O n d a t e / Wa v e s
Simone Miccichè / Paul D’Agostino
due ragazzi avevano un’idea l a v o l e v a n o f a re e l’hanno fatta
_ Testo critico di Paul D’Agostino _ Testo critico di Federica Fiumelli _ ONDATE / WAVES ITALIA U.S.A
New York New Jersey Oregon Virginia North Carolina California Massachusetts Texas Connecticut
GERMANIA INGHILTERRA IRAN LETTONIA LITUANIA POLONIA SPAGNA SVEZIA _ Liceo Artistico F.Arcangeli di Bologna, Italia _ Credits
ONDATE / WAVES di Paul D’Agostino
Immigrazione, emigrazione, spostamento, spiazzamento, asilo, esilio e fuga: tutti questi fanno parte del tema di migrazione in generale. Suscitati da disastri naturali, risorse mancanti, ingiustizie sociali o, spesso, guerre, tali movimenti di persone e populi verso delle visioni di vite migliori risalgono profondamente nella storia dell'umanità — infatti risalgono assai più profondamente che non i governi e limiti nazionali che hanno cercato, o che cercano ora, di ostacolarli. Col tempo hanno anche la tendenza, tali movimenti, di diventare vere e proprie ondate tramite l'accumulazione di motivi e sentieri migratori, e quando una migrazione da qualche parte ispira altre migrazioni da e verso altri luoghi. Presi in considerazione tutti questi temi, e per rispondere in qualche modo ai movimenti variabilmente motivati di ormai milioni di persone da tutte le parti nel mondo oggigiorno, Officina 15, a Bologna, e Centotto Gallery, a Brooklyn, hanno proposto, nell'autunno 2018, una serie di mostre, basate su open call — cioè aperte a chiunque abbia voglia di partecipare — di opere d'arte a misura di cartolina, che in qualche modo rispecchino tali temi visivamente o verbalmente, o tutti e due. L'idea per quest'iniziativa collaborativa era di creare una mostra sulla migrazione che pure se stessa 'migrerebbe.' Così l'intenzione primaria era molto semplice: to montare la mostra a Bologna nel gennaio 2019, poi di nuovo a Brooklyn qualche mese dopo. Però già allora speravamo, durante le prime conversazioni sul progetto, che altri spazi creativi e istituzioni culturali sarebbero interessati ad ospitare la mostra, e che magari prima o poi si farebbero altre 'open call,' e che così la 'ondata' crescerebbe di tappa in tappa con la propria 'migrazione.' Siamo lieti che già vari spazi in vari paesi siano interessati a contribuire all'evoluzione del progetto in qualche modo, e già prima dell'inaugurazione della mostra a Bologna, presso Officina 15. Mentre si scrivono queste righe, quella prima mostra si sta ancora installando. E prima o poi, quella prima mostra si smonterà per poi 'migrare' verso Brooklyn, o verso qualche altra parte, 'migrando' e 'accumulandosi' come una vera e propria ondata. Per poi migrare e 'ancorarsi' ancora da qualche altra parte. Poi da qualche altra parte ancora. E così via.
ONDATE / WAVES By Paul D’Agostino
Immigration, emigration, relocation, displacement, asylum, exile and escape all fall within a broader spectrum of migration in general. Spurred on by natural disasters, lacking resources, social injustices or, often, wars, such movements of peoples aimed at finding safety or better lives run deep into the history of humanity — far, far deeper than all the national borders and governmental entities that have sought, or seek now, to limit or prevent them. Such movements have also tended, over time, to occur in waves, as migration from one point of origin to another builds upon itself, and sometimes as one pattern of migration is reflected in patterns of migration from and to other places. Taking all such matters into consideration, and in response to today's variably motivated movements of masses of millions of people all around the world, Brooklyn-based Centotto Gallery and Bologna-based Officina 15 issued, in the fall of 2018, an open call for small artworks, or simply postcards bearing messages, that might somehow address such themes visually or verbally, or both. The idea for this collaborative endeavor was to create an exhibition about migration that would, itself, 'migrate.' As such, our primary intention was very simple: to mount the exhibit in Bologna in early 2019, and then mount it again in Brooklyn later in the year. However, our hope at the time was also that other art spaces and cultural institutions of various sorts might take an interest in hosting the exhibit, and that maybe down the line further open calls would be issued, and the 'ondata' or 'wave' would grow apace its 'migration'. We're pleased that several spaces in various countries have expressed an interest in playing a role in the evolution of the project, even before its first showing in Bologna, at Officina 15. At the time of this writing, that first show is still being installed. And that show, sooner or later, will come down, then move along to Brooklyn or somewhere else. Then maybe, yet again, somewhere else, as the exhibit itself becomes an accumulating, migrating wave. To then shore up, yet again, somewhere else. And then somewhere else. And so on.
