in Questo capitolo Alessandrini Altan Bacilieri Battaglia Bonvi Buzzelli Camuncoli
Sergio
Toppi (Milano, 11 ottobre 1932 - Milano, 21 agosto 2012)
Cavazzano Crepax De Luca Di Gennaro EsseGesse Ferri
È stato uno dei più importanti fumettisti e illustratori italiani, conosciuto e ammirato a livello internazionale. Eccezione, come egli stesso si definiva, in una famiglia di musicisti (il padre insegnava al conservatorio e la madre suonava il pianoforte), dimostra invece presto un grande interesse per il disegno. Da appassionato autodidatta, frequenta per due anni la Scuola Superiore d’Arte Applicata del Castello Sforzesco, poi s’iscrive al liceo classico e successivamente alla facoltà di Medicina, ma interrompe presto gli studi universitari per intraprendere la carriera artistica. Nel 1954 alcune sue illustrazioni vengono pubblicate sulle pagine della nuova edizione dell’Enciclopedia dei Ragazzi della Mondadori. Tre anni più tardi inizia a lavorare per gli studi d’animazione dei fratelli Nino e Toni Pagot, conosciuti durante gli anni del liceo, dove per un decennio realizza animazioni e scrive sceneggiature per Carosello.
Galleppini Giardino Jacovitti Magnus Manara Mattotti Micheluzzi Milazzo Nidasio Pazienza Pratt Silver Stano Tacconi Tisselli Toppi Vinci
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Il suo debutto nel mondo del fumetto avviene nel 1960 sulle pagine del Corriere dei Piccoli con alcuni episodi della serie Il Mago Zurlì, sceneggiati da Carlo Triberti e ispirati al noto presentatore de Lo Zecchino d’Oro. La prima vera storia a fumetti firmata è Pietro Micca, scritta da Mino Milani nel 1966. Sulla rivista pubblica in seguito altre storie di argomento storico e bellico, molte delle quali su sceneggiatura di Mino Milani, illustrazioni per schede didattiche e diversi inserti centrali da ritagliare e costruire, tra cui spiccano particolarmente quelli dedicati al Far West e ai cavalieri medievali. In questi anni collabora, come altri fumettisti italiani, con la casa editrice inglese Fleetway. Gli anni Settanta lo vedono inoltre collaborare con diverse riviste. Dal 1974, sul Messaggero dei ragazzi, sperimenta nuove costruzioni della pagina e continua il collaudato sodalizio con Mino Milani dando vita ad alcune biografie di personaggi storici. Nel frattempo collabora con l’editore Ivaldi per la rivista Sgt. Kirk, realizzando storie, illustrazioni e una serie di ormai storiche copertine. Nel 1975, disegna per la casa editrice Quadragono Libri, il libro Ukiyo-è Haiku & Suspense, un omaggio alla sua passione per il mondo dei samurai. Nello stesso anno, l’editore Sergio Bonelli lo chiama per completare Herman Lehmann, l’indiano bianco, decimo episodio della collana “I protagonisti” rimasto però incompiuto per la morte di Rino Albertarelli. La collaborazione con Bonelli continua nel 1976, con L’uomo del Nilo, scritto da Decio Canzio, primo volume della serie Un uomo, un’avventura edita dalla cepim. Per questa storica serie Toppi disegnerà anche L’uomo del Messico (1977), sempre su testi di Canzio, e L’uomo delle paludi (1978), di cui è anche autore del soggetto. Nel 1976, inizia un’altra importante collaborazione che durerà quasi quarant’anni, quella con il settimanale delle Edizioni Paoline Il Giornalino, per il quale Toppi elabora negli anni numerosi racconti. Negli anni Ottanta, il suo innovativo stile grafico, unito a un sempre più raffinato stile narrativo, trovano piena realizzazione sulle pagine di linus, Corto Maltese e alteralter, in storie con una forte componente magico-irrazionale.
