KROPIO EDITORE
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Pierpaolo Cetera MATERIALI DI KROPIO 2009-2011
KROPIO EDITORE Collana scrittura e scritture
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Origini Come e perché nacque Kropio blog Consapevole di come le trasformazioni della comunicazione pubblica investono la sfera della sua stessa capacità di ricezione, avevo in mente di utilizzare il web per creare un luogo di scambio tra una piccola parte di attenti navigatori e gli eventi che avevano luogo o che potevano progettarsi in questo piccolo lembo di terra meridiana. La scintilla fu, in realtà, la lettera che un grande scrittore scrisse per un quotidiano della nostra regione allo scopo di farci conoscere ( a noi ignari, suoi conterranei e suoi contemporanei) lo stato di enorme sacrificio e difficoltà con cui stava vivendo alla veneranda età di ottantaquattro anni, dopo aver dedicato tutta la sua vita alla letteratura. Ci furono moltissimi interventi di intellettuali (al riparo, nelle loro accademie) di politici (al riparo da tutto e tutti) di altri scrittori (forse in situazioni simili) che ebbero come unico controcanto il riconoscimento del valore imprescindibile per la cultura dell’opera del nostro scrittore. Alla fine fu raggiunto lo scopo (per poter finalmente chiudere il caso e far ritornare tutto nel solito oblio; ricordo qui un noto editor di un’importante casa editrice che sosteneva “di essersi impegnato a ripubblicare la sua opera”, ma che aveva ricevuto il diniego dall’autore stesso. Ora che tutto è passato, come la nottata eduardiana, riportiamo qui quella lettera. Io, Saverio Strati sono nato a Sant’Agata del Bianco il 16 agosto 1924. Finite le scuole elementari, avrei voluto continuare gli studi ma era impossibile, perché la famiglia era povera. Mio padre, muratore, non aveva un lavoro fisso e per sopravvivere coltivava la quota presa in affitto. Io mi dovetti piegare a lavorare da contadino a seguire mio padre tutte le volte che aveva lavoro del suo mestiere. Piano piano imparai a lavorare da muratore. A 18 anni lavoravo da mastro muratore e percepivo quanto mio padre ma la passione di leggere e di sapere era forte. Nel 1945, a 21 anni, mi rivolsi a mio zio d’ America, fratello di mia madre, per un aiuto. Mi mandò subito dei soldi e la promessa di un aiuto mensile. Potei così dare a Catanzaro a prepararmi da esterno, prendendo lezioni da bravi professori, alla maturità classica. Fui promosso nel 1949, dopo quattro anni di studio massacrante. Mi iscrissi all’università di Messina alla facoltà di Lettere e Filosofia. Leggere e scrivere era per me vivere. Nel ‘50-‘51 cominciai a scrivere come un impazzito. Ho avuto la fortuna di seguire le lezioni su Verga del grande critico letterario Giacomo De Benedetti. Dopo due anni circa di conoscenza, gli diedi da leggere, con poca speranza di un giudizio positivo, i racconti de “La Marchesina”. Con mia sorpresa e gioia il professore ne fu affascinato. Tanto che egli stesso portò il dattiloscritto ad Alberto Mondadori della cui Casa Editrice curava Il Saggiatore. Il libro “La Marchesina” ebbe il premio opera prima Villa San <<
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Giovanni. Alla “Marchesina” seguì il primo romanzo “La Teda”, 1957; alla “Teda” seguì il romanzo “Tibi e Tascia” che ricevette a Losanna il premio internazionale Vaillon, 1960. Ho sposato una ragazza svizzera e ho vissuto in quel paese per sei anni. Da questa esperienza è nato il romanzo “Noi lazzaroni” che affronta il grave tema dell’emigrazione. Il romanzo vinse il Premio Napoli. Nel 1972 tornato in Italia la voglia di scrivere è aumentata. Ho scritto “Il nodo”, ho messo in ordine racconti, apparsi col titolo “Gente in viaggio”con i quali vinsi il premio Sila. Negli anni 1975-76 scrissi “Il Selvaggio di Santa Venere” per il quale vinsi il Supercampiello, nel 1977. A questo libro assai complesso seguirono altri romanzi e altri premi. Il romanzo “I cari parenti” ricevette il premio Città di Enna; “La conca degli aranci” vinse il premio Cirò; “L’uomo in fondo al pozzo” ebbe il premio città di Catanzaro e il premio città di Caserta. Nel 1991 la Mondadori rifiutò, non so perché, di pubblicare “Melina” già in bozza e respinse l’ultimo mio romanzo “Tutta una vita” che è rimasto inedito. Con i premi di cui ho detto e la vendita dei libri avevo risparmiato del denaro che ho usato in questi anni di silenzio e di isolamento. Ora quel denaro è finito e io, insieme a mia moglie mi trovo in una grave situazione economica. Perciò chiedo che mi sia dato un aiuto tramite il Bacchelli, come è stato dato a tanti altri. Sono vecchio e stanco per il tanto lavoro. Sono sotto cura, per via della pressione alta. Esco raramente per via che le gambe a momenti mi danno segni di cedere. Nonostante questi guai porto avanti il mio diario cominciato nel 1956. Ho inediti, fra racconti e diario, per circa 5000 pagine. La mia residenza è a Scandicci. Saverio Strati p.s.: Devo aggiungere che avendo editore alle spalle e libri da pubblicare e da ristampare, non mi sono preoccupato a organizzarmi per avere una pensione, un’assistenza nella vecchiaia. Non ho, da anni, una collaborazione a giornali o a riviste. Perciò non ho nessun reddito e quindi è da tre anni che non faccio la dichiarazione dei redditi. Faccio inoltre presente che alcuni dei miei romanzi sono tradotti in francese, in inglese, in tedesco, in bulgaro, e in slovacco e in spagnolo (Argentina). Miei racconti sono apparsi in riviste cinesi e in antologie dedicata alla narrativa contemporanea italiana: in Germania, in Olanda, in Cecoslovacchia e in Cina >>.
Il 18 marzo 2009 ebbi, quindi, l’idea che non si poteva andare a in giro a parlare di scrittura o letteratura e non far niente per poi far vivere in una condizione poco dignitosa un uomo, uno scrittore di un’illuminata stagione della nostra cultura: bisognava far da cassa di risonanza, anche nel nostro piccolo ... Strati, uomo schivo, appartato, orgoglioso, lontano da salotti, dalle effimere mode letterarie, negli ultimi decenni è accompagnato da una sorta di marginalizzazione ad opera di superficiali critici letterari, sempre innamorati di “grandissimi” scrittori in auge, funzionali al grande supermarket dell’editoria. <<
Avremo modo di rileggere ancora le sue storie che appartengono ad un contesto letterario alto, all’intero universo meridionale e mediterraneo … Dovremmo uscire, noi calabresi, dal vezzo di ignorare i nostri grandi e illustri autori in vita per poi celebrarli (magari male e retoricamente) quando sono scomparsi >>. Vito Teti (Università della Calabria) Concludevamo con quest’appello (e altre decine di simili apparvero su vari siti) RIBADIAMO IL NOSTRO APPELLO A CHE DI DOVERE A CONSEGUIRE IL VITALIZIO BACCHELLI ALLO SCRITTORE SAVERIO STRATI.
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Blog La possibilità di utilizzare uno spazio di libertà come quello offerto dalla rete ebbe come conseguenza immediata la pubblicazione di una serie di articoli di vari interessi. La critica che posso farmi col senno di poi, è che, essendo allenato sulla forma discorsiva pre-web era facile cadere nell’errore di concepire lo strumento blog come una specie di giornale o rivista, e così è stato. La resa di questa pubblicazione era funzionale alla comprensione di un linguaggio, e di una sua usufruizione, validi solo per altri che avevano familiarità col modello discorsivo antecedente alla rivoluzione del web. I giovani navigatori con la mente aperta verso un uso immediato e per immagini non avrebbero perso un minuto per leggere le lunghe discussioni su un sito scritturale come era kropio blog. “Kropion” Il termine che utilizzo per questo blog di letteratura, scrittura e lettura (una forma della vita, in altre parole) è una delle tante parole sedimentate nel mio inconscio. Emersa dopo tanti anni, questa parola mi riporta all’infanzia e cioè, quando per riempire di terra i vasi di terracotta (dove mia madre piantava vari tipi di fiori e anche le erbette per cucinare) si parlava con meraviglia del cropiu, “u cropiu”, praticamente quel terriccio nero, nerastro, ricco di minerali e microrganismi, un pieno di humus che era il toccasana per far “riprendere” una pianta malata o un jure morente. Il miglior kropion (così lo chiamavano i greci, come i miei studi mi consentirono di sapere, molti anni dopo) si trovava al vecchio castello diroccato, ai piedi dei bastioni giganteschi che si stagliavano nel cielo e come giganti buoni ci proteggevano dal vento o dal sole cocente. Una metafora, la terra e le radici del mondo scomparso si spostavano in quelle case, in quei nuovi vicoli assemblati a ‘ra marina …
I blog … vuoti! << Senza dubbio malgrado le apparenze questa morte del libro non annuncia (e in certo modo da sempre) nient’altro che la morte della parola (di una parola se-dicente, piena) ed una nuova mutazione nella storia della scrittura, nella storia come scrittura >> J. Derrida, Della Grammatologia, Jaka Book, Milano 1969, Pag.10
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Ci sono oramai centinaia di migliaia di blog e non solo su KATAWEB. Alcuni sembrano dettati da una forte passione furiosa istantanea. Altri sono deliri più o meno scritti con continuità (i più assidui richiamano ideologie fascistoidi) Altri sono ammirevoli per la caparbia e l’ansia di comunicare, che spesso si trasmuta in cocente delusione e, infine, sconforto, abbandono. La maggior parte sono scritti con una lingua parlata e i pensieri sono in realtà immagini. E spesso non comunicano ma parlano fra di sé (autoreferenzialità dello scritto). Forse stiamo ritornando ai geroglifici.
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Scrittori e scritture … FRANCESCO LEONETTI (COSENZA, 1924) OPERE:
Fumo Fuoco Dispetto (1956) Conoscenza Per Errore (1961) L’incompleto (1964) Tappeto Volante (1967) Piromalli, nella sua “Storia della letteratura calabrese”(Napoli, 1977), per questo scrittore utilizza il termine “sperimentalismo” per definire e collocare la sua opera.
GIOACCHINO CRIACO, SCRITTORE E ANIMA BIANCA? (2009) Una presentazione del romanzo ANIME NERE di Gioacchino CRIACO (Rubbettino editore, Soveria Mannelli, Catanzaro, 2008). Tanto, troppo sangue hanno versato e fatto scorrere i figli dei boschi fratelli inutilmente e stupidamente divisi. Possano Dio e gli Dei placare lo spirito guerriero che li anima e scacciare il Demone che li possiede.
Pubblicato da circa un anno l’opera prima di Gioacchino Criaco rappresenta oramai un best seller e caso più unico che raro ha suscitato un complesso dibattito nei vari mezzi di comunicazione in cui emergono le opinioni che si chiudono o con un eccesso di esaltazione o di denigrazione. Suddivisa in tre parti (“I figli dei boschi”, “ Ombre in luce”, “Anime nere”) il racconto di Criaco procede spedito e a ritmo incalzante, con un intreccio che ricalca quasi sempre una narrazione fortemente visiva direi cinematografica, e nonostante ciò mantiene una prosa scarna, asciutta, quasi a ribadire una tensione irrisolta tra la descrizione oggettiva fredda implacabile degli eventi e la trasfigurazione fortemente poetica dei luoghi unita a una rappresentazione esistenziale dell’atto criminogeno.<< Camminavamo veloci, gli 7
scivolavo dietro come una slitta trainata dai cani, era così da ore. L’appuntamento era notturno, e notturna, ovviamente, doveva essere l’attraversata >> : un incipit così produce nel lettore proprio quel senso di attesa che sembra essere la cifra di un genere letterario. Mi riferisco al noir. Un noir mozzafiato, recita il risvolto di copertina: è un modo forse accattivante e di strategia di marketing, con lo scopo palese di inserire l’opera di Criaco in una tendenza della letteratura di questo decennio che fa dei vari romanzi criminali, dei vari Carofiglio, Ammaniti, De Cataldo, Lucarelli, Scerbanenco (si parva licet!), Loriano Macchiavelli, una realtà ben definita del panorama della produzione di nostri scrittori. Ma mi soffermerei su alcuni dati interessanti per un’analisi che forse può essere parziale e, quindi, da approfondire, ma che parte da una critica Readers Oriented. Innanzitutto Anime Nere non è un libro sulla ‘Ndrangheta. Sgomberiamo così alcuni equivoci. E’ piuttosto, un controcanto all’opera alvariana Gente in Aspromonte oppure L’amata alla finestra, un’antitesi del sentimento e umanità del pastore calabrese, quasi un chiederci cos’è avvenuto tra Africo (come non ricordare le lucide analisi di Corrado Stajano, nel reportage Africo, Einaudi 1979) e San Luca negli ultimi trent’anni, un visitare i discendenti di Antonello Argirò, un intravedere attraverso la proiezione in super8 prima e in vhs poi della reazione al mondo moderno da parte di un mondo semisommerso, quello contadino (“un mondo rimasto fuori la civiltà moderna”, secondo il giudizio inappellabile del critico letterario A. Piromalli); la reazione, istintiva, al nuovo miracolo economico,ma anche alle periodiche crisi economiche e di sistema che hanno attraversato l’Italia, alla modernizzazione forzata, col suo lato oscuro fatto di sfruttamento, emigrazione e partecipazione violenta al bottino del boom economico e del consumismo. E’ la Milano degli anni ottanta a far da sfondo ad alcune vicende. [Cfr L. Napoleoni, Economia Canaglia. Il lato oscuro del nuovo ordine mondiale, saggiatore, Milano, 2008] Ma la storia quella con la S maiuscola quando è raccontata dai protagonisti trascolora nel Mito orale; all’opposto l’io-narrante si applica con costante ideologia alla vivisezione del recente passato della Calabria, dell’Italia e non solo. Nella terza parte con lo stesso titolo del libro, Anime Nere, compare il racconto di Bino che l’autore ha sapientemente disseminato precedentemente di indizi, fino a renderlo una sorta di passaggio obbligatorio per la comprensione del senso: il mito di Kyria, il guerriero osco, è la giustificazione del retaggio di sangue e dell’ancestrale richiamo alla vera vita e alla vera libertà della propria comunità. Ma è questa dialettica retaggio-riscatto che ha in sé, per i protagonisti, un’ uscita ineluttabile nel sacrificio e nella tragedia greca. Questa arcaicità si innesta benissimo con la ferocia dei nostri tempi: l’ombra è consapevole dei retaggi, non recide il cordone ombelicale, ma è anche capace di prendere in considerazione che si diventa anime nere o tingiuti, che si può essere vincenti o uscirne sicure vittime. 8
Si fa parte di un dramma più grande di loro: non per nulla tutto si sfalda per l’inquietante lavoro dell’ex terrorista arabo divenuto plenipotenziario. Ma è la ferocia, la vendetta la cifra delle loro esistenze. Credo che siamo dinanzi a un testo letterario che almeno per originalità d’intendi si configura come un salto in avanti nella letteratura “calabrese”: è stato introdotto, con quest’opera, un nuovo point of view su un argomento, quello della criminalità – o, per meglio dire, dell’ambiente criminogeno- che trascende il puro descrittivismo dell’osservatore esterno, che ha una intenzione per così dire di completamento della realtà che non può essere ridotta a un mero gioco di causa ed effetto … ma che si differenza anche dalla narrazione che trasuda la pura condanna morale, e in cui è esplicito l’intento pedagogico dell’educazione delle coscienze. Bisogna porsi la domanda e rispondere positivamente: può lo scrittore introdurre al centro della sua opera un nuovo modo di vedere le cose e così ingrandire le varie sfaccettature con cui una realtà troppo spesso banalizzata e semplificata si presenta ai nostri occhi? Vorrei non tediare e continuare su alcune cose per così dire tecniche: un uso di espressioni gergali per meglio connotare l’ambiente, il tono realistico della narrazione, l’intreccio non privo di suggestioni ed evocazioni fra una dimensione privata dei sentimenti e il teatro caotico delle emozioni di un mondo, quello delle anime nere appunto. Tra le altre cose vi è un uso ridotto di espressioni dialettali che ha per così dire una spiegazione nell’uniforme sistema di valori e, quindi di lingua, che man mano prendono a prestito i nostri protagonisti immischiati in quel liquido amniotico che è la modernità neocapitalistica che fa della rapina e dello spaccio di cocaina una forma di investimento preconizzatrice delle collocazioni off shore e degli hedge fund. Mi fermo qui proprio per non dare per scontato nulla e cambiare la prospettiva invitando così alla discussione gli altri relatori, l’autore e in primis il pubblico. (relazione tenuta in agosto ’09)
LIBRI Presentazione de’ “Le Navi Dei Veleni” Rubbettino Editore Se una domanda può porsi, può anche avere una risposta Ludwig Wittgenstein, Tractatus logico-philosoficus, prop.6.5
Le navi dei veleni in Calabrialand. Partirei da un episodio personale: due giorni fa ho spedito una e-mail a un amico, che vive fuori la nostra regione, dicendo che avrei discusso con gli autori di un libro sulle navi dei veleni in Calabria. 9
La REAZIONE del mio interlocutore è stata emblematica: MA NON ERA UNA BUFALA? Proprio di questo vorrei parlare nei limiti che mi sono consentiti e dal tempo a mia disposizione e dalle mie competenze. Prima una riflessione: esiste una variegata casistica nello studio della comunicazione dei mass media dal punto di vista della funzione e della ricezione cognitiva di un’informazione; esistono invece due modi soltanto nel rendere inefficace la comunicazione di una informazione complessa come può essere la nocività nucleare o chimica. Il primo modo è trasmettere un messaggio fatto di tanti “buchi” informativi (e questa è stata la prassi nelle società unidimensionali, pre-digitali); oppure fare in modo che venga raggiunto al più presto la saturazione e il rigetto stesso della informazione. Attraverso le contrastanti versioni delle interpretazioni dei fatti, dei dissoi logoi di vari soggetti e finendo per imbastire una meta- interpretazione degli eventi spogliati così della loro oggettività. Questi eventi vengono ricuciti in funzione del discorso pubblico che è accomodante sia per le istituzioni che per i contestatori (è questa è la prassi delle società liquide ad alta concentrazione spettacolare). La COMUNICAZIONE diviene IMPOSSIBILE e il POTERE volge la funzione di MEDIAZIONE UNIVERSALE In una fase così delicata per la nostra storia la riproposizione di quei conflitti (nucleareno nucleare; limitare lo sviluppo- aumentare l’industrializzazione; gestire le risorse o riconvertire il modello del consumo) che hanno già avuto delle ripercussioni globali, la riproposizione dei conflitti dicevo, non fa altro che occultare i modi di produzione distruttivi per la nostra specie. Gli elementi di questa vicenda sui rifiuti tossici e sulle scorie possono essere sintetizzati in questi termini; ad esempio i dati delle agenzie governative di ricerca atomica descrivono che l’80-90% dei RR (rifiuti radioattivi) sono smaltiti legalmente mentre non esistono spiegazioni per quel 10-20 % (e stiamo parlando di migliaia di tonnellate di scorie nucleari) che scompaiono e sappiamo cosa gira intorno a tutto ciò: le future guerre all’Iran e alla Corea del Nord o gli altri conflitti low intensity ci confermeranno scenari già prospettati dai soliti strateghi globali. Il premio Nobel per la fisica 1984 Carlo Rubbia, che è stato un sostenitore dell’uso pacifico del nucleare, recentemente ha sostenuto, e qui cito il libro di Grandinetti - Clausi: << A mio parere le scorie rappresentano delle Bombe ritardate. Le nascondiamo pensando che non ci saremo per risponderne personalmente >>. E’ sorprendente che a pochi km da qui presso Trisaia di Rotondella (Basilicata) ci sia un centro di stoccaggio di RR, già al centro di numerose indagini della Magistratura per presunta attività parallela illegale: inchieste giudiziarie che hanno avuto come protagonisti Francesco Fonti il dissociato della ndrina dei Nirta e ben due giudici Genovese e Basentini poi allontanati dalle loro inchieste, e caso clamoroso ma poco conosciuto la morte in circostanze mai chiarite di un consulente della DDA, Angelo Chimenti. La cronistoria delle nocività sul nostro territorio, iniziata con l’esposto alla procura di RC del 1994 da parte di LEGAMBIENTE calabrese, ha preso piede con l’iniziativa del giudice Francesco Neri. 10
Nel 1995 a Cassano allo Jonio la GDF ha scoperto dei bidoni tossici seminterrati ma almeno se saputa la provenienza: dalla famigerata Pertusola di Crotone, la nostra Seveso spalmata nel tempo. Per le navi tutto invece sembra iniziare con lo spiaggiamento, nel dicembre 1990, della Rosso nei pressi di Amantea_Campora S.Giovanni . Questa motonave prima si chiamava Jolly Rosso, ed era famosa per il lavoro che fece alcuni anni prima nel trasferire veleni dal Libano all’Italia (uno dei tanti casi di avvelenamento di territori politicamente instabile in guerra civile, condizione quest’ultima ottimale per le civili nazioni occidentali per scaricare i loro veleni … la Calabria come la Sierra Leone, Somalia etc.?) Insomma queste navi cambiano nomi con facilità e spesso non sono registrati com’è nella prassi. Cambiare il nome per far dimenticare il loro malfatto? Può sembrare una sciocchezza ma voglio qui ricordare che a una centrale atomica inglese POCO DOPO un’avaria il governo di allora ebbe la splendida idea di cambiarle il nome … così tanto per far associare il (nuovo) nome a una (nuova) cosa! Eppure le geografie cangianti non possono far dimenticare le questioni fondamentali. Nell’istant book di Clausi - Grandinetti, con la sua capacità di tessere i fili di una storia che coinvolge scenari internazionali, faccendieri, servizi segreti devianti e morti sospetti, possiamo intravedere un tentativo di portare un po’ di luce … LE NOCIVITA’ NON SI GESTISCONO, SI SOPPRIMONO. Gli ayatollah della tecno chimica e del nucleare hanno portato lutto e ferite devastanti al corpo sociale: Bophal, Chernobyl, guerre di impoverimento, chemio terrorismo. La storia non si ripete come tragedia ma come disastro annunciato. Non se ne esce da questo cerchio infernale se non ri-sacralizzando la Natura: il mare, l’aria e la terra violati, uccisi modificati da industrie che non abbandonano il ciclo della dissipazione entropica. Che periscano queste industrie e con il nostro consenso! La nostra azione come cittadini può concretarsi come opposizione e dissenso costruttivo come la manifestazione del 24 ottobre ha dimostrato, nonostante le cassandre annuncianti la morte della società e l’impegno civile. Ritorno al tema: la Rigel, la Cunski e le altre meno famose erano usate per differenti traffici ma c’era anche la truffa alle assicurazioni Loyds, quindi abbiamo a che fare con strategie differenti. Il pentito Fonti, ora al centro di una campagna di denigrazione e distruzione di affidabilità, nel suo memoriale, ora pubblicato per i tipi della Falco editrice, fa trasparire la sua tecnica di doppia verità: depistare quando a suo modo di vedere viene a mancare la tutela dello Stato; essere molto preciso nelle deposizioni riguardanti conti cifrati svizzeri, nomi di tecnici interlocutori, nome di società di shipping, specifiche località somale, nomi di professionisti commercialisti che hanno contribuito al lavoro sporco.
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I nostri recenti dati sono sintetizzabili nelle dichiarazioni del procuratore Dip. Naz. Antimafie Grasso: “Il caso Cunsky è chiuso, ma non tutto il resto”; “ Veleni? Il caso non è chiuso”. Bisogna invertire pragmaticamente la soluzione del problema, cioè cercare l’inquinamento, partire da quello. Se le acque sono inquinate, se ci sono radiazioni allora parto da questa notizia di reato e cerco di trovare i responsabili … piuttosto che cercare relitti … (essendo) questa un’attività dispendiosa e non certamente produttiva di effetti >> <<
La Valle del Fiume Oliva con il suo sarcofago e le sue polveri di marmo, i bidoni di Cassano, le costruzioni avvelenate di Crotone: speriamo che queste siano al vaglio di nuove indagini di qualche magistrato e tecnico volenteroso ma anche all’attenzione di uomini e donne che amano la loro terra.
Scritture PER UN INIZIO … BOZZA DEL MANIFESTO PER GLI “STATI GENERALI DEGLI SCRITTORI”, PER LA COSTRUZIONE DI UN RAGGRUPPAMENTO DI SCRITTORI E LETTORI CON FINALITA’ DI ORGANIZZARE EVENTI, CAFE’ LITTERAIRE, MOSTRE, DIBATTITI NELLA NOSTRA TERRA.
Costatato che tra di noi vi sono “custodi della memoria”, giornalisti, lettori, narratori di mestiere, inventori e creativi dello spazio letterario, critici letterari e analisti dei fenomeni di scrittura; consapevoli della difficoltà in cui versano le condizioni oggettive della diffusione della cultura scritta, dell’insufficienza di pratiche di promozione e sostegno dei libri (specialmente la nostra produzione ); propensi, come operatori culturali, a intraprendere una lotta concreta contro il divario, sempre più accentuatosi negli ultimi anni, tra cultura visiva egemone e cultura scritta (sempre più ridotta a una prassi di sempre più pochi soggetti), al fine di ridurre quel divario sempre più accentuato tra le generazioni neo-analfabetizzate ed élite multimediali. Sappiamo che è in atto uno scontro tra civiltà umanistica della memoria trasmissibile, e disordine e oblio della “video barbarie”: è compiti dei moderni tentare l’ultimo assalto al “nulla che avanza”. Per questo, e altro, avviamo un processo di auto-organizzazione dei “mestieri del vivere” della scrittura a) L’interesse, la tutela, la visibilità di un testo prodotto da un autore non può che essere opera dello scrittore stesso. b) Unendo le forze di tutti gli associati gli autori rendono le loro opere un patrimonio condiviso dell’espressione creativa dei singoli scrittore. c) La somma dei contributi dei partecipanti a questa iniziativa è sicuramente maggiore della pura sommatoria di tutti i singoli perché vi è un valore aggiunto, un quid: quello dell’esserci come creativi o come organizzatori.
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d) Scopo principale di un’associazione di scrittori e lettori è promuovere quel senso di
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appartenenza ad un ambiente culturale, indirizzato alla qualità imponderabile e indeclinabile nella mera specie economica: l’elevazione spirituale del nostro mondo umano. Incrementare la fruizione delle opere della creatività ambientale significa anche far proprio quel punto di vista esprimente una posizione di apertura verso l’esterno. A questo precipuo scopo l’associazione (o simposio o accademia o qual dir si voglia) promuove mostre convegni interazioni di varia natura in qualsiasi parte e luoghi del nostro territorio. Uscire da questa minorità che fa dello scrittore e dell’operatore culturale del nostro territorio una specie rara piuttosto che un nuovo e dinamico coagulo espressione delle migliori qualità della nostra gente. La reciprocità (intesa come mutuo sostegno, promozione e gentleman’s agreement, patto tra gentili; sono questi i cardini di una buona riuscita dei nostri progetti); la collaborazione occasionale o duratura tra soggetti o tra gruppi è di auspicio e foriero di nuovi stimoli per rinsaldare la natura spirituale degli aderenti. Lo scopo puramente spirituale di questo consorzio non obbliga stipulazioni di un ordine o di uno statuto. Vera e propria misura della riuscita o del fallimento di un’organizzazione informale è la partecipazione diretta e la costanza con cui i membri saranno attivi nella costruzione dei cafè meeting degli scrittori e operatori. Questo documento costituisce un indizio dell’origine ed è pertanto l’inizio di un possibile cammino.