ONDATE / WAVES di Federica Fiumelli Per cominciare a parlare di un fenomeno connaturato all’uomo, ovvero quello dell’eterno migrare, è doveroso per me citare un ampio passo da “Lo studio dell’uomo” del 1936 dell’antropologo statunitense Ralph Linton, che tanto mi colpì alla primissima lezione di antropologia culturale all’Università qualche anno fa - con la sottile e intelligente ironia tipica dell’autore. “Il cittadino americano medio si sveglia in un letto costruito secondo un modello che ebbe origine nel vicino Oriente. Egli scosta le lenzuola e le coperte che possono essere di cotone, pianta originaria dell’India; o di lino, pianta originaria del vicino Oriente; o di lana di pecora, animale originariamente addomesticato nel vicino Oriente; o di seta, il cui uso fu scoperto in Cina. Tutti questi materiali sono stati filati e tessuti secondo procedimenti inventati nel vicino Oriente. Si infila i mocassini inventati dagli indiani delle contrade boscose dell’Est, e va nel bagno, i cui accessori sono un misto di invenzioni europee e amercane, entrambe di data recente. Si leva il pigiama, indumento inventato in India, e si lava con il sapone, inventato dalle antiche popolazioni galliche. Poi si fa la barba, rito masochistico che sembra sia derivato dai sumeri o dagli antichi egiziani. Tornato in camera da letto, prende i suoi vestiti da una sedia il cui modello è stato elaborato nell’Europa meridionale e si veste. Indossa indumenti la cui forma derivò in origine dai vestiti di pelle dei nomadi delle steppe dell’Asia, si infila le scarpe fatte di pelle tinta secondo un procedimento inventato nell’antico Egitto, tagliate secondo un modello derivato dalle civiltà classiche del Mediterraneo; si mette intorno al collo una striscia dai colori brillanti che è un vestigio sopravvissuto degli scialli che tenevano sulle spalle i croati del XVII secolo. Andando a fare colazione si ferma a comprare un giornale, pagando con delle monete che sono un’antica invenzione della Lidia. Al ristorante viene a contatto con tutta una nuova serie di elementi presi da altre culture: il suo piatto è fatto di un tipo di terraglia inventato in Cina; il suo coltello è di acciaio, lega fatta per la prima volta nell’India del Sud, la forchetta ha origini medievali italiane, il cucchiaio è un derivato dell’originale romano. Prende il caffè, pianta abissina, con panna e zucchero. Sia l’idea di allevare mucche che quella di mungerle ha avuto origine nel vicino Oriente, mentre lo zucchero fu estratto in India per la prima volta. Dopo la frutta e il caffè, mangerà le cialde, dolci fatti, secondo una tecnica scandinava, con il frumento, originario dell’Asia minore. Quando il nostro amico ha finito di mangiare, si appoggia alla spalliera delle sedie e fuma, secondo un’abitudine degli indiani d’America, consumando la pianta addomesticata in Brasile o fumando la pipa, derivata dagli indiani della Virginia o la sigaretta, derivata dal Messico. Può anche fumare un sigaro, trasmessoci dalle Antille, attraverso la Spagna. Mentre fuma legge le notizie del giorno, stampate in un carattere inventato dagli antichi semiti, su di un materiale inventato in Cina e secondo un procedimento inventato in Germania. Mentre legge i resoconti dei problemi che si agitano all’estero, se è un buon cittadino conservatore, con un linguaggio indo-europeo, ringrazierà una divinità ebraica di averlo fatto al cento per cento americano.” Non possiamo pensare al genere umano se non anche al suo necessario e urgente spostamento attraverso i continenti e i secoli - l’origine
