FILMOLOGY

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PIERPAOLO CETERA

FILMOLOGY Scritti sul Cinema

EDIZIONE IN PROPRIO 2012



PIER PAOLO CETERA

FILMOLOGY Scritti sul Cinema


Edizione libera per il web


Prefazione dell’Autore La maggior parte delle recensioni cinematografiche presenti in questo volume sono state scritte verso gl’inizi degli anni novanta: quest’età aurea per la mia personale esperienza nel mondo del cinema, da spettatore, coincise fortunatamente con una serie di prese di posizioni – all’epoca l’autore era poco più che ventenne – corrispondenti alla visione generale delle cose e alla cosiddetta bildung (che possiamo tradurre direttamente con il lemma italiano “formazione, educazione”) presieduta a quell’epoca. Non mancarono, quindi, riflettendo col senno di poi, le proprie ristrettezze ideologiche, le idiosincrasie e i pregiudizi che accompagnano quell’ età forte (come ha intitolato il suo capolavoro la scrittrice Simone de Beauvoir). Dopo molti anni mi sono deciso a pubblicare queste recensioni inserendo delle annotazioni migliorative, anche tenendo fermo lo spirito di allora: non tutto era da perdere e non tutto da conservare. Da queste scelte post-hoc è venuto fuori questo libro. Quando si guarda un film si è dentro un’altra dimensione: le moltissime sensazioni e i sommovimenti dell’anima e le tensioni sopite, che vengono alimentate dalla visione, successivamente si ridurranno a poche cose, a deboli ricordi fino scomparire del tutto dalla nostra mente. Si forma così un unico film, che racchiude frasi e frammenti di tutti quelli visti. Ho provato a evitare questa fine ingloriosa di ogni capolavoro visto, ma figuriamoci se non sono contento di aver dimenticato i pessimi film! Quando si guarda un film si può avere la sensazione di assopimento (chi non ha mai dormito vedendo un film!), oppure raggiungere facilmente uno stadio onirico (ah!, Barthes …) Comunque, giudicate voi quale senso diretto o indiretto è stato accostato (naturalmente dopo aver visto quel film) e mi piacerebbe che qualcosa di queste impressioni orientasse la scelta di veder o rivedere - anche tu lettore!- almeno uno di questi film con la vana speranza di non lo vediate nel peggior momento della vostra giornata!


PREMESSA Tra il 1991 e il 1994 compilai un “LIBRO VERSUS CINEMA”. La copertina era un disegno di Enrico Baj, raffigurante una sezione grafica dei “generali”. Vi era nella seconda di copertina la scritta “coagulo sulla comunicazione sociale”, diventato poi “Per una trascrizione del flusso vuoto della mente (dopo una visione?). FILMCRITICABREVE”.

SCHEMA : Data della visione ora annullata, Titolo film, Regista (attori) Sinossi EVENTUM Completano le serie di extra: brevi saggi, recensioni critiche & letture Per questa versione che prende il nome di Filmology vengono abolite le date e l’ordine di visione. Sono integrati a queste prime escursioni filmiche anche i frammenti provenienti da “Non Cinema”, scritti datati in quel periodo (1992-94), quasi sempre film che erano segnalati nei corsi di Storia del Cinema, Istituzioni di Regia, Cinematografia documentaria e documentaristica. Oltre a questi film per così dire “da tesi di laurea”, vi sono altre produzioni legate al periodo considerato (usciti in sala tra il 1985 e il 1995) Ciò che emerge qui è una complessiva ricognizione su un periodo, sicuramente di transizione, di una completa svalutazione dell’arte cinematografica in funzione della moltitudine di arti visuali. Il cinema è stato sempre più ridotto ad esperienza individuale e domestica, a causa delle modificazioni tecnologiche e culturali, e per via dei nuovi supporti (in ordine di tempo VHS, DVD, Blu-ray e i file derivati Mp4) facili da riprodurre in casa; avendo già perso l’aura – già segnalata da Walter Benjamin- il cinema forse ha definitivamente cessato d’esser tale come mezzo di massa, perdendo così anche l’aura sociale.

Non confidiamo in un ritorno al passato che è un’operazione vana ed impossibile: avanziamo alcune critiche per questa deriva ed invitiamo a ripristinare l’opportunità che era insita nel cinema come mezzo di socializzazione.


<< … certo è che degli aspetti surreali del cinematografo,

delle possibilità cioè di intravvedere, individuare e forzare le porte conducenti la poesia, oltre quelli che possono essere i contemplati limiti della comune accezione di una metodologia umanisticamente ancora sensibile modellata su schemi razionali e positivi, subito s’accorsero coloro che per i primi ebbero a che fare con una macchina da presa agli inizi del secolo, del mezzo usato però almeno possedendo una certa e approssimata (non strettamente sperimentale) coscienza >>. Glauco Viazzi, Scritti sul Cinema, p.23


Ricognizioni. Scrivere sul cinema Scrivere vedendo il cinema. Per le arti visive si sta prospettando un’epoca di cambiamento, in cui le forme e i contenuti di queste trasformazioni sono, ancora, poco definite. Sicuramente importante è il processo di digitalizzazione (è, infatti, una “digital wave” questa che è già visibile), in cui mediante un processo di semplificazione della trasmissione e della riproduzione dei dati si può finalmente annullare, definitivamente, la distanza fra produzione e consumo. Tutto il futuro lavoro su un’opera sarà impiegato, piuttosto che sulla produzione, sulla sua totale diffusione. Modellare, auto produrre, manipolare, destrutturare l’opera d’arte nell’epoca della sua digitalizzazione comporterà una serie di impieghi nuovi e creativi delle tecnologie recentemente costituitesi in global net-work (dal 1990). Non potremmo non iniziare proprio dalle visioni più apocalittiche (semplicemente definibili come scomparse di certe forme e comparse di altre). Si tratta sempre di un’idea di cinema che rimanda agli schemi più insicuri espressi da una società: spesso il film raggiunge il suo obiettivo se ha dietro un lavoro già compiuto –come un’opera letteraria- che ha effetti differenti sia per la ricezione dello stesso contenuto su media differenti (cinema e letteratura), sia per quel che riguarda la riuscita o meno dell’opera cinematografica rispetto alla letteratura (ma qui entrano in campo valori estetici e culturali che complicano il nostro schema). Il campo successivo investe delle tematiche ancora più intriganti, per via della confusione esistente tra storie (intese come narrazioni, nel capitolo 2) e la Storia (disciplina che avendo un suo statuto scientifico spesso avanza delle riserve sulla capacità di “narrare gli eventi” di una società o di un personaggio storico, come si è fatto nel capitolo successivo). Successivamente un titolo “sul corpo” è espressione di un approccio disciplinare moderno nel campo del cinema degli anni ottanta e novanta: il pretesto è l’applicazione di una possibile disciplina che ha già dato buoni frutti nel campo delle arti moderne, la semiotica. Naturalmente nulla di solo teoria ma applicazione senza eccessive titubanze “culturologiche” su alcuni film visti e analizzati. Il resto dello scritto richiama la questione irrisolta del vedere/non vedere il film.


Metodologia. Una delle idee più interessanti della semiotica del testo (o dell’analisi dei testi visivi) è quello di diegesi: essa è legata alla narrazione diretta, attraverso i vari legami tra i personaggi, il “tempo” e l’ambientazione. Siccome la diegesi è un concetto di lontano origine (è stata introdotta da Aristotele, nella sua “Ars Poetica”) quindi riferita sempre alla narrazione o al racconto testuale, la sua applicazione ai contesti visivi è regolata da vari tipi o forme. Si parla infatti di narrazione extradiegetica se il racconto1 presenta una voce narrante al di fuori della storia raccontata; viceversa se la “voce” riferisce – è, quindi, espressione diretta- ai protagonisti il racconto diegetico (o intra-diegetico) può a sua volta assumere il connotato omo-diegetico (cioè la voce di chi narra la storia è anche il protagonista), etero-diegetico (la voce non è il protagonista, ma sta, dal punto di vista di un osservatore esterno, ad osservare ciò che accade descrivendolo) oppure peri-diegetico (pur essendo la voce che racconta non è personificata direttamente in un elemento della storia ma è presente, in tono minore) Per Christian Mertz tutta la storia del cinema è una combinazione delle variabili possibile del sintagma (“le grand syntagmatique”), cioè della narrazione che è dotata di senso (nel nostro caso, il cinema, l’immagine o l’insieme d’immagini dotate di senso). Nel caso delle immagini il sistema semiotico consente di verificare immediatamente l’indissolubile legame tra significato e significante. Bisogna specificare che una unità di significazione – come quella espressa attraverso le arti visive- può riferirsi sia a un valore di correlazione oggettivo-simbolica. In questo caso il soggetto-osservatore è portato esplicitamente alla correlazione diretta grazie a un’esperienza oggettivo-culturale: ad esempio associare “croce” (oggetto) a “sacro” (concetto). All’opposto una unità di significazione può essere espressa attraverso un valore di correlazione simbolico-oggettivo: un esempio “il buio” associato al sentimento di “paura”. Sempre Mertz aveva introdotto uno specifico metodo d’analisi dei film che teneva conto di più variabili: il testo/messaggio, il codice e l’organizzazione del testo fimico. Naturalmente nel caso specifico di questo lavoro, sia per il periodo che è stato redatto sia per la sua natura “puramente osservativa”, l’intero scritto copre soltanto l’aspetto del testo/messaggio filmico, e diversamente non poteva darsi.

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Per questa breve analisi limitiamo al minimo la differenza tra “Racconto” e “Narrazione”.


CAPITOLO I. Apocalissi future giĂ avvenute


METROPOLIS (GERMANIA DI WEIMAR, 1924) REGIA DI FRITZ LANG Dotato di una stupefacente scenografia, questo film visionario ha una incredibile molteplicità di interpretazioni per così dire immediate. Prevale e si riconosce una certa tematica, quella dei processi di alienazione di una civiltà meramente meccanica e d’altro lato il tema dell’Eden in terra – visione tipica dei neoromantici tedeschiottenuto grazie alla riconciliazione tra Capitale e lavoro: diverrà questo un “luogo comune”, dieci anni dopo l’uscita del film, una tematica cara a Josef Goebbels il demiurgo della propaganda nazista. Va aggiunto che la figura tecnocratica dello scienziato-stregone ha un aspetto semita – sembra proprio così osservando, ad es., una caricatura sulla rivista antisemita “il Martello” edita in quegli anni- e che come creatore della Babele-fabbrica e il maggior colpevole (anche più del “poi redento” capitalista-direttore del complesso industriale) della scomposizione e della divisione del lavoro del Popolo (volk) e, quindi, della modernizzazione senz’anima, altro tema caro al “romanticismo conservatore”. Siamo davanti a un caso clamoroso di apocalisse adveniens! Ora tutto questo movimento critico viene -per così dire – contrapposto al bisogno del sacro (le catacombe, le croci) e alla grande rivolta con le masse operaie in subbuglio, piene di simbolismi “comunisti”, con massicce dosi di luddismo nella distruzione dei luoghi di lavori; oppure all’ambiguo tema della donna ingannatrice –che incita alla distruzione- rispetto alla mite e ascetica – e rassegnata- donna che ama il figlio del Direttore del complesso industriale. Anche quest’ultimo è un personaggio di difficile collocazione: dai suoi agi di appartenente all’èlite sembra ripudiare tutto e mettersi a ricercare una redenzione proprio per via della donna intravvista, di cui intuisce una dedizione ai figli degli operai che scuote la sua coscienza di privilegiato. Il feroce stregone – ma pur sempre già istigato dal capitalista-direttore e padre del privilegiato – riesce a plasmare una “strega” sulle sembianze della “santa”, e così la storia si trasforma in tragedia e distruzione, fino alla morte nibelungica del cattivo e il trionfo della “vera religione” e la riconosciuta conciliazione tra l’elite e gli operai.


AKIRA (GIAPPONE, 1988-90) REGIA DI K. OTOMO Scenari post-atomici e ricostruzione metropolitane effettuate su modelli elettronici (microchip come grattacieli e C.P.U. come centri commerciali iperconnessi), uno spazio urbano computerizzato, videogamerizzato, tabelloni pubblicitari a schermo piatto e a cristalli liquidi … colore, colore e ancora colore, a coprire l’alienazione ultratecnologica. La NEOTOKIO, così si chiama la megalopoli, è una follia in cui vivono motociclisti folli, polizia folle e istituzioni governative (scienziati o militari) che utilizzano bombe o sofisticate tecnologie di controllo sociale per sedare una violenza congenita e continuamente rigenerata ad hoc. La storia si sviluppa attorno a uno di questi giovani teppisti, Tetsuo, che catturato viene usato come cavia in un esperimento scientifico: il programma Akira. Un omaggio indiretto all’Alex burgessiano-kubrickiano di “Clockwork Orange”. L’esperimento, in un primo momento sembrerebbe far parte di un tentativo di uniformare i comportamenti sociali. Ma non è così. A tutto ciò si oppone una sparuta organizzazione, dei partigiani in un mondo d’oppressori, che nonostante le violenti manifestazioni studentesche (incredibili le scene delle barricate e degli scontri con la polizia ultraviolenta) a cui partecipano anche i cospiratori, non sembra che l’organizzazione partigiana gode di consenso … comunque loro, i militanti, resistono alla ormai totale disumanizzazione della città. Lo scenario è complesso: la rivolta trova il suo modo d’essere nell’alienazione tecnologica che determina un ritorno al misticismo … anzi sembra che gli studenti in rivolta manifestano coerentemente una ideologia antitecnologica e antiautoritaria (come avviene nel cyberpunk ). Il tipo di vita condotta dai ribelli, sia ideologizzati che non, è simile: le bande di motociclisti competono violentemente tra loro, le droghe sono consumate come cocktail e degradati bar e zone selvagge, manifatture postindustriali, costituiscono i loro rifugi. A pochi metri ma ben separati da un’architettura segregazionista, vivono gli altri esseri umani, in asettici e pulitissimi megamarket congiunti con case uguali, mentre la classe dirigente vive in lussuosissime e inaccessibili dimore. L’ossessione video-pubblicitaria (alla “Blade Runner”, altro cult-movie citato) si manifesta con inviti al consumo e con immagini di vita normale -tranquille famiglie a passeggio, bambini con gelato, coppie che si baciano castamente … - , immagini di un passato che non esiste più! La storia si snoda sugli eventi che vedono Tetsuo protagonista. Infatti il giovane incontra una resistente, e viene coinvolto in sanguinosi scontri a fuoco. La lotta è senza esclusioni di colpi e le scene dello scontro con la polizia e l’esercito, con i combattimenti nelle fogne della città, sono straordinarie.


Intanto si sta completando la trasformazione del giovane teppista-cavia … la fanciulla spiega la natura dell’esperimento a cui è sottoposto: “Akira” consiste nel svegliare le enormi potenzialità insite nel corpo di un essere vivente pluricellulare. Il dialogo si fa molto serrato, e Tetsuo-Akira vuol rimanere un libero e non vuole partecipare alla resistenza, come vorrebbe la giovane resistente! La forza acquistata dal giovane si fa man mano più potente. Riesce a sconfiggere tre esseri simili a lui mandati dai padroni della città. La sua mente può distruggere qualsiasi cosa e il suo corpo subisce una trasformazione organica-elettronica. Il progetto Akira doveva creare il nuovo uomo, sintesi dell’organico ed inorganico, ma in realtà si sta producendo un nuovo mostro incontrollabile, sintesi di Hardware e Software. Assorbendo energia e senza alcuna possibilità di controllo, Akira genera il caos. Tutto conduce in una dimensione in cui le macerie della città e della natura riempiono il quadro … senza una benché minima speranza!


IL DOTTOR STRANAMORE, (USA, 1963) REGIA DI STANLEY KUBRICK Un gioiello kubrickiano fabbricato nel 1963, in un preciso periodo storico caratterizzato dalla paura della “bomba”, con la famosa crisi della Baia dei Porci (Cuba) e le sintomatiche rotture nelle geopolitica internazionale con la rivolta d’Ungheria. E’ un film che rivela la straordinaria weltanschauung del regista, ironica e paradossale nel definire i caratteri umani, nel recepire quell’incapacità dell’uomo di controllare gli aspetti assurdi e irrazionali delle strategie politiche messe in atto dalle èlite. Nonostante il doctor Stangelove sia un personaggio secondario nell’economia narrativa del film sono le sue parole che colpiscono ( e hanno generato quella popolare espressione di vedere negli scienziati o in altre personalità dei “dott. Stranamore”): tutta la sua espressione prossemica è un corollario della follia della tecnologia bellico-nucleare.Un genio multiforme, quello di Peter Sellers. Contra è significativa la figura del colonnello inglese, icona a sua volta della tragicità di coloro che non afferrano bene che cosa può succedere, nonostante ne sentisse il pericolo incombente. Il finale del film, costruito con quella successione di esplosioni nei test nucleari e con quella canzonetta è un antesignano di ogni patastorica idea sulla costruzione filmica. IL GABINETTO DEL DOTT. CALIGARI (GERMANIA, 1919) REGIA DI ROBERT WIENE. Alcune riflessioni: il cinema è la sovrapposizione di teatro e arti figurative: se prevale la prima spinta il contenuto del film si dimostra essenziale, mentre se prevale l’elemento pittorico si rafforza il contenuto formale dell’opera visiva. Eppure, il cinema è un’arte autonoma benché influenzabile dalle altre arti, ed è possibile che ne giovi l’intera opera, perché avviene una integrazione ( … se il futurismo è legato al concetto di energia-velocità cosa meglio del cinema?). Nel film visto era come assistere a un precipitato di arti: ma lo sguardo mi ha fatto vedere solo pittura, ed essenzialmente Edvard Munch. Ma come poter descrivere le incredibili scenografie senza ricordare le avanguardie espressioniste… Il racconto visivo si conchiude con una paradossale scomparsa: il dott. Caligari era un pazzo esistente o no? cioè creato dalla mente di chi raccontava le vicissitudini? I visi incredibilmente truccati, era il 1919 (la guerra-barbarie era visibile nel sangue rappreso per terra tedesca), girato in un’atmosfera lugubre e con pochi mezzi a disposizione, è il teatro a far da padrone e da cerimoniante … un capolavoro assoluto.


