Cormac McCarthy. Estratto da Guida alla letteratura degli Stati Uniti Odoya 2014

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Carta d’identitĂ

Cormac

McCarthy

Nome completo Charles McCarthy

20 luglio 1933, Providence (Rhode Island) Scrittore, sceneggiatore

Opere consigliate Meridiano di sangue

Suttree

Blood Meridian or the Evening Redness in the West

Cavalli selvaggi All the Pretty Horses

La strada The Road


in Questo capitolo

Cormac

McCarthy di C. Scarpino

Un uomo compatto, alto poco meno di 1,80 anche con gli stivali da cowboy […] cammina con un saltello […] aspetto curato e armonioso nell’incanutire, occhi celtici azzurri incastonati in una fronte alta

Così suona la descrizione fisica di un Cormac McCarthy quasi sessantenne, firmata nel 1992 da Richard Woodward, il giornalista del New York Times che strappa all’autore di Meridiano di sangue, allora in procinto di pubblicare il bestseller Cavalli selvaggi, la sua prima intervista. Per la seconda, sempre a opera di Woodward, bisognerà aspettare altri tredici anni. Nonostante la sua opera sia associata con il Sud e il Sud­ ovest, McCarthy nasce nel New England, a Providence, Rhode Island, nel 1933. Proviene da una famiglia cattolica e numerosa che si trasferisce, quando ha soli cinque anni, a Knoxville, nel Tennessee, dove il padre avvocato diventa

Asimov Auster Baldwin Barth Barthelme Bellow Burroughs Capote Carver Cheever Cisneros DeLillo Dick Didion Doctorow Ellison Ellroy Kerouac King Kingston Lansdale Le Guin Mailer McCarthy Momaday Morrison Nabokov O’Connor Paley Puzo Pynchon Roth Salinger Silko Tyler Updike Vonnegut Walker Wallace


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consulente per la tva (la Tennessee Valley Authority, uno dei progetti federali più imponenti avviati dal New Deal di Franklin Delano Roosevelt). Se «crescere nel Sud», dirà McCarthy, significa «vedere molta violenza», il senso d’inquietudine e necessità che contraddistingue tutta la 278 sua produzione letteraria potrebbe anche affondare in un’infanzia felice e agiata trascorsa però all’ombra degli anni difficili della Grande Depressione. Non è forse un caso che il suo romanzo più recente si chiami La strada (2006) e rievochi, in tonalità annichilenti e post-catastrofiche, il viaggio detta«Non sono un fan degli to dalla sopravvivenza di molte opere degli scrittori latinoamericani, del anni Trenta, da Furore di John Steinbeck a realismo magico. Insomma, è già abbastanza difficile Vagabondi nella notte di Tom Kromer. far credere alla gente ciò Fino ai quarant’anni, la vita adulta di che racconti senza renderlo McCarthy trascorre, un po’ come per il coimpossibile. Si deve essere etaneo Raymond Carver, all’insegna della vagamente plausibili». precarietà finanziaria. Nel 1953, dopo aver lasciato il college, entra nell’Aeronautica militare e rimane di stanza in Alaska per due anni. Terminata questa parentesi, riprova l’università, confrontandosi con i primi tentativi di scrittura e pubblicando due racconti. La via del college, tuttavia, è abbandonata definitivamente in seguito al breve matrimonio con Lee Holleman e alla nascita, in una catapecchia senza elettricità ai piedi delle Smoky Mountains, del primo figlio nel 1962. Con la separazione dalla Holleman, per McCarthy comincia una fase di stenti che lo vede spostarsi in cerca di lavoro dal Tennessee al North Carolina a New Orleans. Nel 1965 pubblica Il guardiano del frutteto, ambientato nella regione degli Appalachi, che segna l’inizio della prima fase della sua produzione (1965-1985). Mentre è a Ibiza con una borsa di studio della Rockefeller Foundation scrive Il buio fuori, pubblicato nel 1968. Tornato in patria, si ferma nel Tennessee, dove vive con la seconda moglie e si dà all’allevamento. La violenza a tinte fosche e gotiche già presente nei primi due romanzi (Il buio fuori racconta la storia di un incesto) si fa ancora più scoperta in Figlio


