Fvs - Numero di Ottobre 2013

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La rivista dell’Ordine Francescano Secolare d’Italia

Contiene I.R.

Anno 11 – n° 10 ottobre 2013

Periodico mensile Poste italiane – Sped. in Abb. Post. D.L. 353/03 (conv. in L. 27.02.04 n. 46) art. 1c. 2DCB Padova

Francesco a casa Francesco di

In esclusiva: Obama risponde ai Francescani USA


Uno sguardo oltre l’orizzonte

Tanti contenuti, molti sguardi, una prospettiva nuova… il mondo, l’attualità, lo spettacolo, i giovani, la famiglia francescana, l’economia, la musica in una rivista in continua ricerca del volto dell’uomo.

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scrivi a: direttorefvs@ofs.it o redazionefvs@ofs.it oppure a: redazione FVS c/o segretariato nazionale OFS, viale delle Mura Aurelie, 9 00165 – Roma

Cari amici della Redazione, con piacere condivido con voi alcune riflessioni che mi stanno accompagnando in questo tempo, a partire da molte sollecitazioni fraterne, ecclesiali e sociali. Credo, infatti, che l’impegno che il nostro Ordine debba mettere nella società e nella Chiesa, così ben espresso dal settore “Evangelizzazione e Presenza nel Mondo” che il consiglio nazionale ha desiderato “istituire”, rischi talvolta di essere confuso con una forma di promozione umana dedicata alle reti di solidarietà e dei diritti. Come se l’OFS fosse un’organizzazione che si occupa di “sociale” e non di società. Gli ambiti di cui si compone il grande impegno di EPM (li ricordiamo: l’impegno missionario con il Ce.Mi.OFS, GPSC e la pastorale familiare, ndr), infatti, abbracciano “il sociale”, ma vanno ben oltre il sociale… Non possiamo pensare che il nostro Ordine si occupi di essere al servizio della solidarietà sociale, nella rete delle relazioni e dei servizi sociali, senza occuparsi, in prima istanza, del benessere spirituale, come dimensione fondamentale della vita: questo è il nostro compito essenziale, questa è la nostra prima vocazione. Per dirla con papa Francesco (omelia del 24 aprile nella residenza Santa Marta), la «Chiesa non è una ONG». Un Ordine, il nostro Ordine è anche nel sociale, ma la sua missione è nella vita della Chiesa e nella vita del mondo. È chiaro che «è impossibile accettare che nell’evangelizzazione si possa o si debba trascurare l’importanza dei problemi, oggi così dibattuti, che riguardano la giustizia, la liberazione, lo sviluppo e la pace nel mondo», diceva Paolo VI nel 1974 nel discorso di apertura della terza Assemblea Generale dei Vescovi, parole poi riprese dallo stesso

Questioni di fede: l’OFS nella società Pontefice nell’esortazione apostolica Evangelii Nuntiandi. Ma è altrettanto vero che «un’evangelizzazione nuova nel suo ardore è il primo servizio che la Chiesa può rendere a ciascun uomo e all’intera umanità. Oggi si richiede una evangelizzazione che abbia l’ardore della Pentecoste. La missione è un problema di fede» (Lettera Enciclica Redemptoris Missio, 11 di Giovanni Paolo II). In definitiva l’OFS è prima per l’evangelizzazione. L’impegno sociale non esprime, da solo, il giusto significato del valore di evangelizzazione e di presenza nel mondo. La prima forma di evangelizzazione, ad esempio, è la testimonianza della vita cristiana. Francesco ci insegna che la concordia fraterna è forma di primo annuncio in mezzo ai popoli. Anche senza “l’impegno sociale”. Poi, successivamente, operare nel sociale con forme di testimonianza tipiche dei laici con opere di carità e di promozione umana è fondamentale ma non racchiudono tutta la nostra essenza vocazionale. Mi piacerebbe sapere anche la vostra opinione. Un caro saluto fraterno di pace. Lettera firmata

Carissimo fratello, la riflessione che ci poni è di quelle davvero importanti e significative per la vita del nostro Ordine e, quindi, della società e della Chiesa. Già, perché condividiamo pienamente il tuo pensiero: l’OFS non è un’organizzazione che si occupa di rispondere ai bisogni sociali di questo nostro mondo. Ogni francescano secolare, in virtù della splendida vocazione ricevuta, si fa testimone e strumento della missione

della Chiesa tra gli uomini, annunciando Cristo con la parola e con l’esempio (Reg. OFS 6). Questo è il cuore del mandato che ciascuno di noi ha ricevuto ed ha promesso di vivere con la professione. Questo è il mandato che ogni fraternità locale, regionale, nazionale ed internazionale è chiamata a vivere ed attuare. Con la parola e con l’esempio! Mi viene naturale, per esemplificare, pensare all’associazione “Attività OFS d’Italia” – onlus: essa è uno strumento privilegiato per intervenire nel sociale che non dice la natura e l’essenza della vocazione francescana secolare. È davvero importante – condivido fortemente la tua sottolineatura – avere chiaro che essa è uno strumento per intervenire in maniera operativa nella realtà in cui viviamo e siamo immersi. Infatti Evangelizzazione e Presenza nel Mondo non è la onlus. In particolare in questo Anno della Fede che sta volgendo al termine, è doveroso richiamarci su questo aspetto: al di là di tutte le cose “belle e buone” che decidiamo di fare come singoli o come fraternità, abbiamo sempre a cuore il benessere spirituale di ogni uomo che incontriamo nel nostro cammino di vita. Questo vuole dire innanzitutto lo splendido articolo 13 della nostra Regola («Il senso di fraternità li renderà lieti di mettersi alla pari di tutti gli uomini, specialmente dei più piccoli, per i quali si sforzeranno di creare condizioni di vita degne di creature redente da Cristo»): l’impegno sociale potrà essere uno dei modi, degli strumenti con i quali cercheremo di portare ad ogni uomo e ad ogni donna il fragrante profumo dell’amore del Signore che ci ha redenti! Caro fratello, davvero grazie per queste tue parole. Il Signore doni a tutti noi la sua pace. Per la Redazione FVS Paola Brovelli 3


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Lettere a FVS

31 Femminile, plurale

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Francesco a casa di Francesco

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Diciotto papi all’ombra del Subasio

La storica visita di papa Francesco ad Assisi il 4 ottobre. Tutte le visite dei papi ad Assisi.

13 Libertà e accoglienza vie al perdono L’intervento di Massimo Cacciari ad Assisi lo scorso 2 agosto.

15 Simone Weil e Francesco d’Assisi

In ginocchio con Francesco.

32 Strumenti di pace

I francescani del Nord America in dialogo con il Presidente Obama.

37 Lessico dell’anima E ora?

38 Filippine: un boom economico che dimentica i poveri Il grande Paese asiatico ricco di contraddizioni.

La condivisione “totale” con i poveri.

