qwertyuiopasdfghjklzxcvbnmqwerty uiopasdfghjklzxcvbnmqwertyuiopasd fghjklzxcvbnmqwertyuiopasdfghjklzx cvbnmqwertyuiopasdfghjklzxcvbnmq STORIA CONTEMPORANEA D’ITALIA Sunti di storia politico-sociale dell’Italia wertyuiopasdfghjklzxcvbnmqwertyui contemporanea. L’Italia monarchica 1861-1943 opasdfghjklzxcvbnmqwertyuiopasdfg hjklzxcvbnmqwertyuiopasdfghjklzxc vbnmqwertyuiopasdfghjklzxcvbnmq wertyuiopasdfghjklzxcvbnmqwertyui opasdfghjklzxcvbnmqwertyuiopasdfg hjklzxcvbnmqwertyuiopasdfghjklzxc vbnmqwertyuiopasdfghjklzxcvbnmq wertyuiopasdfghjklzxcvbnmqwertyui opasdfghjklzxcvbnmqwertyuiopasdfg hjklzxcvbnmrtyuiopasdfghjklzxcvbn mqwertyuiopasdfghjklzxcvbnmqwert yuiopasdfghjklzxcvbnmqwertyuiopas (2012)
Pierpaolo Cetera
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PREFAZIONE Più che una storia integrale queste pagine sono una ricognizione su alcuni aspetti privilegiati, avendo come premessa uno studio già eseguito di una storia dell’Italia contemporanea dall’ottocento al novecento (almeno fino al fascismo). Essendo appunti, questa Storia si presenta frammentaria e incompleta: alcuni aspetti sono stati ridimensionati ( e sono aspetti fondamentali, come la prima guerra mondiale, il regime fascista, il primo sviluppo industriale, la questione meridionale), altri sorvolati o parzialmente redatti. Non mancano però i rimandi continui a testi per approfondire o integrare gli argomenti proposti. I vari capitoli si possono leggere autonomamente. Lo scopo didattico è confermato dal taglio veloce e senza rimandi a note esplicative o riferimenti bibliografici diretti. Per gli approfondimenti rimandiamo alla breve bibliografia finale.
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Capitolo I. L’ideologia della borghesia industriale nell’Italia liberale. Metodologia Livello socio-demografico ↘ Modernizzazione Livello socio-politico
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Funzionalismo come studio dei modelli di orientamento all’azione. Definizione: Capitalismo, subordinazione del produttore al capitalista per il profitto e il mercato. Industrializzazione capitalistica: economia extra-agricola. Habermas : a) quadro istituzionale. b) sottosistemi dell’agire rispetto allo scopo. Nelle società classiche a→b Nelle società capitalistica b→a Distacco formale fra la sfera dell’autorità e quella delle relazioni sociali (Rechtstaat, Stato di diritto).
Ideologia: rappresentazione di un gruppo della formula che riguarda rapporti o trasformazioni della società. Critica scientifica: Pareto. L’ideologia come bisogno di ottenere consenso altrui ai propri desideri. Critica politica: Marx L’ideologia come interesse di classe.
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L’ideologia è composta da elementi empirici e valutativi. Funzioni delle ideologie: i) ii) iii)
Offrire un’immagine delle qualità e dei meriti Applicazioni negli apparati Concezione ufficiale dello Stato
Per l’affermarsi l’ideologia come rappresentazione bisogna considerare: 1) I rapporti fra i fautori e le classi dominanti 2) I rapporti con le classi subordinate. “Il rifiuto di qualunque mediazione col conflitto sociale da parte degli industriali e il rifiuto dell’egemonia della borghesia sulle vecchie classi privilegiate e parassitarie come prologo alla reazione (il fascismo storico)”. << “Paternalismo, filantropia e beneficenza”: il limite massimo cui giungono gli uomini delle classi dirigenti, a tanto indotti non puramente da ragioni umanitarie, bensì principalmente dalla convinzione che ciò sia richiesto da un illuminato spirito di conservazione per rendere inoffensivi gli elementi sovversivi e sovvertitori . Mentalità industriale: la politica è il luogo dei compromessi pratici e non tanto della proposizione di nuovi e generali orizzonti; lo Stato non va conquistato in vista di equilibri economici e sociali più avanzati ma semplicemente subordinato all’ottenimento di consistenti vantaggi materiali. La distinzione tra destra e sinistra storica è riscontrabile al mero livello di temperamenti (Croce). La sinistra continua l’opera politica della Destra con personaggi e frasi della sinistra (Gramsci).
Le ideologie. IDEOLOGIA DELLA DIPENDENZA: I Privilegiati esigono sottomissione, obbedienza e lealtà e
cioè un coinvolgimento primario ed emozionale dei subordinati nei loro confronti; essi, in cambio della completa sottomissione e fedeltà si assumono responsabilità nei
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confronti degli inferiori e cercano di alleviare i disagi e gli imprevisti che a questi possono presentarsi. IDEOLOGIA DELL’AUTONOMIA: I poveri, il popolo, i lavoratori dipendenti sono anch’essi
autonomi costruttori della loro sorte e del loro destino e , conseguentemente, le classi elevate –gli imprenditori- non possono e non devono essere responsabili della condizione dei subordinati e non devono intervenire alleviare le loro pene e per risolvere le loro esigenze. IDEOLOGIA DEGLI IDEALI SUPERIORI: I privilegiati considerano le condizioni sociali come
conseguenza di una logica superiore, una volontà fideistica che predetermina la suddivisione di uomini dotati di elementi “naturali” di superiorità culturale, sociale e psicologiche (le classi dominanti) e uomini condannati dalla stessa natura alla subordinazione. Infatti i problemi dell’assetto politico sono individuati dall’esterno della sfera economica-sociale e non riguardano la disuguaglianza e la struttura sociale. IDEOLOGIA DELLA COLLABORAZIONE: Le condizioni di superiorità e di autorità degli
imprenditori sono dovute essenzialmente alle funzioni direttive e di responsabilità che essi svolgono; le condizioni dei subordinati rispondono solamente al fatto che essi esplicano mansioni più modeste, fungibili, implicanti minori capacità ed applicazioni. Le funzioni degli uni e degli altri risultano comunque indispensabili; da qui l’assoluta necessità di collaborazione fra i portatori dei diversi ruoli nell’interesse reciproco e, non meno importante, interesse generale.
RAPPORTI SOCIO-POLITICI
RAPPORTI DI PRODUZIONE
PRIME FASI Ideologia della dipendenza Ideologia dell’autonomia DELL’INDUSTRIALIZZAZIONE FASI MATURE DEL Ideologia degli ideali Ideologia della PROCESSO INDUSTRIALE superiori collaborazione
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Capitolo II. I partiti politici nella storia italiana. Origini (fonte: Carlo Morandi) Dal secolo XVI al XVIII vi furono divisioni d’ordine politico-religioso, opposizione di corte, fronde, rivolte popolari, ma non partiti politici. In Europa è con la Rivoluzione Francese che appaiono sulla scena della storia, mentre in Inghilterra è la Rivoluzione riformista del ‘600 che portò alla manifestazione dei due partiti della politica inglese: i whigs e i tories (1641). In Italia per poter parlare di partiti bisogna attendere il 1848 e l’istituzione della Camera Subalpina. Lungo il corso del ‘700 affiorò negli stati italiani un nuovo ceto dirigente (nobili, professionisti, intellettuali e alcuni religiosi) che muovendosi dall’Assolutismo illuminato costituivano un gruppo delle riforme che preparavano la nascita dell’Italia moderna. Accanto a questi operò l’élite ecclesiastica dei giansenisti che miravano alla riforma dell’organismo della Chiesa, con la lotta al temporalismo e all’egemonia gesuita. Fra il 1792 e il ’95 in Italia si costituì un gruppo democratico molto attivo, mentre la massoneria, sviluppatesi nella seconda metà del XVIII secolo diffuse un programma laico, filantropico e vagamente sociale. Il repubblicanesimo fu espresso nelle città di Napoli, Palermo e Bologna, mentre i giacobini italiani rafforzarono le loro posizioni prima della venuta di Napoleone per poi crescere impetuosi con l’occupazione dei territori d’Italia del nord da parte del generale. Si crearono così due schieramenti contrapposti: i conservatori, forti nelle campagne, legati alla Chiesa e ai grandi proprietari e dichiaratamente filo-austriaci, e dall’altra parte i democratici-radicali, più forti nelle città e appoggiati dai francesi. Una notevole parte era costituita da ex riformatori e intellettuali contrari alla reazione clerico-aristocratica e contrari ai rivoluzionari. Ma la prima opposizione venne dalle plebi rurali che insorsero contro i giacobini italiani nel nome della religione e per il ripristino dello status quo ante. Così i patrioti si trovarono di fronte al grosso problema dell’educazione delle masse alla libertà.
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Con il trasformismo autocrate, in senso del cesarismo dei francesi, che ridusse a poco più di una bandiera il giacobinismo del nuovo imperatore dei francesi, Napoleone, e con la stretta sulla stampa e la censura, nonché con la trasformazione burocratica della massoneria, il “movimento democratico italiano” si frantumò, creando dei gruppi liberali, che arricchiti dall’esperienza rivoluzionaria, combatterono il cesarismo napoleonico e le altre forme della reazione sociale e politica. Per l’indipendenza da ogni straniero sul suolo italiano si costituì la Lega Nera nel 1798. Una libera Costituzione chiesero i primi gruppi Carbonari (1807) nel mezzogiorno d'Italia. Un forte Stato Nazionale italiano – e speravano per questo nell’appoggio inglese – chiesero gli Italici Puri (1813-14). Intanto intorno alla rivista “Il Conciliatore” si forma un’élite che darà l’avvio al movimento liberale moderato. Sul terreno politico si devono registrare le alleanze che si vennero a creare, fra il primo e il secondo decennio dell’800, tra i carbonari e i Murattiani (gli eredi della politica dell’ex re di Napoli) al sud e tra i “Federati” e gli stessi carbonari al nord (moti del ’20-’21). Sicuramente il fallimento del moto del 1830-31 portò notevoli contributi al discorso politico interno al movimento italiano dove i moderati (che pensavano a una costituzione del tipo francese) polemizzarono con i radicali (favorevoli a una Costituzione democratica sul modello di quella tentata in Spagna); notevole fu, allo scopo di migliorare la lotta politica, la critica al settarismo come metodo politico. Comunque i carbonari, i federati e gli insorti del ’31 rappresentavano le forze patriottiche che lottavano sia contro gli invasori austriaci sia contro i reazionari interni (anche a volte armati, come i “Calderari” del Sud, una sorta di anticarboneria). Queste forze patriottiche confluirono o contribuirono al movimento di Giuseppe Mazzini (anch’egli carbonaro), in altre parole il primo movimento politico che aveva come fine l’Unità d’Italia e il Repubblicanesimo. “La Giovane Italia” fu un’associazione segreta di propaganda dell’idea italiana, nazionale e repubblicana, con lo scopo di rafforzare il democraticismo repubblicano negli ambienti della borghesia illuminata. Vi fu una rivista clandestina omonima, che per molti aspetti rientrava in quella pubblicistica romantica-rivoluzionaria. Genova e Livorno furono i focolai di diffusione del mazzianesimo: lotta agli occupanti austriaci e alla reazione incarnata dal Papato e dalla Chiesa. Successivamente il movimento mazziniano fu europeizzato attraverso la 9
“Giovine Europa”, fondata allo scopo di creare in ogni nazione oppressa un moto di rivolta nazionale. Il periodo di maggior successo del “partito mazziniano” fu tra il 1831 e il 1848, poi iniziò la fase di declino post-quarantottesca, ove i repubblicani unitari o confluirono nei gruppi più moderati o nei gruppi radical-socialisteggianti. Di Mazzini si può dire che oltre al suo misticismo era presenta una certa abilità politica dimostratasi quando fu il capo della Repubblica romana del 1849. La guerra franco- piemontese contro l’Austria-Ungheria L’anno 1857 fu importante sia per la fondazione della Società Nazionale (moderata e sotto il patrocinio di Cavour) ma anche per una definitiva crisi politica del Partito d’Azione (democratico-mazziniano). La sconfitta nelle elezioni politiche del novembre del “partito moderato cavouriano” e la relativa vittoria della destra più conservatrice, ebbe come conseguenza lo sfaldamento del connubio e una situazione politica instabile. Cavour dovette liquidare il leader dell’ala di centro-sinistra Rattazzi, e fu avviata una vasta politica di repressione del mazzianesimo dopo l’attentato al re francese (Mazzini e Orsini furono visti come mandante ed esecutore materiale dell’attentato contro Napoleone III). Il patto segreto di Plombiers (luglio 1858) sancì la vicinanza strategica franco-piemontese. Tra le condizioni posti dal francese vi fu la restituzione di Nizza alla Francia e la creazione di un Regno dell’Alta Italia (con le annessioni di Lombardo-Veneto e Emilia Romagna) e di un regno dell’Italia Centrale (Papato, Granducato toscano con Roma). Il papa doveva essere il capo spirituale dei tre regni. Non mancarono osservazioni contrarie a queste posizioni: il nuovo Napoleone mirava all’egemonia sul Regno sabaudo grazie al matrimonio fra suo cugino e la figlia di Vittorio Emanuele; per l’Italia centrale pensava di far insediare il principe Gerolamo e nel Regno del sud insediare come re il figlio di Gioacchino Murat. Al contrario le nuove intenzioni di Cavour erano dirette verso l’egemonia piemontese su tutta la penisola. Iniziarono le tensioni tra Francia e Austria, e quest’ultima dette un ultimatum ai piemontesi sullo scioglimento dei Cacciatori delle Alpi, una squadra di disturbo ai confini dei due regni, guidata da Giuseppe Garibaldi. La seconda guerra
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d’indipendenza iniziava il 26 aprile 1859, col comando supremo dell’esercito francese direttamente guidato da Napoleone III. Con la battaglia di Magenta (5 giugno) veniva conquistata la Lombardia, con l’entrata delle truppe franco-piemontesi in Milano. Il 24 giugno battaglie di Solferino e San Martino per le conquiste orientali. Per il 27 aprile 1859 Bettino Ricasoli e i democratici tentarono un colpo di mano: l’annessione del Granducato toscano al Piemonte (cosa non gradita a Napoleone III). Le forti pressioni della Chiesa, con le pesanti accuse di complicità coi rivoluzionari, e l’allerta su un possibile intervento della Prussia (ritenendosi quest’ultima minacciata dall’egemonia francese in Europa) portarono la Francia alla conferenza di Villafranca (11 luglio 1859). La Lombardia fu ceduta al Piemonte, ma Cavour non soddisfatto si dimise e il governo passò nelle mani dell’alleanza La Marmora – Rattazzi. La pace fu firmata a Zurigo (novembre). Nel gennaio 1860 il re richiamava al governo Cavour, anche perché il re francese si era pronunciato a favore delle annessioni.
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Capitolo III. (fonti: M. L. Salvadori, Carlo Morandi, G. Candeloro)
LA SPEDIZIONE DEI MILLE La morte del reazionario Ferdinando II portò a una nuova visione politica dei moderati napoletani, desiderosi di uno Stato più moderno e meno arretrato di quello lasciato dall’ultimo monarca. Il nuovo re Francesco II si ostinò in una linea politica conservatrice, mentre i mazziniani si rafforzarono notevolmente (Giuseppe Garibaldi si era avvicinato al Partito d’Azione) e mise in atto la loro grande capacità di agitazioni contro i borbonici e il nuovo compromesso (cioè le alleanze tra moderati del nord e sud) che minacciava il risorgimento italiano. Palermo nell’aprile del 1860 insorse, ci fu una violenta repressione. I rivoluzionari siciliani, guidati da Francesco Crispi e Rosolino Pilo, convinsero Garibaldi a una spedizione nel sud, dato che il tempo era maturo: l’impasse della politica moderata di Cavour, le agitazioni e il forte risentimento antiborbonico e l’enorme successo dei rivoluzionari mazziniani costrinsero Garibaldi all’azione. Il programma era: “Italia e Vittorio Emanuele”. La spedizione partì da Quarto nel maggio 1860, con tentativi di boicottaggio da parte delle milizie cavouriane. Lo sbarco avvenne a Marsala, dopo varie peripezie, portò subito un successo popolare che consentì l’organizzazione di truppe volontarie e a Calatafimi il 15 maggio avvenne il primo scontro con le truppe borboniche con la vittoria delle camice rosse garibaldine. Alla fine del mese con la battaglia di Palermo venne dichiarata decaduta la monarchia dei Borboni. A Milazzo ripresero gli scontri e il 20 luglio vi fu un’altra vittoria militare dei garibaldini. Tutta la Sicilia venne liberata, con la sola eccezione di Messina, protetta militarmente dalle truppe borboniche. La benevolenza dell’Inghilterra e Francia portò a un cambiamento strategico della politica di Cavour, che inviò un emissario piemontese al fine di rendere possibile l’annessione della Sicilia al regno Sabaudo. Ma Garibaldi (così come i democratici rivoluzionari) voleva(no) proseguire la lotta per il resto del Regno Borbonico 12
puntando poi su Roma. A Cavour interessava l’estensione dei confini sabaudi e prevenire un possibile governo dei democratici nel sud, così vi fu una vasta polemica che da un contrasto Cavour-Garibaldi si estese a tutti i democratici contro i moderati. Nominato Francesco Crispi segretario di Stato in Sicilia da Garibaldi la tappa successiva prevista dai rivoluzionari era lo sbarco sul continente (in Calabria). Sul piano sociale furono emanati dei decreti che riducevano il carico fiscale dei siciliani e stabilirono l’assegnazione di terre comunali e dello Stato a favore dei combattenti, senza attentare alle grandi proprietà fondiarie, furono intraprese misure moderatamente riformatrici. Ma i contadini avevano visto in Garibaldi non solo il nemico degli oppressori borbonici ma anche un liberatore dallo sfruttamento economico-sociale, così iniziava una vera e propria lotta di classe, proprietari contro proletari, che portò a vere e proprie micro rivoluzioni con territori “liberati” dalle grandi proprietà e successivamente collettivizzati. La repressione dell’esercito garibaldino non si fece attendere: il 4 agosto Nino Bixio fece arrestare e fucilare centinaia di rivoltosi contadini. La nobiltà e la borghesia siciliana si orientarono così verso la politica conservatrice e socialmente filo-proprietaria dei cavouriani, volendo l’annessione in toto con i Piemontesi. In questi eventi la debole figura di Francesco II cercò di guadagnarsi qualche simpatia concedendo la costituzione del 1848 con un governo dei liberali-moderati. Ma era troppo tardi. A questo punto il Cavour, precedendo Garibaldi, promosse un sollevamento popolare a Napoli con l’aiuto del Primo Ministro doppiogiochista Liborio Romano, con lo scopo di annettere il Regno borbonico al Piemonte, ma l’iniziativa fallì. Il 20 agosto Garibaldi sbarcò in Calabria, il 7 settembre entrò trionfalmente a Napoli dopo che l’esercito borbonico si era sfaldato e il re ritirato nella Fortezza di Gaeta. Accordandosi con Napoleone III Cavour ordinò l’esercito di invadere il Papato in modo da contrapporsi al generale Garibaldi e ai democratici. Il conflitto fra i due divampò altissimo: Garibaldi chiedeva al re Vittorio Emanuele il licenziamento di Cavour, mentre quest’ultimo volle contrapporsi militarmente ai garibaldini. L’esercito garibaldino affronta quello borbonico e lo sconfigge nella Battaglia del Volturno (1-2 ottobre 1860) mentre il 3 ottobre il re Vittorio Emanuele si mette a capo del suo esercito in marcia verso il mezzogiorno. Nel frattempo i contadini campani, pugliesi, calabresi e del Lazio insorsero contro i grandi latifondisti: la dura repressione dell’esercito garibaldino non si fece attendere. 13
Cavour fa approvare una legge dal parlamento piemontese in cui si ammettono solo annessioni incondizionate e Garibaldi accetta il fatto: è la sconfitta per i democratici. La linea cavouriana era trionfante su vari aspetti della nuova situazione venuta sia a creare: i gruppi reazionari volevano trasformare la rivolta contadina e di classe in rivolta contro i nuovi padroni liberali e gli occupanti piemontesi. Il 21 ottobre: plebiscito all’annessione dell’ex regno borbonico al regno piemontese. 26 ottobre: Garibaldi incontra a Teano il Re Vittorio Emanuele. Passaggio di poteri dall’autorità garibaldina all’autorità piemontese. Scioglimento delle truppe armate garibaldine. 4 novembre : annessione delle Marche e dell’Umbria. 13 febbraio 1861 cade la fortezza di Gaeta e l’ex Re di Napoli va in esilio a Roma 13-20 febbraio cadono le ultime roccaforti borboniche: Messina e Civitella del Tronto 17 marzo il Parlamento di Torino proclama Vittorio Emanuele II re d’Italia. Veniva sancita definitivamente la vittoria dei liberali cavouriani. Il Sud reagisce ai “nuovi padroni” col Brigantaggio (6000 morti e più di 6000 arrestati).