Cormac McCarthy

di Dio (1973): protagonista è Lester Ballard, serial killer necrofilo di Sevier County, Tennessee, che, sfrattato dalla tenuta di famiglia, conoscerà un degrado sociale – da una baracca a una caverna al carcere e al sanatorio psichiatrico – inversamente proporzionale al crescendo delle sue azioni criminali. I temi (violenza, incesto e necrofilia), l’ambientazione e la sintassi (nonché un uso della punteggiatura a dir poco parsimonioso) ricordano William Faulkner; mentre, per altri versi, nei successivi Suttree e Meridiano di sangue affiora un umorismo sinistro (qui però spogliato di ogni valenza redentrice) in cui si intravedono parentele con un’altra autrice del Sud, Flannery O’Connor. Nel 1976 McCarthy lascia il Tennessee per trasferirsi a El Paso, Texas, dove comincia a bazzicare sale da biliardo fumose e bowling. Del 1979 è anche il suo ultimo romanzo, Suttree, dato in stampa dopo una gestazione quasi ventennale e ambientato ancora nel Sud, a Knoxville. Amato da Nelson Algren (altro autore degli anni Trenta votato alla rappresentazione degli sconfitti americani), Suttree è un libro complesso e di non facile fruizione, cucito intorno al personaggio eponimo che vive – e pesca – a bordo di una baracca galleggiante sulle acque melmose del Tennessee, frequentando il grottesco sottomondo cittadino. La vita nel Texas spinge McCarthy ad approfondire la sua conoscenza del Sudovest attraverso la lettura di volumi di storia locale, lo studio dello spagnolo-messicano e una serie di sopralluoghi tra il confine e il Messico. Grazie alla MacArthur Fellowship (vinta, pare, grazie anche al sostegno del premio Nobel Saul Bellow) McCarthy si garantisce una certa serenità economica che gli permette di concentrarsi sulla scrittura. Nel 1981 esce così Meridiano di sangue: non è un successo immediato ma si conquista i favori dell’accademia, anche sulla scia del giudizio di Harold Bloom, che la considera una delle migliori opere americane di tutti i tempi.

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L’ambientazione geografica e storica (dopo l’apertura tra Tennessee e New Orleans, il grosso dell’azione di svolge in Texas, Messico, Arizona e California tra gli anni Quaranta e Cinquanta dell’Ottocento, con un epilogo che segue invece il personaggio del Ragazzo fino alla sua morte, quasi trent’anni dopo), alcuni motivi narrativi e la presenza di armi e cavalli collocano il quarto, e forse a tutt’oggi maggiore, libro di McCarthy nel genere western, con affiliazioni che vanno dalla letteratura (Il virginiano, 1902, di Owen Wister) al cinema (una parte di critica ha infatti ricondotto le atmosfere di Meridiano di sangue a quelle de Il mucchio selvaggio di Sam Peckinpah, 1969). Già il titolo, in originale Blood Meridian, or the Evening Redness in the West, annuncia che la storia narrata si staglierà su una formazione nazionale misurata sull’annessione dei territori occidentali lungo la Frontiera e assimilata ad atto di conquista sanguinario. E di sangue di uomini, donne e bambini scalpati, decapitati, impalati, impiccati e mutilati nel deserto il testo gronderà a ogni voltar di pagina (centinaia saranno i morti ammazzati alla fine del libro). Epica nello sguardo d’insieme e nel respiro stilistico, la narrazione si apre sulla vicenda di “the kid”, “ragazzo” senza nome che, novello Huck Finn in versione corrotta e dannata, si muove verso ovest e si unisce a una banda di scalp hunters guidata dal capitano Glanton. La violenza gratuita dispiegata nel romanzo non conosce alcuna regola, scagliandosi arbitrariamente contro tribù native, peones messicani e pionieri. A perpetrare distruzione e caos lungo la Frontiera è un’umanità ferma a uno stadio primordiale, quasi a dimostrare che, per citare Suttree, «solo le forme primitive sopravvivono». Il personaggio più memorabile è il giudice Holden, massiccio (due metri per quasi 140 chili), albino, completamente glabro, capace di omicidi efferati ed elucubrazioni filosofiche, che sembra incarnare, nella sua whiteness, le contraddizioni dell’ideologia del Destino Manifesto. Gli ultimi capitoli si chiudono sul racconto della vita raminga del “ragazzo” che, sopravvissuto alle scorribande



