Nome: Édith Piaf Provenienza: Parigi Carriera: dal 1937
ÉDITH PIAF
La stella, la regina, la numero uno… Come si fa oggettivamente a dare una definizione appropriata a colei che ha dato il via alla musica francese moderna, dalla quale, nel bene o nel male, tutti dipendono? Édith Piaf – nome d’arte di Édith Giovanna Gassion – è un monumento, un’artista che nessuno scritto riuscirà mai a risolvere adeguatamente, essendoci troppe cose da dire, alcune peraltro perdute per sempre nell’oblio. Anche un testo monotematico potrebbe non essere sufficiente a renderle giustizia, tenuto conto del fatto che la sua immagine non è soltanto quella di un’interprete dotata di grandissimo talento, ma in un certo senso della Francia intera: nella sua voce, nei suoi occhi, nelle espressioni del suo volto si cela, infatti, la storia stessa del Novecento francese, il famoso secolo breve egregiamente decantato dallo storico britannico Eric J. Hobsbawm. L’unicità di Édith Piaf parte dalle leggende che circondano la sua nascita, avvenuta presso il ventesimo distretto di Parigi, un quartiere popolare abitato perlopiù da operai, il 19 dicembre 1915. Secondo alcune ricostruzioni sarebbe nata ai piedi di un lampione, per strada, lungo rue de Belleville, assistita da un poliziotto di passaggio. «Era una fredda notte d’inverno» rivela Christie Laume, biografa della cantante e sorella di Théo Sarapo, ultimo marito di Édith. «La mamma della Piaf è sola al momento del travaglio. Esce in strada per chiamare un taxi, ma non riesce a raggiungere l’ospedale e dà alla luce la figlia aiutata da un esponente delle forze dell’ordine». La madre si mostra fin da subito inadeguata ad assolvere al suo ruolo genitoriale. Si chiama Annetta Maillard e
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l’unica cosa che conta davvero per lei è la sua carriera di cantante, che si gioca presso i cabaret parigini dei primi anni del secolo. Anche il padre non è molto attento alla nuova arrivata: Louis Alphonse Gassion, di professione acrobata, è quasi sempre in giro e non ha tempo di badare alla piccola. Così Édith finisce nelle mani di Emma, la nonna di origine marocchina che l’accudisce senza, però, darle l’affetto che ogni piccolo meriterebbe. I genitori si separano e Édith prende a fare la spola fra Parigi e un piccolo borgo normanno dove si è stabilita la madre. Qui gode del fascino bucolico della natura e per un attimo le sembra di vivere una vita felice e serena. Ma le difficoltà sono dietro l’angolo. È mandata di nuovo a Parigi dal padre che in condizioni economiche disastrate non ha altro da offrire alla figlia, che esibirsi con lui per le strade della metropoli. È così che la voce della ragazza comincia a essere notata dai parigini, colpiti dalla sua bravura. Si separa dal padre e va avanti da sola a esibirsi per i viali e le piazze di Parigi, finché nel 1932 non incontra Louis Dupont, un muratore, noto come P’tit Louis. Da lui ha una figlia l’anno dopo: la chiamano Marcelle. La Piaf fa di tutto per consentirle di vivere al meglio, anche se racimolare i soldi per il cibo e il riscaldamento è tutt’altro che facile. Ma nonostante la buona volontà, la piccola Marcelle, subito dopo aver compiuto due anni, muore per una meningite. Il colpo è durissimo, ma Édith non può fare altro che continuare nell’unica professione che le si addice: cantare per strada. Un giorno, però, mentre propone il suo solito numero in un angolo di Pigalle, viene notata da Louis Leplée, direttore di un cabaret che si affaccia sugli Champs-Elysées. «La strada non è il posto che fa per voi per esibire una così bella voce» le dice l’impresario, «mi ricorda un passerotto che canta per le strade di Parigi». In breve la fa diventare l’idolo del suo Gerny’s, uno dei locali più frequentati della Parigi degli anni Trenta: finalmente Édith abbandona la strada per infilarsi un abitino nero, elegante, con cui ammansire ogni tipo di spettatore, compresi i numeri uno della scena musicale dell’epoca, come Maurice Chevalier. Incoraggiati dai sorprendenti risultati, Leplée e la sua beniamina entrano per la prima volta in uno studio di registrazione per immortalare la voce di Édith. È il 1936 quando la ragazza incide il suo primo 78 giri: “Les Mômes De La Cloche”. Ma ancora una volta il destino le è avverso: nel mese di aprile viene, infatti, trovato privo di vita, nel suo appartamento, Leplée;
