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Un appello dei medici svizzeri
Tommaso Scandroglio
I cittadini svizzeri sono invitati a compilare le Disposizioni del paziente, ossia quelle che da noi vengono chiamate Dat, Disposizioni anticipate di trattamento.
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Con la recrudescenza del coronavirus avvenuta in autunno, la Federazione dei medici svizzeri (FMH) verso novembre ha rinnovato l’appello ai cittadini a compilare le Disposizioni del paziente, ossia quelle che da noi vengono chiamate Dat, Disposizioni anticipate di trattamento. Vedremo che questo documento da una parte può permettere le migliori cure per il paziente non cosciente, rifiutando altresì pratiche che potrebbero configurare accanimento terapeutico, e su altro fronte consente l’eutanasia.
Analizziamo le sezioni salienti di questo documento.
Al punto n. 1 è assente la verifica che la compilazione delle Disposizioni siano avvenute liberamente da parte del dichiarante e non sotto costrizione oppure in uno stato di non perfetta lucidità. In secondo luogo, il riferimento alla incapacità di discernimento, condizione che rende operative le Disposizioni, è espressione assai vaga, imprecisa. Anche una persona sotto i fumi dell’alcool o sotto effetto di sostanze psicotrope a volte è «incapace di discernimento». Inoltre, anche in questo caso, non vengono indicate le persone e le modalità per verificare questo stato di compromissione della coscienza. Aggiungiamo che per la redazione delle Disposizioni non è necessario il consulto o l’ausilio di un medico (cfr. punto n. 3). Passiamo alle sezioni più rilevanti. Tra le varie opzioni che il dichiarante può vistare abbiamo la seguente, che così recita: «Con le mie disposizioni desidero innanzitutto ottenere che il trattamento medico serva soprattutto ad alleviare le sofferenze. Il prolungamento della mia vita a ogni costo per me non ha priorità. Sono cosciente del fatto che rinunciando a determinati trattamenti medici la mia vita
potrebbe essere accorciata» (punto n. 2). Questa affermazione può esprimere il divieto di accanimento terapeutico, ma anche aprire le porte a pratiche eutanasiche. Infatti, nel rispetto delle volontà del dichiarante appena descritte, il medico potrebbe interrompere cure salvavita per evitare alcune sofferenze sopportabili a carico del paziente. In breve: uccidere il paziente per non farlo soffrire.
Sempre al punto n. 2 il documento chiede al dichiarante di illustrare quali siano le sue convinzioni sulla vita, sulla qualità della stessa, sulla malattia, sull’agonia, sulla morte, quali le sue paure, «quali limitazioni o dipendenze farei fatica ad accettare». Insomma, sono proprio quelle domande che si fanno per capire se il futuro paziente è favorevole o meno all’eutanasia, quindi si sposano maggiormente con una visione pro-eutanasia piuttosto che con un approccio terapeutico.
Proseguiamo. Il punto n. 3 esprime un evidente favore per le pratiche eutanasiche.
In sostanza i medici svizzeri suggeriscono ai pazienti Covid di lasciarsi morire, così da liberare preziosi posti letto.
Infatti, una delle due opzioni che si possono scegliere è la seguente: «Nel caso in cui in seguito ad un evento acuto inatteso perdessi la capacità di discernimento e che, dopo le prime misure urgenti di soccorso e un’accurata valutazione medica, fosse appurata l’impossibilità o l’improbabilità che io riacquisti la mia capacità di discernimento,
chiedo che si rinunci a ogni misura destinata
unicamente a prolungare la mia vita e le mie sofferenze». In breve: se è prevedibile che io non possa più essere cosciente, non curatemi più e lasciatemi morire. Un inciso: questa opzione crea una equivalenza non provata
tra mancanza di capacità di discernimento e
sofferenza. Chi non è cosciente non è di per se stesso e sicuramente sofferente.
In merito poi ad alimentazione e idratazione assistite, il punto n. 3 alla sezione III indica anche questa opzione: «Acconsento
temporaneamente ad un apporto artificiale
di liquidi e all’alimentazione artificiale, qualora ci si possa attendere che in questo modo vengano alleviati i dolori oppure che, più tardi, mediante aiuto, io riesca ad ingerire liquidi e alimenti in modo naturale». Dunque, se il paziente rimanesse in uno stato di sofferenza oppure se si prevedesse che l’assunzione di cibi e liquidi non potrebbe più avvenire in modo autonomo, si possono
interrompere la nutrizione e l’idratazione
assistita, procurando così la morte del paziente stesso. La sezione IV sempre del punto n. 3 indica poi un’altra situazione in cui è possibile praticare l’eutanasia tramite una modalità omissiva: scegliere di non essere rianimato «in caso di un arresto cardiocircolatorio e/o arresto respiratorio». La scelta dei medici elvetici di rilanciare queste disposizioni in un periodo in cui le strutture ospedaliere erano al collasso a causa dell’emergenza coronavirus rivela chiaramente l’intento che si celava dietro questa scelta: suggerire ai pazienti Covid di non farsi ricoverare e morire a casa oppure, per quelli ricoverati, di non finire in terapia intensiva e, nel caso in cui fossero già in terapia intensiva, di non ostinarsi a rimanere lì, ma di lasciarsi morire così da liberare preziosi posti letto.
Un esplicito invito, quindi, a chiedere
l’eutanasia.