BLADE RUNNER (USA, 1982) REGIA DI RIDLEY SCOTT. Il futuro nel 1982? E’ Blade Runner! Si è già passati oltre la fantascienza sociale, si sono attraversati gli aneliti esistenzialistici di una “2001 Odissea nello Spazio” o di “Solaris” di Tarkovskyi e i sussurri neoumanistici di “My Enemy”. L’uomo futuribile è essenzialista. La dinamica messa in moto è la critica della teleologia della struttura dell’essere vivente così come lo conosciamo. Il film di Scott è una lebensphilosophie che va contro i meccanismi stereotipati dell’uomo-macchina e quindi, dell’universomacchina. Incredibili connotati urbanistici di alcune aree, continui smottamenti di senso e poi il più incredibile monologo mai tanto recitato e ripetuto ad nauseam (… ho visto navi incendiate al largo dei bastioni d’Orione … ), di un moderno tecno-Hamlet. SCANNERS (CANADA-USA, 1981) REGIA DI DAVID CRONENBERG Plus “IL DIAVOLO SOTTO LA PELLE” (in realtà EPIDEMIC, USA 1975). Psicologia ed elettronica fuse in un racconto visivo pieno di interessanti risultati e con scene ed effetti che lasciano il segno. Gli scanners sono esseri umani dotati di poteri E.S.P. (extra sensorial perception) capaci di esplorare le menti di uomini e persino di ucciderli. La scena magistrale: uno psicologo tenda di effettuare degli esperimenti su uno scanner e questi, come in un atto di difesa, gli fa scoppiare la testa, si!, proprio esplodere in mille brandelli. Il film è dotato di quel fascino antitecnologico e antiscientifico che fa scuola in questo decennio (si parlerà di presto di cyberpunk ), ma sono anche le visioni architettoniche e gli ambienti d’interni che rendono il film estremamente interessante. Il soggetto è del regista stesso, cosicché si ha che fare con un artista capace di utilizzare diverse tecniche narrative. Notevole è anche l’impostazione puramente psicologica dell’incubo: gli scanners sono stati prodotti in laboratorio da uno scienziato che appare inizialmente come un idealista, un benefattore dell’umanità. La sostanza del film sta proprio in quest’ambiguità: lo scienziato aveva sottoposto la moglie incinta a quest’esperimenti, iniettandole delle sostanze che aumentavano i poteri ESP. Fuggiti ad ogni controllo, ed ora sotto la tutela di loschi individui (sempre con l’ambiguità di intermediari del potere militareindustriale) gli scanners vogliono costruire un “mondo nuovo”… Epidemic, film realizzato precedentemente dal regista del cinema del tecno-corpo , presenta temi specifici sull’inaffidabilità degli esperimenti scientifici segreti: in una clinica vengono fatte avanguardistiche operazioni di trapianti cellulari dei tessuti


epidermico. I luoghi sono asettici, accoglienti. Gli esperimenti presentano caratteristiche inquietanti. Non è un film per i disinteressati alle questioni sopradette.

… a margine TERMINATOR/“TERMINATOR 2”: un robot amico di bush deve difendere un bambino, futuro comandante … c’è una specie di “pesce liquido” che vuole ucciderlo ecc. ecc. (chiedo venia ma non riesco a recensirlo, ma l’ho visto ve l’assicuro!) Qualcosa di più completo sul primo, regia di P. Verhoven, dovrebbe essere scritto, per via del fascino della sci-fi di altri tempi (ma non senza dimenticare l’apporto marveliano …). Cose scritte del genere vi sono già: invito alla loro ricerca e lettura.

… troppo poco per una recensione? Ma questo non è un magazine per affittare videocassette!


CAPITOLO II. Raccontare una storia semplice … è complicato!


TOTO’ LE HEROE (BELGIO, 1991) REGIA DI JACO VAN DARMEL Totò era un bambino molto curioso : quando suo padre usciva di casa, andando fuori la porta (per andare a lavorare, pensiamo noi), egli si chiedeva del perché il papa stesse per tutto quel tempo dietro la porta! Una famiglia borghese del Belgio anteguerra, una visione del mondo dall’altezza di ottanta centimetri, con relativo umorismo e sarcasmo sul mondo adulto: ecco come sintetizzare questo gustoso film. “Totò le heroe” è una ironica e sarcastica favola moderna, descritta da un individuo che non volle crescere mai, rimanere avvinghiato alla madre e guardare tutto con lo stesso stupore infantile. Ma è anche una piccola dimostrazione di un’infelicità: quella di essere quello che si è, per caso o per volontà. Tutto appare regolato da una forza del destino che ti prende per la gola o ti accarezza i capelli, che vuol farti del bene o del male , indifferentemente. << Ci siamo scambiati nella culla, durante un incendio … tuo padre è mio padre e mio padre è tuo padre!>>: questa è la terribile verità che il suo amico di otto anni gli confessa (in una scena veramente comica!). Da questa verità assiomatica segue tutta la visione di una vita, oramai adulta, che si presenta sfigurata e non realizzata (o irrealizzabile). Tutti i fallimenti della propria esistenza (dal lavoro ai sentimenti alle amicizie ) sono spiegati come conseguenze di quel nefasto sbaglio: perché non doveva andare così! Come rimediare alla infelicità del non essere? per Totò la soluzione è quella di uccidere colui che si è impossessato della propria vera identità. Ecco lo scopo della propria vita. Ma c’è una sorpresa, che dimostra il talento di un regista agli esordi, ovvero il suo antagonista-sostituto gli confessa, a distanza di anni, di averlo invidiato per aver trascorso una vita più felice della sua! Il povero Totò, così in crisi, deve fare un’altra scelta: più che uccidere il suo sostituto perché non sostituirsi all’ucciso? ma la beffa va avanti!


MY OWN PRIVATE IDAHO (U.S.A.,1991), REGIA DI GUS VAN SANT In questo film sono presenti due attori di ottima caratura (River Phoenix e Keanu Reeves), separati poi dal tragico destino di uno dei due: infatti River Phoenix morì pochi anni dopo, giovanissimo. Italianizzato in “Belli e Dannati” (un titolo da romanzo minimalista), il film ha avuto il compito di portare sotto gli occhi di tutti un cineasta che tanto verrà apprezzato in Europa. Protagonisti sono un variegato gruppo di personaggi emarginati, ma la storia man mano si concentra su due figure precise: Keanu Reeves, figlio del sindaco della città (e quindi giovane rampollo dell’ “upper-class”) e il giovane sbandato e proletario River Phoenix . Partendo da esperienze comuni, cioè prostituendosi con facoltosi uomini, assorbendo droghe di ogni genere e iniziando lunghi viaggi on the road, i due amici si ritrovano in un punto in cui sono impegnati in un scelta di vita definitiva: o derelitti fino alla fine o integrarsi, ognuno nella classe sociale di appartenenza. Naturalmente per il giovane rampollo tutto è più semplice e in una sorta di riedizione del figliol prodigo egli ritorna al suo status, per ereditare il suo posto in società - un consigliere del padre gli chiese se si fosse mai interessato di politica, prefigurando così una continuità di padre in figlio - e questo nonostante le forti esperienze da diseredato. A differenza di “Drugstore Cowboy”, altro film di Van Sant, l’autore in questo lavoro accentua il grado di sperimentazione filmica; le stupende immagini dei paesaggi, le nuvole accelerate e i continui colori cangianti, fanno da sfondo a dialoghi forti e spiazzanti, di natura surreale (nel senso che sono calati e conficcati dentro semplici avvenimenti).Contrapposto a tutto ciò gli accadimenti vengono banalizzati (la ricerca della madre da parte del giovane Mike -River Phoenix-; le storie di sesso a pagamento). Mike cerca le sue origini e trova storie di sofferenze, follie e privazioni. Memorabili sono le discussioni fra i protagonisti, raffigurati come copertine di riviste omoerotiche. Al funerale del padre del giovane rampollo viene opposto un teatro dei diseredati che gridano e stonano, ma che non ricevono nessuna attenzione del nuovo padrone della città. L’unico indifferente rimane Mike.


CON LE MIGLIORI INTENZIONI (SVEZIA, 1992) REGIA DI BILLE AUGUST, SCRITTO DA INGMAR BERGMAN Un noiosissimo primo tempo, quasi a voler confermare la vacuità espressiva di certa cinematografia degna d’ironia e sarcasmo. Ambientato nella Svezia di inizio secolo XX una famiglia benestante e una viziatissima figlia che si deve sposare… ecco gli ingredienti! Il futuro sposo è un uomo povero ed esistenzialista ( nel senso che non si capisce perché è così buono, ed ecco comparire questo termine che è associato al tormento ne fa un tutt’uno!)… ah, dimenticavo che queste due figure sono i genitori del grande Ingmar. RACCONTO D’INVERNO (FRANCIA, 1992) REGIA DI ERIC ROHMER Non so se c’è da filosofeggiare sulla volontà o sul fato ma questo film mi ha dato, fin dall’inizio, una sensazione di … presa per il culo! L’unica chance che davo all’autore era che non volevo farmi un pregiudizio … … meno tragico di una soap opera … Una storia d’amore vissuta intensamente durante una vacanza … Lei rimane, nonostante i tempi lenti dell’amour, incinta e le nasce una bella bambina; lui le aveva lasciato un indirizzo sbagliato, quindi diventa un figura in dissolvenza ( è un padredesiderio, che un giorno si ripresenterà … ed io mi chiedevo, no, non può essere così banale, non riapparirà … ). Intanto passano gli anni la bambina cresce e lei lavora presso un parrucchiere, il suo compagno. Tra ritorni, trasferimenti e ripensamenti, la donna incontra causalmente quell’uomo, padre della sua bambina, in un autobus e … esco di fuori dal cinema : c’è una aria tiepida e ho un po’ di fame … ROSENCRATZ E GUILDERSTERN SONO MORTI (LEONE D’ORO,VENEZIA 1990) REGIA DI TOM STOPPARD Un bel film che fonde teatro, letteratura e arti visive, un continuum d’invenzioni e creazioni cinematografiche. La storia di questi due personaggi minori dell’opera scespiriana – che tra l’altro si pongono la domanda: << … perché siamo “minori”? >> è sviluppata lungo un percorso trasbordante di ironia e humour inglese. La Storia, con la “s” maiuscola, è solo un espediente per una finzione letteraria più ampia (la mela di Newton che cade dall’albero o il volo degli aerei – di carta! - dei fratelli Wright, sono gli esempi più validi). Si configura così un viaggio, pur segnato da molte “svolte ontologiche”, che non porta a nessuna conclusione, perché tale ricerca mai portata a termine risulta impossibile nel svelare il paradosso realtà/finzione. Molto della riuscita di quest’opera è dovuta sicuramente alla sua impronta teatrale: le


scenografie e la struttura letteraria risente dell’apporto di una scienza teatrale notevole. EUROPA (D., SV, DAN.- 1991) REGIA DI LARS VON TRIER Pretenzioso quanto originale per alcune scene, il film si racchiude dentro i limiti di un’estetica auto celebrativa, incentivando un’ambiguità di fondo che si presenta ogni qualvolta si fa un film con puri riferimenti alla Storia. È questo lavoro di von Trier una “storia filmica” che perde sicuramente molto nel tentativo di connettere vari drammi, guadagnando comunque la dove gli spunti sono belli esteticamente ( ad esempio nella scena della morte del magnate delle ferrovie che prima si suicida colpendosi col rasoi e successivamente appare in un bagno di sangue –letterale-, in cui l’acqua rossa fa da contrasto con tutto l’ambiente bianco-nero). THE COMMITMENTS (G.B., 1991) DI ALAN PARKER Film brillante, riuscito bene nel descrivere le situazioni più disparate, assurde e reali, di un gruppo di musica soul alle prime sue uscite per i concerti live. Una realistica carrellata sui borghi post-proletari, di una Dublino selvaggiamente neoliberista, violentata da quest’ideologia, ma sempre una città dotata di sue proprie risorse che si concretizzano in nuovi spazi per la socialità e le passioni collettive, spazi che si sono “aperti” nell’intercapedine della devastazione post-thatcheriana. Al suono del soul non era vero che si rischiava di essere fuori-moda, perché con la fede soul consente miracoli, anche se per poco tempo. Questo film vuol essere un racconto di un’utopia: quella di far musica dal vivo, pur conservando uno spirito che – forse soltanto moralmente- si prende burla della musica-per-il-successo, constatando che il business sottrae solidarietà o spontaneità al vivere comune della propria passione musicale. È in questi termini che viene rafforzato un fantomatico principio: “esiste una possibilità per tutti nonostante la vostra provenienza”. Parker è un regista che fa film musicali non per pura la “celebrazione” della star di turno, ci mette sempre un sottofondo fatto di musica delle aspirazioni, che esplodono, prima o poi esplodono!


CAPITOLO III. La Storia … non è finita


EUROPA, EUROPA (GERMANIA-POLONIA, 1991) REGIA DI AGNEVSKA HOLLAND Avventuroso; questo bisogna proprio dirlo!. Tratto dal romanzo-autobiografia di Solomon Perel, il film compendia ogni discussione sul problema della “verità o finzione nella Storia”. Un giovane ebreo, durante la presa del potere dei nazionalsocialisti di Hitler, si trasferisce in Polonia. Durante la prima fase della guerra si trova a vivere nella zona occupata dai sovietici (dopo il famigerato patto, fra nazisti e sovietici, di spartizione della Polonia).Il ragazzo venne inquadrato nelle formazioni della “Gioventù Comunista”, dove fu indottrinato e partecipò alle continue dimostrazioni del culto assoluto del Capo: in quel momento l’esaltazione del “padre della Patria” sfiorarono il tragicomico quando i ragazzi assistettero alla “pioggia di caramelle” (voluta da Stalin, naturalmente). Fu premiato come “buon comunista”, preludio all’inquadramento nell’Armata Rossa, e la sua sorte sarebbe stata sicuramente di diventare un’ufficiale dell’esercito russo. Il destino beffardo gli cambiò l’esistenza: con l’inizio della “Operazione Barbarossa” ,ovvero l’invasione dell’Unione Sovietica da parte della Wehrmacht. L’esercito tedesco conquistò in un lampo il territorio sovietizzato. Catturato, il ragazzo fu svelto nel utilizzare la lingua tedesca per salvare la sua vita, spiegando che egli era un orfano ariano (e si prestava benissimo essendo biondo e con gli occhi chiari) finito in mano ai russi. Allevato nell’esercito hitleriano, riesce a nascondere la sua identità ebraica (durante una visita medica, con un sotterfugio, riesce a evitare di essere scoperto per via della circoncisione). Un ufficiale (gay) non nasconde le sue “amorevoli” attenzioni per il giovane , aiutandolo nel difficile compito di essere un “patriota tedesco”: ma quando scopre la sua vera identità, il militare … confessa di averne abbastanza della guerra, degli ebrei, di Hitler! L’ufficiale venne ucciso durante uno scontro con i sovietici. portandosi così nella tomba il suo segreto. Nella battaglia che costò la vita al suo amico ufficiale c’era anche lui, che cercò di mettersi in contatto nella trincea, con i russi, e parlando in russo spiegò di essere un Komsomol’, un giovane comunista… e i soldati increduli lo accolsero ad armi abbassate … ma l’arrivo di un contingente tedesco rovesciò le sorti della battaglia, i soldati russi furono trucidati e i tedeschi… abbracciarono l’eroe che aveva catturato soldati sovietici! A questo punto del film la passione comincia a salire fortemente mentre la ragione pone i suoi dubbi … (comunque è straordinaria l’idea di far comparire alcune immagini sarcastico-oniriche, in cui si vedono Stalin e Hitler che danzano). Ritornato fra i kameraten il ragazzo venne iscritto in un scuola della “Gioventù Hitleriana”, dove segue lezioni di un fanatico professore antisemita (la cui figura è tracciata in modo sarcastico e le sue spiegazioni “scientifiche” sono associate a atteggiamenti schizoidi). In questa scuola conosce una bella e fanatica hitleriana… di


cui si innamora… che esplicitamente ricambia e gli chiede di avere un figlio ( da dare alla patria, naturilich)… solo che lui è circonciso e non può… soffrendoci molto! Comunque il film, nonostante l’ironia, a questo punto cambia registro: la tragicità degli eventi viene spostato nel “non visto”, nel “non detto”. Le scene del ghetto degli ebrei, che lui intravedeva (non potendoci entrare perché “ariano”) ogni volta che passava col tram, riportano la drammaticità e il pathos di quegli eventi che distrussero la vita di centinaia di migliaia di uomini e donne. Riconquistata la Polonia dall’Armata Rossa, il giovane è catturato con i soldati tedeschi, cerca di svelare la sua identità di ebreo… ma un ufficiale russo non lo crede, sbattendogli in faccia fotografie dei lager, e da una pistola ad un deportato che passava da lì in quel frangente. punta la pistola alla testa.. ma il fratello redivivo, anche lui sopravvissuto al lager lo chiama… URANUS (FRANCIA,1992) REGIA DI CLAUDE BERRI La storia è una classica trovata dei nostri anni: un muscoloso barista, un po’ anarcoide, magnificamente interpretato da Gerard Depardieau, lotta contro i soprusi, che avvengono nel suo umile e francesissimo locale. I guai sono prodotti dai fascisti di Vichy (il regime collaborazionista del Nuovo Ordine Europeo imposto dalla Germania hitleriana) ma anche dai liberatori, in primis i comunisti del Maquis, con cui spesso fa a botte a causa del carattere fieramente indipendente del energumeno proprietario dell’ “Uranus” La nostra simpatia va comunque al nostro messieur Berri (regista , classe 1934, attore, produttore e figura di spicco del cinema francese) che è stato capace di raccontare una storia non banalizzata da mode revisioniste o melensi revival sentimental-patriottiche. Straordinari gli altri attori, fra cui Philippe Noiret e Michel Blanc. IL SIGNORE DELLE MOSCHE (Lord of Flies, GB 1963) REGIA DI PETER BROOK Straordinaria interpretazione cinematografica dell’opera distopica di W. Golding, scrittore inglese considerato un erede della tradizione orwelliana. Alcuni allievi di un prestigioso college inglese post-vittoriano si trovano catapultati in una isola selvaggia, dopo un naufragio: sono bambini, ma subito mettono in moto un perverso meccanismo di distruzione, ferocia e omicidî fondati su una libera interpretazione di fantasie adolescenti (da romanzi di avventure) e rigide regole sociali ben accettate dai loro padri, influenti uomini d’affari, professionisti e aristocratici inglesi. Un “teatro della crudeltà” su grande schermo.


OKTJABR (URSS, 1929) REGIA DI SERGHEY EJZENSTEIN A distanza di tanti anni è un film di incredibile vivacità artistica non dissipata dal tempo passato. Sia per via dell’utilizzo d’immagini sempre specifiche ed accattivanti, per il mix perfetto di realismo ed espressionismo, sia per certi momenti sublimi come le riprese vicino al ponte o le immagini dei cosacchi (come non ricordare Tarass Bul’ba di Gogol’). ROMA-PARIS-BARCELONA (film italiano) (questa non è una recensione) Ancora non si riesce a tentare (dico tentare) di “dire” qualcosa sui famigerati anni settanta, forse tragici e per questo motivo rimossi. Non siamo, in questi tempi, sotto l’egida di una cultura neocapitalista fatta di goduria e spensieratezza? C’è un libro che stavo leggendo, L’orda d’oro, che mi trascina dentro quegli anni, anni in cui le opere e le arti sono state sepolti sotto una coltre di ghiaccio. E questo grazie all’enorme frigorifero-contenitore che sono stati gli anni ottanta.

