La rivista dell’Ordine Francescano Secolare d’Italia
Contiene I.R.
Anno 11 – n° 6 giugno 2013
Periodico mensile Poste italiane – Sped. in Abb. Post. D.L. 353/03 (conv. in L. 27.02.04 n. 46) art. 1c. 2DCB Padova
Festival Francescano Il tema del viaggio e del cammino
Famiglia
il nervo scoperto della crisi
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Con piacere riportiamo questa bella testimonianza giunta alla Redazione FVS: L’8 aprile 2013, a 85 anni, è deceduto Mons. François Marie Wolf Ligondé, primo arcivescovo haitiano di Port-auPrince. Un fatto sconosciuto persino ai fedeli di Port-au-Prince, ma che merita di essere ricordato, è quello che Mons. Ligondé era membro della grande famiglia di Francesco d’Assisi. Era orgoglioso di ripeterci: «Io porto il nome di Francesco!». Ad otto anni aveva già letto una prima biografia di Francesco e a 12 ne conosceva a memoria tutta la vita. Il suo sogno: seguirlo ed imitarlo. Ma è stato solo alla fine dei suoi ultimi anni di vita che ha potuto realizzare il suo grande desiderio: diventare membro dell’Ordine Francescano. Alcuni mesi dopo la prima presenza e «implantatio» francescana ad Haiti, realizzata a Pestel, nella diocesi di Jérémie, nel dicembre del 1987, ho avuto il privilegio di incontrare Mons. Ligondé. Nel suo ufficio di Port-auPrince mi aveva manifestato il desiderio di vedere i Frati Minori operare anche nella sua diocesi, desiderio che ha ripetuto in molteplici occasioni. Tuttavia la nostra presenza definitiva nella Capitale non si realizzaerà che nel 2001 con Mons. Serge Miot. È stato nel quadro della celebrazione per l’ottavo centenario della approvazione della Regola dei Frati Minori, il 2 maggio 2009, nella nostra casa di formazione di Lilavois, che Mons. Ligondé ha fatto la sua professione nell’Ordine Francescano Secolare. La domanda ufficiale del candidato era stata presentata qualche mese prima al Ministro della fraternità di san Francesco d’Assisi della Cappella sant’Alessandro, Jean Jacques Nicolas. Anche il Consiglio Nazionale, presieduto dal Ministro, Jean Lovinsky Polycarpe, aveva accolto la domanda
Ai confini del mondo i figli di Francesco e dato il suo consenso. Fra Raymond Mailhiot, OFM, assistente OFS di Haiti e rappresentante del Primo Ordine, ha riconosciuto, a nome della Chiesa, la validità di questo atto. Mons. Ligondé per noi è stato un fratello, un amico e collaboratore, un prezioso consigliere. Come il suo santo Patrono, egli amava la Chiesa e Maria, l’Eucaristia ed il sacerdozio. In nome del Vangelo si è reso disponibile e fraterno, aspirante all’unità per tutti per il tramite del perdono e della riconciliazione. Amico dei poveri e dei contadini, educatore dei giovani, formatore di un gran numero di professionisti, guida e accompagnatore di tantissimi sacerdoti che amava, incoraggiava e sosteneva, unificatore delle religiose... Tutti lo ricorderanno come un umile servitore della parola e predicatore innamorato del Vangelo di cui ha fatto professione. Nella nostra preghiera chiediamo al Signore che si realizzi per lui il desiderio così caro a Francesco di Assisi: «Voglio condurvi tutti in paradiso». È il fine della santità. In occasione del suo 45° anniversario episcopale, celebrato a New York, l’11 ottobre 2011, il nostro fratello vescovo ha confidato ai presenti la più grande aspirazione del suo cuore: «Vivere una vita da santo!». Che Maria, della quale portava anche il nome – Nostra Signora del perpetuo soccorso e Patrona di Haiti – gli conceda questa ultima grazia: l’eredità del paradiso. Raymond MAILHIOT, OFM, Assistente nazionale dell’OFS e Missionario in Haïti da 25 anni Carissimi amici della Redazione FVS, ho visto sul sito www.ofs.it la notizia di una raccolta fondi per la custodia di Terra santa dei frati minori. Mi potreste dare qualche indicazione ulteriore?
Gentilissima amica, la custodia di Terra Santa, come sai, è una Provincia OFM costituita da frati minori «chiamati da Dio da tutte le parti del mondo per la speciale missione di custodire i luoghi della Redenzione», così si descrivono gli stessi frati. Per dar seguito al grande amore di Francesco per i luoghi nei quali è nato, vissuto e morto Gesù, i frati sono presenti in Terra Santa fin da 800 anni. Custodire i luoghi santificati dalla presenza di Gesù si esprime concretamente con l'animazione delle liturgie nei santuari sia per i pellegrini che per le chiese locali, con l’accoglienza dei pellegrini che giungono da tutte le parti del mondo per pregare e sostare in questi luoghi. «Amare le pietre che custodiscono la memoria di Gesù – dicono i frati – ci spinge anche ad amare le pietre vive, le comunità cristiane, che da sempre qui vivono. Sono numerose le attività formative e sociali della Custodia per il supporto alla presenza cristiana in Terra Santa: scuole, costruzione di abitazioni, aiuto alle diverse forme di povertà». Proprio per il grande servizio che essi fanno hanno bisogno del sostegno, anche economico, di quanti, in ogni parte del mondo, credono nella presenza dei figli di Francesco nei luoghi Santi. In particolare la campagna di cui si fa riferimento nel sito interessa tre progetti specifici: uno a Betlemme, di sostegno all’educazione di bambini bisognosi; uno a Nazareth per la conservazione della “Casa di Maria”; il terzo è a sostegno di famiglie in stato di povertà a Gerusalemme. È possibile contribuire tramite versamento su conto corrente postale n°756205 “Terrasanta Gerusalemme”, oppure su conto corrente bancario (le cui coordinate sono: IT67W0501812101000000122691) ATS pro Terra Santa o, infine tramite paypal sul sito www.proterrasancta.org, specificando per quale dei progetti si intende fare la donazione. 3
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Lettere a FVS
32 La speranza, passo della gioia
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Famiglia, il nervo scoperto della crisi
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Verso la “Settimana sociale”: famiglia “perimetro” della società.
I dati del convegno del Forum delle Famiglie.
15 Femminile, plurale
37 Lessico dell’anima Tra pazzia e profezia.
38 Vivere nell’amicizia con Cristo L'intervista a fra Claudio Durighetto.
41 Francesco e le donne
Charlie Brown e la fraternità.
O meglio, Francesco e la donna.
16 Io cinguetto, tu navighi, egli spamma…
42 Chiostri e campanili
La politica nel mare della rete.
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La fraternità chiamata a camminare nella speranza.
Echi di vita francescana.
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19 Governare la complessità
45 In Chiara Luce
22 «Tutte le immagini portano scritto: più in là»
46 Quella roccia del ministro Cécile
27 In due righe
49 Ius soli: un problema aperto
29 «Va’ Francesco…»
53 Oltre il segno del Battesimo
31 Caro OFS
54 Quando l’incontro con Dio è un “ritorno a casa”
Aldo Moro 35 anni dopo la sua morte.
Il tema del prossimo Festival Francescano. Cronaca dalla fraternità nazionale. L’OFS incontra il Vescovo di Carpi. Al piano superiore… con Maria.
Chiara e Francesco: mistero di comunione. L’intervista a Kossi Komla-Ebri, molto vicino a Cécile Kyenge.
La proposta del ministro per l'integrazione. Yunus Emré: cercatore di porte.
Giovanni Lindo Ferretti, cantore della gloria di Dio.
59 Cantiamo da Dio
La rivista dell’Ordine
Un “viaggio” nella musica leggera che parla di Dio.
Francescano Secolare d’Italia
61 Segni e tracce
Da leggere, da vedere, da ascoltare.
PER RICEVERE LA RIVISTA
66 Sipario
Quota associativa “Francesco il Volto Secolare – Associazione” Ordinaria € 20,00 Sostenitore € 35,00
L’editoriale dell'ultima pagina.
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da sottoscrivere sul c/c postale n. 55841050 intestato a Francesco il Volto Secolare Associazione Via della Cannella, 8 06081 – Capodacqua di Assisi (PG) SCRIVERE CON CHIAREZZA NOME E INDIRIZZO Garanzia di riservatezza Informativa ex art. 13 del D.Lgs. 196/03. I dati personali forniti dai propri associati permettono all’associazione “Francesco il Volto Secolare” di farli partecipi delle proprie iniziative. Il conferimento dei dati è obbligatorio; senza detti dati l’Associazione non potrebbe effettuare l’invio del presente periodico. I dati sono custoditi su supporto informatico e trattati nel pieno rispetto delle misure di sicurezza a tutela della relativa sicurezza. Detti dati inoltre potranno essere comunicati all’associazione “Attività Ordine Francescano Secolare d’Italia Onlus” al solo scopo di far conoscere le proprie iniziative di solidarietà. Titolare del trattamento dei dati personali è l’associazione “Francesco il Volto Secolare”. In ogni momento potrete richiedere la cancellazione, la rettifica e l’aggiornamento dei Vostri dati personali contattandoci all’indirizzo di Viale delle Mura Aurelie, 9 – 00165 Roma o al cellulare 334 2870709 o all’indirizzo e-mail giorgetti.19@gmail.com.
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Autorizzazione n. 737 del 28/12/2002 del tribunale di Milano Direttore responsabile: Ettore Colli Vignarelli
Foto: archivio di redazione, Valentina Benetti, Giancarlo Ferro, Leonardo Kurtz, Stefana Musio, Enzo Picciano, Francesco Presepi, Ivano Puccetti, Roberto Sardo, Matteo Verola.
Delegato comunicazione e stampa Consiglio Nazionale OFS: Gianpaolo Capone
Stampa: Imprimenda snc Via Martin Piva, 14 – Limena (PD)
Caporedattore: Paola Brovelli
Collaboratori fissi: Andrea Serafino Dester, Remo Di Pinto, Attilio Galimberti, Andrea Santori, MichaelDavide Semeraro, Anna Pia Viola, Umberto Virgadaula
Redazione: Cinzia Benzi, Miriam Burattin, Roberta Giani, Ilenia Grecu, Antonella Lagger, Ornella Omodei Zorini, sorelle francescane della nuova Gerusalemme
Hanno collaborato a questo numero: Felice Accrocca, Paolo Affatato, Elena Francesca Beccaria (monastero clarisse di Città della Pie-
ve), Francesco Bonini, Elisabetta Frejaville, Giancarlo Li Quadri Cassini, Marco Liviotti, Michele Luppi, Roberto Luzi, Luca Marcolivio, Barbara Milanese, Elisa Romagnoli, Concetto Vecchio, Giorgio Verga Recapiti redazione: Via Crespi, 11 – 28100 Novara Tel.: 334 2870869 e-mail: redazionefvs@ofs.it Gestione abbonamenti c/o Segretariato nazionale OFS Viale delle Mura Aurelie, 9 – 00165 Roma Tel e fax: 06 632494, cel. 334 2870709 e-mail: giorgetti.19@gmail.com
Temi
Famiglia il nervo scoperto della crisi
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Secondo i dati divulgati durante un convegno del Forum delle Famiglie, il 45% di chi ha un contratto di lavoro a tempo indeterminato, fa fatica ad arrivare alla fine del mese.
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Temi
Q
di Luca Marcolivio
uest’anno la ricorrenza della Giornata Internazionale della Famiglia si inserisce in un contesto di particolare urgenza, dovuto alla crisi economica e alla dilagante disoccupazione, in particolare giovanile, in cui le istituzioni sono tenute a dare una risposta concreta una volta per tutte. Su questo tema si è svolto nelle scorse settimane a Roma il convegno “Crisi economica e giovani famiglie: una priorità per il sistema Italia”, promosso dal Forum delle Famiglie. L’iniziativa si inserisce nell’ambito della Giornata Internazionale della Famiglia, indetta dall’ONU dal 1994, e prepara la strada per la 47° Settimana Sociale in programma a Torino dal 12 al 15 settembre prossimo sul tema “Famiglia, speranza e futuro per la società italiana”. Come ha spiegato il presidente del Forum delle Famiglie, Francesco Belletti, è ora che «la famiglia sia rimessa al centro del dibattito politico» e che il Piano nazionale per la famiglia passi finalmente «dalla carta ai fatti». Se da un lato «la società civile difende la famiglia», dall’altro «la politica fatica ad ascoltarla»: ne è la dimostrazione il fatto che, nell’attuale Gover8
no, nessun ministero, né sottosegretariato abbia ad oggetto le politiche familiari. La famiglia, invece, necessita una «delega speciale», per la quale il Forum chiede al governo «una persona che faccia capo alla presidenza del Consiglio, una struttura organizzativa, tempi certi per l’attuazione», ha ricordato Belletti. Ma il punto cruciale della riflessione riguarda il rapporto famiglia-lavoro. Ragionando rispetto a questa questione in termini generali, il presidente del Forum ha sottolineato come a suo parere il termine “conciliazione” sia ormai piuttosto superato: più pertinente risulta parlare di “armonizzazione” o di “sinergia”. Due spunti particolari, ha proseguito Belletti, sono forniti dalla Costituzione: laddove l’articolo 1 afferma che «l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro», non si intende solamente il “lavoro retribuito” ma anche il sacrificio quotidiano nel lavoro di cura all’interno delle mura domestiche. Inoltre, sempre secondo il presidente del Forum, l’articolo 21 («La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio») sottolinea che «la nostra Costituzione riconosce la famiglia come luogo antropologicamente naturale», preesistente alla società e allo
La crisi economica colpisce in maniera estremamente significativa la famiglia. Eppure la famiglia rimane una delle risorse più importanti della nostra società civile, non solo economica.
Verso la “Settimana Sociale”: famiglia “perimetro” della società
Riscoprire e valorizzare la «specifica e originaria dimensione sociale» della famiglia. Dalla consapevolezza della famiglia come «prima società naturale» e «modello di comunità» alla quale società e Stato devono fare riferimento prende le mosse il Documento preparatorio per la 47ª Settimana Sociale dei cattolici italiani (Torino, 12-15 settembre 2013), presentato recentemente a Roma. Il testo, articolato in tre sezioni, parte dalla «struttura profonda della famiglia, al cui centro stanno la dignità della persona e la sacralità della vita umana», per poi affrontare «il legame tra la famiglia e la società» e infine «l’intreccio strettissimo tra la famiglia e le dimensioni del lavoro e dell’economia». L’argomento «non può essere ridotto a una questione interna alla Chiesa o a un tema eticamente sensibile ma nel perimetro della confessione cristiana», ha esordito monsignor Domenico Pompili, sottosegretario Cei e direttore dell’Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali, introducendo la conferenza stampa. Obiettivo del Documento, ha rimarcato il presidente del Comitato scientifico e organizzatore delle Settimane Sociali, l’arcivescovo di Cagliari Arrigo Miglio, è suscitare «confronto e approfondimento su quel che sta avvenendo intorno alla famiglia, al di là di pregiudizi e ideologie, per cogliere le tante
ragioni di bene comune, condivisibili da molti». Di famiglia è la quarta volta che si parla nell’ultracentenario cammino delle Settimane create dal beato Giuseppe Toniolo, e a Torino lo si farà «nella prospettiva specifica delle Settimane Sociali, per contribuire alla ricerca e formazione di cammini di bene comune». L’appuntamento torinese, ha aggiunto Miglio, «vuol essere un invito a guardare avanti con fiducia e realismo», avendo come orizzonte «il mondo che vogliamo costruire» e «quale società civile vogliamo far crescere». Il sociologo Luca Diotallevi (vicepresidente del Comitato), da parte sua, ha proposto tre provocazioni «a tutta la comunità civile italiana». La prima: «Siamo solo uno Stato o anche una Repubblica?», consapevoli che «la Repubblica ha dei pilastri fondamentali, uno dei quali è la famiglia» e al suo interno lo Stato è solo «un pezzo». Quindi l’invito a riconoscere i diritti, che «non sono un prodotto delle leggi, qualcosa che si può dare o togliere». Infine, «siamo in grado di riconoscere qualcosa di speciale nell’amore tra un uomo e una donna?», ha chiesto il sociologo rispondendo alle polemiche sul “gender”. Tra le sollecitazioni contenute nel Documento, i richiami alla libertà educativa, a una «sussidiarietà fiscale», all’unità familiare degli immigrati. Ma, prima
di tutto, il valore che la Costituzione italiana riconosce alla famiglia - come «luogo di rilevanza sociale e pubblica» - e al lavoro - poiché «garantire l’esistenza e la qualità del lavoro significa assicurare libertà e dignità alla famiglia che tramite esso vive e cresce» -. Il Comitato organizzatore delle Settimane Sociali, nel testo, invoca il «riconoscimento pieno dell’autonomia e della parità scolastica» per garantire «una vera libertà educativa», assieme all’auspicio di un «rilancio del protagonismo della famiglia nel gestire strutture educative». Sul piano della tassazione, la richiesta è di dare «precedenza al risparmio fiscale rispetto all’assistenza sociale»: un cambio di prospettiva che prende il nome di «sussidiarietà fiscale» ma chiede di lasciare alle famiglie «la possibilità di gestire le risorse che hanno autonomamente guadagnato». Infine, il Documento presta attenzione alle sempre più numerose famiglie migranti, chiedendo politiche che tutelino «il diritto all’unità familiare» e favoriscano «un processo condiviso d’integrazione», concedendo tra l’altro il «diritto di cittadinanza ai bambini nati in Italia», prevedendo «cammini educativi di partecipazione» e «l’attribuzione del diritto di voto amministrativo agli immigrati regolarmente presenti nel nostro Paese». 9
Temi stato, nel cui ambito è possibile e si sperimenta «l’alleanza delle differenze». È seguito il primo workshop, moderato e introdotto dal direttore di Avvenire, Marco Tarquinio, che ha sottolineato l’importanza della famiglia come «ammortizzatore sociale», sebbene si tratti di «una risorsa che diamo per scontato ma che non è data per sempre». Luciana Saccone, responsabile del Dipartimento della Famiglia presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, ha auspicato in primo luogo una «velocizzazione» e uno «snellimento delle pro-
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cedure» sulle politiche familiari e l’avvento di un soggetto governativo delegato sul tema, cui presentare «le priorità avvertite dalla composizione dell’osservatorio». È poi intervenuta Lorenza Rebuzzini, referente di FlexiFamily, un progetto integrato a cura del Forum, delle ACLI e del MCL per realizzare sul territorio una rete di partnership a livello locale. Il progetto è stato operativo da novembre 2011 a maggio 2013 su sei città pilota (Roma, Napoli, Foggia, Padova, Pesaro e Arezzo), coinvolgendo 1500 famiglie.
Per evitare quello che appare come smarrimento della rotta, è necessario che la famiglia sia rimessa al centro del dibattito politico in Italia.