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Capitolo IV. CAMILLO BENSO CONTE DI CAVOUR Nato nel 1810 a Torino, di discendenza aristocratica e di famiglia di proprietari e uomini d’affari, quindi legato ad ambienti alto-borghesi. Simpatizzante della rivoluzione francese del 1830, studiò lo sviluppo dell’economia capitalistica moderna facendo lunghi viaggi all’estero e dedicò la sua attenzione ai problemi dell’economia dello stato sabaudo, divenendo uno dei capi dell’imprenditoria più avanzata. Dirigendo la rivista “Il Risorgimento”, venne eletto deputato, impegnandosi a creare una classe ibrida aristocratica-borghese, elaborando una concezione dello sviluppo fra stato e società che non era pervenuta nella classe moderata borghese ed era lontana dal benché minimo interesse nei circoli aristocratici. Egli rendendosi conto dell’importanza dello sviluppo capitalistico portò un contributo rilevante all’europeizzazione dello stato piemontese, tramite accordi economici con il resto dell’Europa liberale, miglioramenti dei mezzi di trasporti, specialmodo le ferrovie, e la creazione di un moderno mercato nazionale. Ma a fondamento della sua visione politica mise il problema dell’indipendenza dello stato italiano (anche se si riferiva, con questo termine, al solo settentrione) e, successivamente incalzato dai “movimenti unitari” allargò la sua visione verso il sud. Sul piano strettamente della filosofia politica egli basava le sue scelte su una idea “guizotiana” (dal nome del ministro e intellettuale francese Guizot, liberale conservatore): lotta contro gli “estremi” repubblicani e reazionari, idea di politica del progresso graduale. L’idea politica cavouriana fu di mediazione e non di cedimento alle pressioni estreme. Contrario alla democrazia pensava piuttosto a un blocco fra liberali moderati aristocratici e borghesi come classe dirigente e a una politica di consenso verso lo stato inteso come grande mediatore dei rapporti economici e sociali, il tutto naturalmente sotto l’egemonia piemontese. Nel 1850 diventa ministro dell’Agricoltura, stipulando contratti commerciali con la Francia, l’Inghilterra, Belgio e Austria. Nella battaglia per la libertà di stampa – nella 15
Francia del dicembre 1851 aveva avuto luogo il Colpo di Stato di Luigi Napoleone – si schierò contro i gruppi reazionari (che volevano, di fatto, abolirla nel regno dei Savoia), attuando quella “politica del connubio” che, con grande mossa politica, avvicinò i gruppi moderati nella lotta contro i repubblicani e gli ultras della reazione. Cavour e Rattazzi (esponente dell’ala sinistra della borghesia) evitarono così o la rivoluzione o l’involuzione reazionaria. Caduto il governo D’Azeglio per una legge sui matrimoni, avversata dal “partito clericale”, Cavour fu incaricato dal re di formare il suo primo governo (novembre 1852). Le direttrici del governo del Cavour furono: consolidamento del libero-scambio, assorbimento delle tendenze più moderate della democrazia, limitazione dell’influenza del re, contenimento delle pressioni clerico-reazionarie e repressioni dei demo-radicali (politica interna); inserimento della politica piemontese nelle questioni dibattute in Francia e Inghilterra, alleanza militare con la Francia, opposizione all’Austria, formazione del Regno dell’Alta Italia (politica estera). Il 6 febbraio 1953 vi fu a Milano un tentativo, stroncato, di rivolta dei mazziniani. L’Austria reagisce con una politica antiprofughi dal Lombardo-Veneto: il Piemonte protesta vivacemente, ma nulla di fatto. Iniziata la guerra di Crimea (1853-56), nella sostanza una guerra contro la Russia da parte degli anglo-francesi per il controllo della penisola balcanica, la Francia e l’Inghilterra tentarono di far entrare nella coalizione di guerra anche gli austriaci. Il Piemonte si trovò in una posizione difficile: se si alleava anche con l’Austria i moderati del governo cavouriano avrebbero reagito negativamente; ma l’Austria non aveva nessuna intensione di dichiarare guerra alla Russia, sua consolidale in più occasioni. Il Piemonte ne approfittò, superando così l’impasse, dichiarando guerra alla Russia nel marzo 1855. I problemi più rilevanti per il conte di Cavour provenivano dall’interno: il veto imposto dal re alla legge Rattazzi (legge per la soppressione degli ordini religiosi non contemplativi) e la dura presa di posizione di Papa Pio IX portò il governo alle dimissioni (aprile 1855); comunque non esistevano alternative al governo e così, per volontà di Cavour, fu modificata e approvata la legge in questione. Nel 1856 finiva la guerra: fu una “vittoria” della politica estera. Nelle discussioni al Congresso di Parigi fu implicitamente riconosciuta l’autodeterminazione degli “stati italiani”. Fu fondata la Società Nazionale, un gruppo monarchico favorevole all’unificazione a egemonia 16
sabauda: scopo non dichiarato era la penetrazione nel movimento nazionale unitario per egemonizzarne i caratteri politici in senso monarchico e moderato. Nel 1857 avveniva la rottura della politica del connubio. La crisi del partito d’azione mazziniano fu conseguenza della rottura tra i democratici spinti verso Cavour e i democratici progressisti, sempre spostati verso il “socialismo”. Ma l’evento che determinava le svolte in Italia fu il fallito attentato al re francese dell’ex mazziniano Felice Orsini. Le richieste di Napoleone III furono di colpire il movimento sovversivo di Mazzini (così definito dai francesi). L’incontro segreto a Plombiers tra l’imperatore e il primo ministro piemontese stabiliva un accordo militare tra la Francia e il regno sabaudo con un duplice significato politico: congiungere l’impero francese e il futuro "regno d’Italia" in una politica estera mirante a rompere la politica degli equilibri sanciti dopo il congresso di Vienna (combattere in primis l’impero Austroungarico) ed eliminare i gruppi più avanzati dei democratici repubblicani. L’unica condizione posta da Napoleone III era che, per fare la guerra, l’aggressore doveva essere l’Austria.
L’opposizione: mazziniani e socialismo contro cavourismo. Il tentativo di elaborare nuove azioni politiche, nel periodo 1850-60, azioni che potessero condurre alla rivoluzione nazionale italiana furono molto sentiti dai mazziniani sia moderati che radicali. Il terreno delle iniziative non era favorevole sia per la crescita della reazione sia per l’affievolirsi del movimento democratico europeo. Mazzini pensava che all’Italia toccasse l’inizio di una nuova ondata rivoluzionaria dopo che la Francia, col Colpo di stato di Luigi Napoleone, divenne baluardo di una “nuova reazione”. Parlava anche di una santa alleanza fra i paesi oppressi: Italia, Germania, Ungheria e Polonia.La forte polemica di Mazzini contro il “socialismo” e il “comunismo”, accusati di dividere il movimento rivoluzionario sulla questione borghesiaproletariato invece che considerare solo la questione oppressori-oppressi. Infatti, quella mazziniana era una ideologia 17
interclassista, mentre i seguaci del tedesco Karl Marx (che erano, in Italia, ancora un gruppuscolo di pochi intellettuali e pochissimi operai) propagandavano l’idea rivoluzionaria della guerra di classe. Mazzini darà vita, per la sua idea internazionale, a un Comitato democratico europeo, ma solo la sua sezione italiana sarà attiva. I due manifesti programmatici del 1850 e ’51 ribadirono le posizioni mazziniane sul significato della lotta politica italiana, fondata sugli obiettivi di Indipendenza, Libertà e Unità, e contro le idee del Federalismo (espresse in alcune aree milanesi, v. infra). Fondamento dell’azione mazziniana è anche un riformismo sociale per arginare la prorompente questione sociale, mentre i futuri marxisti al riformismo contrappongono un rivoluzionarismo sociale. E’ del ’52 la ricostruzione della rete clandestina nei territori del Papato, nel Lombardo-Veneto e in Toscana, associazione caratterizzata da una massiccia adesione di artigiani e operai. I legami con i democratici del sud e con gli ambienti genovesi sono dei veri e propri successi dell’azione mazziniana. Per le iniziative rivoluzionarie la Lombardia era stata scelta come luogo ideale per le azioni di sabotaggio e di attacco agli austriaci, grazie anche ai collegamenti con i rivoluzionari come Kossuth in Ungheria e con i tedeschi. Nel febbraio 1853 scoppia una rivolta a Milano capeggiata da operai e artigiani e popolino (poveri e nullatenenti), con la totale indifferenza dei mazziniani borghesi più in vista. La repressione fu dura e provocò una forte crisi nell’Associazione Nazionale. Giuseppe Mazzini reagì fondando un partito più disciplinato, il Partito d’Azione, con un suo statuto fondato su principi di Unità e Repubblica, appoggiato da diversi strati di artigiani e operai, e per questo malvisto dai borghesi. Questi ultimi si avvicinarono sempre di più al cavourismo. La realizzazione dell’unità d’Italia e il cavourismo.1849-1861 Due sono i principali schieramenti nazionali all’interno del movimento: - Il liberalismo piemontese, guidato da Cavour (indipendenza ed espansione dello stato sardo nell’Alta Italia e, più avanti, prospettiva dell’Unità della Nazione). - Il repubblicanesimo democratico di Giuseppe Mazzini. Le figure più rilevanti dell’Italia pre-unificazione sono, quindi, Cavour e Mazzini.Il conte Camillo Benso si mosse in tre direzioni: modernizzare il sistema liberale, 18
inserirsi nei contesti internazionali per porre in agenda diplomatica la “questione italiana”e, infine, dividere le forze democratiche al fine di isolare gli “estremisti”. Per Mazzini fondamentale era l’iniziativa dall’alto, dirigere l’iniziativa popolare e l’insurrezione al fine della cacciata dei dominatori stranieri ( e i loro surrogati autoctoni). Una prassi e un metodo d’azione politica che risentiva dei metodi “francesi” (cioè giacobini). Nonostante la contrapposizione fra i due politici negli ultimi anni le loro azioni s’intrecciarono (anni 1858-61) perché il fine di ambedue era l’unificazione e l’indipendenza dell’Italia. La capacità di Cavour si misurava nella riuscita di unire i moderati e i ceti medi, avversi alla democrazia radicale, in un movimento consensuale all’egemonia monarchica. Fino al 1857 l’Austria tenne una linea di conservazione e di controllo militare sul Lombardo-Veneto, creando una separazione netta tra l’amministrazione militare e l’emergente classe liberale, sempre più forte e capace di aggregare vasti strati delle popolazioni. Un pesante fiscalismo e una forte opposizione contadina, unita al crescente distacco della parte più illuminata dell’aristocrazia che oramai guardava al Piemonte: ecco le motivazioni e i gruppi sociali che caratterizzavano la nuova condizione dell’alta Italia. Pio IX, negando le sue scelte moderate del 1848 divenne erede dello spirito reazionario clericale. Il papato assunse il ruolo di roccaforte dell’antiindipendentismo. Il Granducato di Toscana di Leopoldo II nonostante avesse allontana dal governo l’ultrareazionario Guerrazzi si trasformò in uno stato poliziesco. Il Regno delle Due Sicilie divenne lo stato più reazionario della penisola, incrementando le spese militari, inasprendo le pene per i reati “politici”, mentre la burocrazia accentuava la sua famelica volontà di privilegi e prebente. Deportazioni, carcere e controllo poliziesco del territorio furono la prassi giornaliera. In Sicilia aumentarono le spinte autonomiste e indipendentiste, e il fiscalismo rese ancora più forti le sperequazioni tra le classi sociali. Nel 1851 il politico tory inglese Gladstone pubblicò delle lettere in cui condannava lo stato borbonico come uno dei più spietati d’Europa. 19
Nonostante questi giudizi e questa situazione il governo borbonico mirava alla conservazione di leggi che proteggevano i medi e grandi proprietari, avviarono politiche di “intervento pubblico” nel campo delle infrastrutture e tutelavano alcune categorie di artigiani: il tutto, comunque era contrastato dal burocraticismo napoletano. Solo il Regno sardo diventò, per ovvi motivi, il punto di riferimento del movimento di liberazione nazionale. Con la pace del 6 agosto 1849 il Re Vittorio Emanuele II volle un governo più moderato, e fu incaricato Massimo D’Azeglio che si trovò ad affrontare una crisi di rapporti con la Chiesa: l’istituzione della Legge Siccardi, le cui norme furono sabotate dai gruppi clerico-reazionari, mentre Cavour ne favoriva l’iter. Una legge che prevedeva la fine dei privilegi del foro ecclesiastico.
