Andrea Amato - LITUUS - Gli Etruschi e le energie della Madre Terra

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Andrea Amato

LITUUS

Gli Etruschi e le energie della Madre Terra I sentieri nei luoghi attraverso le emozioni di un giovane Ă ugure

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OaC edizioni

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I Viaggi dell’Asino


Gli uomini vivono, lottano, amano, muoiono. Durante la loro esistenza compiono gesti il più delle volte insignificanti, qualche volta assolutamente riprovevoli oppure straordinariamente benefici. Alcuni di questi gesti lasciano per sempre il loro segno nell’esistenza di molti altri uomini. In realtà non c’è nulla che non lasci un segno permanente nella vita di tutti noi. L’insieme di tutti questi gesti, di questi eventi, viene comunemente chiamato “La Storia” e gli uomini la scrivono perché se ne conservi memoria. Come se ce ne fosse bisogno, la scrivono anche sulla carta. Quella che avete fra le mani è una storia scritta molti secoli fa. Nel tufo. E l’autore l’ha letta nel tufo e ce ne ha rimandato il fascino che lo ha colpito quando era ancora un ragazzo. È certamente piacevole rileggerla oggi sulla carta. Ma forse era già scritta anche nella nostra memoria.

I Viaggi dell’Asino


I Viaggi dell’Asino


Della stessa collana Apuleio L’asino d’oro - Metamorfosi

Ideazione e organizzazione Sergio Centioni Progetto grafico Vito Maria Fimia

© 2012 OaC edizioni Corso del Popolo, 36 - Grottaferrata (Roma) Tel. e Fax 06.9459758 - cell. 328.4524160


Andrea Amato

LITuus

Gli Etruschi e le energie della Madre Terra I­sentieri­nei­luoghi­attrav­­erso­le­emozioni­ di­un­giovane­àugure A cura di Bruno­Del­Greco

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OaC ediz i oni

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Disegni di Vito­Maria­Fimia



COnTEnuTI

PREFAzIOnE LITuus

Il Lituus La necropoli della Banditaccia un etrusco a Piazza del Popolo Caile Vipinas A Caere il giorno di Diòniso e Cibele Tages e la sibilla Cumana La Grande Ruota Il vento nelle mani Il giorno delle folgori Il volo degli uccelli La fondazione di statnes Lungo il Biedano CARTOLInE DA un MOnDO sOTTILE Appendici e materiali I sentieri nei luoghi Glossario Indice delle immagini InDICE



PREFAzIOnE

L’eredità degli etruschi – Il mistero Il desiderio di conoscere chi erano gli etruschi o, se si vuol proprio usare un’espressione teatrale, di “svelarne il mistero”, va molto al di là di un’ovvia necessità da specialisti o anche della legittima e assai apprezzabile curiosità di tanti appassionati di storia antica e di archeologia. Ci sono tanti popoli antichi di cui sappiamo poco o quasi nulla ma, di solito, ce ne facciamo una ragione. scegliamo, a caso, gli Ittiti. Quel che sappiamo di loro è estremamente più limitato di quanto ci è pervenuto ed è stato consolidato riguardo a diversi popoli a loro vicini nel tempo e nello spazio: sumeri, Assiri, Babilonesi, Ebrei e via discorrendo, cioè i nomadi che dopo avere a lungo scorrazzato si erano alfine insediati nella vasta “terra di mezzo”. Ma non ci preme altrettanto di svelare anche “il mistero degli Ittiti”. Ci illudiamo che sia sufficiente conoscere bene quegli altri loro vicini anche se questo, viene da pensare, potrebbe rivelarsi un errore grossolano. Da qualche decennio, invece, l’approfondimento dello studio sugli etruschi è assai “di moda”, non soltanto fra una certa categoria dei tusci di oggi, sempre molto disponibili ad approfondirne le tombe e soprattutto il loro contenuto, ma fra gli studiosi e gli appassionati anche non italiani, con particolare riguardo a quelli di cultura nord europea, le cui pulsioni sono certamente meno venali.