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17 Caro OFS

43 Senza frontiere

18 Fratelli carissimi…

45 In Chiara Luce

21 In due righe

46 Gli italiani? Un popolo di analfabeti religiosi

I santuari del nostro Ordine. Lettera aperta ai ministri provinciali del I Ordine e del TOR. Cronaca dalla fraternità nazionale.

24 Far crescere la famiglia per far crescere il Paese

La 47a settimana sociale dei cattolici italiani.

26 Il contributo dei Francescani Secolari L’OFS alla 47a settimana sociale.

29 «La famiglia tornerà nel cuore del Paese»

La previsione politicamente scorretta di Stefano Zamagni.

Cronache della fraternità internazionale. La risposta di Chiara d’Assisi.

Un indagine Eurisko rivela la grande ignoranza sulla religione.

50 La bontà che disarma

L’Arsenale della Pace di Torino compie 30 anni.

53 Dallo sportello della banca al cuore della missione Una biografia di Ernesto Olivero.


55 Oltre il segno del Battesimo

La rivista dell’Ordine

Dag Hammarskjöld: Negoziare.

Francescano Secolare d’Italia

56 San Francesco? Un miracolo

PER RICEVERE LA RIVISTA

Intervista a Giancarlo Giannini.

61 Segni e tracce

Quota associativa “Francesco il Volto Secolare – Associazione” Ordinaria € 20,00 Sostenitore € 35,00

Da leggere, da vedere, da ascoltare.

66 Sipario

L’editoriale dell’ultima pagina.

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da sottoscrivere sul c/c postale n. 55841050 intestato a Francesco il Volto Secolare Associazione Via della Cannella, 8 06081 – Capodacqua di Assisi (PG) SCRIVERE CON CHIAREZZA NOME E INDIRIZZO Garanzia di riservatezza

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Autorizzazione n. 737 del 28/12/2002 del tribunale di Milano Direttore responsabile: Ettore Colli Vignarelli Delegato comunicazione e stampa Consiglio Nazionale OFS: Gianpaolo Capone

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Foto: archivio di redazione, Stefana Musio Stampa: Imprimenda snc Via Martin Piva, 14 – Limena (PD) Collaboratori fissi: Andrea Serafino Dester, Remo Di Pinto, Attilio Galimberti, MichaelDavide Semeraro, Anna Pia Viola, Umberto Virgadaula

Caporedattore: Paola Brovelli Redazione: Cinzia Benzi, Miriam Burattin, Roberta Giani, Ilenia Grecu, Antonella Lagger, Ornella Omodei Zorini, sorelle francescane della nuova Gerusalemme

Hanno collaborato a questo numero: Maria Chiara Biagioni, Gianfranco Bilancia, Monica Cardarelli, Maria Manuela Cavrini (monastero clarisse di Città della Pieve), Giancarlo Li Quadri Cassini, Barbara Milanese, M. Michela Nicolais, Fulvio Paloscia

Informativa ex art. 13 del D.Lgs. 196/03. I dati personali forniti dai propri associati permettono all’associazione “Francesco il Volto Secolare” di farli partecipi delle proprie iniziative. Il conferimento dei dati è obbligatorio; senza detti dati l’Associazione non potrebbe effettuare l’invio del presente periodico. I dati sono custoditi su supporto informatico e trattati nel pieno rispetto delle misure di sicurezza a tutela della relativa sicurezza. Detti dati inoltre potranno essere comunicati all’associazione “Attività Ordine Francescano Secolare d’Italia Onlus” al solo scopo di far conoscere le proprie iniziative di solidarietà. Titolare del trattamento dei dati personali è l’associazione “Francesco il Volto Secolare”. In ogni momento potrete richiedere la cancellazione, la rettifica e l’aggiornamento dei Vostri dati personali contattandoci all’indirizzo di Viale delle Mura Aurelie, 9 – 00165 Roma o al cellulare 334 2870709 o all’indirizzo e-mail segreteria.fvs@ofs.it.

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Eventi

Francesco a casa di

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Francesco


La storica visita del Pontefice che porta il nome del Poverello nei luoghi che furono il teatro della sua straordinaria avventura di fede. Una visita segnata dalla attenzione speciale ai poveri.

F

di Barbara Milanese

rancesco a casa di Francesco. Il vescovo di Roma «venuto dalla fine del mondo», l’argentino Jorge Mario Bergoglio, il 4 ottobre a tu per tu per la prima volta col Poverello d’Assisi, dal quale, appena eletto Papa, ha preso nome e “programma” per caratterizzare tutto il suo pontificato all’insegna della attenzione ai poveri tra i più poveri, della proclamazione della pace al di là di religioni, colori politici, nazionalismi, della difesa del creato. Un pontificato – ha già più volte proclamato papa Francesco – che deve farsi carico delle sofferenze dei più deboli, dei diseredati, degli sfruttati, attraverso la “forza” di una Chiesa “più povera” sempre più modellata intorno alla figura di Gesù Cristo. L’incontro tra i due Francesco è un evento che non si fa fatica a definire storico, anche se finora sono stati 18 i pontefici che hanno pregato ad Assisi (vedi box). Con Bergoglio – detto con tutto il rispetto ver-

so i suoi predecessori – c’è una attesa in più, nata forse dal fascino che suscita un papa che ha avuto il coraggio di chiamarsi come san Francesco (non era mai successo nella storia della Chiesa). Un papa per di più gesuita (anche questo, primato assoluto di Bergoglio), che da vescovo di Buenos Aires ha plasmato la sua pastorale accanto ai poveri abitanti della favelas, e che ha una particolare sensibilità per le sorti dei milioni di migrati ed immigrati in fuga lungo le strade del Mondo, essendo stato lui stesso figlio di una famiglia italiana emigrata in Argentina agli inizi del secolo scorso. Quella del Papa ad Assisi sarà una giornata fitta d’impegni tra poveri, disabili e giovani. La giornata del pontefice comincerà prestissimo e terminerà dopo le 20. La partenza in elicottero dal Vaticano è prevista alle 7 del mattino e dopo 45 minuti di volo il velivolo papale atterrerà nel campo sportivo 7


