Origine della Sociologia

Page 1

A CURA DI PIERPAOLO

ORIGINI DELLA SOCIOLOGIA

CETERA

Durkheim e le origini della sociologia | saggio breve e bibliografia 1


2


1 TEORIA DELL’INTEGRAZIONE SOCIALE Durkheim divenne politicamente sociologo, maniera probabilmente paradossale ancora di voler fare della sociologia la contropartita del socialismo, cioè una risposta all’identica questione di superamento della perdita dell’uomo. I lavori di D. fra il 1885 e il 1914 affrontano temi svariati: perché i sociologi? Quale ruolo possono assumere gli intellettuali nel processo di mutamento? Come concepire il socialismo? Qual è l’indirizzo della nostra civiltà? Il progetto di una scienza sociale pratica In D. vi è “ … un duplice bisogno che in fondo può essere considerato un tratto di personalità: un’esigenza di c o m u n i o n e, per prima cosa legata al pensiero che l’uomo non esiste che per l’altro, per il calore di gruppo, per la partecipazione comunitaria; un bisogno di legge, in secondo luogo, in rapporto all’ipotesi che l’uomo non possa vivere fuori di un inquadramento” (voluto nella condivisione e nella libera scelta.) Dal punto di vista storico questo periodo si caratterizza dal consolidamento della Repubblica di Gambetta, dall’introduzione in Francia del marxismo per opera di J. Guesde e nel 1879 dalla fondazione della “Federation des travailleurs socialistes de France”, diventato successivamente Partito Operai francese (SFIO), con l’espulsione degli anarchici, dei blanquisti, dei proudhoniani e dei marxisti internazionalisti. L’ambiente in cui si viene a trovare il giovane D. è quello dello scontro fra anarchici e collettivisti che si riflette sul piano filosofico come dicotomia fra individuo e società. D. si chiede se l’idea individualistica sia ineluttabilmente antagonista al socialismo. La sociologia deve costruirsi con i principi propri, i principi sociologici. Se la COESIONE contrariamente alla disunione che spezzetta e abbandona l’uomo all’angoscia della solitudine, e il fine immanente, l’essenza di tutte le società, essa diviene valore … la sociologia si fonda su un oggetto, la coesione, che è nello stesso tempo un valore: è morale tutto ciò che crea solidarietà sociale. La società si forma su una COMUNIONE NORMATIVA e la sociologia (superando così le tesi di Spencer) deve operare in un ambito distinto dalla PSICOLOGIA. Altro problema fondamentale per D.: come il sociologo poteva conciliare la necessità di un 3


atteggiamento “distaccato” nel corso del lavoro metodico di elaborazione della nuova scienza, e il carattere “pratico” di questa scienza, non meno del suo personale impegno … 2. LA DIVISION DU TRAVAIL SOCIAL (1893) In esso la divisione sociale del lavoro è mostrata come creatrice di solidarietà, in quando le regole necessarie nascono dal rapporto delle parti in presenza, e sussiste un consenso sufficiente relativamente ai valori fondamentali … un tempo sono state le credenze religiose tradizionali a svolgere questo ruolo ma ora non è più possibile rispetto allo sviluppo della scienza e del razionalismo … questi valori sono i valori individualistici cioè rispetto dell’umanità nell’uomo … un nuovo individualismo ( che supera l’utilitarismo e l’anarchismo) che è fattore di integrazione. Valori individuali e il personalismo. … doppio ordine di convincimento: la solidarietà degli individui e dei gruppi risiede nell’unità di fedeltà a un corpo comune di regole e di valori interiorizzati nella personalità dei membri della società globale, sebbene analiticamente indipendenti dagli individui e istituzionalizzati nel sistema sociale… gli atteggiamenti morali individuali, i modelli specifici dei sotto-gruppi funzionali rischierebbero di essere disintegratori se non esistesse questa unità di fedeltà. Le regole e i valori ultimi della società concernono in definitiva la legittimazione dei diritti delle responsabilità e delle vocazioni dell’individuo: la sopravvivenza stessa delle moderne società dipende dal riconoscimento, da parte loro, dei valori individuali la cui prima espressione fu quella del secolo dei Lumi e della Rivoluzione. Nelle società arcaiche, dove alla diffusione dei ruoli e dei compiti è inesistente il sistema sociale si regge per l’omogeneità delle regole e dei valori che costituiscono al “coscience collective” (la coscienza sociale). La coscienza collettiva COINCIDE con la coscienza individuale (solo i capi sono in possesso di una personalità individuale) è quindi l’INDIVIDUALITA’ è NULLA. Nelle società moderne la differenziazione dei ruoli e delle funzioni porta alla costituzione di una società organicamente solidale, in cui l’attività individuale diventi più specifica, più personalizzata, che vi sia mobilità individuale per quando riguarda 4