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Capitolo V. ITALIA 1861-1871 Primo Parlamento italiano a Torino Proclamazione del Regno d’Italia il 17 marzo 1861. Morte di Cavour 6 Giugno. I problemi del nuovo Stato sono immensi: unificazione delle strutture amministrative, necessità di comunicazioni fra gli ex Regni d’Italia, amalgama delle formazioni militari, modernizzazione dell’economia e sua nazionalizzazione in base alle risorse del territorio, avvio della ‘italianizzazione’. Gli uomini della Destra al potere ricorrono a un’esosa fiscalità per diminuire il Deficit statale, creano un’organizzazione statale molto centralizzata, servendosi quasi esclusivamente della burocrazia piemontese (i codici piemontesi sono estesi a tutto il territorio del Regno). Veniva introdotto il servizio militare obbligatorio, repressi duramente i fenomeni che possono minacciare l’Unità nazionale (lotta al Brigantaggio al sud; in seguito repressione manu militare delle agitazioni popolari contro il carovita e proteste derivati da motivi economici). Nel 1862 Giuseppe Garibaldi, che voleva conquistare Roma partendo dal sud, fu ferito dall’Esercito ex Piemontese in Aspromonte (Calabria). Il ministro Rattazzi condanna l’iniziativa garibaldina. Il ministro Minghetti stipula un accordo con la Francia in cui l’Italia s’impegna a garantire la sicurezza di Roma: ritiro delle truppe francesi dalla S. Sede e proclamazione di Firenze Capitale d’Italia (settembre 1864). TERZA GUERRA D’INDIPENDENZA (1866) La Prussia sconfigge l’Austria-Ungheria a Sadowa, l’Italia fu sconfitta a Custoza (29 giugno) e a Lissa (battaglia navale del 29 luglio). Pace di Vienna (8 ottobre) con la Prussia vincitrice che si annette il Veneto e lo cede all’Italia. Ritorna la Questione Romana, aggravata dalla politica anticlericale del governo: soppressione degli ordini religiosi e confisca dei beni ecclesiastici. Garibaldini e volontari si scontrano a Villa Glori con le truppe pontificie (22 ottobre 1867). Il primo ministro Urbano Rattazzi non riesce a impedire l’arrivo di Garibaldi nel Papato e si dimette dopo le proteste del governo francese. Il governo del generale Manabrea e il re d’Italia Vittorio Emanuele II chiedono l’abbandono dell’impresa della conquista di Roma da parte delle truppe irregolari garibaldine. I garibaldini furono sconfitti a Mentana (3 novembre 1867) dalle truppe francesi. Il Ministero Lanza (1869) si 21
adegua alla politica francese; il concilio vaticano proclama l’infallibilità del Papa. Dopo la sconfitta francese a Sedan (1870) le truppe italiane entrano a Roma (breccia di Porta Pia, 20 settembre 1870). “Leggi delle Guarentigie”: lo stato italiano garantisce al pontefice la piena libertà (“libero stato in libera chiesa”). Pio IX invita i cattolici a non partecipare alla vita politica (enciclica “non expedit”). GOVERNI DELLA DESTRA STORICA Cavour Ricasoli Rattazzi L.C. Farini Minghetti La Marmora Ricasoli Rattazzi Manabrea Lanza Minghetti
21 gennaio 1860 12 giugno 1861 3 marzo 1862 Dicembre 1862 Marzo 63 Sett. 64 Giugno 66 Aprile 67 Ottobre 67 Dicembre 1869 Luglio 1873
Urbano Rattazzi
Problemi dei Governi Brigantaggio Guerra Austria-Prussiana Guerra Franco-Prussiana Passaggio destra-sinistra
6 giugno 1861 3 marzo 1862 Dicembre 1862 Marzo 1863 Settembre 64 Giugno 66 Aprile 67 Ottobre 67 Dicembre 69 Luglio 1873 Marzo 1876
Marco Minghetti
Capo del Governo Ricasoli- Rattazzi- Farini- Minghetti Ricasoli Lanza Minghetti 22
APPENDICE 1 CRONOLOGIA (1870-80) 1870 Dicembre: Proposta di Roma capitale. 1871 Maggio: leggi per le guarentigie delle prerogative della Chiesa. Maggio- Giugno: influsso dei bakuniniani sul movimento operaio Dicembre: proposte di Sella sulla questione del pareggio di bilancio dello Stato. 1873 Giugno-Luglio: cade il governo Lanza, governo Minghetti Dicembre: crisi economica. 1874 Giugno: Opera dei Congressi. Settembre: Società “Adamo Smith” Agosto: fallita insurrezione anarchica bakuninista. Novembre: “non expedit” dei cattolici in politica. Elezioni con vittoria della Sinistra liberale nelle regioni meridionali (opposizione al governo, deputati provenienti dal Sud). 1876 Marzo: iniziative per la statalizzazioni delle ferrovie da parte del governo. Pareggio del bilancio statale. Cade il governo Minghetti. Alleanza Destra toscana-Sinistra liberale. Costituzione della Federazione Anarchia Alta Italia. Novembre: Elezioni, vittoria della sinistra Depretisina 1877 Marzo: inizia inchiesta agraria Jacini Aprile: Insurrezione anarchica nel sud (Cafiero e Malatesta). Maggio: Imbriani e l’Italia irredente (nascita del Nazionalismo) Luglio: Legge Coppino sull’istruzione obbligatoria. 1878 Gennaio: muore Vittorio Emanuele II. Gli succede il figlio Umberto I. Febbraio: muore Pio IX. Sale sul soglio pontificio Leone XIII. Marzo: Governo liberale democratico di B. Cairoli Maggio: Gli accordi italo-francesi vengono respinti unilateralmente dalla Francia. Prima iniziativa protezionistica. Agosto: i fatti del monte Amiata, uccisione da parte dei carabinieri reali del prete rivoluzionario proto- comunista Davide Lazzaretti. Dicembre: primo attentato al re. Dimissioni di Cairoli. 1879 Luglio: cade il Governo De Pretis. Ritorna B. Cairoli alla carica di Primo Ministro. Agosto: Andrea Costa aderisce al Socialismo non astensionista. 1880 Maggio: Elezioni con risultato del rafforzamento del gruppo De Pretis Luglio: votata la riduzione della Tassa sul Macinato. Verrà abolita nel 1884.
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Capitolo VI. Dalle “Idee sociali” al “socialismo”: Ferrari, Pisacane, Cattaneo e l’ultimo Gioberti. Per Giuseppe Ferrari (Milano 1811-Roma 1876) la rivoluzione italiana era da collocarsi all’interno del grande movimento europeo (francese in particolare) che ponesse la “questione sociale” a suo fondamento: una rivoluzione sociale (o ‘socialista’). Fu allievo del filosofo Giandomenico Romagnosi; la sua dottrina politica è stata definita neoghibellina (Benedetto Croce). Opponendosi al misticismo interclassista mazziniano egli pensava di radicare le masse alla rivoluzione nazionale al fine di cambiare lo status quo sociale e politico. La questione sociale italiana era, a causa del fatto che l’Italia era costituita da più del 70% da contadini, la questione agraria: quindi l’azione politica doveva rivolgersi alla soppressione delle feudalità e alla distribuzione delle terre “La libertà, la sovranità, l’indipendenza non sono che menzogne la dove il ricco schiaccia il povero …” (Ferrari, Filosofia della rivoluzione [1851]) Il programma politico del Ferrari si delineava così come alleanza con le forze francesi, lotta al papato, repubblica, promozione della cultura laica, terra ai contadini e fondazione di un partito “sociale”. Carlo Pisacane (Napoli 1818-1857) era stato un ufficiale borbonico. Influenzato da Mazzini si unì alla Repubblica Romana del 1849 per diventarne Capo di stato Maggiore. Sosteneva che non necessariamente si doveva aspettare la Francia per avviare l’indipendenza dell’Italia, prefigurando una via autonoma del movimento nazionale. Come Ferrari proponeva un coinvolgimento delle masse, su istanze sociali e democratiche (“un regime sociale e non un regime di oppressione sociale e politica”). Criticava le posizioni liberali ed era vicino a Mazzini nel sostenere che era l’Impero Austroungarico e non il Papato il vero nemico dell’unificazione e, quindi, da combattere. Per Pisacane il fine della lotta, come era scritto nel suo programma, era l’unità “sociale” dell’Italia. Carlo Cattaneo (Milano 1801- Lugano 1869) fu il politico non-mazziniano più rilevante del Risorgimento. Altro allievo di G. Romagnosi, egli era contrario all’Unità d’Italia 24
così come fu avverso al “socialismo” ante litteram di Ferrari e Pisacane; piuttosto pensava a un’unione di stati, una confederazione degli stati italiani inseriti dentro gli “Stati Uniti d’Europa”, in una cornice simile a quella nord-americana. Gioberti fu il filosofo politico italiano più importante degli anni preunitari. La sua dottrina, detta neoguelfa, aveva notevoli riscontri in differenti ambienti. Nel 1851, con l’opera “Del rinnovamento civile d’Italia”, allontanandosi dal neoguelfismo, considerava la Francia come modello per la realizzazione di una repubblica italiana sensibile alla questione sociale e alla democrazia, incentrata sul Piemonte liberale.
MOVIMENTO OPERAIO PISACANE E FERRARI: SOCIALISTI-LIBERALI?
Ambedue, come abbiamo riferito ( v. “Dalle idee sociali …”), proposero l’inscindibilità della questione nazionale con quella sociale. L’unità d’Italia e la ridistribuzione delle terre sono elementi portanti del processo rivoluzionario. Vi doveva essere un’egemonia politica, una centralità della questione contadina su quella operaia (in Italia la questione sociale era la questione contadina). Per Pisacane l’Italia aveva bisogno di un ordinamento fondato sulla larghissima autonomia dei comuni, mentre Ferrari sosteneva l’idea di una Federazione repubblicana. Spirito profondamente laico Ferrari si opponeva al misticismo di un Gioberti o di Mazzini. Il vero primato degli italiani era nel realismo storico. Quindi laicismo e democrazia come pilastri del futuro Stato italiano federale. La terza figura importante del risorgimento è stata quella di Cattaneo. Pure federalista e su modello statunitense o svizzero ( con decentramento inglese) la proposta di organizzazione dello Stato del filosofo di Milano. La democrazia radicale del Cattaneo ebbe, a sua volta, molta influenza sul movimento “socialista” risorgimentale, nonostante le riserve, espresse dal fondatore della rivista “il Politecnico”, sull’idea sociale. Speranze derivavano anche dalle trasformazioni dell’Impero Asburgico. Altre caratteristiche del Cattaneo sono state l’ostilità al sabaudismo e l’idea di un cambiamento graduale dei sistemi politici (antirivoluzionaresimo).
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Le società operaie attraverso i congressi. Nell’ XI0 congresso delle Società Operaie (tenutosi nell’ottobre del 1864) ci furono i tentativi dei mazziniani di egemonizzare queste organizzazioni: lo scopo era di far convergere il nascente movimento operaio verso il lavoro politico dell’alleanza repubblicana. Nel 1864 vi fu la fondazione dell’Associazione Internazionale dei Lavoratori (A.I.L., “prima internazionale” voluta da un gruppo di operai e intellettuali europei, fra cui Karl Marx e Friedrich Engels, allo scopo di far convergere il movimento operaio sulle idee di una rivoluzione sociale). Per l’Italia vi erano le mazziniane “Società operaia”, ma anche numerosi anarchici rivoluzionali e democratici repubblicani avevano formalmente aderito. E’ stato lo stesso Marx a delegare Bakunin (anarchico russo ma con numerosi seguaci in Italia) nel contrasto all’influenza mazziniana sul movimento operaio italiano. Gli internazionalisti riuscirono a conquistare il movimento (1865-67); Bakunin, nel frattempo, aveva fondato la “Fratellanza Internazionale” , un’organizzazione autonoma dal Consiglio Generale di Londra (saldamente in mano a Marx e ai rivoluzionari tedeschi). Bakunin emergerà come leader del movimento operaio internazionale dal 1868 (quando la sua dottrina libertaria e antistatale era matura). Secondo lo storico Giorgio Candeloro, Bakunin era stato influenzato ideologicamente da molti italiani tra cui Pisacane, Giuseppe Fanelli, Saverio Friscia, l’avvocato Carlo Gambuzzi, Raffaele Mileti (direttore del “Popolo d’Italia” di Napoli), Attanasio Dramis, Alberto Tucci e Pier Vincenzo De Luca. I democratici non mazziniani fondarono il gruppo “Libertà e Giustizia”. I temi che propagandarono le varie organizzazioni erano moltissimi: l’associazionismo proletario, la lotta per l’emancipazione del lavoro, il suffragio universale, l’abolizione della polizia di Stato e la loro sostituzione con milizie popolari, l’istituzione gratuita. Proprio sulla rivista “Libertà e Giustizia” dell’omonimo gruppo fu tradotto per la prima volta Marx in italiano. Intanto Mazzini nel 1865 si era ritirato dal “consiglio di Londra”; dal 1868 i mazziniani espressero pesanti critiche agli internazionalisti e dal 1871
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ripudiarono ogni riferimento comune col gruppo rivoluzionario. Intanto il gruppo di Bakunin fondava l’”Alleanza per la democrazia socialista”, che chiede di partecipare autonomamente all’AIL, ricevendo diniego. I bakuniniani egemonizzano le sezioni francesi, svizzere e italiane dell’Internazionale – costituendo una sezione romanza della Prima Internazionale- e ci fu subito rottura con le altre sezione “marxiste internazionaliste” sulla questione della partecipazione alle elezioni. Gli anarchici sostenevano che bisognava preparare l’organizzazione federativa dei corpi dei mestieri, istanza che avrebbe superato la democrazia rappresentativa borghese, al fine di preparare la rivoluzione sociale, mentre i “marxisti” sostenevano che l’astensionismo era un atto politico nocivo alla classe operaia e alle lotte per l’autodeterminazione dei diritti. I libertari attaccarono il consiglio generale accusandolo di “autoritarismo”… Ma il periodo della “seconda reazione” europea 1865-1875 portava a continue relazioni tra mazziniani e socialisti. Nel 1868 a Sciacca (Agrigento) fu fondata da Friscia, la prima sezione italiana dell’internazionale “I Figli del lavoro”. Evento importante per il socialismo in Europa, la Comune di Parigi rappresentò il primo esempio di governo proletario tale da far scandalizzare l’Europa intera (e non solo). Mazzini nei suoi ultimi interventi politici criticava aspramente i simpatizzanti italiani della comune. La polemica antisocialista di Mazzini era diretta principalmente contro il socialismo proudhoniano: il genovese, infatti, in realtà non conosceva il “socialismo scientifico” di Karl Marx. La polemica dei mazziniani era rivolta contro il più importante dei simpatizzanti della Comune: Giuseppe Garibaldi. Per capire la “struttura” e la diffusione delle idee degli internazionalisti in Italia bisogna conoscere la figura di Carlo Cafiero, amico personale di Marx ed Engels, fondatore a Napoli della “sezione internazionale” più consistente per prestigio e numero di aderente; fu anche il principale ispiratore del giornale “L’eguaglianza” con E. Malatesta e A. Riggio di Agrigento. In Italia, quindi, sono tre le correnti che si contendono il movimento socialista operaio (caratterizzate da un “programma socialista”: gli anarchici bakuniniani, gli internazionalisti e i democratici radicali mazziniani. Lo sbandamento degli internazionalisti, dopo l’arresto di Carlo Cafiero (e il suo spostamento politico-ideologico verso le posizioni bakuniniane), si manifestava anche 27
nell’organizzazione: infatti il fondatore della sezione torinese dell’internazione C. Terzaghi si rivelò un traditore del socialismo e divenne informatore della polizia. A Milano la sezione era stata fondata da T. Cuno e V. Pezza, a Bologna la sezione prendeva il nome di “Fascio Operaio” fu fondata da E. Pescatore e Andrea Costa. Congresso operaio a Roma primo novembre 1871 La maggioranza mazziniana propose un ordine del giorno del gruppo in cui si adottavano per il congresso “i principi mazziniani”: i delegati internazionalisti (3 membri) si opposero e con motivazioni politiche definivano “il mazzinianesimo contrario agli interessi operai”. Fu questa la seconda scissione del movimento operaio (la prima era avvenuta tra democratici e moderati nel congresso di Firenze dieci anni prima, 1861). Gli internazionalisti a questo punto, superato lo scoglio mazziniano, rivolsero le loro critiche verso i bakuniniani. Nel settembre dello stesso anno alla Conferenza di Londra i marxisti dichiararono esplicitamente che lo scopo del movimento internazionale dei lavoratori era la presa del potere. Gli anarchici risposero che era l’emancipazione dei lavoratori il vero scopo con l’insurrezione contro lo Stato borghese e con l’abolizione di qualunque regime il fine di ogni rivoluzionario. L’arresto di T. Cuno (della sezione milanese) e il passaggio ai bakuniniani di Cafiero (della sezione napoletana) sanciva la crisi degli internazionalisti. Nell’agosto del 1872 a Rimini ci fu il congresso degli anarchici: vennero presentare le idee per la Federazione delle sezioni dell’Internazionale. L’opposizione ai marxisti era netta: gli anarchici proposero il consiglio generale, il quinto, in Svizzera. Ma i marxisti si riunirono a L’Aja e decretarono l’espulsione degli anarchici e di Bakunin; fu deciso anche che l' assisa successiva si sarebbe tenuta a New York (e in quella sede fu definitivamente sciolta l’associazione, 1876). Nel ’72 gli anarchici in Svizzera diedero vita alla “Prima internazionale anarchica”. In Italia il successo delle idee libertarie e antiautoritarie era principalmente dovuto all’efficienza di Bakunin di coordinare le varie sezioni che si andavano a costituire e alla notevole verve critica nell’attaccare i mazziniani. La critica dello stato piaceva molto ai contadini e agli intellettuali, grazie alla chiara matrice borghese del dominio statale. 28
Il congresso anarchico a Bologna nel ’73, con una partecipazione di oltre sessanta delegati provenienti da tutto il paese discusse le nuove forme di lotta per l’emancipazione dei cittadini e lavoratori e la lotta (anche armata) contro lo stato allo scopo di abolirlo. Intatto tra la fine del 1873 e il ’74 una grave crisi economica aveva creato (secondo gli anarchici) un’atmosfera di rivolta: fu organizzato un apposito “Comitato italiano per la Rivoluzione Sociale” con Andrea Costa tra i promotori. La rivolta aveva il compito di conquistare Bologna per poi irradiarsi sul resto del paese. La linea politica prevedeva accordi anche con gruppi democratici radicali e internazionalisti. A Rimini furono arrestati i principali esponenti del movimento socialista così come in altri luoghi: la rivolta fu troncata prima del nascere.
Karl Marx
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Appendice 2 MOVIMENTO OPERAIO ITALIANO: DAGLI ANNI SETTANTA ALLA FINE DEL SECOLO XIX. Parte prima. Dati storici introduttivi. In Europa Crisi economica del ’73. Forte incremento di emigrazione verso gli USA. Politiche economiche dei “Trust” (Cartelli industriali che si accordano su politiche comuni): Protezionismo e Colonialismo. Dal Capitalismo individualistico al capitalismo monopolistico. 1871-1895: epoca della “pace armata”. L’impero di Bismarck contro la Francia. 1873: Lega dei tre Imperatori (Germania, Austria e Russia). 1879: Alleanza austro-germanica. ’81: Rinnovo dell’alleanza dei tre Imperatori ’82: Triplice Alleanza tra Austria, Germania e Italia. ’86: contrasti tra Austria e Russia sui confini Balcani. Liquidazione della lega degli imperatori. ’91: Duplice intesa tra Russia e Francia. 1895: contrasti navali e coloniali tra Germania e Inghilterra. Affievolirsi della reazione conservatrice (dopo il 1875) → massificazione dei partiti socialisti (1895) Nel 1869 August Bebel e W. Liebknecht fondano la Sozialistische Partei Duetschland (SPD), partito socialista tedesco. Al congresso di Gotha (nel ’75) avviene la fusione tra SPD e il gruppo Lassalliano (i seguaci di Lassalle, organizzati in “Associazione generale dei Lavoratori tedeschi”, furono la più importante organizzazione operaia fino a quel momento). Nel 1889 veniva fondata la “Seconda Internazionale”. In Italia Ministero Lanza-Sella. Contrasti con il papa Pio IX. Il 25 giugno 1873 si dimette il governo Sella. Governo della destra liberale di Marco Minghetti (Luglio ’73). Repressione poliziesca contro il movimento operaio (Ministro degli interni Cantelli). Legge bancaria Minghetti: contenimento dell’inflazione e limitazioni per la Banca nazionale. La destra liberale storica sostiene un programma riformista e un riavvicinamento ai cattolici. Preparazione del programma politico della sinistra liberale storica in vista delle Elezioni politiche dell’8 novembre 1874.
