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La favola di mamma e papà

Clemente Sparaco

È una violenza orribile estendere il potere degli adulti sui bambini fino a falsificarne la filiazione

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Scrivere o dire “genitore 1” o “genitore 2” al posto di “mamma” e “papà” è una scelta ideologica che calpesta i diritti dei bambini.

L’introduzione della dicitura “genitore 1” e “genitore 2” nelle carte di identità dei ragazzi sotto i 14 anni, voluta dal ministro Lamorgese, nasce sotto il segno dell’ideologia. È infatti ideologico pensare di subordinare la natura e la storia a un disegno precostituito, così da cancellarle d’imperio. Ed è ideologico coniare un modello alternativo di genitorialità non corrispondente alla realtà biologica e rinnegante tradizioni ataviche, alla base della nostra civiltà. Da qui nascono le contorsioni verbali, gli ossimori, le assurdità, le mostruosità lessicali: non più “padre e madre” o “papà e mamma”, ma “genitore 1 e genitore 2”; non più genitorialità, ma “omogenitorialità”.

L’omogeneo estromette l’eterogeneo e si codifica in espressioni gelide e inquietanti, distruttive della definizione di essere umano e dell’istituzione

base della società, la famiglia. Anzi, la famiglia vera, naturale, fondata sul matrimonio, diventa un fenomeno relativo, uno dei diversi fenomeni sociali, una delle tante forme di accoppiamento, sulla base di «teorie che», come ha scritto Joseph Ratzinger, «tolgono ogni rilevanza alla mascolinità e alla femminilità della persona umana, come se si trattasse di un fatto puramente biologico».

Ma la violenza più orribile sta nella pretesa

di estendere il potere degli adulti sui bambini

fino a falsificarne la filiazione. Il bambino deve sottostare ai desiderata dell’adulto e alle sue logiche distorcenti.

Apparentemente è al centro e apparentemente verrebbe a essere tutelato ma, in realtà, il figlio è solo oggetto di una questione dei grandi. Egli non sa, non ha voluto, né ha potuto scegliere, per cui serve una causa che non è la sua. Per quanto desiderato e morbosamente invocato, egli è figlio di una grande finzione, «incaricata di occultare, né più, né meno, uno dei genitori biologici» (così la storica francese MarieJosèphe Bonnet, femminista e fondatrice del Fronte omosessuale di azione rivoluzionaria). Ogni bambino avrebbe diritto a «conoscere i suoi genitori e ad essere allevato da essi», come recita l’articolo 7 della Convenzione sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989, e invece si trova al centro di una disputa amministrativa. Avrebbe diritto a una genealogia chiara e coerente, e invece legge sul tesserino una parentela formale. Avrebbe

diritto alla verità, e invece gli si sbatte in faccia una rivendicazione.

Forse gli verrebbe da dire «mamma e papà», senza equivoco, senza eterodirezioni, e invece gli approntano una contabilità: 1, 2….

Forse semplicemente avrebbe bisogno di essere amato, ma non basterebbe l’amore, se questo si fonda sulla non verità e sull’infingimento (non può essere amore Alberto Contri davvero).

E quando sopraggiunge la notte, sebbene viviamo in una società senza incanto né magia, dovremmo sempre potergli raccontare La favola di mamma e papà:

«C’era una volta una fanciulla bellissima, ma che non sapeva di esserlo, fino a quando un principe se ne innamorò e con un bacio la risvegliò alla vita: e quel bacio eri tu…».

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