JOSE’ SARAMAGO. IN MEMORIAM 18.06.2010
“Penso che nella società attuale ci manchi la filosofia. Filosofia come spazio, luogo, metodo di riflessione, che può anche non avere un obiettivo determinato, come la scienza che invece procede per soddisfare i suoi obiettivi. Ci manca la riflessione, pensare, necessitiamo del lavoro di pensare e mi sembra che, senza idee, non andiamo da nessuna parte”
GIOVANE NARRATIVA. Il soggetto parlante: discorso dell’autore del libro Rumore di Domenico Licciardi (Ferrari editore)
La circolarità è stato il leit motiv dell’incontro alla LIBRERIA UBIK di Cosenza. Qui, a Rossano è stata posta la questione della linearità, la verticalità … che c’è, è presente negli otto racconti (almeno nelle parti intitolate “TRE”, “Dilemma”, “Rumore”, “L’anziano filosofo”, “Girasole”). Ho voluto far il critico, anche del mio stesso lavoro, perché il critico crea qualcosa di suo, come il lettore … ma ho voluto anche distruggere … la linearità si ripercuote nei personaggi … non so se sono riuscito a dispiegare <<
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tutte le motivazioni dell’agire dei personaggi. Comunque ho voluto fare un’offerta … un’offerta che l’autore fa al suo personaggio per tentare una mediazione col lettore. La Chiesa, la filosofia zen, certo!… ma viviamo in un periodo così frammentato e privo di riferimenti che non lo so neanche io a cosa appigliarsi …! Mi si chiede quali, e se ci sono, elementi autobiografici e qual è il senso vero dei miei racconti: c’è soltanto il mio percorso di Studi? Ho preso tanto dall’accademia (nel senso degli scrittori del secolo, quelli che si studiano a scuola, Pirandello, Svevo, etc. [citati dal prof. Grande nel suo intervento di critico letterario e appassionato di letteratura, ndr])… ma ho fatto un percorso tutto mio, quando scrivo non chiedo nulla al lettore, non uso un linguaggio difficile … chiedo una co-partecipazione, un’empatica condivisione tra il narratore e il lettore. Ho distrutto il senso. Vado avanti con l’intento di dare al lettore un compito, forse arduo, quello di ricostruire. Qual è il racconto che mi è più caro? Nessuno (dopo tutti questi sacrifici a riscrivere e trascrivere mi sono un po’ abbuffato! Ci abbiamo lavorato così tanto con l’editing e con la prof. essa Fabiano, la curatrice ). Vorrei prolungare il lavoro in un futuro adattamento di “TRE”: il tema mi affascina, il riscatto sociale, ed è presente quel richiamo al realismo, alla descrittività naturalistica (che è la cifra stilistica individuata dal preside Grande, ndr). Una trasposizione cinematografica? Se fosse possibile … mah! C’è il dominio delle major e poi trovare chi potrebbe essere interessato è molto difficile … Sul libro posso dire che è diventato uno dei tanti MEDIA e non esiste una superiorità di ciò rispetto ad altri supporti, e anche sulla qualità bisogna essere cauti: esistono vari tipi di film, di scarsa o buona qualità, vari tipi di libri idem, la stessa osservazione va fatta per quadri, musica etc. Ultima osservazione sulla “politica”: il discorso è difficile … gli Italiani hanno il vizio di politicizzare tutto … la politica cos’è? Dovrebbe essere un mestiere come gli altri, un lavoro da valutare e controllare con i mezzi giusti … invece ci si aspetta troppo! >> Francesco Russo, Prima Dell’ultimo Tuono, Aletti ed. Guidonia - Roma, 2010 “L’utopia appare oggi assai più realizzabile di quanto apparisse un tempo. Il problema è ora come difenderci dalla sua realizzazione”. Aldous Huxley UTOPIE, ANTI-UTOPIE E DISTOPIE NELLA LETTERATURA E NEL CINEMA. 14
Mentre il termine utopia conserva, nel corso dei secoli, la sua valenza semantica ben definita, ovvero racchiude l’idea di una società pensata e realizzata in armonia e, nel contempo, di un homo novus, il termine distopia è di recente conio, relativamente ai tempi lunghi della storia delle idee. La definizione più consona di luogo distopico o antiutopico (o, ancora, cacotopia) è quello dato dal filosofo John Stuart Mill, il padre del pensiero liberale. Il luogo, in questo caso, è un posto tremendo, agghiacciante non desiderabile, del tutto alienante e alienato e spiacevole. E’ stato detto, in sede critica, che il genere distopico si avvicina, per intenzioni e per comunanze, alla Satira. Le radici vanno ricercate in quella disciplina polimorfa che è la Futurologia. Esistono in realtà due aspetti che differenziano i romanzi distopici: le narrazioni fantascientifiche (alcune opere di H.G. Wells e, a ritroso, J. Verne; alcuni racconti di Asimov) e quelle fantapolitiche (Sinclair Lewis, autore di “Qui non è possibile”,1934; e G. Orwell). Aldous Huxley è considerato il padre del moderno romanzo distopico. Fu anche l’insegnante di lettere di quell’altro grande scrittore che fu George Orwell. “BRAVE NEW WORLD”, il cui titolo in italiano suona come “Il nuovo mondo” è stato scritto nel 1932 Comunità identità stabilità è il motto della società totalitaria descritta da Huxley. Tecnologia eugenetica e controllo mentale. Questi sono i cardini del Potere. L’elemento caratterizzante il romanzo è la rimozione della Storia: è proibito conoscere il passato della società. Il calendario segna sì un tempo il 632 dell’Era Ford (corrispondente al 2540 della nostra epoca) ma come era la società nel passato è conoscenza dei soli 10 coordinatori mondiali. La società è organizzata secondo il modello della riproduzione seriale introdotta dalle tecnologie di mobilità (in primis le auto, da cui la deificazione di Henry Ford il famoso industriale inventore dell’automobile di massa). Tutto è riprodotto in serie: gli esseri umani, suddivisi in caste, denominate alfa beta gamma ecc., vivono in uno stato di permanente impegno; nei momenti di depressione e sconforto è consentito l’uso di una droga, il Soma, che recupera il soggetto al sistema. E’ una società essenzialmente consumista e mondana quella descritta con ironia da Huxley. Le critiche più significative al romanzo furono formulate dal filosofo T. W. Adorno: sostanzialmente la disumanizzazione introdotta dal progresso tecnologico diviene di importanza secondaria rispetto al decadimento morale, dei costumi sociali. L’autore riprenderà nel secondo dopoguerra le tematiche di BNW con “Return to BNW”: questa volta il pessimismo razionalizzato prende il posto della tecnofilia. 15
Da George ORWELL agli altri. Scritto nel 1948 il romanzo distopico per eccellenza “1984” ha per sfondo sociale di riferimento la terribile esperienza storica del Fascismo e del Socialismo reale. Infatti per Orwell stesso “1984” descrive la “perversione parzialmente realizzate dal fascismo e dal comunismo” L’idea più sorprendente, e per la verità non molto studiata, è la neolingua ( bispensiero: riduzione a pochi termini che annullano la ricchezza espressiva e rimandano a parole di interdizione, che generano lo psicoreato, e quindi annullano la possibilità di un pensiero critico). “Chi controlla il passato, controlla il futuro, chi controlla il presente, controlla il passato” è la famosa frase presente nel romanzo. Ray Bradbury è l’autore di “Farenheit 451” scritto nel 1953, la trasposizione cinematografica di F. Truffaut nel 1966 : qui il controllo sociale è un controllo della cultura e quindi della memoria. E’ permesso solo vedere la televisione (solo propaganda e intrattenimento). Gli uomini fuggiti al controllo totalitario si fuggono nei boschi, ognuno di loro a imparato a memoria un libro, conservando così il senso umano del vivere. E’ del 1940 un’opera quasi dimenticata “Kallocaine”, della scrittrice Karine Boye, dove le tremende condizioni sociali di una organizzazione disumanizzata di una Dittatura sono interiorizzate, cosicché non può essere pensato neanche un ben che minimo distacco da quel modo di vivere. Il titolo richiama un psicofarmaco che serve per diminuire gli stati di angoscia delle persone che vivono in quel mondo. “Noi” di Eugenj Zamiatjn (1921). Opera di un precursore e dimenticato scrittore comunista utopico russo. Qui la satira è esplicita: un’immaginaria città collettivista in cui, da eliminazione in eliminazione, vengono tolti la libertà e la voglia di vivere. Anthony Burgess è l’autore del celebre “Arancia Meccanica”: società iper-controllata e disordine sociale. Dal libro verrà tratta la versione cinematografica di Stanley Kubrick. Sul Cinema distopico Metropolis di Fritz Lang (1927): origine del cinema di fantascienza e distopico. Farenheit 451 di F. Truffault (del 1966): la società del controllo totale, operato grazie alla distruzione della memoria contenuta nei libri. Arancia meccanica (1972) di Stanley Kubrick. “1984” di Michael Radford (1984) viene fedelmente riprodotto il testo di Orwell “V per vendetta” (2005) film di chiara matrice distopica ma proveniente dal Fumetto Science ficton Per finire: Blade Runner (1982), di Ridley Scott, liberamente tratto dal romanzo “Il cacciatore di androidi” (Do Androids Dream of Electric Sheep?) di Philip K. Dick, il più importante scrittore SF del XX° secolo (con I. Asimov) inventore anche del genere dell’ Ucronia (“Cosa sarebbe successo se … ? ”). “I figli degli uomini” (2006), tratto dal romanzo di P. D. James, del regista Alfonso Cuaron. Erede del grande romanzo distopico è la scrittura Cyberpunk (William Gibson autore “Neuromancer”, 1984, e Bruce Sterling “La Matrice spezzata”,1985). La differenza è che agli scenari pessimisti e distruttivi della distopia sono coniugate la moltitudine di tecno ribelli, outlaw e dissidenti amanti dell’utopia iper-tecnologica.
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In Calabria. La Calabria è stata la terra fertile nel produrre quelle grandi tensioni teologiche e politiche che consentono di far cavalcare la fantasia: d’altronde è la terra di Gioacchino da Fiore, il profeta delle quattro età dell’umanità. Per venire al nostro tema ci confronteremo con le idee di prossimità, operando una sfasatura temporale degna di un buon cinema di Science Ficton. Partiremo dal 1602 anno della pubblicazione de LA CITTA’ DEL SOLE del cospiratore Tommaso Campanella. Secondo l’interpretazione più significativa (Luigi Firpo, 1988[1976]) il nostro conterraneo aveva descritto un modello di civiltà influenzato dal Platone, secondo una visione di un’ utopica città governata teocraticamente e con una sorta di comunismo religioso (“tutte cose sono commune”). Il genio Campanella non avrà emuli, in questo tipo di scrittura, in Calabria: mentre il suo input sarà raccolto da tantissimi grandi scrittori. Bisogna arrivare al nostro secolo appena superato, il Novecento, con un’opera poco conosciuta di Luigi Pirandello, dal titolo “La Nuova Colonia”, ma molto amata da Corrado Alvaro, per parlare di influenze del genere utopico su scrittori e pensatori calabresi. L’utopia, comunque come espressione scientifica o letteraria, avrà interpretazioni antitetiche formulate da due giganti del pensiero: Ernst Bloch (“Spirito dell’Utopia”, 1923) e Karl R. Popper (“La società aperta e i sui nemici, 1945). Mentre per Bloch l’utopia è “il Principio Speranza”, il non-ancora, lo spirito di apertura, una finestra aperta sul possibile, sul costruirsi di una società realmente felice, per Popper dietro le utopie s’intravvedono progetti violenti, criminali e distruttivi della vita umana (eliminazione della libertà, dell’individualità e della costruzione sociale fondata su miglioramenti minimi e condivisi). Ma mentre l’utopia si presenta nella storia della letteratura come progetto di costruzione politica innovativa, come fuga dalla realtà verso una nostalgia del passato o vagheggiamento del futuro, la distopia coniuga il pessimismo delle sorti dell’umanità a una visione apocalittica e distruttiva dell’uso della tecnologia (con quest’ultimo elemento di disumanizzazione della società). Non abbiamo degli esempi diretti di questa letteratura distopica in Calabria. Si possono cogliere atmosfere e umori inquietanti, kafkiani, in opere di Alvaro e De Angelis.Non si possono etichettare le due opere della letteratura italiana contemporanea dei nostri conterranei Alvaro e De Angelis come romanzi della distopia: “Peste a Urana” di Raul M. De Angelis racconta inquietante di una città in preda ai deliri e alla autodistruzione per opera di un male misterioso. “L’uomo è forte”, opera di Corrado Alvaro rientra nella kafkiana stesura di una letteratura dell’inquietudine e della denuncia dei sistemi totalitari. “L’uomo è forte rappresenta il momento più acuto della contestazione alvariana nei
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confronti della società massificata che coarta, isola ed annichilisce” (A.M. Morese). Ma il registro è quello classico di denuncia secondo i canoni di una letteratura umanistica. Quindi è l’elemento dell’interiorità a prevalere piuttosto che l’esteriorità del dominio coercitivo. La domanda che ci facciamo è Prima dell’Ultimo Tuono un’opera distopica?
NIENTE è VIETATO, TUTTO è CONTROLLATO. E’ questo il refrain di “Prima dell’ultimo tuono”. Ambientato in un realistico futuro (appena 17 anni dal nostro 2010) l’autore immagina una società caratterizzata da alcune tendenze sorprendentemente attuali (cioè che investono il nostro presente): la cancellazione delle differenze sia culturali, che politiche, etniche etc.; la riduzione della democrazia elemento discriminatorio e totalitario, l’esistenza di una elite di tecno-burocrati che governerebbe ed imporrebbe al mondo il proprio volere; il controllo totale delle persone attraverso i meccanismi subdoli della permissività. << Parlami… di come le tue paure hanno preso vita >>. E’ un momento rivelatore, in cui la dimensione psicologica non si distingue dalla percezione della realtà, proprio come è prefigurato dalle grandi narrazioni (letterarie e non) antitotalitarie di Solgenitsyn, Arthur Koestler e Arendt. La distopia di Russo investe anche sfere inusuali come ad esempio il mondo del calcio: ridotto a puro evento economico-spettacolare, in cui è proibito a tutti di andare allo Stadio. L’ordito narrativo è sequenziale e ben congegnato. La narrazione è conchiusa: l’inizio del romanzo è il risveglio dall’incubo del bambino Francesco; il romanzo si chiude con la tranquillizzante presenza del padre, Enrico, uno dei protagonisti. La psicologia dei personaggi è essenziale, una psicologia dei gesti e delle movenze correlate a pensieri piuttosto che basata su stratificazione mentali. La conditio sine qua non della narrazione post- moderna viene così rispettata: il libro è un precipitato di idee assimilate, di film visti, di romanzi, di intense letture, di buona musica, di fascinazioni estetiche e politiche. L’utilizzo di un lessico giurisprudenziale (e non poteva essere altrimenti, per il nostro avvocato!) si coniuga ad una prospettiva di narrazione scarna e dialogica con intensi monologhi di un’io narrativo complice con i vari co-protagonisti. Non mancano elementi suggestivi come il tema della congiura mondiale: gli antagonisti sono “Loro” e il capo è “LUI”. E come ha insegnato Orwell è nel linguaggio che si compie l’impossibile differenziazione: infatti sia i membri del Movimento per la Scoperta delle Radici che i tutori-dominatori dell’Ordine Democratico si chiamano tra loro “fratelli”. La critica dell’economia, dello Danaro come nuova divinità ed impostura, richiama i testi classici della lotta contro l’economico di Ezra Pound. L’idea di perdita dello Spirito come 18
tipicità dei nostri tempi è di chiara matrice neoromantica e Wandervogel (il movimento giovanile che negli anni 20 in Germania coltivava la sua utopia neomedievale, molto simile si parva licet al movimento Strapaese di Mino Maccari, Leo Longanesi e Curzio Malaparte). E’ un progetto di utopia neomedievale che accomuna il movimento per la scoperta delle radici. L’idea di società di questi ribelli antitecnologici ha un asserto morale: <<… educare i nostri figli affinché capiscano quale rischio corrono se permettono che la tecnologia li domini >>. In L’uomo ad una dimensione, Herbert Marcuse, il filosofo critico del tardo-capitalismo affermava: “Ormai il sistema è capace di controllare la coscienze e di appiattire i conflitti sociali, fino al punto che tutti gli individui sono perfettamente integrati nel sistema e non c’è più nessuna prospettiva rivoluzionaria. A meno che questa prospettiva rivoluzionaria non riparta dal soggetto, dalla sua semplice volontà di staccarsi, di non lasciarsi omologare, richiamandosi quindi ad una sorta di spirito utopico, di volontà soggettiva di trasformare il mondo e di non lasciarsi integrare in esso”. Uscito dalla Storia l’U. rientra come spirito.
SEGNI-ARTE Dipingere in MERIDIANA Una delle tendenze più vistose dell’arte contemporanea è la riscoperta delle radici e dei segni autoctoni, del dipingere. La pittura e il suo creatore, ritornando a qualcosa di prestabilito, si celano a vicenda: si segna così definitivamente la propria mappa mentale. Nel proprio ambiente non c’è separazione, i luoghi della pittura sono spesso privi di input antropici; ma anche dove è presente s’innesca una correlazione fra dato visivo immediato, oserei dire noumenico, e la propria tecnica di pittura. Nei nostri luoghi più osservatori hanno parlato di una “Linea Jonica”, di una Natura ancora e nonostante tutto, legata a esperienze magiche, ctonie, dionisiache, dove i colori e le forme subiscono processualmente delle trasformazioni allucinatorie, dove la semplicità di un gesto diviene una sacra esposizione, un atto assume la bellezza di un rito, e le donne (l’eterno “femminino”, seconda un’accezione dell’antropologia del sacro) evocano le figure ancestrali che si aggiravano nel Ninfeo. E’ un’arte di ricongiungimento con ciò che si è perduto definitivamente, è la sua rielaborazione in chiave policromatica e della ricercata ambivalenza del corpo, né spirito né materia, né oggetto né soggetto. Nella pur certa differenza tra questo modo di concepire painting’s soul e dipingere e il disegnare e la tecnica messa a punto da alcuni NOSTRI pittori vi sono delle affinità e delle divergenze. La sensibilità della nostra PITTURA CONTEMPORANEA sembra orientata verso la scoperta del cromatismo che esaspera la presenza del corpo e della figura. Sul corpo femminile questo svelare si manifesta con un’accensione dei colori, con il fuoco sacro, con un effetto Kirlian (ricordate? Quelle fotografie dove, secondo il folle scienziato, si vedevano le cose, i corpi, impregnati nell’Aura!).
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Secondo il Vasari fu Antonello da Messina a introdurre la pittura a olio in Italia, su imitazione dei grandi fiamminghi che utilizzarono questa tecnica per la straordinaria versatilità nel dipingere grandi spazi, ambienti d’intensa luce e natura effervescente di colori. E’ una delle coincidenze straordinarie che accadono raramente: il genio, la tecnica e la natura (potremmo mai immaginare com’era la costa calabrosiciliana nel XV sec.? Antonello da Messina ne da una trasfigurazione in un dipinto del 1475). Un altro segno che serve per riannodare i fili della dimenticanza viene da un’opera di Joseph M. William Turner (1775-1851), un uomo tormentato dalle visioni (come molti romantici, d’altronde!). In un dipinto intitolato “Neapolitan fisher girls, surprised bathing in moolight” (ancora la linea meridiana del sud!), della tarda maturità, la scomparsa delle forme figurative presagisce un’espressività diretta del sentimento della natura: le donne sono diafane e sembra regnare soltanto la potenza sovrana della Natura. Questo per dire che la Natura sa influire sulle menti più sensibili. L’esperienza storica rende maturi: ad avanguardie si susseguono “ritorni alla Forma”, all’ordine; poi trans-avanguardie con risposte figurative e classicismi. L’orda delle passioni si spegne nel raggiunto equilibrio. Questo equilibrio, quest’ effusione pacata dei sensi sembra essere la cifra dello stile di quadri di AUTORI MERIDIANI. Il corpo esposto, nonché il richiamo a una staticità esemplare e una plasticità delle linee anatomiche, richiedono un’osservazione minuziosa della intera composizione, perche lo sguardo si perde sui dettagli e l’opera acquista invece una sua forma solo nell’insieme, nell’abbraccio simbolico e concreto dell’intera figura. L’effetto arcobaleno è dovuto più a un’intenzione pregressa, ma abilmente camuffata da effetto visivo voluto, quasi a veder nella scomposizione della luce nel suo spettro cromatico, un richiamo alla vera natura del luminoso. Le figure femminili vengono illuminate con effetti spiazzanti, non si capisce la fonte dell’illuminazione ma si manifesta nella sua essenza. La luce disegna la vera forma, il soggetto esiste per beneficio di questa luce, che arde, divampa, illumina e trascolora. Uno sguardo all’insieme dei quadri in questa sezione può essere d’aiuto più di mille esegesi figurative.
.aRTE mERIDIANA.INVOCAZIONE ALLE MUSE La traccia occupa un posto fondamentale in questa preistoria dell’arte. Nella disgraziata epoca capitataci, siamo immersi in un liquido che impedisce la persistenza della traccia stessa e la sua è una storia descritta e non inscritta (nessun legame tra arte e trasformazione: ogni movimento è storicizzato). Infatti i segni stessi hanno una funzione persuasiva e la stessa simulazione deve aver la possibilità di persuadere ad un livello più raffinato ma non meno corrosivo per la mente. Non è una persuasione contrapposta alla vita perché la vita stessa è incline alla simulazione dell’Arte. E nel cercare questa fonte inesauribile di illusioni che si perdono i migliori anni della propria vita. Qualche poeta l’ha capito agli inizi di questa civilizzazione. Non perdersi con l’arte, in qualunque ideale persuasivo essa si presenta – come il Tentatore col Santo, con i suoi fallimenti risaputi! – ma perdersi nella vita inseguendo i bei giorni senza luce, l’anima incarnata del gatto e il sonno di qualche oggetto. Il fiore è un’intuizione di Metafore e Bosch è stato il pittore che ha cristallizzato i miti cristiani, li ha ‘ampollizzati’, tritticizzati. Ha costruito, su questi fallimenti, una macchina della visione della decadenza di una civiltà cristiana. Se il male pervade questo mondo è perché lo abita: dove è caduto l’angelo sterminatore se non qui sulla terra? 20
Ha semplicemente spostato il Basso verso l’Alto è perché guardando in su ha visto sgorgare la vena delle arti E’ una vena non posseduta, perché tracciare è parte dello spirito dei veri creatori. Una traccia dominante, o meglio che fu dominatrice. Ora una natura indifferente, che lascia gli altri animali a fare gli animali e lascia noi, umani, a fare le brutte civiltà. Il carattere è pompato dal vino mediterraneo, capace di sverginare il tempo con belle “composizioni” di materia grigia e nera, sfondo bianco, bianco che piace agli ebbri, che ricorda il latte materno. Sotto il segno del Centauro, in ogni angolo della strada. Sotto il segno dell’Unicorno, in ogni recesso della mente. MERIDIANA È UN’IDENTITÀ CULTURALE SFOCATA … forse per dare un nome a questa regione indefinita, che non vuol essere regionalismo, che vuol essere una carta geografica d’identità e non identitaria (perché è pericoloso operare una distinzione sic et simpliciter dall’Altro). Lo stato nascente di una collocazione universale ma che tiene direttamente le radici dove si fonde il paesaggio esteriore con quello interiore … Abitare la propria casa “oikos” La storia è un ritorno PASSAGGIO A NORD OVEST
Il senso vivo della scrittura . La facilità con cui eseguiamo la nostra composizione non ci consente di sbagliare il senso della domanda: come raggiungere i pilastri del ’savoir’ senza correre per una via più corta? IL LETTORE. SULLA DISFATTA DELLA LETTURA
Nel suo famoso proemio alla raccolta di poesie Flor du mal Charles Baudelaire poteva vivacemente chiamare il suo lettore ipocrita e indurlo a non leggere il poema delle pagine successive per via dell’oscenità insita e perché il male s’annida nelle pieghe della Bellezza, della Virtù e della Bontà. La società dei colti della metà ottocento aveva già sentito quest’avviso in un altro maudit: il mai citato D.A.F. De Sade, il marchese degli eccessi. Ma tutte queste rimostranze erano in realtà, fuor dalle retoriche scritturali, degli inviti. Ma questo è il passato. Isidore Ducasse, meglio noto come Lautrèamont, farà di meglio. Ma questo non vuole essere un saggio di letteratura ma un semplice post di Kropio.
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Siamo in un momento in cui leggere è nonostante tutto una forma di passatempo per pochi attimi e per pochi intimi uomini e donne in preda al horror plenum dei nostri tempi. Che significa oggi piegare la testa su un libro? ammettiamo che ci sia ancora questa pratica, per alcuni innocui individui, ma la deferenza alla lettura è ormai pratica sradicata, grazie anche al lavoro certosino degli istituti di educazione. La disfatta della pratica masochistica del leggere è quasi sempre attenuata in certi intellettuali di cui si vocifera e si sussurra nei luoghi brutti del vidèo vid ; vien sempre associata a qualche scherzetto e balzo umoristico: ero giovane è credevo che essere infelice e intelligente era inevitabile; ora vorrei essere alla veneranda età di sessantanove anni meno intelligente e felice!
Che Cos’è il PENSIERO MERIDIANO? Occorre restituire al Sud l’antica dignità di soggetto del pensiero interrompere una lunga seguenza in cui esso è stato pensato da altri. Il pensiero meridiano è, innanzitutto, riformulazione dell’immagine che il sud ha di sé: non più periferia degradata dell’ “impero”, ma nuovo centro di un’identità ricca e molteplice, autenticamente mediterranea. Un pensiero del sud un sud che pensa il sud, vuol dire guadagnare il massimo di autonomia da questa gigantesca mutazione, fissare criteri di giudizi altri rispetto a quelli che oggi tengono il campo, pensare un’altra classe dirigente, un’altra grammatica della povertà e della ricchezza, pensare la dignità di un’altra forma di vita. (da Franco Cassano, Il Pensiero Meridiano, Bari 1996)
E’ possibile applicare le idee generali di un pensiero già formato a un aspetto limitato e limitante come quello del leggere e scrivere in Meridiana? Cosa riguarda noi? Chi siamo noi quando ascoltiamo l’altro che parla di noi? Chi o da quale scenario parla colui che sta parlando del nostro”kropio”? ove sono seppelliti i nostri avi e dove dimorano i nostri genius locii! Sono domande difficili che forse avranno risposta soltanto dopo aver ascoltato e letto chi da qui parla a noi con la stessa voce e cadenza … e dopo aver ascoltato anche lo straniero di Camus … UN RIMANDO ALL’ARTE MERIDIANA. IL TEMA DELL’UNICORNO << Ci sono uomini che in alcuni momenti non sono più se stessi e la loro circostanza, c’è un’ora in cui si desidera esser se stessi e l’inatteso, se stessi e il momento in cui la porta che normalmente dà sull’androne si socchiude lentamente per lasciarci intravedere il prato in cui nitrisce l’unicorno >>. (Ortega Y Gasset)
… purtroppo non conosco la fonte di questa citazione, so solo che è di Ortega y Gasset.