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Necessità del suffragio universale, istruzione laica e gratuita, una politica estera filotedesca. La “sinistra giovanile”: riforme amministrative e finanziarie e non politiche; un programma sostanzialmente centrista. Nel novembre 1874 si forma un comitato elettorale centrale dell’opposizione anti-minghettiana. La sinistra meridionale giovane era espressione degli interessi borghesi locali, che mal vedevano un ritorno della destra rigorista al potere. La sinistra settentrionale tutelava gli interessi della borghesia liberale. La vittoria della Sinistra fu netta in Campania, Calabria, Sicilia e Basilicata, discreta in Lazio. La destra vinse nel nord, mentre le due forze erano equivalenti nella Puglia, Sardegna e Abruzzi. Su 232 deputati 147 erano meridionali (Fonti: G. Candeloro Storia d’Italia; Raffaele Romanelli, L’Italia liberale, Il Mulino Bologna)
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Capitolo VII. Ancora sul “Movimento operaio italiano”. La situazione della classe operaia organizzata negli anni settanta era determinata dalle varietà di elementi che la costituivano, dalle differenze regionali, lavorative e “culturali”. Più che un movimento unitario si parla di varie organizzazioni, anche spesso lontane culturalmente tra di loro, ma sempre più tumultuosamente in crescita. Con la proletarizzazione di vasti strati di contadini, dovuta allo sviluppo capitalistico del nord, inizia quella fase che vedrà sempre più masse aderire al socialismo, ideologia politica per l’emancipazione della classe operaia. Per dare senso a quel che diciamo possiamo dare due dati importanti: le “società operaie” nel 1862 erano 445 mentre dieci anni dopo erano più di 1200. Queste associazioni avevano due scopi, spesso distinti: erano a carattere mutualistico (istituzioni di cooperative di produzione e di consumo, aiuto finanziario e mutuo soccorso) oppure organizzazioni di resistenza (organizzazione di scioperi, rivendicazione salariale, soccorso per le famiglie nel caso di repressione e carcere). Il 6 agosto 1863 vi fu il primo sciopero moderno, represso con 7 morti a Napoli. Il 24-18 aprile 1868 vi fu il primo sciopero generale riuscito a Bologna. * Dopo la separazione dagli anarchici nel 1874 (vedere “Il Movimento Operaio”) i gruppi del movimento sociale operaio si erano avvicinati all’estrema sinistra democratica e radicale. La difficile situazione in cui veniva a trovarsi il movimento, a causa delle forti repressioni ma anche per via dell’egemonia anarchica su molti operai, ebbe alcune conseguenze sul futuro immediato delle organizzazioni “socialiste”. La repressione del ‘74 causò l’arresto di molti socialisti e radicali e i processi furono occasione per far conoscere il pensiero degli uomini arrestati. Con l’andata al potere della sinistra storica furono organizzate delle “leghe di resistenza operaia”, con particolare attenzione rivolta ai temi dei “diritti sindacali”, cioè relativi al lavoro. La Federazione Anarchica tentava il suo congresso a Firenze nel 1876, ma fu duramente attaccata dalla polizia perché il nuovo governo Depretis e Nicotera (ministro degli Interni) proibiva le manifestazioni politiche. 32
Il congresso anarchico si tenne lo stesso, clandestinamente, e il movimento poteva così commemorare la grande figura di Bakunin da poco morto. Sul piano politico bisogna segnalare le critiche rivolte dal gruppo “la Plebe” alla Federazione: emergeva chiaramente che alcuni erano propensi nel costruire un vero e proprio “partito” (cosa che era aborrita dagli anarchici). Erano questi favorevoli a una visione evoluzionistica della “rivoluzione sociale”, contro i metodi insurrezionali professati dai libertari più intransigenti. Il gruppo evoluzionista Bignami-Gnocchi Viani di Milano aveva una mira egemonica sulla Federazione dell’Alta Italia: proponevano nelle loro tesi che era importante per il momento contingente partecipare al cambiamento sociale organizzando gli operai e le lotte proletarie e porre in ultima fase la rivoluzione per il socialismo. La risposta degli anarchici fu il tentativo d’insurrezione nel Beneventano, guidato da Carlo Cafiero ed Errico Malatesta, (aprile 1877). Intanto Andrea Costa, l’esponente più in vista del movimento operaio, nel ’77 partecipò al Congresso dell’Internazionale Anarchica tenutasi in Belgio. Poco dopo ci fu la sua partecipazione al “congresso dei socialisti universali”, una delle prime formazioni embrionali del movimento operaio internazionale socialista; proprio in queste importanti riunioni le idee di Costa maturarono in direzione della costituzione di partiti socialisti legalitari. A questo proposito fu redatto il documento conosciuto come il “manifesto delle organizzazioni operaie e socialiste di tutti i paesi”. La repressione contro il movimento anarchico si fece sempre dura, con arresti e deportazioni. Dopo la IV assemblea di Pisa (’78) i libertari perdevano consenso a favore degli evoluzionisti. Il passo decisivo fu compiuto da Costa stesso con la sua “Lettera aperta ai miei amici di Romagna”, pubblicata su “La Plebe” nel 1879: in essa le direttive delle nuove organizzazioni proletarie si basavano sulla critica all’insurrezionalismo e sulla costituzione di un partito di azione di tipo socialista. A questo punto vi fu la riunione di alcuni delegati che fondarono il “Partito Socialista Rivoluzionario della Romagna”, a Rimini nell’agosto del 1881. Il programma prevedeva la diffusione del socialismo attraverso la stampa, l’organizzazione degli aderenti in circoli e sezioni, la pratica dello sciopero per le richieste di natura economica del mondo del lavoro, l’impadronirsi dei comuni per farne una federazione autonoma, fortemente antigovernativa e di contropotere allo Stato. Sempre di più la penetrazione del modello milanese-evoluzionistico sul gruppo proto33
socialista si manifestava nettamente con cambi di strategia: ad esempio la perdita della posizione antiparlamentare fu una conseguenza di scambi e confronti (non esclusi forti scontri) tra i romagnoli e i milanesi. Nel settembre 1881 fu fondata la Confederazione Operaia Lombarda, che appoggiava le lotte e le rivendicazioni degli operai sul fronte degli aumenti salariali e della riduzione degli orari lavorativi. Le â&#x20AC;&#x153;tesi operaisticheâ&#x20AC;? presero piede nel mondo del lavoro e nel maggio 1882 fu fondata la sezione milanese del â&#x20AC;&#x153;Partito Operaio Italianoâ&#x20AC;?.
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Capitolo VIII. La politica estera italiana dal 1861 al 1878 Scopo principale dell’iniziale politica estera italiana fu quello del compimento dell’unità, la sua esistenza garantita dagli altri “stati amici” e l’inserimento del nuovo stato nel sistema europeo. Cavour presentò il nuovo stato come elemento di conservazione e contro ogni “rivoluzione”. Per quindici anni ministro degli esteri fu Visconti Venosta. La Francia e l’Inghilterra erano le nazioni di riferimento. Con la Francia il legame sfiorava il semivassallaggio ma la Questione Romana premeva e aveva un forte impatto sulla politica estera. Dal 1866 dei patti militari e politici furono stipulati con la Prussia, potenza emergente. Sempre sul piano economico vanno citati gli accordi col Sudamerica, l’estremo e il medio-oriente. Gli emigrati erano stati oggetti di attenzioni: specialmente in Tunisia, a causa della forte presenza di una colonia di italiani (Assab, 1868). Fra il ’73 e il ’75 si assistette al riavvicinamento dell’Italia agli imperi centrali; dopo la caduta dell’impero di Napoleone III i gruppi clericali francesi si opposero agli interessi italiani verso la capitale. Bismarck attuava la “kulturkampf”, segnatamente anticattolica e i governanti italiani guardavano come modello a queste politiche. Nel 1875 esplode la rivolta anti-turca in Bosnia-Erzegovina. La lega dei tre Imperatori (Austria, Prussia e Russia) fu arbitro di una politica, in realtà, filorussa. Nel 1876 la rivolta bulgara sempre contro la Turchia impressionò gli europei per la ferocia della repressione turca. La Serbia e il Montenegro dichiararono guerra alla Turchia. La conferenza di Costantinopoli fu fatta fallire dai turchi stessi e la Russia le dichiarò guerra (aprile 1877). L’allargamento dei confini austriaci verso la BosniaErzegovina non ebbe effetti verso i territori “italiani” sotto controllo austriaco, come invece si aspettavano i governanti italiani: iniziava così la questione di Trento e Trieste e, quindi, dell’irredentismo italiano orientale.
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Appendice 3 CRONOLOGIA 1880-1890 1880 Agosto: il governo Cairoli favorisce la penetrazione economica italiana in Tunisia. 1881 Crollo del prezzo del grano. Crisi economica europea: l’agricoltura è scossa dalla penetrazione americana. Aprile: la Francia occupa la Tunisia. Si dimette Cairoli. Governo Depretis. Settembre: Andrea Costa fonda il Partito Socialista Rivoluzionario della Romagna (nucleo del futuro partito socialista). Confederazione Operaia Lombarda (primo nucleo del sindacato). Costituzione della “Navigazione Generale Italiana”. Novembre: nuovo trattato economico italo-francese. 1882 Marzo: Baia di Assab (prima penetrazione italiana coloniale in Etiopia -Mar Rosso). Maggio: legge elettorale (età per votare 21 anni). Adesione italiana alla Triplice Alleanza con l’Austria-Ungheria e la Germania. Ottobre: prime elezioni a suffragio allargato. Eletti membri del Partito Operaio, dell’Estrema sinistra e di Costa. L’accordo con Minghetti: inizia il trasformismo. 1883 Gennaio/aprile: nuovo codice economico e abolizione del corso forzoso. Speculazione edilizia a Roma. Novembre: il gruppo “pentarchico” (Zanardelli, Baccarini, Crispi, Nicotera e Cairoli) contro Depretis. 1884 Marzo: lo stato fa nascere la “Società Altiforni e Fonderie” (Terni). Luglio: Jacini (deputato della Destra storica) fa pubblicare la relazione finale sulla sua inchiesta agraria. Ottobre: nasce la Lega Agraria, per tutelare gli interessi dei grossi proprietari fondiari del nord. 1885 36
Febbraio: occupazione di Massaua (Eritrea). Marzo: repressioni dei moti contadini nel Polesine (Veneto). Aprile: privatizzazione delle ferrovie (mediterranea adriatica e sicilia). Novembre: Finanza “allegra” del ministro Magliani. 1886 Febbraio: “legge sul lavoro minorile”. Maggio: elezioni, crescono i socialisti (seguaci di A. Costa). Dicembre: i protezionisti criticano gli accordi con la Francia. 1887 Gennaio: Dogali (sconfitta coloniale italiana). Febbraio: rinnovamento della Triplice Alleanza. Luglio: muore Agostino Depretis. Governo Crispi. 1888 Febbraio : “guerra” doganale italo-francese. Inizia il riformismo crispino: leggi comunali e regionali, nuovi codici penali, elettività dei sindaci e suffragio allargato Dicembre: dimissioni di Magliani. 1889 Maggio: trattato di Uccialli. Giugno: si rafforza l’intransigenza cattolica. Fondazione della Seconda internazionale (associazione dei partiti socialisti europei)
CRONOLOGIA 1890-1900 1890 Gennaio: Decreto sulla Colonia Eritrea. Maggio: patto di Roma fra i democratici. 1891 Gennaio: a Crispi succede Di Rudini Iniziano le pubblicazioni di “La critica sociale” (FilippoTurati e Anna 37
Kuliscioff). Programma della Lega Socialista. Prima “Camera del Lavoro” ad opera del milanese Gnocchi Viani. Maggio: rinnovo della Triplice Alleanza. La “rerum novarum”: enciclica di condanna delle ideologie moderne. 1892 Maggio: Giovanni Giolitti sale al potere. Agosto: nasce il Partito dei Lavoratori Italiani. Novembre: elezioni con rafforzamento dei “giolittiani”. Dicembre: scandalo della Banca Romana. 1893 Alleanza dei gruppi “Fasci siciliani” (il movimento politico di operai e artigiani siciliani d’ispirazione socialista-anarchico) nel patto di Corleone. Giugno: federazione delle “camere del lavoro”. Agosto: si costituisce la Banca d’Italia. Dicembre: Giolitti si dimette. 1894 Gennaio : Stato d’assedio in Sicilia, repressione dei Fasci siciliani. Stato d’assedio in Lunigiana, repressione degli anarchici. Febbraio: ristabilito il corso forzoso Luglio: leggi antianarchiche Ottobre: nasce la Banca Commerciale Italiana. Il dazio sul grano raggiunge i 7,50 lire al qt. Scioglimento delle organizzazioni operaie. 1895 Gennaio: nuovo statuto dei socialisti (adesione individuale). Maggio: elezione a suffragio ristretto. 1896 Marzo: scontri tra esercito italiano e patrioti abissini. Disfatta di Adua, Crispi si dimette. Nuovo governo di riappacificazione Di Rudini. Settembre: accordi italo-francesi (sul commercio). Ottobre: accordi di Addis Abeba (sui confini e colonie). Dicembre: esce “l’Avanti!” organo del Partito Socialista Italiano. 38
1897 Marzo: elezioni, crescono i socialisti e i democratici. Agosto-settembre: nascono le “Casse cattoliche”, la Federazione universitaria degli studenti cattolici ( F.U.C.I.) e le correnti di democrazia cristiana. 1898 Gennaio: crisi agraria, sospensione del dazio sul grano. Marzo: leggi riformiste sugli infortuni sul lavoro e sulla previdenza. Aprile- maggio: tumulti operai a Milano, assedio dell’esercito e uccisioni di manifestanti da parte dei soldati del gen. Bava Beccaris. Giugno: Di Rudini propone la “sospensione dei diritti” per fronteggiare la crisi. Gli succede il generale Pelloux (legato alla Casa Savoia). 1899 Gennaio- marzo: ostruzionismo parlamentare dell’estrema sinistra. Nasce la FIAT. Crisi istituzionale. 1900 Scioglimento delle Camere. Forte avanzata della Sinistra radicale e dei socialisti 20 luglio: regicidio di Umberto I (una vendetta anarco-individualista per gli eccidi milanesi). Gli succede Vittorio Emanuele II.
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Capitolo IX. Dopo le elezioni del 1874 Uno degli eventi che determinarono la sfiducia elettorale nei governi della destra storica fu l’iniziativa di Marco Minghetti che s’impegnò affinché fosse approvata una legge “per l’ordine pubblico” in Sicilia. Infatti, nel ’74 vi fu un’ondata di malandrinaggio, in realtà una vasta reazione dettata dall’esasperata miseria e dalle condizioni di penurie delle popolazioni contadine, strette tra “dittatura mafiosa” e repressione poliziesca, e con note sovrapposizioni tra politici locali e maffie (così erano denominati le organizzazioni criminali nella pubblicistica). Molte azioni illegali erano indistinguibili dall’azione politica portata avanti dai gruppi anarchici-socialisti o dalla “guardia armata” del grande latifondo (quest’ultimo è il gruppo che sta all’origine della moderna mafia organizzata). La guerra contro i tutori dell’ordine pubblico legali o illegali si manifestava col susseguirsi di attentati, rappresaglie, scontri a fuoco, omertà e latitanza. Non sono mancati episodi di contadini che per tutelarsi preferivano sottomettersi al ras mafioso locale (e quindi protetto) piuttosto che ai carabinieri reali. Quasi tutte le attività e le aziende erano tutelate dagli “uomini d’onore” (altro termine con cui s’indicava l’organizzazione). Il nuovo prefetto di Palermo G. Rasponi, succeduto al dittatore Medici (dittatore perché aveva i pieni poteri) rifiuto ogni potere straordinario o legge speciale perché aveva affermato che poteva contrapporsi alle criminalità con le leggi già esistenti. Il Governo invece emanò una disposizione che dava pieno potere coercitivo ai militari e alle forze dell’ordine. Il prefetto Rasponi si dimise, presentandosi alle elezioni nelle file dell’opposizione, vincendo. La lotta parlamentare s’inasprì: la sinistra era compatta contro la legge MinghettiPisanelli. La denuncia delle collusioni mafia-forze dell’ordine e sul governo “ambiguo” della Destra in Sicilia furono i temi di questa polemica. La legge in questione era stata approvata grazie alla compattezza delle file della destra e per l’assenza di numerosi deputati della sinistra. La linea politica di Nicotera (esponente della sinistra meridionale), politico alla ricerca di nuovi equilibri parlamentari, era indirizzata verso un sostanziale ribaltamento delle alleanze: scaricare la sinistra piemontese e allearsi 40
con la destra di Quintino Sella. Solo con l’intervento, cauto, di Depretis fu soddisfatto Nicotera, all’insegna dell’unità dei parlamentari di sinistra. E’ in questo frangente che prende forma la futura fisionomia politica di Depretis che con accordi con la destra antiminghettiana traghetterà la sinistra verso l’esperienza governativa. L’asse Depretis-Nicotera si mostrava vincente anche su una questione economica importante: le linee ferroviarie italiane. La destra toscana, antiminghettina, aspettava il suo momento propizio, e l’occasione fu il discorso parlamentare di Minghetti del 16 marzo 1876, un discorso importante per via dell’annuncio del pareggio del bilancio dello Stato. L’esposizione sulle finanze del presidente bolognese comprendeva anche la difesa delle convenzioni tra i privati e il pubblico per le Ferrovie; fu annunciato un voto sul metodo di riscossione della tassa sul macinato. I deputati Correnti e Puccioni (destra toscana) votarono contro con la sinistra moderata di Depretis-Nicotera. Il governo fu portato alle dimissioni. L’ultimo governo della Destra storica, si può dire, fu “moderno” nel senso che la concezione statale dell’uso dei beni tecnici (es. le ferrovie) fu centrata sulla possibilità di un uso pubblico e quindi funzionale per l’economia della diffusione di merci e servizi. La direzione della statalizzazione delle ferrovie dal precedente monopolio privato fu un elemento “negativo” per lo sviluppo economico italiano. La destra comunque, se si escludessero alcuni autorevoli dirigenti, era stata incapace di portare avanti le economie modernizzanti (basti pensare alle politiche di esasperazione fiscale e di grandi concentrazioni monopolistiche). Il tentativo di riscatto con le ferrovie appare in ultima analisi tardiva e debole. La sinistra moderata aveva colto le opportunità offerte dagli interessi capitalistici, di cui si sentiva di tutelare, nonché dell’idea moderna di rappresentare anche interessi del popolo. Da questo le politiche di suffragio allargato, l’istruzione primaria gratuita e obbligatoria, il decentramento amministrativo, la riforma del sistema fiscale, espressione di quelle istanze do progresso anelate da vasti strati di popolazione.