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cruente con la masnada di Glanton, morirà nelle latrine di una locanda bordello di Fort Griffin, Texas, forse per mano del giudice Holden, figura immortale a cui sono dedicate le ultime parole del libro. Non sono pochi i critici che hanno letto in questo romanzo una possibile allegoria delle atrocità dell’esperienza in Vietnam – con il corollario di studi circa la funzione rigeneratrice della violenza inaugurati da Richard Slotkin – e non è forse casuale che l’aspetto del giudice Holden richiami il Marlon Brando-Kurtz di Apocalypse Now. Ma il testo sembra eludere ogni possibile interpretazione e McCarthy non si è mai pronunciato per privilegiare alcuna chiave di lettura. Non sorprende, d’altronde, che tra le possibili influenze letterarie di Meridano di sangue siano stati citati Melville (con plausibili riecheggiamenti della vicenda del Pequod, delle riflessioni enciclopediche e della prosa solenne e talvolta arcaica di Moby Dick), Hemingway e Faulkner, ma anche il Conrad di Cuore di tenebra, John Milton e la Bibbia. Da un punto di vista squisitamente letterario, la cifra più distintiva del romanzo rimane la capacità di unire una forte vocazione locale che rivendica l’unicità della storia, della lingua e dei paesaggi di quelle regioni a un’apertura di visione che scompagina le carte del regionalismo. Per quanto, già nella prima fase della sua produzione narrativa, McCarthy sia entrato nel radar accademico, solo con la pubblicazione di Cavalli selvaggi, nel 1992, la sua opera conoscerà successo presso il grande pubblico, trasformandolo in uno dei romanzieri più bramati da Hollywood. Oltre a diventare un bestseller, il romanzo che inaugura la fortunata Trilogia della frontiera conquista anche la critica, vincendo due premi letterari influenti, il National Book Award e il National Book Critics Circle Award. Siamo ancora nella provincia di Meridiano di sangue, stessa ambientazione geografica, circa un secolo dopo. Le definizioni per il libro vanno da anti-western a post-western a romance, ma a sancirne la popolarità è la presenza di una trama più semplice e lineare, in cui si riconosce


Cormac McCarthy

Sul soggetto del romanzo Cavalli selvaggi di McCarthy, del 1992, è basato il film Passione ribelle (All the Pretty Horses, 2000) diretto da Billy Bob Thornton, con Matt Damon, Henry Thomas e Penelope Cruz.