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Gli Aperitivi culturali Christmas/Natale: Una Comunicazione
Essendo questo un excurcus sulla rappresentazione, e nello specifico la rappresentazione del Natale nei diversi contesti culturali e storici, avendo quindi a che fare con una sterminata produzione di materiale,è possibile limitare un’analisi utilizzando alcuni frammenti dell’arte cinematografica e video. Due sono i “poli discorsivi” d’interesse che attraggono le interpretazioni del contenuto visivo proposto: l’immaginario collettivo e l’ERLEBNIS. Nel primo polo (immaginario collettivo) sono indicati tutti i tipi di mediazione di contenuti culturali, simbolici, materiali, raffigurazioni, riti, celebrazioni e gesti che hanno una loro specificità, in altre parole di essere universalmente accettati (dove universalità coincide con “ tutto l’ Occidente”, e questo è già, in sede critica, un problema). Il secondo polo ERLEBNIS, un termine coniato dalla lebenphilosophie (“FILOSOFIA DELLA VITA” di Dilthey e Simmel ) la concezione dell’estetica tedesca della fine del XIX secolo e l’inizio del XX secolo, e sta ad indicare l’esperienza soggettiva, vissuta, anch’essa rappresentabile ma senza la mediazione finalizzata ad un uso determinato, teleologico. Il termine associato a “immaginario collettivo”, per il nostro uso analitico, è quello di colonizzazione: i processi culturali sembrano essere orientati a uniformarsi, omologarsi, rendendo così l’uso tradizionale di un determinato evento superfluo rispetto alla sua rifunzionalizzazione economica e di scambio simbolico-utilitario. L’esperienza vissuta presenta la caratteristica di essere irriducibile alla manipolazione dell’ordine simbolico-utilitario, essendo la sua natura esperienza del singolo, dell’unico, del corpo irriducibilmente resistente a lusinghe della modernità tardo-capitalistca ; è quindi un’esperienza interiore che si avviluppa intorno ai soggetti, un “vissuto” che non ha una connotazione immediabilmente spendibile sul mercato dei sentimenti falsati e delle merci fantasmagoriche. Vediamo meglio di inquadrare questi fenomeni attraverso spezzoni di film. Primo frammento è un film del 1946 LA VITA E’ MERAVIGLIOSA del regista FRANK CAPRA con JAMES STEWART principale interprete George Bailey è un giovane padre di famiglia, onesto, che per evento imprevedibile vive una crisi di sconforto - dovuta alla perdita del denaro e all’accumularsi delle sue frustrazioni - scagliandosi contro i 23
suoi, decidendo di togliersi la vita gettandosi nel fiume. All’ultimo momento interviene un angelo inviato da Dio. Trasportandolo in una realtà parallela, l’angelo gli mostra come sarebbe stato il mondo se lui non fosse mai vissuto: tutto è un dramma o tragedia. Comprende così quanto valore e significato abbia la sua esistenza. George ottiene di poter tornare nella sua realtà, a vivere di nuovo i. Scoprirà anche che grazie alla solidarietà degli amici e dei cittadini di Bedford, riuscirà a trovare una via di uscita per evitare la bancarotta della sua ditta, passando così il più bel Natale della sua vita. Gli ideali di questo capolavoro sono quelli degli Stati Uniti vincitrice della Seconda Guerra Mondiale contro le Potenze dell’Asse, ottimista sul futuro di potenza mondiale consolidata e generatrice di quel American way of life che subirà i contraccolpi solo vent’anni dopo, durante la guerra del Vietnam. Il secondo frammento è sul film di più di quarant’anni dopo intitolato SGROOGED, chiaramente ispirato al “Canto di Natale” di Charles Dickens il più importante racconto natalizio di tutti i tempi. Regista del film (USA, 1988) è Richard Donner e l’attore principale Bill Murray. Racconta la storia del giovane direttore Francis Cross di un network televisivo americano, persona egocentrica e cinica che ha come unico scopo di vita quello di raggiungere l’apice della propria carriera. Prepara a questo scopo un grande musical che andrà in onda la notte della vigilia di Natale. Il suo successo personale è ottenuto usando sistemi estremamente dittatoriali e licenziando senza pensarci i suoi collaboratori, giudicati incompetenti senza motivazioni plausibili. Sembra la vita del tipico uomo di successo ma in realtà, per il suo metodo di lavoro e per il suo carattere negativo, ha perso tutte le persone a lui più care. Sarà proprio il suo musical ispirato al racconto più famoso della tradizione anglosassone, con il protagonista novello Ebenezer Scrooge, a portarlo sulla retta via dopo incontri significativi con persone della sua infanzia e gioventù che gli mostrano le conseguenze delle sue azioni e del suo modo di vivere. E’ l’America della reaganomics, ottimista e potente, competitiva e vincente sul sovietico ”impero del male”. Terzo frammento il visionario Tim Burton: Jack Skeletron canta Ma che cos’è, con la voce di Renato Zero. Il re delle zucche, del paese di halloween, scopre le delizie del paese di Natale. Entra in crisi d’identità e vorrebbe portare un po’ dell’atmosfera natalizia tra i mostri e le streghe, ma non ci riesce. E’ anche questa una metafora. E’ forse la metafora dell’America fin de siecle che ha smarrito la propria identità, con angosce e inquietudini che si profilano sul suo orizzonte, che assumeranno proporzioni impressionanti dopo l’11 settembre? Sul tema dell’immaginario vedremo altri due brevi filmati: il primo è il famoso spot della Cocacola, con tutti che cantano “… in magica armonia”; l’altro video (1960-69) proviene dall’archivio Homemovies dell’Emilia Romagna, accompagnato da una canzone poco conosciuta intitolata Leggenda di Natale di Fabrizio de Andrè .
FESTA SACRA. FILOSOFIA E ANTROPOLOGIA NELL’EPOCA DELLA SECOLARIZZAZIONE Questo mio intervento vuol essere una breve disamina dell’oggetto “Festa Sacra”, nei limiti di una ricognizione parziale, da arricchire ulteriormente con indagini e metodi provenienti dalle diverse 24
discipline umanistiche. E’ all’antropologia – strettamente intesa come studio scientifico comparato delle culture umane- che bisogna rivolgere lo sguardo per tracciare alcune linee di delimitazione, dei punti di fuga ed effettuare quei passaggi a nord ovest della geografia cognitiva fatta di topografie/discipline contigue e differenti come la fenomenologia, la metapsicologia (o della psicologia del profondo) l’etnografia, la teoria dei modelli di pensiero e le teologie esoteriche e non. Essendo la nostra un’esplorazione bibliografica bisogna partire dal grande studioso Gerardus van der Leeuw, dal suo volume pubblicato per i tipi della Bollati Boringhieri (2002 [ma 1959] intitolato “Fenomenologia delle Religioni”, un testo epocale anche per le conseguenze dirette sull’età d’oro dell’antropologia culturale (gli anni 50-60 del secolo scorso). L’associazione del sacro con la festa (o con il rito o la ritualità) ha senso all’interno di una comunità, ove è vissuto come un evento collettivo, è una forma di per sé autosufficiente, dotata di senso, auto- e mitopoietica. Nel definirsi come oggetto dell’antropologo e del fenomenologo, la festa sacra configura una forma altra di conoscenza del sé e dell’identità collettiva. Nell’eccezione di una effervescenza collettiva (E. Durkheim, “Forme elementari della vita religiosa” , 1912) Associate al sacro sono le potenze noumeniche della guarigione : lenire il dolore individuale o collettivo, rimarginare le ferite simboliche o concrete che si manifestano nei periodi di crisi e di instabilità delle società “prelogiche” (per usare il concetto usato da Levy Bruhl e negata dagli antropologi del pensiero selvaggio). Ferite che paradossalmente si presentano con la stessa inquietudine anche presso l’uomo civilizzato. La crisi del mondo moderno (qui il riferimento è al classico di René Guénon) è crisi di questa scomparsa delle potenzialità guaritrici, divenute aliene nel mondo tecnologizzato. Ma il termine di questa guarigione non va vista dal punto fuorviante della malattia e della semiologia medica: le guarigioni vanno piuttosto ricondotte, attraverso le intercessioni del simbolico, all’aura dell’oggetto o del corpo (presente o figurato); è un potere taumaturgico di cui sono infinite le varianti provenienti dalle dottrine iniziatiche o misteriche, ma anche non esoteriche (come le religioni popolari e visibili). Junghiana è la riproposizione del valore dell’archetipo nella mentalità del credente. L’idea è che la Morte possa essere manipolata, esorcizzata e vinta attraverso formule, preghiere, talismani: ecco il senso comune (nel senso che accomuna) civiltà di differenti regioni della Ierofania umana (ovvero della “manifestazione del sacro”). La scansione dei tempi ciclici. Gli elementi costitutivi del sacro sono stati individuati in i) circolarità dei tempi, ii) elementi ricchi simbolicamente (ad es. il fuoco, ecc.), iii) i rapporti privilegiati con le anime dei defunti iv) santificazioni di luoghi e di ambienti naturali. Qui i riferimenti sono Mircea Eliade de “Il sacro e il profano”, Torino 1987, Renèe Guenon “Simboli della scienza sacra”, Adelphi, Milano 1989. In questo senso novembre è fin dall’antichità il mese che si presta a queste fenomenologie: non tanto , o non soltanto, per l’ancestrale richiamo alla degradazione della vita vegetativa e i colori plumbei del cielo, alle piogge e ai fenomeni del cielo. Già ne’ “L’ Autunno del Medioevo” (1919), straordinario capolavoro delle ricognizioni storiche dell’olandese Johan Huizinga, sono chiare le relazioni sacre associate dai contadini all’ordine naturale e imperscrutabile delle divinità ctonie, eventi che legano gli uomini e gli Dei e antropomorfizzano questi ultimi . Ecco così prospettabile una sacralizzazione della Natura. Nella “mentalità primitiva” (dal titolo del libro di Levy Bruhl del 1922) le comunità sono poco incline utilizzare un pensiero razionalistico per dare senso sul piano metafisico, al loro sistema: l’autore parla di prelogica, cioè di un pensiero aperto all’elemento mistico, spontaneo e totalizzante. Tra i fattori di differenziazione tra i moderni e i primitivi sta proprio la desacralizzazione della Natura. Rimozione del sacro. Se la desacralizzazione deve essere interpretata come secolarizzazione (ovvero come processo che consiste nel relegare il sacro alla vita privata) siamo, in realtà, alla presenza di una trasformazione del sacro. L’approccio che ci perviene dall’antropologia culturale va a colmare dei vuoti interpretativi: nel 25
superamento della dicotomia Natura-Cultura sta il contributo più evidente di questa moderna disciplina, anche nei confronti di una spiegazione della “religiosità” intesa come codificazione simbolica. Per il suo padre putativo, Levy Strauss: le differenze e le somiglianze culturali nelle società umane riflettono le differenze e le somiglianze della struttura del pensiero umano. Marcel Mauss (fin dagli anni d’inizio secolo) e l’antropologia del pensiero selvaggio (dal 1970) hanno reso obsolete le teorie minimaliste delle funzioni rituali e della sacralità nel contesto totale di una qualsiasi realtà sociale. Il superamento dei confini della disciplina avviene ad esempio nello studio su piccola scala. Le folk societies (che traduciamo più correttamente in italiano come “società tradizionali”) sono caratterizzate da isolamento da altri contesti (specifici urbani), da piccole dimensioni, omogeneità, e in cui rivestono una funzione importante la religione e la parentela. Per concludere riguardo al nostro sud, come non ricordare gli studi di Ernesto De Martino, il suo “Sud e Magia” ripubblicato nel 2000 (ma 1959) da Feltrinelli di Milano, sulla funzione e la sopravvivenza della magia cerimoniale dal punto di vista etnologico; “la terra del rimorso”, capolavoro di ricerca ma anche “Morte e pianto rituale nel mondo antico” (1958); per altri versi bisogna ricordare il lavoro di Alfonso M. Di Nola sugli aspetti magico-religiosi della cultura subalterna italiana per la Boringhieri (1976). Per dire che i codici simbolici della sacralità hanno senso solo all’interno della comunità in cui sono vissuti quei valori, quelle pratiche e quelle credenze. I riti servono a fortificare, rinsaldare, secondo una configurazione emotiva della rappresentazione sociale: da ciò gli effetti conseguenti della trance , la possessione e la guarigione e naturalmente le visionarie raffigurazioni del conflitto individuo-comunità (apparizioni demoniache, riti orgiastici e altri elementi del carnevale della vita).
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Minimo alfabeto calabrese
Prefatio
Tra i progetti che mi proponevo di realizzare vi era una sorta di Alfabeto o Enciclopedia Calabrese in ventiquattro brevi capitoli, siglati dalla lettera A alla Z, secondo un canone che voleva emulare i fatti di cronaca civile e letteraria di sciasciana memoria. L’alfabeto era raggruppato in questa maniera: D era il Delitto (nello specifico quello del vicepresidente della Calabria Fortugno, S stato e sanità, P pentito, H hashish, A Arte in Calabria, F Festa sacra C Cinema, B non era indicato, E le Elezioni in un piccolo paese, F Frate Fedele G i gruppi musicali e teatrali, I immigrati, L linguaggio politico, M il nostro (maltrattato) mare, N la ndrangheta, O su un bel mito tra Omero e gli Oenotri, Q sui quotidiani (Calabria ora quotidiano della Calabria e gazzetta del sud), R sul rapporto De Sena, T truffe, U la nostra Università della Calabria (un dato positivo!), V i versi dei nostri poeti di respiro europeo e Z su Zaleuco il primo legislatore ( e ho detto tutto come direbbe Peppino De Filippo). Due di questi articoli lettere sono state pubblicate sulla rivista aperiodica “U suriciorbu” (2008). Qui di seguito sono riportati tre, le lettere F, L e H.
F, FESTA SACRA
1 Un’iniziativa, tenutasi a Paravati (piccolo centro in provincia di Vibo Valentia) il sabato 27
del 24 giugno 2006 riportava in auge una storia che ha il sapore antichissimo della nostra terra, in cui elementi sacri, mistici e popolari si fondono con una moderna religiosità, un po’ sfumata ma non per questo meno seguita. Di fronte a più di una decina di migliaia di spettatori si è svolta la “Notte degli angeli. Serenata a Maria” in onore della Veggente cattolica Natuzza Evolo, assunta anni fa agli onori della cronaca popolare col nome della “mistica delle stimmate”. Organizzatore di questo catholic show è stato R. P., uno dei più importanti promoter musicali calabresi, già “miracolato” per intercessione della santa vergine da una leucemia (con un piccolo aiuto da parte dei medici che hanno eseguito un trapianto di midollo osseo). Lo scopo era di raccogliere dei fondi per la costruzione di una Chiesa da dedicare alla vergine Cuore Immacolato di Maria rifugio delle anime. La straordinaria mobilitazione e devozione popolare e la figura umile e umanissima della donna di Paravati di Mileto sono stati i veri fenomeni di quest’evento eccezionale, in questi tempi desacralizzati. La presenza di big della politica regionale, di artisti nazionali e di una grande orchestra ha fatto il resto. 2 La figura della Evolo (recentemente scomparsa) è molto significativa perché nella sua esperienza mistica sono ripetuti i canoni eterni dei fenomeni Mariani: umile origine, fenomeni scientificamente “eccezionali” (sudorazioni ematiche vasomotorie, apoplessia e trance irregolare, visioni catartiche collettive ecc.), bilocazione, apparizioni dei defunti, ciclicità dei “contatti extrasensoriali”. Nello specifico delle sudorazioni ematiche sono presenti ,nei fazzoletti impregnati di sangue, delle frasi latine (una frase tipica: Deus in terra visus est ) e immagini dei simboli cattolici. Secondo noti studiosi di fenomeni religiosi il caso Evolo era interessante perché costituiva un raro esempio di possessione angelica. La veggente era predestinata fin dall’età di dieci anni a essere un soggetto portatore di “doni e carisma straordinario”, capacità di comprendere in profondità i contrasti interiori e i problemi della gente comune o meno comune. L, LINGUAGGIO
A un noto politico calabrese, collocato al Centro dello schieramento, chiesto il suo parere sulla situazione e sullo scontro interno al centro-sinistra che governa la Regione (2006), utilizzò il termine faida ( ovvero la forma di lotta cruenta fra gruppi mafiosi) per descrivere la dialettica politica. Ancora parole da utilizzare, per dare a un certo linguaggio la distribuzione di senso e consenso alquanto discutibile. Si chiama enfasi quel procedimento linguistico che “… è SINONIMO di insistenza, di accentuazione innaturale di toni e coloriture discorsive” (Bice Mortara Garavelli, Manuale di Retorica, Bombiani, pag. 176) Quando il senso del linguaggio diluisce in un magma indefinito, allora si perdono tutte le coordinate di significato: è un traboccare d’insulse parole, che ri-posizionate perdono l’inconscia derivazione della latente desiderata immorale e acquisiscono la conscia e 28
deliberata moralità utilitaristica. Un candidato a sindaco di una città di medie dimensioni sosteneva nel suo programma di poter costituire, grazie agli amici di Roma, una sorta di enclave, un’entità territoriale “off shore”, ove poter costruire Casinò, Autodromo, Resort, campi da Golf e gallerie commerciali et similia. La gente sa che in questo momento è necessario anche un sindaco spregiudicato in positivo per governare la città All’opposto, una sincerità disarmante. Il caso è a Paola, grosso centro del cosentino. Una candidata a sindaco così parlava della sua città: Questo è un territorio devastato e c’è la Procura che ha messo i sigilli a tanti lavori. E’ una città insicura dove si sparano, si minacciano le persone, si bruciano le auto, si taglieggiano i negozianti … (questa città) la speranza l’ha perduta, una guerra di potere tra bande … H, HASHISH Non passa un giorno senza che un quotidiano o una piccola tv locale informano i cittadini dell’arresto di giovani e giovanissimi per uso e spaccio di sostanze stupefacenti. In una realtà che presenta indici di disoccupazione e sottoccupazione abbondantemente sopra ogni altra regione europea, si potrebbe elaborare un’ipotesi, per così dire socialmente orientata, che molti disoccupati “trafficano” con le sostanze stupefacenti per facili guadagni, giacché il margine di profitto è elevato. Invece le statistiche e i casi aggregati su periodi lunghi dimostrano che la maggior parte degli arresti riguardano giovani operai, agricoltori, qualche libero professionista, studenti, impiegati o lavoratori atipici. Insomma la spiegazione più in voga (la vox populi ) del legame tra “fannulloneria” e consumo o spaccio di sostanze stupefacenti non è dimostrabile. Bisogna riflettere su un paradosso o una provocazione: il fatto che lavorando onestamente, dalla mattina alla sera in cantieri pericolosi, in fabbrichette prive dei minimi requisiti di sicurezza o nella famigerata raccolta di frutta, si guadagnano poche decine di euro; mentre nell’economia di mercato lo stesso guadagno equivale a qualche minuto impiegato a spacciare un grammo di coca davanti a una discoteca, o a un’oretta passata a procacciare un po’ di hashish o marjuana a qualche conoscente. E poiché siamo in tempi di esaltazione di economia di mercato se ne traggano le conseguenze. Aver fatto in modo che tutte le droghe si equivalessero è stato un processo storicoculturale che solo recentemente si è consolidato: tra tante cose che bisognava fare vi era quello di distruggere la “memoria contadina” sulla coltivazione della canapa, diffusa anche da noi in Calabria. Sia sul processo di criminalizzazione dell’uso di sostanze che sulla coltivazione della canapa per usi non-psicoattivi esiste oramai una vasta pubblicistica. Anche la recente questione proibizionismo-antiproibizionismo sollevata nella Legge Craxi Jervolino e della varianti sul tema apportate da Vassallo, Fini e Giovanardi (quindi un campo politico bipartisan, che possiamo definire ipocrita ) si era cementata intorno all’idea dell’ impossibilità che lo Stato possa essere l’entità che legalizza “i veleni delle sostanze stupefacenti”, mentre si dimentica che di veleni di Stato ne è pieno lo stivale (e non solo metaforici!). 29
Esiste una miriade di opinioni nel versante anti- come in quello pro- ma nessuna proposta concreta ha avuto effetti reali sul “consumo” di queste merci; al contrario spesso si leggono informazioni sull’incredibile aumento di sostanze stupefacenti o sulla diversificazione dei prodotti venduti (grazie alle derive della sperimentazione della tecnofarmacologia). La droga, ecco una paura atavica, che richiama morte o vita dissoluta, bianco o nero, senza distinzioni o concause. Intanto cresce il fascino del proibito, dell’illegalità come rito d’iniziazione e stile di vita possibile, con cui decine e decine di giovani provano a convivere nonostante appunto la paura, la morte, la vita dissoluta. Giovani e giovanissimi, spesso incensurati, si trovano così sbattuti nei moderni carceri, presenti in gran quantità in Calabria. Così si mischiano navigati imprenditori del Crimine, giovani immigrati già nel “giro” degli stupefacenti, con questi “pivelli”: quasi un salto di qualità, una laurea breve per apprendere metodi più efficaci nel trafficare. Così sono riportati in Cronaca negli ultimi tempi: Cosenza, famiglia in manette, madre e due figli con 3 kg di Hashish in casa (25 giugno 2006) Reggio Calabria: Usavano le bare per spacciare sostanze stupefacenti. Arrestati nove persone, di cui due minorenni (2 luglio 2006). Rossano (Cs) Hashish da Bologna, 13 arresti, tutti giovani del luogo e con un “capo”, già conosciuto dagli ambienti investigativi per un delitto consumatosi nella città bizantina (25 maggio 2007).
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Riflessi Il Pubblico o Il Lettore? Elio Vittorini (1952)
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Vi è un pubblico che sa soltanto ricevere. E vi è un
pubblico che ritrasmette, trasformandolo, quello che riceve (…). Quello che importa, nei riguardi dei più, è che un libro risponda a qualche esigenza generale. Ma gli uomini hanno esigenze che sanno già di avere, delle esigenze che non sanno ancora di avere. E la più preziosa possibilità dell’arte è appunto captare queste esigenza che non sappiamo ancora di avere, queste domande che non sappiamo porre, e renderle note >>.
Il gruppo della rivista “Officine”: si riconoscono Pasolini e Roversi
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Memoria/historiae KROTON SIBARYS: A DUEMILACINQUECENTO ANNI DALLA BATTAGLIA SUL TRAES (TRIONTO) Esattamente duemilacinquecento anni fa, nel 510 a.c., nei pressi dell’antico fiume Traes-Traente, che ora porta il nome di Trionto si è svolta una battaglia la cui leggenda non è stata minimamente seppellita dalla coltre dal lungo periodo di tempo trascorso. A contendersi un territorio (Chora) così ricco e, quindi, il dominio sull’intera Magna Grecia erano due città entrate nella leggenda fin dalla loro fondazione (gli ultimi decenni del VIII sec ac., Sibari e poco dopo Crotone, ad opera di coloni Achei). Le famiglie aristocratiche detenevano il potere politico-economico di Sybaris, mentre nuovi eventi incalzavano: da una parte si era in prossimità dell’affacciarsi della potenza ateniese dell’Alcmeonide “democratico” Clistene (che fu esiliato, per pochi anni, proprio nel 510); dall’altra parte, con la sostituzione della Monarchia con la Repubblica (509), Roma si affacciava sullo scenario della Storia. Avvenne proprio nella CXVI Olimpiade un tentativo riuscito di colpo di stato da parte di un aristocratico di nome Telys, che per conto del “partito democratico” aveva deposto alcune delle famiglie più potenti. Esiliati a Crotone, nemica e rivale in quel momento, città aristocratica guidata dai settari del partito pitagorico, alcune famiglie spodestate riuscirono a persuadere la città di Milone ad attaccare i ricchi sibariti. Gli stessi Sibariti avevano inviato un ultimatum, o qualche messaggero, per chiedere la consegna dei traditori della polis. L’altra versione, quella fatta propria dagli storici antichi, narra del tentativo degli ambasciatori mandati da Kroton a persuadere il demagogo Telys a non uccidere gli esiliati, circa cinquecento; questi per ripicca fece massacrare gli ambasciatori (alcuni erano filosofi e uomini politici seguaci del grande Pitagora, difensori delle leggi dell’ospitalità). Le leggende numerose su questi eventi hanno fatto si che gli eserciti che si fronteggiarono, proprio per la posta in gioco, furono tra i più numerosi dell’antichità: il mito parla di trecentomila guerrieri sibariti contro centomila crotoniati (cifre spaventose e per questo mitopoietiche). Gli stessi dei si schierarono contro i Sibariti: Hera, adirata, vomitò bile nera sul Foro pubblico; uno zampillo di sangue uscì da una delle magnifiche fontane che adornavano la città di Is, l’ecista di Elice. Nel tempio di Delfi l’oracolo pronunciò degli anatemi contro la stirpe di Is. La guerra si risolse in un unico scontro durissimo: l’esercito di Sibari non solo fu travolto dal capace stratega militare (anche qui la leggenda fa il nome del grande atleta olimpionico Milone, vestito come Ercole con la clava e la pelle leonina!) che comandava i Crotoniati. Episodio simbolico narrato dagli antichi: i cavalli dei Sibariti erano addestrati al suono di dolci melodie, e così furono alcuni musici ingaggiati dai Crotoniati a sbarazzare la potente cavalleria; durante la lotta i cavalli si misero a danzare! La stessa città sul Crathys raggiunta dall’esercito vittorioso fu rasa al suolo, incendiata e gli abitanti deportati senza scrupolo. Non contenti i Crotoniati deviarono il corso del fiume e annientarono definitivamente l’arredo urbano ( numerose sono le leggende per l’opulenza e la bellezza della città, ma anche per la ricchezza esibita e per la raffinatezze dei suoi abitanti venne punita dagli dei, leggende cosiddette storie sibaritiche, che fu un vero e proprio genere letterario). Lo “storico” Strabone, nella “Geografia” (libro VI, 13) scrisse che settanta giorni occorsero ai Crotoniati per disintegrare la magnifica città. Kroton divenne, col suo stile austero e guerriero, la nuova capitale della Magna Grecia, ma fu un dominio che durò l’espace du matin.
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La società dell’Incertezza DIRITTI CIVILI E MEMORIA STORICA NELL’ERA DELLA GLOBALIZZAZIONE. Conversazioni tra Alessandro Bellassai (Universita’ di Bologna), Francescomaria Tedesco (Universita’ di Firenze) e Pierpaolo Cetera << Credo che le domande non siano mai sbagliate; le risposte potrebbero esserlo. Ma credo anche che astenersi dal fare domande sia la risposta peggiore di tutte >>. ZYGMUNT BAUMAN LA SOLITUDINE DEL CITTADINO GLOBALE, FELTRINELLI 2007 Una premessa è doverosa: essendo quest’ appuntamento frutto dello spontaneo incontro fra persone interessate a temi d’immediata urgenza culturale e socio-politica, è stato assai fortemente voluto dal sottoscritto; è anche un’approfittare della presenza di due studiosi di specifici ambiti della ricerca universitaria, ovvero la storia contemporanea e le dottrine del diritto, e di tentare così una descrizione, per quanto parziale e limitata, di alcuni fenomeni della nostra contemporaneità. Naturalmente l’abbozzo di una riflessione non ci rende immune da un’indagine critica della superficie dei fenomeni della globalizzazione, dei nuovi diritti civili e dei fenomeni di grandi migrazioni di popoli di questo fine --inizio secolo. Neppure sono da rifiutare approcci sostanzialmente distanti e opposti al nostro tentativo: ben vengano proposte analisi e critiche alla nostra produzione di discorsi. La cultura tradizionale accusava già da qualche secolo a questa parte l’aspetto astratto e utopico della dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, così come erano stati avanzati dalla Rivoluzione Americana e da quella Francese sotto la potente spinta delle teorizzazioni Illuministiche. Ma una contrazione in questa direzione è arrivata da alcuni aspetti culturali del XX° secolo, critiche e sarcastiche analisi della dialettica dell’Illuminismo, la microfisica del potere sostanzialmente “umanistica”, e quindi una formulazione di una rivolta anti-umanistica, della decostruzione e del pensiero nomade, che hanno prodotto una teleologia del pensiero che è tangente alla svolta “rivoluzionaria conservatrice”. Con il favore del mito delle magnifiche sorti del capitalismo globale riacquista spazi e consensi l’idea di un Occidente campione di Civiltà, libertà democrazia e benessere oramai compiutamente e irreversibilmente appannaggio di questa parte del mondo. Di contro si propone l’immagine dell’Altro come arretrato, dissoluto, sanguinario, sia sul piano materiale che spirituale; un nemico che è contemporaneamente “esterno e interno”. Obiettivo di questa propaganda… è palese: presentare la civiltà occidentale vittima e ostaggio di cotanti nemici, coltivare nella pubblica opinione la rabbia e l’orgoglio, per giustificare interventi civilizzatori, presenti e futuri… e riattivare circuiti di esclusione per i nemici di quest’ordine accaparratore. I diritti riconosciuti dalla Costituzione repubblicana del 1948 sono, è bene ribadirlo, la libertà personale, di riunione pubblica, di associazione, di fede religiosa, di pensiero, eguaglianza davanti alla legge, i doveri di solidarietà politica, economica e sociale… ma, specialmente è l’articolo 10 che così recita: << Lo straniero al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche ha diritto d’asilo. Non è ammessa l’estradizione per motivi politici >>.