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Capitolo X. La sinistra al potere.1876 Gli uomini della sinistra provenivano dal movimento democratico dell’età risorgimentale e avevano esperienze di cospirazioni, di guerre insurrezionali e di lotte parlamentari. Erano o si dicevano di essere più aperti alle esigenze del progresso, di educazione del popolo e di partecipazione dei nuovi strati sociali alla politica. Il loro anticlericalismo era dovuto principalmente al fatto di essere massoni. A livello economico gli uomini della sinistra rappresentavano la piccola e media borghesia centro-settentrionale e la borghesia agraria del sud: convivevano quindi forze conservatrici-moderate e sinceri progressisti. Da questo stato di cose derivava la politica trasformista che tentava di assorbire la base della destra grazie a una virata conservatrice della politica interna. Il primo governo entrò in carica il 25 marzo 1876 con Depretis primo ministro e ministro delle Finanze, Zanardelli ministro ai Lavori Pubblici e Nicotera al Ministero degli Interni. L’appoggio temporaneo dei toscani fu conseguenza dei fatti narrati (vedi dopo il 1874). Il Parlamento così com’era composto non dava molto spazio di manovra al governo. Nicotera premeva per un governo con la destra vicina alle sue posizioni. Le elezioni comunque furono indette nel novembre: la sinistra ottenne il 59% dei consensi e circa 400 deputati. Le correnti della sinistra erano così organizzate: Nicotera e sinistra meridionale – alleata del gruppo toscano (della destra storica) Gruppo di Crispi della sinistra storica Gruppo di Zanardelli sinistra moderata Estrema sinistra di Bertani Depretis (1813-1887) aveva tenuto un importante discorso (ottobre 1876) nel suo collegio di Stradella (Pavia), dove aveva auspicato la raccolta delle varie parti del parlamento in una generale trasformazione dei partiti1 sotto il segno di un progressismo moderato.
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Il gruppo di Depretis poteva contare sul centro sinistra composto dai piemontesi e dal centro del gruppo Correnti e da personalità disposte ad aiutarlo durante l’iter governativo. Doveva quindi barcamenarsi fra lo Zanardelli e il Nicotera, ma la maggioranza fu sempre instabile. Nel dicembre 1877 il secondo governo Depretis nominava Crispi ministro degli Interni, ma contrasti con Nicotera e Cairoli lo portarono alle dimissioni. Fra i successi della politica depretisina bisogna ricordare l’abolizione della tassa sul macinato e la riforma elettorale. Nel gennaio 1878 muore il re Vittorio Emanuele II e gli succede il figlio Umberto I. Muore Pio IX e salì al pontificato Leone XIII. (1) Trasformismo: l’assorbimento della sinistra moderata, raccolta attorno al Depretis, di interessi, idee e uomini della destra (definizione di G. Candeloro).
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Capitolo XI. Governo e Parlamento italiano 1878-1887. Il primo governo Cairoli si costituì nel marzo del ’78, appoggiato esternamente dalla destra di Quintino Sella. Le sue mire erano contro la politica di Depretis, in modo speciale la questione ferroviaria, e contro l’autoritarismo di Nicotera. Zanardelli fu il ministro dell’Interno e Corti al ministero degli esteri. Fu un governo a predominanza settentrionale, ed ebbe il merito di essere fedele ai dettami dello statuto in materia di libertà civili. Nel giugno istituì il Ministero dell’Agricoltura, Industria e Commercio; stipulò accordi commerciali con la Francia. Nella politica internazionale bisogna segnalare il congresso di Berlino, convocato per dar soluzione alla questione balcanica (e dove fu sollevata la questione dell’irredentismo dei territorio italiani orientali). Manifestazioni di proteste, contro il governo accusato di una condotta eccessivamente indulgente, furono organizzate per le vie di Milano, Firenze e Roma, sfociate in scontri con la polizia. Nel novembre 1878 ci fu un tentativo di uccidere il nuovo re. Ci furono bombe contro i cortei monarchici di solidarietà al re. La repressione contro gli anarchici, gli internazionalisti e democratici radicali fu molto dura e indistinta. L’11 dicembre si dimette Cairoli e il 19 si forma il governo Depretis (il III°), di nuovo appoggiato dalla sinistra meridionale (senza i seguaci di Nicotera). Un governo di marca conservatrice, con un’impasse politica sulle solite questioni delle ferrovie e delle tasse sul macinato. Da qui la sfiducia di destra (Sella) e di sinistra (Cairoli). Il 14 luglio ’79 Cairoli costituisce il secondo governo, caratterizzato dai dissidi col suo ministro delle finanze, Grimaldi, sulle questioni delle tasse sul macinato. Il riavvicinamento Depretis-Cairoli portò al III° governo Cairoli (novembre ’79). Un governo debole, e le elezioni del maggio 1880 non aiutarono la compagine governativa. La Sinistra ministeriale ottenne 210 deputati, i “dissidenti” 80, la destra 170 e 20 deputati i radicali dell’estrema sinistra. I problemi vengono dalla politica estera: la Francia occupa la Tunisia. L’Italia rischia di essere tagliata fuori dalla competizione colonialistica. Nel maggio 1881 Cairoli è costretto alle dimissioni. La destra di Sella tentò di costituire un governo “nazionale” 44
con centristi e sinistra moderata, ma Depretis e Zanardelli risolsero la questione a loro favore: il IV gabinetto Depretis era pronto (con S. Mancini alle Finanze e Zanardelli alla Giustizia). Fu varata la nuova legge elettorale: i cittadini italiani che potevano votare erano quelli di età minima di 21 anni e che avevano superato il corso elementare obbligatorio (2a elementare) o che pagassero circa 20 lire di tasse d’imposte dirette. Si passava così da un corpo elettorale di 2,2 al 6,9 % dell’intera popolazione. In realtà la lotta per il suffragio universale era condotta solo dai socialisti e dai democratici (va segnalata la novità di alcuni esponenti della Destra favorevoli al suffragio perché vedevano nel voto dei contadini una garanzia di conservazione sociale). La proposta di legge per il suffragio universale fu respinta dalla camera nel giugno 1881. La situazione politica interna (con la forte avanzata delle istanze radicali, socialiste, repubblicane e democratiche) preoccupava – e non poco!- la corte e l’aristocrazia. Il re premeva per un avvicinamento agli imperi centrali (gli Asburgo e gli Hohenzollern) in chiave antiprogressista. L’acuirsi della questione romana ebbe ripercussioni sull’ordine pubblico: durante una manifestazione religiosa (12-13 luglio ’81) ci furono violentissimi scontri tra anticlericali e clericali, senza intervento da parte delle forze dell’ordine. Il papa minacciò di andarsene da Roma. La fine della kulturkampf di Bismarck aveva riavvicinato i cattolici tedeschi al cancelliere e quindi la “solidarietà” tedesca verso il papa fu una sorpresa per gli anticlericali italiani (che avevano visto di buon occhio le leggi anticattoliche del Bismarck). Tutti questi eventi portarono all’adesione dell’Italia alla Triplice Alleanza (maggio 1882) secondo una politica che era conservatrice, di natura militare e di accordi in caso di guerre, neutralità o pace. Con la stipulazione degli accordi della Triplice Alleanza iniziava anche la politica del trasformismo di Depretis. Gli accordi interni Depretis-destra in funzione antisocialista rientravano nel progetto internazionale della conservazione europea di contenere le avanzate delle forze progressiste.
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Capitolo XII. Il socialismo italiano e il movimento operaio dal 1891 al 1896. Il congresso di Genova sanciva la linea politica dei socialisti rivoluzionari del movimento operaio. La netta separazione dagli anarchici, l’adattamento per l’Italia del programma marxista (nel rispetto delle differenze con le altre nazioni) e la differenziazione tra la lotta economica e la lotta politica, movimento sindacalemovimento socialista, come aspetti complementari della lotta proletaria per il socialismo, furono i cardini di questa linea. Nel settembre 1893 anche Andrea Costa aderiva al partito che ora assumeva il nome di “Partito Socialista del Lavoratori italiani” (PSLI). Nello stesso tempo nacquero le “Camere del lavoro”(CdL); la prima nacque a Milano per opera di Gnocchi Viani nel 1891, seguite dalle altre, una in ogni città. Nel 1893 a Parma vi fu il primo congresso delle CdL. Tutela dei lavoratori, specialmente delle donne e dei bambini (v. foto Bormioli), organizzazione delle cooperative, diffusione della cultura socialista e scientifica (positivistica), apprendistato giovanile furono i campi d’interesse delle camere. Nonostante la repressione che nel ‘94-’95 si abbatté sulle CdL e sul PSLI, la combattività di queste organizzazioni e la politicizzazione erano così forte da mettere in crisi anche lo strisciante autoritarismo dello Stato. La formazione, per tutto il decennio, di una classe operaia cosciente e combattiva si mostrava come un vero e proprio cambiamento radicale avvenuto in seno alla nazione. I cattolici furono anch’essi interessati dal fenomeno, essendo numerosi i fedeli delle classi lavoratrici. Fu avviata la formazione di organizzazioni cattoliche degli operai, col duplice scopo di sottrarre i lavoratori dal socialismo condannato dalla Chiesa, e di diffondere la dottrina sociale della chiesa (contenuta nell’enciclica rerum novarum di Leone XIII). Dopo le leggi di Crispi contro il movimento operaio (luglio 1894), il dibattito tra i socialisti fu molto intenso: Anna Kuliscioff non a torto definiva l’Italia per ¾ ancora medievale, la cui rivoluzione liberal-nazionale non era stata democratica; bisognava forzare i tempi per la rivoluzione socialista e democratica, andare incontro al grido di dolore del proletariato affamato e trucidato. I socialisti sostenevano che era chiusa la 46
“fase dottrinaria” della loro evoluzione ed era urgente aprire una nuova fase rivoluzionaria per “isolare la pura esaltazione anarchica e la viltà dei social-borghesi”, per parafrasare Antonio Labriola (il primo dei teorici marxisti italiani). Dopo la reazione crispina iniziava la politica giolittiana, un liberalismo attento alle esigenze delle istanze proletarie e più in generale delle classi lavoratrici, col riconoscimento dell’associazionismo e delle formazioni sindacali. Il problema dell’intransigentismo (l’idea di non dover transigere con la classe borghese sul principio della rivoluzione come finalità del movimento) e del collaborazionismo (l’idea di associarsi, almeno temporaneamente con gli strati più avanzati e illuminati delle classi medie e della borghesia) fu al centro del dibattito del congresso socialista di Parma (1895). Fu approvata la linea intermedia, partecipazione alla competizione elettorale e nessuna alleanza con la borghesia progressista, e fu approvata anche la formula dell’adesione singola e volontaria al “Partito Socialista Italiano” (così si sarebbe chiamato il partito della classe operaia). Il miglioramento dell’organizzazione delle strutture del partito, con l’avvio di quella forma moderna che è il partito di massa, ebbe conseguenze politiche immediate; il congresso di Firenze (1896) fu, infatti, incentrato sulle questioni del parlamentarismo e sull’azione legalitaria. Nel Natale dello stesso anno nacque l’organo ufficiale del partito, “l’Avanti!” (con 50 mila copie di tiratura). I socialisti alle elezioni del 1897 ottennero 135 mila voti. La cultura politica socialista. Fu l’emigrazione (quasi un milione e mezzo gli emigrati tra il ’90 e il ’95) e l’intensificarsi della lotta politica le due risposte alla crisi economica della società italiana. Se si prende in considerazione un anno come il 1890 furono 139 i tumulti sociali guidati dalle varie fazioni del movimento contadino e operaio. A confluire nel nascente partito socialista furono due visioni della politica proletaria: da una parte quella “operaista” di Milano (lotta contro le sopraffazioni padronali, cooperativismo e autorganizzazione degli operai) e quella eminentemente politica dei romagnoli di Andrea Costa, con un programma di conquista del potere legale. Figura di congiunzione tra le due anime fu Filippo Turati che partito dai democratici umanisti e filo radicale era approdato al Socialismo, influenzato dall’eccezionale
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figura di Anna Kuliscioff, legata ai gruppi rivoluzionari di mezza Europa e alla socialdemocrazia tedesca. Turati e Kuliscioff erano consapevoli che bisognava superare l’arretratezza politica del movimento proletario italiano. Per questo c’era bisogno di una figura intellettuale che preparasse un gruppo dirigente preparato e culturalmente solido: fu questo il compito di Antonio Labriola. La questione della coscienza socialista, una coscienza che superasse il radicalismo degli intellettuali democratici e lo spontaneismo dei rivoluzionari borghesi o libertari, era il tema d’importanza ineludibile. Un raggruppamento autonomo della classe dei lavoratori aveva bisogno di una dottrina lucida e di una prassi efficace. Nel 1889 la fondazione della Seconda Internazionale e nel 1890 la forte affermazione della SPD nel parlamento del Reich tedesco aveva destato molto interesse tra i “socialisti italiani”; il centenario della Rivoluzione Francese a Parigi fu teatro di una riunione storica per il movimento operaio; parteciparono, infatti, uomini e donne del calibro di Liebknecht, Bebel, Berstein, Clara Zetkin, J. Guesde, Lafargue, Adler e Plechanov. Fu occasione anche dell’istituzione della prima festa dei lavoratori, il Primo Maggio 1890, una giornata di mobilitazione per la riduzione dell’orario di lavoro. I socialisti tedeschi avevano raggiunto il 20% dei consensi elettorali, mettendo così in crisi Bismarck. Lo stesso Kaiser annunciava un impegno per la legislazione del lavoro. I libri di Antonio Labriola, da una parte, e la “Critica sociale” di Turati furono le “palestre” per le nuove idee socialiste. Nel 1895 fu pubblicata “La concezione materialistica della Storia”, opera che influì sulla futura generazione di dirigenti del partito socialista. Furono istituite apposite commissioni di studio per la preparazione del “programma socialista”: l’operaismo, i rapporti con le altre ideologie (con i mazziniani, i democratici e i radicali; e, naturalmente, con gli anarchici), l’azione rivoluzionaria, erano i temi più importanti discussi nelle assemblee. Il programma socialista era pronto: si sosteneva l’esistenza di una classe privilegiata, quella capitalistica, detentrice dei mezzi di produzioni, e di un’altra classe, sfruttata; la lotta di classe avrebbe portato allo scontro e alla conquista dei poteri pubblici da parte del partito socialista, che doveva trasformare -questi poteri - in strumenti di eliminazione delle differenze socio-economiche e di espropriazione economica e politica della classe borghese a favore del proletariato. 48
Capitolo XIII. Il trasformismo di Depretis. Autoritarismo di Francesco Crispi. Colonialismo italiano Il IV° ministero Depretis (maggio ’81) non poteva portare avanti la politica trasformista a causa della presenza nel governo di Zanardelli, contrario a qualsiasi accordo con la Destra. Nicotera, nell’83, criticò la maggioranza per le troppe concessioni e appoggi alle politiche delle Destre. Minghetti, dal canto suo, sosteneva che erano superate le distinzioni di partito e la politica del Depretis mirava ad armonizzare le esigenze democratiche con quelle conservatrici. Depretis ribadiva che il suo era un programma della sinistra moderata. Con le dimissioni di Zanardelli nel maggio ’83 poteva avviarsi de facto la politica trasformista. A Napoli nel novembre 1883 si riuniva la pentarchia (Cairoli-Zanardelli-Baccarini per la sinistra e Nicotera-Crispi per la sinistra meridionale), che con i radicali dell’estrema sinistra costituiva l’opposizione al trasformismo. Il V° e il VI° dei ministeri Depretis con Mancini (Esteri), Magliani (Finanze) e Grimaldi (Agricoltura, Industria e Commercio, nel VI°). Proprio su quest’ultimo ministero si svolse un importante battaglia politica: il riformista Berti fu sostituito dal “pragmatico” Grimaldi proprio per la politica d’iniziativa parlamentare del primo a favore delle tutele del lavoratore agricolo (un paternalismo illuminato). Intanto il movimento operaio cresceva impetuosamente: le agitazioni nel Polesine e nel mantovano (1885) furono stroncate per intervento della polizia. Ci furono arresti e processi “per aver attentato alla sicurezza dello Stato”; le assoluzioni degli imputati furono considerate importante per il riconoscimento del diritto allo sciopero per le rivendicazioni salariali e per il riconoscimento delle associazioni sindacali. Nel 1882 il governo liberale del Gladstone riconobbe il possedimento italiano di Assab. Nello stesso anno ci fu una rivolta degli arabi Pascià contro il controllo dell’Egitto da parte dei franco-inglesi: la repressione fu fatta solo dalla marina inglese, dopo che sia l’Italia sia la Francia avevano rifiutato di intervenire. Il solo che criticò questa posizione del Governo italiano fu Francesco Crispi, accusandolo di debolezza e di aver compromesso l’espansione coloniale in Africa. In realtà la non partecipazione italiana era dovuta al fatto che l’Inghilterra non avrebbe acconsentito ad accordi di spartizione. Nel 1884 s’intensificarono le attività diplomatiche italiane, 49
dopo l’espansione francese in Marocco. La Francia e gli inglesi fecero capire che un intervento italiano a Tripoli era ben visto. La rivolta del Mahdi (termine arabo: “colui che è guidato da Allah; indica il capo Muhammad Ahmad, fondatore di un movimento anticoloniale del Sudan attivo tra il 1882 e il 1898), aveva sottratto parte del Sudan dal protettorato anglo-egiziano. Il 5 febbraio 1885 l’Italia inviava l’esercito per occupare Massaua. L’occupazione di Massaua rientrava in un preciso piano strategico, sotto la supervisione franco-inglese, di espansione in Africa settentrionale delle nuove potenze europee (Italia e Germania). Dopo l’85 e nonostante le titubanze di Bismarck anche la Germania avviava la sua politica coloniale. La politica estera del Mancini era criticata dai gruppi parlamentari d‘opposizione: il governo rispondeva, per voce del suo ministro degli esteri, con la retorica delle terre da civilizzare e della creazione di colonie al fine di conservare lo status quo nel mediterraneo, nonché per la programmazione di flussi di emigrazione verso le terre da lavorare. Ma la critica all’operato del Mancini era così forte che poco il governo avviò un rimpasto. Il VII° governo Depretis (30 giugno 1885) ebbe problemi di varia natura ma le questioni più rilevanti furono di natura finanziaria. Agli Esteri fu nominato del conte Di Robilant, diplomatico fautore di una politica di potenza. La destra di Sonnino, Di Rudinì, Salandra attaccarono la politica del ministro Magliani, e lo stesso fecero i gruppi emergenti a sinistra con Giolitti, Berti e Villa. Le elezioni generali furono indette il 23 maggio 1886. La sinistra governativa fu indebolita dal voto, la sinistra radicale fu ridimensionata e questi ultimi accusarono “i socialisti” del Partito Operaio di tramare con Depretis per ridurre la voce dei radicali. La svolta dell’87. La politica estera. Nel 1885 la Bulgaria ruppe il trattato di Berlino. Iniziava la guerra della Serbia contro la Bulgaria, che finiva solo con l’intervento diplomatico dell’Impero austro-ungarico. La conseguenza di quest’intervento fu la rottura del dreikaiserbund con la Russia. Dopo il lungo periodo di riavvicinamento franco-tedesco cade il Governo di J. Ferry, principale fautore di questo “patto d’amicizia”. Il ‘revanscista’ generale Boulanger, nominato al ministero della Guerra fu l’artefice di un riavvicinamento franco-russo (in chiave anti-tedesca). 50
Il ministro degli Esteri Di Robilant fu l’artefice di nuovi accordi con l’Austria, sulla cessione dei territori italiani nel caso di espansione verso oriente dell’impero; anche l’accordo con la Germania, in caso di guerra tra Italia e Francia, e gli accordi con l’Inghilterra furono di questo tenore (febbraio 1887). In questo frangente il tentativo italiano di uscire dal decennale isolamento sulla scena internazionale va interpretato come la volontà di entrare nel grande gioco del colonialismo che oramai stava diventando l’unico scopo delle politiche estere degli europei. Di Robilant aveva accordato in chiave antifrancese la sua politica difensiva per poter compartecipare alle spartizioni coloniali, con o senza i veti francesi. La presenza militare italiana ad Assab (Colonia Eritrea) rafforzava l’idea che bisognava espandersi verso altri territori e mercati: la funzione economica era subordinata a questa capacità di penetrazione in altre nazioni africane. La confinante Abissinia era il naturale sblocco di quest’azione espansiva. Il Negus Giovanni, imperatore abissino, si opponeva a quest’ aggressione. Massaua fu occupata nell’85. Gli italiani si spostarono anche lungo l’Hamansen, territorio di Ras Alula, vassallo del Negus, e nel Saati, già colonia: le truppe del ras circondarono i cinquecento soldati a Dogali, che furono così trucidati (26 gennaio 1887). L’eccidio rafforzò la politica filo colonialista. La crisi che attraversò il governo era stata risolta grazie al supporto del gruppo di Crispi e Zanardelli. Le dimissioni di Di Robilant precedettero di pochi giorni quelli del governo; un altro governo Depretis era pronto ma per durare pochi mesi e far spazio all’uomo forte di quel momento, Francesco Crispi. Nel giugno 1887 furono votati i finanziamenti all’esercito in Africa, e nel luglio muore Depretis e il suo ministro degli Interni ne è il naturale successore.