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È probabile che questo desiderio di ulteriore conoscenza sia reso così intenso da una coppia di sensazioni fra di loro molto contrastanti, quasi contrapposte. La prima sensazione è che noi siamo, oggi, in gran parte, quel che furono un tempo gli etruschi e che siamo permeati dalla loro cultura quanto meno come da quella greca e latina. La sensazione opposta è che per noi, oggi, la potenza creativa dell’anima etrusca sia perduta per sempre e quindi irraggiungibile, senza possibilità di remissione, se non grazie a qualche sorta di miracolo. Da loro ci separa un muro impervio che è stato costruito ad arte dai romani e, per scelta di spirito, dagli stessi etruschi. Questi ultimi, infatti non usavano scrivere la loro storia o, quanto meno, noi non ne abbiamo ancora trovato tracce sufficienti. Da questo punto di vista, neppure l’eventuale ritrovamento di una nuova, ipotetica “stele di Volterra”, di efficacia pari a quella di Rosetta e quindi molto superiore a quanto è stato possibile ricavare dalle “lamine di Pyrgi”, potrebbe farci compiere decisivi passi in avanti sul piano della conoscenza perché quel che ancora farebbe difetto sarebbe comunque la sostanza storiografica. Parrebbe, in un certo senso, che gli etruschi non amassero parlare troppo della loro storia. si “limitavano” a viverla sebbene lo facessero con grande intensità e molta, molta passione. Di conseguenza non hanno consegnato alla posterità parole scritte in abbondanza salvo che nel linguaggio dei segni e dell’architettura. La parte di muro costruita dai romani, invece, ha una caratteristica più maligna. I romani ebbero il non piccolo merito di conquistare quasi tutto il mondo da loro conosciuto o, quanto meno, questo è ciò di cui si mostravano convinti. Dopo averlo conquistato, un pezzo dopo l’altro, procedettero a civilizzarlo, chiaramente alla loro maniera un po’ rude, ma anche questo è comunque meritorio. È forse invece da considerare deprecabile, quanto peraltro inevitabile, il fatto che abbiano conquistato, insieme a tutto quel territorio e a quei popoli, anche il diritto di rappresentarli (terra e popoli) ai posteri.


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Il che potrebbe sembrare poca cosa da un punto di vista strettamente politico ma che, nella prospettiva del tempo, è perfino più determinante. Lo è sicuramente per noi, che osserviamo il mondo antico attraverso le lenti filtranti dei romani e percepiamo talvolta immagini poco veritiere e, spesso, neppure troppo credibili. Per fare solo un esempio banale, può essere interessante chiedersi chi comandava a Roma durante l’epoca dei sette re di Roma? I romani! Parrebbe essere l’ovvia risposta. Macché! E’ molto più probabile che comandassero gli etruschi, però non lo sappiamo più, e questo, sia pure sotto tortura, gli storici romani più in voga non lo avrebbero mai ammesso. Il punto è che gli storici romani, Tito Livio in testa ma non solo lui, paiono avere scritto su commissione quel che i potenti del Campidoglio desideravano fosse scritto o, viceversa, omesso quel che, a maggior ragione, doveva essere sottaciuto. un argomento sopra ogni altro andava negato anche a costo di rendersi poco credibili: l’evidenza dell’egemonia culturale, economica e politica degli etruschi sui romani che si mantenne fino alla piena maturazione dell’età repubblicana. Eppure, coscienti di queste gravi difficoltà, continuiamo a chiederci con passione in che cosa siamo ancora oggi etruschi e che cosa abbiamo irrimediabilmente perduto della loro eredità. nello spazio di queste brevi pagine introduttive non è opportuno neppure abbozzare una risposta a queste domande ma possiamo comunque sviluppare qualche riflessione d’altro genere. La Storia – o una storia?