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Sull’onda dello sdegno civile per le uccisioni di alcuni cittadini da parte di immigrati più o meno irregolari si è scatenato ( e si scatena a periodi) un allarme sociale, che prescindendo dalle reale incidenze di siffatti atti criminali sul totale dei crimini commessi, diviene elemento di manovra per ideologie razzistiche o simili; mentre vengono sempre di più decurtate le risorse a favore delle politiche integrative dell’immigrazione, che è funzionale alla prevenzione e alla gestione critica del fenomeno. L’impotenza degli organi di controllo a causa delle inefficienze o delle volute complicazioni legislative (vedi la legge Bossi-Fini), non fa altro che peggiorare gli umori populistici, già esasperati dai modi in cui vengono annunciati i principali fatti di cronaca nera dei mass media. E’ difficile in questi contesti così fluidi dare senso a certe forme di tolleranza o buon senso. Ma i temi all’ordine del giorno, sia in senso di emergenza che per contenuti di per se conflittuali, sono molteplici: eutanasia, diritti degli omosessuali e degli “altri sessi”, la cittadinanza agli extracomunitari, l’aborto e la bioetica, le problematiche poste dalle frontiere della biologia, ecc. ecc. Slavoy Zizek, autore de “La violenza invisibile” (Rizzoli, 2007), filosofo e polemista, in una recente intervista sosteneva che l’umanitarismo moderno nella sua forma di multiculturalismo a volte non fa altro che amplificare il problema sociale generato dalla presenza di diversità in medesimi ambienti: propone, con piglio pragmatico, la validità della costruzione di muri (forse più culturalisti che concreti) spesso più efficaci delle volubili passioni umane a favore o contro l’integrazione dell’Altro. All’opposto, lo scrittore e viaggiatore Kapuscinsky, erede di quella tradizione culturale d’impronta umanistica integrale, sosteneva che : << Tra uomo e uomo, tra l’io e l’altro si è inserito un intermediario tecnico… si sono alzati altri muri, altri ghetti, reticoli, fossati, barriere… l’antica parola sanscrita “Upanishada”, che significa stare vicino, sedersi vicino… ecco la vicinanza diretta, un esperienza che niente è in grado di sostituire… >> . In Italia vi sono analisi sufficientemente profonde su questi temi? Anche il cattolicesimo dolce si chiede se siamo diventati un popolo razzista (per ritornare a uno degli argomenti caldi): << Gli italiani provano indifferenza verso tutto ciò che è diverso, hanno una sorta di pigrizia mentale, una mancanza di volontà di comprensione dell’altro >>. Però a completamento del quadro, così continua l’ex arcivescovo di Milano: << Gli italiani sono brava gente. I media, la televisione, continuano a parlare di conflitto tra stranieri e italiani, ma la realtà di tutti i giorni è diversa. Quando hanno a che fa con te direttamente, nel rapporto faccia a faccia gli italiani si comportano bene, come con un loro pari >> (C.M. Martini, Testimonianze raccolte dalla giornalista Rula Jabreal, Il Sole- 24ore, 11 novembre 2007). Se invece si evoca “lo scontro di civiltà” (Clash of Civilations, secondo alcuni Think tank americani) le polarizzazioni tipicamente italiane di destra-sinistra si presentano con tutto il loro vigore… << Né l’inevitabile presenza, né la tolleranza dell’Altro, né l’assimilazione né la conversione… c’è al di sotto di tutto un dovere reciproco di vivificarci e stimolarci a vicenda vivendo quegli atteggiamenti di rispetto, di gratuità di non preoccupazione del proprio tornaconto o della propria fame di accoglienza e perdono >>, cosi chiude il discorso l’arcivescovo emerito della Chiesa Cattolica, citando il Discorso della Montagna. Ci si domanda perché il tema della sicurezza è un tema delicato? Che esige unità di intenti e meccanismi sociali di salvaguardia della libertà?
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Avendo la Sicurezza una filogenesi che parte da Machiavelli, attraversa Lutero, Jean Bodin, Grotius, Hobbes, Spinoza e arriva a John Locke, la questione solo con Montesquieu si affermerà che la richiesta troppo forte di sicurezza può sfociare nell’accettazione di una Dittatura. Gli anticorpi comunque ci sono e funzionano nei sistemi democratici più saldi: è la Rule of Law, il primato della Legge. Un breve cenno, doveroso per integrare i temi di questa conferenza, alla questione della globalizzazione che non può prescindere dalla sua storia: il termine ha un’origine per così dire neutra (ma sappiamo che questa presunta neutralità prescinde da ogni discorso sui poteri, sia tecno scientifici che politici o di sistema). Nella teoria della comunicazione, con M. McLuhan, si parla dal 1964 di villaggio globale. Successivamente il concetto tecnico economico viene esteso all’idea di internazionalizzazione degli stili di vita, di consumo, di organizzazione politica e culturale, nonché gli aspetti estetici-materiali. Il crollo dell’Impero sovietico e l’emergere delle economie in via di sviluppo in Asia e nelle Americhe faranno da traino a processi già in nuce. Il passaggio dall’economia-mondo (F. Braudel) al Sistema Mondo dell’economia è un passaggio di intensificazione dei livelli di interazione fra Stati e società distanti spazialmente e tecnologicamente. I fattori di questo nuovo ordine possono così semplificarsi:
simultaneità temporale: effetti di rapida interazione fra diversi luoghi indifferenza spaziale: influenza dei fenomeni indipendentemente dai luoghi trasferimento di know how tecnologico, scientifico e industriale internazionalizzazione dei network di comunicazione universalizzazione delle merci
A questo va ad aggiungersi un processo di occidentalizzazione del mondo (Serge Latouche, autore de “ Il pianeta dei naufraghi. Saggio sul dopo-sviluppo”, 1993) e un alto livello di integrazione comunicativo, produttivo e culturale (E. Morin, Pensare l’Europa”, 1988). Ralf Dahrendorf , nel saggio “Dopo la Democrazia” (2001) sosteneva che in virtù del fenomeno della globalizzazione << il numero delle decisioni che oggi vengono prese da autorità non responsabili è oramai tale da relegare in un angolo le strutture di rappresentanza degli Stati nazione… >>. Ora il problema è che <<…esiste una nuova classe globale, un’elite, che ha in fastidio le regole e i vincoli degli Stati nazione… (e che) non deve rispondere a nessuna istituzione democratica >>. In questa direzione e incuneandosi più in profondità politica è l’analisi di Michael Hardt e Antonio Negri autori di “Imperium”. Come ultimo tema bisogna accennare alla de pauperizzazione di alcune aree del globo che hanno come effetti di medio e lungo periodo proprio l’emigrazione.
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MUSICA Francesco Baccini: Un Menestrello di una Storia Italiana canta a Mirto-Crosia. Il 16 agosto 2010 presso il lungomare di Centofontane (un luogo antichissimo, ricordato per le sue fresche acque silane e per essere stato punto di approdo di marinai, pirati e navigatori, alla ricerca di acqua potabile) alle ore 22 canterà Francesco Baccini, uno dei più originali e anticonformisti autori della canzone italiana. Viene spesso ricordato per aver scritto una canzone su Andreotti, il politico italiano più longevo e importante del secondo dopoguerra, il “democratico cristiano” al centro dei principali eventi politici della nostra nazione. Meno conosciuto è stato il suo videoclip girato nelle carceri e con protagonista Renato Curcio, fondatore delle Brigate Rosse. Lo stesso Baccini aveva detto che si trattava di una canzone << … sull’uomo, non sul terrorista o non sul “mostro”, una canzone per uno che non ha abiurato >> . Era il periodo in cui l’ex brigatista rosso era in fase di avanzata ricostruzione del “Progetto Memoria”, in altre parole la ricostruzione minuziosa e dettagliata della lotta armata in Italia negli anni settanta e ottanta, una ricostruzione parziale nel senso di una ricostruzione degli eventi visti da coloro che furono sconfitti, e sul piano militare che politico. Così commentava Curcio quell’ incontro: Il passato per me non esiste più, il futuro è fatto di sogni, e non conta. Conta solo il qui e ora. Il mio lavoro al computer, la partita a calcetto … perché allora là fuori non la piantano di considerarmi un simbolo di cartapesta? Non sono un vecchio scemo e non vivo di nostalgia … >>. Oggi Renato Curcio è un uomo “libero”, ma parlare di quegli anni col senno di poi (e con tutti quei lutti!) genera ancora delle reazioni a catena … Baccini ha invece pagato uno scotto: quello di essere un cantautore sui generis, e per questo si è visto poco nei mass media. Naturalmente questo poco visibilità ha inciso molto sulla qualità delle sue esibizioni live, ove raffinatezza e rabbia e poesia di amalgamano benissimo. L’ ex operaio portuale, ora cantautore, ha utilizzato sempre l’arma della satira (ma la satira vera è quella che sguazza nella memoria; se la pietà l’è morta figuriamoci la memoria … !). In quel periodo l’ex brigatista (ora è uno scrittore: nel senso che scrive saggi, letteratura, fa ricerca di natura sociologica) aveva ricevuto visita anche dall’ex capo dello Stato, Francesco Cossiga, che gli aveva regalato alcuni libri, la Bibbia concordataria dei Meridiani, la “Scienza Nova” di Vico e un volume di Leopardi. Tra gli spettatori del videoclip girato nella cella di Renato Curcio sul finire del 1992 (in piena “tangentopoli”) vi era Pierluigi Concutelli, ex neofascista, che spesso ha discusso con “un nemico”, e sostenendo di essere in sintonia, su molte cose, con Curcio. Avendo conosciuto questo frammento di vita di questo cantautore siamo molto contenti di ospitarlo al TRIONTO VALLEY FESTIVAL per l’edizione 2010 . <<
NUJU. L’esordio discografico della band L’ambizione e un po’ di fortuna sono Cose che possono essere di molto aiuto A un musicista […], se ce l’ha. Troppa ambizione e poca fortuna, se non proprio scalogna, possono rovinarlo. Ma soprattutto Bisogna avere talento. (Raymond Carver, Fuochi, Einaudi 1997[corsivo mio])
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E ‘ un gruppo post-rock che vogliamo farvi conoscere attraverso questo blog. Un gruppo ambizioso e con le carte in regola. I sei componenti del “complesso” (come si diceva nel gergo una volta!) dei NUJU, sono calabresi per ¾ di sangue e anima e per il resto fatti di rock ipervitaminico, sono giovani studenti universitari (e post) alle prese con una forte esperienza di vita e di creatività, come dimostra la pubblicazione del loro “primo lavoro” discografico omonimo “NUJU” (registrato presso “La Fabbrica di Plastica” di Gattanico, Reggio Emilia, di Lorenzo Ori, già producer dei Massimo Volume di Emidio Clementi e di Meg, ex vocalist dei 99Posse). Conversando del più e del meno, cercando di carpire alcune idee (in)consce, e vedere quale strada stanno percorrendo (drum: Stefano Stalteri; fisa: Roberto Virardi, guit. Giuseppe Licciardi e il voc. Fabrizio Cariati: altri due componenti sono Marco Ambrosi e Roberto Simina), evitando di essere sfuggevoli, come lo sono coloro che intraprendono percorsi e gelosi delle proprie esperienze preferisce sublimarle in musica piuttosto che farne oralità, discussioni, conversazioni … ho atteso i momenti di tensione rallentata, tra un po’ di birra e qualche sfuggevole chiacchierata per cogliere alcune impressioni.E’ tutto così incerto, nella vita, nel lavoro, nell’amore, non si salva niente! … poi non parliamo di qui, del sud, della Calabria! Siamo contenti per quel che facciamo, suoniamo in vari parti d’Italia, abbiamo contatti con diverse realtà e aperto i concerti suonando prima o insieme con gruppi o cantautori significativi della scena italiana (posso citare i Modena City Ramblers, Peppe Voltarelli, Max Gazzè) (conver. con Stefano).Ci capita di conoscere musicisti, alcuni sono affabili, altri meno… ma è sempre un ambiente che ci gratifica e poi ci spostiamo come una piccola comunità… condividendo molto ; (convers. con Roberto) I commenti e le recensioni dei cosiddetti addetti al mestiere fanno sentire quell’aria di prevenzione su ogni cosa che si presenta come un deliberato work in progress. Si va dall’”ottimo inizio”, ma subito ridimensionato per il fatto che “non aggiungono molto sul genere musicale … che stanno affrontando”; infine si passa per le etichette da appiccicare a questi musicisti ed ecco un fiorire di “folk rock”, “suoni balcanici mediterranei”, jazz reggae, tradizionalismo e avanguardia (sic!) e, naturiliter, il mentore Peppe Voltarelli (recensione sul “MUCCHIO”) come se fosse quest’ultimo il deus ex machina di qualunque cosa proveniente dalla Calabria e non l’ormai affermato cantautore europeo. Nuju è Nessuno. La sua storia narra di un viaggio in pieno svolgimento… … Nuju sfida in continuazione sé stesso e il suo destino. I suoi componenti sono dei novelli Ulisse partiti dalla loro Itaca… …Il pop sono le sirene, il rock è Nausicaa, la musica d’autore è il ciclope, la world music è Medusa. Nuju è Nessuno. Il tema del viaggio è al centro delle undici tracce ed è affrontato con cognizione: la collaborazione con alcuni scrittori come Gianluca Morozzi e Francesco Licciardi, all’interno di un progetto anche extra musicale, arricchisce di contenuti l’esperienza artistica dei Nuju. Credo che invece il lavoro fin d’ora compiuto è notevole: le condizioni sono favorevoli, il materiale musicale è forgiato per aver altre derive e contaminazioni. D’altronde come scriveva il grande poeta Costantin Kavafis quando ti metterai in viaggio … devi augurarti che la strada sia lunga … IL CANTO NARRATIVO IN CALABRIA (SULL’I.R.S.D.D.) L’esistenza di un “Istituto di ricerca e di studi di Demologia e di Dialettologia” (I.R.S.D.D.) con sede a Cassano allo Jonio (Provincia di Cosenza) ci conforta e ci prona a divulgare in questo piccolo blog i lavori intrapresi dal prof. Leonardo R. Alario, presidente e fondatore dell’Istituto sunnominato. I temi della cultura popolare e delle tradizioni presentano interessi significativi nelle varie discipline riconducibili agli studi antropologici, ma sono altresì evidenti dei gap temporali e per questo spesso lo studio e la passione di singoli appassionati rischiano di rimanere nell’oblio. Ci sono periodi storici in cui una sorta di febbre per i sistemi culturali della tradizione attecchisce una comunità di ricercatori e appassionati: basti pensare alla fine degli anni sessanta (con gli studi di Gianni Bosio, Roberto Leydi e Michele L. Straniero) oppure agli inizi degli anni novanta (con l’esplodere dei gruppi musicali che 37
innestarono il dialetto con le sonorità moderne, non disdegnando di riproporre a un vasto pubblico brani della tradizione orale contadina, ecc.). Esperienze diverse, naturalmente. Qui, nel caso dei cd pubblicati dall’I.R.S.D.D., i lavori hanno il sapore antico e genuino della ricerca sul campo, della trattazione filologica e dello studio su materiali scientificamente vagliati. La Calabria ha una vasta tradizione di musica e folclore in parte ancora da sistemare, ma presenta anche alcuni deficit organizzativi nella tutela del patrimonio demologico (in parte colmati dalla passione di alcuni soggetti che lavorano per conservare una parte ancora rintracciabile di questo patrimonio). Eppure le esperienze di Lomax, il ricercato americano che ha raccolto alcuni suggestivi canti e musiche del nostro territorio, non hanno ancora avuto la giusta collocazione che meritano (dove sono finiti le registrazioni originali?). Tornando al nostro caso, l’I.R.S.D.D. ha all’attivo quattro cd denominati “Documenti sonori della cultura di tradizione orale- il canto narrativo in Calabria”.Abbiamo ascoltato il cd “ L’amante confessoreFoglio volante del XIX secolo” e letto il relativo libricino documentativo, esauriente, noi non possiamo che invitare all’ascolto di questo straordinario documento. << I Calabresi sono invitati a riappropriarsi della propria cultura, a rifunzionalizzarla secondo i bisogni particolari d’ogni singolo come d’ogni comunità, e a utilizzarla per rifondare, consapevolmente, la propria identità >>, così il prof. Alario.
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“Musica e poesia”: basta questo a definire la canzone d’autore?
Vorrei riflettere su questi due “pesantissimi” concetti, musica e poesia. Partirei da una posizione estrema. “La musica è la migliore consolazione già per il fatto che non crea nuove parole. Anche quando accompagna delle parole, la sua magia prevale ed elimina il pericolo delle parole. Ma il suo stato più puro è quando risuona da sola. Le si crede senza riserve, poiché ciò che afferma riguarda i sentimenti. Il suo fluire è più libero di qualsiasi altra cosa che sembri umanamente possibile, e questa libertà redime. Quanto più fittamente la terra si popola, e quanto più meccanico diventa il modo di vivere, tanto più indispensabile deve diventare la musica. Verrà un giorno in cui essa soltanto permetterà di sfuggire alle strette maglie delle funzioni, e conservarla come possente e intatto serbatoio di libertà dovrà essere il compito più importante della vita intellettuale futura. La musica è la vera storia vivente dell’umanità, di cui altrimenti possediamo solo parti morte. Non c’è bisogno di attingervi, poiché esiste già da sempre in noi, e basta semplicemente ascoltare, perché altrimenti si studia invano”. Questa è la posizione teorica di Elias Canetti. La cito per la sua radicalità, per la sua asciutta determinazione a risolvere in un lato preciso la questione che ponevo nella domanda-titolo, cioè nel lato della prevalenza del dato musicale su quello della parola. Quando morì De Andrè, la grande Fernanda Pivano commentò che era morto il più grande poeta del secondo dopoguerra: poeta, non cantautore. La storia della musica cantautorale è così intensa che, naturalmente non sono poche le difficoltà, nel tracciare il percorso e quindi un bilancio. Mi capita sovente di ricordare le figure senza biografie, perse nella nebbia della storia, di Trovatori e Trovieri, dei minnesinger e dei giullari e chierici vagantes per dar senso a quel racconto attuato attraverso la musica e questo ricordo accompagna la nostra profonda ammirazione per quegli uomini – i cantautoridi cui ora conosciamo vita e miracoli, che hanno avuto (o hanno) il dono. Il dono saper raccontare la nostra epoca, la nostra vita, i sentimenti più reconditi e le aspettative di intere generazioni; ma anche di aver, pasolinianamente, presagito le oscure svolte dell’anima umano e della collettività! (e forse per questo dimenticati, ricondotti nell’oblio di una vita vissuta all’insegna nell’esasperata contraddizione tra anelito a una vita piena e le tentazioni riuscite dell’autosoppressione, del suicidio). Una canzone anticonformista, insomma il contrario delle canzoni della “cattiva coscienza”. Allargando lo sguardo su una prospettiva europea, bisogna partire dalla Germania di Weimar degli anni venti per parlare di una forma canzone seminale, progenitrice di tante altre forme che andranno a costituire le esperienze nazionali e,quindi, specifiche della Francia, dell’Italia e della Russia. Sono due grandi artisti a determinare questa svolta: Berthold Brecht e Kurt Weill. Le canzoni inserite nelle loro famosissime “L’opera da tre soldi”, “Ascesa e rovina di Mahagonny” e “il 39
volo di Lindbergh”) sono capostipiti. La fuga dalla Germania, entrata nella Notte di Valpurga, il breve soggiorno parigino e la permanenza negli Stati Uniti d’America sono state tutte esperienze seminali: molti raccoglieranno i frutti di quei due geni errabondi. Un percorso che ha un preciso inizio, un luogo geografico, un’atmosfera e una sensibilità politico-sociale immediatamente riconoscibile: è il dopoguerra del martoriato continente europeo e il luogo è la Francia. Esistenzialismo e impegno politico-sociale sono le attività di una gioventù dedita al rifiuto del mondo borghese. I nomi sono quelli di Boris Vian, che pur non cantando le sue poesie queste furono esempi di quel tipo di scrittura d’autore in voga successivamente: basti pensare all’influenza su Juliette Greco,Jacques Brel,Leo Ferrè, Jean Ferrat, Georges Brassens, Serge Gainsbourg. Per l’italia è la fine degli anni cinquanta che a Milano alcuni musicisti rompono con la tradizione della canzonetta sentimentale: sono uomini e donne, che provenienti da esperienze teatrali, usano il dialetto lombardo e narrano storie della mala, dei disagi metropolitani e delle vite poco eroiche di uomini comuni. I loro nomi sono così famosi che ne ricordiamo en passant qualcuno (Enzo Jannacci, Giorgio Gaber,Laura Betti, Milly,Ornella Vanoni, Fiorenzo Carpi e Margot). Nasce un’esperienza complementare al nostro discorso (e siamo nel 1962-63): il “nuovo canzoniere italiano”, che vede protagonisti, tra gli altri, Giovanna Marini, Caterina Bueno e Rudy Assuntino (che sarà colui che farà conoscere Bob Dylan in Italia) Ma la questione non è tanto la canzone in sé, anche se dobbiamo parlare di un nuovo modo, del “recitar cantando”, ma la felice coincidenza che proprio in quel momento stava per nascere la moderna industria musicale: ricordiamo la figura di Nanni Ricordi erede della famosa casa discografica, nonché i compositori fratelli Reverberi, artefici di quel suono asciutto e autentico. Insomma siamo davanti a un’ambiziosa operazione culturale. L’onda di questa svolta della forma e dei contenuti letterari delle canzoni sarà lunga. I nomi? Gino Paoli, Luigi Tenco, Lucio Dalla, Sergio Endrigo, Bruno Lauzi, Paolo Conte, Umberto Bindi (per citarne qualcuno). Sono autori di testi che propongono cantate che risentono delle poetica di Ignazio Buttitta, Jacques Prevert, Giuseppe Ungaretti, Pier Paolo Pasolini, Rafael Alberti, Gianni Rodari, Roberto Roversi, Franco Fortini e Italo Calvino. Siamo di fronte a figure umane complesse. La vita errabonda e bohemienne di Piero Ciampi (amico di L. F. Celine); la feconda, alchemica, collaborazione Mogol-Battisti; l’amante della scena inglese come Ricky Gianco, i poeti-cantanti degli anni settanta, come Claudio Lolli, Gianfranco Manfredi, Ivan della Mea e Enzo del Re. E’ una geografia disseminata in diversi luoghi (anche se qualcuno ha parlato di scuola romana genovese, milanese ecc.). Non mancano i topoi mitici. A Roma, a Trastevere, col Folkstudio: tutte le sere suonavano Riccardo Cocciante, Rino Gaetano, Renato Zero, Claudio Baglioni, Francesco De Gregori, Giorgio Lo Cascio, Antonello Venditti, Mimmo Locasciulli, Ernesto Bassignano, Stefano Rosso, Mario Castelnuovo, Renzo Zenobi e Edoardo De Angelis.Sono milanesi, autori o interpreti, Angelo Branduardi e Fabio Concato, romani Gabriella Ferri, Francesco De Gregori e calabra-romana Mia Martini, bolognesi Francesco Guccini, cosmopoliti Herbert Pagani e Nino Ferrer , siciliani Franco Battiato e Vincenzo Spampinato, napoletani Pino Daniele, i fratelli Bennato e la De Sio. Il periodo che dalla fine degli anni cinquanta agli anni settanta-ottanta è stato il periodo d’oro di questi artisti che hanno rotto con una tradizione di melodia e retorica del sentimentalismo. Se molti artisti ancora oggi continuano in direzione “ostinata e contraria” la loro ricerca vuol dire che tutto è stato il “nostro concerto” vero.
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IL MESTIERE DELL’EDITORE Pur non essendo questo un luogo adibito a un’analisi tecnica dei fenomeni complessi dell’editoria e della produzione e diffusione del libro, in questa porzione di territorio chiamata Sibaritide, potremmo mai esimerci dal verificare sul campo la natura dei problemi e delle soluzioni proposte dalle realtà editoriali già consolidate? La sfida che il nostro gruppo si pone in quest’incontro va in direzione di una ricognizione diretta, parlando con gli operatori e i lettori, per avere sotto mano una descrizione sincera dello “stato delle cose”. Poi, ognuno di noi trarrà le sue conseguenze, valuterà il da farsi, forse nulla cambierà, come succede già e come costatiamo, ahinoi!, in questi tempi del disinteresse e dell’arroganza anticulturale, tempi che ora avanzano inesorabilmente. Si potrebbe partire da una semplice domanda ai nostri amici convenuti, in altre parole se recentemente hanno comprato o letto un volume prodotto da qualche realtà editrice locale? E, continuando, chiedere come ha accolto questa sua personale scelta, quale giudizio sul valore dell’opera ha trasmesso a conoscenti o amici, se ha avuto stimoli dalla lettura e così via dicendo … Sappiamo bene alcune cose: l’editoria locale se non procede verso un’espansione del proprio “range”, del proprio orticello, cioè non avvitandosi sulla propria identità territoriale e commerciale, difficilmente potrà uscire dalla fase di mera sopravvivenza. L’altro grande problema è la visibilità dei propri lavori: nell’epoca della grande mutazione tecnologica le connessione e le reti del sapere si sviluppano secondo il rizoma, orizzontalmente (uso la metafora deleuziana per evidenziare la radicalità delle scelte che attendono il mondo editoriale), secondo la collocazione di miriadi di nodi (eventi, kermesse, fiere, reti web, mostre tematiche e aperture di spazi culturali specifici) che rendono il libro, sia nella sua materialità che nella nuova condizione di virtualità, come elemento di spicco, come certezza di organon di trasmissione dei saperi. Faccio ora un breve excursus tra alcune case editrici. Segnalo qui secondo ordine di tempo “Editrice Aurora” di Corigliano, nata nel 1977, specializzata in libri per bambini e per ragazzi. Tra le collane scorgiamo due volumi dedicati agli scrittori calabresi “Calabria. Riscopriamo i nostri autori” e “Scrittori Calabresi”; le riduzioni dell’ “Iliade” e di “I Promessi Sposi”, nonché le edizioni commentate di autori locali (F. Maradea e V. Tieri) Dal 1984 è l’impegno editoriale delle “Edizioni Il Coscile” di Castrovillari, legata all’omonima Galleria d’Arte siglando così un collaudato connubio fra arte e scrittura. La mission aziendale è esplicitata nel sito 41
della casa editrice: un lavoro che mira … all’esplorazione, alla riscoperta e al rilancio delle valenze culturali, etniche, linguistiche, storiche, letterarie e artistiche, ma anche ambientali dei centri del massiccio del Pollino, individuando ed evidenziando da un lato le specificità e le peculiarità della civiltà di quel territorio, dall’altro quelle componenti che meglio completano il generale quadro della civiltà calabrese . Sull’altro fronte del limite territoriale, San Giovanni in Fiore, segnalo la casa editrice Pubblisfera, caratterizzata da interessi culturali variegati (che vanno dalla cucina al turismo del territorio, dal pensiero spiritualistico alla storia delle comunità locali). Sul versante dell’impegno sociale va segnalata “la Mongolfiera- Editrice Alternativa” di Doria: tra i volumi pubblicati segnaliamo quelli di Leonardo Alario, storico e demologo, Cosimo Cerardi, autore di testi di filosofia. Attenti alle tematiche ecologiche, spirituali e della resistenza delle culture locali alla globalizzazione, i tipi della “Mongolfiera” invitano a una visione alternativa alla cultura dominante. Sono presenti nel Catalogo riviste di letteratura, memorialistica di viaggi, sezioni dedicate alla religione, alle migrazioni, al cinema. Dal 2003 esiste la casa editrice Ferrari di Rossano, nata con l’obiettivo di divulgare conoscenze e, soprattutto, di aprire un dibattito di ampio respiro sulle radici storico-culturali del territorio, sulla sua memoria, sul suo patrimonio umano, culturale e valoriale. Caratterizzata da un approccio modernizzante e da un impegno professionale di alto profilo, la Casa editrice di Paludi-Rossano ha valenti collaboratori che rappresentano bene le diverse anime della sua produzione culturale (cito il caso del poeta Giuseppe Blefari, vero erede di una tradizione consolidata del verso). Vorrei concludere segnalando una storica casa editrice le Edizioni Guido, del sign. Stefano Guido, da molti anni titolare della libreria in via Nazionale. Le Edizioni Guido assieme a quelle presenti nel catalogo della “Tipolitografia Grafosud”, rappresentano la principale fonte della ricerca storica locale; ricordiamo brevemente la ristampa anastatica del “Cenno Storico geografico topografico economico di Pietro Romano” e il “Giornale di Viaggio” di Vincenzo Amarelli (Grafosud).