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Capitolo XIV. Il primo governo Crispi (luglio-agosto 1887, 6 febbraio 1891)
Politica estera: ci fu un aggravamento della tensione con la Francia a causa della politica di “prestigio coloniale” voluta dal primo ministro. Dalla Triplice Alleanza Crispi cercava di ottenere il massimo appoggio possibile. Considerato un nazionalista ante litteram Francesco Crispi allacciò i rapporti diplomatici più stretti con la potenza germanica, allo scopo di aver mano libera in Africa, e per contrastare la Francia si schierò con l’Austria sulla questione bulgara; dal punto di vista degli accordi commerciali internazionali il premier siciliano aveva impartito una politica di scambi di merci con la potente Inghilterra. Le tensioni con la Santa sede raggiunsero l’apice (il passato anticlericale del Crispi sicuramente influiva sulle sue scelte). Nel marzo 1889 salì al potere, in Etiopia, col titolo di “re dei re” l’ambigua figura autoritaria di Menelik. Il 20 agosto fu firmato il Trattato di Uccialli, con l’illusione di Crispi di aver così sotto tutela il regno etiopico. Menelik si mostrò scaltro nell’assorbire la lezione europea della politica estera e fu un inflessibile autocrate dentro i propri confini. Sul piano della politica interna Francesco Crispi era favorevole al motto << prevenire per non reprimere >> : le misure poliziesche furono attuate contro i repubblicani e i socialisti. La sua politica contemplava anche l’opposizione ai clericali e ai filo francesi, legati al papa Leone XIII. 52
L’azione riformista fu indirizzata verso alcuni atti legislativi: riordino dell’amministrazione centrale, riforme delle leggi comunali e provinciali, allargamento del suffragio, nuovo codice penale e legge di pubblica sicurezza, leggi sulla sanità pubblica e legge sull’emigrazione. Crisi economica Durante il periodo 1888-1894 vi fu una diminuzione della produzione agraria che unita al “prestito facile” attuata da alcune banche, e quindi una forte speculazione monetaria, l’Italia entrava in una recessione economica prima delle altre nazioni (come la Germani, la Francia e la Svizzera). La ristrutturazione delle grandi città, con i grandi cantieri e la “febbre edilizia”, portava alla speculazione edilizia (siamo in piena “rivoluzione industriale”): migliaia di uomini (che abbandonavano le aree agricole in crisi) si spostavano nelle città in cerca di lavoro come manovali, impiegati nelle costruzioni di nuovi quartieri con case ad altissimo costo (e quindi fuori dalla portata degli operai o artigiani). Con le case vuote, non vendute e gente senza case, con le ditte costruttrici che chiudevano i battenti, lasciando sul lastrico migliaia di disoccupati, ci furono di conseguenza tumulti sociali, come avveniva nel 1888 nella capitale. Cresceva intanto l’opposizione alla politica fiscale e finanziaria del Magliani, criticata soprattutto da Sonnino e da Giolitti, con la conseguenza di un primo rimpasto del governo Crispi (ministro del Tesoro Perazzi), ma non era bastato. Nel marzo del 1889 si formò il secondo governo Crispi: Giolitti ottenne l’incarico del Tesoro e Zanardelli conservò la Giustizia. Continuando la sua politica interna del pugno di ferro Crispi si trovò un gruppo molto compattò di deputati, tra cui emergeva il radicale Felice Cavallotti, che chiedevano maggio potere al Parlamento, una politica a favore dei lavoratori, l’uscita dalla Triplice Alleanza, giudicata un’ associazione ultraconservatrice, e il ripristino dei buoni rapporti con la Francia. La risposta di Crispi fu uno slittamento sempre più a destra della sua compagine governativa, creando così non pochi dissidi interni. Nel novembre 1890 le elezioni furono favorevoli a Crispi, ma la tensione tra Giolitti e alcuni ministri, e la polemica fatta propria da Crispi verso i precedenti governi della 53
destra (lâ&#x20AC;&#x2122;accusa era quella, pesante, di essersi venduti allo straniero) portò alla fine del suo governo (6 febbraio 1891).
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Capitolo XV°. Governi nazionali dal 1895 al 1900 Il riordino dell’assetto bancario e l’istituzione di nuove banche furono le conseguenze di medio-termine dopo lo scandalo della Banca Romana. Il governo varava nuove leggi sulla circolazione monetaria. La crisi tra i due principali protagonisti della scena politica, Giolitti e Crispi, s’inasprì anche a causa delle accuse rivolte dal secondo al primo: i principali protagonisti dello scandalo furono assolti dall’accusa di bancarotta fraudolenta. Giolitti presentò il cosiddetto “plico”, documenti e atti riguardanti i recenti avvenimenti, in cui s’implicavano uomini vicini a Crispi, ma il governo non ebbe nessun problema nel proseguire il suo mandato. I socialisti si presentarono alle elezioni, e molti candidati erano uomini in prima linea nelle lotte sociali: alcuni erano stati appena processati e assolti da gravi accuse di “terrorismo” o “sovversione”. Le elezioni di maggio 1895 confermarono la forte affermazione dei “governativi”: 334 furono i deputati del blocco di Crispi, 104 l’opposizione liberale di Giolitti, 45 i radicali democratici e 15 i deputati socialisti, mentre deputati della “palude” – gli incerti!furono 8. Al sud i deputati crispini ebbero il maggior consenso mentre le aree urbane e industrializzate erano egemonizzate dai giolittiani e seguaci di Zanardelli. Nel dicembre con l’apertura della nuova sessione parlamentare il “caso Giolitti” (e le sue documentazioni) è stato chiuso per l’abilità di Crispi di spostare l’attenzione sui “fatti d’Africa”. La guerra d’Africa. Il tentativo italiano di barcamenarsi tra Menelik e Mangascià, i due rivali che si contendevano il dominio Etiope (allora Abissinia), fu portato avanti fino alla vittoria di Agordat (nel 1893). Gli italiani attraversarono il Sudan fino alla città di Kassala. Scoppiò la rivolta indigena dei seguaci di Mangascià: l'esercito del nazionalista africano fu sconfitto nel gennaio 1895. Le truppe italiane penetrarono anche nel territorio del Tigrè, in aperta ostilità con Menelik: questi reagì prontamente e, con 55
l’appoggio di Russia e Francia, nel novembre 1895 sconfisse le truppe italiane ad Amba Alagi, grazie all’aiuto del Ras Makonnen. La strage dei soldati italiani fu uno scacco per il governo Crispi: violente manifestazioni antigovernative esplosero in molte città italiane. Nel gennaio 1896 Menelik si fermò ad Adua e preparò l’esercito alla battaglia contro i colonialisti italiani: la sconfitta fu netta e Francesco Crispi subito dopo fu costretto alle dimissioni, subentrando di Rudinì.
La pace con Menelik fu fatta e l’Italia poteva conservare solo il Protettorato sull’Eritrea. Il tentativo imperialista italiano in Etiopia fu più un modo d’imitare le grandi potenze che una linea di politica estera ben fondata, e lo sfaldamento delle truppe nei pressi di Adua portarono naturalmente alla fine della politica di Crispi, che non poggiando più il consenso su “pericoli dei sovversivi socialisti” fu decretata dalle nuove posizioni assunte dalla borghesia industriale del nord, che vedevano in Giolitti una chance di governo politico, appoggiando il riavvicinamento alla Francia, la richiesta di riforme proveniente dalla classe lavoratrice e l’uscita da ogni carattere emergenziale. Governi di fine secolo L’Italia poteva avviare una nuova fase politica moderata, con l’uscita dalla depressione economica e la gestione più oculata della finanza pubblica (già dissestata dalla corruzione), grazie all’immissione di nuove energie per riattivare la produzione economica e gli impegni sociali.
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Il governo di Rudinì del marzo 1896 era più un compromesso con l’entourage del re che altro, ma aveva appoggio dei riformisti giolittiani e dei radicali. Due problemi si erano presentati: la diminuzione di spesa per i lavori pubblici e la ristrutturazione delle Forze Armate. Il gen. Ricotti, il fondatore del corpo degli alpini, come esperto in questioni militari, era favorevole a interventi sull’Esercito. Ma il re, e il gen. Pelloux (dal 1896, dopo il primo rimpasto governativo, ministro della Guerra) erano contrari a ogni riforma dell’esercito. Nel luglio dello stesso anno ritorna al ministero degli Esteri il navigato diplomatico Visconti Venosta. Le elezioni del marzo 1898 il governo presentò i primi provvedimenti in direzione di una politica riformista. Fu istituita la “Cassa Nazionale per l’invalidità e la vecchiaia". Sidney Sonnino, esponente prestigioso della destra liberale, in tutt’altra direzione, proponeva l’abbandono del modello parlamentaristico e l’adozione in Italia del sistema prussiano, sostenendo che le cause dei problemi italiani erano i governi deboli. Il secondo rimpasto governativo del di Rudinì fu segnato dalla debole alleanza con il gruppo Zanardelli. Il cattivo raccolto dell’98 ebbe come conseguenze la penuria di grano e l’aumento generalizzato dei prezzi: la guerra ispano-americana per l’indipendenza e il controllo di Cuba, aveva bloccato il rifornimento europeo del grano americano. La situazione era grave e a Milano ci furono i tumulti più violenti di tutta Europa (aprile-maggio 1898). Furono i prodromi di ogni futuro “pericolo rosso” che aveva allarmato le forze più retrive della borghesia conservatrice. Fu invocata una vasta azione repressiva da parte dell’esercito italiano contro i socialisti, gli anarchici e repubblicani, accusati d’istigare la popolazione all’insurrezione e alla violenza contro lo stato. Si contavano nella sola Milano 80 morti (due i tutori dell’ordine uccisi) e in altri posti i morti furono
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51 (di cui uno era un carabiniere reale). Veniva nominato dal re il commissario straordinario Fiorenzo Bava Beccaris, uomo d’ordine e ottuso, che ordinò di sparare sulla folla.
Lo stesso Presidente del Consiglio di Rudinì chiese al Re di sciogliere le Camere e decretare uno “stato d’assedio permanente” (un “colpo di Stato” a tutti gli effetti): ma i consiglieri persuasero il re a non stracciare lo statuto albertino. Il governo si dimise dopo che la repressione colpì anche gli ambienti anticlericali e dopo che ci sono state critiche da parte di Zanardelli. Nel giugno fu nominato Presidente del Consiglio il generale Pelloux, con Canevaro al Ministero degli esteri. Un governo d’ordine, con lo scopo di attuare la “reazione”: sospensione delle leggi sulla stampa e chiusure delle associazioni politiche di opposizione sociale.
Dopo il trattato economico con la Francia in novembre e l’intervento della Gran Bretagna a favore di un possibile affitto, in territorio cinese, di un emporio commerciale italiano (Sanmun): il governo cinese negò l’accesso e il governo Pelloux minacciò ritorsioni militari. La potenza inglese ritirò il suo appoggio all’Italia e il governo, per le critiche interne rivoltegli, diede le dimissioni. Un altro governo Pelloux (maggio 1899), dovuto all’accordo col gruppo Sonnino, fu attivato: la prima azione fu di istituire nuove leggi antisocialiste. Era usato per la prima volta l’ostruzionismo come forma di lotta parlamentare, da parte dell’opposizione liberale, dell’estrema sinistra e dei radicali.
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Nel giugno 1900 le elezioni cambiarono lo scenario politico: il gruppo governativo ebbe 296 deputati, la sinistra liberale 116 e i radicali 96. Si ebbe così il primo governo Saracco con Visconti Venosta agli esteri e con alcuni uomini del gruppo giolittiano ai vertici dei ministeri. Il regolamento della Camera fu aggiornato in senso progressista (con l’astensione del gruppo Sonnino). L’anarchico Gaetano Bresci attentava e uccideva il re Umberto I (Monza, 29 luglio 1900). Un anno dopo Bresci, che aveva detto di voler vendicare i proletari uccisi a Milano, era trovato morto nella sua cella dove stava scontando l’ergastolo. Il nuovo re d’Italia è il figlio di Umberto I, Vittorio Emanuele III.
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Capitolo XVI. Governo e Parlamento italiano dal 1890 al 1896 Il Governo Antonio Sarabba di Rudinì (1839-1908) fu costituito il 9 febbraio 1891 con il ministero degli Interni affidato a Nicotera e quello della Guerra al gen. Pelloux (ministro dell’Istruzione pubblica fu lo storico Pasquale Villari). Un governo fatto da uomini della Destra che tentarono un riavvicinamento con i cugini d’oltralpe. Ma la cosa si presentava difficile a causa dell’imminente rinnovamento della Triplice Alleanza (in maggio). In politica il tentativo d’inasprire il fisco ebbe forti opposizioni e il governo fu costretto a ridurre le spese militari (per via di una crisi recessiva che non abbandonava l’economia italiana): conseguenze furono le dimissioni del gen. Pelloux, uomo voluto da Umberto I, contrario a ogni intervento “governativo” sulle finanze dell’esercito (maggio 1892). La svolta portò alla nomina di Giovanni Giolitti, leader dei liberali, un gabinetto appoggiato dal re. Le accuse contro la maggioranza erano di natura politica: l’opposizione sosteneva che erano stati violati alcuni articoli dello statuto. Giolitti era consapevole della scadenza del suo mandato: le elezioni erano state indette per il 6 novembre ’92, e portarono all’affermazione della maggioranza. Con lo scandalo della Banca Romana veniva a galla un sottobosco di corruzione e clientelismo, all’ombra del governo, che ebbe forti ripercussioni sui diversi livelli istituzionali e politici. La “stampa clandestina” di circa 9 milioni di lire e l’eccedenza abusiva di altri 25 milioni in circolazione furono i grossi movimenti di denaro emerso: fu istituita una prima inchiesta, la Alvisi-Biagini, ma la documentazione prodotta era bloccata. Un “comitato dei 7” indagò successivamente senza venirne a capo. La rivolta in Sicilia, guidata dai “fasci dei lavoratori”, raggiunse il suo culmine: fu chiesta la repressione violenta, ma Giolitti si oppose. Il “comitato dei 7” coinvolge Giolitti nelle malversazioni della banca Romana, e il 23 novembre ‘93 il governo dette le dimissioni. La situazione socio-economica è critica; Zanardelli tenta di istituire un governo d’interesse nazionale, ma le sue posizioni antiaustriache non lo consentivano. Il 15 60
dicembre Crispi darà vita al suo III° governo, il 3 gennaio del nuovo anno proclama lo stato d’assedio in Sicilia e nomina un commissario straordinario, Morra. Tutto il ’94 sarà costellato di eccidi di contadini e operai: il deputato Colajanni ne conterà 92 di morti. Furono sciolti i “fasci” e arrestati più di 2000 aderenti (anche alcuni deputati). Si produssero falsi documenti su presunti complotti orditi da francesi o russi. Al nord la “sicilia” fu la Lunigiana: anche qui fu proclamato lo stato d’assedio e a guidare la rivolta furono gli anarchici. Lo stato di repressione continuò bel oltre la fine della rivolta e si diresse verso le organizzazioni socialiste. Nel luglio 1894 Crispi attuava la sua politica “giacobina”: varava alcune leggi speciali antianarchiche (leggi che << erano illiberali nella sostanza e antisocialiste nel loro obiettivo >>, R. Romanelli, L’Italia liberale, pag. 365, il Mulino Bologna, 1979). Le pene erano aggravate per l’apologia del terrorismo per mezzo di stampa e l’istigazione alla disubbidienza dei militari, veniva ristretta la libertà di associazione e ogni riunione politica era proibita. Furono sciolte le sezioni del Partito socialista dei lavoratori (ottobre 1894). Le leggi furono in vigore fino al 31 dicembre 1895.