le capacità specifiche, realizzazioni delle propensioni e delle vocazioni. Ai valori comuni specifici delle società arcaiche vengono man mano sostituiti i valori specifici dei gruppi e le regole che organizzano i rapporti fra i gruppi … cosicché l’individuo viene fatto oggetto di rispetto (culto della persona). D. non vede subito che questo culto crei un effettivo legame sociale . Dopo il 1895 D. sostenne che il sentimento del SACRO esprime la comunità nel suo primato ontologico; nel culto della persona vi è un germe della “nuova religione” (fare dell’uomo un dio per l’uomo), la religione dell’Umanità il cui dogma è l’autonomia della ragione e il primo rito è il libero esame. Nell’individualismo non è implicato un primato epistemologico (legame sociale come finalità dell’individuo), etico (dedurre una morale dall’individuo) o psicologico (confondere personalizzazione ed egoismo) perché l’essere-in-gruppo implica la realizzazione di sé ma anche l’acquisizione del legame con gli altri. L’oggetto del culto di persona è la persona umana in astratto in qualunque forma s’incarni. La società deve soddisfare due requisiti: 1. Le attitudini e le scelte possibili. Essendo le prime naturalmente ineguali (ognuno ha una propensione per un lavoro) ci devono essere le condizioni di possibilità uguali per tutti nella competizione sociale per gli accessi ai ruoli nella società. 2. Scala di valutazione e gerarchia dei servizi sociali. Quando la remunerazione è congrua al livello gerarchico del servizio, allora si può parlare di equità. Durkheim afferma che è l’opinione che fissa questa scala, in funzione di volta in volta delle qualità e della quantità del lavoro; e, fissandola essa determina anche i “bisogni normali” che l’individuo può a buon diritto soddisfare. D. non approfondisce perche radicalizzerebbe “il contenuto politico” delle sue affermazioni! Si può parlare di attitudini naturali in sé? Le scelte non sono legate all’ambiente, all’educazione (e che quindi) si avvantaggia lo sviluppo di “talenti” presso alcuni arrecando detrimento ad altri ? In più la tendenza dell’opinione è quella di non considerare con lo spesso occhio gli uomini delle differenti classi sociali e ad accordare a priori maggior merito agli uomini delle classi superiori.

5


D., identificando i meriti e i bisogni (ognuno ha i bisogni che merita) e considerando che la formazione dei bisogni implica una non-riconciliazione fra eguaglianza e organizzazione meritocratica, conscio di queste aporie, avviava una riflessione più generale sullo Stato e sulla società politica.