Eventi

dell’Istituto Serafico di Assisi. Il pontefice sarà accolto tra gli altri dall’arcivescovo di Assisi-Nocera Umbra-Gualdo Tadino, mons. Domenico Sorrentino, dal presidente del consiglio dei ministri Enrico Letta, il presidente dell’Umbria, Catiuscia Marini e l’Ambasciatore d’Italia presso la Santa Sede, Francesco Maria Greco. Subito dopo, verso le ore 8, il papa incontrerà nella chiesa dell’Istituto Serafico alcuni bambini disabili e i malati ospiti dell’Istituto. Il pontefice si sposterà poi in auto al Santuario di San Damiano dove sosterà in preghiera circa 20 minuti. Il papa farà tappa anche al Vescovado dove nella sala della Spoliazione di san Francesco incontrerà i poveri assistiti dalla Caritas. Al termine dell’incontro è previsto un discorso del pontefice. Successivamente Francesco si recherà a piedi nella vicina chiesa di Santa Maria Maggiore accolto da alcuni francescani. Poco dopo le 10 il papa si trasferirà in auto alla Basilica Superiore di San Francesco dove visiterà, in forma privata, la cripta per la venerazione della tomba di san Francesco. Alle 11 nella piazza San Francesco il pontefice celebrerà la messa con relativa omelia. Terminata la celebrazione, il pontefice si trasferirà in auto al Centro di prima accoglienza della Caritas, nei pressi della Stazione ferroviaria di Santa Maria 8

degli Angeli, dove pranzerà con alcuni poveri. Il papa visiterà, in forma privata, l’Eremo delle Carceri, dove pregherà nella cella di san Francesco, e la cattedrale di San Rufino dove terrà un discorso davanti al clero. Alle 16.15 è in programma inoltre la visita alla Basilica di Santa Chiara dove, nella cripta, il pontefice venererà il corpo di santa Chiara, seguita da una preghiera silenziosa davanti al Crocifisso di San Damiano. Successivamente papa Francesco rivolgerà alcune parole anche alle Monache di clausura. Il pontefice non mancherà di visitare Santa Maria degli Angeli, la Porziuncola e la piazza antistante la Basilica dove saluterà i giovani. La visita di papa Francesco ad Assisi si concluderà con il trasferimento a Rivotorto dove si congederà dalle Autorità locali per far ritorno in elicottero in Vaticano verso le ore 20. La giornata si preannuncia come un evento storico, sotto tutti i punti di vista. Tutte le scuole del territorio comunale assisiate, di ogni ordine e grado, saranno chiuse. Questa la decisione che è stata presa per poter permette-

Lo storico evento di papa Francesco in Assisi il 4 ottobre fa da eco alle tante visite che i papi, lungo la storia della Chiesa hanno voluto vivere nella città di Francesco e Chiara. Per implorare la pace e la protezione per la Chiesa e per il mondo intero. E per dire l’amore preferenziale per i poveri e gli emarginati.


Diciotto papi all’ombra del Subasio

Sono diciotto i pontefici che, fin dal tredicesimo secolo, sono giunti in visita ad Assisi, in attesa della visita di papa Francesco atteso nella città serafica il prossimo 4 ottobre. Il primo fu Gregorio IX nel 1228: il 16 luglio il pontefice canonizza san Francesco a San Giorgio dove il Santo è provvisoriamente sepolto, mentre il 17 luglio benedice personalmente la prima pietra dell’erigenda chiesa sepolcrale, ad ovest della città di Assisi. Lo stesso papa tornerà ad Assisi nel 1235. Anche papa Innocenzo IV fu più volte e per diverso tempo ad Assisi tra il 1251 e il 1253. In quell’anno il Papa consacrò la basilica, nella quale soggiornò per sei mesi. Il 12 agosto dello stesso anno a San Damiano, con l’intera curia, assiste all’eucarestia per il funerale di santa Chiara. Fu invece Clemente IV a consacrare

la basilica dedicata a santa Chiara nel 1265. Nel 1276 papa Innocenzo V giunge pellegrino ad Assisi, mentre nel 1285 alla basilica di San Francesco arriva papa Martino IV, che lasciò espressa per testamento la volontà (non rispettata) di essere sepolto ad Assisi. Due papi visitarono Assisi nel quattordicesimo secolo: Benedetto XI, domenicano (nel 1304) e Bonifacio IX nel 1392. Nel 1449 papa Nicolò V si ferma per più giorni ad Assisi, alloggiando nel palazzo gregoriano. La sua visita al sepolcro di san Francesco è ricordata da una curiosa iconografia legata alla favola del Santo “vivo in piedi” nella cella memoriale sotterranea. Tra il 1459 e il 1464 papa Pio II fu per tre volte nella città del Poverello, mentre nel 1476 papa Sisto IV raggiunge due volte il sepolcro del Santo, ordinando-

ne la chiusura ermetica a protezione da malintenzionati in tempo di forte conflittualità cittadina. Tre papi arrivarono ad Assisi nel ’500: Giulio II nel 1506, Clemente VII nel 1532 e Paolo III per due volte nel 1535 e nel 1540. Nella cronologia delle visite papali ad Assisi c’è poi una lunga pausa, di oltre tre secoli. Bisogna arrivare al 1841 quando Gregorio XVI visita la città e i suoi santuari, compreso quello di Rivotorto. Siamo ormai all’epoca contemporanea. Papa Pio IX arriva ad Assisi nel 1857 e pernotta al Sacro Convento. L’8 maggio celebra una solenne eucarestia nella chiesa inferiore, sull’altare del Santo. Nel 1962, nel giorno della festa di san Francesco il 4 ottobre, alla vigilia del Concilio Vaticano II che inaugurerà l’11 ottobre, Giovanni XXIII è ad Assisi per implorare l’aiuto del Santo sui lavori conciliari. Nel discorso in basilica egli dice che il Concilio sarà celebrato in nome della Trinità augusta, ad onore di Maria, di Giuseppe, e di san Francesco. Ma il papa che per più volte ha visitato Assisi è Giovanni Paolo II, pellegrino nella città di Francesco per sei volte durante il suo lungo pontificato. Memorabili le grandi preghiere per la pace (nel 1986, nel 1993 e nel 2002). Infine Benedetto XVI, papa emerito, ha visitato Assisi due volte, nel 2007 e nel 2011.

Nella foto: papa Giovanni XXIII in visita ad Assisi nel 1962 alla vigilia del Concilio Vaticano II. 9


Eventi

In questa pagina due immagini delle storiche giornate di digiuno e di preghiera per impetrare la pace nel 1986 e nel 2011, fortemente volute da Giovanni Paolo II e da Benedetto XVI e da tutti i rappresentanti delle religioni di tutto il mondo. A destra la cattedrale di Assisi, dedicata a san Rufino, luogo fondamentale nelle vicende storiche di Francesco e Chiara d’Assisi. In quella chiesa papa Francesco terrà un discorso al clero. re da un lato un’ampia partecipazione, dall’altro per assicurare la migliore accoglienza possibile ai tanti ospiti ed evitare ai ragazzi problemi di viabilità e logistica legati ai servizi scolastici. È, questo, uno dei tanti aspetti che stanno caratterizzando i preparativi per il giorno in cui il Santo Padre verrà pellegrino da Francesco in concomitanza con le celebrazioni in onore del Santo Patrono d’Italia. Una prima volta ad Assisi che ha indotto il Pontefice a visitare tutti i luoghi legati alla vicenda umana e spirituale di Francesco ed a rivivere alcuni momenti che ne segnarono la vita: l’incontro con i malati e con i poveri. E la macchina organizzativa in effetti lavora a pieno regime. «Fra gli aspetti che stiamo mettendo a punto c’è la volontà di assicurare a più gente possibile tre elementi: acqua, il cappellino celebrativo e la planimetria per poter seguire al meglio gli spostamenti del Papa – afferma Claudio Ricci, sindaco di Assisi. Per quanto riguarda l’acqua ci saranno diversi punti per approvvigionare i pellegrini, che potranno avere anche il cappellino bianco e giallo 10