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Temi
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Oltre l’assistenza, verso un welfare inclusivo La famiglia in questa fase storica sembra essere diventata il luogo in cui più direttamente ed esplicitamente si manifestano le conseguenze negative della grave crisi economica che paralizza il Paese. Basti solo pensare alla catena drammatica perdita del lavoro-perdita della casa- crisi familiare- disfacimento dei legami. In questo quadro è indispensabile che gli enti locali ripensino profondamente i propri modelli di intervento in materia. Lo ha fatto in questi mesi il Comune di Novara, mettendo in campo un progetto innovativo, non a caso premiato come primo classificato tra 597 comuni concorrenti in un apposito bando
del Ministero delle Politiche Sociali. Il progetto, (che si chiama SICIS) che vede come partner scientifico l’Università degli Studi di Trento e come partner operativi il Centro Servizi per il Volontariato, una fondazione comunitaria, la Caritas Diocesana, la Provincia, cerca risposte nuove all’emergenza dell’impoverimento attraverso la sperimentazione di un modello di intervento basato su alcuni chiari principi: un approccio alla problematica che ponga al centro del modello l’obiettivo dell’inclusività e non dell’assistenza, favorendo comportamenti proattivi da parte dei beneficiari degli interventi, l’utilizzo, nell’approccio
agli utenti, dello strumento dei piani di intervento personalizzati (PIP) rivolti alle singole famiglie, definiti e sottoscritti da operatori ed utenti, con obiettivi e azioni condivise; un ampio coinvolgimento degli attori del terzo settore, con un efficace scambio di informazioni e condivisione dei progetti, che identifichi ruoli e responsabilità; una ottimizzazione delle risorse economiche, professionali e strutturali che riduca gli sprechi e le disfunzionalità; una misurazione scientifica dei risultati conseguiti. Lo spirito del progetto è quello di favorire un miglioramento dell’efficienza del sistema trasformando le spese che Comune e enti del volontariato sostengono ogni anno per i contributi economici, da un costo ad un investimento, teso non solo a coprire l’emergenza economica immediata, ma soprattutto a dare opportunità di ripresa ai soggetti in difficoltà, offrendo loro un percorso per il recupero della loro dignità anche attraverso la riqualificazione professionale ed il lavoro. Trenta saranno le famiglie seguite dai servizi sociali oggetto della sperimentazione. La logica è quella di sviluppare interventi per cui al posto di erogazioni economiche dirette (ad esempio per il pagamento di bollette ed affitti arretrati), si mettano a disposizione voucher lavorativi e professionali che permettano di trasformare il contributo economico in ore di lavoro per la collettività o di investimento in capitale umano per migliorare le opportunità di inserimento lavorativo. 13
Temi «Le famiglie che hanno partecipato al progetto – ha spiegato Rebuzzini – sono state accompagnate da un sostegno integrato, cioè non soltanto economico ma anche sociale e psicologico». FlexiFamily si è articolato su un lavoro di rete, con sportelli, seminari ed analisi dei bisogni. Il 78% degli utenti manifesta «bisogni primari come pagamento di bollette, richieste di alimenti, aiuti per fare studiare i propri figli; al secondo posto (73,3%) sono i bisogni informativi: mancanza di conoscenza dei benefici fiscali e dei servizi del territorio». Un dato che fa riflettere è la tendenza delle famiglie in difficoltà economica a chiudersi in se stesse, spesso «con esiti tragici» quando, al contrario, è opportuno aiutarle «ad uscire dalla solitudine», ha detto Rebuzzini. Più del 66% degli utenti di FlexiFamily sono donne tra i 30 e i 50 anni, a dimostrazione che
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«sono soprattutto le donne a mobilitarsi per la famiglia». A differenza di quanto si potrebbe pensare, le famiglie più in difficoltà sono quelle dove uno o entrambi i coniugi hanno un contratto di lavoro a tempo indeterminato: «il 45% di queste famiglie – ha sottolineato Rebuzzini – ha problemi ad arrivare alla fine del mese». La tipologia di famiglie più in difficoltà è quella in cui entrambi i coniugi lavorano e hanno due figli, quasi fossero «penalizzate dalla scelta generativa». In conclusione del workshop, Belletti ha annunciato la volontà del Forum di istituire una Giornata Nazionale per la Famiglia analoga a quella internazionale indetta dall’ONU. A tale scopo, ha affermato Belletti, saranno interpellate le Commissioni parlamentari competenti: una richiesta «senza oneri per lo Stato e che sarebbe un importante atto simbolico».
Il Forum delle Famiglie ha annunciato di voler istituire una Giornata Nazionale per la Famiglia, analoga a quella internazionale indetta dall’ONU.
Femminile, plurale
di Anna Pia Viola
Charlie Brown e la fraternità «C
’è un posto dove posso essere me stesso/a?». Questa domanda mi viene rivolta sempre più spesso e mi fa riflettere su due cose, anzi, tre. Innanzitutto, l’evidente constatazione che viviamo ruoli sociali, in situazioni gratificanti o in ambienti problematici, che non ci consentono di essere noi stessi. Affrontiamo le situazioni, le emergenze, ma viene sempre un momento in cui ci rendiamo conto che abbiamo messo da parte i nostri bisogni, i nostri sogni, per gli altri e ora ci ritroviamo a raccogliere quello che resta: cocci di qualcosa che vorremmo ancora accarezzare, ma che rimane in frantumi. Poi, quando ancora abbiamo un po’ di speranza, chiediamo aiuto e andiamo alla ricerca di un luogo, un posto, in cui presentarci per quello che resta di noi. Ci ritroviamo così in chiesa, in fraternità, nelle diverse comunità ed associazioni, il cui numero aumenta in continuazione… Che strano, in un’epoca di solitudine, di incomprensione, di mancanza di contatto umano vero e di relazioni autentiche, proliferano le strutture associative! Che vorrà dire questo? Sicuramente che è molto più facile rispondere ad un bisogno con una struttura anziché con delle persone vere. È molto più gratificante dire al mondo quello che siamo attraverso il gruppo di appartenenza anziché attraverso il sacrificio di noi stessi. Perché di questo si tratta: le persone gridano aiuto, gridano il loro bisogno di essere riconosciute per quello che sono e noi, spesso, offriamo loro una comunità a cui appartenere con delle regole da osser-
vare e con degli incontri di preghiera a cui partecipare, poco importa, poi, se non entri in relazione con il Signore… l’importante è che hai fatto il tuo “dovere”! Siamo capaci di organizzare percorsi di riflessione per imparare a conoscere tecniche e strategie per capire il disegno divino nella storia. Chiediamo alle persone di fare lo sforzo di capire la loro vita, dove stanno andando, dove stanno sbagliando… Fermiamoci un attimo: possiamo veramente capire quello che viviamo? Le cose più importanti della vita, il dolore
della morte, la ferita dell’abbandono, la solitudine che ti angoscia, non chiedono di essere capite, ma solo riconosciute e accettate. Allora, mi piacerebbe offrire un posto, vivere una relazione, in cui le persone possano sentirsi accolte a partire da ciò che non capiscono. Quanto mi piacerebbe poter dire: «C’è un centro per uno che non capisce mai quello che gli succede» e questo centro siamo noi che scommettiamo sulla vita così come si presenta e proviamo a viverla insieme a chi non ce la fa a portarla da solo. 15
AttualitĂ
Io cinguetto, tu navighi, egli spamma...
la politica nel mare della rete 16
Molti se ne sono accorti con l’esplosione di Grillo e del suo Movimento, ma da tempo in Italia è tutto un fiorire di messaggi politici che viaggiano sulla rete web. Eppure si fa ancora fatica a valutare il peso effettivo sulle scelte collettive delle presenze politiche nei social network.
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Attualità
I
l popolo della rete non esiste. O forse sì. Il dibattito, nei giorni dell’elezione del Presidente della Repubblica e dell’incarico a Enrico Letta, è diventato incandescente. A scatenarlo non solo l’alto numero di “tweet” (i messaggi di 140 caratteri sul social medium Twitter) della politica italiana (oltre mezzo milione nei tre giorni che hanno preceduto l’elezione di Napolitano, un record) ma anche il contrappunto del basso numero di “voti” dei simpatizzanti del Movimento 5 Stelle per quelle che erano state definite le “Quirinarie”, una sorta di consultazione rigorosamente online per indicare i favoriti dei grillini per la corsa 18
di Giorgio Verga al Quirinale: il più votato, Rodotà, aveva collezionato poco meno di cinquemila voti. Una quantità di preferenze molto piccola se paragonata agli otto milioni di voti che hanno portato Grillo in Parlamento. «La democrazia diretta? Solo una speranza, che forse mai si realizzerà». Al Festival del giornalismo di Perugia, Kevin Bleyer, sceneggiatore americano e collaboratore per la scrittura dei discorsi di Obama, non sembra aver dubbi. Il web è utilizzato - ha detto - dai politici americani più come strumento di marketing che per consentire la partecipazione dei cittadini. «Obama è stato il primo presidente a usare
Twitter. Tutta la sua famiglia lo usa, ma lo strumento ha dei limiti. Comunica un pensiero, non di più», ha spiegato Bleyer. «La democrazia partecipata per ora è solo una tendenza e i social media sono insufficienti per realizzarla», ci ha tenuto a sottolineare. Nel 2012 in Italia sono stati registrati 1350 nuovi media digitali, di cui 584 web tv. L’ultimo monitoraggio contava 642 web tv: a causa della crisi economica, per la prima volta un segno negativo: -7% rispetto all’anno precedente (2011). Lombardia (81), Puglia (74), Lazio (66) ed Emilia Romagna (50) sono le regioni con la maggiore distribuzione di web tv. Puglia (71), Lombardia (66),
GOVERNARE LA COMPLESSITÀ di Francesco Bonini Sono passati 35 anni, lo spazio di una generazione matura. Eppure l’anniversario dell’assassinio di Aldo Moro, il 9 maggio del lontano 1978, ce lo fa ancora più presente, in questo momento di transizione. E non solo perché da 35 anni si continua a discutere della sua morte, uno dei più eclatanti omicidi politici consumati nelle democrazie occidentali dal secondo dopoguerra. Sono state scritte biblioteche sui misteri d’Italia e ancora se ne parla appassionatamente, anche se forse la verità è proprio quella, orrenda e banale che è stata oggetto di più di una sentenza. Ma oggi, in un momento di passaggio, di cambiamento, di crisi, di incertezza è piuttosto sulla sua vita politica che vale la pena di tornare a ragionare. A partire da un paradosso. Ai tempi di Moro la grande questione era l’assenza di alternanza. Oggi, dopo vent’anni di alter-
nanze inconcludenti, siamo alla ricerca della stabilità. Che è il vero problema dell’Italia, un problema di sostanza, e non di forma del sistema politico, un problema che non può essere risolto con l’ingegneria istituzionale, con le formule e i sistemi elettorali, ma con la capacità e la qualità dei politici. Ecco allora la lezione di Moro che sinteticamente si può definire la disponibilità e la capacità a fare i conti con la complessità, con le contraddizioni della storia, secondo una linea attenta a cogliere (e intervenire) sui cambiamenti. Che è poi la prospettiva della Democrazia cristiana, la sua eredità migliore, ormai ad oltre vent’anni dalla sua dissoluzione. Della Dc, che ha saputo guidare e interpretare, Moro ha sempre puntato a promuovere l’unità, ma anche l’iniziativa. Serviva persuadere, coinvolge-
re, responsabilizzare, con pazienza e determinazione. Così sono rimasti famosi i suoi discorsi lunghissimi, come quello di sei ore al congresso di Napoli, per portare la Dc unita al governo di alleanza con i socialisti nel 1962. Ecco allora le sue formule apparentemente oscure e contraddittorie, come le famose «convergenze parallele»: il nonsenso geometrico serviva per spiegare l’alleanza tra diversi che tali rimanevano, ma dovevano collaborare. Sembra il contrario delle regole della comunicazione che oggi imperano, per cui tutto si consuma in un tweet. Ma la suggestione deve essere raccolta, per costruire strumenti e prospettive nuove. Perché oggi ritorna il tempo della complessità, constatato il fallimento di una logica binaria, contrappositiva in cui siamo immersi. Padroneggiare la complessità oggi è indispensabile per governare. Si parla infatti di “multi level governance”, cioè si constata, in Europa, che esistono molti livelli di azione di governo, che devono essere tra loro coerentemente gestiti. E non solo molti livelli in senso verticale, dal locale al sovra-nazionale, ma anche sul piano orizzontale, quello che articola pubblico, privato e privato–sociale. Per rispondere adeguatamente a un pressante bisogno di rappresentanza, così come di efficacia e di efficienza. In alto: Aldo Moro insieme a Enrico Berlinguer. A fianco: “Giorno e notte” di Maurits Cornelis Escher, una sorta di esemplificazione di «convergenze parallele». 19
Attualità
Campania, Lazio e Sicilia (65) quelle dove si registra il maggior numero di media digitali. La Pubblica Amministrazione conta 115 web tv, mentre quelle delle università sono 32. Lo stato della rete “dal basso” in Italia è stato studiato con la ricerca annuale Netizen 2013, ideata e promossa dall’osservatorio e network Altratv.tv. Netizen sta per “internet e citizen” e descrive da otto anni i cittadini digitalizzati videomaker, ovvero i creatori di web tv, media digitali, community online, blog e videoblog informativi e verticali. Cinque gli ambiti di studio: aspetti editoriali e mezzi produttivi, partner e business model, team e relativa gestione, social network e videosharing, devices mobili. I pubblici sono la vera novità, più maturi che in passato: due su tre hanno sopra i 24 anni.
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Diceva McLuhan: «Tutto il conservatorismo del mondo non può opporre nemmeno una resistenza simbolica all’assalto dei nuovi media elettronici». Bersani però, nei giorni caldi delle elezioni per il Quirinale, ha rimbrottato i suoi: «E smettiamola con questi telefonini, la politica non si fa a colpi di tweet e di sms!». Ecco invece, secondo Filippo Ceccarelli di “La Repubblica”, l’elenco delle iniziative sul web che avrebbero influenzato i lavori parlamentari: «1) il torrente di invocazioni della base contro la candidatura di Marini significativamente intitolato #NonFatelo e #NonViVotiamo-Più; 2) la mobilitazione creatasi sempre via twitter e sms davanti al cinema Capranica; 3) la foto diffusa in tempo reale dell’abbraccio nell’aula di Montecitorio tra Alfano e
Bersani, subito assurta a “icona dell’inciucio”; 4) i continui pronunciamenti di Renzi, Vendola, Grillo e dei suoi candidati, tra i quali Rodotà, che anche lui ha accettato ufficialmente attraverso un tweet; 5) la mobilitazione anche in periferia, pure alimentatasi con il sintomatico hashtag #occupyPd; 6) infine la manifestazione creatasi intorno a Montecitorio e divenuta grande dopo che Grillo aveva annunciato la sua partecipazione, poi annullata sempre sulle piattaforme digitali (quest’ultime in parte bloccate da hacker)». «La democrazia on line non esiste. È un ponte sospeso sul vuoto. Ma è anche una suggestione irresistibile, una forza che sta cambiando la storia. Può
distruggere la democrazia tradizionale, quella rappresentativa. Ma può concorrere a costruire una democrazia nuova, davvero partecipata». Lo ha scritto Aldo Cazzullo sul “Corriere della Sera” lo scorso 22 aprile. Secondo l’opinionista, «il totem della Seconda Repubblica furono i sondaggi. Berlusconi orientava le sue scelte in base alle rivelazioni di Pilo o di Crespi. Il totem della Repubblica che sta nascendo in questi giorni è la Rete». I politici più giovani, dice Cazzullo, «rendono conto non a capipartito mai così screditati ma a poche centinaia di amici, che li hanno votati alle primarie e li influenzano via web. Si spiega anche così non solo la bocciatura di Ma-
rini, ampiamente annunciata, ma pure l’incredibile affondamento di Prodi». Ma la rete si sta trasformando in una sorta di discarica di «odio e frustrazione, in cui ogni intervento comincia con un insulto», notano gli esperti. «Non c’è da stupirsi se si cerca di sfuggire al vuoto ancorandosi ad approdi saldi, rivolgendosi a uomini davvero autorevoli perché giunti al vertice dopo un lungo e tormentato percorso», argomentano gli studiosi. «Si spiega anche così l’innamoramento collettivo per papa Francesco, e la credibilità che Giorgio Napolitano si è guadagnato non solo nell’establishment internazionale ma anche tra la gente». 21
OFS
«… Tutte le
immagini portano scritto:
più in là» Il tema del cammino, la riflessione sull’uomo “pellegrino e forestiero”, la suggestione del viaggio sono il tema dell’edizione 2013 del Festival Francescano, a Rimini dal 27 al 29 settembre.
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I
di Elisa Romagnoli
l Festival Francescano, nella sua quinta edizione, torna a fare tappa nella città di Rimini dal 27 al 29 settembre. Il comitato scientifico (composto da suor Maria Gabriella Bortot, Remo Di Pinto, fra Paolo Martinelli, fra Francesco Patton, fra Prospero Rivi e fra Ugo Sartorio), insieme agli organizzatori e alle famiglie francescane, propone per quest’anno il tema del cammino, in occasione del passaggio di san Francesco dalla Romagna proprio ottocento anni fa. L’Homo viator, l’uomo «pellegrino e forestiero» è colui che vive in questo mondo, consapevole che la sua meta è la vita eterna: «Col corpo infatti era pellegrina sulla terra, ma con lo spirito dimorava in cielo» (Bolla di canonizzazione di Chiara d’Assisi). Il libro dell’Esodo parla di cammino, presentando quello del popolo d’Israele: l’uscita dall’Egitto, la marcia attraverso il deserto, gli avvenimenti del Sinai. Nel Vangelo, Gesù indica ai discepoli le esigenze del cammino dietro a Lui:
Alcune immagini delle passate edizioni che già fanno pregustare il tema del cammino per questo Festival Francescano 2013. In alto “Danza etnica”, foto di Francesco Presepi. In basso a sinistra “In passeggino” di Ivano Puccetti; a sinistra “In bici” è di Roberto Sardo.
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OFS
«Non prendete nulla per il viaggio, né bastone, né sacca» (Lc 9,3) e «le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo» (Lc 9,58). Per Francesco d’Assisi il cammino è stato vita secondo il Vangelo, sequela di Cristo nella povertà: «Si guardino
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i frati di non accettare assolutamente chiese, povere abitazioni e quanto altro viene costruito per loro, se non siano come si addice alla santa povertà, che abbiamo promesso nella Regola, sempre ospitandovi come forestieri e pellegrini» (FF 122). «La vita porta in sé l’insopprimibile desiderio
Lo splendido musical “Francesco e Chiara: l’amore quello vero” nelle fotografie di Matteo Verola (sopra) e di Roberto Sardo.
CamminiAMO: il weekend formativo nazionale di giugno ha una direzione chiara
Metà giugno: come sempre la fraternità nazionale, rappresentata dai consigli regionali, è convocata ad Assisi per un weekend di formazione e di condivisione sui grandi temi che i francescani secolari sono chiamati ad affrontare. Innanzitutto è stato consegnato il testo di formazione per il prossimo anno fraterno, frutto del lavoro di Nino Calderone, responsabile nazionale della formazione, insieme ai consiglieri Alfonso Petrone, Noemi Paola Riccardi e Federica Di Bartolomeo, fra Giorgio Tu-
fano e fra Giancarlo Li Quadri Cassini, assistenti nazionali. Hanno collaborato anche Morena Sacchi e Cinzia Lupone, responsabili della formazione dell’OFS Emilia Romagna e Abruzzo. La tavola rotonda, spunto prezioso di formazione, è stata moderata da Gianluca Lista e ha visto la partecipazione del prof. Simone D’Alessandro, esperto di comunicazione che si è soffermato sulla condizione dell’uomo di oggi; don Giacomo Pavanello, della comunità Nuovi Orizzonti ha dato un quadro ulteriore a partire dall’impegno della
loro associazione con il disagio sociale. Solo l’incontro con il Signore morto e risorto può dare pienezza alla vita dell’uomo, anche di quello di oggi. E da questo incontro che cambia la vita nasce il desiderio di annunciare al mondo la bellezza della “vita nuova”: suor Anna Rossi, insieme a Marco Broggian e Vania Sbalchiero hanno raccontato la loro esperienza di evangelizzazione di strada. Nel prossimo numero FVS, come sempre, approfondimenti sull’incontro formativo “CamminiAMO”.