IL PORTABORSE (ITALIA, 1993) REGIA DI DANIELE LUCCHETTI La politica negli anni ’80, il politico negli anni ’80, come descrivere un processo di modernizzazione, inteso come efficientismo, rampantismo e (parabola finale) di un potere fine a se stesso, sempre rinnovato nelle forme fino ad inglobare in se stesso pezzi di “critica” e pseudo-progressismo. RIFF RAFF (Gran Bretagna, 1991) REGIA DI KEN LOACH La scoperta di questo talentuoso autore. Un film che ricompone un’intelligentissima modalità di far cinema: dal realismo forte alla sit-com (situation’s comedy), dall’ironia cruda al cinema militante o di “movimento politico”. La storia è tutta ruotante a una metropoli che mostra il suo lato più selvaggio (inteso, questo lato, non in un senso più o meno positivo, ma al contrario). Dentro questa città vivono persone che costituiscono “relazioni” umane”, tante aborrite dalla civiltà individualista, e anche


attiva “solidarietà di classe”, altrettanto vilipendiata. I dialoghi sono forti, Pasolini ne sarebbe entusiasta! Tutto il film riprende i luoghi di lavoro – cantieri edili – ove pullula un proletariato non garantito o un sottoproletariato alle prese con fatiscenti regole, alle disumane condizioni del lavoro non tutelato e sottopagato. E se qualcuno non sta alle “regole” subisce le violenze di chi tutela quell’ordine: ma qualcuno non ci sta, e dopo la vicenda diventa estremamente tesa. Con una morte bianca il tono assunto dal film diventa drammatico: niente ripara quel torto subito. Solo un incendio, un fuoco purificatore che distrugge il luogo dello sfruttamento, innalza il suo moto funebre …


CAPITOLO IV. Il corpo dei corpi. Cinema e l’era semiotica del corpo


TOKIO DECADENCE (titolo orig.:Tokio decadence topaz, GIAPPONE 1992) REGIA DI RYU MURAKAMI Giappone, era contemporanea. Una donna-ragazzina vive prostituendosi a facoltosi uomini d’affari . Perversi, sadici, masochisti, si ritrovano nella decadente Tokio alla ricerca di morbosi amplessi, e si contorcono o vogliono essere stuprati perché nella estensione ed esasperazione del gesto trovano i loro primordiali bisogni. Il Film arricchito di cemento e morte, allucinato da luci artificiali, semplifica o meglio rende informe la vita nella civiltà dell’annientamento. Non è possibile una critica che sia contemporaneamente etica ed estetica. IL SILENZIO DEGLI INNOCENTI (USA, 1992) REGIA DI JONATHAN DEMME La “provincia americana” continua ad essere soggetto e argomento preferito dall’industria cinematografica americana, con i suoi fenomeni sociali poco rilevanti e, all’opposto, il circo Barnum degli individui venuti da perversi mondi e universi mentali deflagrati. Le scene viste, con i trucchi eccedenti dell’horror movie, unite al basso livello dei testi (ma nonostante ciò il target è quello dello spettatore colto), ne fanno un film ambiguo: bello da vedere, ma già visto. RISCHIOSE ABITUDINI (GB, 1992) REGIA DI STEPHAN FREARS Personaggi outlaw ma tentati dal Dio denaro, finché tutto si riduce a una tragedia: la morte accidentale di uno dei protagonisti. I vestiti, il sesso, i mucchi selvaggi dei dollari e le auto cadillac, mischiati in un contesto degradato e, successivamente upperclass formano l’ambiente del Film. Una passione negativa permea il tutto: fottere l’altro (meglio se ricco). “THE BELLY OF ARCHITECT” (Il ventre dell’Architetto, Canada- GB) REGIA DI PETER GREENAWAY Questo geniale intreccio di architettura, psicologia e politica rivela –finalmente!- il genio artistico di Greenaway. La Roma vista in questo film è un posto quasi immaginario, dovuto a un eccesso di sovraesposizione, di stratificazione di architetture, edifici, marmi, balaustre, colonne, porticati, ecc. Tutto è filtrato da una bruttura e da un caos tecnico che contraddistingue la Roma reale vista un tempo non


recente. Al progetto di restaurare il Foro Italico mussoliniano, l’architetto americano risponde che è un “luna park fascista!”. Resta di straordinario la capacità di presentare l’architetto Boullée come un “maudit”, un maledetto tutto preso dalle sue folli visioni: era tutt’altro! Infatti: << I teorici come M.A. Laugier, il Lodoli e il Milizia e gli architetti d’avanguardia come

il Boullèe, il Ledoux e l’Antolini espressero l’istanza di un rinnovamento totale dell’architettura in senso razionalista e funzionalistico >> (Bertelli, G. e A. Briganti, Storia dell’Arte italiana, unita 19 pag. 21). EPIDEMIC (Danimarca, 1987) di Lars von Trier ELEMENT OF CRIME (1984) Fascinazione, sperimentalismo: film largamente estetico ed esteticamente troppo allargato! Epidemic è uno stupefacente: c’è un mescolarsi di cose, del biodegradabile, del tagliato di sostanze che, a volte, appariva come drama, horror, b-movies e videoclip di musica minimalista (la musica del film, debbo dire, era nella norma). Comunque la ripetitività di elementi filmici come acqua, sangue, corpi, canti liturgici. Semplice la trama (sic!): due autori debbono preparare una sceneggiatura per un film perché quella già scritta era conservata su un floppy disk … ma era scomparsa. C’è un racconto di un viaggio in Germania dove conoscono un uomo che avendo perso la madre (?) descrive ai due sceneggiatori la sanguinosa storia dentro l’ospedale ove era stata ricoverata … il finale, nello spirito di questi scritti, non viene rivelato.

SOCIETY-THE HORROR (USA, 1989) REGIA DI BRIAN YUZNA “Society” è un film che mostra la possibilità di avere buone idee su vecchi argomenti. Il giovane regista rende affascinante la solita storia della normalità travestita da incubo. In questo caso prevale l’aspetto sarcastico: la fagocitosi degli uomini diventa così una metafora intelligente, dopo l’invenzione dell’ottocentesco vampiro aristocratico che succhia il sangue ecco qui il ricco ambiente dell’up-class che consuma pasti umani …


CAPITOLO V. La storia negata


L’OROLOGIAIO (THE ARTISAN) REGIA KLAUS M. BRANDAUER. La storia qui raccontata è quella dell’attentatore (che fallì il suo compito) di Adolf Hitler, un bavarese che visse la maggior parte della sua vita nel pensiero di dover eliminare fisicamente il distruttore, il moloch del popolo tedesco, il caporale austriaco che tanto lutto avrebbe portato pochi anni dopo (i fatti narrati risalgono al l 1939, con la guerra appena iniziata). Una rappresentazione realistica – che risente del grande cinema tedesco contemporaneo – che però perde un po’ di vigore per alcuni indugi, a cui solo la grande padronanza dell’arte cinematografica di Brandauer rende superabile più di un momento patetico. Comunque la psicologia dell’uomo che -lo diciamo con afflato retorico- poteva cambiare le sorti dell’umanità, veniva risolta nel film superbamente. Nei titoli di coda è scritto che in Germania nessuna piazza o via ricorda questa figura dimenticata del recente passato tedesco. AT PLAY IN THE FIELD OF LORD (TRAD. ITA. Giocando nel campo del Signore). REGIA DI HECTOR BABENCO. Con Tom Waits, Tom Berenger, D. Hannah e K. Bates. Nel momento in cui sembra poco interessante la tematica ecologica presso il cinema, ecco arrivare una versione political correct sugli indios, con un pessimismo radicale che non ha paragoni (e d’altronde cosa pensare della tragedia degli indios!). Un film lungo, che si snoda su un variegato mondo di personaggi, dal ruolo civile ben definito, ognuno in preda alla propria coscienza infelice. C’è il pellerossa-bianco, alla ricerca della sua identità ibrida; un alcolizzato, che si troverà con suo aereo senza benzina, ma pronto a spiegare il suo essere cittadino del mondo perché ebreo; una famigli di predicatori evangelici alle prese con i mille problemi della cristianizzazione degli indios, e infine, un prete cattolico, esperienza e pessimismo gesuitico, che prova a resistere in un posto simile ma che preferirebbe lasciare ai suoi abitanti. La tragedia si mostra nella sua drammaticità quando il responsabile militare dell’area chiede al pilota dell’aereo di sganciare qualche bomba sui villaggi indios per disperderli, dato che sono attestati nella foresta e attaccano gli uomini bianchi. In realtà il vero movente era dovuto al fatto che l’oro era stato trovato nei pressi del fiume, e per evitare che i cercatori bianchi facessero stragi inconsulte, era stato prospettato un intervento più “razionale”.Il bianco meticcio pellerossa (che invenzione!) ha una crisi quando vede un indios sparare una freccia contro l’aereo: decide di infischiarsene di tutto e di tutti e ruba l’aereo e si catapulta nella zona proibita abitata dai “selvaggi”.


Quest’ultimi lo accolgono come un messaggero degli dei, Kishu, una divinità figlio del dio del tuono. Intanto i predicatori protestanti tornano alla loro missione e la trovano semidistrutta e abbandonata (l’ultimo dei predicatori era stato ucciso dall’attacco della tribù alle postazioni dei bianchi). Babenco descrive i bianchi in modo realistico e senza finzioni: mostri egoistici in cui ognuno con la propria motivazione, sia religiosa o sia per la ricchezza possibile dalla vendita dell’oro, cerca di distruggere la vita di quelle tribù. La fine del film è incentrata sulla inesorabile conseguenza del dominio dei popoli civili su quelli allo “stato naturale”: un semplice raffreddore, trasmesso da qualcuno dei nuovi arrivati, decima le ultime tribù. Allo stato attuale della nostra società e della conoscenza dei popoli-nativi ben vengano i film come questi di Hector Babenco. “DANCES WITH THE WOLVES” (TRAD. ITA BALLA COI LUPI), REGIA DI /CON KEVIN COSTNER Come chiamarlo? Nascita e morte del pentitismo Americano, un pentitismo fatto di rifiuto del razzismo, stragismo e sterminio del popolo “American’s native”, che emerge periodicamente dal ripensamento della propria storia ( ma che spesso viene inglobato dentro un contenitore altrettanto inquietante della “grande patria”, sempre un passo dietro rispetto all’antica categoria “imperiale”). Questo rifiuto non è la ricerca e la riappropriazione di culture (da parte di una nazione cosciente della diversità, fatta in primis dai soggetti stessi a lungo tenuti in disparte), ma determinismo e accettazione storica del processo ( e sua maggioritaria giustificazione) così come è stato. La Storia non è volere degli uomini ma provvidenza, sistema calato dall’alto, deus ex machina, da forze sovraumane, come s’insegnano tuttora alcune sette religiose presenti nella moderna babilonia). C’è pochissimo di quella cultura, manca il lascito umano di quei popoli, nonostante la grande proliferazione di studi compiuti nell’ultimo decennio da parte di numerose realtà intellettuali americane. C’è pochissimo del perché ci furono lotte cruenti contro lo sterminazionismo operato dai discendenti degli europei. Il film risente totalmente delle finalità holliwoodiane: il buono si sa sempre contraddistinguere dal “cattivo”. Si potrebbe obiettare: in questo caso il “cattivo” è il bianco, quindi… ma si sa che il mercato è esigente, ci deve essere ogni tanto un cambiamento se no il prodotto non si vende …


Come si evince questa è una recensione strettamente politico-culturale. Certo che le condizioni della società si rispecchiano sempre nella produzione cinematografica, e le cose cambiano velocemente che tutto, anche le recensioni cinematografiche ne risentono.


Appendice n.1 Vedere i classici del Canone Occidentale

<< … si rimprovera al cinema, come a Socrate, di corrompere la gioventù, lo si mette insieme al dancing … ma il cinema si rivolge a tutti … sarebbe soddisfatto quel ministro che diceva guardando l’orologio: “ a quest’ora tutti gli studenti fanno lo stesso compito di francese”. Alle dieci di sera a Saint-Denise, a Barbes, sui boulevards, a Marivaux, a Gaumont, uomini differenti, di classe differenti, seduti nella sala buia come nella navata d’una cattedrale, tesi verso lo schermo, sono uniti dalla stessa angoscia o dalla stessa gioia, perché nello stesso attimo hanno visto sullo schermo bianco la faccia folle di André Nox o il sorriso di Charlot. Il popolo s’è dato senza riserve. Le persone istruite fanno storie >> (da Sartre, Annie Cohen Solal)

IL SETTIMO SIGILLO di Ingmar Bergman. Miti/storie medievali in questo poema racconto visivo. Un viaggio che si compie con la Morte personificata (poi venne la parodia di questo tema nella versione dei Monty Pyton nel celebre episodio de’ “IL SENSO DELLA VITA”) e con un finale compiuto in una partita a scacchi tra il protagonista cavaliere e la Grande sterminatrice (finale, au contraire nell’illogica versione beckettiana di END GAME). Una terribile traduzione italiana: ora non so chi ha curato questo capolavoro, penso che nonostante non conosco lo svedese sia stata oggettivamente una terribile traduzione perché non era congrua. Altri film di Bergman erano più corposi e molto meno recitativi; pura deduzione, quindi, dal confronto di quest’ultimi con “Il settimo sigillo”. I rapporti tra mito e storia (o l’immaginario storico) sono esemplari: altri hanno scritto sull’estetica, o sulla “peste invisibile” del settimo sigillo o, ancora, sul senso agnostico dello scudiero rispetto al misticismo del cavaliere. Limito lo sguardo alla figura di Antonio il cavaliere, del prete-ladro, che aveva influenzato la scelta di Antonio e sul primo incontro con il morto di peste: un percorso tra la perduta gente. L’ATALANTE di Jean Vigo (Francia, 1936 restaurato nel 1990)


Con questo film incanto, dotato di un fascino poetico visivo ineguagliato, descrivendo un lungo viaggio sul battello “Atalante” l’autore ci conduce in luoghi francesi ove è stato possibile ripercorre i classici dell’esistenza umana. Un tema, questo del viaggio sulle acque, tanto caro alla letteratura e alla poesia, forse per l’accostamento sensibile alla metafora della vita. E sono, questi classici, la voglia di vivere, di amare (amour fu, prendendo a prestito da Andrè Breton), la sete di conoscenza e la selva dei vizi. Trasposti su un piano ideale, costituito da figure come il giovane marinaio, dalla coppia dei due amanti, dal vecchio marinaio, gli eventi seguono le vicissitudini segnate dagli intrecci di relazioni, comprensioni e incomprensioni tra loro e che il viaggio fa accomunare a tutti i protagonisti. Figure losche di borsaioli e ladri, ammaliatrici, giovani clown, venditori ambulanti, figure patetiche e poetiche, rendono il film una continua carrellata di elementi d’una antropologia visuale, una piena e dispiegata rappresentazione dell’amour fu ( l’acqua, le facce, i movimenti giocano imprevedibilmente con la macchina da presa). Ed è questa sospensione, questa geografia storica indefinita, che completa il quadro visivo e musicale, rendendolo capolavoro d’arte e mestiere. LA PASSION DE JEANNE D’ARC (DANIMARCA-FRANCIA,1928) REGIA DI CARL TH. DREYER La bellissima apoteosi finale della “Passion” serve a giustificare ben oltre le titubanze l’appellativo di “capolavoro” per questo muto del cinema espressionista francese – che forse non è mai esistito, dato che Dreyer era danese – e a segnare con più sottolineature la data del 1927 (data della lavorazione al film) come tappa fondamentale del cinema europeo. La straordinaria sequenza del rogo della “martire”, con prima l’insuperato espressionismo dell’interrogatorio, assurge ai vertici del cinema. Il film ha il pregio di aver ricollocato nella giusta prospettiva iconica la grande pittura di Goya, del ciclo della “pictura negra”… QUERELLE DE BREST (GERMANIA, 1982) REGIA DI R.M. FASSBINDER Dall’omonimo romanzo di Jean Genet Ambienti teatrali, colori saturi, forti, artificiali, dialoghi genetiani “puri”, come poter dire stupefacenti e ad alta intensità letteraria, personaggi maudit et omosexuelle, sulla stregua di una letteratura cruda ma poetica ( è impossibile, vedendo il film, non riferirsi alla letteratura!), il Querelle di Fassbinder è il culmine dell’espressione artistica che ancora oggi (anni novanta) trova imitazioni, spunti e ricerche nel cinema e nel teatro. Il racconto si compone in una successione di quadri in ambienti in cui i personaggi si muovono come in uno stato di trance continuo. Basato su scene


intervallate da citazioni dall’opera di Genet il film non vuole nascondere la sua volontà di ricerca estetica e cinematografica nuova, una ricreazione di una comunicazione originale ove la testualità poetica diventa l’unica forma di interazione linguistica.