con il logo della visita e la planimetria; contiamo di poterne avere a disposizione fra i trentamila ed i cinquantamila». Altro tema delicato è quello legato agli accessi e alla mobilità nei luoghi interessati dalla visita. Aspetto quanto mai delicato stante la particolare conformazione urbanistica della città del Poverello. In certi luoghi ad esempio (piazza San Francesco, San Rufino, e almeno in parte Santa Maria degli Angeli) sarà necessario il pass, che si potrà richiedere accedendo al sito internet www.diocesiassisi.it, mentre in altri spazi – in particolare lungo il percorso che verrà attraversato dal corteo papale – l’accesso sarà di fatto libero. «Sono previsti dieci chilometri di percorso transennato – aggiunge il primo cittadino – per consentire a più gente possibile di poter vedere il Papa. Restrizioni ci saranno, è chiaro e inevitabile, ma è nostra intenzione evitare, per quanto possibile, chiusure drastiche dei percorsi e operare con una certa flessibilità, anche per andare incontro alle esigenze dei residenti e di coloro che lavorano».


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Francescanesimo

In occasione della solennità del Perdono d’Assisi il filosofo Massimo Cacciari ha proposto un interessante percorso per comprendere il senso del perdono in Francesco d’Assisi.

L’

di Monica Cardarelli

incontro con Massimo Cacciari proposto per il Perdono di Assisi ci offre l’occasione per riflettere sul senso del perdono e sul difficile cammino da compiere. Il punto di partenza del pensiero espresso da Cacciari è la lode che si ritrova in modo particolare nel Cantico delle Creature di Francesco d’Assisi. In questo testo si capisce come non si tratti solo di lode a Dio attraverso o per le creature ma anche il momento e il luogo per l’uomo di lodare il Crea­tore; infatti tutte le creature viventi e gli esseri umani, tutto il creato è dono, manifestazione e lode di Dio. Proseguendo da questo punto fermo si giunge però ad una peculiarità dell’essere umano che lo differenzia dalle altre creature: la libertà. L’uomo ha la libertà di accogliere o meno questo suo essere dono e questo è l’ambito più delicato e difficile per l’uomo, scegliere di accogliere o rifiutare. È in questo spazio che si gioca tutto, questo fa la differenza. La scelta poi è resa ancora più difficile dalla logica del “do ut des” con cui ragioniamo e questa 13


Francescanesimo

reciprocità ci costringe e limita in qualche modo la nostra libertà di scelta. Perciò, solo la via evangelica della gratuità viene in aiuto all’uomo che può così accogliere il suo essere dono. In questo percorso a poco a poco dal dono si giunge alla povertà o meglio, come ha affermato Cacciari, allo svuotamento di sé. Perché per accogliere il dono abbiamo bisogno di fare spazio dentro di noi e ciò è possibile solo “svuotandosi” di noi stessi; di conseguenza nel momento in cui l’uomo è “vuoto”, ciò che può donare è solo se stesso. Ecco che, dalla lode passando per la povertà, si arriva a capire e a vivere il perdono non come dono di qualcosa ma di noi stessi. Lode, dono ma anche povertà e accoglienza; forse queste le parole che colpiscono maggiormente dalla esposizione di Massimo Cacciari e che fanno riflettere. Negli Atti al Processo di Canonizzazione di Chiara d’Assisi la XIV testimone, Sora Angeluccia di Messer Angeleio da Spoleto, racconta che la Santa esortava le sorelle che uscivano dal monastero per l’elemosina con queste parole: «quando vedessero li arbori belli, fioriti et fronduti, laudassero Idio; et similmente, quando vedessero li homini et le altre creature, sempre de tucte et in tucte cose laudassero Idio». La lode al Signore per il dono delle altre creature e per il proprio essere dono per sé e per gli altri è dunque la base del cammino verso il perdono mentre il passo successivo è sentirsi figli di Dio e fratelli di Cristo e tra di noi. La consapevolezza e il sentire di essere creature di Dio insieme a tutte le altre creature e che l’uomo a differenza degli altri esseri viventi è anche creato a sua immagine. Un movimento lento quello del passo che ci porta a questo momento che non è facile da vivere e accettare. Anche perché, come sottolineava Massimo Cacciari, è in questo ambito che si gioca la libertà dell’uomo di accogliere il dono e la dimensione filiale e spesso è lungo il percorso che conduce dall’intelligenza al cuore per poter sentire oltre che comprendere. Nelle Fonti Francescane si racconta di come 14

Lode, dono, povertà e accoglienza: ecco i passi che ritroviamo in Francesco per giungere alla straordinaria esperienza del perdono, ricevuto e donato.

I lettori più assidui e attenti di FVS, hanno incontrato già la figura di Simone Weil, la sua incisività e libertà di spirito che aiuta a pensare. Nel libro di Anna Rita Innocenzi, la vita e il pensiero di Simone vengono letti insieme a quelli di Francesco d’Assisi. Accostamento audace? Improbabile? Azzardato? Giudicatelo voi stessi quando, man mano che scorrerete il libro, vedrete emergere alcuni tratti comuni ai due personaggi. Li vedrete alle prese con i loro sogni giovanili, con momenti di crisi, con l’attenzione ai poveri e, soprattutto, con la presenza di Cristo. La presentazione dei due personaggi corre parallela nell’alternanza da un capitolo ad un altro. Siamo condotti alla conoscenza ora dell’una, Simone, ora dell’altro, Francesco, mantenendo ferma la chiave di lettura: entrambi fanno della loro vita un’incarnazione di ciò a cui credono. Sia Francesco sia Simone faranno una scelta di totale condivisione della sorte degli oppressi, dei rifiutati ed emarginati della società. Entrambi soffriranno nel loro corpo le conseguenze della condivisione della sofferenza altrui. Conosciamo la malattia di Francesco, i suoi malesseri di stomaco, poi l’infezione agli occhi, per non parlare delle ferite interiori che lo lacereranno fino alla fine e non lo abbandoneranno neppure quando sarà un nuovo Crocifisso dopo l’incontro sulla Verna. Simone nasce nel 1909 e muore nel 1943, soffrendo di forti emicranie per tutta la sua breve vita. Si curerà poco e male, rifiuta il cibo di cui può nutrirsi per essere solidale con quanto si nutrono i soldati e la gente comune in tempo di guerra. Anche questa giovane ebrea, professoressa di filosofia, come il giovane mercante di Assisi, è animata, infiammata, da un profondo amore per la verità, la giustizia e la bellezza del mondo. Se Francesco vende le stoffe del padre per darle ai poveri, Simone darà il suo stipendio agli operai licenziati dalla Renault. Non rifiutano il mondo, anzi, intendono liberarlo dall’inganno dei falsi idoli. Francesco e Simone abbracceranno le debolezze dei miseri proponendo una visione della vita fatta di rinnegamento di sé, del proprio egocentrismo. Sono


