La terra che mi sostiene

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La terra che mi sostiene Da Bologna a Prato attraverso gli Appennini lungo la via della lana e della seta Un racconto breve di Martino Viviani



Grazie a Luca Morganti e Officina15, Egle Teglia, Vito Paticchia, Fernanda e Marisa e Viviana, Luca Gurieri, Giovanni Apriliano, la gente tutta che vive l’Appennino, Alice Meoni e Simone Falso

© 2018, ass.ne culturale Officina15 finito di stampare nel giugno 2018 per conto di Officina15 € 8,00


“Colui che non ha terra sotto i piedi non è un uomo”.



Ore 10:00 Domenica via Emilia Levante Bologna.

Volevo partire questa notte con l’alba. Ho preferito il letto con A. Giornata molto calda. Lo zaino strozza le spalle. Autobus 19 fino a più in là che si può.

Mi chiedo:

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cosa voglio

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raccontare?

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In direzione di Prato. Questa cosa dovrebbe portarmi là. Da Bologna. La strada dico, dovrebbe portarmi là. 6 tappe. 135 km. Piedi. E lo dovrebbe fare attraverso l’Appennino: tra faggi, querce, abeti e noccioli e castagni; tra insetti, bestie e rocce, aria e crampi; tra borghi che contornano montagne che affondano in piane desolate che stanno in valli nascoste tra scarpate terrose. Staremo a vedere. Nel mentre, su questa ciclabile in uscita da Bologna fa molto caldo. Chiedo dell’acqua lungo il fiume. “Certo”. Mi viene indicato un cancelletto attraverso cui si accede ad un’area di giardini e roulotte. Entro.

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La signora sorride denti d’oro. Si chiacchiera. L’uomo scompare e ritorna con una bottiglia da un litro e mezzo di acqua naturale fresca da frigo. Gli si legge una contentezza in volto per via dell’acqua offerta. È davvero così semplicemente felice di offrirla. Si chiacchiera. Mi vengono mostrati l’orto, le galline e l’uva. Si chiacchiera. “Quando passi fermati. Ti offro un caffè volentieri”, dice l’uomo. E lo dice come che se da qui si passasse sempre. “Grazie”. Ci si saluta.

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In strada. Cerchiamo di fare ordine. In testa anzitutto. Percorro quindi una via e questa via ha nello specifico un nome: “via della lana e della seta”. Questa via è un percorso escursionistico e collega Prato a Bologna. Mi interessa conoscere questa terra perché la abitano i ragazzi con cui lavoro. E ho sempre creduto che il paesaggio formi chi lo vive e chi lo vive formi il paesaggio. E che questo dialogo debba essere armonioso. Per questo mi interessa. Cercare per quel che si può di conoscere un territorio e quindi tracciarne un diagramma. Cerchiamo di fare ordine. Anzitutto, è necessario un “oggetto” e allora mi chiedo: cosa hai in pancia Appennino? Mentre mi chiedo questo incontro una grande fabbrica.

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“Hai l’aria di uno che sta andando lontano”, mi dicono quelli con l’aria di uno vestito di blu.

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L’oggetto del presente scritto vuole essere il territorio in cui mi muovo, in cui crescono i ragazzi con cui lavoro e ciò che è contenuto in esso. Vuole essere, in sintesi: la terra che mi sostiene. Non una guida ma uno degli infiniti racconti che si possono fare. La terra che mi sostiene. Mangio qualcosa. Sistemo lo zaino sulle spalle. Sistemo il peso.

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Incontro prima un fiume e incontro poi un campo.

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Ci dormirei qui sui prati. Ma ho poca acqua. E allora mi sposto. Cerco un posto per la tenda. E allora mi fumo una paglia Arrivo dall’alto in un piccolo paese. Trovo un buon posto. Un uomo è affacciato a petto nudo e tatuato alla finestra della piccola casa appiccicata alla piccola chiesa. Appende una grande bandiera di una squadra di calcio: “c’è la finale”, mi dice. Gli chiedo se sia un problema mettere la tenda (chiedere sempre se sia un problema) e mi fa cenno col capo “tranquillo”; mi fa cenno che qui posso stare. Tranquillo. Si fa notte. Esce una ragazza dalla piccola casa. Va a chiudere le galline. È preoccupata per il freddo. È preoccupata per me. Mi dice “per qualsiasi cosa puoi suonare”.

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Una solidarietĂ dimenticata. Piove. Il prato profuma. Ho la schiena rotta. Che strano non avere la moto. Piove.

Ps: non lasciare traccia; spostarsi senza lasciare traccia alcuna; non lasciare traccia.

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