Potere e comunicazione: la democrazia. In una società, in cui i compiti possono essere indifferenti simili o differenziati, costituita da gruppi i cui valori e interessi sono spesso antagonisti, DURKHEIM non vede molto bene che un organo eminente debba esercitare una funzione privilegiata di direzione. Nell’ottica FUNZIONALISTICA-STRUTTURALE tipica di D., esso non potrebbe essere altro se non un gruppo particolare il quale esplica un compito determinato composto da funzionari sociali che inquadrano il loro comportamento in un ruolo: in ultima analisi un << un gruppo di funzionari sui generis >> Nelle società moderne l’individuo appartiene alla società globale ma anche al gruppo che costituisce il suo ambito sociale immediato. Questo gruppo esercita pressione (potere) sull’individuo stesso, una pressione costrittiva e dispotica. Lo Stato che acquista potere sociale collettivo, è un vero e proprio contro-potere che ha la capacità, richiamando ai gruppi gli imperativi dell’autonomia individuale, partecipando all’istituzione delle regole che sottraggono l’individuo al potere dei gruppi elementari, di far emergere le libertà individuali. Ma se lo Stato avesse il controllo del pensiero e delle decisioni vi sarebbe in questo caso monopolio; con il quale alla tirannia del gruppo di appartenenza si sostituirebbe quello dello Stato. Gruppi e Stato siano forze sociali il cui conflitto è la matrice da cui nascono le libertà individuali. Sarebbe stato preferibile che D. dicesse con maggior chiarezza le ragioni dell’apparizione dell’assolutismo nelle società industriali, e si domandasse se, in quelle società, lo Stato assoluto non governi per caso per il profitto delle classi sociali privilegiate. D. critica la democrazia diretta (Rousseau)[in cui lo Stato fosse la semplice espressione delle volontà generali, limitandosi a tradurle] perché ciò negherebbe la funzione innovatrice in rapporto alla volontà singola. Anche la democrazia LIBERALE è criticabile perché lo stato sottomesso alle correnti di opinioni (interessi puramente elettorali) e alla routine burocratica – che servirebbe da freno alle eccessive mobilità elettoralistiche dei gruppi – lo Stato, dicevamo, diverrebbe una unione bizzarra di 6


inerzia e di attività e perciò l’individuo è abbandonato alla tirannia burocratica e al dispotismo dei gruppi particolari. LA DEMOCRAZIA È DUNQUE DA FARE. L’equilibrio dei poteri e delle comunicazioni non unilaterali probabilmente non è possibile, nello schema di D., se non nella misura in cui lo Stato acconsenta a riconoscere il POTERE ANTAGONISTA di certi gruppi o frange sociali così come la sua funzione maieutica nei confronti delle libertà individuali. Alla ricerca di un socialismo D. accusa l’economia politica di essere impregnata di INDIVIDUALISMO UTILITARISTICO, di isolare le attività economiche dalle altre funzioni sociali di non fornire che una conoscenza mutilata, occorrerebbe che l’idea sociologica s’inserisse dentro il corpo dell’economia politica. I fatti economici producono soltanto AMORFISMO E ANOMIA. D. insiste sulla necessità di istituire una sociologia economica la quale studi obiettivamente le istituzioni economiche così importanti nelle relazioni sociali. Il superamento del malessere tipico delle società industriali non può vertere esclusivamente nella modificazione economica ma anche nell’instaurazione di regole etiche. Teso alla costruzione di una “sociologia dei socialismi”, D. oscilla tra due spiegazioni: la grande industria crea direttamente l’ideologia del socialismo; la grande industria e il socialismo sono in conclusione effetti del medesimo Stato Sociale caratterizzato dalle nuove condizioni di produzione e di scambio, dall’unione di macchinismo e di liberalismo, dall’emergenza di una società in cui il progresso tecnico si sviluppa disorganicamente nei confronti di un sufficiente sistema regolatore. Per D. i socialismi hanno l’obiettivo di collegare le funzioni economiche e lo Stato (far entrare l’economico nella sfera del politico). Se questo collegamento è totale si ha un SOCIALISMO AUTORITARIO perché la << … massa dei cittadini non sarebbe altro che una materia malleabile e docile nelle mani di un governo onnipotente >>. Contrapposto a questo vi è il SOCIALISMO DEMOCRATICO (mutualismo di Proudhon, tesi marxiana della scomparsa dello Stato, Fourier … sono il sostrato di questo socialismo) … ma la difficoltà di D. è risolvere il problema della relazione Stato-Individuo. Si può ipotizzare che D. fosse vicino a una concezione AUTOGESTITA DELLA SOCIETÀ, ma la critica della Democrazia Diretta impedisce questo passaggio e quindi parlando di autonomia dei gruppi e riprendendo le tesi sul CORPORATIVISMO l’autore le riammette 7