sull’evento non verrà mai fatta chiarezza e anche Édith dovrà patire lo stress degli interrogatori e di alcune malelingue che la vorrebbero paradossalmente complice dell’omicidio. Il passo successivo dell’ascesa artistica della Piaf è rappresentato dall’incontro con Raymond Asso, paroliere francese che s’innamora perdutamente della cantante e decide di guidarla nel mondo dello spettacolo. Le suggerisce i vestiti da indossare in scena, e le “regala” “Mon Légionnaire”, brano inizialmente pensato per Marie Dubas (1894-1972). Nel 1937 la cantante, conosciuta fino a quel momento come La Môme, diviene ufficialmente Édith Piaf. Il suo nome comincia a circolare con sempre maggiore insistenza, grazie a una serie di leggendarie esibizioni all’abc e al Bobino e alla partecipazione al film La Garçonne (1936) di Jean de Limur. Tre anni dopo sboccia l’amore con l’attore francese Paul Meurisse, dal carattere chiuso e riservato, praticamente l’opposto della diva parigina. La loro storia dura due anni, ma basta a forgiare una nuova Édith, più acculturata e consapevole del mondo che la circonda. Nel 1940 s’imbatte anche in Jean Cocteau, poeta e drammaturgo di grande
La Piaf con Raymond Asso, 1937
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fama, che le propone la pièce Le bel indifférent, conferendole ulteriore notorietà. La Piaf e Meurisse recitano insieme nel film di Lacombe Montmartre-sur-Seine (1941), in compagnia di Jean-Louis Barrault, ed è in questo frangente che il cuore perennemente in subbuglio della cantante 296 scova un nuovo amore: Henri Contet. Scoppia la Seconda guerra mondiale, e la Piaf combatte a modo suo ingaggiando continuamente musicisti ebrei. Nel 1944 il suo nome è famoso in tutta la Francia, e per la prima volta decide di dedicarsi agli astri nascenti del panorama musicale transalpino. Il primo a beneficiare del suo aiuto è un giovane cantante proveniente da Marsiglia, figlio di immigrati italiani: Yves Montand. Qui, in pratica, la Piaf fa, per il nuovo beniamino della canzone popolare francese, quello che Leplée prima e Asso poi avevano fatto per lei, introducendolo nel mondo che conta e dandogli continui suggerimenti per il suo avvenire. Alla fine, però, il suo ruolo di pigmalione decade miseramente La Piaf con Yves Montand quando si accorge che Yves è qualcosa di più di un semplice cantante da sostenere. Se ne innamora, battezzando un legame sentimentale che fra alti e bassi la porterà spesso a presentarsi dal vivo al suo fianco (litigando, addirittura, con lui per la disposizione dei nomi sulle locandine dei vari spettacoli organizzati). Nel frattempo comincia a scrivere di suo pugno. La celeberrima “La Vie En Rose” può essere considerato il suo primo degno esperimento da “solista”. La propone all’intellighenzia musicale dell’epoca ricevendo timidi consensi: a detta di tutti non è all’altezza del suo repertorio classico. La Piaf, in ogni caso, pare non dare troppa importanza alla cosa, finché, in occasione di un concerto a Parigi, del tutto disinteressata ai suggerimenti di chi la circonda, decide di proporla dal vivo. La risposta del pubblico è entusiasmante e da quel momento il pezzo diverrà uno dei più gettonati evergreen della canzone francese, nonché il principale cavallo di battaglia di Édith. Estasiata dall’attenzione del pubblico
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riservata alla sua prima composizione, s’impegna a proseguire nella carriera di autrice, componendo complessivamente un’ottantina di canzoni. Ma non può godere dei diritti di autore, perché non è ancora iscritta alla sacem (la siae francese); deposita, quindi, i brani sotto il nome di Louiguy (Louis Guglielmi), artista che si fa avanti per tutelarla, rispettando le sue spettanze. Nel 1946 apre un nuovo capitolo della sua carriera, frequentando e aiutando a emergere i giovani cantanti di Les Compagnons de la Chanson. Col gruppo, nato a Lione nel 1941, incide “Les Trois Cloches” e va in tour, vendendo un milione di copie del singolo. L’immediato dopoguerra lo vive all’insegna della conquista degli usa. I primi show li tiene al cabaret Playhouse di New York, senza ottenere grandi consensi. È dunque sul punto di far ritorno definitivamente in Europa, quando una recensione positiva la spinge a proporsi al Versailles, un cabaret fra i più cool dell’epoca, nel cuore di Manhattan. Il permesso di soggiorno di una settimana viene prolungato a quattro mesi, consentendole di dare spettacoli in successione col tutto esaurito. Fra uno show e l’altro ha modo di conoscere un’altra diva per eccellenza del Novecento: la grande Marlene Dietrich, con la quale rimarrà in contatto per tutta la vita. Ma l’incontro più importante di questo periodo è quello con il campione di pugilato Marcel Cerdan. Scoppia un nuovo amore, osannato anche dai giornali e dai tabloid di mezza America. La coppia furoreggia, e vengono soprannominati “la regina della musica francese e il re del ring”. Finalmente la Piaf, dopo tanti anni di tristezze e patimenti, può godersi la vita e l’amore. Per lui compone, aiutata da Marguerite Monnot, “L’Hymne À L’Amour”. In
Édith Piaf e Marlene Dietrich dopo lo show della cantante francese al Playhouse Theater di New York, 30 ottobre 1947
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Édith Piaf con il suo grande amore Marcel Cerdan.