Sergio Toppi
Per quest’ultima rivista Toppi realizza uno dei suoi lavori più importanti, la serie ispirata a Le mille e una notte che vede come protagonistanarratrice la bella Sharaz-de. Aperta la strada delle riviste d’autore, nel 1982 pubblica su L’Eternauta la storia Il Calumet di Pietra rossa, la prima della serie Il Collezionista, l’unico suo personaggio seriale. Collabora con la casa editrice Larousse disegnando alcuni episodi per L’Histoire de France en bandes dessinées e successivamente per La découverte du monde en bandes dessinées. Negli anni Novanta, intensifica l’attività d’illustratore per molti periodici e realizza copertine di libri per le case editrici Bompiani, sei e Rizzoli e riprende la collaborazione con la casa editrice Bonelli con illustrazioni e storie per la rivista Ken Parker Magazine e alcuni episodi per Martin Mystère, Nick Raider e Julia. Nel 1992, fa conoscere la sua arte anche in Spagna, collaborando con le Edizioni Planeta DeAgostini di Barcellona per le quali disegna le due storie El Cerro de la Plata – La leyenda de Potosí e Las fabulosas ciudades de Arizona – Los tesoros de Cibola. La sua produzione comprende anche una vasta e varia serie di opere di grafica eseguite per alcune gallerie d’arte. In particolare, per le Edizioni Crapapelada di Milano (diventate Spazio Papel), ha realizzato dal 2003 circa centocinquanta illustrazioni a colori, raccolte in portfoli, ispirate da diversi testi letterari, alcuni scritti da Toppi stesso, tra cui spiccano le serie dedicate al Giappone. Sempre per Spazio Papel si è anche cimentato nelle tecniche d’incisione eseguendo alcune acqueforti, serigrafie e litografie. Tra i numerosi premi e riconoscimenti ricevuti nella sua lunga carriera si possono ricordare il premio Yellow Kid, che gli è stato consegnato a Lucca nel 1975 quale miglior disegnatore italiano dell’anno, il premio Caran D’Ache come migliore illustratore italiano nel 1992, e il Golden Monkey King Award conferito dal cicaf nel 2012 a Hangzhou in Cina per l’edizione francese della sua storia Un dieu mineur. Tante sono le mostre delle sue opere organizzate in Italia e all’estero, specialmente in Francia. Tra le più importanti, quella tenutasi nel 2005 a Parigi al Palais de la Conciergerie, la mostra antologica Sergio Toppi, il segno della storia allestita a Bologna nel 2009 e quella organizzata da éditions Mosquito nel 2011 a Thiers. Sempre nel 2011, l’arte di Toppi
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è stata omaggiata a Pechino con un’importante esposizione, mentre nel giugno 2013 è stata inaugurata a Catania la mostra antologica Sergio Toppi. L’incanto del segno. L’opera di Sergio Toppi, oltre che in Italia da Edizioni Di e in Francia da éditions Mosquito, è pubblicata anche in Germania, Spagna, Olanda, Serbia, Polonia e ultimamente negli Stati Uniti, in Giappone e in Cina. Sergio Toppi ci ha lasciato, dopo una lunga malattia, il 21 agosto 2012 all’età di settantanove anni.
Percorso Questo stare libro di magia… Magia di stregone Toppi… Toppi stare grande stregone…
Così Oreste del Buono inizia la prefazione a Sacsahuaman, volume del 1980 che raccoglie buona parte delle storie realizzate in quegli anni da Sergio Toppi per linus e alteralter. Riassumendo quanto scritto nelle decine di saggi e nelle centinaia di pagine dedicate in questi anni all’opera di Toppi, queste poche parole di del Buono, direttore delle due riviste, individuano immediatamente la ragione del grande successo di pubblico e di critica del disegnatore milanese. Prima ancora della grandissima qualità artistica, colpisce la forza evocatrice del suo segno, la capacità di evocare nel lettore, appunto come uno stregone, atmosfere misteriose e magiche, o raffinatissime ed esotiche, attraverso un sapiente ed elaborato gioco di citazioni grafiche e letterarie. E questo fin dai primi lavori giovanili, nelle illustrazioni eseguite per La Scala d’Oro o per L’Enciclopedia dei Ragazzi, dove sono già presenti le tracce di quelle rivoluzioni stilistiche che da lì a pochi anni esploderanno sulle pagine di riviste come alteralter o Corto Maltese. La figura inquietante dello spirito malvagio della tavola tratta dal Gilgamesh, disegnata per l’Enciclopedia Garzanti nel 1955, leggendaria, ma allo stesso tempo storicamente precisa e documentata, è un esempio, tra i tanti possibili, di come Toppi ridoni vividezza e originalità