nel socialismo. Occorre aggiungere inoltre che D. non precisa se la struttura capitalistica fa o non fa parte della natura sociale. D. non è lontano dal mostrare nell’organizzazione TECNOCRATICA un rischio di perdita dell’uomo o almeno di abbandono del culto dell’uomo (espressione, questa, della sociologia positiva e non solo, ndr). Individualismo e anomia. Lo sviluppo del “culto dell’individuo” è possibile solo con la laicizzazione di gran parte dei settori della vita sociale. Esso si differenzia nettamente dalle forme tradizionali di CONSCIENCE COLLECTIVE in quando i sentimenti e le credenze comuni, di cui esso pure è costituito, si accentrano sul valore e la dignità dell’individuo piuttosto che quelli della collettività. Si può obiettare che la specializzazione e la divisione del lavoro più che creare culti o moralità umana produce conflitto, come ad esempio quello tra Capitale e lavoro. Per D. la divisione delle funzioni economiche ha momentaneamente sopravanzato lo sviluppo di un sistema di regole morali a esso adatto. La divisione del lavoro non produce coesione perché l’individuo è in uno stato ANOMICO (dal greco a – nomos [privo di] Legge). FATTI SOCIALI: esteriorità e costrizione. I “fatti sociali” sono esterni all’individuo (non l’individuo asociale, Isolato, degli UTILITARISTI, ma l’uomo in carne e ossa di una società concreta) nel senso che ogni uomo nasce in una società che già sussiste, un’organizzazione o struttura definita che condiziona la sua personalità; ma sono esterni all’individuo anche perché l’individuo è solo un elemento singolo all’interno della totalità delle relazioni che costituiscono una società (<< Il sistema dei segni che uso per esprimere il mio pensiero … funziona indipendentemente dal fatto che li uso io >> ). L’altro elemento dei fatti è la COSTRINZIONE: (ES. DELLA PATERNITA’) un uomo “genera” un figlio ma la paternità è il vero fatto sociale perché il padre è obbligato a comportarsi in modo determinato con i figli e la famiglia, è “costretto” dal sistema dei doveri morali validi per lui come per gli altri uomini. Democrazia e gruppi professionali

8


In LA DIVISIONE DEL LAVORO Durkheim sostiene che lo sviluppo di una società risiede nella costante emancipazione dell’individuo dalla CONSCIENCE COLLECTIVE e quindi dall’affermazione degli ideali morali, dei diritti e della dignità dell’essere umano individuale. Apparentemente la concezione di D. si oppone all’estensione dello Stato nella Società ma l’autore concepisce lo Stato come luogo di responsabilità e difesa dei diritti dell’individuo. Patologia e normalità. Si può determinare la “normalità” considerando il prevalere di un fatto sociale nelle società di un dato tipo … se questo fatto sociale è presente in tutte le società di uno stesso tipo (criterio di universalità) allora si parla di normalità. Per es. il crescente prevalere della solidarietà organica conduce alla fine di quella credenza, per cui la progressiva sostituzione con altre credenze costituisce la normalità. Per D. il socialismo sostiene il << collegamento di tutte le funzioni economiche, o di alcune di esse, che sono indipendenti al momento attuale, con i centri direttivi e consapevoli della società >>. Socialismo → regolamentazione della produzione, libertà di usufruire dei prodotti a

proprio soddisfacimento personale; lo Stato è fuso con l’economia. comunismo → il consumo è comune ed è la produzione che è privata; lo Stato si

estingue, l’economia è privata secondo la concezione di Durkheim lo Stato deve svolgere un ruolo tanto morale quanto economico e la diminuzione del malessere del mondo contemporaneo deve essere ricercata con provvedimenti che sono in generale più morali che economici … il problema caratteristico che si presenta all’età moderna è di conciliare nuovamente le libertà individuali che sono sorte dalla dissoluzione delle società tradizionali con il mantenimento della regolazione morale da cui dipende l’esistenza stessa della società. Lo Stato può diventare un apparato repressivo, staccato dagli interessi della massa degli individui della società civile. Questo può accadere se i gruppi secondari, che agiscono tra l’individuo e lo Stato, non sono fortemente sviluppati: solo se questi sono abbastanza saldi da controbilanciare lo Stato i diritti dell’individuo possono essere protetti. È quest’ affermazione della democrazia attraverso questa sua richiesta di rinascita delle associazioni professionali (corporations). Una società è più 9


o meno democratica secondo la terminologia durkheimaniana se esiste una comunicazione reciproca tra lo stato e gli altri livelli della società.