della storia nasce proprio con il movimento incessante per migliorare e migliorarsi, per evolversi e scoprire qualcosa che ancora non comprendiamo. Che sfugge. Oggi basta acquistare un qualsiasi quotidiano, navigare in un qualsiasi social o sito web, ascoltare un programma radio o guardare un TV show per capire quanto il fenomeno dell’emigrazione e l’immigrazione attuale siano un problema di portata internazionale, se non gestite con coscienza e serietà. Tante parole, poche soluzioni concrete e troppe vite spezzate, non era sicuramente questo il sogno di un’Europa e di un mondo libero e civilizzato. Lontani dal voler entrare in nodi politici assai fastidiosi e complessi da sciogliere è necessario ricordare e ricordarsi che per comprendere e gestire gli orribili accadimenti che hanno macchiato per sempre le acque, le vite e le memorie di tutti noi bisogna restare umani - lontani dall’indifferenza, dall’ignoranza - non occorre girare le spalle - perché tutti noi, nessuno escluso, abbiamo origini e radici lontane - in terre sorelle, in continenti fratelli - ognuno di noi conserva in sé il gene del migrante - del nomade - dell’uomo che in sé nutre con feroce bellezza la speranza di migliorare e migliorarsi a costo di cambiare pelle, clima, paesaggi e cuori. Quando pensiamo all’emigrazione, ricordiamo le foto ingiallite dei nonni o dei bisnonni - delle loro storie che risuonano come echi lontani quasi a perdersi tra i capelli bianchi o le rughe della pelle come solchi di pesanti fatiche. Spostamenti indotti dalla ricerca di un lavoro, di una vita migliore, per inseguire un amore, per ricostruire una vita lontani dalle ferite insormontabili della guerra. Se per molti di noi queste tematiche restano racconti da pellicole degne di Sergio Leone, oggi tutto ciò è reale, ci vive accanto, ma sembriamo per certi versi ugualmente lontani, non realmente connessi. E in tutto ciò l’arte, l’espressione artistica è stata, come la storia narra, una portatrice sana di idee e racconti, come una testimone vigile a raccontarci quello che non vogliamo ammettere. Proprio questa estate ho avuto modo di assistere all’ ”Antigone” portata in scena dalla compagnia teatrale “Archivio Zeta” al Cimitero Militare germanico sul passo della Futa - quale luogo incredibile per capire che Antigone comincia proprio lì, da una conclusione amara, tra i solchi di un vinile di Charles Trenet “La mer”, i profili di più di 30.000 soldati - gli orrori della storia riflettono in un oggi spietato e ugualmente dimenticato nell’indifferenza della gente - della politica - le stragi del Mediterraneo - le storie spezzate di migliaia di migranti - di fratelli che non riconosciamo. Archivio Zeta ha saputo con poesia attraversare la storia nei secoli, dall’antichità alla cronaca - per donarci un potente messaggio: quello della rinascita. La rinascita contro l’indifferenza. Con meno poesia e probabilmente più astuzia, che dire invece del lavoro che sta facendo e che ha fatto un big dello star system come Ai WeiWei - continuamente in bilico tra ricerca - marketing - provocazione e pubblicità. L’artista dissidente cinese che ha portato sugli schermi “Human Flow” - 140 minuti nei quali ha scelto di raccontare ciò che accade quando si lascia il proprio paese, attraversando confi-
ni e barriere. O se vogliamo invece ricordare l’installazione che comprendeva numerosi gommoni rossi appesi sui profili architettonici di Palazzo Strozzi a Firenze. Molti artisti lavorano più silenziosamente sul concetto di emigrazione ed immigrazione, ma ai giornali e ai social sembra piacere sempre la notizia cult, quella dalle visualizzazioni impazzite e impazienti. Un altro artista Leon Vynehall nel suo ultimo album del 2018 “Nothing is still” ha raccontato in musica l’esperienza che i suoi nonni hanno fatto: emigrati dal rigoglioso Sud Est britannico a New York City negli anni ’60, il loro viaggio di sette giorni via nave da Southampton a Brooklyn, tanti racconti ed elementi sono venuti alla luce soltanto quattro anni fa, in occasione della scomparsa del nonno. Vynehall ha raccolto le membra delle sue radici e ci ha regalato un memoriale straordinario - una composizione minimalista tra raffinate tessiture jazz e fumose atmosfere urbane. Inizia proprio da un cartolina di Brooklyn il nostro viaggio Ondate/Waves nato da una call internazionale via posta, più di duecento opere, più di quindici Stati partecipanti, tutti con la voglia di raccontare cosa per loro