realtà, la felicità non dura a lungo. Una nuova tragedia è, infatti, pronta ad abbattersi su Édith. Il 28 ottobre 1949 Cerdan perde la vita nei cieli delle Azzorre, in viaggio per ricongiungersi con l’amata. Questa volta il dolore è troppo intenso. Édith sprofonda in uno stato depressivo, dal quale cerca di sottrarsi con sedute spiritiche e il consulto di medium. Ma è solo il lavoro incessante che, dopo vari mesi dall’accaduto, riesce veramente a ridarle la speranza per andare avanti. Torna a esibirsi dal vivo a Parigi, nella prestigiosa Salle Pleyel, un anno dopo la disgrazia, mostrando ancor più che in altre occasioni il suo tono melodrammatico. Ed è qui che incontra un altro emergente: Charles Aznavour. Non instaura un sodalizio come quello maturato con Montand e Les Compagnons de la Chanson, tuttavia gli consente di farsi largo nel mondo della canzone, fissandogli varie date in location importanti. Aznavour rimarrà sempre legato a Édith, e in qualche modo le sarà sempre debitore. In più scriverà per lei varie canzoni fra cui “Jezebel” e “Plus Bleu Que Tes Yeux”. L’amore torna a bussare alla porta di Édith nel 1951. Lui si chiama Eddie Constantine ed è un giovane cantante e attore americano. Come al solito l’artista più popolare di Francia si prodiga per far emergere il nuovo talento, in questo caso affidandolo alla commedia musicale di Marcel Achard La P’tite Lili. Lo spettacolo va bene, ma alla fine, dopo
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sette mesi di trionfi, il rapporto fra i due si incrina irreversibilmente e la Piaf si ritrova ancora sola. Nello stesso anno è vittima di due gravi incidenti stradali. Da entrambi esce malconcia, ma senza lesioni importanti. Tuttavia è in questo frangente che conosce la morfina, con la quale i medici la curano per vincere i dolori dovuti alle numerose contusioni: è la droga dalla quale non si separerà più, alternandola a quantità sempre maggiori di alcol. Sicché, con l’inizio degli anni Cinquanta, Édith diviene a tutti gli effetti una tossicodipendente. Nel 1952, benché la salute vacilli sempre più, sposa Jacques Pills, cantante francese col quale inizia anche a esibirsi dal vivo. Del loro entourage fa altresì parte un brillante pianista pronto a trasformarsi in una stella del panorama musicale d’oltralpe: Gilbert Bécaud. Édith tenta, dunque, di ritornare in pista come ai vecchi tempi con un primo tentativo di disintossicazione, ma la terapia non ha successo. In compenso la sua voce e le sue esibizioni paiono migliorare sempre più. Le registrazioni e i live del 1953 sono, a detta Edith Piaf con Jacques Pills (secondo da destra), Maurice Chevalier e Jean-Jacques Vital, 1952.