una storia d’amore (quella pastorale tra il cowboy protagonista, John Grady, e Alejandra), uno stile piano, una rappresentazione della natura meno implacabile rispetto a Meridiano di sangue (dove persino i cavalli erano carnivori…). La scena iniziale vede John Grady che compiange la morte del nonno e la vendita del ranch di famiglia e si mette in cammino verso il Messico, dove si svolgerà la maggior parte dell’azione, tra dialoghi che prevedono lunghi passi in spagnolo e descrizioni di cavalli, campi, boschi e stalle. A sessant’anni, oltre a raccogliere i frutti del successo di Cavalli selvaggi – che nel 2000 diventerà un film, Passione ribelle, poco riuscito, diretto da Billy Bob Thornton – McCarthy ridiventa padre, continua a vivere a El Paso e comincia a frequentare, a bordo di un «pickup diesel Ford-350 rosso, con targa texana», il Santa Fe Institute, centro in cui si trovano pensatori e scienziati situato in un vecchio convento nelle colline intorno a Santa Fe (a commento della sua predilezione per i circoli scientifici rispetto a quelli letterari o artistici McCarthy dirà che «la scienza è molto rigorosa»). Nel 1994 arriva Oltre il confine, forse il volume più complesso della trilogia, imbastito su tre attraversamenti del confine con il Messico. Ambientato tra gli anni Trenta e Quaranta del XX secolo (quindi un


po’ prima di Cavalli selvaggi), ha come protagonista un altro cowboy nostalgico e “perdente”, Billy Parham, che vediamo allontanarsi per la prima volta dal ranch di famiglia per ricondurre una lupa alle sue terre d’origine messicane e che, tornato nel New Mexico, troverà la propria casa vuota, i genitori uccisi, unico superstite il fratello con cui si rimetterà in viaggio alla ricerca dei carnefici. Il libro si chiude con Billy che, dopo aver perso anche il fratello, continua a vagare senza meta, mentre nei cieli di Alamogordo si consuma il primo test nucleare della storia. Quattro anni dopo esce Città della pianura. Compaiono qui insieme, solo più vecchi, Billy Parham e John Grady, che lavorano in un ranch a sud di Alamogordo. Siamo intorno al 1952, i piccoli allevatori del Sudovest sono in bancarotta, spazzati via dal petrolio e dai cartelli alimentari e sfrattati dal governo intento a convertire i territori semidesertici sudoccidentali in zone di esperimenti atomici. In fuga dalle strettoie della società civile, i due protagonisti sembrano appartenere a un’altra epoca, ormai conclusa. Anche qui John si innamora, questa volta di una prostituta messicana, ma il tono pastorale di Cavalli selvaggi è rovesciato nelle descrizioni – che devono molto al Faulkner di Santuario – dei bordelli di città. Dopo le vendite tiepide di Città della pianura, McCarthy dà alle stam-


pe Non è un paese per vecchi (2005), che conoscerà fortuna editoriale anche grazie alla bella trasposizione cinematografica dei fratelli Coen (2007). Con un’ambientazione cittadina e di confine (il West Texas) e una trama spostata in avanti, sul narcotraffico degli anni Ottanta, il romanzo viene definito anche western urbano e, per la pletora di scene violente, horror, sebbene il proliferare di armi, auto e squallide stanze di motel riveli debiti scoperti alla matrice del noir hardboiled. Le gesta criminali dell’inesorabile cecchino Chigurh sono introdotte e commentate in una sorta di cornice narrativa dallo sceriffo di una piccola città, Ed Tom Bell, un’ennesima figura anacronistica ed elegiaca, legata a metodi investigativi oramai inadeguati. Nel 2006 arriva anche il Pulitzer, con La strada. McCarthy cambia di nuovo genere. Per quest’opera, che narra il viaggio disperato e incessante di un padre e un bambino attraverso un paesaggio raso al suolo da un imprecisato cataclisma, le etichette si moltiplicano: racconto postapocalittico o eco-

McCarthy sul grande schermo Alcuni fotogrammi da due pellicole di successo tratte dagli omonimi romanzi di Cormac McCarthy. Nella pagina di sinistra: Non è un paese per vecchi, film del 2007 diretto dai fratelli Coen. A destra: The Road, film del 2009 diretto da John Hillcoat.