Capitolo generale OFS 2014: logo cercasi… È stato indetto, il 15 maggio scorso, un concorso nazionale per la realizzazione del Logo del prossimo Capitolo Generale (il XIV) nonché Elettivo (il VI) OFS che si terrà proprio in Italia, ad Assisi nei primi giorni di novembre del 2014. A livello internazionale il capitolo elettivo viene celebrato ogni sei anni e, in occasione di questo importante appuntamento per tutto l’Ordine, la presidenza del CIOFS ha chiesto all’Italia il servizio dell’ideazione del logo. Di qui l’idea di un concorso. Al concorso possono partecipare tutti i fratelli della fraternità nazionale OFS d’Italia, compresa, ovviamente, la Svizzera italiana. Gli elaborati dovranno essere inviati entro il 31 luglio 2013 all’indirizzo mail: segreteria.assisi@ofs.it oppure per posta ordinaria al Centro Nazionale OFS – Viale delle Mura Aurelie, 9 – 00165 Roma. Tema centrale del Capitolo Generale: Come si gestisce un Ordine mondiale come l’OFS? Sottotemi del Capitolo Generale: 1– L’Importanza della famiglia per l’OFS e la Gi.Fra. 2– Vita di unione con Dio nella secolarità
3– La vita in fraternità – dono al mondo e alla Chiesa Il logo dovrà avere le seguenti scritte in grassetto esattamente con le parole nell’ordine indicato mentre sono a libera scelta l’allineamento, i caratteri, le forme, i colori e la tecnica di realizzazione: XIV Capitolo Generale – VI Capitolo Elettivo ORDO FRANCISCANUS SÆCULARIS Assisi-Santa Maria degli Angeli 1-8 novembre 2014 Oltre all’elaborato grafico dovranno essere inviati anche i dati del disegnatore, una breve descrizione dell’ideazione progettuale e il consenso al trattamento dei dati personali. La presidenza del CIOFS riceverà tutti i loghi proposti acquisendone la proprietà. Tutte le specifiche sono anche indicate nel sito www.ofs.it e per ulteriori informazioni è possibile contattare direttamente alla mail segretario@ofs.it Gianpaolo Capone, segretario nazionale OFS.
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dell’altro e dell’altrove – spiega fra Paolo Martinelli, Preside dell’Istituto francescano di spiritualità all’Antonianum di Roma. L’esistenza chiede di uscire dalla propria terra e dalle proprie misure. Solo uscendo da se stessi, mettendosi in cammino, si incontrano gli altri, si possono creare legami e scoprire appartenenze, antiche e nuove». Esistono però tipi diversi di cammino: quello al passo del vagabondo, senza meta né orientamento, dove difficilmente gli altri diventano compagni di viaggio; quello del turista che si muove volentieri, mosso dalla curiosità di conoscere, ma che, trascorsi i giorni programmati, ritorna alle cose solite in attesa del prossimo viaggio. Per il turista, l’altro e l’altrove sono ricercati solo come distrazioni. Infine, c’è il camminare del pellegrino che si muove per raggiungere una meta desiderata, portando con sé una domanda, una preghiera. Il pellegrino gusta ogni passo e ogni incontro nella prospettiva della meta. Anche quando si parte da soli, ci si accorge di appartenere a un popolo e alla meta 26
Ancora momenti di spettacolo al Festival Francescano. In alto la foto è di Leonardo Kurtz. La fotografia in basso è opera di Valentina Benetti.
IN DUE RIGHE Notizie in breve
ANTONIO, UN SANTO EUCARISTICO Riflessione, momenti di incontro, workshops, preghiera comunitaria: dal 6 al 15 giugno a Camposanpiero (PD) la settimana EUFRA che promuove l’incontro e lo scambio di esperienze tra sorelle e fratelli dell’OFS provenienti da tutta Europa. Occasione di conoscenza e di condivisione con l’obiettivo di vivere una chiesa fraterna che superi i confini nazionale e contribuire in prima persona ad una migliore comprensione tra i popoli. A CUTRO (KR) RADUNO DEGLI ARALDINI DI CALABRIA Giochi, canti e preghiere sono riusciti ad entusiasmare ed ad occupare per un’intera giornata gli Araldini di Calabria che, rientrando nelle proprie case porteranno con loro il ricordo della gioiosa giornata. Grande gioia anche per la partecipazione alla giornata di Noemi Paola Riccardi, viceministro nazionale e delegato per l’Araldinato. PIA DI RICCO È IL NUOVO MINISTRO DEL MOLISE Il 28 aprile l’assemblea capitolare OFS del Molise, presieduta da Federica Di Bartolomeo, de-
legata dal ministro nazionale, e accompagnata da fra Fernando Scocca, ha eletto, per il triennio 2013-2016, il nuovo ministro Pia Di Ricco e confermato il vice ministro Daria Battista. Sono stati poi eletti cinque consiglieri: Vito Chimienti, Stefano Martino, Maurizio Vergalito, Pierina Michelucci e Giuseppina Moffa. La ricca relazione del ministro uscente Roberto Fagliarone ha ripercorso il cammino degli ultimi tre anni, le difficoltà ma anche tutte le conquiste che hanno portato ad una sensibile crescita dell’OFS del Molise, composto da quindici fraternità ed una consistente presenza di Gi.Fra. e Araldini. PELLEGRINAGGIO PER LA PACE Invasione francescana per Cotronei, in occasione del sesto pellegrinaggio francescano per
invocare la pace e confrontarsi sulla stessa, il 9 maggio scorso. Ad accogliere l’iniziativa il ministro regionale Pietro Salerno, don Francesco Spadola ed il sindaco Nicola Belcastro che ha rivolto ai partecipanti un saluto nella sala comunale. «Parlare di pace senza un impegno costante può essere banale in Calabria. Cotronei è felice di ospitare quest’iniziativa in un momento difficile per la Calabria anche dal punto di vista economico e per la mancanza di regole condivise. Compito delle Istituzioni e dei cittadini deve essere quello di superare tutti gli squilibri e le differenze fra le persone, affiancando particolarmente quelle in difficoltà». Ha aggiunto don Spadola, parroco cittadino, «apprezziamo l’OFS che si sforza di incarnare nella quotidianità la propria spiritualità. Importante il servizio dei laici francescani nel servizio silenzioso con una pluralità di iniziative per rinnovare la vita con la speranza». Prossimo appuntamento regionale, la celebrazione del Capitolo elettivo durante l’ultimo weekend di giugno. CON TE… COMINCIA LA VITA! I responsabili dei consigli nazionali OFS-Gi.Fra. dell’animazione Araldinato hanno dato avvio alle “danze” per il 22° convegno di tutti gli araldini d’Italia dal 10 al 14 luglio. Le adesioni al convegno “Con Te… comincia la vita!” dovranno pervenire entro il 23 giugno tramite le segreterie regionali OFS e Gi.Fra.; il programma e tutte le specifiche sono a disposizione delle segreterie regionali e si possono trovare sui siti internet nazionali. CAPITOLO FRATERNO DELL’OFS EMILIA-ROMAGNA Il ministro regionale Andrea Zanichelli riunisce tutti i ministri delle fraternità locali per un Capitolo semplicemente fraterno, come lo ha definito. Con l’occasione sono state consegnate le “Linee Formative delle fraternità OFS dell’Emilia-Romagna”, con la proposta di un metodo comune e condiviso per progettare la formazione. 27
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si arriva in compagnia. Il pellegrinaggio è il cammino che cambia il cuore e lo sguardo sulle cose solite, che acquistano così un colore nuovo. Avere la coscienza che la vita è un pellegrinaggio è il modo più vero per vivere ogni circostanza dell’esistenza, dà il giusto peso alle cose e ci impedisce di aspettarci da esse quella felicità che ci può venire solo dall’incontro con Dio. Per il pellegrino e forestiero tutto è segno e profezia della meta. Francesco d’Assisi vive il suo essere pellegrino e forestiero arricchendolo di nuovi contenuti e motivazioni. Fra Prospero Rivi, Segretario del Movimento francescano italiano, ricorda che: «Per Francesco il cammino diviene espressione di un bisogno di comunione e di relazionalità che si traduce nella volontà di essere-per-gli-altri e di essere-con-gli-altri». Anche la scelta di una povertà radicale fa parte di questa volontà di sequela e riflette l’atteggiamento di Cristo. La povertà diviene la condizione peculiare dell’itinerante. La povertà tiene viva nell’uomo la coscienza del suo essere in statu viatoris, ravviva la gratitudine verso Colui che veramente si prende cura di noi, apre alla solidarietà e trasforma chi la vive in un efficace testimone dell’Assoluto. L’itineranza francescana degli inizi contiene anche una forte valenza missionaria. Francesco e i suoi compagni andavano per civitates et loca per annunciare il Vangelo e invitare alla conversione. Per parlare di cammino nella società con28
Nella foto in alto di Francesco Presepi, fra Paolo Martinelli, Preside dell’Istituto francescano di spiritualità della Pontificia Università Antonianum. A lato: fra Antonio Tofanelli, in un momento di predicazione nella foto di Leonardo Kurtz.
temporanea è necessario compiere una lettura dei suoi principali fenomeni: lo spostamento di masse e la forte immigrazione hanno fatto salire in modo considerevole la presenza di stranieri; molti giovani sono costretti a rimandare la costruzione di un futuro per mancanza di opportunità;
Va’ Francesco…
È stato un incontro fraterno, cordiale l’11 maggio 2013 fra il vescovo di Carpi, Mons. Francesco Cavina, ed i ministri OFS nazionale, Remo Di Pinto, dell’Emilia-Romagna, Andrea Zanichelli e della Fraternità locale, Lorenza Lovaretti. Il vescovo Francesco ci ha accolti nel salotto-studio della casa resagli temporaneamente disponibile da un fedele della città. Ci ha raccontato della grande difficoltà in cui versa il popolo della sua diocesi: ora che la fase di programmazione degli interventi strutturali è ben avviata e la maggior parte delle persone è rientrata in casa o, quanto meno, è in una casa, mentre per la maggior parte delle chiese e delle strutture collegate si procede con i lavori o con soluzioni alternative che
favoriscano un ritorno alla normalità, il grande problema è la solitudine, la sofferenza che accompagna la maggior parte delle persone. Il bisogno di tempo per elaborare la grande perdita che il terremoto ha rappresentato, l’insicurezza che ne è scaturita, aggravata dalla attuale fase di crisi economica, rendono ancora emotivamente vulnerabile questa popolazione. Nell’accogliere positivamente la confidenza filiale che già unisce la Fraternità di Carpi al suo vescovo, il ministro Remo ha garantito che, al di là dell’attuale contributo economico, l’Ordine Francescano Secolare può mettere in campo altre iniziative da concordare insieme, a cominciare dalle fraternità limitrofe dell’Emilia-Romagna, che già
in questo anno hanno affiancato le diverse realtà delle diocesi emiliane colpite dal terremoto. Quale segno simbolico per accompagnare il versamento dei 25.000 euro raccolti dall’OFS nazionale per aiutare la ricostruzione delle strutture della diocesi di Carpi, gli è stato donato un Crocefisso di san Damiano, dove avevamo apposto posteriormente una piccola targa ricordo. Tutti abbiamo percepito come il vescovo abbia sentito rivolto anche a lui quel «Va’ Francesco, ripara la mia casa…» posto a titolo di questo progetto e di questa raccolta a cui i fratelli e sorelle di tutt’Italia hanno risposto con entusiasmo. Il vescovo Cavina, ci ha comunicato che utilizzerà questo provvidenziale contributo per completare i lavori in una scuola materna della diocesi a San Martino Spino (recentemente colpita anche da una tromba d’aria) e per proseguire le opere iniziate nella parrocchia di Concordia sulla Secchia. Il pomeriggio si è concluso con un giro per la famosa piazza di Carpi, sovrastata dal grande Duomo “fasciato”, mescolati al popolo del sabato.
Nella foto in alto: il vescovo di Carpi mons. Francesco Cavina. A lato: il duomo nel centro di Carpi in fase di ricostruzione dopo il terremoto del 2012. 29
OFS persone già avanti con gli anni peregrinano a lungo e in solitudine alla ricerca di un lavoro. Remo Di Pinto, Presidente del Movimento francescano italiano, sottolinea che davanti allo straniero possiamo avere diversi tipi di reazioni: il rifiuto e la contrapposizione, che portano a escludere l’altro; l’indifferenza, la cui conseguenza è l’emarginazione; oppure l’accoglienza, l’unica posizione capace di essere generativa di un tessuto sociale pacifico e non violento. «Per questo dovremmo perseguire un’accoglienza che, senza rinnegare i propri valori o dimenticare la propria storia, sia comunque capace di cogliere il positivo dell’altro anche partendo da un dato di crudo realismo: ciò che si rifiuta e al quale non si riconosce dignità, prima o poi esploderà rivendicando in maniera spesso violenta la propria presenza». Attraverso incontri, dibattiti e momenti di riflessione e di preghiera, le giornate del Festival Francescano a Rimini diventano così occasione per interrogarsi su come i francescani vivono oggi il proprio cammino e come possano farsi compagni di viaggio dell’uomo contemporaneo nella Chiesa e nella società.
Ancora si cammina durante il Festival Francescano, nell’incontro con l’altro, nell’ascolto, nella testimonianza. La foto in alto è di Giancarlo Ferro. Sotto è opera di Leonardo Kurtz. A sinistra di Roberto Sardo. 30
Caro OFS di Remo di Pinto
Al piano superiore… con Maria
E
ntrati in città salirono al piano superiore dove abitavano. […] Tutti questi erano assidui e concordi nella preghiera, insieme con alcune donne e con Maria, la madre di Gesù, e con i fratelli di lui (At 1, 12-14). Ciò che sperimentiamo con la vita in Fraternità, è un “salire al piano superiore”, è un vivere “tre metri sopra… la strada”, un livello da cui è possibile avere uno sguardo d’insieme più ampio, che si apre all’orizzonte e al futuro. Porci “in alto” non significa distaccarci dalla quotidianità delle nostre città, ma avvicinarci a Dio nella dimensione contemplativa e aprire la nostra vita alla vita dello Spirito per divenire testimoni. Per questo, è falsa la distinzione che talvolta esprimiamo tra una Fraternità dedita alla preghiera e una più dinamica, perché la preghiera rende vitali ed evangelicamente dinamici! Alle volte, come a contestare la sollecitazione missionaria di alcuni e le novità che facciamo fatica a comprendere e ad accettare, ci rifugiamo in un invito alla preghiera che suona più di contestazione che di bisogno; in realtà, dicendo questo si afferma di non conoscere la preghiera e gli effetti che questa produce. La preghiera cambia le persone e le rende efficaci strumenti del Signore, le pone in comunione con Dio e compartecipi con Lui di una storia realizzata insieme, così come permette la trasformazione da gruppo (inteso come comunità psicologica ed emotiva) a fraternità spirituale per la comune edificazione. I discepoli di Gesù, la prima comunità, si raccoglie in casa, intorno a Maria, offrendoci un modello e uno stile. È nella propria casa, nel proprio spazio di comunione che ci si raccoglie per edificare, aprirsi alla reciprocità,
costruire un sogno e crescere insieme. Ma non ci si raccoglie solo per sé! Quel luogo, quello spazio, è il centro da cui partire per la missione nel mondo. I discepoli, non a caso riconosciuti come quelli della via, non rimarranno fermi in quel luogo tutto il tempo… È lo stesso esempio di Francesco che si riunisce con i primi frati alla Porziuncola, intorno a Maria, per edificarsi nella comunione fraterna, accogliere il dono dello Spirito e da lì partire per farsi testimoni e profeti per la strada. È il modello su cui fondare le nostre Fraternità, da collocare “al piano superiore”, come ambiente di separazione e di trasformazione, nel quale si afferma una distinzione rispetto al mondo, si protegge un’intimità di fede condivisa, si costruisce un linguaggio comune e si individuano comportamenti e scelte da esprimere come novità per il mondo. La Chiesa nasce da questa casa, ed è a partire da questa che ci si dirige per la strada, come quelli della via, verso le altre case, verso i luoghi dell’intimità personale, verso il cuore, dove la vita nasce e si converte dalla solitudine alla comunione; così come Dio fa con noi ponendo la sua casa tra le nostre case. Se non sappiamo abitare la strada, è segno che non abbiamo chiaro il concetto di casa originaria, che il nostro edificio è più simile a un sepolcro che a un cenacolo… noi non viviamo per noi stessi, ma per altri! Il pane che attendiamo per noi ci verrà dato altrove, nell’incontro con quelli che abitano fuori dalla nostra casa… per questo Gesù rivolse l’invito a non portare né bisaccia, né denaro né sandali, perché ciò di cui abbiamo bisogno ci verrà donato da altri e condiviso nelle loro case. Verrà lo Spirito e voi mi sarete testimoni (At 1,8).
Lo Spirito ci dona un’identità nuova, è novità, armonia e missione, ci fa ospitali e ci rende testimoni permettendoci di incarnare la Parola di Dio, che si riveste della nostra storia e delle nostre azioni. Dobbiamo augurarci di manifestare in noi stessi l’azione dello Spirito lasciandoci trasportare dalla sua forza, dal suo vigore, dal vento, dal fuoco… un impeto che spezza le catene e impedisce di tacere, che spinge, che incendia. Nello Spirito diveniamo profeti, capaci cioè di incarnare la Parola, manifestando i frutti della nostra relazione con Dio. Nello Spirito siamo creature nuove, assetati di futuro, con nuovi orizzonti, tutt’altro rispetto alla staticità di uno status, di un OFS acquisito una volta per tutte. Solo chi decide di rinnovarsi nello Spirito sa camminare e comprendere in modo diverso il mondo, ponendosi come spina nel fianco di chi è troppo inserito nel sistema e incapace di uscirne per paura di perderne i benefici personali. Solo così saremo l’inaudito per l’uomo, ciò che non è ancora stato udito, e non potremo mimetizzarci in una presenza sociale anonima e sterile, ma saremo altro, perché sarà la Parola a vivere in noi, sarà Cristo, e noi saremo la nostra vocazione, saremo inventori di strade verso la libertà, verso la comunione, verso la fraternità, verso Dio. I doni dello Spirito, come suo sostegno, ci consentiranno di discernere le strade da percorrere, ci susciteranno la passione per muovere i nostri passi, ci aiuteranno a vedere la via… se viviamo dello Spirito, camminiamo anche secondo lo Spirito (Gal 5, 25). Buon cammino a ciascuno di voi, alle vostre famiglie e alle Fraternità, nella gioia… 31
Spiritualità
La
speranza
passo della gioia I francescani secolari e la virtù della speranza: il mandato, chiaro ed inequivocabile, nasce dalla stessa chiamata a vivere la fraternità evangelica sulle orme di Francesco.