Köllwitz 1742
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a testi letterari già affrontati da altri illustratori, proponendone nuove e personalissime riletture. Dal mondo dell’illustrazione degli esordi, Toppi arriva, agli inizi degli anni Sessanta, a quello dell’animazione, entrando a far parte dello studio dei fratelli Pagot, dove si realizzano gli spot pubblicitari per Carosello con protagonisti personaggi come Calimero, Grisù o Jo Condor, per cui disegna le scenografie e scrive molte sceneggiature. Un’esperienza importante, come da lui stesso più volte ricordato, soprattutto per quanto riguarda la possibilità di sperimentare nuove forme di comunicazione e acquisire una visione globale del lavoro. È in questo continuo lavoro di scrittura e riscrittura che sviluppa e affina la propria capacità come autore di testi, l’altro suo grande punto di forza. Lo stile caricaturale e umoristico, tipico della produzione degli studi Pagot, è evidente nelle prime storie disegnate per il Corriere dei Piccoli, in particolare quelle de Il Mago Zurlì, dove i contorni neri e decisi non hanno ancora lasciato lo spazio al segno sottile e raffinato del pennino. Particolarmente interessanti in questo periodo, perché rivelatrici di un’evoluzione nel segno e nello stile, sono le tavole della serie La Sacra Bibbia, realizzate tra il 1963 e il 1966 su testi di Corrado Vanni, dove ricrea un mondo biblico arcaico attraverso il ricorso, almeno in embrione, della chiave di lettura che utilizzerà per reinterpretare Le mille e una notte. Abbandonato il repertorio iconografico convenzionale di certi libri di divulgazione religiosa, attinge a immagini provenienti da una minuziosa documentazione storica e archeologica, con scenari da colossal cinematografico, ma in cui è anche possibile riconoscere rimandi alle tavole di Gustave Doré. I suoi angeli non sono creature asessuate con ali di piume e boccoli biondi, ma figure potenti e gigantesche, provenienti più da antichi racconti orientali che dalle sacre scritture, così come il vitello d’oro adorato dagli Ebrei potrebbe trovare posto nelle sale babilonesi del British Museum. La rivoluzione grafica di Toppi inizia negli anni Settanta, sulle pagine di una rivista cattolica e tradizionale come il Messaggero dei ragazzi. Il segno si è evoluto in uno stile agitato, con prevalenza di neri e con figure delineate da minuziose tessiture, molto diverso dalla linea chiara di tanti fumetti ospitati dalla rivista. Sulle pagine del periodico diretto da padre
Sharaz-de - Non pronuncerai quel nome
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Colasanti, sperimenta più compiutamente la ricerca di nuove soluzioni grafico-narrative, facendo incontrare il fumetto con codici narrativi diversi come la pubblicità, l’arte contemporanea, il cinema. Le tavole si animano di figure, ora giganti ora minuscole, che si muovono liberamente in una pagina sempre più spesso libera dalle costrizioni delle vignette che, abbandonata l’usuale sequenza ripetitiva, si pongono nei più diversi rapporti reciproci di dimensione e talvolta sono prive della cornice. Composizioni ardite come nella tavola in cui gli ussari alati di Sobieski, un soggetto caro che ritornerà in Myetzko o nelle illustrazioni dedicate all’assedio di Vienna, sono disposti diagonalmente, in una fuga che sembra generata da specchi contrapposti. Questo