Con quale spirito, dunque, si leggerà un’opera letteraria che ha il taglio di un romanzo di formazione ma che è ricchissima di descrizioni e dettagli molto credibili sulla vita e il pensiero degli etruschi? se la si considerasse un romanzo storico, si finirebbe con l’esaltarne l’aspetto storico o l’aspetto romanzesco? E, di conseguenza, si darebbe grande importanza alla veridicità dei dettagli oppure li


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si accetterebbe così come sono, in quanto elementi funzionali alla creazione letteraria? In fondo la risposta non ha grande importanza per il lettore, che ha il diritto e il piacere di affrontare un’opera come meglio crede, ma la questione ha notevoli ricadute sul concetto di storia, intesa come disciplina scientifica e, quindi, con regole molto precise da rispettare.

L’atto di scrivere storia può essere definito come la produzione di resoconti veritieri sugli eventi umani. Per farlo ci si basa sulle fonti cioè, in definitiva, sulla memoria dell’uomo che è dunque contemporaneamente oggetto e strumento di questa scienza.

È compito dello storico (un uomo) raccogliere e verificare le fonti che, a loro volta, sono prodotte da altri uomini, il che può generare più di qualche perplessità sul requisito essenziale della scienza di produrre dei risultati assolutamente veridici. La storia scritta (da uomini) non può infatti che essere soggettiva, parziale e provvisoria benché i fini a cui tendere rimangano la ricerca della verità e lo sguardo obiettivo dello storico.

I filosofi degli ultimi tre secoli hanno ponderato a lungo sulla questione, quelli tedeschi lo hanno fatto con particolare profondità, e hanno elaborato concetti come l’idealismo romantico o il materialismo dialettico nei quali il “motore” della storia differisce, essendo in un caso lo spirito e nell’altro la struttura economica, ma il risultato si equivale producendo per entrambi un esito assoluto e necessario che non lascia spazio al caso.

Oggi la filosofia appare meno entusiastica e fiduciosa e se ne può comprendere agevolmente il motivo: dopo aver constatato e dichiarato il realizzarsi della finis­storiae e della morte di dio, assistiamo impotenti e mansueti alla terza piaga dell’umanità, la liquefazione delle fonti nel crogiuolo della comunicazione globalizzata. A parziale conforto, si può sostenere che di qui in avanti non può capitarci altra cosa peggiore ma bisogna rendersi conto che la consolazione è davvero magra. Prendiamo dunque atto, come hanno già fatto alcuni studiosi particolarmente avvezzi


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alla consultazione degli archivi storici più ricchi e riservati, che la gran parte delle fonti documentali brillano per la comune caratteristica di essere, in piccola o grande misura, falsificate già all’atto della loro stesura, se non coscientemente e deliberatamente, almeno a causa di quegli elementi di soggettività, parzialità e provvisorietà che fatalmente contengono.

Constatiamo dunque con un certo sgomento che l’enorme affresco della storia poggia su uno strato di intonaco assai fradicio e che, naturalmente, in un mondo dove se tutti sono falsari nessuno lo è, chiunque si sente in diritto di pubblicare in rete la propria personalissima interpretazione dell’universo e della storia. Il padre di chi scrive, che non era un filosofo ma che era dotato di un solido buon senso, ripeteva spesso animosamente che la storia non può essere scritta prima che siano trascorsi almeno cinquant’anni dal verificarsi degli eventi narrati e, ripetutamente, sottolineava la parola “almeno”.

Il sommesso parere dell’estensore di queste note, che già tanti anni addietro fu coinvolto in lunghe, accese discussioni con suo padre, è rimasto, come allora, che poco importa che sia passato un solo istante oppure tre interi millenni. La fallibilità della storia non muta anche in presenza di quell’elemento discriminante dato dall’onestà intellettuale dello storico e, ovviamente, dalla profondità della sua scienza. L’impresa di descrivere compiutamente l’evoluzione dei propri simili resta comunque oltremodo ardua, per quanto saggio sia l’uomo che l’affronta.

nel corso dei secoli, la filosofia è stata lo strumento tramite il quale gli uomini hanno tentato di dialogare con gli dei mentre la matematica, e la sua figliuola, la fisica, sono le arti con le quali il dio, o se si preferisce, il demiurgo, si sforza da sempre di dialogare con gli uomini.