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Capitolo XVII.
Gli inizi del XX secolo. Governo e parlamento. L’influente deputato e più volte ministro S. Sonnino, caratterizza la sua azione politica sempre più in direzione di un liberalismo moderato e non più di marca puramente conservatrice e intransigente. Il suo autoritarismo veniva sempre più ridimensionato e così riceveva ascolto presso i “giolittiani”. Le richieste di Sonnino di una vasta opera di riforma dell’assetto dello Stato, in realtà, trovavano debole eco soltanto nella riforma tributaria avviata dal governo. Ben diversa la nuova politica liberale di Giolitti che ora proponeva il riconoscimento delle organizzazioni operaie: << La ragione principale per cui si osteggiano le Camere del lavoro è questa: che l’opera loro tende a far crescere i salari. Il tenere i salari bassi comprendo che sia un interesse degli industriali, ma che interesse ha lo stato che il salario del lavoratore sia tenuto basso? … il governo quando interviene per tenere bassi i salari commette un’ingiustizia … perché manca al suo dovere d’assoluta imparzialità fra i cittadini, prendendo parte alla lotta contro una classe >>. Nel febbraio 1901 Giolitti diventava ministro degli Interni del governo Zanardelli, con ministro degli esteri Prinetti, un conservatore degli ambienti industriali milanesi. Durante questo mandato la lotta politica nel sud d’Italia si fa più dura; sono più di venti i morti durante il periodo ‘02-’05 dovuti a scontri tra manifestanti e forze dell’ordine. Alcune richieste rivendicate dai lavoratori delle pubbliche aziende - come le ferrovie - non sono accolte dal ministro degli Interni, che anzi minacciava una linea dura contro gli scioperi. Il ministro conservatore dei lavori pubblici, altro ministero interessati dagli scioperi, invece non voleva nessun contatto con i lavoratori. Da qui l’intervento di Giolitti, che nonostante la sua “linea dura” voleva persuadere che almeno un ministro “direttamente interessato” alle questioni contingenti fosse presente alla trattativa. L’impasse si ripercuoteva sulla tenuta del governo. Il re rifiuta le dimissioni di Zanardelli (febbraio ’02) e il nuovo ministro dei Lavori Pubblici approvava la militarizzazione delle ferrovie (ritenute infrastrutture strategiche); poco dopo, nel luglio era raggiunto un accordo tra le parti in sciopero e il governo. 62
La legislazione sociale proseguiva nel suo iter: veniva istituito l’ufficio del Lavoro e ci fu una legge sugli orari lavorativi. Attaccato dai moderati e abbandonato, per via di altre questioni, dai giolittiani e dai socialisti, Zanardelli concluse il suo mandato nell’ottobre 1903. La linea riformista di Giolitti (voleva coinvolgere sia socialisti sia radicali in un futuro governo) fu osteggiata sia all’interno dello schieramento liberale sia da parte del partito socialista, saldamente in mano ai socialisti del “programma massimo” (che saranno definiti “massimalisti”). Il prestigioso leader socialista Filippo Turati rifiutò un suo probabile ingresso nel governo perché vedeva in ciò un pericolo del suo riformismo già pesantemente criticato dall’ala sinistra e massimalista del Partito Socialista. Anche la destra paventava un pericolo di svolte radicali, un “pericolo rosso”, sempre in un tono allarmistico e con la grande stampa che ne faceva cassa di risonanza. La “svolta” di Giolitti ci fu lo stesso, ma in tutt’altra direzione (e tipica della storia politica italiana) in un nuovo compromesso, cioè in un nuovo trasformismo, con una riappacificazione palese tra desta liberale e giolittiani. Il secondo governo (dopo di quello del 1892) di Giovanni Giolitti del 3 novembre 1903 si presentava alle camere forte di uomini della destra come Luigi Luzzatti e Tommaso Tittoni, rispettivamente alle finanze e agli esteri. Un episodio molto importante va segnalato: nel governo appena costituito ne doveva far parte (e con un ruolo di alto profilo, ministro delle Finanze) Pietro Rosano: questi era stato accusato di essere implicato nelle assoluzioni di alcuni capi della camorra; il ministro in pectore si tolse la vita. Sia la sinistra estrema sia la destra sonniniana furono i principali oppositori del nuovo governo.
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Capitolo XVIII. APOGEO DEL “GIOLITTISMO”. L’ITALIA LIBERALE DAL 1905 AL 1913 Il forte contrasto in seno al partito socialista fra le sue due anime, le oscillazioni del liberalismo tra tentazione conservatrice e spinta riformatrice, l’emergere di nuove forze come quella del nazionalismo che si collocavano al di fuori dei campi “ideologici”, socialista e liberale, o, anche, quelle che facevano direttamente riferimento al cattolicesimo popolare, sono gli elementi da prendere in considerazione per una storia dell’Italia nel primo decennio del Novecento. Nel 1905 avveniva la rottura tra i sindacalisti rivoluzionari e il gruppo di Enrico Ferri. Una parte dei socialisti dall’otto di febbraio 1906 al 18 maggio appoggiò esternamente un governo costituito da S. Sonnino, un misto di conservatorismo agrario e di riformismo sociale. I temi da affrontare erano quelli classici: le ferrovie, il mezzogiorno e i nuovi provvedimenti amministrativi dello Stato. L’eterogeneità della compagine governativa fu causa della sua caduta. Il 29 maggio 1906 Giolitti riprende le redini del governo, il terzo, coadiuvato dal gruppo zanardelliano e con elementi di centro-destra. L’attività svolta fu minima: si contano alcune iniziative di statalizzazione e una legge speciale per il mezzogiorno (quest’ultima una proposta di Sonnino). La crisi economica del 1907 aveva avuto origine nelle speculazioni della Borsa, in quando lo sviluppo accelerato del mercato internazionale aveva creato un eccesso d’investimenti e di richieste crescenti di capitali, generando così un circolo vizioso di speculazioni finanziarie e di compravendite drogate di azioni. Anche la sovrapproduzione in alcuni settori (agricoltura e industrie pesanti) e l’aumento del costo delle materie prime (unita alla scarsità di manodopera) concorse alla crisi. Il risparmio, classico rifugio in questi momenti, era stato notevolmente ridotto negli ultimi anni. I settori più colpiti dalla crisi furono i metalmeccanici, il tessile (cotoniero) e l’industria estrattiva. La crisi bancaria fu l’ultima delle manifestazioni di questo momento difficile per l’economia italiana. La caduta del Governo Giolitti fu dovuta alle questioni relative alla statalizzazione dell’industria navale. Giolitti aveva progettato anche una legge di riforma tributaria 64
che sicuramente l’avrebbe messo in minoranza: la tassa a imposta progressiva sui beni immobili. Nel dicembre 1909 il nuovo governo Sonnino, costituito da un gruppo abbastanza eterogeneo di ministri si trovò a “navigare a vista”. Già nel marzo 1910 si arenò a causa dei contrasti sui finanziamenti pubblici ad alcune industrie. Il governo fu affidato a Luigi Luzzatti (aprile 1910), insigne liberale conservatore, che ebbe il compito di traghettare il sistema-Italia verso il nuovo riformismo: la questione con cui fu messo in crisi era l’allargamento della base dell’elettorato (oramai, si premeva da più parti, per il suffragio universale). Il governo riuscì comunque a riformare il Senato e si occupò della riforma della scuola pubblica elementare. Nel marzo ’11 Luzzatti si dimise e fu varato il IV° Governo Giolitti (6 aprile 1912). Un Governo progressista, con la presenza di socialisti riformisti (Ivanoe Bonomi e Leonida Bissolati, quest’ultimo tra i fondatori del Partito Socialista Italiano, ex direttore de “l’Avanti!” e ora in rotta con la dirigenza, otteneva un ministero) e il radicale Francesco Saverio Nitti al ministero dell’agricoltura. << Nel determinare quali cittadini debbano partecipare all’esercizio della sovranità
nazionale, più che a una superficiale istruzione acquistata al solo fine di superare un facile esame, noi crediamo si debba guardare alla maturità della mente la quale si acquista o nella scuola o nella vita >>: la posizione a favore del suffragio espressa con queste parole da Giolitti, fu la svolta progressista impressa al nostro paese. Fu preparata la legge “sulle Assicurazione sulla vita” (gli introiti di quest’assicurazione dovevano servire per creare la cassa per gli infortuni sul lavoro e le pensioni dei lavoratori) che avrebbe portato da lì a poco alla nascita, nell’aprile 1912, dell’Istituto Nazionale delle Assicurazioni (INA). Il 30 giugno fu varata la nuova legge elettorale: il voto può essere espresso da chiunque di sesso maschile con età superiore ai trent’anni se analfabeta e che abbia prestato il servizio militare. Furono iscritti alle liste elettorali 8.672.249 uomini, pari al 24,5 % degli italiani.
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Capitolo XIX. Politica estera (1900-1907) L’avvicinamento dell’Italia sabauda alla Francia, la conservazione degli accordi con la Triplice e la liquidazione delle questioni irrisolte con l’Etiopia furono i capisaldi della politica estera del ministro Visconti Venosta. L’Italia partecipava alla spedizione che portò alla repressione della rivolta nazionalistica cinese (detta dei Boxer, dalla pratica di arti marziali di una società segreta nazionalista) nel 1900-01. Le trattative con la Francia (1902) sulla Tripolitania-Cirenaica ebbero come contropartita la neutralità italiana in caso di guerra contro i cugini d’oltralpe. Nel 1903 vi furono tensioni tra l’Italia e l’Austria per la questione delle terre irredente: ci furono manifestazioni nazionalistiche molto violente, represse dal governo Giolitti, con conseguente rottura dei rapporti con Zanardelli. Nell’ottobre 1904 un accordo austro-russo con intenti anti-italiani era stato messo sulla bilancia dei futuri contrasti diplomatici. Gli accordi anglo-francesi e la situazione dell’estremo oriente dettavano l’agenda internazionale: la guerra russo-giapponese del 1905 finiva con la capitolazione della monarchia zarista. Il Giappone si affacciava nella storia come potenza imperiale. La Russia, nel 1905, fu teatro di una rivoluzione che ridimensionava il potere assoluto dello zar. Sul Marocco interveniva anche il Kaiser tedesco e nella conferenza di Algesiras (1906) era stabilita l’autonomia del sultanato e il controllo franco-spagnolo di alcuni porti sul suo territorio. Nel 1907 i ministri degli esteri italiano e austriaco s’impegnarono in una dichiarazione di riappacificazione. Nel 1908 l’annessione della Bosnia- Erzogovina da parte austriaca scatenava delle manifestazioni con incidenti tra studenti italiani e austriaci. Nello stesso tempo l’Italia si accordava su questioni economiche con la Russia.
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Capitolo XX. Gli inizi del XX secolo. Socialismo Il VI° congresso del Partito Socialista Italiano si tenne a Roma nel settembre 1900. I temi della discussione furono la questione delle elezioni parlamentari e l’influenza del revisionismo socialdemocratico di Berstein, che sempre di più faceva proseliti tra i componenti delle correnti “riformistiche”, mentre gli intransigenti detenevano il vertice del partito e dei suoi organi più importanti. Con gli scioperi spontanei del 1901, esplosi in varie parti d’Italia, i dirigenti socialisti ebbero a trovarsi con non pochi problemi: la questione dell’organizzazione di classe degli scioperi era fondamentale per la riuscita delle rivendicazioni, che ora assommavano gli interessi della terra con quelle delle fabbriche, i contadini e gli operai. L’Emilia-Romagna era la regione più all’avanguardia di quest’organizzazione: infatti il primo congresso della “Federazione dei Lavoratori della Terra” si tenne proprio nel 1901. Tre erano le posizioni politiche all’interno del PSI nei confronti governi: gli intransigenti guidati da un giovane storico pugliese Gaetano Salvemini e da Arturo Labriola (sindacalista rivoluzionario); i fautori di una partecipazione all’area governativa (“ministerialismo”, era chiamata questa posizione senza mezzi termini), espressa autorevolmente da Turati; e la posizione del “caso per caso”, espressa del direttore dell’ “Avanti!”, Enrico Ferri. Turati definiva la tendenza rivoluzionaria in seno al partito devianza anarcoide. Arturo Labriola e Costantino Lazzati, esponenti dell’ala rivoluzionaria, sostenevano che i socialisti dovevano lottare contro l’ordinamento vigente. La crisi si manifestava con la scissione della sezione socialista milanese, riformista, che prese il nome di “Unione Socialista”. Nel 1902 il congresso, il settimo, di Imola definisce questa linea (non carica di ambiguità): “ L’azione del partito è riformista perché è rivoluzionaria, è rivoluzionaria perché è riformista, ossia l’azione del partito è semplicemente socialista”, una linea espressa da Turati e da Bonomi. Ferri invece passa con gli 67
intransigenti. Il gruppo riformista adatta il “caso per caso” per non dover uscire dagli organi di controllo del partito. E’ comunque la corrente del Sindacalismo rivoluzionario di Arturo Labriola a rappresentare la novità del socialismo d’inizio secolo. Per lo storico Candeloro si trattava di un revisionismo di sinistra delle dottrine socialiste. La dottrina era caratterizzata da una concezione volontaristica dell’azione politica (si risentivano gli echi delle filosofie irrazionalistiche) che si contrapponeva alla visione materialistica, più centrata sul determinismo economico di origine marxista. Le contraddizione della società borghese potevano essere superate, ai fini dell’instaurazione di una società socialista, con un atto di volontà rivoluzionaria delle masse; il “momento rivoluzionario” era dettato dalla violenza proletaria che si sarebbe abbattuta contro lo stato borghese e avrebbe forgiato una combattiva classe rivoluzionaria che prendeva e instaurava la dittatura del proletariato. Il sindacalismo rivoluzionario spaccava in due – più che lo stato borghese – il Parito Socialista. L’ottavo congresso socialista si tenne a Bologna nell’aprile 1904. L’ordine del giorno presentato da Labriola, con la formulazione del “carattere rivoluzionario dell’azione proletaria”, avviava la discussione. Le tesi dei riformisti fu dettata da Bissolati: “autonomia dell’azione politica socialista e possibilismo parlamentare”; Rigola, altro esponente dell’area sindacalista classica, ribadiva “la lotta di classe, antimonarchica e riformismo economico” come caratteri salienti della politica socialista. A prevalere comunque fu la mozione di E. Ferri che sosteneva “la lotta di classe non ammette la partecipazione dei socialisti al potere politico”, ribadendo l’unità del partito. Il 4 settembre 1904 a Cagliari ci fu un eccidio di minatori, con tre morti. Il 14 settembre a Trapani morirono sotto i colpi della repressione armata due contadini. Fu proclamato lo Sciopero Generale, con manifestazioni in tutta Italia, ma i gruppi dirigenti non ebbero la sensazione di una riuscita completa della dimostrazione. Le lezioni del 1904 sancirono la sconfitta del partito socialista e dell’estrema sinistra. Il 4 marzo 1905 Giolitti lascia il governo, ufficialmente per motivi di salute. Fu nominato un governo, guidato dal liberale Fortis, che doveva affrontare la nuova statalizzazione delle ferrovie (luglio ’05). 68
Nel 1906 fu fondata la “Confederazione Generale del Lavoro” (C.G.d L.). La politica dei socialisti in Italia. 1906-13 Gli scioperi furono l’arma più efficace per compattare le fila socialiste durante la difficile situazione economica. Comunque a un aumento degli scioperi operai corrispondeva una (relativa) diminuzione degli scioperi contadini. Intanto il congresso della Confederazione Generale del Lavoro, tenutosi a Milano, sancisce l’adesione del sindacato più rappresentativo alla corrente riformista. Il IX° congresso del Partito Socialista, tenutosi nella capitale, fu ancora la questione del riformismo a tenere banco: gli ordini del giorno votati avevano più volte espresso la vittoria dei moderati. Il riformismo del partito era diverso da quello del sindacato, fu così indispensabile convocare un’assemblea-convegno a Milano (1907) dove furono tracciate le linee di reciproca collaborazione. I riformisti sindacalisti pensavano che il ruolo del partito socialista fosse quello di un’organizzazione politica senza connotazione ideologica, aperta nei confronti di tutte le classi economiche (e quindi, anche del ceto medio e artigianale) contrapposte alle classi conservatrici, in una futura alleanza con i democratici e con la sinistra moderata (rappresentata da Bonomi e Bissolati); i riformisti socialisti come Turati e Treves, invece, pensavano al partito come guida politica del movimento operaio. I sindacalisti rivoluzionari, nei loro organi di stampa, attaccarono sia la CGdL sia il Partito Socialista. La roccaforte dei rivoluzionari era il sindacato dei Ferrovieri. Durante lo sciopero della "Federterra" di Parma ci furono scontri e feriti con le forze dell’ordine. Lo sciopero fallì anche a causa dell’iniziativa degli anarco-sindacalisti, piuttosto refrattari all’allargamento della protesta ai ceti medi. Nell’elezione del 1909 i socialisti ottengono 42 deputati (nella precedente tornata elettorale erano in 26). Bisogna segnalare che anche la controparte dei capitalisti si organizzava: nel luglio 1906 nacque la “Lega Industriale Torinese”, la futura Confindustria (Confederazione italiana degli industriali). L’ XI° congresso del partito si tenne a Milano nell’ottobre 1910. Il Riformismo di sinistra di Filippo Turati vinse nella battaglia congressuale, e furono proprie le nuove 69
dirigenze a decretare la svolta del partito. La linea politica si sarebbe sviluppata secondo direttive precise: suffragio universale, riduzione delle spese militari e lotta contro l’influenza della massoneria nella politica italiana. I congressi XII° (1911) e XIII° (Reggio Emilia, 1912) del partito socialista furono caratterizzati da aspre battaglie e scontri molto intensi tra le diverse anime. A Reggio Emilia i “riformisti di destra”, capeggiati da Leonida Bissolati Bergamaschi, Ivanoe Bonomi e Angelo Cabrini vennero attaccati pesantemente sia dall’ala riformista maggioritaria (di Turati, Treves e Modigliani) sia dai rivoluzionari massimalisti (con a capo Costantino Lazzari e Benito Mussolini, quest’ultimo astro nascente dell’intransigentismo socialista). La scissione era inevitabile: veniva fondato, nel 1912, il “Partito Socialista Riformista italiano”(PSRI), a cui aderirono numerosi parlamentari. Per il partito l’egemonia sui militanti fu dell’ala rivoluzionaria, mentre il Comitato Direttivo rimaneva riformista. Veniva fondato anche un comitato d’azione con compiti d’organizzazione e direzione degli scioperi, che subito si scontra con il comitato direttivo della “Confederazione Generale del Lavoro”: a tutto questo guazzabuglio si assommava la costituzione di un nuovo sindacato, infatti dalla scissione dei sindacalisti rivoluzionaria nasceva l’Unione Sindacale Italiano (USI) con dirigenti provenienti dalle file anarchiche. Le elezione col suffragio universale maschile del 26 ottobre 1913, i “governativi” agirono con brogli e sopprusi, mentre il vertice giolittiano con il “Patto Gentiloni”, l’accordo per avere il placet dei cattolici, fu artefice del nuovo corso riformista dei liberali. I giolittiani ebbero 304 deputati, 52 furono i socialisti ( più altri 8 eletti nelle file dei socialisti come “indipendenti”), i “socialisti riformisti” furono 19, i radicali di sinistra furono 73. I cattolici ebbero 20 deputati e 9 furono “i conservatori”. Chiudevano a destra i nazionalisti con 6 deputati.