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It’s fucking political SEGNALI DI FUMO. Una scommessa per il futuro della nostra terra è la riforestazione di vaste aree specialmodo le superfici sottratte al “Set Aside”, interrompendo così l’attuale fase di degrado ambientale e riduzione delle aree boschive. Infittire i boschi, piantando più alberi; ma anche aumentare le superficie vegetali delle città, anche piccoli fazzoletti di terreno pubblico o rivestire i tetti con zolle erba comune o, ancora, dotare di piante floreali interstizi urbani. Collegata a tutte queste premesse è sicuramente la questione degli sprechi di materiali organici: il fatto che la maggior parte di questi rifiuti, residui dei nostri cibi e dei consumi alimentari di natura animale e vegetale, finisce nelle discariche e sotto terreni adibiti a questi scopi (impermeabili e inerti ai processi di biomassificazione) non fa che peggiorare la quantità “parassitaria” di CO2 , l’anidride carbonica (principale causa, secondo una vasta parte della comunità scientifica, delle variazioni climatiche antropiche) presente nel nostro ambiente e attiva nel nostro ecosistema. E’ stata calcolata nel 7% la quantità di CO2 utilizzata nella fotosintesi da parte dei nostri boschi italiani: portare questa quantità a un livello di due cifre è una scommessa che vale la pena di tentare. Nelle città di media – grandi dimensioni esistono centinaia di ettari desertificati e resi sterili: il costo vivo di un processo di ripopolamento di alberi (scelti tra quella della nostra fascia mediterranea, e non utilizzando alberi di specie esotiche!), necessario agli inizi, in dieci anni potrebbe incidere sulla diminuzione delle spese reali di una comunità sempre più sensibile alle malattie di origine ambientale (la letteratura scientifica calcola nel 60 per cento la quantità di queste forme patologiche). In alcune parti della Regione Puglia sono state avviate pratiche simpaticamente chiamate “guerrilla garden”: sono individuate aree da rivitalizzare, poi con caparbietà vengono fatte le dovute azioni di ripristino del terreno per l’impianto di alberelli a larghe foglie o da frutto. L’Italia intera presenta anche numerosi “boschi poveri” che non aiutano il processo di sostenibilità ambientale: l’uso e la manutenzione di queste aree faciliterebbero i processi eco sistematici tra cui l’apporto di ossigeno diurno (tra le tecniche manutentive, ai fini di prevenzione, dovrebbe esserci la rimozione della legna staccata o la rimozione del tegumento malato). L’ossigenazione (cioè il calcolo di quantità di ossigeno riprodotto per unità di superficie in rapporto al consumo vitale dell’elemento) di una città cementificata dovrebbe essere una pratica direttamente collegata alle norme urbanistiche. Sono indispensabili delle norme coercitive, che salvaguarderebbero il patrimonio naturale dall’entropia antropica (o distruzione dell’ambiente da parte dell’uomo). Certo che il periodo in cui viviamo non conserte un esercizio scientifico della critica materialistica ai processi dissipativi dell’uomo: la compressione è tra un ecologismo irrazionalista e catastrofico e la potenza geometrica dell’industria inquinatrice e dei suoi lacchè. A questo proposito si leggono spesso che le principali compagnie CO2 FILE (gli amici dell’anidride carbonica) spandono e spendono: negli USA sono state avviate campagne informative per 500 milioni di dollari per attività di lobby, con lo scopo precipuo di diffondere l’idea che non esiste un problema di surriscaldamento e se il pianeta si scalda ci potrebbero essere dei benefici. E stiamo parlando di industrie che vanno dal comparto siderurgico, estrattivo, petrolifero, energetico, all’ auto, aereonautica fino ai nuovi materiali. La Camera del Commercio USA (tre milioni di aziende) ha raggiunto il capolavoro di propaganda: l’effetto Serra è un fenomeno positivo perché aiuterà il Settentrione mondiale ad avere più acqua, climi meno rigidi e temperature tropicali nei mari (quindi ad avere la Fabbrica e vicino i Tropici!) Comunque è l’industria dell’auto (un lusso) a far pesare il suo potente “sistema” con veti a ogni politica energetica di contenimento del CO2 . L’industria dell’auto, che ricordiamo il suo core business si fonda sul motore a scoppio, cioè su una tecnologia di due secoli fa!, sta spostando i suoi interessi verso il biocarburante e non sulla ricerca tecnologica per superare il gap tra innovazione e permanenze rispetto ad altre 43
tecnologie. Ma quest’aspetto potrebbe aver effetti ancora più devastanti sia sul piano sociale sia sul piano dell’organizzazione economica futura.
CINEMA: UN INCONTRO CON BERTOLUCCI di qualche anno fa … Tre argomenti interessanti sono emersi da questa conversazione col pubblico (tenutasi al cineclub “Fratelli Lumiere”): il cinema italiano degli anni sessanta, Roberto Rossellini e “Novecento”, il film capolavoro di Bernardo Bertolucci. Il maestro del cinema ha discusso lungamente del “senso” dei registi italiani che hanno popolato l’immaginario cinematografico italiano e non solo. Facendo un paragone con la poesia (d’altronde tema a lui familiare, essendo figlio del grande poeta Attilio) Bertolucci sostiene che il poeta al lavoro, inteso come uomo, e la sua solitudine, essenziale nel fare poesia, sono un esempio più puro per esprimere il fare cinema: agli inizi quindi vi è l’uomo e la sua solitudine che genera scrittura su quel foglio bianco, che poi diventerà una pagina del libro, anche del grande libro del cinema. C’erano tanti autori che hanno prodotto tanti drammi, commedie, racconti, in un periodo relativamente breve, gli anni sessanta, ma ora sono pezzi sconosciuti d’arte … e molti di loro sono morti e altri sono caduti nel dimenticatoio. Iniziò la sua esperienza cinematografica come aiuto regista di P.P. Pasolini quando stava girando il film L’Accattone. Racconta l’aneddoto che il produttore del film (un uomo celatosi sotto lo pseudonimo Fellritz) avvisò che il film doveva essere interrato e Pasolini aveva discusso animatamente con il produttore e questi gli aveva detto che “… era un grande poeta, ma non è tagliato per il cinema!”. Meno male che Pier Paolo non era il tipo che se la prendeva molto e aveva continuato a fare, a suo modo, il cinema, quello che aveva pensato e sviluppato. Di Roberto Rossellini c’è molto da dire, chiosa Bertolucci. Con lui inizia il cinema moderno mondiale, con il film Viaggio in Italia( 1953, con la sceneggiatura di Vitaliano Brancati). Parla di una sequenza di scena girata che vale per tutte le parole possibili. E ciò nonostante sia stata interpretata retoricamente da una certa critica mistificante e bollata di simbolismo ( il nostro odia il simbolismo, quando è un’esercitazione retorico-stilistica). Nella scena si vedono i due protagonisti, Ingrid Bergman e George Sanders, che corrono a Pompei perché era stata scoperta una zona inondata dalla lava e piena di cadaveri pietrificati, tra cui due amanti abbracciati stretti c e neanche la lava era riusciti a separarli! Un esempio di poesia visiva di struggente bellezza e d’afflato universale. Lo pseudonimo Fellritz con cui si celava l’autore della stoccata su Pasolini era Federico Fellini! Le domande incalzano, può il nostro autore iniziare a rispondere alle tante curiosità in mente al pubblico presente in sala. Parlare del film Novecento, uno dei massimi capolavori del cinema italiano, è un’impresa facile per via delle miriadi di storie racchiuse in quell’esperienza. Girato interamente tra Parma e Modena, il film è stato prodotto con i capitali delle principali Case Cinematografiche americane. Bertolucci voleva un attore americano che interpretasse il ruolo del capitalista feudatario e un attore russo col compito di dar vita a OLMO, il protagonista al centro di quel micro mondo fatto di soprusi e violenze, passioni e ideologie. Ma i russi volevano leggere prima il copione, e influire su alcune scelte del regista italiano nel dirigere un attore russo! Era il 1975 è il concetto di libertà nei paesi sovietici era “unidirezionale”. Avevamo pensato di far interpretare all’americano Olmo e al russo il padrone! Lo scopo del film era quello di far tendere una mano fra URSS e USA, sotto una bandiera comune che forse era insita nel cambiamento epocale dovuto al progredire delle conoscenze umane sulla natura o anche perché no? Sotto la bandiera della cultura … 44
Per chi il cinema rappresenta ancora qualcosa di profondo, non mera visione o intrattenimento, il regista de Ultimo tango a Parigi imbastisce un discorso centrato sul contatto visivo e acustico con un’ opera, ma anche del sodalizio fra un gruppo di persone che hanno scelto di avere, pur nella loro diversità, un’emozione che può generarsi solo al buio di una sala cinematografica … Esiste anche un cimitero, un luogo di passaggio che sancisce la fine oscena di un film: la televisione. La memoria emarginata si trasforma in materia per la tv, dove la perdita della grandezza dello schermo è direttamente proporzionale alla perdita dei contenuti di ricchezza di uno schermo inteso come luogo di appercezione creativa … la tv non è creativa perché non ha dettagli ma solo uno schema fisso di una proiezione-per-interesse. Non è possibile riprodurre le micropercezioni che si possono sentire nella sala (si tratta qui di alcune personali digressioni su spunti del discorso di Bertolucci…) Il film Novecento è stato registrato in 11 mesi, un tempo lunghissimo in cui l’amore per le campagne emiliane e per il cibo aveva generato una sensazione di benessere. La troupe, gli attori e altri erano convinti di rimanere per sempre in quei luoghi, in quei posti freschi e così vivi, naturali, pieni di bella gente semplice e tanto interessante sotto l’aspetto della loro cultura fatta di memoria e tradizione. Poi un giorno Bertolucci si accorse che si doveva registrare l’ultima scena delle 5 ore e venti minuti del film… Il Film, pagato dai produttori americani, non è stato distribuito negli Stati Uniti e nell’URSS perché censurato e con troppe bandiere rosse : non piaceva agli americani e neppure ai russi per ovvie ragioni di contenuto anti-istituzionale Ora (1991) il film, riscoperto, sta riscuotendo un grosso successo di pubblico e critica sia statunitense che russo.
Presentazione di ALTAI, il libro dei WUMING a Cosenza A Cosenza c’è stata una conferenza, presso il Chiostro di S. Chiara, dei due membri del gruppo autoriale WUMING : l’ho seguita dagli stralci presenti nel web. Ho conosciuto molti anni or sono i fondatori dell’ LBP (Luther Blisset project) diventati poi, appunto i senza nomi della letteratura italiana più aperta alle influenze degli scrittori statunitensi (Roberto è stato un eccellente traduttore di Elmore Leonard: “la lingua non vive nei salotti, non è un cane da grembo, è un cane randagio e rognoso, è quel cane venuto dall’inferno dal quale Robert Johnson diceva di essere seguito”). L’occasione era la presentazione del romanzo ALTAI, che come sostengono i nostri “non è la continuazione di Q”. Appartengono ambedue i romanzi allo stesso ambito spazio-temporale, con Altai leggermente spostato verso la linea meridiana e cronologicamente inserito nella cornice del grande conflitto Oriente-Occidente culminato nella battaglia di Lepanto (1572). Le critiche rivolte a Q sembrano riproporsi, pedissequamente, per Altai, e gli autori auspicano così di ripetere il clamoroso successo del 1999 (anno di pubblicazione di “Q”). Avendo apprezzato “Q” confidiamo in quest’auspicio.
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LIBRI I 56.785 LIBRI DEL PROF. UMBERTO ECO Il prof. Eco, docente universitario e scrittore, possiede una biblioteca straordinaria. Possiede naturalmente “il più bel libro mai stampato: l’Hypnerotomachia Poliphili”, di Alessandro Colonna di cui non si sa se sia stato illustrato da Botticelli o da Mantegna. Ama i libri antichi e, per sentirli più suoi, ogni tanto trascrive a margine qualche sua nota: è un bibliofilo non un bibliomane, ci tiene a precisare. Tra le altre preziose pagine citiamo il possesso della prima copia del Cyrano di Bergerac di Rostand (1897); la prima edizione del Pinocchio di Collodi, illustrato da Mussino; l’editio 1827 de “I Promessi Sposi”; la Cattedrale di Huysmans (con la dedica dell’autore stesso). A Milano, dove è allocata la gran parte della sua biblioteca, il nostro semiologo riesce a ricordare quasi tutti i suoi libri, la loro collocazione e la loro storia del possesso, quasi sempre con un aneddoto; ma i libri devono essere sempre visibili fisicamente, mai far doppie o triple file, devono passare sotto l’occhio e poi esser censiti: questo deve rimanere qui … quest’ altro può andare in campagna (in un’altra casa !)… mai superare i trentamila volumi… << Ma prof. li hai letti tutti? >> Ecco una domanda sciocca! I libri vanno separati secondo i “campi” (per carità i generi non esistono, e posso non essere d’accordo col maestro?): Michel Serres che “campo” di scrittore è? La divisione tematica precede quella cronologica e quest’ultima precede quella alfabetica! Bisogna, secondo l’autore de “Il nome della rosa”, poter navigare a memoria, riuscire a trovare le rotte per il porto e anche perdersi e lasciarsi portare a largo … (quest’uso di metafore nautiche è forse dovuto al fatto che il prof. sta scrivendo L’isola del giorno prima… oggi, invece, è più interessato agli elenchi). << Ho una tendenza molto pericolosa a tenere tutti i libri aperti contemporaneamente sulla scrivania! Non appena scrivo tre righe sul tale argomento, mi alzo e vado a cercare un altro libro e poi un altro ancora. E’ una tendenza dispersiva ma a volte produttiva, perché è l’unico modo di leggere certi libri che non avevi letto >>. Ma piu che i libri, a volte, il gioco avviene tra i libri e la memoria, la nostra memoria dei libri, ma anche una circumnavigazione tra libri e ricordi può, a volte far nascere un romanzo. Ma ritornando alla biblioteca del nostro autore, essa viene definita in questi termini: semiologica, curiosa, magica e pneumatica. Mi sforzo ma non riesco a capire perché pneumatica! Ci sono libri che non si possono possedere, è viene citato il Book of Kells (noi possiamo pensare al Codex Purpureus) tanto amato da Joyce: ecco che sono stati inventati i fac- simili che, natuliter, Eco possiede! Altri libri: De civitate dei (1490), il Malleus malleficarum di Sprenger (1492), la Monstrorum histroria di Aldrovandi (1672); orgoglioso di possedere l’opera con i famosi 13 mostri della Cronaca di Norimberga e… la tesi-racconto di Lawrence d’Arabia (ma si! Proprio lui l’avventuriero!) Crusader Castle e il Libro delle Meraviglie di Marco Polo … possiamo dire è tutto una meraviglia di Libri (per chi ama questi oggetti). 46
<< Il pensiero ebraico, la cabala, l’occultismo, lì su tutta la parete; il materiale critico sui libri antichi… poi l’ermetismo rinascimentale, il seicento, i Rosa croce, l’alchimia, il diavolismo… li continua con le società segrete la massoneria, i neofascismi; nell’altra stanza l’antropologia, la psicanalisi, la filosofia, qui la letteratura… >> . Naturalmente tanto per smentire il narcisismo di chi scrive, tutta le sue opere di saggistica, letteratura, tesi, e gli studi sul professore dell’alma mater studiorum, sono alle spalle della sua scrivania, a portata di occhi e mani… con ironia ricorda una edizione pirata in arabo de il nome delle rosa intitolato sesso in convento! Ma udite udite il prof. possiede intere annate di Playboy e di Pentahouse, ma anche una significativa raccolta di fumetti, riviste, gialli e fantascienza … sembra che manca solo la cosiddetta letteratura rosa. Si continua: pareti di libri francesi (tutto Gerard de Nerval, grande poeta; i cicli carolingi;il cinquecento, il barocco, abbastanza poco XVII° secolo (credo che qui c’è un refuso: piuttosto XVIII° secolo), molto XIX° secolo (Lesage, Verne, Sue); poi decadenti parnassiani simbolisti etc. E pareti di tedeschi, spagnoli, inglesi… Altri titoli sono affascinanti e dubito che sono letture attuali:La morte di Venezia di Maurice Barres, Roman d’un spahi di Pierre Loti, Lo specchio del cielo natale di Rodenbach, La femme et le pantin di P. Louys ( si vede che la nostra fonte giornalistica è versato nel francese). Sulla filosofia c’è l’altra parete: più Aristolele che Platone, più Kant che Hegel; marxismo italiano, Scolastica e moderni (Nietzsche, Heidegger). Il suo interesse principale, la semiotica, occupa un vasto spazio suddiviso in ambienti specifici (formalisti russi, Pierce, teoria dell’argomentazione etc.). Chiudiamo con queste affermazioni del maestro:<< Ci possono essere libri molto brutti e stupidi, che hanno valore perché li hai sottolineati e hai imparato qualcosa… comunque un libro è sempre bello, pensato per essere tenuto in mano, per cadere sulle ginocchia quando ti addormenti, per essere letto su un divano, in treno, in barca, dove non c’è nessuna presa elettrica, che si ricorda per la fatica delle sue pagine, per il numero di volt che lo abbiamo sfogliato, o al contrario rimando sempre rigido ci ricorda che non lo abbiamo mai aperto ed è un universo che si nasconde alla nostra mente… >>
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FiloSOFIA Jean Grenier
Di Jean Granier continueremo a tracciare per secoli la rotta come un ancient mariners (il suo pensiero è, ancora, un divenire), mentre perderemo le tracce a causa di un equivoco mai superato: parlare di geografia è un preludio alla filosofia dell’avvenire? E l’equivoco stava nell’inaccettabilità per quegli anni di una geofilosofia (cosa ora, dopo l’opera di Gilles Deleuze, possibile). La muta contemplazione di un paesaggio basta a chiudere la bocca al desiderio. Al vuoto si sostituisce immediatamente il pieno (Les Isles, p.29). Ed era a Napoli nella dimora di Villa Floriana che trascrisse di sentire … un senso di presenza reale e totale, some se tutte le fessure dell’essere fossero tappate (idibem, p.30)
Un filosofo per un secolo. Andrea Emo, il Novecento e il Nulla
Per una filosofia che sembra essere appannaggio dei suoi professionisti, degli accademici che, prezzolati dallo Stato, non fanno altro che pubblicare vuote silloge di lavori altrui (con poche e rimarchevoli eccezioni) e per i pochi intimi colleghi e alunni, una rottura, una discontinuità è rappresentata dalla vita e dall’esperienza intellettuale di Andrea Emo, filosofo vero in questo periodo al centro di una rinascita 48
necessaria e che possiamo sperare di lunga e intensa manifestazione. Nato nel 1901 presso Padova, Emo è stato allievo di Giovanni Gentile (un filosofo, quest’ultimo, che ha seminato molto più di quanto abbia potuto raccogliere), non completando gli studi e svolgendo, aristocraticamente, un’attività di scrittore occasionale ; il filosofo patavino non ha pubblicato nulla in vita (o forse, ancora non si conoscono fonti: sono, infatti, molti gli autori che negli anni trenta e quaranta scrissero e pubblicarono con pseudonomi in riviste di poca visibilità), ha sempre lavorato con acribia ad alcuni quaderni (qualche centinaio) dove ha intrapreso, secondo una modalità di trascrizioni di note a margine di letture e digressioni sui più importanti lavori filosofici del XX secolo (testi di Husserl, Maritain, Heidegger, Jaspers, Sartre, Barth: ma anche gli italiani Julius Evola, Guido Calogero e Benedetto Croce). E’ morto a Roma nel 1983. Secondo il suo più importante studioso, Massimo Donà, Emo è stato il filosofo capace di guardare a “fondo“ il Nichilismo ; del secolo trascorso. Emo ha vissuto una vita all’insegna della solitudo intellectualis, coltivando una indifferenza scettica per i grandi rivolgimenti storici, ma legandosi a persone la cui influenza sul pensiero intellettuale italiano non è stato ancora approfondita: Cristina Campo, Elemire Zolla, Ugo Spirito e Alberto Savinio. Per Emo fonti inesauribili di continui rivolgimenti del pensiero speculativo e metafisico sono stati i classici Platone, Hegel e Giordano Bruno; i moderni, nelle sue riflessioni, hanno rappresentato invece una sorta di dialogo teatrale a distanza, ove sul proscenio recitano figure eloquenti come Heidegger, Wittgenstein e Nietzsche. Il tema della riflessione emiana è la Verità e la natura “insensata” del pensare, con chiare evidenze di quei movimenti del pensare che portano a un punto fermo, al nihil, con tutta la descrittività della trama complessa che ha come origine e cominciamento la potenza del pensiero e come finalità e collasso la natura faticosa del concetto, che porta a vedere l’assurdo dietro ogni mirabile costruzione dell’intelletto umano. Il pensiero di Emo, ripeto, non ancora pubblicato interamente, sta coinvolgendo numerosi intellettuali italiani: basti citare Vincenzo Vitiello, Rovatti, Cacciari, Sini, Giorello,Severino, Givone, l’outsider Enrico Ghezzi, Romano Gasparotti (curatore, assieme a Donà, dei ”Quaderni di Metafisica”, prima pubblicazione ufficiale di un’ opera di Emo). E’ proprio da quest’ opera, dal quaderno dedicato a specifici accostamenti con ”le metafisiche”, che emerge un aspetto interessante della riflessione di Emo: un rovesciamento dell’attualismo gentiliano, un’operazione di marca squisitamente hegeliana (naturalmente, sono queste opinioni personali ancora da approfondire). Pur con la semplificazione dovuta essenzialmente l’idea è che la filosofia dell’Atto si manifesta sempre e direttamente come positività, mentre la tesi di Emo è che quest’atto abbia una conseguente sua vera 49
natura nel Nulla, un nulla che non riesce completamente a essere ciò che non-è (vi è uno scarto tra i due che apre una profonda rottura metafisica) ; prevale quindi il momento negativo: la conoscenza è così piena di contraddizione, paradossi, aporie che si ridisegna come inconoscibilità ( in altri termini, “tutto è Atto, ma tutto è atto del nulla”). Sono chiaramente avvertibili le conseguenze immediate di queste riflessioni sulle speculazioni metafisiche e teologiche. Il “problema della fede” assume un connotato specifico filosofico: ogni “vera” filosofia è immediatamente “fede” . Tutta la speculazione di Andrea Emo si apre così a un primato della Filosofia su tutta la conoscenza e la non-conoscenza. Bibliografia filosofica minima Andrea Emo, Quaderni di metafisica, a cura di Donà-Gasparotti, Bompiani, Milano (2006) Andrea Emo, Aforismi per vivere, Mimesis, Milano (2010) Andrea Emo, Il monoteismo Democratico, Religione Politica e Filosofia (Q.1953), B. Mondadori , Milano (2003)
LUKACS VS HEIDEGGER. UNA CONFERENZA DEL PROF. TERTULIAN
CONFERENZA DEL PROF. TERTULIAN “Alienazione in Heidegger e Lukacs” (Università di Bologna, 1993) Per il docente di filosofia presso l”École des Hautes Études en Sciences Sociales” esistono delle affinità e delle repulsioni fra Heidegger e Lukacs. I temi della reificazione e del feticismo della merce hanno, come risaputo, una forte connotazione filosofica ed idealistica in Marx; ma il tema dell’alienazione attraversa anche l’opera di Heidegger. Tra i filosofi citati in questa conferenza bisogna ricordare G. Simmel, che può essere considerato colui che cercò di << fornire una sottobase (metafisica) al materialismo storico >> . Fu lo stesso Heidegger (1946) a definire Marx pensatore dell’alienazione. Lukacs (nel 1960) leggeva “Essere e Tempo” come un libro polemico nei confronti di alcuni aspetti del pensiero di Marx; lo stesso criterio era applicato al suo lavoro “Storia e coscienza di classe”. Per il filosofo rumeno, in realtà, sulla lunga prospettiva storico-culturale il pensiero di Heidegger e di Marx avrebbero coinciso. Mentre la fenomenologia era orientata verso un’antropologia filosofica, la filosofia dell’Essere aveva una direzione eminentemente politica o transpolitica . Lukacs nel 1923 aveva pubblicato il suo “Storia e coscienza di classe”: la prospettiva era di capire la reificazione e la coscienza di classe nell’ambito del rapporto praxis/coscienza. 50
Heidegger descrive un concetto di alienazione fin dal 1919: le origine sono kierkergaardiane, una “teologia dell’alienazione” nel senso strettamente letterale del termine, di una visione teologica dell’alienazione. Il soggetto che si disperde verso il mondo, perde l’unicità dell’essere. Il concetto dell’inquietudine si esplica nell’inautenticità dovuta al rapporto fra desein (Esser-ci) e welt (Mondo). Ciò che emerge è il rifiuto di una teleologia progressista dell’agire storico umano ( del progressismo): la fatalità dell’alienazione è ineliminabile. Nella rappresentazione del soggetto e nella rappresentazione del mondo si sono scontrate le visione più significative; l’ontologia greco-classica esprimeva una concezione riflessiva speculativa: l’essere si conosce per riflesso della conoscenza del mondo (da Aristotele a Hegel). La distinzione fra “sé” ed “io” (con quest’ultimo sempre “inautentico”) pone il limite del conoscere. L’atto conoscitivo è un atto deficiente (Heidegger). L’autenticità è inesistente. Ogni atto è, per sua natura, inautentico. Solo l’isolamento e la discrezione sono importanti per una forma di auto-conoscenza. I rapporti utilitari come unici rapporti umani sociali (diventando così gli uomini elementi livellanti ed interscambiabili). Il processo è oggettivazione pro alienazione. L’esistenza quotidiana come caduta nella nullità. Si vengono a contrapporre così un tempo “volgare” e un tempo “autentico”, con il primo concepito come un’invenzione classica (fino a Hegel). Lukacs descrive il rifiuto meta-sociale dell’alienazione, impostando così una Fenomenologia dell’alienazione, distinguendo un genere umano “in sé” da un genere umano “per sé” (autentico). L’idea lukacsiana è quella di concepire una contraddizione interiore fra l’autonomia individuale e l’utilizzazione finale nella/della produzione. La quotidianità diviene così un campo di battaglia fra autenticità e inautenticità, tra soggetto reificato e reificazione alienante. Qui vengono posti gli esempi storici di questi processi di soggettività incatenata lo Stato Prussiano e lo Stato Sovietico, espressioni di quello spossessamento dell’essere in devozione dello Stato.