Simone Weil e Francesco d’Assisi: la condivisione “totale” con i poveri Una recensione del magnifico libro di Anna Rita Innocenzi, Simone Weil e Francesco d’Assisi: “anarchici” o “mistici”?, Edizioni Nuova Cultura, Roma 2009. di Anna Pia Viola dei pazzi, dei folli, “anarchici” nel senso che non hanno punti di forza su cui appoggiarsi, principi o regole a cui fare riferimento. Francesco ritiene che solo il Vangelo basti e Simone ha la convinzione che occorre «essere nulla per essere al proprio vero posto nel tutto». Questa è la “follia” dei santi, dei “mistici”, che fa impazzire e confondere il mondo. Rivoluzionari convinti, Francesco pensa che il mondo si cambi a partire dal proprio cuore, dalla propria mentalità, convertendo il proprio modo di vedere le cose e di amare le persone. Per Simone la vera rivoluzione non è quella proposta dal materialismo, che uccide l’anima dell’uomo, ma consiste nella diffusione della cultura nel mondo operaio. Se vuoi dare libertà all’uomo devi metterlo nella condizione di conoscere le cose, maneggiare il linguaggio e il senso delle parole. L’oppressione, personale e sociale, si combatte seminando cultura, sapere, pensiero. Una persona che non pensa, non legge, non si confronta, non ascolta, è destinata ad essere schiava di chi impone le proprie idee. Quando l’uomo ha la consapevolezza che il proprio lavoro trasforma la natura, la società e se stesso, allora, dice Simone, la sua azione diventa contemplazione. Contemplare non vuol dire chiudersi fuori dal mondo, ma essere partecipi di esso come parte di un tutto. Tutto questo per Simone non è teoria, ma frutto di esperienza, di ascolto e riflessione dell’uomo. Anche Francesco ci propone una visione della vita, una

sapienza evangelica, un’esperienza che è sempre frutto della dolorosa accettazione del fratello e della vita che non possiamo dominare e controllare. Tante sono ancora le sfumature e le affinità che si colgono fra Francesco e Simone, e se volessimo cogliere almeno una differenza salta subito agli occhi la diversità con cui si relazionano alla Chiesa. Francesco viene riconosciuto dagli storici come il grande riformatore della Chiesa inserendosi nelle ferite che ne stavano determinando un rovinoso crollo. Francesco “puntella” la Chiesa dal di dentro, non si conforma alle sue scelte politiche e allo stile di vita. È profondamente critico nei confronti della sicurezza economica che deriva dall’appartenere alle sfere gerarchiche. Tuttavia rimane nella Chiesa, non ne fonda un’altra, riconoscendo che il solo fondamento e Fondatore è il Cristo. E Simone? Lei non è cristiana, nemmeno un’ebrea praticante, tuttavia si avvicina alla Chiesa cattolica attraverso il dialogo e la conoscenza personale con qualche prete. Sarà determinante per la sua spiritualità la visita che farà ad Assisi, quando ella stessa ammette che per la prima volta in vita sua ha sentito forte il bisogno di inginocchiarsi. E questo è avvenuto alla Porziuncola. Potremmo dire che lì è avvenuto l’incontro con Francesco, questo compagno nella fede che a distanza di secoli affascina e convince. Simone vede le stesse criticità di Francesco e anzi addebita alla Chiesa di avere imposto il suo dogma,

esercitando un’etica di potenza che ha finito con il reprimere la libertà dei più deboli. La giovane filosofa non ama la Chiesa istituzione, a differenza di Francesco, la ritiene una potenza mondana che non assolve alla sua originaria vocazione. Se cattolico significa universale, dice Simone, la Chiesa Cattolica Apostolica Romana dovrebbe accogliere tutti gli esseri umani di tutti i tempi e di tutti i luoghi. Nonostante desideri il battesimo che la inserisce nell’esperienza di Cristo, Simone deciderà di non riceverlo proprio per essere solidale con quanti rimarrebbero sempre fuori dalla Chiesa. Sembra quasi che le dia fastidio il termine “fuori”. Per Simone Chiesa significa sempre accoglienza di tutti. Non è forse profetica oggi Simone Weil? La conoscenza del suo pensiero e della sua esperienza mistica di certo danno slancio all’azione della Chiesa che oggi più che mai si scrive con il nome di Francesco. 15


Francescanesimo Francesco si commuovesse e piangesse solo pronunciando la parola «Padre» della preghiera del Padre nostro. Sentirsi figli di Dio e fratelli di Cristo e fratelli e sorelle tra noi… se solo potessimo davvero giungere a questo sentimento e non solo comprensione, la nostra vita di cristiani e di francescani cambierebbe. In questo percorso ci viene in aiuto la povertà, intesa e vissuta come Francesco e Chiara, non considerando nulla come proprio. È questo distacco dalle cose, dalle persone, dai luoghi che permette di vivere tutto come un dono, qui ed ora, e allo stesso tempo di essere liberi di accogliere. Francesco e Chiara lo avevano capito bene ed hanno speso tutta una vita in questa dimensione di pienezza e di libertà nel seguire Cristo povero, di abbandono al Suo amore provvidenziale, di accoglienza. Accogliere è forse ciò che può sintetizzare quanto detto e che presuppone la lode, il dono ma anche la libertà e il perdono. «Accoglietevi perciò gli uni gli altri come Cristo accolse voi, per la gloria di Dio» scrive Paolo ai Romani (Rm 15,7). Un’accoglienza vera, autentica e sincera investe tutta la nostra vita e la nostra carne. È un’espressione più attuale di quel «fare misericordia» che Francesco sperimentò verso i lebbrosi e di cui rese grazie al Signore per averlo condotto da loro. È sempre quell’accoglienza che Chiara speri-

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mentava ogni giorno verso le sue sorelle quando le copriva nella notte perché non prendessero freddo, quando lavava i corpi delle sorelle malate o lavava e baciava i piedi alle sorelle che rientravano, abbracciandole. Un’accoglienza concreta che si prende cura dell’altro nel corpo e nell’anima perché Dio si è fatto carne per venire ad abitare in mezzo a noi. Nel momento delicato che stiamo vivendo penso sia importante ripartire dall’accoglienza nei confronti della volontà di Dio e verso dei fratelli, perché accogliere e sperimentare di essere accolti conduce al perdono, al dono per gli altri.

Qui sopra: il filosofo Massimo Cacciari. Anche in questo percorso, sottolinea Cacciari, Francesco e Chiara si muovono a partire dalla lode per il Creatore nella bellezza e nella purezza della sua Creazione.