stile ormai acquisito ha modo di confermarsi ulteriormente nei lavori commissionati da Sergio Bonelli per la serie Un uomo, un’avventura, cioè L’uomo del Nilo, L’uomo del Messico e L’uomo delle paludi. In queste storie convivono pagine ancora architettate secondo lo schema delle vignette chiuse e altre con improvvise aperture della struttura a tutta pagina, dove le figure si sovrappongono e si compenetrano e il racconto si sviluppa su più piani contemporaneamente. L’originalità si estende anche al lettering, soprattutto quello delle onomatopee, dai grossi caratteri disposti in modo caotico, non più solo sussidio descrittivo al disegno, ma parte integrante nella composizione grafica del disegno stesso. Tra la seconda metà degli anni Settanta e i primi anni Ottanta, Toppi disegna, prima per linus e poi per alteralter, una serie di storie che inaugurano quel filone fantastico che l’ha reso famoso e in cui il suo disegno raggiunge la massima potenza espressiva. I racconti sono ambientati in luoghi ed epoche diverse, indicati nel titolo, ma accomunati da un meccanismo narrativo che consiste nell’inserimento, all’interno del contesto storico, di un elemento incongruo o anacronistico, che genera straniamento, provocando la deviazione della narrazione nel territorio del fantastico e nell’irrazionale. In Saint-Acheul ’15 l’elemento è un uomo delle caverne che semina il terrore tra le trincee del Fronte occidentale, in Köllwitz 1742 è un generale dell’esercito prussiano di Federico il Grande, la cui invincibilità gli deriva dall’essere un automa meccanico, mentre in Tzoacotlan 1521
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i conquistadores di Cortés trovano ad attenderli guerrieri aztechi armati di mitragliatrice Gatling. Il mistero, con tutto l’immaginario di paure e mostri, irrompe improvviso nella normalità, grazie alla potenza evocatrice delle immagini di Toppi, giocata sulla contrapposizione tra i neri profondi e i bianchi abbacinanti e atmosfere che sembrano tratte dal cinema e dalla grafica espressionista. Il genere del “realismo magico” continua in altri racconti sulla rivista Comic Art, raggiungendo il vertice in Myetzko, forse la storia più “nera” della serie, incentrata su un’oscura magia. Contemporaneamente alle storie del genere fantastico, Toppi pubblica, sempre su alteralter, la serie di otto racconti ispirati a Le mille e una notte che compongono il ciclo di Sharaz-de, ritenuto da molti il suo capolavoro in ambito fumettistico, sia perché in esso sono contenute alcune delle tavole più belle della sua produzione, sia per il raffinato livello narrativo raggiunto. Un capitolo a parte, all’interno dell’universo “toppiano”, occupano i cinque episodi della serie Il Collezionista, unico personaggio seriale di un autore che ha sempre prediletto il racconto breve e autoconclusivo. Riservato e impenetrabile (di lui non conosceremo mai nemmeno il nome), questo dandy longilineo, raffinato e colto quanto cinico e spietato, rappresenta l’opposto dello stereotipo che vuole l’eroe dei fumetti affascinante e ricco di virtù. Le sue avventure sono ambientate alla fine dell’Ottocento in posti sperduti della Terra come Dancalia, Nuova Zelanda, Borneo, alla ricerca di oggetti particolari, preziosi non per il loro valore intrinseco, ma perché dotati di misteriosi e magici poteri. Combatte i nemici che incontra sul suo cammino non per spirito di giustizia, ma esclusivamente per raggiungere i suoi scopi, e conquista il lettore perché riesce sempre a ottenere ciò che vuole, uscendo elegantemente dalle pericolose situazioni in cui viene a trovarsi. È una carogna, ma una carogna vincente. Nonostante il limitato numero di storie che lo vedono protagonista, il Collezionista è diventato a pieno titolo uno dei grandi personaggi del fumetto italiano e non solo, potendo vantare ammiratori anche tra i lettori di altri paesi.