Appendice n.2 Intermezzo: Teatro “Mistero Buffo” di Dario Fo, Teatro “Eleonora Duse” di Bologna. Il sorriso e il riso che trasformano la faccia in un’altra faccia. Ho ascoltato e visto come il giullare possa ancora intercedere fra la realtà e la sua ironica interpretazione, senza trascolorare, mentre corre sul filo del banale, del già ascoltato, una sensazione di vergogna politica per quel che sta succedendo. Discorrendo di Cielo D’Alcamo, Shakespeare, di corti medievali e Federico svevo si arriva ai vangeli apocrifi, ore stupendamente perse dentro queste affabulazioni … Nel “mistero buffo” si ripetono alcune cose che hanno perso la magia dei tempi, è un umorismo ora populista ora pop, previa escursione sugli ameriKKKani megalomani …

Appendice n.3 Intorno alla musica classica e la sua connessione con i cartoon Il “Bolero” di Maurice Ravel era associato a una specie di genesi biblica, in cui la nascita della vita, secondi i canoni moderni della conoscenza scientifica: un inizio essenziale, vicino al silenzio come nell’incipit del brano (musica al limite dell’udibilità e con un crescendo tonico). La vita inizia dalle sue forme elementari, ma già composita poco dopo e che si svolge in un pluralità di direzioni e d’interferenze: un punto genera una linea, poi la figura e ancora la forma fino al compimento della struttura (la filogenesi del vivente). Tutto si muove a ritmo e il suono sembra generare l’intera filogenesi vivente, compaiono piante animali preistorici, figure simildinosauri. Infine appare l’uomo che dentro un guscio osservava le stelle della costellazione di Cassiopea…! (cartoon o film d’animazione di Bruno Bozzetto)


Appendice n.4 Incontro con il regista Spike Lee (Cinema Lumiere, Bologna) L’occasione era l’uscita del suo “Malcolm X”. Che ne sarà di Malcolm X? Era la domanda che mi chiedevo prima di quest’incontro. Avevo sfiducia in questo regista, i film che avevo visto avevano suscitato contrastanti sentimenti: scrivevo “pessimo” per il film come “Mo’ better blues” (1990) e, invece, “più interessanti” gli altri due “Jungle fever” e “School day”. Ma qui ha elogiato la black new wave e incoraggiato, esortato le autrici afro-americane, quindi non potevo non riconoscere in lui un spirito libero, nonostante certe cadute di stile. Malcolm X fu veramente antisemita? Spike Lee: << Fece delle dichiarazioni antisemite. Non credo che odiasse gli ebrei. Certo si riferiva ad una realtà esistente ai suoi tempi, quando al maggior parte dei negozi e del commercio era in mano alla comunità ebraica. E lui continuava a dire “perché tutta questa gente che non è nera si infiltra nella nostra comunità, fa denaro e poi se ne va?”. Era convinto che i neri dovessero cominciare a fare business e che così sarebbero diventati più autonomi. E’ un dato di fatto che quasi tutti i negozi di Harlem, Watts e della Chicago nera erano ebrei >>


CAPITOLO VI LE VISIONI CONTINUE Scritti sui film (origine 1992-95, revisione 2001)


Il cinema è un fenomeno idealista (A. Bazin). La piccola abbuffata Un primo elenco di film visti, presso il cinema Lumiere di Bologna, collocano una la natura “cinephile” di quest’ appassionata disamina. NICK’S FILM (Nick’s movie, Lighting over water, RFT-USA, 1980) REGIA DI WIM WENDERS – NICHOLAS RAY. LA CINESE ( La chinoise, FRA, 1967) REGIA DI JEAN LUC GODARD CUORE SELVAGGIO (Wild at Heart, USA 1990) REGIA DI DAVID LINCH. Su Nick’s Film non mi esprimo. Il film di Godard mi è piaciuto molto per la sua disprezzante, dissacrante ironica demolente carica linguistica. Tutti quei libretti di Mao mi ricordavano quelli del Catechismo, alle scuole elementari. ≈ Film visti (o rivisti). Iniziamo da I DEMONI di Andrzej Wajda. Del romanzo dostojevskijano non ne rimane traccia, eccetto i bei costumi degli attori di teatro catapultati in pellicola. Ma I DEMONI non sono un’opera teatrale! “Demone” del teatro è certamente la SALOME’: l’Ultima danza, di Ken Russell, capolavoro; forse, Oscar Wilde avrà pensato a un futuro scenico magnificamente realizzato da Russell. L’erotismo comico della cameriera-Salomè è un vero trionfo di guance! Teatro-cinema anche esteticamente riuscito il MOLTO RUMORE PER NULLA di Kenneth Branagh (estetico=scespiriano sembra la formula delle ultime interpretazioni sul bardo di Stratford-upon-Avon). Il film non rivisto che si colloca tra gli allori della cinematografia è IL SERVO di Joseph Losey, vero e proprio lavoro intenso sulla fotografia, psicologia, pittura (van Eyck versus Escher? Forse le suggestioni sono troppe …) e letteratura (ma H. Pinter è un drammaturgo “greco” dei nostri tempi, intenso). In opposizione a tutto ciò vi è il PRIGIONIERO DELL’ONORE dell’eclettico e già citato Russell, che si cimenta questa volta in un opera braudeliana, di storia evenementielle.


Tutto l’ottocento aristocratico, la decadenza intesa come epopea è stato magnificamente affrescato da Luchino Visconti nel suo LUDWIG, un compendio unico per la vastità di riferimenti culturali e la profonda ricerca di quel mondo, di quelle passioni. ILGRIDO di Michelangelo Antonioni è un’altra rappresentazione, grandiosa anche questa, anche se non riguarda Imperi, Aristocrazie, regni, Storia con la “s” maiuscola, ma è un mondo altrettanto vasto: quello dell’uomo semplice, semplicemente tormentato dall’incapacità di vivere e realizzarsi come si desidera. Un processo di idealizzazione di una vita ben condotta, magari legata alle piccole vicende familiari. Ed è per questo irraggiungibile, nessun varco possibile se non quello che s’apre alla sua coscienza che lo proietta verso l’unica fedele presenza: la morte. Serata cinematografica di sei ore! Ore 18-24: - “APPUNTI SU UN FATTO DI CRONACA”, “BELLISSIMA” (1951) -LE NOTTI BIANCHE (1955) L’episodio iniziale, che in realtà aveva per titolo << Il cagnolino >> ed è del ’53 è un omaggio all’arte di Visconti, e non si può non essere d’accordo. Con “Bellissima” Visconti proponeva un tema vivissimo a quei tempi: l’illusione di una proletaria aspirante a vivere meglio e guadagnare grazie alle doti e al “volto” della sua bambina. La ricerca di un riscatto sociale, attuato grazie a mezzi moderni – come le audizioni per i nuovi mezzi di comunicazione di massa-, invece la porterà a scontrarsi direttamente con la meschinità di quel mondo “artificiale”(Cinecittà), con i relativi sacrifici e dolori. Il regista si concentra sulla figura di lei, illusa ma combattiva, creando magnificamente i vari momenti e gli stati umoristici, poi drammatici e farseschi. La scena di lei che torna a casa dopo avere assistito al provino della figlia e potuto sentire le crudeli affermazioni sulla bruttezza di sua figlia, è magistrale. La grande interpretazione di Anna Magnani, dotata di un pathos incredibile e capace di commuove tutti. Capolavoro. Con “Le notti Bianche” non posso che gridare alla genialità, all’arte veramente creativa e a … Dostojevskji! Sarò un po’ eccessivamente romantico o populista ma ho provato solo emozioni, forti e intercalate nei momenti di massima attenzione, ma ora a poco a poco, a venti ore dalla proiezione posso dare un giudizio più sereno. La grande interpretazione di Marcello Mastroianni e della bravissima Marisa Shell, le bellissime riprese che confinano con gli stati onirici, proprio come nel racconto – una fedeltà all’arte - non sono mai disgiunti dalla costanza di un linguaggio integrale, fatto di visioni, dialoghi, movimenti, oggetti inanimati o animati … un linguaggio


foriero di meraviglia e rilassatezza. E’ su questo mio stato particolare che voglio soffermarmi qui: i momenti di stanchezza (erano sei le ore di visione!) erano istantaneamente cessati nel momento in cui succedevano composizione opposte di scene e movimenti inquadrati. Delle “Le notti Bianche” sono state vive le immagini che hanno generato entusiasmo. Questo è l’esempio più virtuoso della contaminazione tra letteratura e cinema europeo: siamo di fronte a una reciprocità e una consapevolezza che solo Dostojevskji, da una parte, e Luchino Visconti, dall’altra, potevano ri-generare. Altre Visioni per alter ego. THELMA & LUISE (U.S.A., 1991) DI R. SCOTT URGA (FRA-URSS, 1991) DI N. MICHALKOV IL MURO DI GOMMA (ITA, 1991) DI MARCO RISI L’autore di blade runner ha voluto rimettere i piedi sulla terra … riuscendoci benissimo! Questo è un film “capolavoro”: azione, contenuti e immagini-cameo ( e con un argomento così retrò -tacciato di “femminismo macho”- il neofemminismo impudentemente rivitalizzato) sposano l’ottica del soggetto-avventura dall’uomo alla donna con archetipi opposti come il famoso Rambo e Aguirre-furore di Dio, senza dover ricorrere alla … superdonna! Quel che è più interessante è stata l’apertura di una falla all’interno di un linguaggio filmico: si spiega in questi termini il finale, che non accosta nessuna dissipata linea di un cinema arrabbiato ma conduce direttamente alla consapevolezza della propria scelta. “Urga” di Michalkov? Unìestetismo vacuo e nostalgico. Questo film di Marco Risi non è patetico. Nel senso pieno del significato: invita alla riflessione, a condividere questa riflessione .. e non ha camuffarla di sentimentalismo dei pvrein* I HIRED A CONTRACT KILLER -trad. ita. “Ho affittato un killer” (Finlandia/Francia 1990) DI AKI KAURISMAKI. HO AFFITTATO UN KILLER, incipit kaurismakiano: luoghi asettici e alienanti, dove vivono funzionari o operai, rumori di congegni meccanici e figure umane che riproducono un’atmosfera tragicomica. In questo film è sempre un “tipo” che è parte della massa/diverso da tutti, che ci racconta visivamente la sua storia: esule in Francia, impiegato da un sesto di secolo in un ufficio, mansioni incomprensibili, * Espressione emiliana per indicare i “derelitti”


licenziato in pochi minuti. E così tenta di dare una svolta alla sua vita … facendosi uccidere da un killer da lui stesso pagato. Le storie raccontate da Aki Kaurismaki hanno sempre dei lunghi momenti di pausa delle voci, quasi a definire un linguaggio unico e definitivo: l’immagine. Ma che il killer sia malato di cancro e prossimo alla morte trasforma il racconto cinematografico in una stupenda metafora, dove il possibile si ridimensiona nell’impossibile .. il killer ringrazia la sua vittima e si uccide! L’AMICO AMERICANO (der americanische freund, RFT, 1978) DI WIM WENDERS Attori: Dennis Hopper, Bruno Ganz e Nicholas Ray Film wendersiano accelerato, pieno d’immagini d’ambienti metropolitani. La corsa per sapere dei referti medici: << a volte penso che tu vuoi veramente star male! >> . Inizio a parlare del film con l’immagine di un pittore, dal dialogo si capisce che vende quadri grazie al fatto che è “morto”. Il suo intermediario d’affari, naturalmente americano, un Dennis Hopper con cappello e tenuta yankee, può dargli la sua parte di denaro che gli tocca dalle vendite. La morte è il vero tema del film. Se da una parte vi è colui che è morto ma vivo, dall’altra c’è colui che sa di morire ( a causa di una malattia): << è il 6 dicembre 1976 … non so più chi sono io e ne so chi sono gli altri … >> (sul un registratore a mano, sempre presente nei film di Wenders, come del resto la polaroid, le foto devono catturare gli istanti che scorrono …). Dare un senso alla vita dopo aver saputo che si ha poco tempo ancora da vivere? Uccidere sembra la scelta-dilemma, forzata dalle circostanze. L’amico americano, personaggio losco, si dimostra vero amico ( differenza di un altro personaggio, il francese, che lo utilizza per disfarsi di suoi nemici … per poi tentare di ucciderlo a sua volta, una volta che se ne è servito!). Dicevamo che è la morte il vero tema … una morte che da cui non c’è scampo, neanche dopo averla dimenticata. Finale del film: i sicari lo inseguono, lo vogliono uccidere, il “corniciaiuolo” si trova a lottare accompagnato dal suo amico americano contro questi killer e riescono a farli fuori. Intraprendono un lungo viaggio, altro tema wendersiano, ove compare un terzo personaggio, sua moglie: è un racconto nel racconto, sembra un altro film, ma emergono cose, indizi, supposizioni che tutto – compreso la sua malattia!- era stata un’impostura ai fini degli omicidi da compiere, ma il viaggio prosegue. La morte lo coglie in modo dolce, mentre stanco e sereno parla con la moglie … il volante gira e l’auto va fuori strada …


Il film è una storia chiusa, determinata, con la sua conclusione netta, poco wendersiana, se si pensa al suo cinema onirico o filosofico, in fin dei conti ciò che rimane è il racconto così com’è. STORIE DI AMORI E INFEDELTÀ, DI/CON WOODY ALLEN En tranchant , pessimo film.


Appendice n.1 Venezia mostra del cinema. SCHEMI DI SABBIA A DIVINA COMEDIA A mostra terminata posso anche considerare l’opera di Manoel de Oliveira come una delle più interessanti e originali viste recentemente. Un umorismo sconosciuto (forse tipico dei lusitani?) che si fa creativo anche nei luoghi usuali, come nel reale e fantastico luogo chiamato “casa dei disabili mentali”. I personaggi sono il Filosofo, il Profeta, il Messia, Eva, Adamo, che con le loro esplicazioni verbali tra saperi di vita e disquisizioni sul bene e sul male, sul materiale e spirituale, sulla castità e sessualità, formano un tutt’uno e rendono l‘atmosfera comique. Emerge una potente critica a ogni forma di religione, agli eterni dilemmi sulla natura umana, forse eccessivamente arenatesi – dico l’umanità- su questi problemi in fin dei conti comici.


CAPITOLO VII Afriche nel cinema


HANDSWORTH SONG (GB, 1986) DI JOHN AKOMFRAH L’africa nel cinema, rassegna cinematografica: scoprire un grande regista, J. Akomfrah. TESTAMENT (GHANA – GB, 1987) DI JOHN AKOMFRAH “Testament” è una scoperta, una narrazione e un’immagine straordinaria di una rabbia e di una sconfitta. Per il regista ghanese attivo a Londra, la storia recente del suo paese, che da “socialista” (probabilmente “reale”) è passato ad un regime filooccidentale e antisocialista negli anni ’80, con un golpe militare (e, quindi, non democratico), veniva sottoposta a una analisi critica e senza indulgenza verso i protagonisti di quel nuovo regime, ancora una volta fondato sul terrore e sulla oppressione del popolo. Una storia senza luce e tantissime ombre. Con “Testament” si apre l’omaggio a J. Akomfrah e al “Black Audio Film Collective”, all’interno del quale il regista afrino produce le sue opere. Ispirato da una profonda sensibilità per i tragici fatti del Ghana, Testament è sicuramente una delle pellicole che meglio esprimono le contraddizioni che lacerano le moderne società africane post-coloniali e uno dei film stilisticamente più originali e compiuti che ci siano giunti dalla parte anglofona del continente. Camera d’or per il film d’esordio e massimo riconoscimento a Riminicinema.

WHO NEEDS A HEART (G.B., 1991). “ L’individuo non è la somma delle sue impressioni comuni ma di quelle insolite” (Gaston Bachelard). Presentato con successo al London Film Festival il secondo lungometraggio di Akomfrah è come il precedente una lunga dolorosa cavalcata sulle problematiche razziali … il film racconta la storia di un gruppo di amici londinesi con flashback e forward tra gli anni ’60 e ’70. Bianchi e neri subiscono l’influenza di una figura carismatica, Michael X che inizia come leader radicale e finisce accusato di assassinio. Intorno a lui le vite di questi personaggi e i loro diversi percorsi. L’azione viene molto spesso mimata e il trascorrere del tempo è sottolineato dal cambiamento della moda e costumi come colonna sonora jazz di ottima qualità … “Di chi parla il film? Di Michael De Freitas, dei suoi amici, delle sue passioni, delle sue influenze, dei suoi limiti e dei suoi fallimenti. Perché questo personaggio? perché ci piaccia o no un’immagine significativa del disordine che oppresse ma allo stesso tempo sostenne la vita dei neri dell’Inghilterra degli anni sessanta …”.


<< … ciò che è emerso non è un racconto ma una storia illustrata di grandi gesta che hanno influito su un gruppo di uomini e donne reali, bianchi e neri. Così la biografia politica di Michael X è divenuta un progetto archeologico riguardante sesso, crimine, jazz, religione, retorica, letteratura e razza … >> (John Akomfrah) FYNIE (Il vento, Mali, 1980) DI S. CISSÈ “Fynie” è un racconto che rivela le brutture di un uomo, installato come un patriarca nella sua piccola comunità centro-africana, mostrandosi così testardo nell’ esercitare un potere reale fondato sull’incapacità sentimentale, sia come padre che come uomo. Infatti esercita una potestà criminale sulla figlia che la fa rinchiudere in carcere, punisce il ragazzo innamorato di sua figlia, dimostrando così il suo potere sul presente e sul futuro delle nuove generazioni. L’autore ha voluto raffigurare una condizione generale partendo da una particolare: si vedono scene delle rivolte studentesche, una fotografia viva, nitida, partecipata traspone un senso di rivolta come unica risposta, ed ecco la partecipazione corale! HANDSWORTH SONG (G.B., 1986) di John Akomfrah (Black Audio Film Collective) Un film stupendo, intreccio tra un narrato politico e, contemporaneamente, poetico, una ricerca viva su un “senso” sulla storia di un popolo che è anche storia personale, descritta al di fuori della cronaca giornalistica o burocratica-accademica (analisi che spesso più che lucidità apportano opacità). Anche a livello visivo vengono contrapposte dialetticamente immagini di ritagli di quotidiani e le voci crude e dirette della rivolta (o dell’interpretazione chiaramente schierata dell’autore e collaboratori). E’ anche una descrizione di una crisi di una grande città, di una metropoli, di una critica diretta alla violenza di sempre perpetrata dalle forze dell’ordine. La storia della rivolta dei neri dei quartieri e per le strade è vista con tutta la sua complessità, fin dalla radice dei rapporti immigrati-residenti, dei fallimenti di politiche d’integrazione, che accompagnano le vicende fin dagli anni ’40-’50, della violenza nel ghetto più o meno istituzionalizzato. L’analisi non ricalca modelli standard, economicistici e sociali (tipici di una tradizione vetero-marxista), cerca di indagare su una scala più vasta, direi umanistica, che trae spunto dalla disperazione più acuta, dalla dura vita, dalle mancanze di prospettive di un’intera comunità.