Caro OFS di Remo di Pinto

I santuari del nostro Ordine

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ovremmo periodicamente recarci nei “Santuari di san Damiano”. Ce ne sono molti! Ma sono opportunamente nascosti. Luoghi che ripetono ancora oggi l’esperienza di san Francesco nella nota chiesetta di Assisi, luoghi nei quali il crocifisso ci attende per parlarci, indicarci la via, mostrarci la verità, aprirci alla vita! «Questo è il mio corpo offerto in sacrificio per voi». Nei Santuari di cui parlo c’è il corpo dei fratelli e delle sorelle che hanno accolto di essere “sorretti dalle braccia di Gesù crocifisso”, non “inchiodati alla croce”, così come ho ascoltato dalla voce di Lella… uno di questi corpi, fatti tutto in Cristo e offerti… in sacrificio… per noi.

«Per le sue piaghe noi siamo stati guariti» (Is 53,5). Non ho dubbi nel credere che il nostro Ordine si sorregge sull’offerta di tutti quelli che sperimentano la malattia e le altre forme di sofferenza, che per grazia tutta particolare le vivono in una fede limpidissima… come lampada che arde! Voci che ci sostengono nel silenzio e nel nascondimento, che parlano come Abramo col Signore mentre lo prega di risparmiare Sodoma (cfr Gen 18,20-32); come il vignaiolo col padrone mentre lo prega di non tagliare il fico senza frutti… che si impegnano a zappare intorno all’albero e a concimarlo (cfr Lc 13,6-9). Voci che ci parlano come fece il crocifisso a san Francesco, che ci “vi-

sitano”… da ascoltare… non adulare! Che ci dicono come vivere la nostra vocazione, il nostro servizio, la nostra vita, ci indicano la strada, il futuro: «Va’ e ripara la mia casa». Sono spesso questi fratelli e sorelle, i più “piccoli”, ad essere i più profetici. Il loro essere fuori dalle “strutture” li mantiene liberi e li rende capaci di suscitare in noi l’amore e di risvegliare il nostro cuore alla compassione e al servizio, all’essenziale, distogliendoci dal superfluo. Il dono più prezioso del nostro Ordine si trova nelle persone che non possono assumere responsabilità importanti, che non sono fatte per organizzare, animare e comandare, ma sono dotate di cuori amanti e delicati. La nostra ricchezza si radica nella debolezza, nel piccolo, nel povero, nel debole, e l’offerta della sofferenza di uno diventa fonte di vita per noi. È da questi “Santuari” che dovremo passare se vorremo comprendere il senso e l’essenziale della nostra vocazione. Santuari nascosti che non compaiono sulle guide turistiche e non cercano la gloria dei riflettori, che vanno scovati tra le tante opzioni delle nostre giornate, che attendono di offrirci l’incontro con il Cristo crocifisso per cambiarci la vita… come lampada che arde: «Altissimo glorioso Dio, illumina le tenebre de lo core mio». 17


OFS

Fratelli carissimi... 18


La lettera aperta ai ministri provinciali del I Ordine e del TOR da parte del ministro nazionale OFS Remo Di Pinto: una richiesta, innanzitutto, di camminare insieme. 19


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di Remo Di Pinto

ra la fine del mese di maggio, quando Remo Di Pinto ha voluto inviare a tutti i ministri provinciali questa lettera che parla agli assistenti degli assistenti. Non una “lezioncina” sul ruolo, splendido e importantissimo, che i frati ricoprono all’interno dell’Ordine Francescano Secolare, ma il monito, forte e coraggioso, a vivere insieme la straordinaria vocazione cui il Signore ci ha chiamati, tutti, secolari e religiosi, a riparare la Chiesa. Con quell’attenzione a «leggere i segni dei tempi» non con nostalgia ma con amore per servire oggi la società nella quale siamo potentemente inseriti. I frati siano di continuo e reale sostegno spirituale alla vita delle fraternità e dei singoli francescani per poter essere sempre più fermento che porta la pace e la giustizia in ogni luogo che ci vede protagonisti. Questa, in sintesi, la richiesta che viene rinnovata ai “nostri” frati: amate l’OFS e la Gi.Fra.!!! Riportiamo il testo completo perché non corra il rischio di “cadere” tra le parole che si dimenticano ma anzi porti frutto, ogni giorno. Perchè la famiglia francescana tutta possa essere sempre più Chiesa nella società, «sacramento, ossia il segno e lo strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano». (Redazione)

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Fratelli carissimi, il Signore ci doni la Sua Pace! Con questa lettera aperta, in spirito di fraterna comunione, desidero condividere bisogni e prospettive dell’OFS d’Italia, richiamando la vostra attenzione su ciò che riteniamo urgente e assolutamente funzionale al processo di rinnovamento che abbiamo deciso di perseguire. Nel Capitolo elettivo nazionale del 2010, per dare senso e compimento al faticoso percorso di unificazione vissuto negli anni precedenti, la nostra Fraternità nazionale espresse la volontà di passare “dall’unità alla comunione” e offrire alla Chiesa il nostro apporto carismatico a vantaggio della stessa e della società nella quale siamo inseriti come secolari. Questo processo di rinnovamento, che ancora oggi ci appare assolutamente in linea con i propositi di tutta la Chiesa e i bisogni del mondo, ha richiesto e tuttora richiede una seria conversione, un profondo cambio di mentalità e un rinnovamento che non può che fondarsi su una base spirituale adeguata, capace di rendere attenti e docili alle sollecitazioni del momento attuale. Fermo restando il contributo di tanti singoli francescani secolari e di numerose Fraternità locali capaci di un’evangelizzazione vivace, in una lettura più generale emerge il bisogno di riattualizzare il nostro carisma, uscendo da una certa au-

“Dall’unità alla Comunione” è stato il desiderio del lungo cammino dell’OFS nazionale, cammino non ancora compiuto, ma certamente già in atto. Molto il cammino che ancora attende in cui il contributo degli assistenti continua ad essere di grande importanza e rilevanza.


IN DUE RIGHE Notizie in breve MOFRA NE AD AQUILEIA Ad Aquileia, lo scorso 21 settembre, il Capitolo delle Stuoie Mofra Nord Est, un “bagno” di francescani provenienti da tutto il Triveneto. Occasione di riflessione e di crescita nell’incontro tra le persone. Di grande interesse la riflessione di fra Pietro Maranesi (nella foto qui sotto) sulla fede, per prepararsi alla conclusione dell’anno della fede indetto da Benedetto XVI.