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Giappone di Toppi il
L’Oriente, soprattutto il Giappone, in particolare quello feudale dei samurai, ha sempre esercitato su Sergio Toppi un’attrazione particolare. Dei giapponesi, il grande disegnatore milanese ammirava la precisione maniacale, la manualità perfetta, la capacità di sintesi, lo straordinario gusto decorativo che contraddistingue ogni loro attività, anche la più ordinaria, come la scrittura. «Un’ammirazione mista a spavento» precisava, per una cultura capace di raffinatezze sublimi, ma anche di estreme crudeltà. In effetti, è facile verificare l’influenza della letteratura e del folklore del paese del Sol Levante in molte sue opere, e ammirare la profonda conoscenza della cultura e dell’arte giapponese che gli permettono una precisione quasi filologica nella rappresentazione dei personaggi e dell’ambientazione. Tutto, dalle architetture alle montature delle spade, dalle armature dei samurai alla fisionomia dei volti, riproduce con esattezza ogni dettaglio di quel mondo. Il Giappone non è però presente nelle sue storie solo come soggetto, ma le ispira anche formalmente in modo indiretto attraverso la citazione di opere di Klimt e Czeschka, due maestri della Secessione viennese, importanti esponenti della corrente del giapponismo. È interessante notare come il Giappone sia per lui quasi esclusivamente quello dei samurai. Da sempre appassionato di armi e uniformi, non resiste al fascino delle bellissime armature giapponesi e coglie l’occasione per poterle disegnare quando, nel 1975, la casa editrice Quadragono gli propone di illustrare il libro Ukiyo-è Haiku & Suspense, con testi di Ettore Sottsass junior dedicati alla poesia e all’arte delle stampe giapponesi. In dodici bellissime tavole, ripercorre l’evoluzione delle armature dal periodo protostorico al periodo Edo, riproducendone con estrema precisione ogni particolare con colori puri, brillanti, che richiamano le campiture prive di sfumature degli ukiyo-è, le stampe popolari. Nel 1977, un’altra storia giapponese, Ogari 1650, inaugura sulle pagine di alteralter il filone del “realismo magico” e il viaggio nel mondo dei samurai continua con le tre storie, ambientate nel Giappone del XVI secolo, Il ritorno di Ishi, Sato e Una spada per Kimura, apparse nel 1982 sulle pagine de Il Giornalino fino ad arrivare al capolavoro, Tanka, disegnata nel 1988 per la rivista Corto Maltese. Come rivelato da Toppi nell’introduzione, la storia «nasce all’ombra di una grande K»,
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libri consigliati
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quella di Kurosawa. Ispirata all’atmosfera delle sue pellicole in costume, Kagemusha – L’ombra del guerriero, Ran e Rashomon, il racconto vede come protagonista un rōnin che tenta di conquistare l’attenzione di una principessa che ha scelto di isolarsi dal mondo, compiendo pericolose imprese che le dimostrino la sua assoluta dedizione. Il tema di fondo dell’illusione, della vita come ombra, è rappresentato con un lirismo che rimanda al tanka, un tipo di componimento poetico giapponese. Davanti a tanta bellezza, possiamo solo ringraziare. Domo arigato Toppi san. Quasi tutte le storie di Sergio Toppi, pubblicate negli anni su diverse testate, hanno avuto un’edizione in volume, a eccezione di molte di quelle realizzate per il Corriere dei Piccoli e il Corriere dei Ragazzi. Tra le poche pubblicate ci sono quelle raccolte nei libri Cronache d’armi (1979) e Samurai e altre storie (1980) edite da Fabbri Editori e nell’ormai introvabile I grandi nel giallo (1982), edito da Ivaldi Editore. Quelle apparse sulle riviste linus e alteralter sono state raccolte negli anni Ottanta da Milano Libri Edizioni nei volumi Sacsahuaman (1980) e Sharaz-de (1982), entrambi indispensabili per chi voglia avere una biblioteca minima della sua opera, poiché contengono alcune delle sue realizzazioni più importanti. Nel primo sono riunite le storie del “realismo magico” che ha rappresentato il genere graficamente e narrativamente più innovativo dell’opera fumettistica di questo grande disegnatore. Passando alle edizioni più recenti, un posto di primo piano va riconosciuto alle éditions Mosquito, a cui va il grosso merito di avere fatto conoscere in Francia buona parte della passata produzione di Toppi, attraverso belle edizioni che rappresentano il meglio per quanto riguarda la qualità grafica e la fedeltà rispetto agli originali. La collaborazione e l’amicizia con Michel Jans, direttore della casa editrice francese, hanno anche dato vita a nuovi lavori, alcuni dei quali ancora inediti in Italia, e hanno permesso una diffusione dell’opera del disegnatore milanese nel mondo. L’edizione integrale di Sharaz-de, ad esempio, è stata recentemente pubblicata in Giappone e negli Stati Uniti.
