della vita x 1 000 e della famiglia in azione a Pro Vita e Famiglia Dona il tuo
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In cineteca
Segnaliamo in questa pagina film che trasmettono almeno in parte messaggi valoriali positivi e stimolano il senso critico rispetto ai disvalori che vanno di moda. Questo non implica l’approvazione o la promozione globale da parte di Pro Vita & Famiglia di tutti i film recensiti.
Philomena Titolo: Philomena Stato e Anno: Regno Unito, Francia, Stati Uniti d’America, 2013 Regia: Stephen Frears Durata: 93 min. Genere: Drammatico Irlanda, 1952: la giovane Philomena Lee rimane incinta in seguito a un rapporto occasionale. La sua famiglia non accetta questa cosa e quindi l’adolescente si rifugia presso il convento di Roscrea, dove darà alla luce – con parto naturale podalico – un bel maschietto: Anthony. Per mantenere sé e il figlio, Philomena è costretta a lavorare per il convento, assieme a tutte le altre ragazze madri come lei, e può vedere il proprio bambino solamente un’ora al giorno. Quando il piccolo ha tre anni, tuttavia, le viene strappato per sempre e dato in adozione a una coppia di americani. La giovane madre non saprà nulla di lui per tutta la vita, nonostante i tentativi fatti per ritrovarlo: a tenerle compagnia ha solo una foto. Tutto questo fino a quando, ormai anziana, incontra il giornalista Martin Sixsmith che, ascoltata la sua storia, si mette con lei alla ricerca di Anthony… Si tratta di un film molto toccante, ma che va guardato con le lenti giuste. Vengono infatti trattate tematiche delicate, care a questa rivista: l’accoglienza della vita, sempre e comunque, l’importanza dei legami familiari,
così come la tendenza omosessuale e la posizione di certi uomini – o donne – di Chiesa. Allo spettatore il compito di interpretare nella maniera più vicina alla legge naturale i diversi eventi che vengono presentati, valorizzando il buono che si genera pur nella miseria umana e nel dolore. E in questa lettura si è aiutati, nel finale, dall’emergere del tema del perdono, conseguente probabilmente a un percorso personale che ha portato Philomena innanzitutto a perdonarsi in prima persona.
aprile 2020
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In biblioteca I veri eroi Azzurra Bellini Fede & Cultura
Inferno a mezzanotte Ada Grossi Self Publishing Vincente
Elena, 20 anni, ha bruciato la vita nell'edonismo. La mancanza di un padre autorevole e amorevole e il suo carattere fragile l’hanno resa succube di ogni ideologia. È stata totalmente plagiata, circondata da vacui amici opportunisti e da un ragazzo privo di scrupoli morali. Dal degrado esistenziale in cui la protagonista è caduta, alcuni giovani - sani portatori di valori - sapranno aiutarla. Si accorgerà che i miti fasulli cui stava immolando la sua gioventù non sono né utili esempi, né veri eroi. I giganti di paglia si dimostreranno nani di gesso decapitati dal loro stesso ego, mentre dei suoi coetanei dall'apparenza anonima si riveleranno dei titani.
«L’amore per la vita, una continua tensione verso ciò che di più alto e bello c’è al mondo» è qualcosa che contraddistingue i romanzi di Ada Grossi. In questo thriller ambientato ai giorni nostri i protagonisti vivono, sperano, sognano, credono, amano, non si risparmiano per adempiere al compito che viene posto sul loro cammino. «Un compito che potrebbero rifiutare, perché nella vita si deve scegliere e qualche volta per scegliere bene si deve combattere anche contro se stessi: e invece quel compito lo accolgono, lo accettano e lo scelgono. Per questo possiamo chiamarli eroi, perché sanno avere coraggio. Avere coraggio non vuol dire non avere paura. Chi non ha paura è un incosciente. Il coraggio è tutt’altra cosa».
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Diretto da Maurizio Belpietro