Afriche nel cinema “LA CITTADELLA” REGIA DI MOHAMED CHOUIKH Uno stupendo racconto visivo, una traccia continua raccolta da alcune situazioni umoristiche, con excursus su impressioni paesaggistici e raffigurazioni culturali. C. è un autore progressista, che ama la sua terra ma non per questo non critica radicalmente una società statica ed arcaica (come spesso succede a chi ama troppo, tanto da trasfigurare l’oggetto del suo amore). L’azione presenta tutti i dati di questa società: istituzioni che reprimono, negazione di principi elementari della propria libertà( delle donne, in primis), violenze, soprusi e isolamento coatto delle anomalie, non accettate dalla moltitudine delle genti che esercita una pressione incontrastabile. Colpisce la scena del professore, che portando con se i suoi libri, viene liberato causalmente dai bambini; diversa è la liberazione di un altro “prigioniero”, legato: questa volta è l’altro già liberato a liberare questi. Breve dialogo tra i due: << … ricordati dei miei insegnamenti … >>, e sparisce sputando sulla cittadella. Non poteva mancare in tutto questo “nervosismo visivo” la tragedia per il protagonista, che diventa motivo di ironia e scherno per tutti gli altri. Un racconto visivo, insomma, bellissimo, poetico e … “LE MOINEAU” REGIA DI YUSUF CHAHINE. Guerra arabo-israeliana, dialoghi veloci e poco comprensibili (veloci anche le immagini). Bellissima composizione visiva con scene d’amore e, contra?, aeri militari in decollo. Tante le cose non afferrate … nazionalismo? Critica politico-sociale? Non saprei. “KARIM E SALA” REGIA DI IDRISS OUEDRAOGO “AL DIAVOLO LA MORTE” REGIA DI C. DENIS Il primo di questi film è una vera e propria “novella” cinematografica, con una magnifica fotografia e costituita su un modo particolare di narrare: dare più spazio possibile alla non-parola, ai gesti e ai moti del corpo e a quelli della natura. Quella di


Oudraogo è un cinema sentimentale, un sentimento non-ideologico o superficiale, ma costruito sui momenti spontanei delle relazioni umane. Tutto il film è pervaso da un ottimismo che, nella fattispecie, è un ottimismo del guadagnarsi la propria ricompensa in terra. Non è un film di critica sociale (che manca nella misura in cui questa si discosta dalle forme classiche di critica sociale), non si sofferma solo sul rifiuto di certe logiche, anche perverse. E’un rifiuto relegato alla forza morale che s’accumula per poi presentarsi in modo prepotente (lo zio despota che odia la famiglia -il ritrovamento del padre - il ritorno a casa e la cacciata dello zio). Idriss O. ha raccontato un’altra bella novella. Nel secondo film viene raffigurata la classica dicotomia città-campagna, la scena contadina è annichilita da quella metropolitana, urbana, dove le relazioni diventano funzionali al traffico di tutto e di tutti: amicizie, soldi, sesso, musiche, esperienze … I bassifondi di una città e le sue emarginazioni si possono dipingere (o meglio imbiancare) in vari modi: uno può essere, per esempio, il riscatto per il puro guadagno. La Denis ha rappresentato in modo molto realistico quelli che possono essere le vicissitudini di gente fuori orario che vivendo in certi confini non possono uscirne perché non sanno che direzione prendere, se ne esistessero per loro … I galli da combattimento nella loro lotta per la sopravvivenza sono un’ottima metafora dei due protagonisti … muore “tony” il galletto super ammaestrato così come muore Jocelyn l’allevatore. I paesaggi, i primi piani le albe le notti sono temi iconici presi a prestito dal “suo maestro” Wenders, ma i dialoghi e certe ricostruzioni psicologiche dimostrano bravura, originalità … HORS LA VIE (LA VITA SOSPESA, FRANCIA, 1991) DI MAROUN BAGDADI Chi meglio di un regista arabo può parlare e descrivere filmando una storia assurda che si volge nel martoriato Libano contemporaneo? Che cosa può significare la “libanizzazione” di una società e che rapporto viene instaurato in una società del genere fra le persone? La quotidianità delle persone mostra soltanto il lato della contrapposizione, della divisione, dell’ideologizzazione dell’estremismo religioso e politico, del combattentismo dalla faccia feroce: ecco cosa fa vedere questo film, questo lavoro significativo. Che possa esserci una visione del mondo che contrappone occidente e mondo arabo, che si esprime attraverso un’ incomunicabilità persistente è un dato di fatto incontrovertibile, ma con HORS LA VIE la questione si allarga sino a divenire “antropologica”, umana – per non dire maschile!-. Infatti la donna che grida


e quella che piange la morte di suo fratello sono due momenti di cesura, di “separazione” della nostra e della loro comprensione, rimettendo, ancora e nonostante, a capo l’eternità della violenza. La questione storica delle violenze intestine del Libano è posta in secondo piano (e volutamente), in un tentativo di superare e di dare senso a un aspetto sociologico della violenza così concepita: un tentativo di trasporre sul piano delle relazioni umane. Siamo di fronte a un film eminentemente “sociologico”, non politico e bisogna ribadirlo dal punto di vista altro, un punto di vista di un musulmano, dell’Islam culturale. Non si vuole puntare sempre sul pessimismo, e le cose positive emergono, in sprazzi, durante il film: i sogni di quei uomini e quelle donne che svelano l’anelito ad un benessere e un’attenzione verso la propria persona senza macerie e lutti … insomma un utopia concreta da costruire ( si badi bene non da ricostruire, che non c’è nulla da ricostruire).


CAPITOLO VIII LO SGUARDO INQUIETO.


En certan reguarde “EQUATEUR”, (L’AMANTE SCONOSCIUTA) REGIA DI SERGE GAINSBOURG Crudo e sensuale: due antinomie, due contrapposti concetti certamente capaci di quadrare il cerchio di questo sconosciuto capolavoro/ molto conosciuto autore, S. G., regista di un prodotto cinematografico che ha preso molto dall’immaginazione della canzone (francese). Crudo è l’ambiente, gli esseri umani sembrano avere più anime o nessuna, crudo il film lo è anche nella gestione dei linguaggi; mentre sensuale è l’interazione tra i due personaggi di spicco: un “ricercatore” e una maudit (una splendida Barbara Sukowa). La domanda è: che cosa c’è di nuovo in una trama in cui la protagonista è alla ricerca di se stessa (come si diceva una volta …)? Beh!, nel caso del nostro film si tratta di un angelo biondo che è anche una specie di ingannatrice di biblica memoria, ma che ha fatto di tutto per il suo uomo (non si capisce bene cosa!). Il film è accompagnato da una colonna sonora bella, molto bella.

MISERY NON DEVE MORIRE, REGIA DI BOB REINER (scritto da Stephen King) Un buon Thrilling (si può dire? lo dico!), scene coinvolgenti e attori/attrici capaci, basata sull’intreccio inquietante tra uno scrittore e sua una lettrice, quest’ultima ossessionata dai personaggi inventati nei romanzi e che, per una casualità (un incidente, per poi essere soccorso da una donna), incontra il suo autore preferito generando un legame morboso dalle tragiche conseguenze. L’autore confessa, in un momento di libera espressione, che la sua eroina morirà nel prossimo libro, e la lettrice-soccorritrice impazzisce, seviziandolo e arrivando al tentativo di uccidere lo scrittore. IL MIO XX SECOLO (UNGHERIA, 1989)


REGIA DI I. ELKELDI Film-fantasia, raccolta d’immagini e situazioni di fin de siecle. Una sorta di Insostenibile leggerezza dell’essere ungherese, una composizione tutta giocata sul ricordo di sentimenti e dei momenti brutti, combinati a racconti ironici sulla grandiosità del futuro e delle strepitose invenzioni tecniche e intelligenti. La storia di due donne, una prima, Dora, galleggiante nel mar inquieto dell’alta borghesia; l’altra, Lili, in preda al panico e ai sentimenti più controversi nel laghetto placido dei bassifondi, tra una genia di derelitti e anarcoidi. Il film si pone in un’atmosfera che è la sintesi tra un mondo semi-onirico e semi-tragico: la musica vaga, la fantasia galoppa, violini e pianoforte si rincorrono, si fermano, saltellano. Immagini oniriche ove prevale il bianco e la presenza spiazzante di animali in libera circolazione (scene felliniane ). Uno spiazzamento che continua con la scena del cane pavloviano che “narra” le sue vicissitudini … L’AMANTE (tratto da “L’amante della Cina del Nord”, romanzo di Marguerite Duras) DI J.J. ANNAUD << Che cosa siano gli adattamenti cinematografici di opere letterarie è noto a tutti.

Meno noto è il danno che hanno causato all’arte dei film. Affascinati dal nome di un romanziere o di un drammaturgo, i registi si sono gettati a capofitto sulla trasposizione per il grande schermo senza curarsi affatto del cinema. Cosicché i film che ne sono usciti erano quasi sempre brutti ma il pubblico … >> (René Clair). Aggiungerei soltanto … e alcuni critici entusiasti, ma si sta parlando de “L’Amante” di J. J. Annaud?Si! Un film che pretensioso e carico di eros spicciolo (riconoscere per contro “L’Impero dei sensi” di Nagisa Oshima) presenta invece un’eccellente ricostruzione ( i soldi, eh!). Dopo la prova della rosa e l’orso un mediocre risultato! (pace alla Duras!). DUE O TRE COSE CHE SO DI LEI (deux ou trois choses que je sai d’elle, Fra, 1965) REGIA DI J. L. GODARD Un’inchiesta? Una ricognizione? Il tema: la prostituzione?, il degrado ambientale? Il consumismo? Va bene, facciamo il consumismo: è l’ideologia del consumare per consumare (quanta acqua sotto il ponte!). Dal materiale all’immateriale, si sfruttano le avanguardie estetiche per questo processo. Un richiamo così continuo all’estetica non si sentirà (vedrà) mai più: il capitale riproduce se stesso attraverso un’estetica che, a ciclo continuo, riassorbe le sue limitazioni e contraddizioni. I situazionisti disprezzavano Godard, forse.


LO SPECCHIO (URSS, 1974) REGIA DI ANDREJ TARKOVSKJ Monumento di significati e metafore, una ricerca tra il dolore e la coscienza russa, lo “specchio” tarkovskjano riflette l’autocelebrazione - tutta interna alla grande tradizione del cinema sovietico – della finzione “compressa” nella realtà. Un film “esistenziale”, muto o incapace di parlare, ove si balbetta ma si crede fermamente nelle proprie mani, che sono una metafora di un regista e di una nazione che vuole svegliarsi … un dopo Cechov!

Altre visioni “LE ETÀ DI LULÙ” … meglio non dir nulla di questo porno-tragi-commedia pretestuosa. “IL MARITO DELLA PARRUCCHIERA” REGIA DI P. LACONTE La storia è semplice: un uomo amava il seno e gli odori di una parrucchiera, una passione ricercata da sempre. La donna, altra parrucchiera, che poi sposa è … troppo perfetta! E lei si suicida essendo un’anima inquieta ( o al contrario, molto quieta, delicata) che vuol conservare per sempre l’istante di felicità, tempo fatto di creme, profumi, capelli, sguardi e amore per il suo uomo … mentre quest’ultimo ballerà al ricordo/attesa di lei. “SEX LIES AND VIDEOTAPE” (1989) REGIA DI S. SODERBERGH (… l’entusiasmo intorno a questo film, da parte di amici, non l’ho mai inteso!). Sesso e rapporti umani: tutto racchiuso nel segno della videocamera. Ancora una critica sui modelli comportamentali di uomini e donne (questi tempi yuppies), con lo scopo di mostrarne l’artificiosità, mentre sarebbe preferibile la semplicità … (hollywoodiana?) In realtà la critica era molto più intimistica ma la sopprimo per amore di semplicità VOYGER DI M.S. CON SAM SHEPARD E BARBARA SUKOWA THE BEGGARS OPERA (CECOSLOVACCHIA, 1991) DI JIRI MENZEL


MADAME BOVARY (FRA., 1991) DI C. CHABROL Ovvero il ritorno della Letteratura. Sopraffatta dall’iconografia (in senso lato), dominata dalla mente di noi storpi appassionati di montaggio, non importa se di pagina o pellicola, la letteratura è moribonda. Perché parlare (o scrivere) di “Beggars opera”, proibita da un regime e ignorata da un altro sistema? E Madame Bovary di Chabrol? Son giorni che contano questi se un creatore perfetto del “realismo flaubertiano” come Chabrol si esercita in questa speculazione estetica pur salvaguardando la genialità dell’inventio flaubertiana che rimane la stessa.

Anche i coccodrilli piangono (una prosa critica senza scrupoli, 1991) C’è da qualche tempo a questa parte un filone di cinema holliwoodiano in cui compaiano – con le numerose varianti possibili – tre personaggi/situazioni: il ricco signore e il suo ambiente, la crisi del ricco o il ricco in crisi, il derelitto metropolitano alla prese con la sua sopravvivenza e “contento” di ciò. Dall’interazione di questi tre personaggi-situazioni, attraverso gag e storie a doppio senso, si genera l’intreccio (con spesso anche la presenza di elementi sessuo-sentimentali che ne arricchiscono i risvolti). Tutto alla fine si risolve positivamente, finisce in fabula, con l’assoluzione di quel mondo in cui alla sofisticata vita può benissimo sostituirsi la gaiezza e la semplicità e la genuinità che appartiene al mondo dei meno fortunati ( e l’eufemismo qui ha la sua giusta valenza!).


CAPITOLO IX CICLO WERNER HERZOG


AGUIRRE, FURORE DI DIO (1972) La ricerca dell’Eldorado, intesa come ricerca del potere e della gloria che rende divinità in terra, è uno dei classici topoi della narrazione di fantasy archeologica: forse in questo caso il regista tedesco ha voluto andare oltre prefigurando qui una lotta dell’uomo post-rinascimentale, in piena onnipotenza, contro la natura e la storia. Tutti i personaggi incarnano i peggior vizi – e dai visi in preda a stati di allucinazione!doppiamente legati alla brama di dominio. Il personaggio-principe è Aguirre: è un concentrato di sguardi psicopatici e pronuncia poche parole, ma pesanti, come se fosse un profeta biblico (a distanza di anni penso che Klaus Kinski sia stato un grandissimo, inarrivabile pazzo prestato al cinema eterno). Vorrei correggermi: più che profeta biblico un profeta nihilista! Tutta la loro “avventura” di conquistadores viaggia sul fiume, acque eterne e lente e il tempo sembra sospeso e la soffocante luce amazzonica presenta una vibrazione continua come il riverbero del sole sui rami e tra le foglie. Ora non è possibile rivedere il significato dello scontro fra gli ammutinati al comandante della nave un hidalgo, un nobile spagnolo e i ribelli legati alla folle volontà, all’indiscutibile loro capo Aguirre, se non come uno scontro metaforico tra la Ragione e la Follia, sua figlia degenerata. La ragione, impersonificata dal comandante, propone il ritorno da Pizarro: ma chi è assetato di una volontà di potenza e col miraggio di una ricchezza prossima non cede alle sensate richieste e la scena finale è una zattera o nave dei folli alla deriva di se stessa … FATA MORGANA (RDF, 1970) NOSFERATU (1978) Una specie di documentario-racconto letterario il primo, un racconto neogotico (se per “gothische roman” indichiamo quelli ottocenteschi a la Vathek) il secondo. La macchina da presa di Herzog è stata capace di raccogliere aspetti così diversi della “creatività”: la blasfemizzazione dei contenuti politici del sociale proletario e la blasfemizzazione dei contenuti estetici del “gothische roman”, il comunismo visuale e la democrazia horror sono trasfigurati come se tutte le avanguardie culturali avessero rotti definitivamente i ponti con questa civiltà. Con Fata Morgana, Herzog spezza in modo totalizzante la scrittura filmica e la semantica dell’immagine,specialmente quando le immagini scorrono sui Kibbutz e le Casbah con una voce che parla del Paradiso.


Con la rappresentazione di Nosferatu vi era invece la rottura (rupture, per dirla nel colto francese) iconica tra la figura mostruosa raccapricciante del vampiro e la donna molto sensuale/sessuale baciata/succhiata. Zwein film von W. Herzog LA BALLATA DI STROZSEK (1975) DOVE SOGNANO LE FORMICHE VERDI (1984) Nel primo film si presentano le storie di emarginati che causalmente si trovano a vivere sulle loro spalle il mito americano della “way of life”: passano dai bassifondi di Berlin alle squallide Farm del Michigan, quasi a ribadire che le origini, le proprie “tare genetiche” predispongono la vita di certi uomini o donne, indipendentemente dalle loro volontà di emergere o dalle opportunità offerte per risalire la china, quasi come si fossero marchiati la propria carne nell’infamia della miseria: è una sintesi pessimista e non una sintesi orientata politicamente secondo le tesi più reazionarie. Ma ogni condanna è eseguita per sempre: la mera sopravvivenza è violenza, e viceversa. Un mondo di condannati in un carcere perpetuo all’aria aperta, cosa aspettarci? Le condizioni a cui aspirano questi protagonisti è la pura e semplice decenza: ma in una società già condannata alle forme quotidiane di violenza, che cosa ci si può aspettare? Herzog, quasi dopo dieci anni ci ripropone (nel secondo film) la questione insoluta, ribadendo che una logica di darwinismo sociale (con buona pace del grande naturalista inglese Charles Darwin,-trattato spesso da proto-nazista!), con la sua spietata ed inappellabile legge, fatta propria dalle classi sociali dominanti, ricuce addosso agli uomini le violenze di sempre, anche se sotto l’egida di un fantomatico “progresso” o istanza modernista con cui i molti intellettuali ammantano le nuove teorie socialmente orientate. E’ un’ecologia delle impressioni quella che emerge nel film “dove sognano …”, un film preveggente delle nuove sensibilità verso la tematiche ambientaliste e verso le condizioni di resistenza dei popoli nativi. Un punto di partenza è prefigurato nel film, quello della riflessione sulle connessioni globali dei sistemi umani e quelli naturali. L’ENIGMA DI KASPAR HAUSER, di Werner Herzog Le sospensioni panoramiche vere e proprie sospensioni del visivo-vedibile, costituiscono una forma di visibilità del cinema herzoghiano ineguagliabile (well!, certo anche Antonioni non scherzava …).


In questo film-narrazione se ne fa un uso più frequente e, per questo, paradossale (per via della difficoltà di conciliare la “sospensione del tempo” con l’algida narrazione). La storia di un trovatello comparso dal nulla nel “regno dell’anomia” (una città tedesca mirabilmente fotografata) durante i primi decenni del XIX secolo, e scomparso perché ucciso1 è letta come una storia di sconfinata distruzione di una vita, anonima certo, ma profonda: basti ascoltare-vedere le frasi di intensa espressività del non attore, si perché l’attore è un non-attore prestato al cinema (una caratteristica parzialmente presente nel cinema di Herzog, cfr: “La ballata di Strozek” e “*…+ Le formiche verdi”). Il giovane Kaspar si trova immerso in una normalità che non riesce ad intendere e capire, ma prova in un primo momento a comprendere ed accettare: ne esce sconfitto, come si evince dalla scena col maestro di Logica. La sua sconfitta è in realtà la vittoria della purezza e spontaneità. E della irriducibilità dell’uomo ad essere normale intendendo con questo uno che vive senza porsi problemi e interrogativi sulle norme sociali, sulle convenzioni e sulle maniere “giuste e corrette”. Hauser si trova in una situazione-limite e ne esce fiero della propria incompatibilità con gli altri. Le relazioni sociali ma anche la relazione con la propria coscienza, si mostrano incerti labili per il suo mondo-modo di vedere le cose. Le parole sono percepite come racchiuse in un’ampolla di vetro: perdono senso se esplorate e lui il trovatello, il disabile mentale (… secondo i “riti” della borghesia teutona), e in fini dei conti, il mostro, l’abnormale, si trova coinvolto in una realtà che vuole esplorare, ma ciò è imperdonabile. Cercare è spesso perdere la via … La città con i suoi muri, le sue vie e le rigide architetture, le sue cose e i suoi spazi variabili e le geometrie obbligate, costituiscono una smisurata dimensione, immensità paragonata alle quattro mura ove è stato sempre rinchiuso fin da bambino costituendo così la sua unica percezione fino all’età approssimativa di vent’anni. Poi è stato abbandonato nella piazza principale della Stadt. La morte di Kaspar Hauser per mano di uno sconosciuto rappresenta il culmine di quel significato profondo presente: l’alienazione non è preferibile alla morte? (1) L’autore implicitamente attribuisce l’omicidio a colui che lo teneva relegato in una stanza sotterranea.