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di tutti i principali critici, le sue performance più riuscite. «La voce di Édith è sorprendente» scrive Monique Lange nella biografia dedicata alla cantante, «e ogni volta ci si chiede da dove arriva tutta questa forza, potenza e magia». Si riposa per un anno, sollecitata dai tanti amici che la amano, le vogliono sinceramente bene e sono preoccupati per la sua salute. Ma torna in auge nel 1955, per un concerto trionfale all’Olympia, divenuto la più importante sala concerti di Parigi. Alla fine dello show il pubblico si alza in piedi per renderle omaggio, conscio di trovarsi di fronte a un autentico simbolo della Francia del XX secolo. Parte per un tour negli Stati Uniti, dove si esibisce alla Carnegie Hall di New York, prima di volare in Sud America e cantare per quattro mesi di fila. Torna in patria il 14 maggio 1956, pronta a esibirsi di nuovo all’Olympia e presentare due nuove hit: “L’Homme À La Moto” e “Les Amants D’Un Jour”. È il momento di un nuovo tentativo di liberarsi da droga e alcol: questa volta la cura funziona, ma il suo fisico è ormai irreversibilmente compromesso. Canta di nuovo all’Olympia nel 1958 e si innamora di un altro debuttante: Georges Moustaki. È un grande paroliere e fra un’incomprensione e l’altra compone per l’amata uno dei suoi pezzi più celebri: “Milord”. Insieme, però, incappano in un pauroso incidente stradale che indebolisce ulteriormente Édith, precludendole nuovi spettacoli. Si ripresenta dal vivo a New York pochi mesi dopo, ma nel corso dell’esibizione perde i sensi. Ricoverata d’urgenza in un ospedale della Grande Mela, viene
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dimessa con un ordine perentorio dei medici: smettere di cantare. Ma Édith non ne vuole sapere e, a costo di rischiare la vita a ogni spettacolo, si lancia in una nuova avventura artistica al fianco di Charles Dumont. Il compositore francese realizza per lei, in compagnia di Michael Vucaire, la storica “Non, Je Ne Regrette Rien”, dedicata alla Legione straniera. «A questo punto, nonostante le cure, la carriera di Édith è tragicamente segnata dalle conseguenze dall’alcol e dalla droga», rivela il critico Peter Hawkins, «ma lei va avanti imperterrita a suonare e a cantare». Presenta il nuovo brano all’Olympia nel 1961, in occasione di quel che verrà definito “uno dei più leggendari concerti di tutti i tempi”. Nell’estate del 1961 Édith incontra il suo ultimo amante: è il greco Lamboukas Theophanis, noto col nome d’arte di Théo Sarapo. La Piaf riceve intanto il Grand Prix du Disque de l’Académie Charles-Cros per l’eccezionale contributo dato alla musica francese e si esibisce dal primo piano della Tour Eiffel davanti a un vasto pubblico comprendente reali e capi di stato. Il 9 ottobre 1962 si sposa con Sarapo, con rito ortodosso, prima di dare alle stampe un altro grandioso pezzo: “À Quoi Ça Sert La Piaf e il marito Théo Sarapo in concerto a Rotterdam, 13 dicembre 1962
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L’Amour”. Lo presenta in coppia col marito al Bobino, nel febbraio del 1963. È l’ultimo show di Édith che, due mesi dopo, in seguito a ripetuti malesseri, si ritira nella sua villa a Plascassier, nei pressi di Cannes. Qui si spegne l’11 ottobre 1963, ufficialmente per un aneurisma cerebrale, assistita dal marito e dall’infermiera Simone Margantin. Quando Jean Cocteau apprende la notizia muore per infarto. Ma è l’intera Francia a piangere la sua più grande stella. Il feretro di Édith raggiunge in gran segreto il cimitero di Père-Lachaise, a Parigi, dove è tumulato e dove, ancora oggi, a distanza di quasi cinquant’anni dalla fine della sua parabola artistica, non smette di attirare fan. Discografia essenziale:
30e Anniversaire – 1993 Édith Piaf: Her Greatest Recordings 1935-1943 – 1995 Mon Légionnaire – 1997 Au Carnegie Hall 1956-1957 – 2004 Una canzone: “La Vie En Rose”
Des yeux qui font baisser les miens Un rire qui se perd sur sa bouche Voilà le portrait sans retouche De l’homme auquel j’appartiens Quand il me prend dans ses bras Il me parle tout bas Je vois la vie en rose Il me dit des mots d’amour Des mots de tous les jours Et ça m’fait quelque chose Il est entré dans mon cœur Une part de bonheur Dont je connais la cause C’est lui pour moi,
Édith Piaf
Moi pour lui dans la vie Il me l’a dit, l’a juré Pour la vie Et dès que je l’aperçois Alors je sens en moi Mon cœur qui bat […] La traduzione: “La vita tinta di rosa” Occhi che fanno abbassare i miei Una risata che si perde sulla sua bocca Ecco il ritratto senza ritocco Dell’uomo a cui appartengo Quando mi prende tra le sue braccia Mi parla piano piano Vedo la vita tinta di rosa Mi dice parole d’amore Parole di tutti i giorni E questo mi fa un certo effetto È entrato nel mio cuore Una parte di felicità Di cui conosco la causa È lui per me, Io per lui nella vita Me l’ha detto, l’ha giurato Per la vita E non appena lo scorgo Sento dentro di me Il cuore che batte […]
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