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distopico, romanzo di strada e fantascientifico, o, nelle parole di Oprah Winfrey – a cui McCarthy concede, inaspettatamente, un’intervista –, una «love story». Virato in toni quasi allegorici – figlio e padre non hanno nome – il racconto è ridotto all’essenziale e fatto di ripetizioni in grado di suggerire la qualità formulaica di alcuni gesti. Il lembo di terra in cui si muovono i due protagonisti La macchina da scrivere usata per quarantasei anni è disseminato di relitti tecnologici e di cadada McCarthy, una Olivetti veri umani mummificati. Padre e figlio avanLettera 32 comprata nel zano in questa landa carbonizzata spingen1963 in un banco dei pegni do un carrello della spesa cui hanno fasciato a Knoxville per 50 dollari, è stata venduta da Christie’s uno specchietto retrovisore per difendersi per 254.500 dollari. I dagli assalti di predatori, stupratori e canproventi dell’asta sono nibali. In quel carrello – presenza scomoda, andati al Santa Fe Institute. al pari degli homeless che li trascinano, delle metropoli americane contemporanee – finisce tutto ciò che riescono a recuperare alla strada (cibo, vestiti e oggetti buttati via), insieme a un telo di plastica, a coprirli dalle intemperie. La desolazione dell’ambiente postapocalittico sembra non reggere più alcuna forma di modernità: i supermercati sono abbandonati e i parcheggi pieni di spazzatura, i raccordi autostradali «come rovine di un immenso luna park», le automobili inservibili rottami, persino alcune armi sono fossili di un’altra epoca (il padre è colpito da una freccia). La figura femminile, come in tutta l’opera di McCarthy, è assente: compare di scorcio nelle prime pagine, quando la madre del bambino è evocata in sogno. Scopriremo più avanti che si è tolta la vita, motivo ed espediente narrativo non nuovo nella letteratura americana scritta da uomini e incapace, secondo un celebre studio di Leslie Fiedler, di rappresentare la donna se non da morta. Il centro morale indiscusso del figlio è rappresentato invece dal padre, presenza nutritiva e protettiva e figura lacerata dalla consapevolezza di non poter vivere abbastanza a lungo per proteggerlo dalla violenza cieca che alberga lungo la strada. Per quanto il fatto sia «sgradevole», ha affermato McCarthy in una delle sue rare dichiarazioni di poetica, «i libri sono fatti di libri» e «il romanzo deve la sua vita agli altri romanzi scritti».


Cormac McCarthy

Con La strada, allora, tra i modelli, consapevoli o inconsapevoli, di MC è lecito aggiungere non solo la terra desolata del racconto Il grande fiume dei due cuori di Ernest Hemingway, ma anche la strada dei vagabondi affamati di Tom Kromer e le rovine tecnologiche di Ma gli androidi sognano pecore elettriche? di Philip K. Dick. Arido, muto, senza dio. Gli pareva che fosse ottobre ma non ne era sicuro. Erano anni che non possedeva un calendario. Si stavano spostando verso sud. Lì non sarebbero sopravvissuti un altro inverno.

Le ultime pagine del romanzo sembrano dischiudere una nota meno disperante; non a caso ricompare una donna. E chissà che nel suo prossimo lavoro McCarthy non riparta proprio da qui, da una donna. Bibliografia Hage, Erik, Cormac McCarthy. A Literary Companion, McFarland and Company Publishers, Jefferson, nc-London 2010 Riley McGilchrist, Megan, The Western Landscape in Cormac McCarthy and Wallace Stegner, Routledge, London 2010 Rosso, Stefano, a cura di, Rapsodie della Frontiera. Sulla narrativa western contemporanea, ecig, Genova 2012 Spurgeon, Sara L., a cura di, Cormac McCarthy. ‘All the Pretty Horses’/‘No Country for Old Men’/‘The Road’, Continuum International Publishing Group, New York-London 2011

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Carta d’identità

N. Scott

Momaday

Nome completo Navarre Scott Momaday

27 febbraio 1934, Lawton (Oklahoma) Scrittore, poeta, pittore, drammaturgo

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I nomi

The Names: A Memoir


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