3. CORSO DI SCIENZE SOCIALI (DURKHEIM) [ ] … tutti i teorici della politica vedevano nella società un’opera umana, un frutto dell’arte e della riflessione. Una nazione dunque non sarebbe un prodotto naturale … assomiglierebbe piuttosto a quelle macchine create dagli uomini. Aristotele … il primo che vide nella società un fatto di natura, rimase un precursore isolato. In queste condizioni dunque non vi può essere posto per una scienza positiva della società, ma solo per l’arte politica. Gli economisti furono i primi a proclamare che le leggi sociali sono altrettanti necessarie delle leggi fisiche (il livellamento dei prezzi per effetto della concorrenza è una legge naturale); gli economisti, insomma, ammettevano l’esistenza di fenomeni sociali prevedibili. Gli storici sostengono che la storia non è che un seguito di accidenti che senza dubbio sono gli uni legati agli altri, secondo una legge di causalità, ma senza ripetersi mai. Gli economisti fondano le loro leggi in base all’assunto che l’individuo in relazione al mondo collettivo ha determinati comportamenti economici che sono dedotti dall’individuo stesso e non dall’osservazione della società. Le cose avvengono così perché altrimenti sarebbe assurdo. La parola “naturale” in economia è equivalente a “razionale”. Ma trarre leggi deduttivamente dal comportamento singolo “nel collettivo” è un’astrazione … l’economia politica restò così una scienza astratta e deduttiva. Quest’uomo in generale, quest’egoista sistematico non è che un oggetto della ragione. L’uomo reale è complesso. COMTE recupera l’impostazione degli economisti: con essi dichiara che le leggi sociali sono naturali … assegnando un campo concreto da investigare cioè la società. Essendo l’essere sociale non riducibile ad alcun altro essere, non può essere dedotto e per conoscerlo occorre l’osservazione. In questo momento la sociologia ha in mano un oggetto che le appartiene interamente, e un metodo positivo per analizzarlo.

10


Comte pensa che vi sia una sola specie sociale e i fatti sociali sono sempre e ovunque gli stessi con alcune differenze d’intensità … Le nazioni più selvagge e i popoli più civili non sono altro che stadi differenti di una sola evoluzione; è di quest’unica evoluzione che egli cerca le leggi. Ma Comte non ammetteva una filosofia della discendenza fra gli esseri viventi e riteneva il metodo sociale “differente” dal metodo scientifico (anche se tutt’e due erano positivi) quindi annetteva la sociologia alla biologia e non la integrava. A Spencer va il merito di aver definito la società un “organismo naturale” in cui esistevano delle correlazioni e delle discendenze fra tutti gli esseri viventi (rapporti di filiazione). Aggregandosi le cellule formano gli esseri viventi come gli esseri viventi aggregandosi tra loro formano le società. Sia Spencer sia Comte sono filosofi più che sociologi, non s’intendono dei fatti sociali in quanto tali, non li studiarono con il solo scopo di conoscerli ma per verificare puntualmente la vasta ipotesi che hanno concepito e che deve spiegare ogni cosa. DURKHEIM: << La sua sociologia (quella di Herbert Spencer, ndr) è uno sguardo a volo d’uccello sulla società >>.