significa migrare nella doppia accezione di emigrazione e immigrazione. “Il Nuovo Mondo è un cocktail. Cocktail di razze che vanno dai pellerossa ai Latini. Cocktail di Stati di cui particolari restano molto più pronunciati d quello che non s’immagina generalmente Oltreoceano. Cocktail di climi che vanno dal temperato al tropicale. Cocktail di paesaggi, cascata del Niagara e deserti immensi alte cime rocciose del Grand Canyon del Colorado.” Così racconta una cartolina riportante un estratto da un quaderno delle scuole medie di una madre italiana emigrata in America negli anni Cinquanta. La mail art, movimento artistico che si serve del servizio postale per diffondersi e circolare, crea inevitabilmente uno scambio attivo e paritario tra mittente e destinatario, ed è perciò una forma artistica completamente democratica, anche per i costi di gestione molto bassi. Occorre ricordare le Avanguardie e le Neo Avanguardie - i primi esperimenti del Futurismo italiano con i collage postali di Ivo Pannaggi, la creazione di francobolli dadaisti grazie a Marcel Duchamp o di quelli blu firmati Yves Klein, gli artisti postali di Fluxus e le loro sperimentazioni (George Maciunas, Ben Vautier) e l’ufficializzazione di questa pratica con la New York Correspondence School di Ray Johnson (artista chiave nel movimento Pop) sul finire degli anni ’50. La mail art ha visto il suo sviluppo anche nei decenni seguenti degli anni ’70 e ’80 (soprattutto per la sua caratteristica economica negli ambienti underground) - per poi esplodere nei ’90 e potersi definire predecessore della net art con l’arrivo a gamba tesa delle nuove tecnologie digitali. Paura, Nostalgia, Speranza e Coraggio, quattro parole che indicano stati emotivi tellurici, fanno parte di un lavoro italiano composto da più cartoline quasi a riassumere le impressioni date in generale dalla call.
I lavori hanno prediletto il disegno, la pittura sia astratta, informale che figurativa - l’illustrazione, la fotografia, il collage. Nessun video. Poca scrittura. “The Steep Road” un lavoro lituano raffigura un uomo giovane appeso, aggrappato ad un grande occhio umano spalancato, in procinto di osservare, forse, il futuro. Un altro lavoro, lettone, recita “Don’t Forget your roots” - semplice ma efficace. “Emigrant Breakfast” è uno dei pochi lavori scultorei che sono arrivati, una trappola per topi adibita a catapulta munita di cucchiaino - un object trouvè dall’ironia tagliente e grottesca - dai tratti surrealisti e manzoniani. C’è chi poi ha descritto la migrazione attraverso una moltitudine di linee datate con giorno e orario di inizio e di fine - un breve e sinuoso tracciato da un lato della cartolina all’altro - o c’è chi ha mappato un’area geografica con tanti minuscoli occhi - tanti naufraghi silenti osservatori. C’è chi ha dato ad Ondate/Waves il corpo informe autentico del suono - tramite una grafia evanescente e ondulatoria. In questa call l’oggetto stesso elevato ad opera d’arte - la cartolina - è divenuto corpo migrante - senza sosta da un lato del mondo all’altro alla ricerca di sguardi carichi di speranza. Senza confini. «Un confine è soprattutto e in primo luogo una parola che può essere utilizzata secondo diverse accezioni, in riferimento alla soglia del dolore, al confine dell’essenza, al limite di un disastro, al discrimine tra sanità e pazzia. (…) In un certo senso, i confini sono la pelle dei luoghi e anche una sorta di scorza per la maggior parte delle idee. I confini sono le nostre definizioni. E sono troppo sottili. Non c’è niente da controllare, perché non vediamo mai l’altro lato del confine correttamente» Sigalit Landau - DeadSee, 2005 Still da video / Video still
Italia / Italy
Alessandra Gellini Forlì
L’umantà intera ovunque sia e ovunque vada è in cammino. Infinite sono le curvature spaziali, infiniti i confini materiali e immateriali. solo il pensiero, l’immigrazione possono allargare gli orizzonti e superare ogni confine. Kleeianamente, fra il-di-là e il-di-qua fra l’ieri e l’oggi.