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In Italia, buona parte dei titoli sono presenti nel catalogo delle Edizioni Di che ha pubblicato, tra gli altri, il volume Tanka, che riunisce alcune delle storie più belle d’ambientazione giapponese, e realizzato anche un bellissimo portfolio con le tavole originariamente disegnate per il libro Ukiyo-è Haiku & Suspense, ormai introvabile e costoso. Tra i titoli che non possono assolutamente mancare nella biblioteca essenziale del buon “toppiano”, ci sono i tre libri L’uomo del Nilo, L’uomo del Messico e L’uomo delle paludi, realizzati per la serie Un uomo, un’avventura, tutti facilmente reperibili nella versione originale. Una storia che costituisce, a giudizio di molti, il capolavoro del filone fantastico-misterioso è Myetzko, apparsa nel 1989 sulla rivista Comic Art e pubblicata in volume dalla stessa casa editrice in versione a colori. Assolutamente da non perdere sono le cinque storie de Il Collezionista, che costituiscono un ciclo ormai diventato cult nel mondo degli amanti della nona arte. L’ultima edizione italiana è stata curata da Edi-
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zioni Di che ha pubblicato un elegante cofanetto con i cinque titoli in formato cartonato. Concludiamo segnalando un’iniziativa editoriale grazie alla quale è stata raccolta in volume gran parte della produzione fumettistica e grafica di Sergio Toppi. Nel 2010, le Edizioni Paoline, in collaborazione con il Museo italiano del Fumetto e dell’Immagine di Lucca, hanno pubblicato la collana “Sulle rotte dell’immaginario”, dodici volumi in cui le storie sono suddivise per aree geografiche d’ispirazione e in cui le illustrazioni e i racconti a fumetti guidano il lettore attraverso un viaggio virtuale nell’opera di questo grande artista.
Riflessioni Chi, come chi scrive allora appena dodicenne, si trovò nel 1975 a sfogliare le pagine del decimo numero della collana “I protagonisti”, ebbe, passando da pagina 49 a pagina 50, un piccolo “shock grafico”. Il segno classico, sottile e solare di Albertarelli, a cui ci eravamo abituati da tempo, lasciava il posto a uno stile elaborato in cui il nero predominante accentuava la drammaticità. Era successo che Sergio Bonelli, editore della collana, si era rivolto a Toppi per terminare l’episodio dedicato a Herman Lehmann rimasto incompiuto a causa della morte di Albertarelli. Non lo sapevamo ancora, ma stavamo assistendo a una piccola grande rivoluzione. Il confronto, ancora prima che tra gli stili dei due grandi disegnatori, era tra un diverso modo di concepire il linguaggio fumettistico. La pagina era ancora divisa dalla ripartizione delle vignette, ma la loro composizione era più libera, senza cadenze e forme regolari, con un uso frequente di inquadrature “cinematografiche”, in particolare primi e primissimi piani. La libertà di Toppi nei confronti dello spazio era totale, tanto che alcune pagine erano occupate da una sola, gigantesca figura intorno alla quale si svolgeva contemporaneamente l’azione di altre figure più piccole. L’arte di Toppi (o mestiere, come preferiva definirlo) non nasce ovviamente solo da un immenso talento naturale, ma trae forza e ispirazione da diverse matrici artistiche e culturali. Se nei disegni degli inizi è
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evidente l’influenza esercitata dall’opera del disegnatore satirico inglese Ronald Searle, successivamente il segno si carica di altri riferimenti artistici. È stato evidenziato come il modo di disegnare di Toppi si avvicini all’arte orafa medievale. Le figure, i vestiti, ma anche i paesaggi sono realizzati con raffinatissime tessiture in un effetto simile al cloisonné, dove inserti di pietre preziose sono incastonati in una finissima e geometrica trama di metallo prezioso, o ai complicatissimi intrecci che decorano i codici miniati di Lindisfarne e Kells. Questo guardare con interesse al mondo dell’arte del Medioevo accomuna Toppi all’altro grande riferimento della sua opera, rappresentato dall’art nouveau, che appunto riscoprì e reinterpretò tra Ottocento e Novecento temi e immagini tratte da quell’epoca, in particolare all’opera di Klimt, la cui lezione è evidente nella prevalente composizione verticale delle tavole, nella preziosità dei vestiti che avvolgono le figure, soprattutto femminili, esaltata dall’estrema cura per il particolare e i gioielli, nella geometricità di certi sfondi. Nella contrapposizione decisa tra neri e bianchi, che è alla base di molte sue tavole, è possibile trovare un richiamo alle incisioni xilografiche della Secessione viennese e all’espressionismo tedesco, presente soprattutto attraverso il richiamo alle atmosfere inquietanti e misteriose delle pellicole di registi come Wegener, Wiene, Murnau. Lo stile allo stesso tempo raffinato e selvaggio di Toppi è carico di tutte queste influenze artistiche e culturali e di molte altre, ma il segreto del fascino esercitato dai suoi racconti è da cercare anche nella sua indubbia capacità di autore di testi. A dimostrarlo basterebbe la lettura dei racconti brevi Fine del viaggio e Attendeva felice, pubblicati nel 1979 su alteralter, forse inizialmente destinati a essere tradotti in immagini, ma rimasti come esempi di una capacità narrativa letteraria invidiabile, che trae ispirazione in particolare dai racconti di Dino Buzzati. Nelle sue storie, testo e disegno raggiungono la medesima dignità, strettamente legati nell’unico fine della narrazione. Osservando una sua tavola si rimane immediatamente colpiti dalla composizione grafica, ma è sufficiente iniziare a leggere le didascalie per essere catturati dalla suggestione delle parole dal sapore antico ed epico che introducono alla storia.