Purtroppo, il più delle volte, questo cicaleccio confuso si è risolto in un dialogo tra sordi perché la filosofia si smarriva nel labirinto della metafisica e la matematica non riusciva a far quadrare i conti con l’indecidibile.


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Celio Vibenna – La storia

Quando la politica si impadronisce della storia è abbastanza naturale che la distorca per i propri interessi di bottega. Quando invece lo fa la letteratura, l’intento utilitaristico è assai meno scontato, crediamo anzi che nella maggior parte dei casi non lo sia, ma la realtà ne esce comunque trasformata. sia la politica che la letteratura propongono un’immagine differente dalla realtà ma la letteratura lo ammette candidamente e fa di questa trasfigurazione il proprio scopo ultimo. Il contenuto di quest’opera insegue le tracce di un personaggio realmente esistito attraverso le vicende della sua evoluzione personale, da adolescente scanzonato e facile preda della propria sensualità ad àugure illuminato e conscio del proprio ruolo. Il personaggio storico è Caile Vipinas (o, per i latini, Celio Vibenna) nel periodo della sua esistenza in cui è ancora ignaro del proprio futuro: in quella fase in cui è solo il giovane rampollo di una nobile famiglia etrusca di Caere anche se pare destinato a diventare uno dei re di Roma. non lo diventerà. Ad assumere quella carica prestigiosa e il potere materiale ad essa connesso sarà invece il suo servo Macstarna che assumerà il nome più noto di servio Tullio. L’ascesa al potere, a spesa del precedente sovrano Tarquinio, etrusco anche lui, sarà realizzata con il supporto militare e politico del protagonista, Caile, e di suo fratello Aule Vipinas. Poi verranno altri eventi, tragici, sanguinosi, come sono sempre quelli connessi con il potere. Dopo altro tempo, altro sangue, l’epoca etrusca si estinguerà sommessamente, al termine di alcuni secoli cominciati con un lungo viaggio attraverso le terre e i mari alla ricerca dei metalli e di una nuova patria da colonizzare. Qui si arresta la storia degli etruschi, il popolo di Rasenna. Il racconto invece si ferma molto prima: il suo protagonista, Caile, non sembra nutrire alcun interesse per la possibilità di entrare nella storia. Quello che gli importa veramente è di trovare se stesso e, nel frattempo, di divertirsi più che può. Per questo af-


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fronterà le prove iniziatiche, alcune davvero traumatizzanti, che lo faranno diventare un àugure, uno dei dodici sommi, con la disinvoltura un po’ folle di un adolescente che si considera quasi immortale e la leggerezza consapevole di chi avverte, dentro di sé, la propria natura quasi divina. noi lettori, che lo seguiremo nel suo percorso, scopriremo una pagina dopo l’altra come si svolge l’esistenza di un giovane aristocratico etrusco, impareremo, dopo qualche comprensibile smarrimento e con l’aiuto del ricco glossario che integra e conclude il volume, il significato delle parole che lui usa. Impareremo, per esempio, a distinguere fra le diverse forme di coppa o di calice, un Kantharos, un Kylix o un Kyatos; fra i vari contenitori per il vino, un Hidriai, il bacile di bronzo, e un Oinochòe oppure un Olpe, le brocche di bucchero; fra le diverse cerimonie religiose, un Cexa, un Extispicium, un Helna, una Nuktelia; fra i Vinaia­di­Celusna e quelli di Tuxulxa, gli dei celesti e quelli inferi. Entreremo nel centro, pulsante di vibrazioni mistiche, delle cerimonie iniziatiche: il suono officiato dai dodici sacerdoti, il corteo dei Misteri delle acque, lo sprofondare nei labirinti degli dei in cerca della Grande Madre e la successiva resurrezione, la terrificante cerimonia delle folgori sull’isola di Ilva, la fondazione della nuova città di statnes e, in conclusione, le sconvolgenti rivelazioni ricevute durante il funerale di Aranthur. nel corso del racconto, entreremo progressivamente più in profondità nell’animo del personaggio e intanto percepiremo in sottofondo qualcosa che sembra un contrappunto musicale in sordina e che descrive le sensazioni di un narratore molto lontano nel tempo dietro al quale si nasconde lo stesso autore. In un gioco incrociato di ricordi la storia si dipana, ritmata da una sensazione ricorrente, quella dell’aria frizzante del mattino nella campagna di Tuscia, che accompagna costantemente i personaggi del racconto. Chi decidesse di visitare quei luoghi, potrà fare buon uso delle dettagliate cartine che si trovano in appendice, assieme a un utile corredo di note e approfondimenti del testo, scoprirà come quella frizzante aria mattutina sia davvero difficile ritrovarla e, in breve