L
di Paolo Affatato
a speranza come “medicina” per combattere la crisi. Alla scuola dei discepoli di Emmaus, i francescani secolari sono “quelli che sperano”, sono quelli che non cedono al virus della rassegnazione o, peggio, della disperazione. Un’epidemia sembra contagiare la società italiana. La ormai conclamata fase di crisi economica crea disoccupati e nuovi poveri. La crisi, dicono gli osservatori, non è solo economica ma è anche una “crisi di fiducia”, che genera pessimismo. E questo, nella prospettiva cristiana, è l’aspetto più grave della crisi. Don Gennaro Matino, teologo ed economista, ricorda «le tante, false promesse disilluse che hanno generato rassegnazione fra la gente». E, dopo la fase della rassegnazione, «c’è quella, pericolosa, della depressione». Il linguaggio burocratico dell’Istat fotografa con cifre asettiche questo deficit di speranza: in Italia sono circa tre milioni gli “inattivi disponibili”, persone che, disoccupate, hanno smesso di cercare un lavoro. Hanno abbandonato la sfida. Vedono il cielo chiudersi sulla loro vita. Come spiegare e come reagire alla crisi? «Siamo nel bel mezzo di una crisi che non è solo economica o solo del mercato», argomenta don Matino. «È più profonda perché il valore ultimo che la società aveva 32
eretto come assoluto era quello economico. È crisi dell’uomo che aveva puntato tutto sul valore economico. Il Dio della società evoluta e capitalista è il Dio economico, e su quel Dio abbiamo investito la nostra speranza. La disperazione, allora, non è solo frutto di un’economia in crisi, ma deriva da un sistema valoriale che è andato affievolendosi, fino ad accartocciarsi su se stesso». L’analisi di don Matino, autore del recente libro “Economia della crisi” (Baldini&Castoldi, 2012), si snoda fluida: «In nome della Ragione economica abbiamo svenduto altri valori umani basilari: la fedeltà, l’amicizia, la parola data, il rispetto, il buon vicinato, l’onestà, valori di riferimento che erano patrimonio inalienabile dell’umano. Quando l’economia va in crisi - polverizzate l’amicizia, la solidarietà, il rispetto tutto sembra distrutto». Oggi la sfida per i cristiani è «riuscire a dare corpo e coraggio a nuove visioni. I cristiani sono pronti a dare ragione della speranza che li abita». Ma qual è la chiave per riuscire a proporre “nuove visoni”? I laici francescani possono far riemergere il plusvalore della compassione. La condizione di disagio, in altri termini, può diventare un’opportunità: «Può aiutare a compiere una svolta profonda, a far nascere una umanità più aperta, capace di fondare la sua identità non
Axim utem fugiate ctotatium fuga. Aquis mod elia il incillab ipsum et quatium doluptaquis in re,Ectur res duntius arios et, officid ebistia in pelesci psant, nem ate sunt.
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Spiritualità
sugli antagonismi, ma sulle relazioni». I francescani secolari, conclude Matino, hanno in questa fase la responsabilità di trasformare il «tempo nemico in tempo favorevole», un tempo in cui “organizzare la speranza” che è dono dello Spirito. Nella certezza che «l’ora più buia della notte è sempre quella più vicina alla luce del giorno». Nel deficit di speranza che oggi si registra nella società, una delle realtà più colpite è la famiglia. Il VII Incontro mondiale delle famiglie – tenutosi a Milano un anno fa – prese atto dolorosamente che tante famiglie sono messe a dura prova dal persistere dell’incertezza. Interi nuclei familiari in cui padre e madre sono disoccupati, soli, smarriti, bussano alle porte delle parrocchie e la crisi giunge, in tal modo, a toccare «la tenuta stessa del nucleo familiare». La famiglia – istituto già indebolito da una cultura e da una prassi che non la riconosce più come “cellula fondante” – accusa il colpo e rischia di disgregarsi. L’allora papa Benedetto XVI, che partecipò all’Incontro mondiale, indicò un antidoto per far rinascere la speranza nelle famiglie: fare rete, attivare gemellaggi e «sperimentare forme di solidarietà da famiglia a famiglia». Una indicazione preziosa per le famiglie dei francescani secolari, chiamate a mostrare, partendo dalla quotidianità, che «il cielo non si è 34
Compito dei francescani secolari, in questo momento di deficit di speranza è trasformare «il tempo nemico in tempo fvorevole», cercando di mostrare che «il cielo non si è chiuso».
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Spiritualità
chiuso», per poi annunciarlo ad altre famiglie che si incrociano nel proprio cammino. Ma, se si vuole andare alle radici della “crisi di fiducia” che attraversa il nostro tempo, non ci si può esimere dal guardare la cultura: la civiltà in cui siamo immersi, la mentalità, gli orientamenti, le tendenze, le abitudini. Un intellettuale cattolico francese, Jean Claude Guillebaud, parlando della crisi, dice: «Un nuovo impero ci minaccia: quello del cinismo, che fa indietreggiare, nella sua freddezza, la speranza bambina di cui parlava Charles Peguy. Ritrovare la speranza – prosegue – è comprendere che non si può vivere senza un minimo di fiducia e di amore condiviso, senza convinzioni e progetti comuni». Come riaccendere, allora, il generatore della speranza a partire dalla cultura che permea la società, disinquinandola dal cinismo? Papa Francesco ha offerto una risposta, dicendo in una delle sue omelie: «Custodire il creato, ogni uomo e ogni donna, con uno sguardo di tenerezza e di amore, è aprire l’orizzonte della speranza». Il prof. Marco Bartoli, storico e studioso di francescanesimo, commenta: «In tal modo la prospettiva cambia radicalmente: la speranza cristiana non è per me, ma è per l’altro. La speranza rinasce quando ci si pone nella prospettiva di tenerezza verso il prossimo, di costruire un futuro per l’altro». Per questo «la speranza cristiana è una forza che ha cambiato la storia: è la condizione esistenziale che consente di mettersi insieme per costruire una cosa nuova». Da storico, Bartoli spiega: «Come ha fatto l’Europa a uscire dalla condizione di sottosviluppo? Nel X secolo era una terra di conquista, la vita media era 40 anni, 36
un terzo della popolazione moriva di parto, l’alfabetizzazione era intorno al 2%. Si risponde, di solito: grazie all’invenzione del mulino, dell’aratro, delle conquiste della scienza. Certo, ma anche perché i cittadini europei hanno investito energie per costruire le cattedrali, cioè “qualcosa di inutile”. Opere che, con il loro slancio verso il cielo, erano segno tangibile ed espressione della speranza. Accanto alla cattedrale sono nati poi l’ospedale, la scuola, l’università, in definitiva il mondo moderno. La speranza cristiana è il motore della storia». La crisi, allora, è un kairòs per l’intera famiglia francescana, chiamata ad essere avanguardia di una chiesa che sa restituire speranza al mondo. E i francescani secolari vanno alla scuola dei discepoli di Emmaus, nella nota pagina del Vangelo di Luca: in primis questi dicono «noi speravamo», usando l’imperfetto, tempo verbale della nostalgia e della disillusione. Ma, dopo che il pellegrino e compagno di viaggio svela loro le Scritture, compiono un gesto di compassione dicendogli: «resta con noi, chè si fa sera». Quel piccolo gesto di misericordia riapre l’orizzonte della speranza. Possono essere, allora, quelle «iniziative coraggiose» e di «creatività apostolica» auspicate nella Regola OFS a rimettere in moto la speranza nel nostro tempo. La speranza, virtù costituiva del cristiano, lo rende agente e testimone di futuro. La speranza può esprimere da sola tutto l’essere cristiano poiché i discepoli di Cristo sono «quelli che sperano» (1Ts 4,13). E il segno visibile della speranza è la gioia. Francesco ha avuto nel suo cammino «il passo della gioia», vivendo la dimensione della gioia come annuncio di speranza.
La speranza cristiana si pone sempre nella prospettiva di costruire qualcosa per l’altro. E nella bellezza del camminare insieme, come i due di Emmaus.
Lessico dell’anima
Tra pazzia e profezia
Fra Giancarlo Li Quadri Cassini
U
no dei frutti dell’armonioso “unicum” di Parola, Eucaristia e Comunione è l’unità che ha fondamento solo in Cristo Gesù, per il quale, noi, «fatti servi di Dio» (Rm 6,22), «ricerchiamo le vie dell’unità e delle fraterne intese» (cf Reg OFS, 19). Negli ultimi giorni del tempo pasquale la liturgia della Parola ricordava tutto ciò che lo Spirito ha posto sulle labbra di Cristo prima di consegnarsi alla morte: «Padre custodiscili nel tuo nome, ...perché siano una sola cosa, ...siano perfetti nell’unità» (Gv 17,1.11.23). Mi sono chiesto: Fino a quando, Signore, noi del Primo Ordine saremo divisi? Che cosa ci separa? Non abbiamo la stessa “Regola”, le stesse Fonti Francescane, gli stessi strumenti didattici? Lo stesso carisma francescano? Non è giunto il momento di iniziare a ripensare la strutturale organicità di tutta la realtà dei frati perché essa raggiunga quella unità per la quale il Serafico padre si è mostrato premuroso e vigile «in modo che vivessero concordi nel grembo di una sola madre» (FF 777)? L’OFS d’Italia ha raggiunto, con enorme fatica, tale unità. È vero c’è ancora tanto da realizzare, ma, nel frattempo, il percorso è il medesimo per tutti, per cui, gustando la gioia del camminare insieme ed apprezzando le reciproche ricchezze di ognuno, i laici secolari francescani nel tempo daranno testimonianza che è possibile raggiungere determinati traguardi. Ma qualcuno potrebbe chiedersi: l’unità strutturale ed organica è una esigenza dettata dalla scarsa presenza dei frati o è altro? A detta domanda si potrebbe rispondere che la comunione è, innanzitutto, una necessità tratta dalla risur-
rezione di Cristo: «mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli... venne Gesù...» (Gv 20,19). Chi vive del Risorto cerca necessariamente di abbattere ogni steccato, ogni muro di divisione perché lo richiede la natura stessa dell’esperienza propria del Signore. In secondo luogo, tale impegno è stato un desiderio costante di Francesco, il quale «voleva che si fondessero maggiori e minori, che i dotti si legassero con affetto fraterno ai semplici, che i religiosi pur lontani tra loro si sentissero uniti dal cemento dell’amore» (FF 777). Ma perché particolarmente oggi emerge questo desiderio? Certamente la venuta imprevista di papa Francesco è provocante, come anche le prossime ricorrenze: nel 2023 gli ottocento anni della “Regola bollata” e nel 2026 gli ottocento anni della morte di san Francesco. Perché non tentare un percorso che ci porti a celebrare insieme, uniti in un solo ed indistinto Primo Ordine, la nascita al Cielo del nostro fondatore? Non daremmo, Primo, Secondo Ordine assieme a quello Francescano Secolare, testimonianza non solo dell’amore e dell’unità, ma anche
di essere presenza maggiormente significativa e fraterna nel territorio in cui viviamo? Così facendo, offriremmo un contributo notevole anche alla causa dell’Ecumenismo. Il nostro futuro non prevede di accorpare le cosiddette Province religiose perché i frati deceduti e coloro che abbandonano sono di più rispetto a quelli che chiedono di entrare nell’Ordine (fenomeno, questo, particolarmente diffuso tra i frati minori), ma è il contrario: il ritorno alle vecchie Province, bensì nuove perché formate da un unico Primo Ordine. È follia? È pazzia? No, e ciò lo scrivo con timore ed imbarazzo, è profezia! Se ciò avvenisse saremmo uomini liberi, che hanno avuto il coraggio di riportare il carisma francescano alla grazia ed alla “verità” delle origini. Pertanto, riflettiamo e preghiamo affinché il Signore ci doni l’audacia di poter osare, oltrepassando quelle strutture mentali che bloccano il nuovo. «Chi è mai all’altezza di questi compiti?» (2Cor 2,16). «Con il mio Dio scavalcherò le mura» (Sal 18,30). «Se il Signore non costruisce la casa, invano si affaticano i costruttori» (Sal 127,1). 37
Francescanesimo
Vivere nell’amicizia
con Cristo
L’intervista a fra Claudio Durighetto a seguito dell’uscita del suo ultimo libro, dedicato a Chiara d’Assisi e all’Ordine delle Povere Dame di San Damiano, al suo sviluppo attraverso una lettura dei documenti che sono giunti fino a noi.
O
di Roberto Luzi
ggi con l’elezione di papa Francesco a Vescovo dell’Urbe la nostra vita francescana deve assumere i toni di una testimonianza nel secolo trasparente, vera ed autentica che sia quindi semplice espressione del vangelo. Quindi riscoprire le origini, i fondamenti e le prospettive vuol dire vedere il futuro con gli occhi dell’esperienza dei francescani che ci hanno preceduto. Il primo colloquio è con fra Claudio Durighetto della provincia umbra dei frati minori, terra di Francesco. Fra Claudio di recente ha pubblicato un volumetto su “Chiara di Assisi e il suo Ordine”. Presentiamo il nostro caro fra Claudio, che con la sua ricerca dà lustro e diffonde le motivazioni e il fascino della vocazione di Chiara e Francesco. Claudio Durighetto, dottore in Diritto Canonico, appartiene alla Provincia Serafica dei Frati Minori dell’Umbria e ha svolto diversi incarichi per la sua Provincia religiosa. È stato inoltre assistente della Federazione delle Clarisse di Umbria e Sardegna e dal 2004 è Officiale della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica. La sua tesi di Dottorato tratta del can. 614 circa l’associazione dei Monasteri di monache con gli Ordini maschili e in particolare con gli Ordini mendicanti, analizzando le modalità concrete con 38
cui il canone è stato applicato nelle Costituzioni delle monache. Caro fra Claudio prima di entrare nel vivo della sua nuova fatica vorrei partire dall’oggi e precisamente da papa Francesco, che prendendo questo nome non solo vuole mostrare un volto di una chiesa più vicina alla gente, ma ha espressamente parlato dei poveri come coloro che devono essere messi ai primi posti dell’azione pastorale della comunità cristiana e si è spinto oltre parlando di una chiesa povera. Certamente in queste parole non possiamo che vedere il riferimento al Poverello d’Assisi. Quale è la sua impressione da cristiano e da frate, figlio di san Francesco? Di sorpresa e di gioia. Sorpresa perché lo Spirito Santo ha spiazzato un po’ tutti, andando a scegliere il Papa «quasi alla fine del mondo», come ha detto lo stesso papa Francesco alla sua prima apparizione. Quel «alla fine del mondo» non indica solo una grande distanza chilometrica e geografica, ma anche sociale, culturale e per certi aspetti, anche ecclesiale. Il Signore ha promesso alla Chiesa di darle le ricchezze dei popoli e il dono di papa Francesco mi sembra un modo con cui que-
sta profezia continua ad adempiersi nella storia; nello stesso tempo ciò esige libertà interiore e docilità, perché comporta per noi anche la disponibilità ad accogliere la novità di un Papa del Nuovo Mondo. Papa Francesco vuole una Chiesa povera e già la mostra in se stesso, nel suo linguaggio, nelle sue scelte, nel suo stesso modo di essere, così semplice, evangelico, disarmato, distaccato da onori e agi. Non che gli altri non lo fossero, ma forse in questo Pontefice c’è un carisma specifico, c’è una grazia particolare con cui lo Spirito vuole ammaestrare oggi la Chiesa e rinnovare il suo volto dinanzi al mondo. Tutto ciò non può che essere fonte di gioia, perché è, come ogni Papa, il Papa giusto per questo momento: così si vede che Dio guida la storia, che Gesù è vivo, che la Chiesa è viva – come ripeteva papa Benedetto – e che è sempre in via di conversione, sempre in cammino nel mondo, ma orientata alla Patria del cielo. Venendo alla sua ultima fatica quale può essere il vivere oggi in uno stile sobrio, povero per un laico che si rifà, come noi dell’OFS, alla regola di Francesco? Direi prima di tutto, con una battuta, che sarebbe… tutta salute: fisica, psichica e spirituale! Tan-
ti nostri fratelli – e forse qualche volta anche noi stessi – vivono nell’angoscia, attanagliati da mille paure, bisognosi di compensazioni, dediti ad eccessi, voraci di cose, molte volte depressi, molte altre esaltati, ma senza pace e senza equilibrio, senza una stabilità interiore perché senza un fondamento certo e solido. Ecco, ritengo che uno stile di vita sobrio sia il frutto di una vita evangelica, il segno di un animo pacificato; mi viene in mente la stupenda preghiera di Francesco: «Altissimo glorioso Dio, illumina le tenebre de lo core mio. Et dame fede dricta, speranza certa e carità perfecta, senno e cognoscemento, Signore, che faccia lo tuo santo e verace comandamento». Questo significa che l’impegno primario e principale deve essere sempre quello di testimoniare e annunciare il Vangelo. Quando nelle profondità dell’uomo, nell’abisso del cuore, nei meandri della mente entra la luce di Cristo, tutto cambia, ed è possibile una vita nuova, più semplice e bella. Quando Francesco incontra Gesù, non è che si sforzi di essere povero, ma cambia fuori perché è cambiato dentro: non è più centrato su se stesso (i Tre Compagni dicono che «smise di adorare se stesso») ma in Dio e sul prossimo; non è più impegnato a prendere, ma piuttosto a dare. Seguire Francesco vuol dire vivere nella grazia di Dio, nell’amicizia con Cristo, animati da
La vita secondo il carisma di Francesco e Chiara è innazitutto la ricerca fedele e costante di una amicizia con Cristo, nella riconciliazione con i fratelli in umanità.
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Francescanesimo uno spirito di fraternità e di riconciliazione con tutti i fratelli in umanità. La fraternità poi si allarga a tutte le creature perché uscite dalle mani sante di Dio che le ha create e le mantiene nell’essere. A proposito di questo, i seguaci di Francesco d’Assisi dovrebbero essere anche immunizzati dalla facile e pericolosa caduta nell’idolatria, nella religione della natura, penso per esempio a certe forme di ambientalismo, di animalismo, di vegetariani, vegani e quant’altro, che cercano in una filosofia di vita una via di salvezza senza Dio, che però non può avere altro esito che la riduzione in schiavitù dell’uomo. Il dibattito sia accademico che culturale sulla questione della povertà di Chiara ha permesso di scrivere pagine e pagine di libri. Per Chiara cosa era la povertà? E quali conseguenze ha portato il vivere in povertà tra coloro che si rifacevano alla sua esperienza? Penso che come per Francesco anche per Chiara la scelta della povertà provenga dalla “scoperta” di Dio come Padre buono e provvidente e dall’incontro con il «Crocifisso povero» come bene supremo da abbracciare e da seguire. Infatti, san Francesco dice che Chiara e le sorelle hanno scelto di vivere esattamente come Maria, nel cuore della Chiesa, ossia da «figlie e ancelle del Padre celeste e da Spose dello Spirito Santo, secondo la perfezione del Vangelo di Cristo». Potremmo dire che qui Dio viene preso davvero sul serio, è veramente adorato e tenuto come sola vera ricchezza; che viene amato sopra ogni cosa. Santa Chiara
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parla di «altissima povertà», perché è una povertà non tanto da osservare quanto da amare, è la povertà del Bambino di Betlemme e del Signore crocifisso, è una povertà che sempre avanza, che le permette di vivere di fede e che ha come sorelle inseparabili l’umiltà e la carità. La povertà di Chiara è l’eredità nobile di Francesco, una povertà non da idolatrare, ma che la rende libera di amare il Signore, di servire le sorelle, di offrirsi a Dio nell’intercessione, di vivere nella lode e nel continuo e perfetto rendimento di grazie. Nel suo libro mi ha colpito, tra l’altro, il discorso che lei fa, e che penso sia attuale, della forma di vita di Chiara quando dice che la comunità di San Damiano è, per così dire, una primizia della Chiesa restaurata, un piccolo gregge istituito, «guidato e custodito» proprio dal Crocifisso povero che aveva parlato a Francesco. Mi hanno colpito questi verbi molto cari al nostro papa Francesco. Si vede come la mano dello Spirito abbia guidato la sua e abbia evidenziato il senso di custodire, camminare per riedificare la Chiesa. L’esperienza di questa comunità è riparare la casa del Padre, anche attraverso il chiostro che è luogo di povertà e di silenzio, di preghiera e di comunione e mi permetta di dire di espressione tenera della carità di Dio? Il Crocifisso di San Damiano è il motivo e il modello del loro stare lì: è un Cristo che ha patito, che ha versato il sangue – spiccano le sue piaghe – tuttavia non è morto ma vivo, sciolto
La fraternità è dono che proviene dalle mani del Signore e che apre alla scelta di povertà, non da idolatrare, ma come strumento autentico di libertà.