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Una sintesi perfetta di tutte queste influenze artistiche e letterarie si può ammirare leggendo le storie di Sharaz-de, che costituisce la sua personale trasposizione a fumetti de Le mille e una notte. Affrontando questo classico della letteratura, Toppi non si preoccupa di rispettare la fedeltà al testo originale, quanto piuttosto di ricostruirne l’atmosfera, le suggestioni magiche ed esotiche. Del libro originario mantiene immutato il filo conduttore, rappresentato dalla storia della bellissima Shahrazād che intrattiene il sovrano Shāhrīyār nel tentativo di rinviare indefinitamente il momento della sua morte. Tra le decine di racconti, seleziona solo poche storie su cui interviene con modifiche e tagli, riducendole alle scene fondamentali, sintetizzate in poche tavole, donando alle storie la rapida fluidità narrativa tipica del racconto epico. Nel dare immagine a queste fiabe orientali, ancora una volta, rinuncia ad attingere al repertorio iconografico usuale, fatto di tappeti volanti, eunuchi dagli enormi turbanti e lampade magiche, reinventando invece un universo leggendario, visivamente ispirato a quello ricreato da Pier Paolo Pasolini per il suo Edipo re. Il risultato è un mondo arcaico, medievale, che oscilla tra l’antica Persia, richiamata nei nomi delle città, e un Oriente islamizzato, suggerito dalle citazioni del narratore agli incipit delle sure del Corano. I paesaggi sono scarni, composti da deserti di sabbia e pietra abitati da geni malvagi e in cui svettano solitari palazzi più simili a fortezze. Il ricorrente uso di splash page con un ricorso minimo alla divisione in vignette rende fluido lo scorrere del racconto all’interno delle singole pagine, come in un lungo piano sequenza cinematografico in cui il lettore è portato a percorrere tutto il disegno seguendo la narrazione che si svolge senza interruzioni.
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L’utilizzo contrastato del bianco e nero, in cui Toppi è maestro, si carica di valori simbolici, sottolineando la drammaticità di queste fiabe che parlano di omicidi, tradimenti, vendette e teste mozzate issate su picche. Alle didascalie e al fumetto è lasciata la funzione, affidata nella tragedia greca al coro, di narrare più compiutamente quanto illustrato dal disegno, ma principalmente di ricreare, col suono di una lingua antica e uno stile declamatorio, atmosfere e immagini mitiche e arcane. Nonostante la prevalenza delle tavole in bianco e nero, in Sharaz-de è presente uno dei primi esempi di tavole a colori con cui Toppi disorienta e affascina il lettore con la sua ardita e innovativa tavolozza cromatica. Nell’episodio Ho atteso mille anni, colorato direttamente sulla tavola originale, il giallo oro, il turchese, lo smeraldo e il rubino sono tratti, ancora una volta, dai colori tipici dell’oreficeria medievale e richiamano, in modo suggestivo, quelli della Gerusalemme Celeste descritta da san Giovanni nell’Apocalisse. A essi si aggiunge una gamma di colori che va dai toni acidi a quelli elettrici in un effetto cromatico che non aveva precedenti, almeno nel fumetto italiano. Per l’eccezionale qualità grafica e l’innovazione narrativa portata al linguaggio fumettistico, Sharaz-de può essere considerato a pieno titolo fra i più bei fumetti di tutti i tempi.
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