GRIDO DI PIETRA W. HERZOG (ITALIA-GERMANIA, 1991) Delusione per quest’autore di talento: un terribile pugno allo stomaco!


Qui il racconto è eccessivo, inconcludente e non aiuta la presenza di un cast discutibile per preparazione, impegno e lavoro.

Appendice n.1 In morte di Klaus Kinski Enrico Ghezzi, parlando della recente scomparsa della grande figura artistica, fece un excursus su quello che potrà essere un futuro prevedibile in cui un attore già scomparso possa ripresentarsi dopo tanti anni in un ambiente virtuale – appunto il cinema!- e possa interpretare “nuovi film”, presenziare a una conferenza e magari ritirare l’Oscar cinematografico come attore/attrice virtuale ( … per chi considera importante il bolso premio citato!, ndr). Al di là dell’esercizio futuribil-ghezziano, consideriamo l’aspetto dell’assenza di una grande maschera una perdita irrimediabile, un motivo in più per considerare una stagione del grande cinema chiusa definitivamente, perché non è un semplice attore che va via ma un intero mondo fatto a sua immagine e somiglianza. Kinski, con la sua megalomania, aveva raggiunto un livello paragonabile ai grandi come Dalì o Artaud: aveva coniugato la vita assoluta all’inesorabile distruttività di ogni mito artistico: erede –fisicamente- di ogni avanguardia, ora è pronto per la prossima tappa, la morte verrà sublimata nella sua espressione facciale irripetibile.

Appendice n.2 Due film LE SANG D’UN POETE (FRANCIA, 1930) LA BELLE ET LA BÊTE (FRANCIA, 1946) Regie di Jean Cocteau (“La bella e la bestia” dal romanzo di M.me de Beaumont) L’esperienza artistica, sia pittorica che scultorica, di questo lavoro cinematografico del grande scrittore francese è post-surrealistica, nel senso che è un’opera che rientra nella poetica del ritorno all’ordine (aggiungerei surrealista?)1 . La raffigurazione del pittore che produce opere che si animano, vivono di vita propria e con cui dialoga, ma a cui anche obbedisce (<< con attraversa lo specchio, fidati di te stesso >>, moderno Alice!) sono un esempio di una poetica di riappropriazione e rifiuto d’interpretazione (del surrealismo) dei sogni.


Una seconda e terza parte della trasposizione cinematografica del romanzo richiama continuamente alla figuratività di Erst, Duchamp e Savinio (e De Chirico)… cioè l’enorme potenziale artistico-intuitiva di Cocteau è dimostrata con continuità in questo film. Nei titoli iniziali è presente un richiamo a tutt’altra arte, sono citati Pisanello, Paulo Uccello, Andrea del Castagno e Domenico Veneziano (quindi un’idea precisa di figurazione), ma in realtà è l’incontro fra l’ autore nostro e la sua contemporaneità figurativa che dovrebbe rigenerare l’avanguardia cinematografica (in cui si inserisce quest’opera). Fra il dicembre 1928 e l’aprile del 1929, Cocteau è stato in cura presso una clinica per disintossicarsi dalle hard drugs, ma è anche il periodo più fecondo della sua creatività (stava ultimando “Les enfant terribile”, 1929) e in questa direzione di rinascita artistica devono essere inquadrate e lette le novità apportate dal poeta all’arte cinematografica a cavallo degli anni venti e trenta.

1) Cocteau aveva scritto nel ’26 “Le rappel à l’ordre” un violento pamphlet dove si attaccava e condannava ogni avanguardia e siccome quest’ultimo concetto era applicato al Surrealismo … possiamo definire un ritorno all’ordine surrealista quella poesia visiva che si riappropriava dei sogni e dell’oniricità materializzandoli in sequenze cinematografiche


Cinema ora! Due film “fantapolis” (Fantascienza e politica?)

CYRANO DE BERGERAC (1990) DI …. Spirito anarchico e militare nonché poeta rimatore ma un … complessato! Ecco il celeberrimo Cyrano, qui di nuovo interpretato. Un film intelligente, con ambizione di far digerire al grande pubblico terzine d’intonazione franco-cavalleresca. Intrecci d’amore che hanno ispirato poeti e una guerra (straordinario lavoro scenografico) senza senso, come sempre. Se l’iniziò è così prorompente col personaggio, al di fuori del comune sentire, apparso nel teatro del teatro – e quest’attore risulta essere corpulento quanto agile, Gerard Depardieu – allora altrettanto teatrale risulta la sua uscita dalla vita, come durante la sua lunga agonia, recitata come una poesia che chiude il tutto. IL SIGNORE DELLE MOSCHE (Lord of flies, GB, 1963) REGIA DI PETER BROOK Straordinaria interpretazione dell’opera del 1954 di sir William Golding, scrittore di grande ispirazione etica, con l’aggiunta di un’esasperazione da “teatro crudele” riversata sul grande schermo, come nella scena del sacrificio del bambino. Una grande metafora sulla comunità umana fondata sull’educazione rigida e militaresca. Sul cineasta Peter Brook bisognerebbe aprire un capitolo a parte per il suo grande contributo alla cultura teatrale e cinematografica del XX secolo. 10 PICCOLI INDIANI, tratto dall’omonimo romanzo giallo (1939) di Agatha Christie, la versione cinematografia degli anni cinquanta – rimando a una sua ricerca per gli interessati- è un capolavoro.


CAPITOLO X Italian


ECCE BOMBO (1977) REGIA DI NANNI MORETTI. Nel film si assiste ad un sarcastico ma efficace spaccato della generazione degli anni ’70, una lucida rappresentazione di un gruppo di amici che si “prepara” e va verso il buio degli anni ottanta … ma non mancano elementi da rivalutare, sia per quel che riguarda quel frangente - il ’77 – con le lucide digressioni di un giovane comunista (del PCI), sia per via della volontà di un giovanissimo regista dal futuro così ricco … come non riconoscerne le grandi aspirazioni! MEDITERRANEO, REGIA DI GABRIELE SALVATORES Ha vinto l’Oscar (!)… come dire cinema italiano alla riscossa! Ma parliamo del film: dei buoni soldati italiani sbarcano su un’isola.. sono due montanari, un poeta-disegnatore-giottista fuori tempo che, naturalmente, è il capo della spedizione, un gay innamorato del commilitone macho e un altro poeta lettore dei classici greci. Passa il tempo, le sorti della guerra sono lontane e si capiscono poco, il regime continua a rimanere in piedi, moribondo, infine l’armata s’agapò ma con la leggerezza del tempo nostro … mah! IL LADRO DI BAMBINI (Italia, 1992) REGIA DI GIANNI AMELIO Il filone realista degli anni novanta continua in modo interessante con questo film ( il regista di questo lo accosto a Capuano2, come due facce delle stessa medaglia). L’immagini sono incentrate su alcune figure che si muovono in quartieri desolati: vi sono due bambini, Rosetta che viene prostituita dalla madre ad un pedofilo; Luciano, asmatico e sempre in silenzio e sofferente … che mostra il suo esser un duro; la terza figura è un adulto, un carabiniere, che accompagna i due ragazzini in un riformatorio. D’intonazione fortemente repulsiva la prima parte per via della raffigurazione delle mostruosità in cui si trovano i due giovinetti. Poi il tono del film scivola verso una compassione di difficile rappresentazione ma che il regista saggiamente riesce a cogliere. IL CASO MARTELLO (ITALIA, 1992) REGIA DI GUIDO CHIESA Il Caso Martello è un film di schietta cinematografia italiana, nel senso che è in voga in questo momento dell’Italia far questo tipo di cinema. Lo sfondo è psicologico e 2

Antonio Capuano regista del film “Vito e gli altri”, prodotto nello stesso anno.


sociale nel punto di massima loro intersecazione: cogliere dei caratteri in base a luoghi prestabiliti e far coincidere sfumature caratteriali con le dislocazioni geografiche. Il viaggio è compiuto tra gli ultimi contadini, col loro ritmo lento della vita. È uno scavo archeologico dentro un mondo fatto di chiusura e pregiudizi e di solitudine: le storie sono tenute nascoste, vincolate alla “saggia” scelta di un giusto consegnare all’oblio, ma un giovane impiegatuccio deve consegnare qualche milione a qualcuno di cui ci si è (volontariamente) dimenticato … Ci si trova davanti un muro omertoso in questo piccolo paesino, ma una giovane del luogo… ecc. ecc.

ALTRI FILM. “VOLERE VOLARE” di e con Maurizio Nichetti. Bello! LA CARNE DI MARCO FERRERI (1991) Considero Marco Ferreri un grande maestro del cinema, detto questo questa è stata la recensione che scrissi dopo aver visto il film… Appartenente al genere sessuo-macabro-sarcastico involontario il film - a causa della presenza di insignificanti ruoli per attori e pessime “attrici”- è proprio bruttino. Ed è tale per i soliti motivi … LA CASA DELLE FINESTRE CHE RIDONO (1982) DI PUPI AVATI. Ambientato fra fiumi e casolari del ferrarese quest’horror di casa nostra è piaciuto a tutti i presenti per via dei richiami continui alle arti, alla religione popolare, alla mistica, e gli attori e il protagonista sono di una specie rara. LA GRANDE ABBUFFATA (1973) DI MARCO FERRERI. Essendo questo film la conferma della mia ipotesi, cioè che gli anni 60/70 sono stati gli anni più creativi per il cinema – come per tante altre arti- non ha senso parlarne dato che è un film dai contenuti filosofici sempre da riscoprire. JOHNNY STECCHINO (ITALIA, 1991) DI BENIGNI/VINCENZO CERAMI Un primo tempo con una scelta di temi benigni ani e quindi un odore di un “già visto” che sembrava rendere l’opera comico-noiosa. Ma la spaccatura tutta in positivo, di un racconto ben miscelato nel secondo tempo, chiedono ed ottengono gran risate,


come in alcuni capolavori d’ironia e di non sense (la banana, il traffico)… il parere di Lino Miccichè di una certa relazione fra il principe De Curtis e il bizzarro toscano … UNA STORIA SEMPLICE (Italia, 1991) REGIA DI E. GRECO Un film problematico. Giocato come un giallo di fine struttura letteraria con l’ambientazione in una Sicilia di “frontiera”, dove le parole hanno una loro storia che non coincidono con la loro pronuncia. Un difficile ruolo anche per Volontè. Un film che segna un punto di non ritorno per il cinema d’autore italiano.


CICLO PIER PAOLO PASOLINI LA RABBIA (1963) L’ACCATTONE (1961) … straordinario, suggestivo, poetico-realistico (nel puro segno d’una tradizione mai superata). Il film riempie ogni poro d’emozioni, e una storia che emoziona può essere rischiosa ma chi sa farlo (il cinema) deve trascendere il banale il frivolo o il mero estetismo con cui leggiamo/interpretiamo la realtà. Solo nella persona di Pasolini s’era realizzata quell’alchimia, quel senso della storia spogliata dai mille contrasti nei cento risvolti, nelle poche e valide interpretazioni (non del fatto ma delle implicazione dei “fatti”). Cosa implica la morte di un papa, l’incoronazione del monarca e le decine di morti per una rivolta anticoloniale? Non è possibile non vedere, sentire, annodare i fili degli eventi; e, non ultimo, seguire la poetica che è sprigionata dalle immagini e la poetica disincagliata degli enunciati pasoliniani. Non so bene se alla base vi era un processo integrativo o di differenziazione, ma negli effetti finali nulla si annulla, tra l’una e l’altra poetica. Domande che ora sembrano “passate” (che spesso, per alcuni, significa morte): il Capitale è generativo o soltanto distruttivo? è una forza di sviluppo o di regresso? Pasolini ha risposto a queste domande con forza. I temi della scuola di Francoforte vengono riecheggiati e non pedissequamente, Pasolini descrive le trasformazioni della civiltà sotto il segno della disumanizzazione, mentre, rifiutato il lato selvaggio, questa civilizzazione si trascina nella barbarie. Ecco che emergono i limiti della sviluppo e gli illimitati ritorni alla barbarie. È nel segno del poetico che viene (veniva) tracciata questa circonferenza critica: lo sprigionarsi dei sensi , il sogno del centauro delle emozioni e il suo doppio ricordo – svanimento. L’accattone è invece un film più prosaico (e quindi politico, di difficile lettura). È la storia incentrata sul lavoro e sul suo rifiuto (con dieci anni d’anticipo sui tempi), la determinazione del rifiuto della logica del salario, della sopravvivenza come indiretta scelta e prassi di vita. Un sottoproletario, un borgataro, che per vivere fa il “pappone” – colui che sfrutta gli altri per la sua sopravvivenza – che ha scelto nel bene e nel male senza piangersi addosso perché di lacrime non ne ha più. Il giovane si sente dentro un quartiere che lo rinchiude … ma fermiamoci con la retorica. L’accattone è pasolinianamente un’opera pura, un racconto che da un-pugno-allostomaco. Ti porta nei segni indecifrati di una borgata dove la fame, i sotterfugi, l’amicizia e le balorde rie sono conchiuse in un universo psichico che s’esprime non


attraverso una mediazione mentale (oserei dire psicanaliticamente) ma tramite una reale espressione dei volti, dei pianti e delle risate. La morte dell’accattone è una chiusura alle speranze, da qualunque parte essa può venire, perché la dove la speranza vive nelle anime morte è già morta, evocata certo! dalle parole … ma questo è solo letteratura. Un estratto. Porcile (1969). Lo sguardo impietoso e ferocemente beffardo di Pasolini sulla società contemporanea, che , stando alle sue parole << divora sia i figli obbedienti che i figli ne’ disobbedienti né obbedienti >>, si concretizza in due storie, ambientate nella preistoria e nell’età moderna. Nella prima un giovane che vive nutrendosi d’insetti, rettili e sterpi, diventa cannibale, mentre nella seconda il figlio di un noto industriale tedesco crea al padre notevole difficoltà a causa della sua devianza sessuale nei confronti dei porci. Grottesco e apocalittico.(recensione dalla videocassetta rcs) Nella pubblicazione de ”il Castoro” Pier Paolo Pasolini: << nella prima vicenda ambientata in un indefinibile Cinquecento ricostruito sul deserto lavico dell’Etna, una sorta di asceta della contestazione radicale, un giovane santo-carnefice fa strage e si ciba di tutto quel che trova compresi gli uomini che gli capitano a tiro>>. Un frammento su Pasolini … appena visto Comizi d’amore di PPP. L’Italia racchiusa nel video è un’Italia confusa, acritica e socialmente compatta. L’autore sosteneva una sorta di purezza per una classe o composizioni di classi sociali, gli operai come i contadini, gli impiegati come i commercianti, gli intellettuali come i dirigenti. Se ci fosse stata concretamente quest’assimilazione ricomposizione sarebbe stata conseguenza di differenti processi di progresso e sviluppo di culture: quella contadina (conservatrice e schietta) quella borghese (progressiva e ambigua, cinica) e quella operaia (un misto delle altre due). Se le risposte date dall’interviste fossero antropologicamente catalogabili due grandi tendenze emergerebbero sicuramente: la Tradizione che cerca di sopravvivere e la gioventù che brucia le tappe di conquiste di nuovi “valori”, nuove moralità e nuove visioni di vita. Ma queste considerazioni (la composizione fra classi e le due tendenze sociologiche o antropologiche degli intervistati) giustamente come notava Alberto Moravia rispecchiano soltanto una parte dell’Italia, quella che ha osato sottoporsi all’intervista e non quella che ancora intaccata dal momento di confronto.


Altri maestri del cinema. LA DOLCE VITA, DI FEDERICO FELLINI (CON MARCELLO MASTROIANNI). Un provinciale che s’inserisce nei circuiti dell’alta borghesia attraverso il suo lavoro di giornalista, alle prese con un leggera malinconia rotta da qualche incontro fatale; la descrizione, con cui induce una macchina da presa magistralmente diretta, di ambienti radicali e decadenti: quelli del professore che esegue Bach ma uccide successivamente, con freddo esistenzialismo, i suoi figlioli e poi se stesso, dopo aver inciso un suo modus fatto di poesia e suoni della natura. O semplicemente decadenti (scene della Villa). Tutto il film ruota intorno alle vicende dell’aitante giornalista alla ricerca di un senso … della vita che (non) troverà dopo aver visto tutto. Disillusioni. È un vuoto che si perpetua nonostante tutta la buona volontà. È possibile intravvedere un crepuscolo lirico nel film, che non manca certamente per via della sua natura poetica: in fin dei conti è un poema dell’immagine. Il senso di frustrazione dei personaggi induce al nulla, soltanto al vivere disvivendo, vivono per vivere e se fosse possibile dar un connotato negativo al termine vivere dovrebbe essere questo! L’opera felliniana non ha la forza del patetico (nell’accezione originaria) né configura uno svelamento di una finzione risolta dalla critica politica, piuttosto un rimando al neorealismo della neoborghesia, delle classi agiate o pervenute recentemente all’agio. Descrizioni di eventi in vitro, si ha la sensazione di assistere a una intelligente e totale libertà d’interpretazione, e mentre scorrono questi eventi non si possono ignorare le tensioni ironiche che l’autore lastrica l’intera narrazione, quasi a ribadire una positività dettata dal riso e dal sorriso, perché è un rispecchiarsi dentro i propri limiti e difetti. Lo straordinario Mastroianni è un giornalista che nonostante tutto non riesce a ri-trovarsi nella sua vera passione: la letteratura ( e per questo presenta il classico contrasto amore-odio tra giornalismo e letteratura ), e così si trova nei posti della Roma-che-conta, e conosce fino in fondo abitudini, finzioni e illusioni di uomini strafamosi, che gli rivelano tutti i difetti di appartenenza al genere umano: gelosie, slanci, vizi, perversioni, sentimenti puri o noia. Sono interi ambienti che vengono vivisezionati: aristocratici di nuovo conio, sottoculturalizzati, amanti di belle donne, col relativo codazzo di artisti e intellettuali spocchiosi o semplicemente devoti al trimalcione di turno. Ciò emerge è una moderna Roma che presenta l’eterna e variegata humanitas. LA TERRA TREMA DI LUCHINO VISCONTI (1948) PAISÀ (ITALIA, 1946) DI ROBERTO ROSSELLINI


Sei episodi appartenenti alla Storia del cinema. La morte del grande vecchio è stata assorbita dal suo nemico odiatissimo: la televisione. *

Nella scena più bella del Cinema di Antonioni si vede la piccola Rosy nel mezzo di un campo: fugge dal padre e scende nel prato vicino all’autostrada dove incontra degli uomini. Attraversa a passi felpati questi uomini che deambulano senza senso, come in un manicomio –una nave dei folli!-. Uno di questi si gira fra l’indifferenza di tutti: << cosa c’è bella bambina!>>. Lei con lo sguardo sconvolto, si mette le mani davanti agli occhi e piange. Il movimento veloce della macchina fa “realizzare” il tutto visto dalla bimba in moto, in spostamento, allontanantesi da quel luogo. Poi l’immagine indugia per pochi secondi su quei uomini… l’immagine è una poesia scandita con la violenza della follia. La bimba è il simulacro delle nostre sensazioni, specchio e voragine della nostra realtà. IL GRIDO è una sottile dimostrazione del problema-esserci, l’ennesima esistenza di un uomo inestricabilmente legato alla propria azione che lo condanna nel tempo, una uscita feroce, senza conclusione, dalla nostra epoca fatta di … HAMLET, DI FRANCO ZEFFIRELLI E’ la coscienza che ci rende vili? Infatti nel testo scespiriano la questione non è relativa al rapporto coscienza-viltà, bensì alla nostra incapacità e, quindi, paura di comprendere che cosa c’è oltre l’abbandono del nostro corpo mortale. “Con tutti i soldi che ha poteva fare di più! (nota di un ignorante autocosciente dopo la proiezione del film)”. “Sei un ignorante!” (nota personale). IL TÈ NEL DESERTO, DI BERNARDO BERTOLUCCI Ho assistito ad un crollo di un mio mito, di un autore sempre preferito! Due i fattori di questo crollo: la confusione poetico-retorica e la privazione dell’ambiente reale. Il fatto è che si è rappresentata una crisi coniugale dovuta alla perdita di originalità in termini così riduttivi (riduttivo è il dialogo, avendo perso il filo presente nel libro di Paul Bowles; ma anche la voglia di conoscere e di captare le sfumature del momento) è indice della generale incapacità di fondere (forse è un’operazione impossibile? Tanti non ci riescono e ne ci sono riusciti, checché ne dicano apologeti e detrattori) il linguaggio letterario con quello cinematografico (e, allora, viva l’autonomia!). D’altro canto il fattore che spiazza è la creazione di un’atmosfera da film fantascientifico!