Italia / Italy
Antonio Lafata Castel Voltur no
Christine M. Kulper Sanremo
DĂŠirdre Kelly Venezia
Elana Grossi Montecchio Emilia
Federica Tinti Bologna
Francesco Angioloni Castiglione della Pescaia
Giada Reggio Laspezia
Giulio Poggi Italy
Monica Camaggi Grizzana Morandi
PANORAMICA Saluti dal confine interno /Grüße von der inneren Grenze Misure dittico 12x17cm ciascuna L’opera parte da una riflessione sulle terre di confine, in questo caso dal conteso confine tra Austria e Italia definito presso il passo del Brennero/Brenner dopo le contrattazioni politiche al termine della prima e successivamente seconda guerra mondiale. Un confine che di fatto ha diviso un territorio creando un conflitto linguistico e culturale inaspritosi in maniera netta dopo il tentativo di Mussolini di italianizzare il Süd Tirol proibendo lingua e cultura locale culminato con l’istituzione del referendum col quale l’Italia fascista chiedeva ai sud tirolesi di scegliere se restare presso le loro terre, ma rinunciare alla propria lingua e cultura oppure rinunciare alla propria casa ed emigrare volontariamente verso la Germania di Hitler. Della storia di questo territorio da sempre crocevia conteso e tormentato, divenuto a forza italiano con la conseguenza di fare degli abitanti di questa zona minoranza linguistica, si parla pochissimo. Nella storia resta traccia forse solo degli attentati degli anni ’60 contro gli obiettivi italiani, culminati nella notte dei fuochi in cui vennero abbattuti dai militanti sud tirolesi decine di tralicci dell’alta tensione con atti terroristici. Poco invece si riflette sul fatto che una situazione di conflitto divenuta molto complessa anno dopo anno, oltre che con l’autonomia concessa, è stata risolta sopratutto con una mossa della quale bisognerebbe avere memoria. Infatti la caduta delle frontiere e delle dogane avvenuta con l’istituzione della libera circolazione nell’Unione Europea ha fatto dell’Alto Adige/Süd Tirol una regione europea multilingue. Di questo dato bisognerebbe tener conto proprio nell’attuale situazione politica in cui governi e popolazione stanno regredendo verso una chiusura dovuta alla paura dell’altro, benché l’attuale situazione politica dimostri con esempi concreti la difficoltà di ripristinare barriere e confini (si veda la frontiera da ripristinare tra Irlanda del nord e Repubblica irlandese dopo la Brexit). Le mie sono due cartoline speculari, provenienti da due luoghi diversi e allo stesso tempo dallo stesso luogo. Il titolo è PANORAMICA con riferimento al senso etimologico del termine greco (“vedere l’intero”) e anche al formato che si ottiene unendo le due immagini. Solo accostando due immagini infatti si può vedere che al di là del confine il panorama continua, si completa dando a chi osserva una visione d’insieme. Il sottotitolo è in doppia lingua (italiano e tedesco come nella toponomastica dell’Alto Adige/Süd Tirol) è “Saluti dal confine interno” inteso sia come frontiera che interrompe un paesaggio e in questo caso la visione dell’opera, sia in relazione al confine che ognuno di noi trova in se stesso se si ferma ad una visione parziale del proprio territorio.
Oreste Baccolini Valsamoggia
Associazione Makeba Marsciano
Le cartoline sono state realizzate all’interno del progetto “Ko de Mondo. Illustrazioni dalla fine della terra”, laboratorio di illusrazione, coordinato dall’Associazione di promozione sociale Makeba e finanziato dalla Regione Umbria all’interno del programma annuale 2017 degli interventi in materia di immigrazione. D.G.R. n. 1078/2017 ai sensi della L.R. n. 18/90. Al laboratorio hanno partecipato dieci giovani comunitari e non comuitari che hanno condiviso la passione per l’illustrazione e il sentimento di accoglienza reciproca. Ci piace pensare che le loro “opere” viaggino senza frontiere!