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tempo, si renderà conto che l’atmosfera a tratti opprimente del bosco attuale non testimonia tanto l’evidenza di un cambiamento climatico quanto il trascorrere inesorabile di un processo di decadenza. Dove il racconto ci rendeva di continuo l’immagine di un bosco pulsante di vita e percorso da flussi armoniosi di correnti energetiche, oggi troviamo il caos desolante di sterpaglie aggrovigliate e caducità immonde e il fantasma di un mondo morto che sta precipitando su se stesso. soltanto lo sguardo acuto di chi sa cogliere i segni di antiche memorie riesce a percepire qua e là scintille di forze ancora palpitanti ma sempre più deboli come se stessero per esalare il loro ultimo respiro. Lituus – Il racconto di un sogno

Il libro che avete fra le mani contiene tuttavia una sottile forza da cui emana una energia altrettanto sottile e, se ci si lascia trasportare nel modo giusto, si riesce a percorrere quei sentieri nel bosco percependo il senso profondo di quelle vaghe scintille di memoria. Come quella memoria sia emersa e si sia radicata nello spirito creativo dell’autore del testo non è dato sapere. Ma questo è ciò che sempre accade nella creazione letteraria. Fatto sta che un processo del tutto analogo deve essere accaduto anche nell’animo dell’autore delle immagini, tant’è che fra i due si è realizzata una singolare simbiosi creativa. Al punto tale che, ad opera completata, riesce difficile disgiungere i contenuti espressivi del testo da quelli delle illustrazioni che rendono la narrazione ancor più immaginifica di quanto già essa sia. Questo libro è dunque composto, in maniera inscindibile, di parole e di immagini e, difficilmente, si potrà guardare alle une separandole dalle altre. Le illustrazioni paiono, a prima vista, vagamente oniriche ma, in realtà, nell’osservarle attentamente, sembrano plasmate nella sostanza della divinazione più che in quella dei sogni. In quel ma-


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gico concretizzarsi improvviso dell’anima­rerum che ricorda i fumi delle campagne quando si addensano nella calura estiva e si aggrovigliano in spirali e spigoli frastagliati a formare immagini di spiriti e di belve fantastiche. sembrano composizioni di frammenti olografici, come quando si guarda, con l’occhio abbandonato, un insieme confuso di segni e, all’improvviso, se ne vede emergere un’immagine profonda, che se ne stava annidata in uno spazio sconosciuto e che ora salta fuori e si lascia percepire. Per fruire appieno di quest’opera e gustarne il fascino sottile è sufficiente coglierla in questo modo istintivo, senza chiedersi tramite quale conoscenza della così detta “storia reale” sia nata quella di Caile e del suo magico Lituus,­che sarebbe riduttivo confinare nell’ambito della sola fantasia. Ci basti il riferimento, appena accennato nel secondo capitolo, al momento in cui un ragazzo, sicuramente molto sensibile, si “illumina” di fronte alle tracce di un mondo che gli era rimasto sino ad allora sconosciuto e che gli si imprime e gli si radica per sempre nella memoria del corpo. Certamente nel cuore, cioè nel luogo da cui emana il sentimento di empatia verso il modo di vivere di genti e di singole persone prima sconosciute; certo nella testa, il centro delle percezioni sensoriali dove si sono accumulate nel tempo tutte le notizie apprese e le immagini delle cose viste con i propri occhi e toccate con le proprie mani; sicuramente, nel fegato che si è spesso immaginato essere la sede della fantasia creativa e che, come quello delle vittime sacrificali, era in grado di svelare le verità più arcane; indubbiamente molto nell’anima dove potrebbe essersi cristallizzata, perché no, la memoria latente di un Caile reincarnato. O forse, chissà, solo fra le nuvole evanescenti della fantasia. Ma a noi piace immaginare un percorso di conoscenza molto più terreno e tangibile, pur se impreziosito dal più classico dei luoghi comuni letterari. Ci piace cioè immaginare l’autore nell’atto di raccogliere, come per caso, fra le necropoli di cui ha tanta consuetudine, un antichissimo e prezioso reperto, uno di quegli immancabili manoscritti