FRANCESCO E LE DONNE. O MEGLIO, FRANCESCO E LA DONNA
di Felice Accrocca Francesco e le donne. O, meglio, Francesco e la donna. Se n’è scritto e riscritto, tutto e il contrario di tutto, ma non sempre s’è contribuito a fare chiarezza, finendo a volte per esagerare le proprie posizioni. L’argomento ritorna peraltro di attualità dopo che papa Francesco ha rimarcato a più riprese quanto importante sia il ministero della donna nella società e nella Chiesa. Quale atteggiamento Francesco assunse? Fu davvero il fondatore del secondo Ordine, come da sempre - si può dire – s’afferma a viva voce? O fu invece sospettoso e distante verso ogni forma di vita religiosa femminile, come s’è spesso ripetuto, soprattutto negli ultimi anni? La fondazione del Secondo Ordine, in realtà, si deve in gran parte al cardinale Ugo di Ostia/Gregorio IX e ai suoi successori; ma neppure l’immagine di un Francesco misogino appare veritiera. Certo egli fu uomo del suo tempo e condivise la preoccupazione viva nell’ambiente ecclesiastico che i contatti con il mondo femminile, inevitabili per i frati, non degenerassero. In tal senso, illuminanti si rivelano le disposizioni presenti già nel capitolo XII della Regola non bollata. Ben altro invece il rapporto che intrattenne con Chiara e la comunità di San Damiano. E che tale rapporto, indipendentemente dal fatto che Francesco non nomini mai Chiara negli scritti che
di lui ci sono rimasti, sia stato effettivo e intenso, lo mostra - senza tener conto di alcuni fatti testimoniati dalle fonti, sulla cui consistenza storica mi pare arduo dubitare - il testo dell’Audite poverelle, indirizzato alla comunità di San Damiano e composto da Francesco negli stessi giorni in cui, soggiornando malato presso quella comunità, egli compose il Cantico di frate Sole. Né si può dubitare dell’autenticità della forma di vita che il Santo scrisse per le sorelle di San Damiano e Chiara trascrisse nel capitolo VI della sua Regola. Oltre questo singolare rapporto, però, a noi interessa capire in qual modo Francesco si pose di fronte alla donna. Il suo atteggiamento, come s’è detto, fu ispirato a prudenza, anche se mostrò grande fiducia nei confronti di Jacopa dei Settesogli e della romana Prassede, la quale - secondo quanto afferma Tommaso da Celano nel Trattato dei miracoli - fu da lui stesso accolta all’obbedienza. Quel che è importante, però, è che egli non istituì gerarchie di merito a partire dal sesso, e neppure dallo stato di vita: egli non credeva affatto che, per sua natura, un uomo fosse - a motivo del proprio sesso - migliore di una donna o un sacerdote al quale bisognava sempre portare obbedienza e rispetto, a motivo del suo Ordine migliore di un laico; per lui quel che contava veramente, quel che era sommamente importante, era il «fare penitenza», cioè il
convertirsi sul serio, perché non c’era altro modo per potersi salvare. È quanto grida a piena voce in quello straordinario rendimento di grazie che è il capitolo XXIII della Regola non bollata: «E tutti coloro che vogliono servire al Signore Iddio nella santa Chiesa cattolica e apostolica, e tutti gli ordini ecclesiastici, sacerdoti, diaconi, suddiaconi, accoliti, esorcisti, lettori, ostiari, e tutti i chierici, tutti i religiosi e tutte le religiose, tutti i fanciulli e i piccoli, i poveri e gli indigenti, i re e i principi, i lavoratori e i contadini, i servi e i padroni, tutte le vergini e le continenti e le maritate, i laici, uomini e donne, tutti i bambini, gli adolescenti, i giovani e i vecchi, i sani e gli ammalati, tutti i piccoli e i grandi e tutti i popoli, genti, tribù e lingue, tutte le nazioni e tutti gli uomini d’ogni parte della terra, che sono e che saranno, noi tutti frati minori, servi inutili, umilmente preghiamo e supplichiamo perché tutti perseveriamo nella vera fede e nella penitenza, poiché nessuno può salvarsi in altro modo». Perché quanti si convertono a Cristo si rivestono di Cristo (cf. Gal 3,27); sicché «non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna», poiché tutti siamo «uno in Cristo Gesù» (Gal 3,28). E davanti a Lui non è la circoncisione che conta, né la non circoncisione, ma «l’essere nuova creatura» (Gal 6,15). 41
Francescanesimo
CHIOSTRI E CAMPANILI Notizie in breve MINISTRO GENERALE OFM FRA MICHAEL ANTHONY PERRY
dire la prima grande crisi della storia del francescanesimo con la divisione tra “Spirituali” e “Comunità”. La settimana si svolge a Baida dal 17 agosto al 1° settembre prossimi. Le iscrizioni devono giungere a fra Salvatore Ferro (335 80582254 oppure salvoferro@libero.it) entro il 31 luglio. FRA NICHOLAS POLICHNOWSKI È IL MINISTRO GENERALE TOR Il 23 maggio 2013 il 111° Capitolo Generale del Terzo Ordine Regolare di san Francesco ha eletto fra Nicholas E. Polichnowski, TOR Ministro provinciale della Provincia del Sacro Cuore, Stati Uniti, come Ministro Generale dell’Ordine con 22 voti. Trentasei Capitolari in rappresentanza delle Province e Vice-Province dell’Ordine erano presenti per il Capitolo e hanno partecipato alle elezioni.
Mercoledì 22 maggio fra Michael Anthony Perry è stato eletto Ministro Generale dell’Ordine dei Frati Minori “ad complendum sexennium”. Fra Michael Anthony Perry succede in questo servizio a Mons. fra José Rodrigue Carballo chiamato da papa Francesco ad essere segretario della Congregazione per gli istituti di vita consacrata. Nato a Indianapolis (USA) nel 1954, fra Michael è stato Vicario Generale e Procuratore dell’Ordine. È stato Ministro provinciale della Provincia del Sacro Cuore di Gesù (USA). Ha servito la sua Provincia per la formazione teologica dei giovani frati e per quella dei postnovizi, ha lavorato nella commissione internazionale di GPIC ed è stato missionario nella Repubblica Democratica del Congo per dieci anni. È stato inoltre al servizio del Catholic Releif Services e della Conferenza di Vescovi Cattolici degli Stati Uniti. Il suo curriculum accademico include un Ph.D. in Antropologia Teologica, M.A in Teologia, M.Div in Formazione Sacerdotale e B.A. in Storia e Filosofia. SETTIMANA DI FRANCESCANESIMO Sono aperte le iscrizioni alla Settimana di francescanesimo, tradizionale appuntamento organizzato dalla Provincia di Sicilia dei Frati minori. Come ogni anno anche l’OFS di Sicilia partecipa a questo importante appuntamento. Si alternano due relatori, Marco Bartoli, professore di storia medievale e membro del Consiglio direttivo della Società internazionale di Studi Francescani di Assisi, e Annarita De Prosperis, professore all’Istituto di Spiritualità dell’Antonianum. Cercheranno di approfon42
Fra Nicholas è nato a Pittsburgh, in Pennsylvania. È entrato nel Terz’Ordine Francescano Regolare, Provincia del Sacratissimo Cuore di Gesù, Loretto Pennsylvania il 5 gennaio 1973 professando solennemente il 1° giugno 1977. È stato ordinato sacerdote il 15 ottobre 1977. Ha conseguito un Master in Divinity nel Saint Francis Seminary, Pennsylvania, un Master of Science Chimiche nella Saint Joseph University, Pennsylvania e un dottorato in Infermieristica presso la Johns Hopkins University, nel Maryland. Il giorno della sua elezione Tibor Kauser, OFS, è venuto a parlare ai Capitolari come delegato del Ministro Generale dell’Ordine Francescano Secolare, Encarnación del Pozo. Nella giornata di venerdì 24 maggio l’elezione del Vicario, fra Armando Trujillo Cano (Messico) e dei Consiglieri fra Paolo Benati, fra Tomeu Pastor (Spagna), fra Thomas Kochuchira, fra Calogero Favata. Il segretario generale è fra Danijel Gornik (Croazia).
dai vincoli e dalle angosce della morte. Sembra anzi quasi danzare sulla morte. È povero di tutto ma ricco dell’amore sconfinato che lo ha portato ad un’obbedienza incondizionata al Padre e a dare la sua vita per tutti noi. Questo Gesù, crocifisso e risorto, che aveva detto a Saulo di Tarso: «Perché mi perseguiti?», ha detto a Francesco di Assisi: «Va’, ripara la mia casa…». I primi frutti di questa opera di restaurazione sono i primissimi fratelli, poi Chiara e le sorelle e poi ancora i laici, le famiglie. I frati sono chiamati ad andare per il mondo ad annunciare il Vangelo della vita, della gioia e della pace, mentre le sorelle sono chiamate all’intercessione e alla preghiera perché non sia vano il lavoro dei predicatori. Come Maria al centro del Cenacolo è modello e madre della Chiesa, così queste comunità di sorelle che vivono il vangelo in povertà e letizia mostrano un’umanità rinnovata e, dalla loro clausura, “ripartoriscono” il mondo attraverso l’offerta di se stesse, attraverso una vita totalmente donata che diventa essa stessa preghiera. Poi ci saranno i laici, chiamati a riorganizzare secondo il Vangelo la città, il mondo, le relazioni e le strutture terrene, senza però mai dimenticare la vera meta di tutti, la Città futura.
Ma una volta per sempre vogliamo chiarire quale fu lo scontro con la gerarchia ecclesiastica, se ci fu, sul discorso di come inserire la povertà nella sua regola? Ci fu veramente un “tira e molla” interminabile con «messere lo Papa»? Potremmo dire che una certa storiografia ha letto sia la vicenda di Francesco che quella di Chiara secondo uno schema semplicistico e un po’ ideologico, mettendo in contrapposizione carisma e istituzione, profezia e gerarchia. In realtà la gestazione di un nuovo Istituto religioso, anzi di una nuova forma di vita consacrata come è quella di Chiara d’Assisi, richiede un lungo processo, un dialogo paziente che deve permettere prima di tutto al carisma di prendere una forma stabile di vita e poi di essere riconosciuto come autentico con l’approvazione della Chiesa. A volte si tratta di superare ostacoli e incomprensioni, anche per il quoziente di novità che il fondatore o la fondatrice apportano; inoltre la nuova famiglia religiosa deve tradurre in termini normativi gli elementi spirituali e l’esperienza fondazionale: ebbene, tutto ciò richiede un lavorio non indifferente e un confronto con chi ha il carisma di discernere i carismi e il compito di concedere l’approvazione. Chiara voleva essere fedelissima alla povertà,
L’umanità rinnovata è mostrata anche agli uomini del nostro tempo dalle sorelle clarisse come Maria, al centro del Cenacolo, è modello e madre della Chiesa.
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Francescanesimo come abbiamo già detto, e pure il Papa ammirava e stimava questa sua via penitenziale, tanto che approvò altri monasteri poveri che si ispiravano a San Damiano. Via via che i monasteri si moltiplicavano, quella povertà eroica cominciò a creare qualche difficoltà, perché sovente mancava anche il minimo sostentamento. Fu così che i monasteri, che non potevano avere come a San Damiano dei frati a disposizione per la questua, cominciarono a chiedere delle dispense e il Papa stesso offriva benefici spirituali ai fedeli che aiutassero quelle comunità. Pian piano si vide la necessità di dotare i monasteri poveri di qualche possedimento, per poter avere delle rendite, perché le sorelle fossero in grado di dedicarsi al Signore senza la preoccupazione del pane. Aderendo alle richieste di tanti monasteri, il Papa cercò di convincere anche Chiara – che su questo punto era santamente intransigente – che avere qualcosa non comprometteva necessariamente il voto di povertà, come d’altra parte anche i frati avevano via via cominciato ad accettare case, a costruire conventi, centri di studio e grandi chiese per il loro apostolato, specialmente per la predicazione. Secondo lei, fra Claudio, oggi la regola di vita di Chiara, anche in visione di un rinnovamento ecclesiale, ha il suo fascino tanto che le nuove generazioni si sentano attratte da una figura femminile del medioevo perdutamente innamorata di Cristo e, mi permetta di aggiungere, eternamente immersa nel suo amore? In genere le monache di clausura sono quelle che meglio hanno resistito alla crisi tuttora in corso, sia perché, finora, sono rimaste più fedeli all’ideale, sia perché i giovani cercano sempre una certa radicalità. Così tante giovani donne, sempre più preparate, hanno continuato a bussare alle porte dei monasteri per abbracciare questa vocazione tanto esigente ma tanto preziosa per tutta
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la Chiesa. La vita contemplativa, come è quella delle Clarisse, mostra con chiarezza cristallina e talvolta sconvolgente l’assoluto di Dio, il primato della grazia, il primato della preghiera, il puro amore. Donne che vivono di fede, che pur nella fragilità umana si sporgono sull’eternità, icone della Chiesa Sposa che tutto riceve dal suo Sposo e Signore e a Lui tutta si dona. Vivono separate dal mondo ma non slegate da esso, anzi possiamo dire che sono delle “missionarie” della perfetta carità e della preghiera, pienamente interessate alle sorti degli uomini alla cui salvezza hanno votato tutte se stesse. Certamente possiamo dire che si tratta di una vocazione sempre attuale e sempre necessaria per la Chiesa e per il mondo intero. Fra Claudio non mi resta che ringraziarla e augurare ai nostri lettori una buona lettura del suo libro. Grazie a voi! Aggiungo solo che non si tratta di un libro di spiritualità, anche se via via cerco di offrire delle pennellate sul carisma di Chiara e sulla sua scelta di vita. Il testo vuole essere un contributo a dipanare la complessa vicenda di santa Chiara attraverso i principali documenti giunti fino a noi, che non sono pochi, anche se frammentari. Ho cercato di aggiungere alla ricerca di tanti studiosi che se ne sono occupati uno sguardo ecclesiale e di chiarire alcuni passaggi dello sviluppo dell’Ordine iniziato da Chiara d’Assisi, secondo una lettura prettamente canonistica. L’Ordine iniziato da Chiara rinnova profondamente la vita monastica tradizionale e si caratterizza soprattutto per la fraternità, la vita penitenziale, la povertà e la clausura. È il Secondo dei tre Ordini che vedono in Francesco il loro fondatore e padre e che, insieme, costituiscono un popolo “nuovo”, che la tradizione francescana ha sempre riconosciuto nelle parole del profeta Sofonia: «un popolo umile e povero, contento di Dio solo».
La clausura, come cuore pulsante nella Chiesa del Signore, accende ogni giorno la fiamma dell’eternità per tutta l’umanità.
In
Chiara luce
di Sr. Elena Francesca Beccaria
Chiara e Francesco mistero di comunione
Q
uanta nostalgia di rapporti puliti, limpidi, trasparenti; di rapporti «humili, pretiosi et casti», volendo rubare a Francesco le parole nel suo Cantico delle creature. Proviamo ad entrare nel mistero di un rapporto che lo Spirito ha voluto contrassegnare con il sigillo della santità. Spostiamoci indietro nel tempo, fino ad arrivare ai primi decenni del XIII secolo; localizziamo lo sguardo tra le colline dolci del cuore dell’Italia, di quella Umbria che di tanta luce ha illuminato la Chiesa. L’uomo di allora era come quello di oggi, perché il cuore ha leggi che lo governano, non sono soggette al mutare dei tempi e dei luoghi. L’umanità che ha visto fiorire due perle di santità così luminose è l’umanità di sempre, con le sue contraddizioni, con le sue debolezze, le sue paure. E Francesco e Chiara erano un uomo e una donna del loro tempo, semplicemente. Dov’è il segreto di tanta bellezza? Che cosa è scattato in loro da far divenire Assisi uno dei centri spirituali più vivi della cristianità? Soprattutto cosa c’è nel loro rapporto di così puro, inequivocabile, da consentirci di additarlo oggi ad esempio di una relazione cristiana autentica? La risposta è semplice. Semplice come il saio di stoffa povera di cui si sono rivestiti, come le mura spoglie dei luoghi in cui hanno scelto di abitare. Tutto è nato in una piccola chiesa diroccata fuori dalle mura di Assisi, dove regnava dall’alto della croce un Crocifisso bizantino, rimasto a custodire la casa di Dio in rovina. Un Crocifisso dagli occhi grandi, che si sono posati pieni di amore su Francesco, sulla sua inquieta ricerca di una verità capace di dare consistenza alla vita. Di quel Crocifisso Francesco si è innamorato, semplicemente. Perché lì, in quegli occhi, ha visto la verità dell’Amore:
il dono di sé fino alla morte, per Amore. Ed è l’Amore la verità capace di sorreggere un’intera vita: Francesco l’ha capito, in questo Amore ha creduto e gli ha consegnato se stesso. Così è cominciata per lui l’avventura della fede, che l’ha portato pellegrino per le strade del mondo, a dire a tutti l’Amore che aveva incontrato. A tutti, ma allora come oggi non tutti si fermavano ad ascoltare. Molti sì. Chiara sì. Chiara intuisce subito l’autenticità di quella esperienza che agli occhi di molti appare ancora senza fondamento e senza futuro. Chiara sente vibrare nella vita di Francesco quello stesso vento d’Amore che fin da piccola l’ha portata a cercare Dio contando le sue preghierine con una sfilza di sassolini, a privarsi di cibi per darli ai poveri, a sentire “stretto” un matrimonio con una persona di pari nobiltà. Chiara capisce che il cuore di Francesco è posseduto da quell’Amore che anche lei cerca: il Crocifisso povero. E allora si affida a Francesco perché le indichi la via e la conduca là dove è attesa. Le fonti antiche ci parlano di «segreti colloqui»: rispettiamone la segretezza e non cerchiamo di violare quell’intimità che l’intrecciarsi di due anime assetate di Dio richiede. Dal “dopo” si capisce senza fatica il contenuto dei loro colloqui. Il “dopo” è un’assoluta concretezza e radicalità di risposta all’Amore: è la fuga di Chiara; è il taglio dei capelli per mano di Francesco e la consegna di un saio povero; è infine una vita intera spesa nel silenzio, tra le mura di San Damiano, a servire nella preghiera e nell’umile fatica quotidiana quel Crocifisso dagli occhi grandi ai piedi del quale tutto è nato. A San Damiano Francesco non c’è, se non per qualche breve e sporadica visita e per un periodo al termine della propria vita, quando è ormai gravemente malato.