Angela Pancucci presidente Associazione Makeba associazionemakeba@gmail.com angelapancucci@gmail.com
Rober ta Morelli Foggia
Rober to Dapoto Bologna
Francesco Piro Cor niglio
Nora Feli s Bolzano
Federica Fiumelli Castiglione dei Pepoli
1958. Mia nonna materna in una foto dell’epoca a Caserta, nella sua città natale che ha successivamente abbandonato per trasferirsi prima a Prato poi a Cà di Landino per inseguire il lavoro di cuoca e poi l’amore, mio nonno Loris. Una donna che ha avuto tre figlie femmine, tra cui mia mamma. Ho volutamente trasposto l’immagine analogica triplicandola in digitale, modificandone due copie con una banale applicazione da smartphone. L’effetto di distorsione e glitch utilizzati massicciamente sia nelle arti visive che nelle composizioni sonore e plastiche nel contemporaneo sono volutamente proposte come metafora di perdita e riflessione - di come sia tutto labile e corroso quando si tratta dell’immagine che abbiamo di noi stessi e degli altri nella nostra memoria. La copia originale della foro guarda indietro - verso una donna che si è spostata, ha modificato la sua routine, abbandonando le proprie radici per sempre. (Mia nonna non ha più fatto ritorno in Campania). Come icone su un qualsiasi computer la trilogia fotografica fluttua evanescente su uno sfondo pieno di smarties colorati - nella doppia veste di feticcio amoroso (mia nonna mi riempiva sempre di dolcetti di questo tipo) e di pixel. La memoria è il più grande viaggio - la più grande emigrazione verso e fuori noi stessi.
Giulia Bonaiuti Roma
Giulia Campomaggiore Roma
Beatrice Caruso Bologna
Lorenzo Stefanini Castiglione dei Pepoli
Rosemar y Collini Bosso Sanremo
Tan Wenlin Torino
Jessica Passantini Bologna
ZAATARI
CONCEPT DELL’OPERA
Il campo sorge al Nord della Giordania, su un lembo di terra al confine con la Siria, vicino alla città di Al Mafraq. Nato nel 2012 per ospitare temporaneamente i siriani in fuga dalla guerra civile, oggi è una città fatta di prefabbricati, piccole botteghe e scuole di formazione. Per entrare nel campo, l’Unhcr e il governo giordano hanno messo a punto un sistema di registrazione tramite il riconoscimento oculare che registra l’iride su un database. L’elettricità c’è solo quando cala il buio e i beni di prima necessità sono garantiti grazie al lavoro sul campo di organizzazioni internazionali. A Zaatari, uno dei quattro campi giordani, sono accolti più di ottantamila profughi. In tutto sono seicentocinquantamila i siriani fuggiti in Giordania ma solo centoventimila vivono nei campi. Molti però vi cercano poi rifugio, non trovando lavoro nel paese. Una realtà di sofferenza ma anche di inizio di una ricostruzione. Nel campo c’è un’assistenza importante: è gestito con attenzione, con risorse da parte dell’Alto Commissariato dell’Onu per i rifugiati in collaborazione con lo Stato giordano. Ci sono distribuzioni regolari di alimenti e dei sussidi quotidiani. La cifra è circa di dieci dinari giordani al giorno, che sono circa 16 euro. L’Italia è presente in questo campo profughi in due settori. Il primo è l’equipaggiamento e la gestione di un poliambulatorio funzionale (radiologia e medicina essenziale); il secondo è quello delle donne, che sono aiutate e assistite da vari punti di vista. Ci sono corsi di formazione, di tessitura e altre attività che garantiscono lo stipendio mensile minimo di 210 dollari al mese, che è una cifra di rilievo a Zaatari. Tutto questo per dare speranza a tante donne che magari dopo aver perso un marito, un fratello, dopo essersi ritrovate capo-famiglia in un Paese straniero, per avere la possibilità di poter ricominciare.
Questo progetto artistico nasce dalla volontà di rompere i confini, come dice il titolo stesso. L’idea di una realtà chiusa in se stessa all’interno di una città, mi ha portato immediatamente alla mente l’idea di voler distruggere, almeno concettualmente, le barriere e le reti che ogni giorno i profughi rifugiati sono costretti a vedere attorno a loro. Sono fuggiti da una guerra civile per poter avere un po’ di libertà, ma la libertà che si ritrovano è contornata, chiusa e imprescindibile. “Broken Borders” nasce così per ridare, almeno su carta, una libertà mutata, un collegamento con il villaggio adiacente, un proseguimento delle vie del campo fino alla città circostante. Tecnicamente il progetto è tutto realizzato con l’ausilio tecnologico, partendo dalla fotografia digitale della città di Zaatari scattata dal satellite di Google Maps, ho poi continuato intervenendo con colori sulle linee delle vie principali. Ogni colore rappresenta qualcosa: -Nero: strade principali esistenti -Rosso: Confini esistenti del campo e confini immaginari del villaggio -Rosa: Linee immaginarie prolungate al di fuori dei confini preesistenti
U.S.A. / U.S.A.