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di cui è costellata la letteratura e che ha trovato, come per miracolo, in forma di rotolo, strapieno di informazioni vergate in miriadi di caratteri, come quelli etruschi, fitti, puntuti e impenetrabili all’intelletto delle persone comuni. Che ha trovato, nel caso specifico, ben nascosto in un olpe, una di quelle stupende brocche da vino che sapevan fare soltanto loro. soltanto loro, in tutto il mondo conosciuto. Insomma: un manoscritto ritrovato in un olpe divino. Bruno­Del­Greco


LITuus


Populonia

˚ ˚˚˚˚˚ Porto Argos ˚ ˚˚ ˚˚˚˚˚˚˚˚ ˚ delle folgori ˚ • Altura • ˚˚ ˚˚˚ ˚˚˚ ˚˚˚ Statnes ILVA ˚˚ • ˚˚ ˚˚ ˚˚˚ ˚˚ ˚˚ ˚˚ ˚˚ Vulci ˚˚˚˚˚ ˚˚ ˚˚ • ˚˚˚ La ˚grande ruota ˚˚• ARGENTARIO ˚˚˚˚˚˚ ˚˚˚ ˚ ˚˚˚˚ ˚˚˚ ˚•˚• Cortuosa Blera ˚˚˚˚˚ •˚˚ ˚˚ ˚˚ Gravisca ˚˚ ˚˚ ˚˚ Caere •˚˚˚• ˚ Pyrgi

Il­viaggio­dell’àugure­Caile


Il Lituus

Il Lituus è un bastone ricurvo, apparentemente semplice, di un materiale non necessariamente pregiato. Eppure è un segno del potere mistico o, per meglio dire, del volere mistico. Veniva brandito da un sacerdote, l’àugure, che non prendeva decisioni. In realtà le decisioni erano già state prese politicamente ma il Lituus determinava il fas o il nefas, indicava se le azioni fossero gradite o meno agli Dei. Oggi ne resta traccia in mano al clero cristiano: il bastone pastorale ne replica la curva, l’energia mistica, il potere evocativo ma non richiama più il vibrare della sua arcana funzione. Il Lituus è forse l’espressione più sincera, più sintetica dell’essenza del popolo etrusco. una linea e una curva che accenna ad una spirale. È forse il modo più semplice per definire il rapporto di un etrusco con la natura. E la cosa non si complica di molto se le vibrazioni emesse dalla sua forza tellurica intrinseca devono essere gestite da un sacerdote, appunto l’àugure.