Francesco va, dunque, Chiara resta. Diverse sono le loro strade, in obbedienza all’Amore. Loro preoccupazione è fare la volontà di Dio, semplicemente; dove per volontà di Dio si intende il suo dono d’Amore per noi, quel progetto di bene che Lui ha sulla nostra vita che solo è capace di farla fiorire in pienezza. E questa santa volontà, che in apparenza li divide, è in realtà il filo che intreccia saldamente le loro vite con quella di Gesù, e farà sì che tutto in Lui compiano “insieme”, sempre. Alla fine della sua vita Francesco riceve dal Crocifisso un segno certo della verità del suo cammino: sul monte della Verna, due anni prima della morte, mentre è assorto in preghiera, compariranno sulle sue mani, sui piedi, nel costato, le ferite dell’Amore. Chiara, da parte sua, inizierà proprio in quel periodo il suo calvario tra le mura di San Damiano, un calvario fatto di una lunga infermità che la accompagnerà per 28 anni, fino alla morte. Quel Crocifisso dagli occhi grandi li assimila a sé, fino in fondo. E lì, sotto la Croce, si consuma e giunge a pienezza il mistero della loro comunione. Che è comunione con la vita di Gesù, con la vita del suo corpo che è la Chiesa. Che è comunione a sua volta feconda di vita per la Chiesa e per il mondo. Chiara e Francesco, dunque: due vocazioni nate e cresciute sotto due grandi occhi innamorati dell’uomo, due vite tutte protese a cogliere ogni minimo cenno di quello sguardo d’Amore e a rispondere con la stessa misura d’amore; senza paura, fino in fondo. Ecco il segreto. Ecco cosa è veramente l’Amore. Ecco come si realizza il miracolo di una comunione talmente forte e profonda da solcare i secoli per arrivare fino a noi in tutta la sua forza e la sua bellezza, fino ad avere il sapore di eternità. 45
Argomenti
Quella roccia del ministro Cécile Parla Kossi Komla-Ebri, medico e scrittore, presidente dell’associazione Redani, di cui il ministro dell’integrazione è stata segretaria dal 2009 fino al suo ingresso nel governo. A proposito dello “Ius soli”: «Non credo che se dovesse essere introdotto in Italia, assisteremmo ad un’invasione di donne incinte provenienti dall’Africa».
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di Michele Luppi
n momento delicato in cui la gioia per la nomina a ministro di Cécile Kyenge, si accompagna alla delusione e al dolore per le offese dopo i fatti di Milano. «Ormai ho imparato che quando pensi che le cose stiano migliorando basta un attimo per ritornare indietro», racconta Kossi Komla-Ebri, medico e scrittore, presidente dell’associazione Redani, la rete della diaspora dell’Africa nera in Italia, di cui il nuovo ministro dell’integrazione è stata segretaria dal 2009 fino alla sua nomina. Un clima che è divenuto più teso nei giorni scorsi dopo che, a Milano, un cittadino ghanese ha ucciso a picconate tre persone. «Grande cordoglio per i parenti delle vittime. Credo – spiega Komla-Ebri – che episodi come questo non vadano strumentalizzati. Non è il colore della pelle a fare l’assassino. Ci sono assassini bianchi e assassini neri. Proprio poco tempo fa, ad esempio, un cittadino italiano a Palermo aveva aggredito dei passanti ed era stato fermato da un extracomunitario». Quanto a Cécile Kyenge, «l’Italia ha guadagnato un ministro ma io ho perso una validissima segretaria», racconta sciogliendosi in un 46
sorriso “ul dutur” come lo chiamano, in dialetto, i pazienti dell’ospedale Fatebenefratelli di Erba dove lavora da molti anni. Arrivato in Italia nel 1974, Komla-Ebri, si definisce un «artigiano della parola», amante della lingua di Dante a tal punto da sceglierla per i suoi racconti. Come avete accolto la notizia della nomina a ministro di Cecile Kyenge? «Con grande gioia, perché lunga è la notte, ma sembra che il giorno stia arrivando. E la nomina di Cécile è certamente un bagliore nel buio, ma non vorrei restasse solo un simbolo. Voglio credere che la sua nomina sia avvenuta non per il colore della pelle, ma perché è stata una persona che per anni ha lottato per la riaffermazione dei diritti, non solo degli immigrati ma di tutti». Una nomina che ha riacceso il dibattito sull’integrazione. Quale pensa potrà essere il suo contributo? «Non so se potrà risolvere tutti i problemi, ma certamente la sua nomina permetterà
di metterli sul tavolo. Nessuno vuole negare che la priorità oggi sia il lavoro, anche perché, quando la coperta è corta, si diventa tutti più egoisti, ma per troppo tempo in Italia parlare di immigrazione ha significato parlare di sicurezza arrivando all’equazione tra immigrato, clandestino e criminale. Non è vero. Ci sono immigrati che delinquono e per questo vanno perseguiti e puniti, così come ci sono italiani che lo fanno. Del resto la parola “mafia” non è di origine africana. Ma non credo che la maggioranza degli italiani la pensi così, altrimenti perché affiderebbero agli immigrati le loro cose più care: la casa, i figli e gli anziani. Il problema è che questa maggioranza è troppo silenziosa».
Il ministro dell’integrazione Cécile Kyenge, la «roccia», come la chiamano gli “amici” di Redani, la rete della diaspora dell’Africa nera in Italia, di cui il neo-ministro è stata segretaria per quattro anni.
Hanno fatto discutere alcune interviste al ministro Kyenge in cui sono state enfatizzate alcune sue caratteristiche “folkloristiche”. Avendo lavorato per anni al suo fianco per quale caratteristica vorrebbe fosse ricordata? «Il suo lavoro a favore dei diritti. La chiamiamo “roccia” perché è una donna che non molla mai. È una persona molto generosa, impegnata, che non inizia qualcosa per poi lasciarla a metà». 47
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Alcune sue dichiarazioni hanno riacceso il dibattito sullo “Ius Soli”. Cosa ne pensa? «Non so dove questo dibattito condurrà, ma credo sia già positivo che il problema venga posto. Ma vorrei sfatare un mito: non credo che se lo “ius soli” dovesse essere introdotto in Italia, assisteremmo ad un’invasione di donne incinte provenienti dall’Africa. Viviamo vicini alla Francia, unico Paese europeo ad avere lo “ius soli”, e non mi sembra ci sia la corsa degli immigrati italiani ad andare a partorire là. Detto questo credo si possa discutere sul tipo di
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legge da introdurre perché la convivenza la si costruisce partendo dalla condivisione dei valori costituzionali e dei valori morali». Parlando di integrazione, quale crede sia l’urgenza più grande? «Quella delle cosiddette “seconde generazioni”: ci sono un milione di ragazzi nati e cresciuti in Italia, ma che sono discriminati nella quotidianità. Quando i loro compagni di scuola vanno in gita all’estero non possono partire, quando i loro genitori perdono il lavoro e con
Nella fotografia in alto: Kossi Komla-Ebri, presidente di Redani. Sotto: Cécile Kyenge nel suo incarico di segretaria di Redani.
IUS SOLI UN PROBLEMA APERTO di Barbara Milanese In questi giorni si sta parlando molto di immigrazione e cittadinanza, una questione sempre più imminente in un’Italia che si confronta quotidianamente con le “seconde generazioni”, cioè figli di immigrati nati in Italia. Una questione disciplinata da una legge di 20 anni fa (legge n. 91 del 1992) considerata come una delle più restrittive in Europa. In Italia come in quasi tutti i paesi europei vige lo “ius sanguinis” (cioè l’acquisto di cittadinanza per discendenza di sangue) ma negli altri paesi è molto più semplice acquisire la nazionalità per una straniero nato sul territorio dello Stato. La Germania, ad esempio, si è adeguata al fenomeno delle “seconde generazioni”: dopo il 2000 se un bambino nasce sul territorio tedesco da genitori stranieri, può avere la nazionalità tedesca se un genitore ha il permesso di soggiorno per-
manente da almeno 3 anni e residente da almeno 8. In Francia invece vige lo “ius soli” (acquisizione della cittadinanza per nascita sul territorio) dal 1515. In Italia uno straniero per poter aver diritto a richiedere la cittadinanza, deve dimostrare la residenza ininterrotta e regolare per 10 anni dimostrando di percepire un reddito dichiarato che garantisca l’autosufficienza di circa 8.000 € l’anno, 11.000 € con un coniuge a carico più 516 € per ciascun figlio se ce ne sono. Esistono, però, alcune deroghe. Infatti, possono bastare 4 anni di residenza per i cittadini appartenenti ad uno Stato dell’Unione Europea; 5 anni per gli apolidi ed i rifugiati. La legge prevede che la procedura attraverso la quale ottenere la concessione, deve durare 730 giorni, cioè due anni. In realtà, gli anni che trascorrono non sono meno di quattro. Per i loro figli, nati in
Italia, però non ci sono scorciatoie se non l’attesa della maggiore età. Il figlio di stranieri nato nel territorio italiano infatti ha la possibilità di chiedere la cittadinanza al compimento del diciottesimo anno d’età per poi riceverla negli anni successivi. Il calciatore Balotelli è un esempio di questa procedura e nonostante sia nato in Italia, abbia frequentato scuole italiane e cresciuto calcisticamente nelle squadre giovanili della sua città, non ha potuto giocare in nazionale, in quanto non cittadino italiano, fino ad oltre 19 anni di età. E consideriamo che per un personaggio pubblico e ben retribuito i tempi burocratici si sono contratti di molto... In generale lo ius soli, determinando l’allargamento della cittadinanza ai figli degli immigrati nati sul territorio dello stato, è stato adottato da paesi come Stati Uniti, Argentina, Brasile e Canada con una forte immigrazione e vasto territorio. Al contrario, lo ius sanguinis, tutelando i diritti dei discendenti degli emigrati è spesso adottato da paesi a forte emigrazione storica (Irlanda, Italia, Israele) o da ridelimitazioni dei confini (molti paesi dell’est Europa, Italia, ex Yugoslavia, Finlandia). In Italia la questione degli emigrati storici si può vedere anche a livello elettorale: alle elezioni politiche possono votare emigrati all’estero di terza o quarta generazione che non sanno nemmeno dov’è l’Italia mentre immigrati di lunga residenza sul territorio italiano, che lavorano e pagano le tasse in Italia, non hanno nessun diritto politico. 49
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esso il permesso di soggiorno, lo perdono anche loro. Questa è una forma di razzismo istituzionale, la peggiore perché non da a tutti le stesse opportunità». Uno dei suoi libri più conosciuti “Imbarazzismi” raccontava con ironia l’esperienza di tanti immigrati vittime del pregiudizio. A circa quindici anni dall’uscita, come vede la situazione italiana? «Oggi, purtroppo, se dovessi scrivere un libro come quello, lo intitolerei “razzismi” e so50
stituirei l’ironia con la denuncia. Allora volevo dimostrare come la non conoscenza della differenza creasse imbarazzo. Oggi la situazione è tragica perché la possibilità di conoscere c’è, ma a questa viene contrapposto il rifiuto e la discriminazione». Come si potrebbe intervenire? «Non si può imporre l’integrazione o l’inclusione per decreto. È necessario lavorare per creare spazi di rapporti quotidiani, a partire dalla scuola. Bisogna
In alto: il ministro Cécile Kyenge durante una delle sedute della Camera dei Deputati. A fianco: un intervento nel periodo del segretariato di Redani.
CÉCILE KYENGE: CHI È? Cécile Kyenge, all’anagrafe Kashetu Kyenge, è nata a Kambove, nella provincia congolese del Katanga da una famiglia benestante di etnia bakunda: il padre, funzionario statale, era capo villaggio e aveva quattro mogli e 38 figli. Dopo le scuole superiori, decise di studiare medicina e chirurgia all’università, ma una commissione governativa la costrinse a iscriversi alla facoltà di farmacia dell’Università di Kinshasa: lei frequentò comunque i corsi medicina. Grazie all’interessamento di un vescovo, ottiene una delle tre borse di studio messe a disposizione degli studenti congolesi per frequentare medicina all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma. La Kyenge arrivò in Italia nel 1983, ma per un disguido dovette aspettare un anno per iscriversi all’università. Si stabilì provvisoriamente in un collegio di missionarie laiche a Modena, dove studiò la lingua italiana e si preparò all’esame di iscrizione: per mantenersi, lavorò come badante. Si laureò in medicina e chirurgia all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma discutendo una tesi in pediatria, per poi specializzarsi in oculistica presso l’Università di Modena e Reggio Emilia. Esercita la professione di medico oculista. Sposata dal 1994 con Domenico, ingegnere originario di Tarsia, un piccolo paese in provincia di Cosenza in Calabria dove trascorrono spesso le vacanze in compagnia della loro famiglia. Ha due figlie adolescenti Giulia e Maisha, ora cittadina italiana. Vive a Castelfranco Emilia. Nel 2002 fonda l’associzione interculturale DAWA (in lingua swahili: magia, medicina, star bene), con lo scopo di promuovere la conoscenza reciproca delle culture e sviluppare percorsi di sensibilizzazione, integrazione e cooperazione tra l’Italia e l’Africa, in particolare nella Repubblica Democratica del Congo, dove concentra maggiormente i suoi sforzi.
Dal settembre 2010 è portavoce nazionale della rete Primo Marzo che si occupa di promuovere i diritti dei migranti. È impegnata, collaborando con enti e associazioni, in campagne nazionali sui diritti di cittadinanza. Collabora con la rivista Combonifem e con Corriere Immigrazione. Ha promosso e coordinato il progetto AFIA per la formazione di medici specialisti in Congo in collaborazione con l’Università di Lubumbashi. Ha inoltre collaborato alla formazione di operatori sanitari nel campo della medicina dell’immigrazione. Tramite il progetto “Diaspora Africana”, di cui è stata coordinatrice per il Nord Italia, si è impegnata nella promozione della piena cittadinanza degli immigrati. Nel 2010 è scelta come testimonial nella campagna di sensibilizzazione sull’immigrazione realizzata dall’Ufficio di Roma dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM). Nel 2004 viene eletta in una circoscrizione del comune di Modena per i Democratici di Sinistra; in seguito diventa la responsabile provinciale del Forum della Cooperazione Internazionale ed immigrazione. Il 7 giugno 2009 è eletta consigliere provinciale a Modena per il Partito Democratico ed entra a far parte della commissione Welfare e politiche sociali. Inoltre è responsabile regionale Emilia-Romagna delle politiche dell’immigrazione del PD. È eletta deputato alla Camera il 25 febbraio 2013 per il PD in EmiliaRomagna. Subito dopo l’elezione al Parlamento promuove con altri firmatari (Pierluigi Bersani, Khalid Chaouki e Roberto Speranza) una proposta di legge sul riconoscimento della cittadinanza ai figli degli immigrati nati sul suolo italiano (il cosiddetto ius soli). Dal 28 aprile 2013 è ministro dell’integrazione, primo ministro di colore (o «nero», come lei preferisce definirsi) in un governo della Repubblica Italiana. 51
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far capire che le nostre differenze (colore della pelle, aspetto fisico, età) sono minori rispetto a ciò che ci accomuna (sogni, aspettative, emozioni). Il problema è che per scoprire le cose in comune non basta guardarsi, ma è necessario parlarsi». Come vede il futuro? «La ragione mi rende pessimista, ma emotivamente voglio credere che le cose cambieranno, che dopo la notte venga il giorno. La nomina di Cécile è un tassello che può portare a questa strada. Mi permetta un’immagine: nessuno vuole una società che sia un frullato insapore di culture diverse, ma una macedonia. Una società multiculturale dove si possa sentire il gusto di ogni singolo frutto». 52
Ancora due immagini del ministro Keynge. A sinistra il giorno del giuramento del governo Letta insieme al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e al ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri.
Oltre il segno del
Battesimo
di fratel MichaelDavide Semeraro e fratel Andrea Serafino Dester, Koinonia La Visitation
Yunus Emré (1238-1320): Cercatore di porte
Y
unus Emré, primo poeta ad esprimersi in lingua turca, è molto amato dal suo popolo, al punto che centinaia di villaggi in Anatolia, ancora oggi, rivendicano di essere stati il suo luogo natale, oppure il luogo dove il poeta è morto ed è stato sepolto. In realtà di lui conosciamo molto poco. Nasce probabilmente nel 1238 e muore attorno al 1320, vivendo, sempre, presumibilmente, nella zona del Karaman. Contemporaneo di Rumi abita la stessa regione, ma, mentre Rumi compone i suoi poemi in persiano per una ristretta e colta cerchia di sufi, Yunus si rivolge alla gente povera e semplice dei villaggi, parlando la loro stessa lingua, il turco. Musico e derviscio, vive per anni in “convento”, che in seguito lascia per viaggiare a lungo nel mondo musulmano. Darwīsh, in lingua farsi, significa letteralmente “cercatore di porte”: il derviscio è colui che cerca il passaggio, la soglia, l’entrata che conduce da questo mondo materiale ad un mondo celeste. Nelle sue opere, Yunus, descrive la gioia dell’anima che sente la presenza di Dio in tutte le cose: «Voglio chiamarti sulle montagne, in mezzo alle rocce, insieme al canto degli uccelli nei luoghi abitati. Voglio gridare il tuo Nome nel profondo del mare, insieme ai pesci, nelle silenziose pianure con le gazzelle. Voglio gridare il tuo Nome, come l’innamorato che delira chiamando l’amata. Voglio gridare il tuo Nome nei cieli, insieme a Gesù, sul monte Sinai vicino
a Mosè, accanto a Giobbe lo sventurato, a Giacobbe piangente, a Maometto tuo amico. Ebbro, piedi e testa nudi, voglio gridare il tuo Nome. Voglio gridare il tuo Nome nelle lingue degli uomini, con le colombe che tubano, nel canto dell’usignolo, nell’invocazione di chi ti ama e t’invoca, voglio gridarti: mio Dio!». Poiché la sua vita è avvolta nel mistero, e poco possiamo dire, ci accostiamo a questo grande poeta e mistico attraverso i suoi straordinari versi: «Amanti, oh! Amanti! Ho visto il volto dell’Amato, la mia religione è l’amore, ogni dolore è musica nuziale! Tu eri l’avvolgente spazio, e continui ad esserlo nell’incrocio del tempo. Vengo a Te per quest’unico sentiero, il tuo e il mio, e mi guida diritto da me a Te! Ti rivolgo la parola e subito con ebbrezza scopro che non sono io che tendo la mano, ma tu che cerchi te stesso». E ancora: «L’Amico mi ha detto: “Va’ a vedere il mondo terreno”, sono venuto e ho visto: un meraviglioso spettacolo. L’Amico ha promesso alle sue creature di rivelarsi domani,
i miei vicini gioiscono della promessa, per me il domani è oggi stesso». Possiamo concludere con questo bellissimo canto mistico che si apre come porta sull’Assoluto, sul Trascendente: «Mio Dio, quando pronuncio il tuo Nome, il tempo scompare. Nessuno all’infuori di te asciuga le mie lacrime. Il tuo Nome è eterno, pronunciato in tutte le lingue. Chi è preso dal tuo amore, dimentica il proprio essere. Creasti il corpo e l’anima, l’universo intero è opera tua, le ricchezze della terra sono tue, o scrigno di magnanimità. Tutte le lingue cantano le tue gesta, i tuoi giardini e le tue vigne sono in fiore. O mio Dio, le rose che tu hai guardato, non appassiscono mai. Chi non è immerso nell’oceano del tuo amore, chi non ti ha sacrificato l’anima, chi non ha visto la tua bellezza, non è ancora nato al mondo. Amare è piangere, le lacrime degli amanti non cessano di scorrere, chi è separato da te mai ti vedrà, mio Dio. Mostraci la tua bellezza, gli amanti che l’hanno contemplata vivranno senza fine, o mio Dio». 53
Storie
Giovanni Lindo Ferretti, rocker sessantenne racconta la sua conversione: «Avevo perso la fede ma la fede non ha mai perso me». Dalle barricate post sessantottine alla riscoperta della appartenenza a Dio e alla Chiesa.