Angelica Bergamini Brooklyn, NY
Anne Russinof Brooklyn, NY
Barbara Marks New York, N Y
Cathy Diamond New York, N Y
Carol Diamond New York, N Y
Davey Bar nwell Por tland, Oregon
David McDonough Woodside, NY
Diane Englander New York, N Y
Elisha Grant Por t Washington, NY
Elizabeth Mead Williamsburg, Virginia
Jennifer Kobylarz Brooklyn, NY
John Descar fino Brooklyn, NY
Judith Luongo Brooklyn, NY
Kari Feuer Leland, Nor th Carolina
Leslie Kerby Brooklyn, NY
Linda Tharp New York, NY
Luisa Caldwell Brooklyn, NY
Madeleine Matsson Brooklyn, NY
Marina Cappelletto Brooklyn, NY
Melissa Dyanne West Hollywood, Califor nia
MJ Bono New York, NY
Nina Meledandri Brooklyn, NY
Angelica Bergamini Brooklyn, NY
Paula Overbay Brooklyn, NY
Petey Brown Brooklyn, NY
Rosaire Appel Brooklyn, NY
Shihui Zhou Brooklyn, NY
Susan Carr East Falmouth, Massachusetts
Susan Newmark Brooklyn, NY
Susan Post Belmont, Massachusetts
Susu Pianchupattana Seaside Heights, NJ
Sylvanus Shaw Brooklyn, NY
Vincent Pidone Albany, NY
Caroline Blum New York, NY
Ellen Grossman New York, NY
Jacqueline Sferra Rada New York, NY
Lisa Narducci New Baltimore, NY
Natalie Moore Brooklyn, NY
Renee H. Lai Austin,Texas
Ruyin Tsai Brooklyn, NY
Yasmeen Abdallah Brooklyn, NY
Yasmeen’s Work ie the collage of US newspaper with painting to reflect the tension and the resistance of currently immigrant situation
Alice Harrison Morristown, NJ
Deanna Lee Brooklyn, NY
Emily Berger Brooklyn, NY
Barbara Friedman New York, NY
Jane Haimes New York, NY
Sally Novak Brooklyn, NY
Marcy Rosenblat Brooklyn, NY
Carlo Cittadini Brooklyn, NY
Denise Sfraga College Point, NY
Gwen Adler Hastings on Hudson, NY
Judith Kruger Litchfield, CT
Kaitlin McDonaugu New York, NY
Len Bellinger College Point, NY
Lexi Campbell Brooklyn, NY
Linda Stillman New York, NY
Liz Atlas Brooklyn, NY
Marica Scanlon New York, NY
Lizbeth Mitty Brooklyn, NY
Nor ma Greenwood New York, NY
Patricia Dahlman Lyndhurst, NJ
Paul D'Agostino Brooklyn, NY
Robin Glassman Brooklyn, NY
Suejin Jo New York, NY
Theresa Marie Valla New York, NY
Elisa Jensen Brooklyn, NY
Ger mania / Ger many
Helge H. Paulsen Hannover
Claudia Grunig Cologne
Nate Anspaugh Meerbusch
Britta Fluevog Braunschweig
Inghilterra / England
Jeanne Constantin Glasgow
Iran / Iran
Shida Azari Marhabi Tehran
Lettonia / Latvia
Ilze Kalvane Balozi
Lituania / Lithuani a
Agne Seputyte Vilnius
Akvilina Strizinaite Vilnius
Ar tĂšras Rozkovas Vilnius
Egidija BrinkytĂŠ Klaipeda
Ieva BunokaitĂŠ Vilnius
Indre JaskunienĂŠ
Karolina Babenka Vilnius
Kristina DaniĂšnaite Vilnius
Kristina Sidlausbaite Vilnius
Lukas Paukste Vilnius
Reda NaitkuvienĂŠ Vilnius
Romas Klimavicius Klaipeda
- Emigrant Breakfast
- Two sides of migration