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LITuus

Quello che affiora nella mia mente remota è l’amore per le cose semplici, per le antiche conoscenze, per il vivere la natura con incanto e rispetto. Questo scritto è un tuffo in una cultura che sembra non appartenerci più, una serie di cartoline di un viaggio fantastico di oltre 2600 anni fa, in luoghi che esistono ancora e che mantengono intatta la loro forza seppure traviati e corrotti dall’uomo. Dall’uomo, non dal tempo. un viaggio al fianco di Caile Vibenna, condividendo le sue emozioni di giovane àugure, vissute per esperienze evolutive, per salti quantici ma con la freschezza di un ragazzo, con la freschezza del manifestarsi del divino attraverso le energie della natura: il mistero, la consapevolezza, il rito, l’iniziazione, l’azione e il passaggio del testimone della conoscenza. Cartoline da un tempo che fu, ricevute da un viaggiatore dei nostri giorni. E, come un vecchio amico da cui ormai siamo abituati a ricevere cartoline, si finisce per ricordare più nitidamente la prima spedita, quella più inaspettata, la più sorprendente, non tanto per il contenuto ma per l’emozione di essere nei pensieri del nostro amico che, seppure in viaggio, ha voluto condividere con noi un ricordo. La prima cartolina, il primo ricordo, viene da Cerveteri ...


La necropoli della Banditaccia

un caldo pomeriggio estivo di quasi trent’anni fa, un gruppo di amici, annoiati dalla routine di spiaggia, decisero una “avventura”. una ragazza rivelò agli altri la conoscenza di un “luogo magico”. Più che altro per non contraddire l’irascibile personaggio, accettammo la gita nell’entroterra. Oltrepassammo il centro abitato e, dopo alcuni minuti, percorrevamo un viale alberato dove le radici sconnettevano la nostra andatura. Pochi istanti ancora e austeri tumuli sepolcrali annunciarono la necropoli etrusca.



Indice delle immagini

3 5 7 9 13 21 24 29 31 33 36 43 50 53 60 66 69 72 77 81 85 88 93 99 105 108 111

Il Lituus è un bastone ricurvo Le radici della necropoli Il vento che soffia dal tufo un obelisco nella foresta La selva di bucchero Lava d’argento sui fiordi I Dodici risonanti nell’omphalos Voci melliflue sotto i platani Tages ammaestra le genti di Rasena Due viandanti fra le brume del Biedano La sentinella della Grande Ruota I labirinti del cielo profondo L’energia vibrante del Lituus Il profumo di Velaria Il teschio di cristallo una cavalcata folgorante Lo spigoloso profilo dei sacerdoti di Thuban Il respiro avvolgente della divinità fra i tatanus umbræ Manales Il perno sul Mundus La burrasca dei ricordi Il bagno affacciato sulle stelle Il distacco della crisalide L’abbraccio degli àuguri In cammino per un sentiero liquido Incontro alla Grande Madre L’armonia del cosmo



InDICE

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3 5 9 13 17 29 33 53 63 69 77 85 103 113 127 131

PREFAzIOnE di­Bruno­Del­Greco LITuus

I – Il Lituus II – La necropoli della Banditaccia III – un etrusco a Piazza del Popolo IV – Caile Vipinas V – A Caere il giorno di Diòniso e Cibele VI – Tages e la sibilla Cumana VII – La Grande Ruota VIII – Il vento nelle mani IX – Il giorno delle folgori X – Il volo degli uccelli XI – La fondazione di statnes XII – Lungo il Biedano C ARTOLInE

DA un MOnDO sOTTILE

Appendici e materiali I sentieri nei luoghi Glossario Indice delle immagini


Questo libro secondo della collana I­Viaggi­dell’Asino viene stampato nel carattere Palatino Linotype su carta Burgo Ivory nell’ottobre del 2012 per conto della OaC Edizioni presso IKOnE srl - Piedimonte Matese (CE)


Andrea Amato, nato a Roma il 18 marzo 1965. Appassionato di archeologia e studioso di Geometria Sacra. Esperto di Energie Sottili e di “Biocompatibilità e riarmonizzazione ambientale”, insegna E.B.B. (Energetic Building Biology). Con un gruppo di ricercatori ha fondato l’Aetere’s. Lituus è la sua prima opera narrativa. E-mail: a.amato@aeteres.com

Grafica di copertina: Vito Maria Fimia


I Viaggi dell’Asino

Cartoline da un tempo che fu ...

... il mistero, la consapevolezza, il rito, l’iniziazione, l’azione e il passaggio del testimone della conoscenza ...

€ 14,00


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