Un brutto film nel primo tempo, qualcosa di più sostanzioso dopo, ma forse non vale la pena di dire qualcos’altro su “the sheltering sky”, o meglio fare soltanto una cosa: leggere il libro di Bowles … (altri capolavori di Bertolucci ri-visti in questi ultimi tempi: “Novecento”, “L’Ultimo Imperatore”, “L’ultimo tango a Parigi”, “La Luna” e “Prima della Rivoluzione”).

ROMA CITTÀ APERTA (ITALIA, 1945) Il cristiano Rossellini ha descritto in quest’opera cinematografica la netta divisione della linea dei confini del bene e del male: la disumanità sta dalla parte di quei uomini che hanno invaso la penisola italiana, fautori di un ordine europeo fondato sul terrore. La città era stata violentata, ma Roma ha in se la promessa di un riscatto, di un orgoglio dettato dalla sua popolazione capace di subire l’ennesimo martirio e preparare una lotta di popolo intransigente contro il dominio nazifascista.

CICLO VISCONTI LA CADUTA DEGLI DEI (1969) GRUPPO DI FAMIGLIA IN UN INTERNO (1974) Un Visconti “politico” e non solo “artista”? La risposta è in questi film. Ma basta? Non credo. Se nella “Caduta degli Dei” il rapporto tra filosofia e politica si mostra come un ripiegamento del secondo termine sul primo (una torsione che ha forse origine nella posizione ideologica o della praxis di origine ingenuamente marxista). Il nazionalsocialismo è osservato nei suoi tratti immediatamente come dramma degli oppressi e vittoria degli oppressori di sempre (la gerarchia militare e quella capitalistica della grande Industria). L’analisi psicologica e mentale fatta dal regista è canonica: una piena composizione di realismo storico-culturale, dove la conoscenza degli eventi e la profonda capacità di utilizzare gli strumenti della psicanalisi, si dimostra nella sua interezza in questo che è un altro capolavoro del cinema. Un film tra l’altro che pone interrogativi sul rapporto tra morale e potere, sulle gerarchie tra le culture e sull’utilizzo dei miti politico-teologici per creare consenso e sopraffazione ( e azioni contro la diversità e i nemici immaginati tali). Insomma diatribe che ancora oggi riguardano quel mondo strano che è la politica. Il secondo film ha avuto una strana conseguenza: appassionarmi all’opera di Heinrich Boll (un effetto imprevisto del cinema!).


L’INNOCENTE (dall’omonima opera di G. D’Annunzio, 1976) Con questo film si può affermare senza indugi che la critica della società fin de siecle fatta dall’autore è indistinguibile dall’autorialità (in strictu sensu D’Annunzio). Con quest’opera cinematografica, congiuntamente a “Ludwig” e a “Gruppo di famiglia”, si compie quel ritratto completo di un’atmosfera, di un epoca. Qui, nello specifico ritratto di Andrea Sperelli, non è una società ad essere scomposta e analizzata puntigliosamente nelle labili tensioni e relazioni, ma un individuo risultante refrattario alle convenzioni sociali e supremo individualista. Tutto connotato ambiguamente. Infatti il suo radicalismo anti-istituzioni è meramente fittizio, di pura facciata: emblematico il rapporto con la moglie. Mostrando i limiti, pur non negando una certa simpatia per la visione d’annunziana –l’uomo capace di svincolarsi dai conformismi indotti – la decadenza estetico-sensuale acquista tutt’altra idea grazie alla rivisitazione che ne fa Visconti, dovuta sempre alla concezione che la perdita dell’innocenza e della moralità sia un prodromo al suicidio come atto che redente. LA MERIDIANA DEL CONVENTO (1916) REGIA DI ELEUTERIO RODOLFI RAPSODIA SATANICA (1917) REGIA DI NINO OXILIA MARIUTE (1918) REGIA DI EDUARDO BENCIVENGA I film muti b/n a volte hanno la grande capacità di congelare il presente, eternando così l’arte visiva. La nostra società probabilmente – specie le nuove generazioni- non sopportano queste visioni per via dell’eccesso, dell’iper-iconografico sistema costruito dai mezzi di comunicazione di massa degli ultimi decenni. Si spera in un (sano) rigetto da questi eccessi. Sicuramente bisogna prendere in considerazione i profondi legami tra l’arte cinematografica e alcuni aspetti onirici della stessa. L’ironia in agguato de “la meridiana”, il noir decò della “rapsodia” e la retorica dei gesti, la prossemica in “mariute”, sono le evidenze più caratteristiche di questi film creati durante un periodo fertile per la creatività italiana (gli anni precedenti la prima guerra mondiale), con l’arte ancora impregnata di dannunzianesimo e prossima all’esplosione futurista. Un incredibile senso di meraviglia di questi capolavori “sperduti nel buio” è stata la sensazione predominante. Il problema è la riattualizzazione: la musica aiuta molto,


come d’altronde ha aiutato il restauro di quest’arte che continua a suscitare emozioni molto particolari ‌


CAPITOLO XI Altri film visti e (non) recensiti


EL MARIACHI (USA 1993) DI ROBERTO RODRIGUEZ. Film gustoso, senza pretese. IL CIELO DI PARIGI (FRA, 1992) Film per alcuni versi interessante ma risente di una messa in scena ortodossa, una regia senza laude. DIETRO LO SPECCHIO (Bigger than life, Usa 1956) DI NICHOLAS RAY L’ULTIMA RISATA ( Der letzete mann, Germania 1924) DI FRIEDERICH WILHELM MURNAU. Altro capolavoro. ATTACK TO ATTACK (Giappone, 1985) DI M. SATO E K. YAMAOKA VITE VENDUTE/IL SALARIO DELLA PAURA (Le salaire de la peur, Francia 1952) DI H.G. CLOUZOT. Il sapore di una scommessa KILLING ZOE (USA, 1995) Altro lavoro della premiata (molto?) ditta Q. Tarantico & co., ma notevole la sceneggiatura, veloce e sprezzante come non si vedeva da tempi memorabili (ancora mi viene in mente Wells!). Le vicissitudini di un gruppo anarcoide, degni erede di qualche banda Bonnot del secolo scorso, con molta, ma molta, droga in più, vengono narrate in modo da attrarre l’attenzione di ogni cinephile “tarantinato”. I personaggi esasperanti nel loro cliché dei matti-drogati-ladri , nuotano dentro una irriconoscibile Parigi, alla ricerca di sensazioni forti … e di finanza facile! Tentano la rapina dopo una notte di orge, droghe e jazz (straordinario movimentomacchina da presa nella caves, simulazione riuscitissima dell’effetto combinato dell’alterazione di coscienza indotto dagli stupefacenti e stroboscopia sonora) ma c’è qualcosa che emerge immediatamente scioccando il cine spettatore: la facilità dell’assassinio e della strage … BLOOD SIMPLE, esordio dei fratelli COHEN, un ottimo film. ALICE NELLA CITTA’ (road-movie di Wenders, delicato) SORGO ROSSO, REGIA DI YANG ZIMOU ( appare, per la prima volta, la bellissima Gong Li). Epico, capolavoro della nuova cinematografia orientale. MONSIEUR VERDEAUX: il genio assoluto di Chaplin.


TUTTE LE MATTINE DEL MONDO( regia di Corneau, con G. Depardieu): la musica … sopra ogni cosa!

SUL CINEMA DI R. M. FASSBINDER (Film visti) GOTTER DER PEST (DEI DELLA PESTE). LA PAURA MANGIA L’ANIMA. Quello che hanno fatto Fassbinder e, con lui, gli altri autori del nuovo cinema tedesco, non ha paragoni nelle altre cinematografie europee ( forse, questo giudizio, è un mio limite di conoscenza). Dopo aver visto la rassegna sul cinema di Fassinder, con i suoi principali lavori, posso dire che una sensazione ambivalente si è prodotta in molti osservatori: da una parte la cruda esibizione di una realtà fatta di emarginati, disagiati e “diversi” è stato un pugno nello stomaco; d’altro lato l’aspirazione umana, la ricerca spossante di una dimensione amorevole delle proprie esperienze, rende altrettanto amara la constatazione che tutto impedisce i sentimenti, che l’amore uccide ciò che si ama. Anche la stessa gente comune che interagisce -con diverse sfaccettature- con questi soggetti, si piega al marchio del destino, alla condanna definitiva. La realtà omosessuale è, poi, quella più destinata all’epilogo definitivamente tragico. Una constatazione questa che sarà spazzata via dell’irruenza del lato “solare” espresso dalla cinematografia di Pedro Almodovar (ma che pur non esente di una sua tragicità, verrà stemperata da alcune passioni).


Appendice n.1 In questo periodo leggevo le spassose recensioni del settimanale “Comix” ne ho trascritte alcune: ombre e nebbia di woody allen w. h. si muove incerto fra “Fog-la nebbia che uccide” e “luci della città”. Molti critici hanno parlato di espressionismo tedesco, a noi pare più corretto suggerire depressionismo svedese. La crisi dell’orion ha costretto il mago del bianco e nero diego della palma (mais oui il visagista) a girare gli esterni in un sottoscala. Si preannuncia come il più luminoso fiasco di cassa dopo quello perpetrato si danni della coop. Cape fear (promontorio della paura) di martin scorsese In un’intervista al mensile per zaccheroni in terital QG nick nolte ha detto di essersi fatto tirare su le palle per far sembrare il pene più grosso. Qui in versione pre-lifting si fa strapazzare da tutti. De niro sembra pagato con una colletta generale (dalla moglie, dalla figlia, dal cane, dall’amante dall’avvocato ecc.) per rovinarlo. Non ci riesce e muore citando marlon brando in apocalypse now. L’happy end è la cosa più terrorizzante del film. Non portateci il vostro cane. Gli amanti del ponte neuf di leo carax E’ il trionfo del cinema spazzatura. Ogni inquadratura celebra in un delirio barocco l’immondizia come tale e come metafora. “I miserabili” di victor hugo vi sembreranno un depliant della settimana bianca si grandi magazzini. In una parigi ricostruita a parigi juliette binoche e signore fanno più danno del buco dell’ozono. Alla fine decidono di sposarsi in chiesa lasciando alle spalle una città piangente e in rovina Fino alla fine del mondo di w. Wenders Centone neokantiano liberamente ispirato al fervido romanzo di louis lewy “Die menschenzwiebel Krzadock und der fruhlingd frische mathusalem” (Krzadock, la cipolla umana e il primaverile matusalemme). William hurt, la cipolla umana, non contento di essere scampato alle iettature di “Un medico, un uomo” cerca di diventare cieco per far piacere alla mamma. Nel frattempo si produce in un massacrante inclusive tour tallonato da un wurster bavarese Solweig Dommartin. Incomprensibile. Premio Roipnol della settimana Lanterne rosse di Zhang Yimou Prodotto da honk kong dalla Coppo e sottocoppo ltd affoga una pulita vicenda di amore a cinque, quattro lei e un lui, in un mare di tegole e cineserie. Ogni donna perde tempo a spiegare a tutte le altre che non è vero che le odia ma che è il regista a mettere zizzania. Alla fine diventa pazzo. Molto materiale di repertorio. Un medico un uomo di Randa Haines Candidato a 12 Oscar, innanzitutto quello della sfiga. W. Hurt è un medico alcolista cui vengono diagnosticate diciotte malattie mortali. Disprezzato per questo dal figlio e da una moglie orripilata fugge nel deserto con una bellissima giovane. Lei lo tocca e muore. Lui ancora è vivo e si aggira laggiù da qualche parte


CAPITOLO XII. Altri mo(n)di


VIVERE (Cina, 1990) REGIA DI YANG ZIMOU Con GONG LI ADDIO MIA CONCUBINA (Cina, 1992) REGIA DI CHEN KAIGE L’epopea cinese nel cinema viene superbamente rappresentata da questi due film in cui sono racchiuse quasi tutte le storie possibile sulla Cina moderna, terra della prima letteratura e del primo teatro epico. Una storia di variegati personaggi del popolo cinese (commercianti, ladri, prostitute e attori di teatro) alla presa con l’eterna lotta contro la sopraffazione dei potenti di turno (imperatori, generali e timonieri dei popoli). Una lotta di ogni singolo che diventa un’onda distruttrice di sistemi politici, economici, sociali. Spesso sono le figure femminili risaltano in modo eccellente LATINO BAR (MESSICO, 1991) REGIA DI PAUL LEDUC Ritmi latino-americani, forti atmosfere bukowskiane trapiantate in queste assolate lande e molta gestualità sensuale per quest’autore straordinario, uno spettacolo visivo garantito. In un luogo perso in qualche località, una città-media del centroamerica, intravista alla fine del film, s’incontrano una varia umanità sottoproletaria, scaricatori di porto stanchi di una pesante giornata di lavoro, giovani donne prostitute, nullafacenti, delinquenti. Tutti vivono in uno squallore descritto realisticamente dai piani-sequenza della cinepresa, uomini e donne che si svegliano mangiando e bevendo schifezze e superalcoolici, e vanno a letto bevendo e mangiando le stesse schifezze … solo la musica rumba, salsa, e altri suoni ben più primitivi sembra dare una carica positiva, istintiva, generando una sorta di trance che svuota da quello squallore e riempie di felicità. Solo che l’atmosfera, sarà per l’alcool sarà per l’istinto di sopraffazione, degenera quando una mujer si mette a ballare con tanti uomini … RAPSODIA IN AUTUNNO (GIAPPONE, 1991) REGIA DI AKIRA KUROSAWA. Un film-racconto popolare e semplice nella descrizione degli eventi: i ricordi del “grande occhio” (la bomba atomica), l’arrivo di una lettera di un fratello americano


(ricco e in fin di vita) della nonna, i padri e le madri dei giovani protagonisti che hanno in serbo grandi progetti grazie al parente miliardario. I ragazzi sono legati ai racconti, alle memorie delle cose della nonna, e si alleano contro i genitori veniali e concreti, dediti alle cose materiali, e perfino senza scrupoli … Sono i viaggi nei luoghi della memoria, ma anche le fiabe e la vita quotidiana frugale e saggia della nonna che attraggono questi ragazzi, consapevoli di apprendere cose che i loro coetanei cresciuti a coca cola, sanjo e congegni Phillips difficilmente capirebbero. Una visione, quella del grande signore ottuagenario del cinema d’autore giapponese, fondata sulla superiorità spirituale delle persone che vivono a contatto con la natura, mentre amaro e ironico è lo sguardo verso quei luoghi fittizi che sono le città. MISSISSIPI-MASALA REGIA DI MIRA NAIR Una storia che ripercorre chilometri e anni ma che sembra portare con se un germe una terribile idea o pratica universale: l’odio etnico. Questo film racconta la storia di una famiglia indiana deportata dalla mostruosa Compagnie-delle-Indie-mai- sciolta (il Commonwealth britannico) in una landa desolata, per la costruzione di quel simbolo di progresso (per altri) che è la ferrovia, su una terra a sua volta colonizzata: l’africana Uganda. Il regime autoritario, instaurato quando oramai gli asiatici erano diventati ricchi e per questi non tollerati (“l’africa agli africani” giustamente afferma a malincuore il “fratello” Urute! sbagliando mira!), ne decreta l’espulsione … e così la nostra famiglia si trasferisce in Mississipi, nel profondo del sud statunitense. Odio e rancore qui prendono altre forme, non meno subdole; le vicissitudini di ciascun membro della famiglia si riversano sulla già adulta –ventiquattrenne- sorella che s’innamora di un afroamericano. Nonostante le reciproche incomprensioni la storia ha un “happy end”, ma non prima di aver assaggiato tutti i disvalori delle differenze … ma è la musica e i colori dei vestiti e della magnifica natura circostante ad attutire le tremende indifferenze … LANTERNE ROSSE (Cina 1991) REGIA DI ZANG JIMOU Creazione perfetta di un mondo antico, capolavoro di un cinema di assoluta purezza narrativa. Pur presentando alcune posizioni “politicamente ortodosse”, ossia corrette, un medioevo in agguato è un dato di fatto.