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CROSIA NEL WEB. VIAGGIO VERIDICO NELLA GRANDE RETE
Con circa 29.500 pagine-web, il tag “Mirto Crosia” appartiene alla classe medio-bassa del grado di e_utenza (ovvero il rapporto tra numero di abitanti di una comunità e il numero virtuale di “navigatori censibili” e attivi, ndr). Comunque, spesso, si naviga in Rete senza produrre niente, solo per svago e per ricercare qualche notizia o chattare con qualcuno (non so se esiste un verbo per indicare chi utilizza, invece, facebook). Comunque quasi trentamila pagine sono tante lo stesso. La maggior parte dei siti utilizza la rete per semplici annunci, richieste di natura economiche e vendite (in modo speciale gli affitti per l’estate e i servizi offerti in vacanza). Spesso le pagine censite non fanno altro che ripetere, con quel curioso fenomeno tipico del web noto come ping-pong, notizie di altre fonti (moltiplicando così a dismisura le webpages). Lo scopo di questo breve post è invece curiosare tra le pieghe di questi ipertesti, in modo da tentare un piccolo ma efficace bilancio analitico di quel che si produce tra gli appassionati e non solo. Divideremo queste brevi escursioni in quattro categorie: curiosità, politica, cultura, istituzioni e Creatività. CURIOSITA’ Sicuramente il paese di Crosia è associato a quei fenomeni ancora inspiegabili avvenuti nei pressi della chiesetta dirupata (ora, vero miracolo!, ristrutturata e diventata un “centro di pellegrinaggio mariano”): movimenti vorticosi di corpi celesti, fenomeni geologici prodigiosi, oggetti non identificati etc. Proprio di quest’ultimo tag vorremmo spendere due parole su un sito che titola “LA CANTONATA DI CROSIA”: alcune imprecisioni (ma comprensibili, ad esempio i 300 km tra Chiesa e abitato di Crosia!) non tolgono nulla alle tesi espresse, cioè che i fenomeni celesti verificatesi il 2 giugno 1987 alle ore 22.10 (con le relativa testimonianze, tra cui quella di Maria Rosaria Omaggio! - ex musa e pin up ora attenta divulgatrice di fenomeni occulti ) sono tutte … delle bufale o cantonate! Mentre per gli ufologi de’ “Il Giornale dei Misteri” era un ufo (per i credenti e i preti presenti questa è una bestemmia, lo stesso dicasi per gli scettici). Per il gruppo scientifico del Cicap era semplicemente un effetto di defocalizzazione ottica dello strumento (videocamera). Lo scontro fra scettici, come il gruppo di controllo CICAP e il CUN (Centro Ufologico Nazionale) ha avuto strascichi che sono continuati per anni .. e Crosia è stata il metro di misura della verità o falsità dei fenomeni suddetti. Proprio sul sito del CICAP è presente un interessante articolo ( … Ufo di Crosia.mht) su questi fenomeni. In un sito community di Libero, con chiari richiami di turismo religioso così viene descritto il paese:Le Apparizioni di Crosia . Crosia, sconosciuto paesello dell’alto jonio cosentino, sta vivendo, forse, il periodo più profondo del suo lento, inesorabile declino quando, improvvisamente, accade qualcosa che
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inciderà profondamente sui propri destini: una vecchia statua in gesso, raffigurante una bellissima Pietà, inizia a versare lacrime. CULTURA Deliri, non possiamo definirli diversamente da tali le narrazioni intorno alla Storia del paese di Crosia. Si va dai profughi compagni di Enea (Storia?), a Creusa (moglie del Troiano) fino alle definizione di “Castello Feudale” un maniero ricostruito nel XVII° secolo. Per non parlare del latinorum (“ Cresis fecit nomen meum”) !. La stessa successione dei feudati che s’erano impossessati di questo territorio è poco conosciuta: e da qui le illazioni e le imprecisioni sono continuate, nonostante le apprezzabili iniziative di un erudito locale Luigi Voltarelli, che ha ricostruito e colmato alcune lacune. Apprezzabile nella sua semplicità, la pagine web “Kruseon”del circolo didattico “Crosia-Mirto”, che contiene alcune frasi sulla tradizione e sulla cultura locale. Su un altro sito abbiamo notizie curiose sui due cognomi più diffusi a Crosia (Forciniti e Madeo) ISTITUZIONI E SERVIZI Ad esempio possiamo trovare, in vari blog, un riferimento alla spiaggia di Mirto la marina di Crosia come quella scelta, insieme ad altre località, come quella che è stata selezionata da un’associazione di pediatri come “spiaggia a misura di bambino” CREATIVITA’ Tra i siti più attivi bisogna menzionare CROSIA TERRA DEI CACHI, un blog e pagina Facebook con interessi vari, ma fortemente caratterizzati da una verve sferzante e da una critica politico-sociale al sistema politico e alla mentalità degli abitanti e della classe dirigente. Attivo dal dicembre 2009 l’Amministratore è Michele D.V. Il sito ha ben oltrepassato le settemila visite e gode di ottima salute. Sicuramente l’ala creativa è rappresentata dal Bestiario, mentre segnalo la presenza, sempre fortemente identitaria, dell’ex segretario di Rifondazione Comunista. Il più visto video postato in rete è stato, fino a ora, “MIRTO CROSIA IS BURNING” (… sta bruciando). E’ un video clone, copiato da un originale e postato come videoclip veicolante musica minimal -house. Una voice modificata annuncia la vita a mirto, tra consumi di hashish e sbronze, quasi a ironizzare pesantemente con la vita reale priva di senso in questo piccolo e tipico paesino del sud. Sempre su Facebook è presente un group di matrice direttamente politica: si chiama “Circolo Nuova Italia. Massimo Russo”, è aderente ai circoli politici del PDL che fanno riferimento al sindaco di Roma Alemanno (infatti sono presenti numerosi post dedicati o su Alemanno) e non si risparmia qualche intervento diretto nella politica locale. Altri siti d’ infomazione generale che contengono notizie su Mirto-Crosia ricordiamo Ionionotizie.it e Sibarinet/Crosia.
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L’E-BOOK ( il libro elettronico) La questione del DIGITAL DIVIDE, in altre parole della differente ricezione della rivoluzione informatica in atto nei territori storicamente indietro rispetto ad altri, rende poco percepibili quel che avviene in piccole realtà, come la nostra Calabria. Tra gli avvenimenti da segnalare è sicuramente la breve storia del sito ebook.it che si sta proponendo tra i principali protagonisti della presente evoluzione della tecnologia nel mondo editoriale (libri digitali, biblioteche virtuali, mercato editoriale on demand). Con sede a Lametia Terme la ebook.it , tecnicamente una software house nel campo dell’ editoria digitale, diretta da Raffaele Barbiero, l’azienda calabrese si è inserita nella grande scommessa globale del libro digitale ( ed interattivo), che dovrebbe essere il futuro immediato dell’editoria. In un’intervista del 20 c.m. al Corriere della Sera (di Concetta Schiariti) viene esplicitata la mission dell’azienda. La diffusione degli e-reader ( i software di lettura) nelle giovani generazioni dovrebbe facilitare la fruizione di queste nuove tecnologie, ma non si tratta di una “traslazione dal cartaceo”, ma di una novità nel modo di leggere ( e naturalmente di scrivere). I vantaggi possono essere immediati per quel che riguarda la trasmissione della conoscenza: si possono pensare che l’ambiente della lettura non sia solo orizzontale e bidimensionale come nel semplice libro cartaceo, ma verticale e tridimensionale, con la possibilità di linkare un termine non conosciuto dal lettore-persona, o rimandare a una specifica interazione con immagini nel caso di “spiegazioni per parole e immagini”. In realtà l’uso degli ereader può anche incoraggiare la lettura (previa un allenamento allo strumento classico, scolastico, della lettura come “forma mentis”). Siamo quindi lontani, secondo il responsabile di ebook.it, dal pensare che il libro elettronico sia un “parente povero” del supporto cartaceo magari quest’ultimo in veste lussuosa.
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SCRITTORI
Archeologia industriale a Rossano. Edificio-fabbrica Negli anni cinquanta lo scrittore veronese Guido Piovene, nato nel 1907, compie un viaggio su e giù per lo stivale. Era il 1957 quando quest’esperienza divenne il famoso “Viaggio in Italia”. Riproponiamo in questo post la breve parte in cui l’autore de “Le Furie” (1963) e de “Le stelle fredde” (1970) descrive il nostro territorio (e Rossano in primis). L’Italia che Guido Piovene visitò e descrisse è quella degli anni della ricostruzione e del boom economico e che dovrebbe apparire, a uno sguardo contemporaneo, antica e lontana. Non è così, perché il nostro autore come un antropologo fa emergere il carattere nazionale, immutabile e resistente alle lusinghe della modernità e ai rovesci della storia. Una vecchia famiglia di proprietari illuminati, i Toscano, segnò la via della bonifica nella piana di Sibari; è bene dirlo nelle cronache di questa parte dell’Italia, dove non sempre i grandi proprietari hanno la parte più simpatica. La piana di Sibari è ora uno dei centri calabresi della Riforma agraria, che si sovrappone ai ricordi, ridotti ad ombre, della Magna Grecia; e che continua sulla costa verso Crotone. La popolazione povera odiava gli alberi come ladri di terra. E’ la tipica zona del latifondo e di braccianti, senza una casa o un albero, prima che iniziassero gli attuali lavori di trasformazione. Si vedono in questi tratti centri operosi e folti come Corigliano o di illustre tradizioni come Rossano Calabro: dove sorge sopra una rupe, una chiesetta bizantina, con cinque cupolette, tre minuscole absidi e un avanzo di affresco. Rossano inoltre conserva quel codice purpureo che, con la Croce di Cosenza, è il più prezioso oggetto d’arte della Calabria: un evangelario greco dalle pagine rosse scritte con lettere d’argento ed ornate di miniature (Guido Piovene, Viaggio in Italia, p.676).
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UOMINI E IDEE DEL RISORGIMENTO NELLA SIBARITIDE (1848-1861)
TRA I PATRIOTI (1848 e dintorni) Nella celebre “Storia di Rossano” di Alfredo Gradilone tra i patrioti risorgimentali è ricordata la figura del combattente Saverio de Vincenti da Cropalati (cs), che fu a capo del locale moto rivoluzionario del 1848. La storia, purtroppo, non ha trasmesso molte informazioni (anche se possono trovarsi custoditi in qualche archivio) su questo militante della causa unitaria e antiborbonica. Lo stesso dicasi per Domenico Madeo da Longobucco (cs). Tra i più importanti patrioti va ricordato Domenico Mauro di S. Demetrio Corone (1812-1873). Liberale mazziniano fu animatore dei principali moti insurrezionali del risorgimento calabrese. Arrestato nel ’37 (moti di Cosenza) e nel ’44 ( fucilazione dei fratelli Bandiera), Mauro , il più ribelle fra tutti secondo la definizione del Gradilone, fu instancabilmente dedito alla causa della liberazione nazionale. Nel 1848 fu eletto deputato a Napoli e partecipò alla difesa della Repubblica Romana 1849. Condannato a morte riuscì a fuggire e fu tra i volontari dei Mille di Garibaldi (1860). Con la proclamazione dello Stato Italiano fu letto deputato per due legislature, per poi ritirarsi, deluso dalla vita politica. Un altro patriota da ricordare è stato Peppino Leo di Paludi (Cs), esponente del partito mazziniano in contatto con i principali patrioti calabresi e delle altre regioni. A Rossano (come a Castrovillari, a Cosenza, a Corigliano, a Longobucco, Paludi, a Campana e a Bocchigliero) esisteva un Comitato di agitazione, che durante il 1848, fu attivo in ogni luogo nell’organizzare la rivoluzione. Grandi figure emersero, come nel caso di Mauro, dai paesi arbereshe della piana di Sibari: ricordiamo tra gli altri il grande poeta e linguista Girolamo De Rada, Michelangelo Chiodi, Antonio Marchianò e Domenico Mazziotti. Importantissimi patrioti furono alcuni membri delle famiglie di Rossano dei Palopoli e Toscano. Figura di grande prestigio fu Antonio Morici da Rossano, che con Vincenzo Greco , Vincenzo Pettinati e Domenico Palopoli rappresentavano l’ala più intransigente dei rivoltosi. Ancora, tra gli antiborbonici vanno ricordati: Domenico Falco (Rossano), Antonio Chiarello (Mandatoriccio), Nicola Ausilio (Campana). Lo scontro e la disfatta (battaglia di Campotenese, giugno 1848) Con l’arrivo dei militari borbonici e la sconfitta sul campo militare degli insorti si determinò una situazione insostenibile per i patrioti: molti fuggirono o finirono nelle carceri borboniche (Vincenzo Pettinati da Rossano morì in carcere a Cosenza, ucciso per vendetta dopo un tentativo di insurrezione repubblicana nella città bruzia). Domenico Falco da Rossano, proseguì, da primula rossa imprendibile, la lotta armata antiborbonica (“brigante” secondo le autorità borboniche), ma dovette abbandonare le montagne di Rossano e rifugiarsi a Crotone. Dopo la sconfitta del ’48 “nuovi patrioti” e veterani affollarono le carceri borboniche. Tra questi patrioti ricordiamo il già citato Leonardo Chiarelli (da Mandatoriccio), Pasquale Venneri (da Cariati), Lauteri (Campana), Pugliese (Bocchigliero); rossanesi, che erano definiti “attendibili” nei processi penali, furono i patrioti Giuseppe Amantea, Pietro Rapani, Antonio Berlingieri, Vincenzo Greco, Antonio Pignatelli e Domenico Amarelli. Il Palopoli fu in esilio a Parigi fino al 1860. Morici fu operaio a Londra fino al 1850, fa ritorno in Italia e partecipa a numerose cospirazioni antiborboniche, per poi arruolarsi come volontario con le camice rosse di Garibaldi in avanzata fase d’insurrezione. Nel 1857 ci fu la spedizione guidata da Carlo Pisacane, ultima sconfitta del movimento risorgimentale, e 56
tra i protagonisti vi furono due rossanesi Gaetano Tocci e Raffaele Cortese, trucidati nella battaglia di Padula. UNO DEI MILLE: LUIGI MINNICELLI DA ROSSANO CALABRO Luigi Minnicelli nasce a Rossano nel 1827 da Gennaro Minnicelli e da Maria Pirillo. Operaio come il padre, era alle dipendenze dei Toscano, famiglia di grandi proprietari i cui figli furono protagonisti della Calabria risorgimentale. A Rossano il giovane Luigi partecipò ai moti del 1848 . Infatti lui, poco più che ventenne, partecipa alle riunioni di quella che era sicuramente una loggia massonica, una “specie di Circolo” ricordata in un discorso del 1912 dal senatore Francesco Ioele. Ed è lo stesso senatore, riferendosi alla fucilazione dei fratelli Bandiera, avvenuta nel Vallone di Rovito il 24 luglio 1844, che individua in quel triste evento lo slancio patriottico che accese l’animo del giovane Saverio Toscano: il quale, nel 1847, partì per Napoli dove fondò, insieme ad altri, il Comitato Rivoluzionario delle Calabrie e della Sicilia. Ne facevano parte, per la Calabria, Domenico Mauro, e per la Sicilia Francesco Crispi (futuro capo del Governo italiano).In Calabria, le riunioni si tenevano ad Acri in casa di Francesco Sprovieri dove, partecipavano Luigi Minnicelli e gli altri vicini ai Toscano. Quel Comitato Rivoluzionario avrebbe dovuto promuovere la rivolta prima a Messina, poi a Reggio ed a Rossano, poi ancora ad Acri ed a Cosenza e via, via nel resto del Regno. Nel 1848 Ferdinando di Borbone, per effetto delle spinte rivoluzionarie, promulgava la Costituzione liberale, per poi subito ritirarla appena avuto gli appoggi necessari per la repressione del moto.Il movimento unitario repubblicano, a Rossano, continuava ad avere nei fratelli Toscano, nel Morici, nel Palopoli, nel reverendo Bernardino Converso e nel Minnicelli, con altri, dei costanti punti di riferimento. Il ritiro di quella Costituzione e i fatti locali di Campotenese, dove avvenne lo scontro dei patrioti con le armate borboniche del generale Lanza, significò per Luigi Minnicelli e tutti gli altri rivoluzionari, prendere la via della fuga e dell’esilio. Da Napoli a bordo di un mercantile francese, Luigi peregrinerà, prima a Marsiglia, poi in Corsica, a Bastia, poi in Toscana. La diaspora dei rossanesi Toscano, Morici, Palopoli e Minnicelli era destinata a prolungarsi anche se mantennero, tra di loro, di certo, dei contatti. Nel 1860 il patriota Malenchini avvertì i Toscano dell’avvio della spedizione dei Mille ma essi non poterono essere della partita pur foraggiando l’impresa con mezzi ed uomini. In tale contesto, non è escluso che proprio il Minnicelli fungesse da ufficiale di collegamento tra i Toscano a Firenze ed il quartiere generale garibaldino a Genova. Morici, invece, era in Inghilterra e seppe in ritardo della partenza della spedizione da Quarto. Raggiunse Garibaldi in Sicilia dove si distinse subito in numerose battaglie, guadagnandosi il grado di Generale. Palopoli, l’amico fedele dei Toscano, dal canto suo, apprese dell’allestimento della spedizione garibaldina quando era a Parigi. Non fece in tempo ad arruolarsi e raggiunse Rossano dove, secondo il racconto del senatore Ioele e dello stesso Gradilone, fu nominato Sotto Governatore della Città. Allo stesso Palopoli, poi, è attribuita, in quella circostanza, l’istituzione (è ancora il Ioele che parla) … della nostra benemerita Società Operaia, tra le più antiche del Mezzogiorno In definitiva, del quintetto storico risorgimentale immortalato nella famosa lapide, fu il solo Minnicelli a partire da Quarto con il Generale ma tutti e cinque dettero un contributo enorme alla riuscita dell’epopea garibaldina, cui si uniranno, strada facendo, altri rossanesi tra i quali, lo ricordiamo, Antonio Berlingieri che assurse al grado di Maggiore. A Calatafimi, Luigi Minnicelli, si distingue al punto che, dopo la battaglia, ottiene gli elogi di Garibaldi e la promozione sul campo da sergente, a sotto tenente. Partecipa alla presa di Palermo dove impegna tutto il suo coraggio e l’ardimento. A guerra finita prese parte alla repressione del brigantaggio postunitario. Si spense nel 1903. Fonti: sito della Biblioteca Minnicelli; A. Gradilone, Storia di Rossano, ultima edizione Libreria Manzoni Rossano 2010; Domenico Cassiano, Risorgimento in Calabria. Figure e pensiero dei protagonisti italoalbanesi, Nuova Arberia 2003.
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ALFABETO CALABRESE. Fatti di cronaca civile e culturale calabrese.