Viktorija Packovska Vilnius
Meda Norbuthite Vilnius
Rober tas Strazdas Vilnius
Justina Pakalnyte Vilnius
Rober t Bluj Vilnius
Simona Cemoskaite Pakruojis
Polonia / Poland
Aleksandra Sikora Krakòv
Spagna / Spain
Mercedes de la Zarza Robles CĂ diz
Svezia / Sweden
Gunilla Daga Vallingby
Liceo Ar tistico F.Arcangeli Bologna, Italy
Andrea Alboresi 3 H
Anita Borghi 3 H
Beatrice Casolari 3 H
Carina Golovati 3 H
Chiara Amadori 3 H
Chiara AnzĂ 3 H
Danieli Magnani 3 H
Davide Lenzi 3 H
Enrico Giordani 3 H
Es Saifi Achchaymaa 3 H
Giorgia Deng Wanting 3 H
Isla Mark Christian 3 H
Lorenzo Leggio 3 H
Marco Freyrie 3 H
Mar ta Dolcetti 3 H
Mar tina Borgatti 3 H
Melissa Elisabetta Al ampi 3 H
Ramos Joye Anne 3 H
Jeanne Constantin 3 H
Alessandro Risi 3 I
Alisia Lupi 3 I
Anna Chiara Taliani 3 I
Aurora Caruso 3 I
Beatrice Quaquarelli 3 I
Conti Mar tino 3 I
Emanuela Monaco 3 I
Giulia Mazzetti 3 I
Julia Contrino 3 I
Luke Hall 3 I
Rebecca Aureli 3 I
Sara Vergani 3 I
Venturi Giorgia 3 I
Viola Misso 3 I
Elenco degli artisti le cui opere mi sono giunte purtroppo troppo tardi per essere inserite nel catalogo. Le opere verranno comunque esposte dal 26 Gennaio al 9 Marzo presso l’associazione culturale Officina15 e faranno parte della “migrazione” verso l’esposizione nella Centotto Gallery di Paul D’Agostino a Brooklyn, NY.
_ ERIKA D’AMBROSIO, Bologna, Italia _ SARA BERTARINI, Bologna, Italia _ MATTEO MAZZETTI, Bologna, Italia _ FILIPPO FERRARI, Bologna, Italia _ GINEVRA PROGRESSI, Bologna, Italia _ HANTEA VICTORIA, Bologna, Italia _ DERVISHI ALTIN, Bologna, Italia _ ANZÀ CHIARA, Bologna, Italia _ KIT WTABATHA ARNOFI, Bologna, Italia _ SERENA BERTUZZI, Bologna, Italia _ PAOLO MASOTTI, Bologna, Italia _JULIA MATVEEVA, Bologna, Italia _ SVETLANA MIRCHEVA, Sofia, Bulgaria _ KLEJDIA LAZRI, Bruxelles, Belgio _ ERWIN KEUSTERMANS, Semmerzake, Belgio _ DEVON MENDEL e DALIA WILLIAMS, Brooklyn, New York _ LIZA MENDEL, Brooklyn, New York _ DEZ WILLIAMS, Brooklyn, New York _ JACKIE SHATZ, New York, New York _ LARRY WALCZAK, Erie, Pennsylvania _ SOPHIA CHIZUCO, Brooklyn, New York _ MARY PINTO, Sunnyside, New York _ SYLVIA BEATO, Brooklyn, New York _ MAGDALENA ARGUELLES, Chicago, Illinois _ KIT WARREN, New York, New York _ ROBERT ZURER, Philadelphia, Pennsylvania
Neme progetto: ONDATE/WAVES Progetto di: Simone Miccichè e Paul D’Agostino A cura di: Ass.ne culturale Officina15 e Centotto gallery Curatrice prima tappa: Federica Fiumelli
Con il patrocinio di: Regione Emilia Romagna Comune di Castiglione dei Pepoli Unione dei Comuni
Nell’ambito del progetto “Talenti come Lavoro” presentato dall’Unione Appennino Bolognese ai sensi della L.R. 14 del 2008 “Norme in materia di politiche per le giovani generazioni”