Appendice n.1 Cinema e letteratura. FILM citati in “L’età forte” di S. de Beauvoir Un chien andalou (Buňuel-Dalì) Tempeste sull’Asia L’age d’or (Buňuel) Million dollar legs (con W. C. Fields) Terre dissodate ( Sciolokov) Le sette mogli di Enrico VIII (C. Laughton) Kuhle Wampe (B. Brecht) L’affaire est dans le sac (L. & J. Prevert) Viaggio senza ritorno (K. Frances & W Powel) << … che bel film!>>. Tempi moderni (C. Chaplin) I trentanove gradini (Hitchcock) I verdi pascoli ( isp. dalla commedia di Connolly) Drole de Drame (M. Carné) Quai des Brumes con J Gabin, Brasseur, Simon


Appendice n.2 Due film capolavori: “Viridiana” di Luis Bunuel “La Fiammiferaia” di Aki Kaurismaki Storie di donne, diverse epoche, diversi contesti, un legame che, sul piano narrativo, sa di tragedie moderne ed unicità di queste. È una fuoruscita dal mondo, da questo “mondo”. Se in Viridiana è l’idealità dei buoni propositi, delle proprie scelte di vita di darsi agli altri, in La Fiammiferaia è la realtà stessa che conduce alla scelta violenta di sopprimersi. La Spagna e la Finlandia sono posti lontanissimi, eppure, anche in contesti storici differenti, c’è sempre una sorta di ribellione che caratterizza la donna, la figura femminile sempre oppressa nei secoli ma che ha sempre agito come se quest’oppressione non fosse mai esistita. Un reazione c’è sempre stata, ed è stata quella di esser sempre soggetto anti-maschile. Ma cosa distingue “Viridiana” dalla protagonista della fiammiferaia (un titolo così anderseniano!)? Forse le non-scelte che compongono, come un commentario, un tessuto di tragedie quotidiane e universali.


Appendice n.3 IL CANONE OCCIDENTALE (PARTE SECONDA). EL ANGEL ESTERMINATOR (Messico, 1962) REGIA DI LUIS BUÑUEL Idealmente collegato con “Il fascino indiscreto della borghesia”, quest’affascinante capolavoro della cinematografia degli anni sessanta ha conservato una sua valenza realistica nella capacità di descrivere, analizzare e minuziosamente illustrare la borghesia evocata dal titolo precedente. Solo che, forse, nel frattempo, la classe generale è diventata una “totalità parziale”, scomposta in tanti singoli individui, ognuno capace di un’alta performance nell’ambito delle nefandezze umane, quindi ipocrisia, ambiguità, violenza, gelosia e vanagloria, il tutto compreso dentro la formale cornice della buona educazione. L’estenuante formalità degli ossequi, del beau geste, della rispettosità farisea, prepara il disvelarsi dell’esibizione delle atrocità. La descrizione si svolge intorno alla psicologia di individui che della conformità alle regole di rappresentazione sociale hanno fatto il loro modus vivendi mentre il regista si diverte nel creare un luogo che li costringe a vivere -e sopravvivere!- tra di loro nonostante si svelano tutte le vigliaccherie, le meschinità, l’ ira dell’uno contro l’altro, fino a veri e propri tentativi di uccidersi vicendevolmente. E siccome il luogo scelto per questa singolar tenzone è una Chiesa, a voi l’ardua interpretazione. POWAQQATSI KOYANIQQATSI ANIMA MUNDI REGIA DI GODFREY RIGGIO (USA, 1988-1990) In un epoca di transizione come la nostra si presentano numerosi varianti interpretative del paradigma uomo-natura. Se al “meccanicismo” va sostituendosi un “neovitalismo” non è la scienza che perde la sua funzione o il suo statuto epistemologico: si è semplicemente all’interno di una sua evoluzione che presenta delle regolarità e delle riproposizioni.


I film di Riggio sono antropologia visuale che sconfinano con una psicologia universale. << Non è semplice per la gente identificare la struttura che connette con il “sacro” >> (G. Bateson). Nel caso di Powaqqatsi il discorso è complicato perché la sacralizzazione sembra riguardare contemporaneamente la natura e l’uomo, con quest’ultimo investito di una luce particolare che lo fa ergere a totem … Rimane il fatto che il luogo naturale subirà ancora per molto la violenza e con questa reagirà.


Altri film (s)visti: IL MISTERO VON BULOW, bravo solo J. Irons. LA DOPPIA VITA DI VERONICA DI KIELSLOWSKI Film bellissimo se visto con lo spirito giusto, un bellissimo esercizio virtuoso di composizione di musiche ed immagini, ambedue mai sconfinanti nella banalità o nella saccenteria, un equilibrio tra il “detto” e il “sentito”. La bravissima protagonista – la scena dell’autobus!- ha saputo mettersi nella giusta posizione: la rotazione. “GREEN CARD” con G. Depardieu e A. McDowel: non commentabile. “ANOTHER COUNTRY”: nel “Libro versus Cinema” è segnato con due palline nere su cinque (accettabile). “SWEETIE” di J. Campion ( … sembra un omaggio alla fotografia di Diane Arbus!) “MARRAKESH EXPRESS” di G. Salvadores “LA TIMIDA” di C. Vincent “IL NIDO DELLE AQUILE”: polpettone ecologista (da rivalutare?). Il “prezzo del progresso” viene sostituito dalla topica “salvaguardia dell’ecosistema per un progresso più sicuro”. “WHORE! (Puttana)” regia di Ken Russel Commenti generali: Che ci siano dei brutti film è comprensivo, ma alcuni film per il fatto di esser brutti risultano tutt’altra cosa! Il film Whore è lo studio di un’esistenza, ovvero di una vita ai margini della storia con la maiuscola: è come se la vita fosse maestra di se stessa. Tutto è un racconto superante il senso della storia: una cosa già detta, ma dove arriva la letteratura non arriva la storia! Il libro ANIMAL’S FARM di Orwell è l’esperienza (unica, a suo dire) positiva di questa donna violentata, picchiata, rubata, sfruttata … poi compare un rasta sgozzatore, quasi a definire una giustizia dei diseredati che proviene dall’esperienza deviante-emarginante di questa società.


Capitolo XII Visioni d’essay


Papà (guardia nazionale) <<… figlio mio, si vive per il superfluo. Dobbiamo averlo, quand’anche fossero necessari i cannoni. D’altronde perché si fa qualcosa? Per potersi poi concedere qualcosa! … >> (da “I giorni della comune” di B. BRECHT)

Visioni per una storia del cinema. L’URLO (1957) DI MICHELANGELO ANTONIONI. L’UOMO DI PAGLIA (1958) DI PIETRO GERMI. Arancia meccanica ( A clock work orange, G.B., 1971) di Stanley Kubrick. Lo straordinario racconto de “L’urlo”, ove si compongono i temi più interessanti del CINEMA D’ARTE del decennio d’oro dell’industria audiovisiva italiana, regge al passaggio inesorabile del tempo. I temi sono la capacità della protagonista (e della donna così raccontata) di darsi consapevolmente delle “svolte”, e l’uomo di compiere quel viaggio alla ricerca di “sensi della vita”, fino al nichilismo della protagonista come soluzione bellissima del dramma. Lo schema narrativo inusuale e la rappresentazione “pittorica” o fotografica molto originale (valli, casolari e paesini sperduti e quasi espressioni della fantasia). Complementare, certamente, per certi versi e per alcuni temi trattati, è “L’uomo di paglia”, dove, invece, il dramma del protagonista è vissuto esternamente – la morte della sua amante- ma non per questo meno è l’esasperazione. Il finale è, comunque, interno a una idea italiana della tragedia: tutto si risolve all’interno dell’integrazione dell’istituzione familiare. NIENTE BACI SULLA BOCCA (FRANCIA, 1992) REGIA DI ANDREÈ TECHINEÈ Negli ambienti urbani delle grandi città il cinema ha indugiato su individui dalla singolare vita quotidiana, con interessanti lavori di buona fattura (uno su tutti “My private Idaho”, di cui scrivemmo la recensione, pag. xxxx). Ma la cosa che interessa un osservatore disimpegnato è la coincidenza con temi e situazioni tipiche che


sfociano in stereotipie … Saranno i cambiamenti della percezione delle città moderne che presentano tutte le stesse “anomalie”? LUNGO GIORNO FINISCE (THE LONG DAY CLOSES, GB 1992) REGIA DI TERENCE DAVIES … affascinante viaggio nell’Inghilterra degli anni cinquanta “CATTIVA” (ITALIA-FRANCIA) REGIA DI CARLO LIZZANI CON J. SANDS E GIULIANA DE SIO. Si dimentica subito. Ma a proposito cos’era il soggetto di questo film? Brava la De sio ma che ci faceva lì Sands? UN ANNO DI 13 LUNE (GERMANIA) REGIA DI REINER MARIA FASSBINDER Se la tragedia moderna si scompone in tante piccolissime trame, tessute su di un prolungatissimo e interessante “… (incomprensibile) du cinéma” , vien voglia di capirne di più ma i limiti son tanti… la lingua, il background, la difficile traduzione dal tedesco poco poetica e velocemente appresa nei sottotitoli, et cetera. Il film è un inno doloroso, il tema è l’identità di un travestito (oggi si parla di trans gender): sa di essere “questa”, non sa perché lo è, smette di esserlo nella forma ma il contenuto della sua emotività è lì a ricordare la sua natura: solo il suicidio risolverà la sua tragedia già annunciata e denunciata. C’è una scena che attonitamente e priva di ogni retorica coagula l’intera faccenda di una vita infelice: nel mattatoio fra scarti e carcasse di animali in macellazione, il lavoro di quest’ibrido uomo/donna –termine che non rende il senso!- non si fa altro che ascoltare come una lunga litania, un canto doloroso di quest’essere umano, mentre fiotti di sangue sgorgano dalle mucche squartate!

TANGOS: L’ESILIO DI GARDEL (1984) REGIA DI FERNANDO SOLANAS Una composizione in sol maggiore per la cultura ispano-americana: si assiste continuamente, nel film, alla funzione creatrice che dovrebbe rivitalizzare un micro mondo fatto di dolorose aspettative di esiliati politici. La dittatura, citata soltanto nel contesto della festa dei rifugiati argentini, è vista come una sciagura che ha spazzato uomini da un paese che si avviava verso una nuova rigenerazione. C’è una bellissima fotografia che a volte sfiora il “sublime” (esempio la visita a casa del generale argentino, protagonista della liberazione).


THE COMPANY OF STRANGERS (trad. It. “In compagnia di signore perbene ”, Canada 1990). REGIA DI CYNTHIA SCOTT Film molto bello. La storia di un’età in cui si dà spazio all’avventura, calma e disinteressata, di un’età in cui si non si può correre, si ha i capelli grigi e un bastone per sorreggersi. Le nonnine che raccontano le loro avventure, fatti di piccoli sentimenti, di piccoli eventi, le loro esperienze. C’è anche una diversificazione culturale, una pluralità di personalità quasi a rendersi conto che quasi tutti hanno o hanno avuto il loro “inferno” (segregazione o sessismo). “BOOM BOOM” REGIA DI R. Vargas Film neanche visto per via delle distrazioni. CROCEVIA DELLA MORTE (Miller’s crossing) REGIA DEI FRATELLI ETHAN & JOEL COHEN Un interessante lavoro cinematografico, gli anni quaranta negli USA senza perdita di efficacia – nonostante l’assuefazione del recente cinema americano su questo periodo – con un giusto equilibro tra storia e fotografia: avevo già sentito parlare dei geniali fratelli del cinema contemporaneo premiato col palmares.

Ogni film da vedere può presentarsi incomprensibile, ma il giudizio formulato non sarà dipeso dall’adeguare i propri gusti a quelli universali (presunti tali). “LOLITA” REGIA DI STANLEY KUBRICK CON J. MASON È la storia di un professore che incontra una giovanissima seducente personalità, la figlia della donna che si innamora di lui e … iniziano così una serie di situazioni comiche, paradossali e, infine, tragiche che portano alla morte della madreinnamorata e la fuga dell’adolescente col suo amante artista-trasformistasceneggiatore fallito, che, a sua volta, muore in una tragica vendetta ridicola (ossimori necessari per spiegare Kubrick). Queste variazioni di genere tipiche ed efficaci per un attore straordinariamente completo come Peter Sellers (l’amante), rendono il film piacevole e rilassante e


anche un vero lavoro di rottura col modo classico di raccontare “storie d’amore” non stereotipate. Lo schema narrativo realistico si presenta con tutta la vivacità, non abbassandosi mai e tenendo assai bene i dialoghi e le immagini come solo un grande maestra contemporaneo può fare. IL CINEMA DI KEN RUSSELL “IL MESSIA SELVAGGIO” (1969) “I DIAVOLI” (1973) Due film stupendi, in cui la creatività di Russell raggiunge il suo apice e s’integra in modo straordinario con la scelta di attori e con una ricostruzione scenografica di valore. Una “summa filosofica” sul fin de siecle è possibile intravvedere nel primo dei due film (1969): le questioni fondamentali del rapporto tra arte e vita, l’intreccio tra le culture e le ispirazioni individuali, l’anarchia delle pulsioni vitalistiche e delle arti, con la conseguente distruzione dei valori della società, dell’ordine costituito, della morale sono i temi sviluppati e narrati. Il forte soggettivismo assoluto, nicciano e maudit, e l’onda forte della Storia (la guerra imminente) con le violenze collettive, s’intrecciano e avviano quella fase che ha generato uomini e opere, irriducibili e ancora di difficile collocazione all’interno di un secolo, il XX, che fin dai suoi esordi ha posto problemi ancora irrisolti. Ne “I Diavoli”, tratto dal romanzo di Aldous Huxley, il regista pone l’accento sul linguaggio, sui drammi e sulle dinamiche sociali e culturali di un secolo in cui si manifestano i prodromi della nascita dello Stato moderno (e assoluto): tutto veniva ricondotto ai rapporti di potere - il corpo, la città, le idee religiose, le classi sociali in ascesa-; un secolo, il XVI, che ha visto guerre di religioni e guerre economiche in stretta misura legate allo sviluppo di pensiero che oggi definiamo “moderno”.


CONCLUSIONI Florilegio


CHARLOT Charlot è un personaggio mitico di Andrè Bazin. Charlot è un personaggio mitico che domina ciascuna delle avventure nelle quali è coinvolto. C. esiste per il pubblico prima e dopo “la strada della paura” o il “Pellegrino”. Per centinaia di milioni di uomini su questo pianeta Charlot è un eroe come lo erano nelle altre civiltà Ulisse o il prode Orlando, con questa differenza, che oggi conosciamo gli eroi antichi attraverso opere letterarie concluse che ne hanno definitivamente fissato le avventure e le trasformazioni, mentre Charlot è sempre libero di entrare in un nuovo film. Chaplin vivo rimane il creatore e il garante del personaggio di Charlot. (da A. Bazin “Che cos’è il Cinema?”, Garzanti, Milano 1978).

ANEDOCTICA In un film di Alfred Hitchicock, Ingrid Bergman dice, leggermente alticcia, mentre abbraccia Cary Grant, (ancora) piuttosto sulle sue, molto stanco: << La prego: un uomo stanco e una donna sbronza fanno una coppia perfetta >>. << Un uomo stanco e una donna stanca fanno la coppia più bella del mondo >>. (P. Handkle – Saggio sulla stanchezza)

<< Poi è venuto il cinema e con la dinamite dei decimi di secondo ha fatto saltare questo vecchio mondo simile a un carcere; così noi siamo in grado di intraprendere tranquillamente avventurasi viaggi tra le sue sparse rovine >> (W. Benjamin, 1936)

La straordinaria figura del regista Orson Wells Filmografia:


F. come falso (F. for fake, 1973); Filming Othello (1978); Otello (Othello, 1952); Quarto Potere (Citizen kane, 1941); Rapporto confidenziale (Confidential report, 1956); It’s all true (1941); Macbeth (1947-1950); The Lady from Shangai (1948). << Una sera, ad Amburgo, ci sono tre spettatori in sala. Lo spettacolo comincia. Orson Wells entra in scena e si presenta: autore, compositore, attore, scenografo, direttore di scena, regista, saggio, finanziere, buongustaio, ventriloquo, poeta. Poi si meraviglia di essere venuto così numeroso mentre loro sono così pochi. Senza dubbio IL PROCESSO dimostra che non è facile per un “wonder kinder” invecchiare bene, e si può temere che le sue ali di gigante impediscono al nostro albatro scespiriano di marciare sulla vecchia Europa. Eppure maledetti noi se dimentichiamo per un attimo che è il solo con Griffith – chi il muto chi il parlato- ad avere messo in moto questo meraviglioso trenino elettrico al quale Lumiere nnon credeva. Tutti sempre gli dovremo tutto >>. (Jean-Luc Godard, Cinema è cinema)

… e non potevamo finire con PIER PAOLO PASOLINI, “IL BUFFONE DEL RE” (1974) Se il mondo è del tutto mutato (poiché è del tutto mutato il potere), mentre il cinema e le altre arti ancora più o meno sono legati a una loro tradizione espressiva *…+ ciò significa che viviamo un periodo contraddittorio, di passaggio. Che io suppongo assai rapido *…+ Si dirà che un autore che è stato come me, << buffone del re>>, recalcitra a diventare << buffone della massa >>. Ma anche questa è una deduzione da padre, che crede di essere rigoroso estendendo il suo rigore. Egli ha creduto, per esempio, di essere assai profondo e brillante identificando l’opera d’arte con un prodotto come gli altri, e quindi un bene di consumo. Ebbene il Padre ( il Padre politico, direbbe Barthes) si è sbagliato. Si consuma un libro, anzi l’edizione di un libro: non la sua espressività. Che resta per sua natura inconsumabile *…+ Per adempiermi secondo le mie regole io posso continuare a rischiare di essere un << buffone del re>>: mentre posso rifiutarmi anche alla minima eventualità di essere un << buffone della massa>>. Per fare questo dovrei diventare puramente comunicativo, dimenticando le difficili regole dell’espressività *…+ Dato il mutamento improvviso e totale dei valori *…+ e dato che a vivere compiutamente tali valori sono i figli *…+ succede che i veri padri sono in realtà i figli: appunto i padri pragmatici, storici *…+. Ma ai Padri bisogna sempre ribellarsi, anche se questi


Padri sono oggi cronologicamente i figli. Ribellandoci ai padri-figli, perduti e chiusi in un mostruoso mondo di pura comunicazione, di acido sentimento dei propri diritti – significa continuare scandalosamente a valorizzare l’espressività e a nutrire l’imperterrito sentimento dei propri (non altrui) umili doveri.



Pierpaolo Cetera (Mirto di Crosia, Cosenza, 1969) È un operatore culturale, appassionato di cinema. Ha partecipato – come spettatore- a numerosi incontri con attori, registi e sceneggiatori. La sua presenza nei principali festival cinematografici è stata discreta e incostante.

Con l’era digitale la passione per la settima arte è diventata una “questione privata”. Suo il canale su youtube chiamato “Tirsenide channel”





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