Opera di Mastroianni D. Delitto. Ci sono eventi che hanno una potenza di penetrazione nelle coscienze che non dipendono dalla sua pur indicativa visibilità massmediologica. I delitti di stampo politico-mafioso in Calabria possono cadere nell’indifferenza. Questo non è il caso qui affrontato: l’evento più visibile ai mass media e più che ha scosso le coscienze è stato l’omicidio del vicepresidente del Consiglio Regionale della giunta di centro-sinistra guidata da Agazio Loiero, Francesco Fortugno. Il 16 ottobre 2005 a Locri, in un seggio elettorale delle Primarie nazionali situato a Palazzo Nieddu, un killer ha ucciso a distanza ravvicinata, alla presenza di alcuni elettori, il medico Francesco Fortugno, esponente della “Margherita – DL”, la lista dei cattolici democratici del centro sinistra. Sono stati incriminati per questo delitto alcuni presunti ‘ndranghetisti (affiliazione alla famiglia Cordì) di piccolo cabotaggio: padre e figlio Marcianò (Alessandro, caposala dell’Ospedale di Locri; Giuseppe anch’egli in servizio presso lo stesso Ospedale); in associazione con Salvatore Ritorto, il presunto killer, Domenico Audino, Antonio Dessì, Alessio Scali (affiliato ndrina Cordì), Carmelo Dessì, Carmelo Crisalli, Vittorio Cordì e Nicola Pitari e Gaetano Mazzara. Importanti rivelazioni furono fatte dal pentito Bruno Piccolo: del Marcianò padre si disse che era un “boss della sanità, che vale appena 200 voti … ”. Suo figlio, Giuseppe Marcianò, sosteneva di avere un alibi: non era a Locri durante il delitto. Quest’alibi non fu, in seguito, confermato dai tabulati telefonici: confermarono il contrario, in altre parole che per tutto il primo pomeriggio non risulta alcuna telefonata se non quella con il presunto killer Ritorto. Dopo questi arresti il Procuratore Nazionale antimafia Grasso sostenne di non considerare chiuso il cerchio attorno all’omicidio perché mancava il “livello decisionale”. L’accusa formulata dalla Procura sosteneva che si tentò di attuare un … progetto di perpetuazione del potere nell’ambito politico-affaristicoclientelare. Sempre secondo l’impianto accusatorio, questo potere era stato ridimensionato a causa della mancata elezione di un candidato di riferimento di quest’articolato connubio. Si fece il nome di Domenico Crea, ex esponente della “Casa della Libertà” (centro-destra), che fu assessore nel precedente governo di centro-destra, guidato da Chiavarallotti. Passato al centro sinistra, Crea era stato inserito nel partito DL (Margherita), quindi proprio il partito di Fortugno. Dopo la sua non-elezione ritornò in una posizione centrista nell’area della CDL berlusconiana. Crea era stato un imprenditore, fondatore di Cliniche Private, attivo come grande organizzatore di clientes, un mediatore, un potente tra i potenti, un uomo per tutte le stagioni! Sulla sua colpevolezza non è emerso nulla di concreto. Nelle intercettazioni telefoniche emergono delle affermazioni sul suo modo spregiudicato di far politica che lascia allibiti. E 58
comunque appurata la presenza di Marcianò figlio nell’entourage del comitato elettorale del futuro consigliere regionale Crea. Una nota: in Calabria oltre alla commissione regionale Antimafia esiste una Consulta regionale antimafia, che riunitasi dopo i primi arresti per le indagini sull’omicidio Fortugno, non mise all’ordine del giorno le novità emerse dalle indagini. La mancata risoluzione del caso Fortugno avrà conseguenze inimmaginabili, con la relativa estensione del cancro ‘ndranghetista, e la modificazione degli scenari politici ed economici. E’ stato Domenico Novella, altro importante pentito della mafia calabrese, a sostenere che Marcianò figlio accompagnò il killer che sparò su Fortugno, nell’atrio di Palazzo Nieddu la sera del 16 ottobre 2005. I riscontri oggettivi sono due: la telefonata ad Audino, il complice di Ritorto, presso la località Ardore, dove fu rubata una Fiat Uno utilizzata per l’omicidio; la telefonata al presunto killer, Ritorto, verso le 11.50 Secondo la più classica delle ricostruzioni il delitto è stato elaborato da un III° livello (l’entourage del candidato trombato, in cui i capi bastoni e i politici stanno a braccetto), pianificato da un II° livello (Marcianò e complici) ed eseguito materialmente, I° livello, dal gruppo d’appoggio e di fuoco. Siccome il terzo livello risulta il più difficile da indagare, siamo in presenza del classico “mistero all’italiana” e la Calabria si conferma ulteriormente “modernizzata” e perfettamente in sincronia con le altre regioni additate come insuperate nell’intreccio tra storia criminale e politica-economica. L’autodifesa di Marcianò non si è fatta attendere: Sono un capro espiatorio!. Essendo stato un importante capo elettore, cioè uno che controlla un pacchetto di voti, il presunto organizzatore dell’omicidio Fortugno sosteneva anche che aveva “raccolto” voti per Crea, come per Fortugno, per Zavettieri (socialista, al centro di un clamoroso attentato nel 2004) e per Bova (vicepresidente del consiglio regionale, Partito Democratico). Tutti i politici citati smentirono queste affermazioni. In carcere, sottoposto al 41 bis, Marcianò ha ricevuto le domande di un giornalista: ha contrapposto le sue tesi alle accuse dei pentiti, alle dichiarazioni della moglie del defunto esponente della Margherita, Maria Grazia Laganà-Fortugno, ora parlamentare PD, e al PM che, a suo dire, ignora l’alibi di suo figlio. F. FEDELE BISCEGLIE O “FRATE FEDELE” Uno dei monaci più famosi e carismatici che i calabresi conoscono da tempo, e quindi più soggetto ad eccessi di odio e amore, cosa tipica dei sentimenti della gente nei confronti delle personalità carismatiche, è padre Fedele Bisceglie. Era conosciuto come Gran Tifoso e capo tribuno della squadra di calcio del Cosenza, amato dagli Ultras, i Lupi; indefesso organizzatore del “business” della solidarietà aveva messo su una struttura di accoglienza l’Oasi S. Francesco. Caduto in disgrazia, prima ancora nelle gerarchie cattoliche, poi nella società fu messo sott’accusa con l’aggravante motivazione di violenza sessuale e continuata, nonché circuizione di persone incapaci di intendere e volere. Messo alla gogna mediatica, condannato a priori, ripudiato dalla gente comune, gli sono rimasti accanto solo uno sparuto gruppo di fedeli, di suoi “salvati”. L’arresto è avvenuto il 23 gennaio 2006. Il fondatore dell’ “Oasi Francescana” è stato accusato di aver stuprato una suora siciliana proprio all’interno della struttura di accoglienza, il 4 aprile 2005; la violenza sarebbe stata coadiuvata dal suo stretto collaboratore A. Gaudio. Dopo questi arresti si parlò anche di videoregistrazioni su quel truce avvenimento, cosa non confermata ( ma mai smentita) nel corso delle indagini, in una voluta (da chi?) sospensione indefinita del caso. Naturalmente in questa vicenda ci sono tutti gli equivoci del classico caso giudiziario, aggravato dall’eccessiva complessità della macchina investigativa locale. Padre Fedele Bisceglie è un “combattente”: ha approfittato di queste sue orribili vicende per conseguire la sua quarta laurea ( dopo Teologia, Medicina, Lettere, ora si sta impegnando con la Scienze della Nutrizione). 59
La libertà condizionata, arrivata il 15 maggio 2006 (mentre il 27 aprile era toccato al collaboratore Gaudio) era stata così motivata dal Tribunale della Libertà: Le dichiarazioni della suora non presentano quella precisione, costanza e coerenza logica necessarie per assumere, sia pure a livello meramente indiziario, dignità di prova . Nel frattempo Padre Fedele vive nel Convento S. Daniele di Belvedere Marittimo (Cs). Questo luogo sacro è famoso nel mondo perché al suo interno sono contenute alcune reliquie di S. Valentino, impropriamente diventato il santo degli innamorati. Un presunto stupratore dentro il convento di S. Valentino! Un orrore degno di un film di serie c! … ma, purtroppo, c’è poco da ironizzare. Durante il processo è stato fatto visionare un film pornografico autoprodotto (da ignoti ?) intitolato “Il diavolo in convento”, con scene di sesso girate in un interno che sembra un albergo. Il film è stato trovato nel computer di Gaudio il collaboratore del frate. Successivamente il frate è stato trasferito in Corsica lontano dai riflettori. Il 2 aprile 2007 il TdL ha rigettato la richiesta di scarcerazione: così padre fedele è agli arresti domiciliari in Umbria, mentre Gaudio è in provincia di Cosenza con l’obbligo di dimora e senza la possibilità di avere contatti. Si ricorda , in questo breve sunto, che si è ancora in indagini preliminari. Il PM continua il suo procedimento penale mentre il Collegio degli avvocati difensori sono stati propensi a presentare ricorso contro le decisioni del TdL. Sarà il GUP a fissare, appena possibile, l’udienza per il rinvio a giudizio o meno dei due imputati. Attestati di solidarietà al frate non sono mancati in quest’anno e mezzo: il più espressivo è arrivato dal fondatore del Movimento Diritti Civili, Franco Corbelli (il “Pannella” calabrese, come mi è stato confidato da un amico). Il caso Padre Fedele si sta trasformando … in una condanna mediatica nei confronti di un uomo, di un religioso che non è certo un mostro . A padre Fedele hanno distrutto l’immagine e nessuno ha reagito a questo scempio, continuava con coerenza il garantista Corbelli. Le motivazioni, invece addotte dal TdL (che ricordiamo in un primo momento aveva scarcerato il frate ) sono pesanti: in 74 pagine i giudici di Catanzaro hanno confermato l’impianto accusatorio dedotto dalle accuse della suora. Un altro evento degno di nota è stato il contrasto con l’Ordine generale dei frati minori cappuccini: questi hanno preso atto che Padre Fedele non voleva più l’assistenza legale offertagli dall’Ordine. Un ulteriore momento che non ha chiarito i veri movimenti che stanno dietro a questa tristo evento (il caso Fedele Bisceglie). A come Arte (grandi eventi d’arte in Calabria) Durante l’estate 2006 (fino a Ottobre) si tenne, presso il Parco Archeologico “Scolacium “ di Roccelletta di Borgia (provincia di Catanzaro), un’ importante mostra d’arte contemporanea dell’ inglese Anthony Gormley, intitolata Time Horizon, in cui era visibile l’installazione di 100 statue-sagome raffiguranti un corpo umano (quello dell’artista stesso) in varie posizioni. Caratteristica di questa installazione era che le statue non erano solo poggiate sulla superficie del parco ma alcune erano conficcate nel terreno. Questo fatto ha suscitato la critica di qualche archeologo e di qualche intellettuale scandalizzato per lo scempio: la risposta delle istituzioni delegate ai beni archeologici, architettonici e paesaggistici (che rispondono di solito a criteri di “sottomissione ai poteri amministrativi”) è stata eloquente: i soliti “ignoranti”, “provinciali” ecc. Diverso l’atteggiamento dell’artista, che intervistato placò gli animi sostenendo che era … molto importante utilizzare il passato per interpretare il futuro… vorrei che le mie opere fossero un sussulto, un’architettura minimale, che non abbia niente di distruttivo … U COME UNIVERSITA’ Questo non vuol essere un cahiers de doleans ma possiamo esimerci dal riscontare i soliti mali (e il controcanto delle magnifiche sorti della Calabria) che hanno così ampio spazio nella retorica della politica nostrana? 60
Nel marzo c.a. (2007) un segreto (e già questo è indice di uno sconforto) “comitato per la legalità” con sede all’Unical (acronimo di Università della calabria Arcavacata di Rende Cosenza) denunciò un palese caso di “nepotismo accademico”, ovvero la promozione di una ricercatrice da parte del padre e della madre, tutt’e due docenti alla facoltà di Economia della detta Università. Alla richiesta di spiegazioni da parte di diversi soggetti, il Preside di Facoltà De Bartolo dichiarò che si era trattato di … solo una svista nell’atto di stesura del Verbale . Insomma un errore nella prassi accademica, ma tutto ciò … non influisce sul giudizio positivo espresso dalla commissione nazionale esterna . La madre prof.essa, invece, ha espresso una diversa opinione: Se ci fosse stato qualche interesse a proteggere qualche candidato, di certo non si sarebbe caduti in questa “ingenuità”. Infatti, le vie del Signore sono infinite! Nonostante queste situazioni quasi stazionarie nel mondo accademico, l’Unical risulta essere, secondo il Consorzio degli atenei Italiani, insieme con quella di Bolzano tra le migliori università italiane per quel che riguarda il diritto allo studio. E’ questo è soltanto uno dei punti di eccellenza di quest’università voluta dal bolognese Andreatta. E ancora il Censis ha classificato l’Unical al 2° posto tra i migliori atenei di medie dimensioni (20-40 mila studenti). I COME IMMIGRATI (2006) Un’ovvietà è che la Calabria è stata, è, e sarà una terra d’immigrazione e d’emigrazione, di permanenza stagionale, di transito, di fuga, di rifugio e di nostos (ritorno). Le cronache riportano la situazione dei “lager” di Crotone e di altri luoghi: i cosiddetti Centri di Permanenza Temporanea per irregolari immigrati non-comunitari. Poco frequentati sono, invece, i “lager” a cielo aperto ove sono sfruttati questi lavoratori. Gli immigrati molto spesso lavorano per più ore con meno diritti, con paghe inferiori ai minimi sindacali e come se non bastasse nella maggior parte dei casi a nero. E’ uno scenario che porta all’emarginazione, alla miseria, alla perdita di identità. Molti immigrati non hanno casa dormono per strada, in condizioni che negano ogni dignità (nota del 30 luglio 2006 della Cgil-Cisl-Uil provincia di Cosenza). Fra i tanti misteri che circondano questi migranti sicuramente il più importante è il numero: quanti sono effettivamente? Le risposte sono ardue. I Dati ufficiali sono alquanto sottostimati. Per l’intera Calabria si parla di 50-70 mila (!) Questo nascondere i dati e la mancanza di politiche di censimento non fa altro che occultare il fenomeno e rendere più intollerante il clima già esasperato. Sul fronte del razzismo e dell’intolleranza non sono mancati episodi di violenza nei confronti di immigrati. E non sono mancati atti criminali compiuti dagli stessi nei confronti di cittadini inermi. Registriamo un episodio di cronaca nera che misura la temperatura del fenomeno: nel settembre 2004 fu rinvenuto nel quadrato di Schiavonea (Corigliano) il cadavere di un Ucraino (senza fissa dimora e con un handicap), ucciso a bastonate da quattro balordi del luogo (movente sconosciuto). R, RAPPORTO DE SENA Luigi De Sena è un alto funzionario dello Stato. È stato vicecapo della Polizia. Attualmente (2006) è una sorta di superprefetto (una volta si diceva un “prefetto di ferro”) della DIA (Direzione investigativa antimafia). In un suo famoso (ma, purtroppo, letto solo dagli addetti ai lavori) rapporto sulla criminalità della nostra regione punta l’indice contro un “senso comune” che è causa agendi di una serie di comportamenti soggettivi e collettivi. Per il nostro carattere l’unico orizzonte d’interessi è la famiglia (se non il proprio tornaconto): non esiste nulla al di fuori, né società civile né comunità né legami disinteressati. Per molti calabresi cose in comuni jettati i ru vaddune è un vero e proprio dogma. M, IL NOSTRO MARE I sistemi di depurazione di quasi tutti i paesi “arribba u mari” sono stati un vero e proprio vulnus del 61
nostro mare: vecchi, inefficaci, malridotti a causa della cattiva (o assenza di) manutenzione. Rovina ambiente: ecco cosa sono state per decenni queste vere e proprie discariche marine “autorizzate”, che hanno rovinato tratti di mare incontaminati. Comunque, da S. Lucido a Tropea, da Reggio Calabria e Locri, da Catanzaro a Cariati, da Mirto Crosia ad Amendolara, una sola affermazione (diventato senso comune) è stata utilizzata come lo scudo di protezione dei vari amministratori succedutesi: E’ colpa del vicino! . Centinaia di migliaia di euro (tradotti i milioni di lire) sono stati mandati alle numerose amministrazioni che paventavano il disastro ecologico dal 2000 al 2006. Un elenco così lungo di sprechi qui non trova spazio. N. COME ‘NDRANGHETA (CON LA LETTERA MAIUSCOLA, NON POTEVA MANCARE!). Sono stati stimati in 30 mld di euro il fatturato della mafia calabrese. Le forme economiche sono diversificate ma possono ridursi a quattro grandi capitali: traffico di droga (cocaina in primo luogo); riciclaggio di denaro sporco (comprendente anche il meccanismo dell’usura, del “pizzo”, dell’estorsione, e partecipazione all’economia legale); Armi e, infine, Patrimonio (investimenti in beni immobili). Dal 1991 anno in cui è stata istituita la DIA l’erosione della potenza economica della mafia è stata costante ma sempre su livelli contenuti. Basti pensare che per l’ultimo capitale economico, cioè l’investimento immobiliare, che si può calcolare in circa un terzo del patrimonio (circa dieci mld ), l’azione della Dia ha portato al sequestro di circa 60 milioni di euro. Siamo a meno dello 0,1 %, un’inezia. L’ex Presidente della Commissione Antimafia Lumia si chiedeva: Vorrei capire vi sia un’inversione di tendenza e se siamo ben strutturati per fare un salto di qualità nell’aggredire i patrimoni della ndrangheta . Successivamente, in tempi recenti, è stato annunciato che una speciale task force si occuperà di “colpire i patrimoni illegali”. La mafia calabrese si è ristrutturata. Questi “fratelli di sangue”, negli ultimi decenni, si sono emancipati da quella visione stereotipata di fratelli minori di “Cosa Nostra” siciliana: la ndrangheta se permane nello stadio familistico (le ndrine) non per questo disdice legami con gruppi eterogenei, con simile concezione affaristica, come i narcotrafficanti o i signori della guerra dei paesi belligeranti, oppure “gelidi” imprenditori del nord ed est Europa, gestori con le mani pulite dei milioni di euro portati in dote da ndranghetisti “emigrati”. Nel gennaio 2005 il narcotrafficante cileno Arrigada-Ramos riuscì a fuggire dal carcere di Bologna (Dozza) ma fu riacciuffato nel suo paese: risultava essere, secondo la DEA americana, uno dei corrieri della ‘ndrina Sergi di Platì (RC) T. COME FARE TEATRO IN CALABRIA. Col nome di “Primavera dei Teatri” seguito dall’anno di edizione (siamo all’ottavo anno, 2007) il Teatro Calabrese celebra il suo appuntamento più squisitamente alternativo e non conformistico. Si tiene sempre a Castrovillari nel periodo variabile tra la prima e la terza settimana di giugno; i direttori sono due artisti di grande cultura e sensibilità Saverio La Ruina e Dario De Luca. Sono passati da qui i gruppi più importanti della scena nazionale e (un po’ meno) internazionale. E’ uno spazio riservato al teatro sperimentale e innovativo, con un suo pubblico multiforme e appassionato. Associata alla programmazione degli eventi vi è una ricca produzione di stage, conferenze e mostre di ottimo profilo. Il tutto si tiene nel proto convento francescano dove è stato ritagliato un piccolo spazio, un tetro ben fatto, denominato “Sybaris”. N. NAVI (E TURISMO)
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Un episodio che sfiora il comico è datato il 5 maggio 2007. Nel Porto di Corigliano- Schiavonea, una piccola struttura quasi dimenticata, riceve una “visita” di una nave crociera (stiamo parlando di un’unica nave da quando esiste – e sono molti anni!- questo porto). I media locali strombazzarono la notizia come se fosse un evento epocale: per tutto il giorno ho potuto vedere con i miei occhi turisti che vagavano per Corigliano e Rossano, senza nessun aiuto o guida, con tutti i negozi chiusi ( si perché da noi gli orari di apertura e chiusura degli esercizi è una sfida al buon senso, altro che località turistica!). Uomini e donne che parlavano francese inglese e tedesco vagavano disorientati per quelle vie dei due scali cittadini. Con quella calura pre-estiva e dentro quel “forno naturale” dovuto a quei palazzoni, cementificazioni e ‘catramizzazione’ che caratterizzano gli scali, gli esausti viaggiatori, credo, che abbiano sussurrato più volte mai piu’ . Tra le promesse segnalate dai quotidiani c’erano i depliant plurilingue (mai visti) e le visite guidate ai musei locali e ai centri storici (sob!) (FRAMMENTI) U PAISI ( I PAISI) I ‘RI CIUCCI Alcuni aspetti dolenti: un festival dedicato a Rino Gaetano, il più importante cantautore nostro corregionale, intitolato “Una casa per Rino” ha rischiato più volte di non disputarsi. Motivi disparati. Esiste una Fondazione diretta da Giancarlo Sitra che per cinque anni ha portato avanti questo bel progetto. Oltre al festival è stato creato un centro musicale polivalente, un incubatoio per giovani talenti della città pitagorica. ROCK IN BRUZIA […] La città più viva dal punto di vista della musica youth oriented è sicuramente Cosenza: il Cosenza Rock festival, S. Giuseppe Rock, Invasioni Festival e altri eventi meno famosi costellano le serate della città bruzia, un must per il popolo rocchettaro.
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STORIA E MEMORIA: FRAMMENTI di un discorso PRIMA DELLA VISIONE DEL FILM … la Giornata della Memoria 2011 è collegata alle altre esperienze sul territorio nazionale, e questo ci riempie d’orgoglio e ci sprona a proseguire in questa direzione, nell’impegno di uscire dall’autoreferenzialità in cui sono avvitate le manifestazioni culturali calabresi. E l’associazione culturale da me presieduta ha l’ambizione di continuare, con altri futuri progetti, nella creazione di attività culturali di largo respiro e di contenuto spirituale condivisibile. Per chi come il sottoscritto ha vissuto tanti anni nella città di Bologna il nome del Monte Sole e Marzabotto evoca un senso pieno di sacralità della memoria… visitammo quei luoghi ove si consumarono quelle feroci tragedie. I nazifascisti massacrarono 770 persone tra anziani, donne e bambini nei giorni che vanno dal 29 settembre al 5 ottobre del 1944. Fu una delle tante stragi compiute dai soldati tedeschi con la complicità dei repubblichini, così erano chiamati i fascisti al crepuscolo del loro dominio e nella loro cupio dissolvi. E’ questo il tema del film che abbiamo scelto come gruppo collettivo, e qui è doveroso ringraziare il nucleo operativo di Soci@l Giuseppe Capristo, Vincenzo Berardi, Saverio Malieni, Giuseppe Aiello, Bruno Alvaro, Salvatore Avolio e Alfonso Reda. Un film di cui avevamo sentito parlare dai racconti e dall’ email che ci giungevano dai nostri due soci Vincenzo Berardi, attrezzista di scena, e Saverio Malieni, collaboratore sul Set e runner, durante la produzione e la post produzione dell’opera. Orgogliosi quindi che tra i contributi alla nascita di questo film rechi l’impegno di due nostri soci. Nel film si respira la grande lezione poetica visiva dei maestri del cinema italiano: Federico Fellini, Ermanno Olmi e Michelangelo Antonioni. Non voglio qui fare una recensione cinematografica, ma usare altri linguaggi della critica. Prendo a prestito la categoria di empatia, analizzata da Edith Stein, ebrea convertita al cattolicesimo e grande filosofa mistica (allieva di Husserl, il padre della Fenomenologia), uccisa ad Auschwitz … … una categoria dicevo, per definire come rapporto empatico tra me spettatore e gli eventi e i personaggi del film (basti vedere alcune scene di vita contadina, per intenderci), e questo almeno fino all’irruenza della Storia e della pulsione di morte. La tragicità si sovrappone ad un suono invasivo – la bomba che ottunde la visione e fa vacillare il padre di Martina… […] Prendo a prestito i versi dal “Todesfuge” (Fuga dalla Morte) di Paul Celan, poeta rumeno-ebreo di lingua tedesca, per tentare di dare senso lì ove vige l’indicibile: più profonde ferite che a me inflisse a te il tacere più bianca cenere giace sulla parola che hai creduto (Engführung) Marzabotto è uno dei luoghi che tutti dovrebbero visitare per fortificare la propria coscienza di cittadino: come le Fosse Ardeatine (Roma), Sant’Anna di Strazzema (Lucca), La Risiera di San Sabba (Trieste), Cefalonia, Bosio (Alessandria), e aggiungerei per noi calabresi Ferramonti di Tarsia. Chiederci cosa rimane, a noi e alle generazioni che verranno, nelle nostre coscienze di quell’immane sacrificio di italiani di ogni età, sesso, religione e classe sociale è cosa ardua e difficile da racchiudere in 64
una risposta. Forse un’idea può venirci da Walther Benjamin, che in “Angelus Novus”, nella nona sezione della sua “Tesi per la filosofia della storia”, immaginava ” … un angelo che sembra in atto di allontanarsi da qualcosa su cui fissa lo sguardo. Ha gli occhi spalancati, la bocca aperta, le ali distese. L’angelo della Storia deve avere quest’aspetto. Ha il viso rivolto al Passato. Dove ci appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe, che accumula senza tregua rovine su rovine ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e ricomporre l’infranto. Ma una tempesta spira dal Paradiso, che si è impigliata nelle sue ali, ed è così forte che egli non può più chiuderle. Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine sale davanti a lui al cielo. Ciò che chiamiamo progresso, è questa tempesta “
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Memorie di guerra, dopoguerra e ricostruzione a Crosia (1943-46). Relazione introduttiva sul metodo storico. PRESENTAZIONE Lo scopo di quest’iniziativa è far uscire dall’oblio, dalla dimenticanza, l’esperienza soggettiva, il vissuto (l’ erlebnis, per usare un termine della filosofia di Wilhelm Dilthey), appartenente alla vita dei nostri concittadini che giunti alla veneranda età hanno attraversato la Storia, gli eventi epocali che sancirono la formazione dell’Italia contemporanea. Portare alla luce, attraverso la voce dei protagonisti, una ricca articolazione di esperienze, un vissuto umano che rischia di venire perduto e che invece va restituito alla storiografia: ecco il senso del nostro agire. Possiamo definire la vita di una piccola comunità come quella Crosi-mirtese, sia nei momenti tragici o conflittuali che nel continuum della routine della vita quotidiana, fortemente segnata da due poli della sensibilità: da una parte la dignità, l’abnegazione, la sobrietà e l’umiltà di contadini-artigiani (una dignità fatta di lavoro, culto della frugalità domestica e passione per la vita); dall’altra parte un senso della vita misto di rassegnazione e precarietà, segnato da una povertà endemica, da una penuria di mezzi di sostentamento e una difficoltà della base materiale che aveva un retaggio millenario, un sostrato fatto di vessazioni di classe e depauperamento, elementi che hanno costituito la storia del meridione d’Italia. Una storia ricostruita in modo ineccepibile da Paolo Cinanni, Manlio Rossi-Doria, Antonio Guarasci, Giuseppe Galasso, Augusto Placanica, Gustavo Valente, Gaetano Cingari, Nicola Zitara, e più recentemente Enzo Ciconte e Piero Bevilacqua ( mentre per l’antropologia ricordiamo Ernesto De Martino e Luigi M. Lombardi Satriani). Noi qui poniamo le premesse di un lavoro di ricostruzione delle memorie che è propedeutico a ogni ricerca storiografica, considerando appunto che le fonti di questa ricerca sono materia vivente e i ricordi di quel passato (fatto di dolori e gioie, forti passioni sociali e politiche, scelte più o meno razionali, aneliti e disinganni, frustrazioni e soddisfazioni) sono stati funzionali al risultato finale, cioè il raggiungimento di una “qualità della vita” ricompensativa degli stenti delle generazioni precedente. Siamo consapevoli che le memorie soggettive vanno trattate con accortezza e integrate con lo studio pragmatico e scientifico delle altre fonti “classiche”. Facciamo, d’altronde un’operazione che ha il precedente nell’ “Oral History” della ricerca storiografica inglese e statunitense e nella metodologia dello studio “non-evenementielle” (una storia, cioè non limitata solo ai grandi eventi) della scuola francese degli ANNALES E. S.C. di Marc Bloch, Febvre e Braudel, consci che, facciamo nostra la frase: “ho sempre pensato che il primo dovere dello storico consiste nell’interessarsi alla vita” (epitome dal libro di Marc Bloch, “il mestiere dello storico”).
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HANS JONAS, o dell’etica nell’epoca della civiltà tecnologica (studio I: sull’Antropia)
il futuro è un tempio antico
Il filosofo nato nel 1903 a Moenchengladbach ha posto questioni fondamentali per la nostra epoca e lo ha fatto dal punto di vista euristico, cioè gravido di conseguenze e intuizioni: una prospettiva indirizzata verso il futuro. A differenze delle prospettiva kantiana o giudaico-cristiana, il filosofo del principio di responsabilità ha fatto propria la nozione di mondo extra-umano e delle GENERAZIONI FUTURE, evitando così la morta gora dell’antropocentrismo. Le trasformazioni prometeiche (dal Mito fondatore di Prometeo, colui che diede il fuoco all’umanità, contravvenendo al volere degli dei, originando quel senso di potenza di controllo e modificazione sulla Natura operata dall’uomo moderno) hanno raggiunto dei livelli per così dire, senza eufemismi, catastrofici. Nella sostanza possiamo individuare, seguendo Jonas, una sorta di minimo programma, una scala di livelli con cui strutturare il nostro agire quotidiano, prospettandolo non sull’ hic et nunc , ma appunto in una prospettiva direzionata verso il futuro - Agisci in modo che le conseguenze della tua azione siano compatibili con la permanenza di un’autentica vita sulla terra. - Agisci in modo che le conseguenze non distruggono le possibilità future di tale vita - Non mettere in pericolo le condizioni della sopravvivenza indefinita dell’umanità sulla terra. - Includi nelle tue scelte attuali l’integrità futura dell’uomo come oggetto della tua volontà Domande come “Perché sacrificarci per i posteri?” sono urgenti ed esigono pratiche e comportamenti non più derogabili. L’uso dissipatore delle risorse energetiche e la modificazione artificiale dell’ambiente bioantropometrico ha reso la presenza umana essenzialmente creatrice di disordine nel sistema aperto della vita. Chiamiamo questo disordine generato dall’uomo Antropia (sintesi di anthropos, uomo, e entropia). Jonas si è spinto fin dove l’etica contemporanea (novecentesca) mostrava tutti i suoi 67
limiti: la questione della coscienza come luogo delle determinazioni etiche contingenti, legate all’ hic et nunc. Seguiamo il nostro filosofo in queste considerazioni, in una intervista curata da Vittorio Hosle, pubblicata nell’Enciclopedia Multimediale delle scienze filosofiche (marzo 1990): “Forse la nostra generazione sarà l’ultima, non sarebbe la prima volta nella storia della vita e dell’evoluzione che una specie si estingua. E’ questa la mia argomentazione nell’affermazione: “No, non ci è concesso di commettere il suicidio della specie o di permettere che il suicidio della specie accada”. La questione: perché per l’uomo dovrebbe accadere ciò che non consideriamo valido per nessun’altra specie sulla Terra, ovvero che essi continui in eterno? Poiché l’uomo è il gradino superiore, il vertice della scala evolutiva, e noi formiamo il più audace tentativo della divinità di esprimere se stessa nella creazione e semplicemente non dobbiamo far fallire il nostro creatore in questo tentativo. E’ questo il centro etico, il centro etico metafisico. Nella scienza e nella tecnologia possiamo parlare in maniera molto chiara di progresso: esso è addirittura misurabile. Possiamo ad esempio misurarlo con l’ammontare del potere che l’uomo collettivamente parlando ha sulla Natura, sul suo ambiente e sugli altri esseri umani anche attraverso i modi, attraverso i metodi di scambio con essi.[…] Altri esempi vengono dalla medicina, dalle comunicazioni, dai trasporti e cosi via. E’ estremamente chiaro qui ciò che qui “progresso” significhi. Ma cosa significa “progresso” nel regno della morale? Non può certamente significare la stessa cosa …” .