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Capitolo XXI. La guerra di Libia (1912) Le mire espansionistiche italiane nel nord-africa erano già da qualche tempo al centro dei pensieri e delle azioni di differenti gruppi d’interesse politico-economico: impedire l’occupazione dei territori tripolitani da parte di qualunque potenza europea era stato un leitmotiv della diplomazia dello stivale. Gli accordi italo-francesi del 1900 e del 1902, quelli con l’Inghilterra del 1902, e anche i contatti diplomatici con la Germania e l’Austria avevano lo scopo finale di un nullaosta per l’occupazione italiana della Libia, territorio sotto il controllo dell’Impero turco-ottomano. L’occupazione del Marocco da parte dei francesi e dei tedeschi nel 1911, e il relativo acceso confronto tra le due potenze europee minava le intensioni italiane. La Francia per avere mano libera cede parte di territori del centro-africa al Camerun tedesco. Il protettorato francese si estende così a tutto il Marocco (ad esclusione di Tangeri e della parte nord detenuta/contesa dalla Spagna). Il Ministro italiano degli Esteri Antonino di San Giuliano era favorevole e auspicava al più presto l’occupazione della Libia. I poteri economici più attenti alle questioni libiche erano i gruppi industriali e il Banco di Roma. Il 27 settembre 1911 fu inviato un ultimatum al governo turco per permettere lo stanziamento di soldati italiani in Tripolitania: il governo turco si oppose e la guerra fu ufficialmente dichiarata (29 settembre) dal governo Giolitti, in palese violazione dell’articolo cinque dello Statuto Albertino. La campagna di stampa che precedette e proseguì durante la guerra libica dimostrava i chiari interessi della grande industria verso l’avventura neocoloniale: i temi nazionalisti e sciovinisti raggiunsero l’apice. Al tentativo di illudere il popolo italiano sulla necessità di conquistare le terre africane si opposero sono i socialisti e una parte dei cattolici. Il consenso verso la guerra proveniva dai gruppi più oltranzisti dello schieramento politico che con argomentazioni retoriche nazionalistiche e militariste furono fautori 71
di una visione razziale, populista e imperialista della politica mediterranea dell’Italia. Per il governo e per i riformisti la guerra era una fatalità della storia. Giolitti giustificava il suo colonialismo come “guerra alle barbarie”. Tra il 5 e il 21 ottobre le truppe italiane occuparono i principali porti mediterranei della Tripolitania e Cirenaica. La resistenza turco-araba si manifestò a Tripoli, causando numerose perdite tra i soldati italiani: la reazione fu estremamente dura, furono trucidati centinaia e centinaia di ribelli e resistenti, provocando una forte indignazione in Europa. I governi di Berlino e Vienna allora s’impegnarono per una conferenza di pace a Losanna (Svizzera). Dal febbraio 1912 era sancita la sovranità del re Savoia sulla Libia. Ci furono ripercussioni (in senso peggiorativo) sui rapporti italo-francesi, con l’Italia che spostava il suo asse verso la Germania guglielmina. L’occupazione del Dodecaneso e dell’isola di Rodi da parte delle truppe italiane fu il secondo teatro della guerra italo - turca: più di 70 mila italiani furono espulsi dai vasti territori ottomani. I contatti del diplomatico Giuseppe Volpi con Costantinopoli portarono infine alla Conferenza di Losanna, ove fu stipulata la pace (18 ottobre 1912).
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Capitolo XXII. Fascismo in Italia Prima fase: 28 ottobre 1922- giugno 1924 → Politica delle alleanze - Fase di normalizzazione della prassi politica - Confronto con le altre forze politiche - Istituzionalizzazione dello squadrismo. (la proposta principale del F. per quel che riguarda lo scontro con gli antifascisti è ancora istituzionale La legge Acerbo, introduzione del premio di maggioranza al partito di maggioranza relativa. L’istituzione del Gran Consiglio del Fascismo è il primo passo verso l’integrazione fra Stato e Partito ( a causa del fatto che quest’organismo predetermina le decisioni del governo). In questo primo tempo il fascismo agisce fra illegalità palese e legalità formale.
Seconda fase: 1924-1926 → Politica della forza Liquidazione degli istituti liberali e programma delle Leggi “fascistissime” del 1926 Legge per la Difesa dello Stato ( in vigore dal 6 dicembre 1926) Tribunale Speciale per i crimini contro lo Stato (istituito il 4 gennaio 1927) Organizzazione dello Stato: abolizione delle Autonomie Locali, nomine dall’alto dei funzionari e amministrazione prefettizia. Controllo da parte dei Prefetti dell’associazionismo (19 maggio 1925: legge sull’ordinamento e la disciplina delle associazioni).
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Organizzazione della Libertà dei cittadini: istituzione dell’ Opera Vigilanza e Repressione Anti fascista (OVRA), limitazione del diritto di associazione (abolizione dei Partiti) e di Stampa e introduzione dell’istituto del “confino”. Legge sulla Stampa (31 dicembre 1925), obbligo di iscrizione alla Federazione Fascista della stampa italiana. Patto di Palazzo Vidoni (2 ottobre 1925): riconoscimento dei sindacati fascisti come unici rappresentanti dei lavoratori, negazione della libertà di associazione indipendente dei lavoratori. Facoltà del governo di emanare norme giuridiche: leggi del 4 febbraio 1926, 3 settembre 1926 e 27 dicembre 1928
31 dicembre 1926: Presidi di provincia a nomina regia, istituzione del Podestà. Abolizione del diritto di sciopero e introduzione della magistratura del lavoro (3 aprile 1926)
Legge sull’Ordinamento Corporativo. Riforma della Magistratura e Carta del Lavoro (21 aprile 1927). LEGGE ROCCO 17 MAGGIO 1928 Questioni. La polemica Parri-Croce: fu l’Italia pre-fascista una democrazia? Giorgio Candeloro: la continuità (monarchia, burocrazia e esercito) e le rotture (parlamentarismo, libertà sindacali)
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Capitolo XXIII.
ECONOMIA FASCISTA I Il raggiungimento del potere da parte dei fascisti era stato possibile grazie all’appoggio delle forze economiche del capitalismo italiano. Il ministro delle Finanze DE STEFANI (1922-25) favorì l’aumento delle imposte indirette per agevolare gli investimenti privati. Il governo ritirò alcuni provvedimenti che colpivano gli interessi della Chiesa e dei ceti più abbienti e privatizzò alcuni settori precedentemente statalizzati durante l’economia di guerra. Importante fu il soccorso al Banco di Roma. Questa era la linea liberista del fascismo iniziale, che portò alla contrazione del salario degli operai e a una ripresa del profitto industriale. La ripresa agricola internazionale 1923-25 si fece sentire anche in Italia, mentre l’indice di produzione industriale passò nel 1925 a 193 (1922=100). A sancire la normalizzazione dei rapporti internazionale un episodio: nel giugno 1925 la banca Morgan, statunitense, concesse un prestito di 100 milioni di dollari allo Stato. La politica economica: disavanzo crescente per quel che riguarda le materie prime importate rispetto alle esportazioni e quindi forte aumento dei prezzi, perdita della capacità d’acquisto dei salari. 75
VOLPI (1925-28): interventismo statale, “battaglia del grano” e bonifica integrale di vaste aree delle zone del centro-sud (ma che produsse delle asimmetrie della produzione agricola). La lira era svalutata e ci fu un intervento legislativo (dicembre ’27) detto della “quota novanta” (riferito al rapporto di cambio lire-sterline). Lo scopo di questo intervento era quello di stabilizzare il reddito della classe media. Crisi del ’29: ripercussioni sulla Borsa, crollo dei principali titoli azionari, sulla disoccupazione (1929: 300.000, 1933:1.090.000). Aumento di concentrazione delle imprese (fenomeno dei trust). Intervento dello stato nella finanza: novembre 1931 creazione dell’Istituto Mobiliare Italiano (IMI), ente di diritto pubblico che integra l’azione di credito verso l’industria. Nel gennaio 1933 fu creato l’Istituto di Ricostruzione Industriale (IRI) ente bancario-industriale “misto”. Così, oltre alla Banca d’Italia, lo Stato assunse il controllo di Banche (Banca Commerciale Italiana, Credito Italiano, Banco di Roma) e d’imprese industriali dei settori siderurgici, cantieristici e meccanici (settori questi ultimi in crisi e quindi vi fu una socializzazione delle perdite). << quel che si stava verificando non era la fine della caccia al profitto individuale bensì la fine del liberismo economico e il consolidamento di una nuova epoca in cui il capitale privato e le classi dirigenti realizzavano i loro profitti grazie al sostegno interventista dello stato in economia, subentrando in prima persona in azioni che prima erano compiuti dalle banche. Il capitalismo finanziario iniziava la sua marcia verso la trasformazione in capitalismo di stato >> (M.L. Salvadori). I colossi dell’industria italiana erano: la Edison (industrie elettriche), la Montecatini (chimica), Snia Viscosa (tessile) e Fiat, Ansaldo e Breda (industria meccanica). Dal 1934 inizia la fase dell’Autarchia. La disoccupazione fu alleviata dalla militarizzazione e da programmi di lavori pubblici. Importante figura di tecnico fu Arrigo Serpieri a cui va ascritta la “bonifica integrale” e la valorizzazione dei terreni. Con la riforma del sistema creditizio lo stato assunse su di sé una concentrazione d’imprese seconda soltanto all’Unione Sovietica. Dopo la crisi tre furono i concetti più importanti dell’economia fascista: Corporativismo, Autarchia e Imperialismo. Nel discorso del 1934 agli operai di Milano, Mussolini affermò che lo Stato fascista avrebbe posto fine al conflitto Capitale-Lavoro perché il corporativismo si poneva l’interesse collettivo e della nazione al di sopra di tutto. Ma la “linea Bottai” al 76
corporativismo (diminuzione della produttività aumento dei beni di consumi a basso costo) fu battuta dalla “linea Confindustria” che voleva garantire solo i profitti in un mercato garantito dallo Stato. Appendice Interpretazioni del Fascismo Nel 1963 esce il volume Der Faschismus in seiner epoche , in cui l’autore Ernst Nolte descrive il fascismo come filiazione per contrasto del Bolscevismo. Vengono relativizzati i crimini nazisti ( lo sterminio degli ebrei è stato “simile” ai crimini bolscevichi nei Gulag). Esplode l’historerstreit (disputa tra gli storici) sintetizzato nella formula di “un passato che non vuole passare”. Del 1970 è l’analisi di Kuhnl, Due forme di dominio borghese: Liberalismo e fascismo, ove viene esplicitata la filiazione tra fascismi e liberalismi. Processi complessi ma fondamentalmente uniti da una complementarietà e affinità. “Fuhrierprinzip”, il partito unico e l’esistenza di una milizia di partito, l’ideologia elitaria e razziale, il corporativismo inteso come ampio intervento dello Stato nella regolamentazione dell’economia senza che risulti intaccato il principio della proprietà privata. Un sistema economico capitalistico deve necessariamente sfociare in un sistema fascista. Nel 1975 esce “Intervista sul fascismo” di Renzo De Felice. Allontanare dal fascismo italiano il peso delle responsabilità dei gravi crimini di cui si è macchiato il nazionalsocialismo è lo scopo precipuo della ricerca defeliciana. A ciò va aggiunto una critica sulla storiografia costruita dal presunto conformismo antifascista, mentre gli scopi della ricerca sul fascismo hanno una (pretesa) interpretazione anti-ideologica della storia fascista L’idea-cardine è che bisogna partire dalla personalizzazione del Regime con la figura di Mussolini. Importante è anche la negazione di un fenomeno generale di fascismo in Europa. A tutto questo va aggiunto la svalutazione della componente comunista da ogni esperienza democratica e antifascista.
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Per Karl Bracher l’assunzione dell’esperienza nazista nella categoria più generale del fascismo è un operazione che pone limiti e problematiche, e cioè che possa servire a sdrammatizzare e a depotenziare la radicalità della prassi di governo e del dominio di terrore e di oppressione del regime nazista. Lo stesso principio etico, ma con una stretta correlazione tra i vari fascismi, governa la ricerca di Heller : la distruzione che il fascismo operò dello stato di diritto della tradizione democratico-liberale non è un fatto accidentale o incidentale … è un fatto costitutivo dell’ideologia e della pratica del fascismo. Analisi dei sistemi autoritari dell’est europeo (1918-1939) Per quel che riguarda l’analisi dei movimenti filo-fascisti in Romania, Ungheria, Polonia, Bulgaria, Yugoslavia, due sono i riferimenti: Tesi di Dimitrov o della Terza internazionale (tesi marxista-leninista ortodossa) Tesi dei Liberali: negazione della relazione sistemi autoritari→sistemi filofascisti Ad esempio (per la seconda tesi): Polonia → cordone sanitario controrivoluzionario per fermare l’avanzata bolscevica; Ungheria: repressione della Repubblica dei Soviet di Bela Kuhn, autoritarismo dell’ammiraglio Horty basato non sull’organizzazione di massa ma sulla presenza della forte componente clerico-agraria ultraconservatrice ai vertici della potere. La tesi preferita dai revisionisti è quella di De Felice: il fascismo italiano come democrazia autoritaria di massa. Il processo di organizzazione delle masse per ottenere anche modificazione a favore del Regime non fu nelle intenzioni del governo fascista; l’agevolazione di un processo di partecipazione fu dettato, al contrario, dalla sollecitazione di un consenso puramente passivo. Categorie del totalitarismo (De Felice) Nazionalsocialismo → totalitarismo di Destra Fascismo
→ totalitarismo di Sinistra
Per Bracher è possibile la comparazione tra totalitarismo nazista e sovietico attraverso le categorie di Tirannie di Destra e Dittature di Sinistra.
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AUTORITARISMO TRADIZIONALE
UNGHERIA
POLONIA
YUGOSLAVIA
AUSTRIA
ROMANIA
Partito filofascista: Croci Frecciate Leader di Stato: Horty Leaders fascisti: Szalasi, Gombos Aspirazione: Mussoliniana PRESA DEL POTERE: no
Partito Nazionale
Ustascia
Guardie di Ferro
Pilsudsky
Re Alessandro I Mons. Tiso
Heimwehr Vaterlandische front Dollfuss, Schuschnigg Staud
Nazista
nazista
Si (1944) Gov. Tiso
Si (1938)
Altri gruppi: Cacciatori Turani, Difesa della razza
Falanga; Campo Radical nazionale
Roman Dmowsci Action FRANĂ&#x2021;AISE no
Re Carol II Codreanu, Antonescu nazista Si (1944) Gov. Antonescu
Freheitsbund
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- Federico Chabod, L’Italia contemporanea (1918-1948). Lezioni alla Sorbona, P.B. Einaudi, Torino, 1961. - Carlo Morandi, I partiti politici nella storia d’Italia, Xa ed. Le Monnier, Firenze, 1986. - Nicola Gallerano, Le verità della Storia, Manifestolibri, Roma, 1999. - M. L. Salvadori, Il Novecento. Un’introduzione, Laterza, Bari, 2002. - E. Nolte, La Guerra Civile Europea (1917-1945) Nazionalsocialismo e Bolscevismo, Bur Rizzoli, Milano, 2008. - E. J. Hobsbawm, Il secolo breve 1914-1941, Bur Rizzoli, Milano, 2007. - AA. VV. Storia d’Italia. Dall’Unità ad oggi, Einaudi, Torino, 1976[2005], vol. XII, E. Ragionieri, La storia politica e sociale Parte IV, Il Fascismo. - Giorgio Candeloro, Storia d’Italia voll. IX°,X°,XI°, Feltrinelli, Milano, 1988. - S. Lanaro, Nazione e Lavoro, Venezia, 1980. - G. Carocci, Storia d’Italia dall’unità ad oggi, Feltrinelli, Milano, 1975. - M. Duverger, I partiti politici, Comunità, Milano, 1980. - G. Manacorda, Il socialismo nella storia d’Italia, Laterza, bari, 1966.
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