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Le baccanti e l’aborto

Roberto Marchesini

Chi ha convinto le donne che il sesso libero e promiscuo sia una conquista, una forma di emancipazione, così come l’aborto, l’uccisione del figlio? E per sdoganare l’aborto, la propaganda ha per prima cosa cancellato ontologicamente il figlio, il bambino...

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Noi moderni consideriamo la tragedia greca come letteratura: viene, infatti, studiata nel programma di questa materia. Eppure, la tragedia per i greci non era letteratura. Essa era un rito: era la rappresentazione in un piccolo spazio, con degli attori vestiti e mascherati, che recitavano formule, di un dilemma cosmico, di una crisi metafisica. Sul palcoscenico il dramma veniva rappresentato e

Euripide (busto conservato al museo Pio Clementino di Roma). È uno dei massimi drammaturghi dell’antica Grecia - e forse di tutti i tempi. Nacque a Salamina intorno al 485 a.C. e morì in Macedonia, alla corte di Archelao, verso il 408 a.C. Le sue tragedie sono quanto mai moderne, i suoi eroi e le sue eroine sono profondamente umani, tormentati, realisticamente e profondamente tratteggiati nella psiche e nei sentimenti.

disciolto; a questo punto, esso era risolto realmente, a livello metafisico. Gli spettatori provavano, infatti, un senso di sollievo, di liberazione, chiamato catarsi.

I cattolici capiranno immediatamente di cosa stiamo parlando. La tragedia greca era, infatti, una specie di Messa. Anche in questo caso noi vediamo un tizio, vestito in modo particolare, che recita delle formule e armeggia con pane e vino. Apparentemente non succede granché, non cambia nulla di importante; invece, a livello cosmico, nella realtà metafisica, cambia tutto. Con la Messa si aprono cateratte di Grazia, che piove sulla terra e rinnova l’alleanza tra Dio e i suoi figli.

Proprio per questo motivo, i temi affrontati dalla tragedia greca erano di primaria importanza. Ad esempio, Le eumenidi di Eschilo affronta (e risolve) il tema dell’identità femminile e del ruolo che reciprocamente uomini e donne svolgono l’uno per l’altro.

Un altro esempio splendido è Le baccanti di Euripide. Questa tragedia è ambientata a Tebe, dove compare un fanciullo dall’aspetto efebico, Dioniso. Egli conduce le donne della

città sul monte Citerone e le induce alle orge più sfrenate e alla dissolutezza più comple-

ta. Dioniso (Bacco per i romani) era infatti il dio della dissolutezza, della sfrenatezza, della mancanza di ordine e misura. Nietzsche vide in quel dio greco un antagonista di Apollo, dio

Le baccanti (affresco conservato nella Casa dei Vettii a Pompei)

dell’ordine e della misura. Se il secondo è una misteriosa prefigurazione di Cristo (il Logos incarnato), Dioniso non può essere altro che una prefigurazione di Satana. Ma torniamo alla tragedia. Penteo, figlio di una delle baccanti, sale sul monte per salvare la madre Agave. Una volta che il giovane giunge sul posto e sale su un albero per rendersi conto di quanto avviene sul monte, Dioniso induce le

donne ad avventarsi sul giovane e farlo a pezzi. La prima

a sbranare Penteo è proprio sua madre, Agave.

In questa tragedia, il problema etico affrontato è, evidentemente, l’aborto. Dioniso libera la sessualità femminile, sprofonda le donne in un abisso di piacere orgiastico e dissoluto; il risultato di questa “liberazione sessuale” ante litteram è l’aborto: la madre fa a pezzi il proprio figlio. Nella parte finale della tragedia vediamo Agave che tiene in grembo la testa di Penteo, credendo che sia la testa di un leone. Le si avvicina Cadmo, re di Tebe, suo padre e nonno di Penteo.

Cadmo: «E di chi rechi fra le braccia il capo?». Agave: «D’un leon... disse chi con me lo prese». Cadmo: «Guarda bene: è guardar lieve fatica». Agave: «Che vedo, ahimè! Queste mie man’ che recano?». Cadmo: «Fissalo bene, e lo saprai ben chiaro». Agave: «Oh me infelice! Oh spasimo crudele!». Cadmo: «Che somigli a un leon dunque ti sembra?». Agave: «No! Questo è il capo di Pènteo, me misera!». Cadmo: «Io lo piangevo, e tu nol conoscevi!». Agave: «Chi l’uccise? Com’è fra le mie mani?». Cadmo: «Triste, se giunge inopportuno, il vero!». Agave: «Parla! Mi balza nell’attesa il cuore!». Cadmo: «Tu l’uccidesti e le sorelle tue». Agave: «Dove fu ucciso? Nella reggia? O dove?». Cadmo: «Dove Atteon le cagne già sbranarono». Agave: «E perché al monte andò lo sventurato?». Cadmo: «Per fare al Nume oltraggio, e ai vostri riti». Agave: «E come noi su lui quivi piombammo?». Cadmo: «Bacco voi folli, e tutta Tebe rese». Agave: «Ora comprendo! Ci colpí Diòniso!».

La verità si mostra all’improvviso alla sventurata Agave;

Dioniso l’ha ingannata. Dopo averla indotta alla sfrenatezza sessuale, le ha nascosto l’identità di quell’essere che le si è presentato inatteso. Soltanto dopo si rende conto dell’orrenda verità: quell’essere che lei stessa ha fatto a pezzi è suo figlio.

Quanta saggezza dimenticata, nelle nostre radici... 

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