Quando l’incontro con Dio è un
“ritorno a casa” 54
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Storie
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a rocker comunista e “bestemmiatore di professione” a cantore della gloria di Dio. Non ha affatto rinnegato il suo passato, né tantomeno la sua personalità e la sua arte ma da circa una decina d’anni a questa parte, Giovanni Lindo Ferretti è un uomo nuovo. Il sessantenne cantante emiliano, storico fondatore dei CCCP-Fedeli alla linea e del Consorzio Suonatori Indipendenti (CSI), oggi leader dei Per Grazia
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di Marco Liviotti Ricevuta (PRG), ha reso testimonianza lo scorso 3 maggio, presso la Congregazione dell’Oratorio San Filippo Neri, a Roma, nell’ambito del IV ciclo di incontri “Narrar degli uomini, parlar di Dio”, realizzato in collaborazione con l’Associazione Bomba Carta. In una sala gremita da un pubblico per lo più giovanile, l’incontro è stato presentato e moderato dai giornalisti Andrea Monda e Lorenzo Fazzini. Ferretti si è raccontato con piglio ironico e vivace, confidando un certo
imbarazzo ed un pizzico di inadeguatezza nell’esporre una “testimonianza di fede”. La sua è la storia di un italiano che ha vissuto l’epoca più ideologicamente connotata della nostra storia: educato da bambino alla fede cattolica, è cresciuto sullo sfondo del post-Concilio e del ’68, passando poi per gli anni di piombo e per l’appiattimento edonistico degli anni successivi. Fino all’epoca attuale, segnata dalla crisi profonda delle grandi strutture socio-economi-
UNA VITA IN CONTROCANTO Giovanni Lindo Ferretti è nato a Cerreto Alpi, sugli Appenini reggiani, nel 1953. Dopo gli studi e dopo aver lavorato cinque anni come operatore psichiatrico, decide di abbandonare l’Emilia e di viaggiare per l’Europa. A Berlino incontra Massimo Zamboni, con il quale nel 1982 fonda i CCCP Fedeli alla linea, scioltisi poi nel 1990. Nel 1992, sempre con Massimo Zamboni ed assieme al nucleo dei primi Litfiba, fonda invece il Consorzio Suonatori Indipendenti (CSI), scioltosi nel 2000. Nel 2000 ha pubblicato il resoconto del viaggio effettuato in Mongolia con Massimo Zamboni, nel libro scritto a quattro mani In Mongolia in retromarcia. Dal 2002, dopo l’album solista Co.Dex, matura una svolta decisiva per la sua vita, dopo aver superato un tumore al polmone, riscoprendo un legame con la fede dell’infanzia e riavvicinandosi alla Chiesa. Da quel momento è anima del progetto PGR (Per Grazia Ricevuta). È del 2003 l’album Iniziali: BCGLF tratto dall’omonimo spettaco-
lo messo in scena con l’aiuto del regista Giorgio Barberio Corsetti. Nel 2004 ha pubblicato in coppia con Ambrogio Sparagna l’album Litania che accanto alle preghiere tradizionali propone frammenti del repertorio dei CCCP e dei CSI. Nel 2005 ha portato in giro per l’Italia gli spettacoli Falce e Martello. Falciati e martellati. Requiem per una civiltà con Ambrogio Sparagna e Pascolare parole, allevare pensieri con Lorenzo Esposito Fornasari, Raffaele Pinelli e Ezio Bonicelli. Il 2006 lo ha visto impegnato nel tour Ripasso/Ribassi - Saldi, fino ad esaurimento scorte con i PGR. Nel 2007 a seguito della pubblicazione del suo primo libro Reduce nel quale descrive la sua nuova poetica esistenziale attraverso una biografia fitta di memorie d’infanzia, poesie e anatemi sulla società contemporanea, propone un nuovo tour di uno spettacolo omonimo, con la stessa formazione di strumenti di “Pascolare”. Nel 2008 ha ridotto al minimo i suoi impegni per assistere i suoi familiari, pur continuando a scrivere, a tene-
re concerti, a comporre con Gianni Maroccolo e Giorgio Canali brani dei PGR, a presentare letture in teatro, seguire giovani autori e partecipare a iniziative di carattere culturale e religioso oltre a eventi che hanno per soggetto le sue più grandi passioni: il Salento, i cavalli, la Resistenza, l’Appennino tosco-emiliano. Artisticamente si può considerare uno dei padri del punk italiano («punk filo-sovietico e musica melodica emiliana»), e con i CCCP punto di riferimento per il mondo della musica alternativa in Italia. La storia dei CCCP-CSI segna una tappa decisiva nel rock italiano. Attualmente vive nel suo paese natale, Cerreto Alpi in provincia di Reggio Emilia, dove assiste la sua anziana madre, scrive, compone musica, collabora con la Comunità Montana e le associazioni culturali locali e alleva i suoi cavalli. È cittadino onorario di Melpignano, paese salentino in cui si svolge ogni anno la Notte della taranta, e di Monzuno, in provincia di Bologna. 57
Storie Giovanni Lindo Ferretti ha fatto la storia della musica “alternativa” in Italia, icona del punk italiano e punto di riferimento per tutto il rock italiano, con i suoi gruppi CCCP-Fedeli alla linea e CSI.
che ma anche dall’opportunità di un ritorno al sacro. In gioventù e nella prima fase della maturità, Giovanni Lindo Ferretti ha vissuto l’etica “rivoluzionaria” in modo coerente, mietendo successi in campo artistico e, al tempo stesso, compiendo molti errori. Vivendo fino in fondo le proprie contraddizioni, l’artista emiliano ha poi avvertito il bisogno di un “ritorno a casa”. Da alcuni anni, infatti, Ferretti è tornato a vivere assieme all’anziana madre a Cerreto Alpi, suo paese natale sull’Appennino tosco-emiliano, dove, per scelta, ha rinunciato ad Internet, al cellulare e a tutti i mezzi di comunicazione moderni. Un isolamento che però lo ha completamente riconciliato con Dio e con la genuinità del mondo della sua infanzia. Durante l’incontro romano, Ferretti ha raccontato di come, da bambino, tutte le sere prima di coricarsi, la nonna lo aiutava a recitare le preghiere di fine giornata, prestando particolare attenzione all’esame di coscienza. «Mi esortava a comprendere quali fossero le mie colpe – ha detto – senza pensare a quelle degli altri bambini, sulle quali avrebbero riflettuto loro stessi, con le loro nonne…». Aver ricevuto un’educazione cristiana così rigorosa segnò il giovane Ferretti in modo indelebile. Quella vissuta nella sua famiglia era la fede degli umili, quella dei Pater, Ave e Gloria scanditi in modo un po’ meccanico, in un “latino maccheronico” ma con grande convinzione ed autenticità. «L’educazione si può anche perdere ma alla fine riaffiora», ha raccontato. 58
«Ad una certa età ho perso la fede, ma di sicuro la fede non ha mai perso me – ha proseguito. A volte questo ti fa
scoprire una forza che non credevi di avere». Quando, in età matura, Ferretti iniziò a ripensare criticamente la sua vita, sentì l’esigenza di un esame di coscienza. Ripensò, quindi, agli esami di coscienza fatti da bambino con la nonna e alle tante preghiere con lei recitate, «anche se, quando ricominciai a
Cantiamo da Dio, i miracoli della musica leggera di Concetto Vecchio Ancora negli anni Venti, tempo di grammofoni e fonografi, la Chiesa osteggiava i balli moderni, il foxtrot, il charleston, demonizzava il tango “in odor di lascivia”, ma allo stesso modo intuiva la forza innovatrice della musica – la musica che aggrega – e guarda caso è un prete toscano, don Dario Fiori, detto don Sbarra, a scrivere quello che sarà l’inno del Partito popolare prima, e della Dc dopo: O Biancofiore. E iniziò allora quel rapporto tra il Divino e la canzonetta che ancora oggi dura. La pedagogia della Chiesa informa la nazione: almeno nella prima metà del secolo. Leonardo Sciascia un giorno degli anni Cinquanta sale su un bus di democristiani diretti a un comizio di Fanfani e assiste a questa scena: «I ragazzi cantarono “O biancofiore” mentre si attraversava il paese, poi scivolarono in canzoni d’amore, arrivando ad Agrigento ripresero Biancofiore». È del 1912 la prima canzone di musica leggera che incrocia Dio, Fili d’oro, per la voce napoletana di Gennaro Pasquariello: nel 1952 Nilla Pizzi, con Una donna che prega, arriva terza a Sanremo. Sono passati quarant’anni ma l’idea di religiosità non è cambiata granché. E ancora quella dell’Italietta cattolica tardo-ottocentesca, campagnola; la fede un fatto scontato, la parrocchia, il perimetro sociale della comunità. Un teologo, Brunetto Salvarani, e un operatore culturale, Odo Semellini, entrambi di Carpi, studiosi di Guccini, hanno avuto una pazza idea. Censire e analizzare tutte le canzoni della musica pop italiana che toccano il tema religioso. Ne hanno scovate trecentodiciotto. E ne hanno fatto un libro, con annesso dizionario – “Dio, tu, e le rose” (Edizioni Il Margine) che è un caleidoscopio
spiazzante di personaggi e rimandi, una storia d’Italia da Nilla Pizzi a Capossela, passando per De André, Claudio Fiocchi, Battiato, i Baustelle, Jovanotti, Giovanni Lindo Ferretti, quest’ultimo emigrato dai Cccp fedeli alla linea ai fedeli di Ratzinger. Una specie di specchio del Paese. Adriano Celentano, per dire, è la prova che l’Italia ha sterzato nella modernità. E il boom economico e le città si sono espanse, accogliendo migrazioni bibliche dalle campagne. Il 1963 è l’anno in cui si fanno più figli. Il Concilio spiega le sue ali. Sono abolite le messe in latino. Celentano è il cattolico cittadino, che comincia a interrogarsi sulle contraddizioni anche ecologiche di quel rutilante sviluppo. Compone Chi era lui, lato di B de “ll ragazzo della via Gluck”, tutto dedicato alla figura di Gesù, e “Pregherò” sulle note di “Stand by Me”. Nel 1966 Domenico Modugno e Gigliola Cinquetti vincono a Sanremo con “Dio come ti amo”: Dio qui è semplicemente l’esclamazione dell’innamorato, ma è difficile immaginare, appena qualche anno prima, una citazione del genere in una canzonetta. Poi irrompe la valanga del Sessantotto. Musiche samba alle funzioni. Le messe beat: la prima è a Roma, officiata il 27 aprile 1966 nella chiesa Nuova dell’oratorio del san Filippo Neri. Il Borghese ci monta su una campagna di stampa. Francesco Guccini scrive che “Dio è morto”, («nelle auto prese a rate, Dio è morto/ nei miti dell’estate Dio è morto»), manifesto di una generazione: l’Osservatore Romano la esalta, la Radio Vaticana la manda in onda, la Rai democristiana la censura. Stessa sorte capita anche a Fabrizio De André con “Si chiamava Gesù” e “Preghiera in gen-
naio”. Lucio Dalla è costretto a cambiare il suo “4 marzo 1943” (a cominciare dal titolo, che era “Gesù bambino”): «E ancora adesso che bestemmio e bevo vino/ per i ladri e le puttane sono Gesù bambino» diventa «e ancora adesso che gioco a carte e bevo vino / per la gente del porto mi chiamo Gesù bambino». Ora il paradosso è questo: sia Guccini che De André passano per autori di sinistra, ma il loro essere fuori dai ranghi tradizionali della militanza, figure anarchiche in senso lato, fa sì che la loro platea di estimatori sia forse addirittura più ampia nel campo cattolico. Paolo Scappucci della Pro Civitate Christiana scrive una lettera entusiasta a Faber: «Molto spesso, quando ho occasione di parlare ai giovani in riunioni o conferenze e dibattiti porto sempre i tuoi dischi». Nei mesi più accesi della contestazione, esce “La buona novella”, un album fondamentale. Gli chiedono ruvidamente: «Perché parli di Gesù mentre noi contestiamo l’autoritarismo?». Replica del poeta: «quel che chiedete non è poi così lontano dagli insegnamenti di Cristo». Dirà De André in una delle sue ultime interviste, nel ’97: «Gesù rimane un esempio da imitare e “ama il tuo prossimo come te stesso” è un principio bellissimo». Negli anni Ottanta Dio diventa plurale. Franco Battiato ci parla della mistica sufi: è un’apertura a mondi diversi, come un anticipo di globalizzazione. Poi, nell’Italia da bere, lo sfaldamento delle ideologie incrina molte certezze. «Tanta gente è convinta che ci sia nell’aldilà qualche cosa… chissà» canta forse non a caso Vasco Rossi nel 1987. E con questo dubbio il Dio delle canzoni scala le hit parade. (Repubblica) 59
Storie Dal momento del «ritorno a casa», Giovanni Lindo Ferretti inizia un itinerario di preghiera, prima più terapeutico che religioso, fino al ritorno alla vita sacramentale e all’offerta della propria musica al Signore con il suo gruppo PGR.
pregare, le mie preghiere avevano una dimensione più terapeutica che religiosa». Il ragazzo smise di andare in chiesa, intorno ai 14 anni: «le ultime messe a cui ho assistito furono le prime con le chitarre, poi, abbandonate le messe, iniziai ad andare ai concerti dei Nomadi e dell’Equipe 84». È l’inizio della grande passione per il rock che non lo ha mai abbandonato. Anche oggi, «quello che offro al Signore è la mia musica», ha raccontato. Negli anni in cui Giovanni Lindo Ferretti diventa adulto, il connubio tra musica e politica è assai di moda e lui se ne lascia conquistare. «Sono cresciuto nella mitologia delle rivoluzioni», ha detto, ricordando anche di quando, nel 1974, si ritrovò «in Portogallo, armato su una barricata», durante la “rivoluzione dei garofani” che mise fine alla dittatura salazarista. Come la maggior parte dei rivoluzionari, Ferretti è stato per molti anni un avversario della Chiesa Cattolica: «Vedevo la Chiesa come la causa di tutti i mali sociali», ha detto. Sparare a zero sulla Chiesa, oggi come ieri, è fin troppo facile: è come se esistessero tanti «pacchetti di luoghi comuni anticattolici e io li ho presi tutti», ha confidato. Poi sono arrivati il successo, unito all’inevitabile prezzo da pagare e alle tante amarezze della vita. Ferretti vede morire in giovane età tanti amici, chi per droga, chi per terrorismo, poi, molti anni più tardi, un viaggio nei paesi dell’allora “socialismo reale” lo riporta bruscamente alla realtà. «Credevo che con la prassi rivoluzionaria si potesse costruire il pa60
radiso in terra, invece peggiora le condizioni di vita degli uomini», ha osservato l’artista. In tempi più recenti il ritorno alla casa paterna, agli affetti e ai ricordi d’infanzia: l’amata nonna non c’era più ma le preghiere da lei insegnate erano più vive che mai. «Ho la certezza che, anche quando ero lontano da Dio, qualcuno ha pregato per me». Un ritorno a casa colmo di struggimento e gioia al tempo stesso, ma niente affatto facile da intraprendere, così come non è stato facile il ritorno
sta con Lorenzo Fazzini, sono emersi vari spunti curiosi nella vita e nel pensiero del cantante emiliano: «Quando pensiamo agli uomini per categorie, facciamo un atto blasfemo», ha detto, a proposito dei riduzionismi ideologici. Quanto all’avvento del nuovo pontificato, Ferretti ha dichiarato che «a caldo, la rinuncia di Benedetto XVI, mi è sembrata la cosa meno pensabile possibile, poi ho compreso che era un’occasione per fare silenzio e pregare tanto». Poi la gioia per l’arrivo di papa Francesco, «un dono del suo predecessore». Ha poi confidato di essere tornato a vivere in montagna, perché l’uomo, a suo avviso, merita di vivere in un mondo che rispecchi la «creazione e la
alla pratica sacramentale: «La strada più lunga che ho mai percorso è stata quella fino al confessionale», ha raccontato Ferretti. Proseguendo in vari botta e rispo-
presenza del Creatore», laddove le cao tiche città ultramoderne sono il simbolo di un «mondo artefatto che non rispecchia l’essere umano, né è fatto per l’uomo».
Segni & Tracce da leggere, da vedere, da ascoltare
Nel nome di Francesco pag. 62
Alla Biennale di Venezia
Frame:
ÂŤNacque al mondo
per la prima volta
al salone del Libro
un sole...Âť
un percorso sui primi
di Torino,
CosĂŹ il pittore Elio Rizzo
Capitoli di Genesi
la "mediateca"
racconta il Santo
della Santa Sede
di Francesco
di Assisi
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Segni & Tracce
Nel nome di
Francesco FOTOGRAFIA E RESPONSABILITÀ Per l’ottava edizione della rassegna “Fotografia Europea 2013”, che ha quest’anno come tema “Cambiare - fotografia e responsabilità”, il Museo dei Cappuccini di Reggio Emilia ha ospitato dal
30 aprile al 16 giugno tre mostre di autori che attraverso le loro immagini descrivono il tempo e i cambiamenti che questo porta alle stagioni dell’uomo. “Fotografare il Tempo” è, appunto, il titolo unificante delle tre esposizioni: “Panta rei” (Tutto scorre, in greco) ha proposto gli scatti del Circolo degli Artisti di Reggio Emilia a cura di Giuseppe Berti; “Emilia on the road: percorsi tra confine e identità” a cura di Claudia Cattani è stata costruita con le immagini del Circolo fotografico Color’s Light di Colorno; “Incroci possibili” dedicata alle fotografie della Galleria Fotografica Luigi Ghirri di Caltagirone ed a cura di Pippo Pappalardo. 62
A
nche quest’anno torna dalla Basilica di San Francesco in Assisi l’appuntamento con la solidarietà. Sabato 8 giugno alle ore 21.15 in onda in diretta su RAI1 l’evento televisivo “Nel nome di Francesco”, condotto da Carlo Conti, in una gara di solidarietà a favore di chi soffre e di chi si trova in difficoltà. Come sempre molti gli artisti che “prestano” la propria voce per contribuire alla raccolta fondi organizzata dalla comunità dei frati minori conventuali di Assisi. È possibile donare sul conto corrente “Francesco d’Assisi, un uomo un fratello” IT350570438270000000007000. I fondi raccolti quest’anno saranno impegnati per il sostegno alle diocesi colpite dal sisma dello scorso anno in Emilia e alle missioni francescane in Paraguay. Il progetto Emilia – Romagna prevede tre interventi in tre diverse diocesi, quella di Bologna, di Modena-Nonantola e di Mantova. Il primo andrà a ripristinare spazi socio-pastorali della parrocchia San Pietro in Cento (FE) e consentirà ai giovani di disporre di un luogo dove poter vivere momenti di aggregazione e di socialità, proporre incontri, spazi di condivisione, appuntamenti culturali. Il secondo intervento nelle zone colpite dal terremoto permetterà di ripristinare dei locali di una ex scuola materna di Massa Finalese, nel comune di Finale Emilia (MO), che saranno poi destinati ad aule per la catechesi, sede
del locale gruppo scout, sale di aggregazione per giovani e famiglie. Infine il progetto per il ripristino di spazi pastorali della Parrocchia di San Benedetto Po (MN) che vorrebbe tornare ad essere un punto di riferimento importante per le numerose proposte rivolte a bambini, ragazzi, giovani e famiglie del territorio. L’obiettivo generale del progetto Paraguay consiste nella costruzione di un salone multiuso nella parrocchia della Natività della Madonna in Guaramdarè. Da diversi anni i missionari seguono un gruppo di bambini e ragazzi che vivono in situazioni di rischio e degrado, circa 100 ragazzi, e vogliono costruire un Centro per poterli aiutare che ha come scopo quello di dare loro una formazione, una educazione ai principi della società, un aiuto e una preparazione per trovare lavoro. Vogliono offrire corsi di preparazione per bambini e ragazzi provenienti da zone a rischio, corsi d’educazione per bambini e ragazzi con problemi sociali e garantire un servizio medico per gente povera. Come sempre, una grande attenzione soprattutto al mondo dei giovani che, in ogni parte del pianeta, vivono situazioni di grande povertà. Con le donazioni raccolte nelle precedenti edizioni sono stati realizzati progetti di solidarietà in Zambia, Malawi, Uganda, Darfur, Ciad, Burkina Faso, Vietnam, Filippine, Zimbabwe, Kenia, Haiti, Colombia, Messico, Burundi, Sri Lanka, Sud Sudan.