11


4. ANTHONY GIDDENS Capitalismo e teoria sociale (su Durkheim) [ … ] tema centrale dell’opera di Durkheim è quello di conciliare la teoria dello STADIO POSITIVO della società, elaborato da Comte, con l’interpretazione, in parte differente dei tratti peculiari dell’industrialismo così come fu sviluppato da Saint Simon. Gli autori che influenzarono il nostro furono: Montesquieu, Rousseau, Renouvier, Boutraux e F. de Coulanger. Altra influenza importante: La teoria dell’organicismo elaborata da Schaffle: la società è un complesso unitario (quasi) paragonabile a un organismo vivente. Dopo Darwin gli studiosi sostennero che le leggi accettate regolanti il funzionamento e l’evoluzione degli organismi animali fornissero un modello per la costruzione di una scienza naturale della società o SOCIOLOGIA. Gli interessi giovanili di D. furono la ricerca della struttura della società e la funzione della morale: leggendo i tedeschi, che stavano elaborando le nuove tesi sulla morale, prende coscienza che né la morale kantiana né quella degli utilitaristi assolvevano il compito di spiegare l’eticità delle società moderne. La moralità è una proprietà collettiva, l’economia classica pecca di presunzione quando sostiene che i fenomeni economici sono separati, autonomi dalle norme e dalle credenze morali che regolano la vita degli individui. << Il contratto non è autosufficiente >>. Fino a quel momento gli studiosi avevano costituito la morale deducendola per esempio da regole astratte invece che dallo studio delle forme concrete assunte da comportamenti morali presenti in determinate società. Sono i bisogni collettivi che modellano la moralità e questi fatti morali sono di una complessità prodigiosa e tocca al sociologo attraverso l’osservazione, la descrizione e la classificazione elaborare l’interpretazione più concreta di questi fenomeni. Per Wilhelm WUNDT (Ethik, 1886) nelle società religiose primitive vi sono due motivi concomitanti che rendono la coesione di queste: le speculazioni metafisiche sul 12


mondo e le regole comportamentali e morali. Per Durkheim questa duplice motivazione regola perfettamente l’intera società. La tesi principale sviluppata nell’opera “La divisione del lavoro” è che la complessa società moderna non tende inevitabilmente alla disgregazione, nonostante lo scadimento progressivo delle credenze morali tradizionali … perché la moderna divisione del lavoro rende l’individuo più cosciente delle responsabilità e del senso di appartenenza alla società (processo di individualizzazione della persona). Questa idea è legata al PERSONALISMO FILOSOFICO elaborato da Renouvier, come d’altronde l’altra idea, il culto della persona. Capacità, talenti, attitudini diverse sono gli effetti della complessità sociale. Nelle società primitive la coesione è dettata dalla religione e la forma che la solidarietà assume è meccanica: le famiglie (clan) sono unità e l’insieme di queste unità disgiunte costituiscono la società. L’individualizzazione in un sistema del genere è tenuta al minimo e quindi la proprietà, che l’estensione delle persone sulle cose, è collettiva perché l’unica persona estesa sulle cose è il collettivo. In tale sistema l’unico diritto è quello repressivo. Man mano che le società si evolvono e gli individui si personalizzano il diritto oltre che al repressivo viene associato al diritto “restituivo”: il ristabilimento delle condizioni di normalità dopo l’abuso procurato contro la sua persona. Alla solidarietà “meccanica” si contrappone la solidarietà “organica”: la riconosciuta somiglianza delle differenze delle persone, dei bisogni, delle aspirazioni, delle credenze.

13


5. MODELLO DURKHEIMANIANO I. Volume, densità e distribuzione della popolazione. Organizzazioni territoriali. Oggetti materiali della società: edifici, vie di comunicazione, monumenti, strumenti tecnologici (macchine, impianti ecc.) II. Istituzioni. A: Regole e norme formali – che si esprimono attraverso le formule fisse del Diritto, i precetti della Morale, i dogmi religiosi, le forme politiche ed economiche, le definizioni dei ruoli professionali oppure che determinano le convenzioni del linguaggio, i doveri delle categorie sociali. B: regole e norme informali che si applicano ad ambiti precedenti, modelli di costume, abitudini e credenze collettive III. Rappresentazioni collettive. A: valori della società, ideali collettivi, opinioni; rappresentazioni che la società si crea autonomamente, leggende e miti, rappresentazioni religiose. B: correnti libere, “fermenti”, idealizzazione collettiva creatrice, valori e rappresentazioni emergenti I→ fatti di struttura II e III → fatti di funzionamento Fra questi esistono interazioni di doppia natura (la struttura determina la vita, la struttura deriva dalla vita, e viceversa). Sotto la spinta dei fenomeni culturali i fatti di struttura evolvono si trasformano e … sotto la spinta dei fenomeni culturali le istituzioni si evolvono e si trasformano … e viceversa. Ma tutto questo movimento è possibile nel tempo. 14


I periodi di crisi sono quelli caratterizzati dalle disparità delle velocità di evoluzione e i conflitti fra i livelli sono più presenti.