CORSO ANIMATORI ARALDINATO Tutti gli animatori degli araldini d’Italia sono convocati a Caserta per vivere il corso di formazione che ogni anno in autunno viene loro offerto. Come sempre questo corso viene organizzato dalla commissione nazionale per l’Araldinato all’interno del Capitolo fraterno nazionale della Gioventù Francescana. ASSEMBLEA NAZIONALE OFS Come da tradizione l’ultimo weekend del mese di ottobre è dedicato all’incontro nazionale dei ministri e vice ministri regionali in assemblea. Quest’anno poi è occasione per gettare le basi per la costruzione di un buon percorso che conduca fino al capitolo nazionale elettivo che si celebrerà nel prossimo mese di giugno. Il consiglio nazionale (nella foto iministri nazionali Ofs con i presidenti Gi.Fra. e gli assistenti nazionali dell'ultimo decennio) ha già comunicato le date delle altre due occasioni di assemblea da vivere prima della celebrazione del capitolo, durante il

mese di febbraio e di aprile. Queste assemblee di preparazione al capitolo, nelle intenzioni del consiglio, prevedono un’ampia partecipazione dei consigli regionali. VISITA FRATERNA E PASTORALE Remo Di Pinto e fra Giancarlo Li Quadri Cassini sono a Torino il 19 e 20 ottobre per incontrare il consiglio regionale OFS Piemonte e Valle d’Aosta e tutti i ministri locali che sono stati convocati per l’assemblea.

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OFS toreferenzialità che ci trova troppo spesso silenti e immobili, troppo simili ai “cristiani da salotto” rispetto alle urgenze sociali nelle quali dovremmo invece incidere con la nostra specificità laicale. Pur ammettendo la naturale difficoltà ad accettare un passaggio così importante per un Ordine tanto antico e particolarmente strutturato, dobbiamo riconoscere che il nostro percorso è spesso ostacolato da chiusure, personalismi e altre fragilità personali che sarebbero certamente riconosciute e curate da una maggior attenzione spirituale. Purtroppo però, difficilmente le Fraternità riescono a offrire strumenti utili per colmare questo bisogno dei singoli, che non hanno sempre l’opportunità di nutrirsi al di fuori del nostro contesto. In questo senso, e al fine di realizzare il processo di rinnovamento detto prima, diviene per noi determinante la presenza di assistenti spirituali capaci di una testimonianza di fede vissuta e di una cura pastorale rivolta ai singoli e alle comunità. Soprattutto all’interno dei Consigli, ai vari livelli, il ruolo dell’assistente spirituale può farsi garanzia e tutela per ogni francescano secolare che sperimenta tutti i rischi e le suggestioni dell’incarico e del “potere”. Talvolta, i gesti, le espressioni e

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gli atteggiamenti che manifestiamo, evidenziano sofferenze che andrebbero colte con prontezza e in qualche modo anticipate da chi è chiamato a curare innanzitutto la dimensione spirituale di questi fratelli secolari. Non parliamo di una direzione spirituale personale alla quale sappiamo si accede per richiesta del singolo individuo, ma di un’attenzione e di una sensibilità che permettono all’assistente di leggere i bisogni e rispondere a questi con i talenti che gli appartengono e le modalità che gli sono proprie, per liberare la persona all’incontro con Cristo. Prima di ogni riferimento alle norme, a statuti o manuali, ai quali purtroppo spesso si ricorre per comprendere il ruolo dell’assistente spirituale, basterebbe riflettere sulla definizione dei termini che compongono questo servizio che, ne siamo convinti, così vissuto nella sua genuinità, costituisce un dono particolare anche per chi lo sperimenta, perché lo spinge all’imitazione di Gesù maestro e Buon Pastore, nel quale trova il vero modello dell’assistente ideale. Ben lontano dalla figura più antica del “direttore” che si sostituisce ai secolari, e assolutamente opposto all’immagine di chi si serve dell’OFS piuttosto che servirlo nei suoi membri, l’assisten-

L’atteggiamento del pastore è quello che non precede il gregge ma lo segue, cercando di indicare la giusta direzione con la parola e con la presenza.


te di cui parliamo è un dono enorme per il nostro Ordine e un antidoto al rischio della contrapposizione che talvolta coinvolge secolari e religiosi, ponendo tristemente in conflitto assistente e “assistito”. Vogliamo così esprimervi il bisogno di assistenti spirituali liberi e generosi, obbedienti alla loro vocazione, semplici e consapevoli dell’impegno che è loro richiesto, che oggi individuiamo soprattutto nella cura spirituale delle anime. Ci affidiamo a voi, che sperimentate la grazia e il peso di un servizio tanto complesso, affinché nelle vostre Province, anche in accordo con il nostro Consiglio nazionale e con la CASIT, possiate promuovere percorsi formativi specifici per la preparazione di assistenti spirituali per l’OFS e per la Gi.Fra., possiate sostenere gli assistenti già nominati e valutare attentamente quelli da nominare,

considerandone le caratteristiche personali sulla scorta delle necessità che vi abbiamo espresso. Come detto, crediamo che questa nostra richiesta, che sappiamo essere impegnativa, potrà costituire uno stimolo importante per la formazione umana e spirituale dei frati che, attraverso il dono che il Signore offre loro in questi fratelli secolari, potranno sentirsi sollecitati a vivere secondo la forma del Santo Vangelo. Ci auguriamo che, nonostante le nostre povertà e la minor attrattività rispetto ad altri movimenti ecclesiali più vivaci, anche sull’esempio di tanti santi assistenti che già vivono questa esperienza, si ritenga un privilegio particolare la chiamata a questo servizio e innanzitutto si amino l’OFS e la Gi.Fra. per ciò che questi davvero rappresentano in seno alla nostra meravigliosa famiglia francescana.

La libertà è condizione essenziale per costruire un futuro sempre più signficativo per tutta la famiglia francescana e per garantire relazioni che si fondano sul Vangelo e non sul piccolo potere umano.

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Chiesa

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Far crescere la

famiglia per far crescere il

Paese

di M. Michela Nicolais

Il forte incoraggiamento di papa Francesco è il sigillo su una edizione molto significativa delle “Settimane Sociali dei cattolici italiani”, conclusasi il 15 settembre a Torino.

«C

oraggio, avanti su questa strada con le famiglie!». È il saluto, pieno di slancio e di affetto, che papa Francesco, dopo l’Angelus, ha rivolto ai milletrecento partecipanti alla 47a Settimana Sociale di Torino, che era iniziata con un suo messaggio e proseguita con la prolusione del cardinale Bagnasco. A conclusione dell’appuntamento domenicale con i fedeli in piazza San Pietro, il Papa si è unito ideal­ mente alla platea torinese citando il tema della Settimana e rallegrandosi «per il grande impegno che c’è nella Chiesa in Italia con le famiglie e per le famiglie e che è un forte stimolo anche per le istituzioni e per tutto il Paese». Famiglie e Paese: un binomio che dal Teatro Regio, subito prima di ascoltare le parole di Francesco, si è sentito vibrare con forza: «La famiglia non è un affare privato». È «la prima conclusione, il punto di non ritorno del nostro cammino», ha detto tracciando le fila dei lavori Luca Diotallevi, vicepresidente del Comitato scientifico e organizzatore. Ma, soprattutto, «ci costringe a inserire nel dibattito pubblico italiano un elemento scandalosamente scorret25


Chiesa

La preparazione che conduce alle Settimane Sociali coinvolge tutto il territorio italiano e molti movimenti e associazioni che si occupano di temi sociali. Qui sopra: un seminario tenuto a Fermo (AP) per prepararsi al grande evento di Torino. A destra: il seminario organizzato dal Movimento Cristiani Lavoratori nello scorso mese di maggio per la preparazione alla 47a Settimana Sociale. Nella pagina a fianco: mons. Arrigo Miglio, arcivescovo di Cagliari e presidente delle Settimane Sociali.