Segni & Tracce
Una visione nuova e originale dedicata al Santuario della Beata Casa di Loreto. Un viaggio in un luogo dove, come disse san Pio da Pietralcina, «la Madonna non è apparsa, ma passeggia nella sua casa». Un programma per tutti coloro che si preparano a venire a Loreto e per chi, dopo la visita, vuole portare a casa un ricordo per riflettere e approfondire il messaggio lauretano. Il documentario, prodotto proprio in questo 2013 in corso, “Benvenuti a Loreto” è uno degli ultimi lavori della casa di produzioni televisive e multimediali NOVA-T, con la regia di Paolo Damosso a partire dal soggetto di fra Maurizio Lenti, OFMCap e vede la partecipazione dell’Arcivescovo di Loreto, mons. Giovanni Tonucci e del Rettore della Santa Casa, fra Giuliano Viabile.
A Roma Festival del Canto Sacro La quarta edizione del Festival Internazionale di Canto Sacro a Roma nella basilica di santa Maria in Aracoeli, in tre giornate, dal 7 al 9 giugno, è stata dedicata alla Gran Bretagna. Nella serata di apertura, il Vocalia Consort, diretto dal Maestro Philip Lawson, si è esibito in un programma dal titolo “Evermore”, presentando compositori inglesi della tradizione antica e contemporanea, in particolare di Benjamin Britten, di cui ricorre quest’anno il centenario della nascita. Sabato 8 è stata volta del quartetto inglese Gothic Voices, raffinato ensemble specializzato nella musica medievale con un programma molto affascinante intitolato “Il testamento di Gregorio Magno”. Domenica 9 giugno, l’appuntamento conclusivo è stato con il Coro di Voci Bianche del Teatro dell’Opera di Roma, diretto dal Maestro José Maria Sciutto, con brani di musica britannica di diverse epoche.
Le spighe dimenticate. Un anno in compagnia di Antonio
scaffale
IN USCITA IL DVD BENVENUTI A LORETO
Nel Prologo ai suoi Sermoni, sant’Antonio paragona il proprio lavoro a quello di Rut, la moabita, che andava spigolando dietro ai mietitori nel campo di Booz. Perciò è maturata l’idea di raccogliere proprio come la spigolatrice, le espressioni più significative, spesso nascoste, come pietre preziose, all’interno dei vari Sermoni, e di distribuirle lungo i giorni dell’anno, in modo da favorire il grande pubblico desideroso di accostarsi alla viva voce di Antonio. Un pensiero al giorno, poche righe, ma intonate alla ricorrenza liturgica del calendario: sono come un invito a orientare tutta la vita verso il Bene sommo che è Dio. Questo testo è particolarmente adatto a chi apprezzi Antonio, il grande predicatore amato dalle folle, l’uomo impulsivo dall’intelligenza vivace, il contemplativo e frequentatore delle biblioteche, il missionario straziato al pensiero delle persone perdute, il francescano dalla passione ardente per una libertà mai completa. Le spighe dimenticate – Pensieri per ogni giorno dell’anno, di Antonio da Padova, Edizioni Messaggero, pp. 168, euro 9,50
Francesco d’Assisi e Etty Hillesum Il fascino immutato delle esperienze umane e spirituali del santo di Assisi e Etty Hillesum. Francesco, uomo del medioevo che percorre le strade del mondo a piedi nudi, in povertà e alla ricerca costante del volto di Gesù. Etty, donna ebrea del secolo scorso, di grande intelligenza e cultura, che termina la sua vita ad Auschwitz lasciando le straordinarie pagine del suo diario e delle sue lettere. La ricerca dell’Assoluto certamente li accomuna, nonostante il tempo e le esperienze. Fra Fabio Scarsato dei frati minori conventuali indaga nelle anime di Francesco d’Assisi e Etty Hillesum per trovare due personalità tanto distanti per tempo, luogo e cultura, quanto autentiche, forti e libere. In uscita proprio nel mese di giugno 2013 nella collana “Memoria e profezia” delle Edizioni Messaggero. Molti testi di questa stessa collana indagano il rapporto tra Francesco o francescanesimo e gli aspetti fondanti la spiritualità che nasce da Chiara e Francesco. Francesco d’Assisi e Etty Hillesum, di Fabio Scarsato, Edizioni Messaggero, pp. 160, euro 14 63
Segni & Tracce
La Santa Sede alla Biennale di Venezia
TRA LIBERTÀ E RESPONSABILITÀ L’Associazione Scienza&Vita ha organizzato a Roma alla fine di maggio l’XI Convegno nazionale dal titolo “L’obiezione di coscienza tra libertà e responsabilità"” Di grande livello i relatori che si sono alternati in una due giorni molto intensa e significativa, con un approccio multidiciplinare che ha permesso una lettura decisamente ampia se non addirittura esaustiva del grande tema etico. Aperto con la Lectio Magistralis del professor Francesco Paolo Casavola, Presidente emerito della Corte Costituzionale e Presidente del Comitato Nazionale di Bioetica, il convegno ha visto la partecipazione di professori in Medicina di varie specializzazioni, in Neuroscienze, in Bioetica, in Diritto, Farmacisti, avvocati, e rappresentnati dei Collegi Ostetriche e Infermieri professionali che hanno dato vita alle riflessioni del venerdì pomeriggio e alla tavola rotonda del sabato 25 maggio che ha concluso il convegno. 64
L
a Santa Sede partecipa quest’anno per la prima volta alla Biennale di Venezia, dal 1° giugno al 24 novembre, con un Padiglione ispirato al racconto biblico della Genesi. “In Principio” è il titolo scelto dal Card. Gianfranco Ravasi (nella foto in alto a sinistra durante la conferenza stampa), Presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, che ha ideato e promosso questa novità assoluta. I primi 11 capitoli della Genesi sono stati l’incipit per la feconda e articolata fase di riflessione, coordinata dal curatore del Padiglione Prof. Antonio Paolucci, Direttore dei Musei Vaticani. Da qui si è proceduto all’identificazione di tre nuclei tematici, affidati ad altrettanti artisti per la costruzione di percorsi differenziati ma tra loro comunicanti. La Creazione è stata affidata a Studio Azzurro (una loro opera nella foto in alto a destra). Attraverso un utilizzo meditato dei nuovi media, lo storico gruppo milanese ha risolto la sfida con un’installazione interattiva che vede l’uomo in posizione centrale e stimola l’osservatore ad un movimento fisico-sensoriale e mentale, nello spazio circostante e nella memoria collettiva e individuale. Il tema si concentra sulla prima parte del racconto biblico, quando l’atto creativo prende forma, tramite la Parola, nel soffio dello Spirito, generando le dimensioni del tempo e dello spazio. Per la De-Creazione è stato scelto il fotografo ceco Josef Koudelka (un particolare di una sua opera nella foto in basso a sinistra): la potenza delle sue
fotografie racconta la contrapposizione dell’uomo al mondo e alle sue leggi, morali e naturali, e la distruzione materiale derivante dalla perdita di senso etico. La De-creazione intende focalizzare l’attenzione sulla scelta dell’uomo di contrapporsi al progetto originario di Dio, attraverso forme di distruzione etica e materiale come il peccato originale e il primo omicidio (Caino e Abele), che ci permettono di riflettere sulla “disumanità dell’uomo”. La violenza e la disarmonia che ne scaturiscono innescano un nuovo avvio nella storia umana. La speranza insita nella Ri-Creazione trova espressione nella specificità dell’arte di Lawrence Carroll (una sua opera n basso a destra). La sua capacità di ridare vita ai materiali di recupero, trasfigurandoli attraverso processi di ripensamento e rigenerazione, apre contro ogni previsione nuove possibilità di coesistenza tra dimensioni all’apparenza estranee come fragilità e monumentalità. Il momento del viaggio, della ricerca, della speranza, rappresentato da Noè e dalla sua famiglia e poi da Abramo e dalla sua discendenza, porta a disegnare una Nuova Umanità e una creazione rinnovata, dove un profondo e interiore mutamento restituisce senso e vitalità all’essere e all’esistere. Criteri di sobrietà ed economicità hanno guidato la progettazione e l’allestimento del Padiglione, i cui costi sono totalmente sostenuti dagli Sponsors, particolarmente da ENI e Intesa SanPaolo.
Segni & Tracce
Elio Rizzo incontra Francesco d’Assisi Un pittore risponde alle domande col pennello e le sue opere assumono il non trascurabile ruolo di visiva didascalia. Elio Rizzo, nelle parole discreto e timido, demanda alla sua arte il compito di rispondere alle domande dell’intervista pittorica che ha nel centro la figura e l’opera di san Francesco d’Assisi. Prospettive immaginarie e senza misura, mai consumate dallo sguardo, dove concentrici vortici di luce offrono chiarori divini senza epoca e senza esatto luogo ed è lì che si riuniscono le empatie spirituali dell’essere toccato dalla grazia. «Nacque al mondo un sole…» (Par. XI,50). La descrizione interpretativa di una tavola del pittore Elio Rizzo ci “accompagna” ad osservare la prominenza topografica ed il profilo del monte Subasio dove sprezza rompendo la sua ripidezza, e proprio lì dove il pendio è più dolce, nacque nel 1182, un sole. In questa tempera all’uovo su tavola, è in evidenza la spirale luminosa che si frantuma per dar vita all’immagine di Francesco d’Assisi, lì all’estrema destra in basso, ormai spoglio dei suoi ricchi abiti familiari
L’ARTE NELLA RELAZIONE D’AIUTO
sostituiti dal saio. Si osserva ancora nella tavola, in alto a destra, la quercia umbra simbolo di forza e fedeltà. «Di questa costa, là dov’ella frange più sua rattezza, nacque al mondo un sole, come fa questo talvolta di
Gange» (Par. XI, 49-51). Il viaggio in oriente di Francesco d’Assisi è rappresentato da architetture arabesche che man mano verso sinistra dell’acquerello si trasformano in un borgo umbro, gli Angeli dal cielo indicano la strada mentre il Gange scorre lento. Francesco è come un cavaliere che aiuta e conforta delle ombre di uomini a non varcare la soglia della morte, ma ad aprire all’accoglienza e alla felicità della vita.
La Facoltà di Filosofia della Pontificia Università Antonianum, in collaborazione con la Nuova Associazione Europea per le Arti Terapie, ha promosso la quinta edizione del master di primo livello Video, fotografia, teatro e mediazione artistica nella relazione d’aiuto.
Il master è articolato in lezioni frontali e a distanza, laboratori di formazione e seminari, studio personale e studio assistito, preparazione all’esame finale ed elaborazione della tesi, per un totale di 1500 ore, e consente l’acquisizione di ben 60 crediti universitari: le caratteristiche del corso consentono, a discrezione degli interessati, di presentare domanda di partecipazione a eventuali concorsi per l’assegnazione di borse di studio banditi da vari enti pubblici. Informazioni sulla prossima edizione del corso, il cui inizio è previsto per il mese di gennaio 2014, all’indirizzo e-mail della segreteria della PUA segreteria@antonianum.eu o allo 0670373504.
Frame: una mediateca ad Assisi Ad Assisi si può conoscere e approfondire la storia di san Francesco anche con il “touch screen”. È stata presentata al Salone internazionale del Libro di Torino “Frame”, la prima mediateca interattiva francescana. L’obiettivo della mediateca è «rendere più consapevoli i pellegrini in visita ad Assisi attraverso le nuove tecnologie e le nuove possibilità di comunicazione», spiegano dal Sacro Convento. D’altronde, «già il complesso della basilica di San Francesco, la sua struttura simbolica, gli innumerevoli riferimenti alla tradizione biblica e iconografica, può far pensare a una sorta di sito multimediale ante litteram». La capacità comunicativa è stata «una delle grandi qualità di Francesco. Ma come comunicare la vita e le opere di Francesco attraverso i nuovi linguaggi? Una sfida che già si posero tutti gli artisti che lavorarono in quel grande laboratorio culturale che fu la Basilica di Assisi». Ecco, lo scopo
«della mediateca è proprio quello di fornire uno strumento che possa aiutare a comprendere meglio il senso della vita di Francesco e di coloro che cercarono di raccontarla». Lo spirito di san Francesco «è presente in ogni dettaglio dell’allestimento: dalla prevalenza di materie povere e semplici come il legno, alla sala centrale che riproduce un bosco segno dell’amore che il Poverello ebbe per la natura tutta». Dunque Frame - realizzata dalla Capware - mette a disposizione «ciò che è difficilmente accessibile», e condivide documentazione «che altrimenti resterebbe il privilegio di pochi». «La Mediateca – sottolineano i frati - è il luogo nel quale i pellegrini, accolti da Francesco, cominciano a conoscersi, a incontrarsi come fratelli e ad avere il primo approccio alle ricchezze spirituali e artistiche nelle quali sono immersi nel cuore francescano». 65
Sipario
Elogio della sussidiarietà
L’editoriale dell’ultima pagina
di Ettore Colli Vignarelli
A
prescindere dal suo risultato conclusivo, il referendum di Bologna sul contributo comunale alla scuola paritaria ha aperto un fronte di discussione di portata non secondaria. Non amo le “guerre di religione”, credo che le cose della politica e dell’amministrazione appartengano al cielo delle cose “penultime”, e siano di conseguenza generalmente discutibili e “negoziabili”. E, lo dico a scanso di equivoci, sono assolutamente a favore di un impegno diretto e sostanziale dello Stato nel sistema scolastico. Considero però molto pericolosa e profondamente sbagliata l’iniziativa assunta a Bologna da una parte della sinistra.
Almeno per tre motivi. In primo luogo, “pubblico” non vuol dire necessariamente “statale”. L’identificazione tra l’uno e l’altro non è più automatica. Perchè abbiamo imparato molto bene che non sempre ciò che è statale persegue interessi pubblici: basti pensare all’occupazione dello Stato da parte dei partiti, delle correnti e delle lobby, con la frequentissima (anche se per fortuna non totale) trasformazione di ciò che era di tutti in un ginepraio di interessi privati e corporativi. Credo che sarebbe utile richiamarsi al con66
cetto anglosassone di “public” che non è collegato al soggetto titolare della proprietà ma a una funzione. Ciò significa che un servizio può essere pubblico senza essere statale o di proprietà comunale! L’importante è che svolga un ruolo che rientra tra i valori irrinunciabili per la collettività. Cosa può esserlo di più di un asilo in cui far crescere i bambini? In secondo luogo l’azione di un gruppo che dà vita ad un servizio di pubblica utilità, rispettando criteri e standard di qualità e sottoponendosi al controllo di una pubblica autorità, è da favorire e non da combattere, in quanto espressione di sussidiarietà orizzontale. In Italia non ci sarebbero le politiche sociali e il sostegno ai soggetti fragili senza il privato sociale, non ci sarebbe tutela del territorio senza il supporto dell’associazionismo ambientalistico, non ci sarebbero programmi sulle politiche giovanili senza cooperative e soggetti non profit impegnati nel settore. Lo stesso avviene nelle politiche culturali e nei servizi museali o nella sanità. Il problema è semmai garantire trasparenza e non favoritismi nelle scelte e nelle assegnazione dei servizi, controlli di qualità, rendicontazione delle attività, mantenimento di forti livelli di responsabilità pubblica. L’integrazione nei servizi non significa né sostituzione né venir meno del ruolo dei soggetti pubblici, che devono imparare a gestire meno e a programmare e controllare di più. Infine va considerato non secondario il rapporto costi benefici. I tagli ai Comuni, le norme rigide del patto di stabilità, unite alla “ingessatura” e quindi ai costi del sistema pubblico, rendono difficili soluzioni che non attingano anche al privato per garantire ad un territorio, a parità di qualità, servizi a forte valenza sociale come l’accoglienza e la cura dei bambini. L’iniziativa bolognese, al di là dell’esito delle urne, è soprattutto l’ennesimo caso di “torcicollo politico” di forze che tendono sempre a guardare indietro anziché avanti. La parola chiave per i governi locali, in tempi di crisi nera e di pesantissima “spending review” è rete. Mettere in rete le risorse sempre più scarse in un sistema che coinvolga anche i soggetti del privato sociale è l’unica via per il mantenimento di un sistema di servizi, di garanzie e di protezioni sociali. Una strada a senso unico per i Comuni italiani. Ma forse a qualcuno, non solo a Bologna, non l’ha ancora capito.
www.edizionimessaggero.it
l 20 febbraio 2010. Ore 21.00. La breve Ostensione del corpo di Antonio sta per terminare. I frati vanno a prenderlo nella Cappella del Tesoro e, in processione, lo portano all’altare maggiore. 38
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Raffinato libro fotografico per ricordare l’evento dell’Ostensione del corpo di sant’Antonio: da lunedì 15 a sabato 20 febbraio 2010, sei giorni di ininterrotto pellegrinaggio hanno portato più di 200.000 fedeli in Basilica. Foto di Nicola Bianchi. pag. 96 - € 16,00
Due saggi acuti e incalzanti che, da diversa prospettiva, affrontano la situazione del cristianesimo contemporaneo e la sua fatica di fare presa sulla realtà. pag. 84 - € 6,50
Piccolo libro che mette insieme, sull’onda di un francescanesimo di popolo evocato quasi quotidianamente dalla figura, dallo stile e dal nome stesso del nuovo Papa, due riflessioni sull’utopia francescana e su Francesco d’Assisi come santo della crisi. pag. 64 - € 6,00