Fonti: J. C. Filloux, Introduzione a Emile Durkheim, La scienza sociale e l’azione R. Aron, Le tappe del pensiero sociologico, pp. 29-368 (ultime pag.: Durkheim) P. Rossi, Positivismo e società industriale, introduzione e pp. 49-55, F. E. Manuel, I profeti di Parigi (S. Simon, Comte) A. Pizzorno, Il Pensiero sociologico, in Storia delle idee… (Utet, a cura di Luigi Firpo) R.A. Nisbet, La Tradizione sociologica, la nuova Italia (1979)

15


APPENDICE Il Positivismo (Dal “DIZIONARIO FILOSOFICO”, opera a cura di N. Abbagnano)

Il termine fu adoperato per la prima volta da Saint-Simon per designare il metodo esatto delle scienze e l’estensione di esso alla religione. Esso fu adoperato da Comte per la sua filosofia e per opera di Comte passò a designare un grande indirizzo filosofico che, nella seconda metà del sec. XIX ebbe numerosissime e svariate manifestazioni in tutti i paesi del mondo occidentale. La caratteristica del Positivismo è la romanticizzazione della scienza: l’esaltazione di essa ad unica guida della vita singola ed associata dell’uomo, cioè ad unica conoscenza, ad unica morale, ad unica religione possibile. Come romanticismo della scienza il positivismo accompagna e stimola la nascita e l’affermazione dell’organizzazione tecnico-scientifica della società moderna ed esprime l’esaltazione ottimistica che ha accompagnato l’origine dell’industrialismo. Si possono distinguere due forme storiche del positivismo: il p. evoluzionistico di Herbert Spencer che estende a tutto l’universo il concetto di progresso e cerca di farlo valere in tutti i rami della scienza; il p. sociale di C. H. de Rouvroy conte di Saint-Simon, A. Comte e J. Stuart Mill, nato dall’esigenza di costruire la scienza a fondamento di un nuovo ordine sociale e religioso unitario. Le tesi fondamentali del positivismo sono le seguenti: 1) La scienza è l’unica conoscenza possibile e il metodo della scienza è l’unico valido: pertanto il ricorso a cause o principi che non sono accessibili al metodo scientifico non dà origine a conoscenza; e la metafisica che fa appunto tale ricorso è priva di qualsiasi valore. 2) Il metodo della scienza è puramente descrittivo, nel senso che descrive i fatti e mostra quei rapporti costanti tra i fatti che sono espressi dalle leggi e consentono la previsione dei fatti più complessi a partire da quelli semplici (H. Spencer). 3) Il metodo delle scienze in quanto è l’unico valido va esteso a tutti i campi dell’indagine e dell’attività umana; e l’intera vita umana singola e associata deve essere guidata da esso. 16


Il positivismo ha presieduto alla prima attiva partecipazione della scienza moderna all’organizzazione sociale e costituisce tuttora un concetto filosofico che rimane una delle alternative fondamentali di una tale disciplina (la Filosofia, ndr): ciò anche dopo che sono state abbandonate le illusioni totalitarie del Positivismo romantico cioè la sua pretesa di assorbire nella scienza ogni manifestazione dell’uomo.

17


Indice TEORIA DELL’INTEGRAZIONE SOCIALE, 3 LA DIVISION DU TRAVAIL SOCIAL (1893), 4 CORSO DI SCIENZE SOCIALI (DURKHEIM), 10 ANTHONY GIDDENS, 12 APPENDICE, 16

18


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.