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Il mondo antiorario
Claudio Vergamini
Oggi, alle volte, il mondo gira “al contrario”. Ma come funzionerebbero le cose, se non fosse così? E che ruolo ha ognuno di noi in questo meccanismo?
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Che meraviglia il creato, la natura: un complesso di ingranaggi, piccoli e grandi, che, girando, ognuno nel suo verso, scandendo ogni secondo dell'esistenza, fanno sì che il mondo vada avanti e proceda regolarmente. Che cosa faremmo se i meccanismi si inceppassero, oppure prendessero a girare alla rovescia?
Immaginate che, per esempio, il sole sorga a ovest e tramonti ad est, che la pioggia vada dal basso verso l’alto, che quando fa caldo nevichi e che quando fa freddo non si respiri, o che il vento invece di soffiare aspiri: non sarebbe proprio una bella situazione. Chiudete gli occhi
e provate a immaginare, per esempio, una realtà dove chi passa col rosso ne vada fiero,
se ne vanti, mentre chi aspetta che per passare ci sia il verde, stia rintanato, silenzioso, timido; oppure se chi non cede ad anziani, donne incinte, disabili, il posto sull’autobus, fosse baldanzoso, disinvolto, spigliato nel parlare di questo suo comportamento, mentre coloro che il posto lo cedono regolarmente, abbiano paura a farlo, a rivendicare la giustezza e la bontà di ciò; oppure se chi avesse fatto a botte coi colleghi in ufficio stesse sempre a ostentare ad alta voce le sue “performances”, mentre chi, con i colleghi, andasse d’accordo, non potesse non avere qualcosa che non va, sicuramente non abbia capito bene, o magari sia “un ipocrita”, «chissà che cosa ha in mente certa gente», «se uno si comporta bene, non può non avere qualcosa da nascondere, no?». E invece… succede, oggi, a scuola: chi prende brutti voti non se ne vergogna affatto, anzi, la cosa, per loro, è una medaglia da appuntarsi al petto, mentre, invece, guai se osi prendere 7, 8, o addirittura 9: roba da vergognarsi. Sei il “secchione”, il “lecchino” dei professori. Vuoi che una ragazza preferisca un brutto “secchione” a un affascinante tamarro che colleziona 2, 3, massimo 4?
Quindi, certe volte, il mondo gira alla rovescia, purtroppo.
Divorzio, o separazione: anche qui gli ingranaggi girano alla rovescia, e finiscono con il farci girare anche gli altri, come un virus che rapidamente si diffonde se non esistono validi anticorpi a contrastarlo e a evitare che, una volta entrato, faccia sfaceli, lasciando a lungo segni profondi.
La separazione o il divorzio vengono approvati e visti come
scelta di libertà, a prescindere da come sono andate le cose. Quando si va alla porta d’uscita è sempre una bella cosa, e guai a chi si azzarda solo ad avanzare il benché minimo dubbio: nella migliore delle ipotesi diventa il “retrogrado”, il “medievale”, il “bigotto”. Personalmente ormai questi aggettivi li ritengo delle vere e proprie onorificenze, ne vado fiero, e quando mi vengono rivolti ringrazio e faccio notare che ho anche dei difetti. Il “complimento” che amo di più è quello di “maschilista”: per me ha un po’ l’effetto dello scudetto sulla maglia di chi ha vinto il campionato e il profumo inebriante del piatto del giorno per il quale si fanno i complimenti allo chef.
Chi, tra di noi, “collezionisti di medaglie”, non ha mai avuto a
che fare con domande banalotte, del tipo: «Ma se un marito torna a casa col lanciafiamme, incenerisce la moglie e, dopo averla incenerita, la fa a fette, la violenta, e poi la dà in pasto al coccodrillo che tiene nel giardino, e tira su col naso gli ultimi granelli di cenere..., mica vogliamo lasciare tutto così»? È piuttosto deprimente voler andare sempre a cercare il caso limite. Nessuno, sano di mente, può ritenere che una qualsiasi situazione, un qualsiasi legame sia sempre buono o sempre cattivo. Nessuno, del resto, può approvare situazioni da codice penale o da film splatter. Possiamo intanto dire, senza paura che arrivi il solito intollerante a scatenarci addosso la sua professione di fede (avete notato che, in questo campo, la permalosità è a livelli preoccupanti?), che la
grande maggioranza delle separazioni non avviene in situazioni dove ci sono morti e feriti o ci sono situazioni patologiche gravi,
irrimediabili (penso anche a chi, preso dal demone del gioco, sperpera tutti i risparmi della famiglia). In generale, dove si litiga o si discute non ci sono mai situazioni irreversibili. Se si prova a dirlo, subito si diventa quelli che “non capiscono”. Avete mai provato a mettere in dubbio il fatto che i bambini preferiscono sempre una coppia, anche se “peperina”, piuttosto che una famiglia sfasciata? Ovviamente non si trova nessuno disposto a prendere in considerazione che, forse, può essere così. Diventa sempre più difficile trovare persone sposate da anni che rivendicano con orgoglio il loro essere rimasti insieme, il loro
aver messo da parte l’orgoglio e le ambizioni personali per il bene comune, il cercare di vedere le cose anche da un altro punto di vista, per avere meno motivi per litigare e andarsene. Anzi, le persone separate non hanno nessun problema a raccontare di quando hanno rifilato quell’apprezzamento pesante, di quando hanno minacciato di mandare l’altro per stracci, o di quando hanno rifiutato la telefonata. Ecco gli ingranaggi che girano alla rovescia.
Questo mondo è destinato a vedere aumentati gli ingranaggi che girano al contrario?
Secondo me no, purché chi è nel giusto la smetta di mantenersi sulla linea timida del “quieto vivere”, troppo preoccupato di fare arrabbiare quelli “alla moda”. Chi razzola bene, deve anche predicare bene.
Gli ingranaggi in “modalità reverse”, se proprio non si riesce a far loro invertire il verso, è bene che vengano lubrificati, non tanto per farli girare più agevolmente, bensì per renderli silenziosi.
Si può combattere come delle tigri, forti, decise, incuranti dei pericoli, decise a dominare ogni situazione, oppure si può farlo in maniera soft, semplicemente dicendo «Non sono d’accordo»; si può cominciare a essere orgogliosi del proprio esempio, e metterlo a disposizione di tutti, l’importante è cominciare a introdurre nel dibattito le cosiddette “note stonate”, in modo che le tantissime persone in buona fede possano avere il beneficio del dubbio. Dobbiamo cominciare a “suonare le nostre campane”, e a dare agli altri la possibilità di ascoltarle, e di rendersi conto di ciò che è bontà e giustezza. I posteri ci chiedono questo e noi abbiamo questo dovere nei loro confronti.