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SETTE ANNI DI VACCHE MAGRE. IN MARGINE A LETTURE VARIE 1 Il giornalista R.G. riceve, per la sua rubrica in un noto quotidiano, una lettera di un suo affezionato lettore, in cui sostiene di capire “… con sempre più difficoltà … il linguaggio dei nostri politici” (bisognerebbe anche chiedersi con chi spreca il suo tempo il lettore!). Ecco che parte la filippica del nostro maitre a penser, citando Moro ( “… che chiese allo Stato di piegarsi alla volontà delle BR”, scrive), poi Dossetti ( “finto monaco, cioccolataio”, sono sue definizioni) e La Pira (“uno che faceva debiti su debiti a Firenze, la città di cui era sindaco”). Poi la sua versione coinvolge i democristiani tout court (ma noi ricordiamo qui che il giornalista in questione si posizionava nell’area politica non tanto distante dal governo, dove ha mangiato e ora ci sputa!); poi i comunisti e infine l’ibrido, che tante piace evocare ai nuovi palazzinari, dei catto-comunisti ( vera sciagura per il nostro!). Tra quest’ultimi (sic!) segnala O. L. Scalfaro, “il peggior presidente della Prima Repubblica”. Sono risparmiati tutti gli appartenenti a Destra dello schieramento parlamentare. Ricordando che il linguaggio è l’argomento della lettera, tutto scivola su questi giudizi perentori: d’altronde il nostro, già iscritto alla loggia segreta P2, bada più alla sostanza che alle parole. E soltanto con Umberto Bossi, col suo linguaggio crudo, che il nostro capisce che l’aria stava cambiando: la musica cambiò e “niente sarebbe stato come prima!”. Che ci fossero dei bravi oratori, e in che misura furono tali, non è un argomento che gl’interessa e neanche dare spiegazione al lettore smarrito può toccarlo. Ora il nostro, con cipiglio prezzoliniano, annuncia il baratro. A proposito il lettore si chiamava Martinazzoli! 2 Che il mondo della scrittura sia pieno d’imbonitori e illusionisti lo dimostra il continuo riaffacciarsi dei “talenti” sulla scena dell’industria cultural-letteraria. Uno di questi “talenti”, già a capo di corsi Luiss (l’università per le èlite: leggasi tecnocrati e boiardi privati e di Stato) si è prodigato qualche anno fa alle costruzione di una “writing school”. “La fantasia e il talento sono diventate delle industrie con i loro prodotti, il loro pubblico, le loro regole” , così disse il nostro R.C. Prodotti, pubblico, consumatori (perché no?), regole. Ebbene si! Stiamo parlando di letteratura. E allora venghino signori, venghino alla Fiera delle vanità e della vacuità… Che la potenza di fuoco Luiss, con i suoi formidabili finanziatori (il non plus ultra del capitalismo italiano) sia non indifferente lo dimostra la “qualità” di questo corso, che chi ha frequentato in questa fase sperimentale, giudica stupefacente (nella doppia accezione del termine). Ecco a voi la prima batteria: Carlo Freccero (detto prezzemolino), Carlo Lucarelli (pecunia non olet), l’ex rivoluzionario dell’editoria Alberto Castelvecchi. I prodotti naturalmente verranno da questi corsi: cinema, letteratura, televisione, internet (la quadruplice radice di ogni moderno discorso). Comunque il nostro R.C., nell’intervista rilasciata ci spiega il metro di paragone, ad esempio per il cinema è il capolavoro “Notte prima degli esami” (doppio sic!).Una volta compariva sugli schermi la scritta “ars gratia artis”, ora tocca agli imbe- - lli (-ci-) che pagheranno 16 mila euro per questi corsi!, dire grazie! 3 Nel luglio 2005 l’OCSE (Organizzazione per la cooperazione e la sicurezza in Europa) ha votato una risoluzione in cui si affermava che il Nazionalsocialismo e lo Stalinismo sovietico sono … due grandi regimi totalitari, responsabili di genocidio, violazione dei diritti umani e delle libertà, di crimini di guerra e contro l’umanità. A proporre questa risoluzione sono stati due nazioni ex comuniste, la Lituania e la Slovenia. Tra le novità della risoluzione vi era quella di ricordare il 23 agosto come “giorno delle vittime del nazismo e dello stalinismo”. Contrari e fortemente critici verso questa risoluzione OCSE sono stati i russi: “ un tentativo di distorcere la Storia per fini politici”, così si era espresso un portavoce del Ministero degli Esteri Russo. 69
Che lo Stalinismo non abbia nulla da paragonarsi al fascismo tedesco è un falso: dal culto del capo all’annientamento dei “nemici”, dal sistema concentrazionario alle politiche imperialistiche, si possono trarre le conseguenze più dirette per queste somiglianze. I russi comunque hanno ragione nel dare il giusto peso alla figura, ancora ingombrante, di Stalin e del suo regime. L’industrializzazione dell’URSS e la sconfitta attraverso una guerra di popolo dell’esercito tedesco e del nazismo sono motivi che non vanno espunti da un giusto giudizio (almeno per quel che riguarda la versione russa). Il paradosso è in realtà un altro: questi due meriti del nazionalbolscevismo sono propedeutici a incensare gli attuali inquilini del Kremlino. Modernizzazione e mire del neoimperialismo russo saranno, in futuro, anche meriti di Putin. Quest’ultima osservazione è “cronaca”. Per quel che riguarda la Storia cosa dovremmo dire dei regimi filosovietici del dopoguerra: di tutto, ma non che erano “totalitari” (anche per non svalutare il concetto arendtiano). Regimi, certamente, a partito unico: questa potrebbe essere la categoria di partenza. 4 Un incontro tra Benito Mussolini e il Mahatma Gandhi è avvenuto il 12 dicembre 1931. Il duce del fascismo trionfante, un uomo che alternava momenti di lucida e profonda conoscenza dei principali movimenti culturali internazionali con momenti in cui prevaleva la maschera del fascista rozzo, arrogante e superficiale (un mistero questo che va approfondito psicanaliticamente), incontrò il futuro padre spirituale dell’India moderna, nonché uno delle massime personalità del XX° secolo (per via della sua influente filosofia della non-violenza). Venti minuti tanto durò il colloquio, stando alle cronache giornalistiche. La cosa che ci rende ancor più simpatico la “Grande Anima” era che indossava la tipica fascia indiana, come nella foto qui inserita, e portava con sé una mansueta capretta (immaginate il sarcasmo dei gerarchi e dell’italietta di allora!). A completare il “momento storico” analizzato (in risposta ad una lettera per la sua rubrica), da Sergio Romano, noto ex-diplomatico e giornalista del CdS, è stata riferita una prefazione alla biografia-saggio del mahatma Gandhi, edita in Italia nel 1930 presso i tipi della Treves edizioni di Milano. Autore di questa prefazione è Giovanni Gentile. Veniva spiegata la Satyagraha (“resistenza passiva” cioè la politica non-violenta di Gandhi) in questi termini: … il cittadino è capace (di questa resistenza passiva) quando ha dimostrato di essere rispettoso e ossequente delle leggi dello Stato poiché … solo quando un individuo ha obbedito scrupolosamente a tutte le leggi della società in cui vive, è in grado di giudicare quali sono giuste e buone, quali ingiuste ed inique. Al che il commento di Romano: Sono parole, quelle riportate dal filosofo Gentile,che dimostrano quanto sia sommario definire Gentile “filosofo del fascismo”. Sorge, però, anche la domanda: quando le Leggi di uno Stato sono inique a priori (come le Leggi razziali del 1938) cosa si fa?, si obbedisce lo stesso? Credo che tutti questi tentativi di annettersi in quel pout pourri che è il pensiero liberale, anche pensatori che liberali non lo sono stati (e lo hanno dichiarato e dimostrato in più occasioni) sia fuorviante e storicamente poco accettabile. Insomma senza giri di parole Gentile è stato, e rimarrà, il filosofo del fascismo, checché se ne possa dire. 70
5 Nel novembre 2008 si è tenuta a Lametia Terme la prima fiera del Libro Calabrese. Erano presenti secondo le cronache 16 aziende- case editrici che hanno avuto la possibilità di esporre i loro “prodotti culturali”: manuali, libri d’arte, romanzi saggistica, opere di pregio o testi molto economici (più di mille i volumi esposti). Il metodo usato è quello classico degli stands per le consultazioni, unite a una serie di conferenze pubbliche su temi specifici dell’editoria o altro. In più di mille persone, per complessivi cinque giorni, hanno visitato quest’evento, che è stato, in quel primo momento, un vero e proprio esperimento. Ad ospitare l’iniziativa è stato il “Centro Pastorale”, messo a disposizione dalla curia, un luogo posto nel centro città. Gli organizzatori di questa kermesse furono i membri dell’Associazione “Sinergie Culturali”, guidata da don Natale Colafati, vicario per la curia lametina. Per la partecipazione all’iniziativa unica condizione posta era che la Casa Editrice fosse presente sul territorio calabrese o che la sede operativa fosse dentro i confini della Calabria: divulgare e render visibile le opere prodotte nel nostro territorio era la filosofia che sottostava la manifestazione libraria. Tra gli interventi significativi, per esplicitare la mission dell’iniziativa ricordiamo quello di Tassone (Qualecultura cooperativa editrice): il nostro intento è di perseguire un’autonomia del mezzogiorno rispetto alle grandi case editrici … ogni piccolo editore ha un ruolo da svolgere, perché il terreno senza i microrganismi non può mai diventare fecondo … Ci rivolgiamo soprattutto agli scrittori calabresi perché siano consapevoli dei problemi di questo momento storico, ma non per questo ci chiudiamo, anzi stiamo attenti anche alle altre realtà ed esportiamo la nostra cultura. 6 La simpatia per una parte politica può manifestarsi in numerose occasioni e tra queste le più ghiotte sono gli anniversari e le ricorrenze. Nel 2008, a quarant’anni dal “mitico” ’68 (l’aggettivo è del nostro commentatore-giornalista) si può riferire che le opposte fazioni cioè l’estremismo di sinistra (E.S.) e la destra radicale (D.R.), hanno compiuto scelte diverse: la sinistra estremista (leggasi PCI –sic!- e area sinistra extraparlamentare) non ha più trovato nell’area culturale ispirata al marxismo, e dalla quale certamente discendeva, sotterranee complicità, colpevoli silenzi, imbarazzate giustificazioni . Diverso il discorso per la D.R., che … è andata attenuando i toni, ha compiuto difficili scelte culturali, fino a diventare parte integrante delle istituzioni , ove naturalmente i topoi politici si riferiscono soltanto al Movimento Sociale Italiano (sic!) ed escludono l’area definita nazional-rivoluzionaria. Ragionamenti simili, quasi sempre residui di una cultura moderata, governativa e d’ispirazione piccoloborghese (eh!, che vecchi termini, ma io non sono capace di disibernare certi commentatori!) erano accompagnati sempre da una paura atavica. Questa cultura moderata è stata perno della struttura di potere dello “Stato Civile” del ‘900 (“Stato Civile” = Stato + Società Civile). Questa paura è la paura del conflitto sociale, del movimento amorfo delle istanze di cambiamento, dello scontro anche ideologico tra le diverse componenti e del confronto fuori dalle sabbie mobili delle forme ingessate delle istituzioni.
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L’IRA FUNESTA. LA LETTERATURA IN CALABRIA non è più CALABRESE!
Dobbiamo smetterla di parlare di letteratura calabrese, che forse non è mai esistita! Un oggetto non identificato, un luogo senza luogo ma pesante, una diatriba medio-scolastica: ecco cosa hanno tracciato i vari Pasquino Crupi, Antonio Piromalli, Pasquale Tuscano, Aliquò Lenzi e Aliquò Taverriti. Quest’ultimi (come i primi) sono stati grandi critici della letteratura: un volume che compendia tutto il discorso? Luigi Aliquò Lenzi e Filippo Aliquò Taverriti, Gli scrittori calabresi: dizionario bio-bibliografico, Reggio Calabria, Ed. Corriere di Reggio, 195558, 4 voll. (II ed.). Ora è tempo di rompere il cordone ombelicale che lega e strozza la nostra letteratura. La letteratura è ricerca, movimento, fusione di esperienza letteraria, e basta. Bisogna svincolarsi dalla stretta critico-filologica che ha fatto della capacità di scrivere un retaggio di bisogni locali, di frustrazioni, d’incompiutezza, mentre non sono mancate opere e non sono mancati autori che miravano al riconoscimento universale, per nulla al mondo desideravano essere rinchiusi nella gora di una letteratura autosufficiente, insufflata d’asfittico odore regionalistico o per tributi al sermo sermonis autoctono. Ora lo scrittore e la scrittura hanno subito quella mutazione che accompagna i nostri tempi: vogliamo parlare ancora dei miti d’oggi, delle gesta dei nuovi arrivati, della finzione postborgesiana, di quel nomadismo che ci accomuna ad un “Sigh” e un “Artaanen” (alea iacta est!). Che io scrittrice nata casualmente in questo luogo così astratto e premeditato devo per forza contare sulla “ingabbiatura” di un sistema lessicale-cognitivo che mi rende per forza una scrittrice calabrese, eh no!, miei cari, non ci sto!: sono una transizione, una mutazione, vado verso gli altri, verso coloro che hanno fatto un passo da gigante, che vivono o vivranno nel cuore pulsante della modernità, tra le reti ancora da programmare; sono, insomma, una metonimia dentro il vasto mondo. Non appartengo a una parzialità geografica. Ecco che cosa è successo: mentre altri narratori potevano appartenere a movimenti, a scuole letterarie, a singolarità senza orizzonti degli eventi, ebbene noi eravamo “scrittori calabresi” (santificati da qualche casa editrice, che coglieva la moda delle prospettive geo-letterarie). Rivendicare, ora e subito, il nostro agire cosmopolita, l’influenza del culto della soggettività libera da schemi preconcetti e partecipare alle nuove ondate: ecco casa sarà la nostra vita (letteraria) e non solo. Vogliamo una letteratura europea, mediterranea, deterritorializzata e eterotopica (e anche utopica)
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IN OCCASIONE DELLA PRESENTAZIONE DI “MILANO NON ESISTE” DI DANTE MAFFIA (IMPRESSIONI DELL’AUTORE).
“ Io vivo la letteratura come religione. In un’intervista ad Alberto Moravia gli fu richiesto di esplicitare le implicazioni di carattere politico e sociale de’ “Gli Indifferenti”: lo scrittore romano rispondeva che il suo romanzo era stato concepito durante la sua permanenza forzata a letto per via della malattia, la tubercolosi, che lo aveva colpito. Le sue letture in modo speciale i realisti francesi Balzac, Zola, de Goncourt, influenzarono la scelta di dare un piglio un po’ realistico al suo lavoro, ma non c’era nessuna intenzione politica o sociologica nella materia trattata. Gli aspetti sociali di un’opera costituiscono una cornice inevitabile, e sono sempre presenti nel momento in cui si da un taglio realistico a una qualsiasi narrazione. [per la genesi del romanzo]. Seguire la logica interna del libro “Milano non esiste”, poi le parole e le immagini sfuggono di mano: bisogna stare attenti, seguire le cose che vuoi dire, far combaciare le strutture e le forme. Il libro, nel mercato editoriale, sta andando bene, ha riaperto un tema, il personaggio è negativo, vive in una sorta di malattia. Il romanzo suscita dibattiti: mi sono arrivate alcune lettere ingiuriose perché accusano l’autore di essere antimilanese … ma sia “la Biblioteca di Milano” che “l’edizione Repubblica-Milano” recensisce positivamente il volume. Una lettrice mi chiede : con chi stai? Non mancano definizioni sarcastiche sul protagonista: viene definito “un mulo” La testimonianza più bella me la data l’attore Franco Nero che in una telefonata mi chiedeva “chi ti ha raccontato la mia storia?” (con la sola variante geografica di luoghi come Roma e Londra) Affronto un argomento, che diverrà opera, sempre in modo totale, approfondendo, non tralasciando nulla, con fine precipuo di trasmettere delle emozioni. Ho letto molta letteratura industriale (Ottone Ottieri in particolare), ma questo libro vuole rimettere in gioco una letteratura meridionale … “.
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U JUOCU STA’ FINISCIENNU. RICORDI SUL TEATRO SPERIMENTALE IN DIALETTO CALABRESE. Più di dieci anni (precisamente nel febbraio 2000) a Bologna fece tappa la compagnia teatrale Krypton di Scadicci, Firenze, una delle più importanti compagnie di teatro sperimentale italiano una realtà artistica creata dai fratelli Cauteruccio, Giancarlo e Fulvio. Era “Endgame (Finale di partita)” lo spettacolo che vidi (come tanti altri che vidi direttamente nella loro “tana”, al Teatro Studio di Scandicci, tra cui la prima di Ico-no!-clast, con Peppe Voltarelli) e che segnò definitivamente l’affacciarsi sulla scena teatrale di un’esperienza unica, che superando gli angusti riti del teatro di scena aveva portato a un uso creativo e rivoluzionario del dialetto calabrese, modulato sulla phonè assoluta di Samuel Beckett. Nella pièce beckettiana la scena è occupata da due personaggi, uno fisso, immobile e l’altro in frenetico e indefesso movimento da un capo all’altro del palcoscenico: altri due personaggi, i genitori, sono anch’essi poggiati come oggetti, privi di una coscienza agente ma semplicemente presenti. Il fatto è che non succede nulla, ma tutto è visibile a causa della moltitudine di immagini che si riproducono come specchi, facendo vedere tutto, ogni piccolo movimento, ogni posizione del corpo, ogni statico gesto, in una moltiplicazione parossistica per lo spettatore. L’idea di aver utilizzato il testo beckettiano per poter dispiegare un conflitto tipico della mediterraneità, i forti contrasti fra fratelli o familiari in genere, rende l’opera un unicum . Il grande critico, Franco Quadri, recentemente scomparso, suggellava con queste parole una sua interpretazione dell’evento: <<… i due fratelli-interpreti versano nei materiali di questo scontro, modellato su una partita di scacchi, un loro personale rapporto conflittuale, che li diversifica anche artisticamente: Giancarlo, il maggiore, è un regista volto alla ricerca figurativa dagli studi di architettura e recita qui per la prima volta e con efficacia, mentre Fulvio, il cucciolo, ci propone invece fluidamente le tecniche di una scuola d’attore. Ed eccoli entrambi sfigurati… >>. Dicevamo la lingua: l’operazione risentiva del lavoro culturale di un grande filologo, ora docente universitario ad Arcavacata , John Trumper, già autore del saggio “Una lingua nascosta.Sulle orme degli ultimi quadarari calabresi” (Rubbettino, 1996). La consapevolezza che una lingua possa ricreare, in funzione della sua stratificazione millenaria di sensi, significati e modulazioni espressive, è stata la base del successo decretato alla fine dello spettacolo, ove la diacronicità linguistica ha guadagnato in profondità ciò che era possibile perdere in superficie comunicativa. L’incontro con l’opera di Becket da parte della Compagnia Krypton ha una lunga storia: in tono autobiografico il regista aveva confidato di aver letto l’opera da giovane, mentre il primo impegno è stato sviluppato in Forse, uno studio su Beckett (1989), proseguito poi in L’Ultimo nastro di Krapp (1993) e Giorni felici (1995). Dello spettacolo possiamo dire, a distanza di tanti anni, che sanciva un modo espressivo che varrebbe la pena riprendere anche in questi tempi di eccessivo ripiegamento su canoni estetico-teatrali stantii (con qualche eccezione, naturalmente). 74
IL RITORNO DELLE “VERITA’ DI STATO” E I SUOI DIVULGATORI.
Verità Egregio direttore, che fossimo accomunati, noi contemporanei, dal mala tempora currunt si sapeva da un bel po’ di tempo a questa parte, ma vedere in che in situazione versa il pensiero critico o forte (inteso qui come quell’esercizio della ragione che non si limita alla superficie dei discorsi, ma osa indagare in profondità e in altre direzioni …) mi rende sempre più propenso alle dimissioni in toto da ogni agire politico e culturale, anche senza scadere nel cinismo della destra né l’opportunismo del centro né nella falsa sintesi operata dalla sinistra più compassionevole. Lei dott. Sansonetti ha ricevuto deus ex machina un quotidiano Calabriaora, che nonostante la sua giovane età gode di prestigio e autorevolezza presso i suoi lettori, tra cui il sottoscritto, che avevano o tendevano ad avere una sensibilità e visione delle cose in direzione ostinata e contraria e poco prona ai diktat dei “padroni” e delle corporazioni del mondo, anche del piccolo nostro mondo come la nostra terra. Invece in questi ultimi mesi l’omogeneità dell’interpretazione degli eventi che si susseguono in ogni meridiano e parallelo, sembra diventata la norma quotidiana di ogni giornale, compreso quello che lei dirige. Potrei citare lunghe frasi con cui avete analizzate le guerre e le rivolte del nord africa, i fenomeni epocali delle migrazioni, il ritorno al nucleare, i conflitti istituzionali, per poi ritornare ai nostri lidi, le narrazioni intorno al quel bluff rappresentato dallo scopellitismo come dottrina e “pratica” politica. Non le sembra, direttore, tutto un coro, con nessuna voce fuori misura? Anche la carta stampata non riesce a cogliere ciò che sta accadendo, ovvero il ritorno alle “verità di Stato”, ove per Stato qui intendo l’organizzazione economica-sociale-culturale (quindi una parzialità che sussume una totalità) espressa da un’élite, che direttamente o indirettamente, attraverso pratiche economo-centriche svolge le sue funzioni di gestione, direzione e controllo della società. Come definire il vostro discorso, se non in termini dei discorsi di Stato, quello sulle “navi dei veleni”? Una verità di Stato, ecco cosa proponete ( e una subordinata che attribuite subdolamente ai lavoratori del mare:chi pagherà le spese per aver infangato la nostra regione?, che potrebbe essere la frase di un qualsiasi dirigente del sottogoverno attuale). Non le sembra l’ora di andare veramente in fondo alle questioni così gravi? Vedo solo un addio alle inchieste giornalistiche eticamente responsabili (so che forse la parola “etica” non le piace: ma ci sarà pure una distinzione da fare tra etica personale ed “Etica di Stato”?); ecco ricorrere a tesi “complottarde”, con i soliti avventurieri della notizia emotivamente coinvolgente! Ma allora perché tutte quelle morti intorno a questi fatti? Grazie per l’attenzione.
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RICERCHE
Il viandante e la sua ombra. Ricerche multidisciplinari 2001-2010 RIFERIMENTI 1. Rombi B. – Faivre A. – Tristan F., L’Alchimia, ECIG Genova (1991) Riprendo a scrivere in margine ad una notte di consuetudine coi nuovi classici, una lettura da custodire fra i buoni ricordi. Dopo l’estate scorsa ho ripreso uno studio che ha le sue radici nella domanda: che cos’è la situazione reale? (legami fra mente corpo e spazio e tempo). Un giorno presso i giardini di Hebron ho incontrato un eremita … 1. Autori conosciuti citati: Busonov, Anghiliev, Zachar GERARD DE NERVAL Gerard de Nerval (pseudonimo di G. Labrunie). Nasce a Parigi il 22 maggio 1808. Suo padre è un ufficiale napoleonico dislocato in Polonia durante le guerre. Ed in Polonia muore la madre, alla giovane età di 25 anni. Il rientro alla vita civile del padre corrisponde la frequenza del Liceo (lycèe Charlemagne): tra i suoi compagni Theophile Gautier. Inizia a tradurre il Faust di Goethe (1828) e conosce il “principe delle lettere” Victor Hugo. Inizia ad interessarsi di teatro, componendo la pièce “Il principe degli sciocchi”, sua prima opera di drammaturgo, rappresentata al celebre teatro Odeon nel 1831. I suoi studi universitari nella facoltà di Medicina vengono abbandonati poco dopo: con una eredità può soddisfare la grande passione per i viaggi si sposta in Italia, in Germania Belgio e Austria. Conobbe l’attrice teatrale Jeanne (Jenny) Colon con cui ha una relazione emotivamente devastante. Fonda la rivista “Le Monde Dramatique” e collabora con alcune riviste letterarie, conosce e si lega in ottimi rapporti d’amicizia con Alexander Dumas. Fallimenti su fallimenti caratterizzano i suoi rapporti sentimentali. Nel 1841 (33 anni) inizia ad avere un disturbo nervoso sempre più grave che lo porta ad essere rinchiuso in una clinica specializzata. Dal 1843 riprende la sua passione per i viaggi, come una forma di lungo pellegrinaggio parte per Marsiglia, s’inbarca e raggiunge Alessandria d’Egitto, Il Cairo e si sposta in Libano, poi Cipro, Rodi e Costantinopoli. Compone numerosi scritti sull’Oriente e nel 1852 scrive un’ opera straordinaria: Gli Illuminati, la grande narrazione esoterica degli uomini senza spavento. 76
1. L’ermetismo, come concezione dell’uomo e del cosmo, è stata presente nell’Islam fin dalle origini, ma colui che sistematizzò questi orizzonti teologici fu TABHIT Ibn QORRA (morto nel 901), che tradusse in arabo le Istituzioni di Hermes. In Persia gli allievi di Al Kindî, fra cui lo scita (o presunto tale) Sarakhshî (morto nell’ 899) furono conoscitori della Religione dei Sabei, continuazione delle grandi correnti zoroastriane e manichee che per secoli hanno caratterizzato la spiritualità del medi oriente (cfr: H. Cobin, Filosofia islamica). RICERCHE Per una storia degli scrittori di Bologna Negli anni 80 del XIX secolo si può parlare di una contrapposizione fra la scuola storica interpretata dal Carducci e suoi allievi, contrapposta alla scuola hegeliana rappresentata da Francesco De Sanctis, così nel nuovo secolo si può parlare della lunga influenza di una scuola positivistica o neopositivistica che ebbe il suo massimo esponente nel matematico Federigo Enriques, contrapposto nei dibattiti culturali, al neoidealismo egemonico dei dioscuri, del napoletano Benedetto Croce e del tosco-siciliano Giovanni Gentile (cfr Storia di Bologna, a cura di Renato Zangheri, pag. 320) Francesco Fiorentino (calabrese, filosofo neokantiano). Nel 1872, fino allo scoppio della prima guerra mondiale, fu chiamato a insegnare Storia della Filosofia il catanzarese FRANCESCO ACRI:… non si stancò mai di predicare un metodo interpretativo che sapesse accoppiare all’intelligenza teorica l’auscultazione dei minimi echi verbali, da cogliere magari con la lezione di Platone congiunta alla nervosa esegesi stilistica e logica di un Fornari e di un Trendelenburg, dei quali fu egli allievo (op. cit. pag. 321) Fu quest’ultimo autore di DEL SISTEMA IN GENERALE E DEI RAGIONAMENTI CONTRO AI VERISTI FILOSOFI, POLITICI E POETICI (1867 il primo, 1885 il secondo tomo). Marinetti e alcuni futuristi furono a Bologna (Teatro del Corso) dove allestirono happening. Una rivista futurista ebbe corso in questa città: “Laghebia” nel 1919. L’esponente bolognese più importante del futurismo fu UMBERTO NOTARI. Il poeta Bino Binazzi fu amico di Dino Campana e fu l’iniziatore della rivista letteraria e artistica LA BRIGATA (1916-1919). Anni ’30 e ’40 (Novecento) ANTONIO MELUSCHI, autore di “Pane” e “Strada” (romanzi usciti negli anni trenta), poi de’ “La morte non costa niente” (1944), “Adamo secondo” (1952); “La fabbrica dei Bambini” è del 1955 mentre la favola rabelesiana l’ “Avena del Diavolo” uscì nel 1962). Costante fu il suo impegno di giornalista su “Il Progresso d’Italia” diretto da Enzo Biagi. I GIUDIZI I giudizi variano. I giudizi sugli uomini variano nel tempo, nel sistema culturale di riferimento e nel senso che acquistano presso i nostri contemporanei, rispetto a quelli vissuti prima e rispetto a quelli che verranno. Ecco che diviene difficile coniugare, a questo punto, un giudizio su quell’uomo fra gli uomini che è lo scrittore. Si può essere, in fin dei conti, un buon scrittore e un pessimo uomo, e viceversa. E gli esempi non mancano, né mancheranno. Letture contemporanee Albert Caraco, Brevario del Caos; Edgar Allan Poe,Le avventure di Gordon Pym”; Aa.Vv., introductio Plato; Lettura settimanale del Domenicale/il sole 24ore. Altre letture, periodo inverno NOV._DIC: Felice Ramondino, Mitologia classica Hoepli (1921); carlo Michaelstaedter, La persuasione e la retorica, Adelphi 1990; Luciano Canfora, La biblioteca perduta, Sellerio, 1989; Ancora Suskind (Profumo, romanzo); D. Memorie del sottosuolo; I Gialli classici (Wallace, Dine); il poco credibile poe (ma che genio linguistico!); un americano notevole J. Ellwood; uno un po’ meno: Ellis. 77
RICERCHE ANNIE BESANT (IRLANDESE). Su consiglio di Cesare Bermani “La Gerusalemme rimandata” di V. Foa I libri hanno una strana vita propria: sembra che dimenticati in quel contesto storico-discorsivo ove sono nati, riemergono con altra natura e funzione, non prevista né prevedibile, in un periodo altrettanto impensabile ( e per questo più interessante) e si avviano ad una seconda vita che è anche una seconda natura. E così via. UNA LETTERA MAI SPEDITA. C’erano tempi in cui succedevano storie che, passate da voce a voce, successivamente le trovavi scritte su pagine di un libro. Ora, caro Matteo, quei tempi non sono più i nostri. Per una coincidenza - come chiamarla altrimenti!- direi proprio casuale, le magnifiche/terribili istigazioni a vivere sono diventate istigazioni a morire, mentre le capacità di sopravvivenza sono la “forma” con cui sostanziamo noi stessi la nostra vita. Ora, caro Matteo,siamo come inchiodati dal freddo che regna fuori, tra le mura vecchie e le strade falsamente “tornate indietro”, un lavoro di merdre per questi urbanisti, che anch’io a fatica percorro … Carlo Sini, Etica della scrittura, il Saggiatore, Milano 1999 David Harvey, L’Esperienza Urbana, Laterza (?), Bari (nrd)
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Indice 2
Origini. Come e perché nacque kropio blog
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Blog. Kropion. I blog… vuoti!
6
Scrittori e scritture. Francesco Leonetti
6
Gioacchino Criaco
8
Libri. “La nave dei veleni”
11
Scritture. Per un inizio
12
Jose’ Saramago. In memoriam Giovane narrativa. “Rumore” di Licciardi
13
“Prima dell’ultimo tuono” di F. Russo
18
Segni-Arte. Dipingere in Meridiana
19
Arte.Meridiana Passaggio a nord-ovest
20
Il lettore. Sulla disfatta della lettura
22
Il pensiero meridiano
23
Gli aperitivi culturali
27
Minimo alfabeto calabrese
31
Riflessi
36
Musica
41
Il mestiere dell’editore
46
Libri
48
Filosofia
69
Sette anni di vacche magre
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Ricerche
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Free press for free mind Settembre 2012.
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