Il contributo dei Francescani Secolari La commissione per la Pastorale Familiare ha redatto un ricco documento in occasione della “Settimana”.

Nella foto: il card. Angelo Bagnasco, presidente della CEI, durante la Settimana Sociale. 26

La Commissione nazionale per la Pastorale Familiare OFS, coordinata da Giuseppe Trovatello, ha dato il proprio contributo alla Settimana Sociale dei Cattolici Italiani, con un approfondimento che parte dall’esperienza caratteristica di una realtà ecclesiale di laici chiamati a testimoniare nella vita quotidiana il carisma spirituale di Francesco d’Assisi… Un’interessante e profonda serie di riflessioni, sulla base degli argomenti del documento preparatorio all’evento, che desiderava soffermarsi sulla «cittadinanza e sulla promozione della famiglia, anche della famiglia migrante, come soggetto fondamentale per garantire speranza e futuro al nostro Paese» e come «va-

lore assoluto che si distacca da ogni altra dimensione sociale e che va posto alla base, […] fondamenta su cui edificare ogni costruzione, che ne diviene espressione e frutto. Come nell’immagine evangelica della roccia, che è Cristo, del Dio che si fa uomo a partire da una famiglia». «Il valore della famiglia – ricorda il ministro nazionale OFS Remo Di Pinto – si esprime anzitutto come conseguenza di un’esperienza d’amore vissuta nella fede, da cui si originano atteggiamenti di accoglienza e si costruiscono relazioni fraterne in favore dei più lontani e degli abitanti delle “periferie”. La famiglia cattolica non ha il compito di distinguersi elevandosi a modello di perfezione inavvicinabile da chi vive esperienze diverse, ma di mostrarsi come ambiente umano accogliente, nel quale si sperimenta la fragilità tipica di ogni persona e di ogni relazione, come giare vuote alle quali si offre una risposta e una reazione positiva, che trova la sua base nella fiducia in Gesù Cristo, il solo capace di donare ancora


to». L’appuntamento è al 2017 – ha annunciato monsignor Arrigo Miglio, arcivescovo di Cagliari e presidente delle Settimane Sociali – per continuare un cammino iniziato più di un secolo fa e che ha visto nella figura di Toniolo e nella città di Torino un significativo avamposto. Protagonisti, oggi come allora, i laici, chiamati a «combattere», soprattutto in ambito politico, la «buona battaglia» con «l’agonismo della libertà». «La famiglia non è un affare privato», e l’architettura della famiglia «è una parte essenziale, ineliminabile, dell’architettura della civica». Nelle conclusioni di Diotallevi è risuonata, dall’inizio, la prolusione del cardinale Bagnasco, che fin dalle prime battute ha esortato la platea a «provare ad ascoltare l’uomo e la donna di oggi, senza pregiudizi o filtri ideologici». L’obiettivo: un “new deal” sulla famiglia, auspicato anche da Franco Pasquali, coordinatore di Retinopera. Prima mossa: un esame di coscienza. Diotallevi è volutamente provocatorio: «Cosa abbiamo fatto noi laici cattolici italiani, in questi tre anni nella civitas e nella ecclesia, anni così difficili e talvolta drammatici». E ancora: «È inutile, o ipocrita, che i laici cattolici italiani si pongano la questione della famiglia senza porsi anche con schiettezza lo stato in cui versa oggi il cattolicesimo politico in Italia». «Se è vero che la famiglia non è un affare privato, ma pubblico, ciò significa che il caso della famiglia ha molti profili, e sicuramente uno anche politico». È una vera e propria “chiamata alle armi”,

vino. È questo che offre speranza e futuro alla nostra società!». Come afferma la lettera invito, pubblicata l’8 febbraio scorso dal Comitato Scientifico e Organizzatore delle Settimane Sociali, «il tema della famiglia appare quanto mai importante: tocca i nodi antropologici essenziali per il futuro della persona umana; costituisce un pilastro fondamentale per costrui­

re una società civile davvero libera, a cominciare dalla libertà religiosa e da quella educativa; è dunque condizione fondamentale per una società dove i diritti di tutti siano realmente rispettati». Appare chiara la necessità di agire sempre più in favore del valore pubblico e concreto della famiglia, di promuoverla nella verità della sua identità, che «non è in contrasto ma

diventa garanzia anche per i diritti individuali». Una vera e propria sfida culturale, sociale e politica, affrontata con dedizione ed entusiasmo soprattutto per alimentare le speranze dei giovani. Il documento (il testo integrale è disponibile sul sito nazionale dell’Ordine, www.ofs.it), ha cercato di rispondere in maniera molto semplice alle 25 domande presenti nel documento preparatorio e pensate proprio per la riflessione. «Le domande – spiega Alfonso Petrone, consigliere nazionale OFS – sono state inviate ai nostri Consigli Regionali per elaborare il “contributo” che è stato offerto sia ai partecipanti alla Settimana Sociale di Torino, che distribuito ad intra, nelle nostre fraternità, affinché sia tema di dibattito e di partecipazione, con l’augurio di riuscire ad essere, anche noi, utili ed efficaci strumenti nelle mani del nostro Signore e Maestro, sempre capaci di promuovere e tutelare nelle singole realtà locali la famiglia e contribuire, così, a dare speranza al futuro del Paese nel quale viviamo la nostra quotidiana vocazione». 27


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nella direzione pacifica di chi accetta il dialogo e il confronto, quella di Diotallevi. «Bisogna combattere», e la partita si gioca sul piano politico, è lì che vanno pensate con creatività le “azioni collettive”, che rimandano a una parola che è ricorsa molto di frequente nella Settimana Sociale: “Alleanza”. Quello dei laici cattolici si profila come «un impegno pesante e protratto nel tempo». Inutile

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nascondersi, del resto, che «sono decenni che agli italiani viene negato di avere un voto pesante almeno quanto quello che hanno i cittadini delle grandi democrazie». Vogliamo essere noi, invece, a decidere chi ci rappresenta, ne abbiamo il diritto e il dovere. «Bisogna combattere», con «l’agonismo della libertà» di sturziana memoria e con la capacità di

Torino è stata una protagonista indiscussa della 47a Settimana Sociale dei cattolici. In alto: la conferenza stampa in cui è stato presentato l’evento con la partecipazione di mons. Pompili, direttore dell’Ufficio Nazionale per le Comunicazioni Sociali della CEI, mons. Nosiglia, arcivescovo di Torino, on. Piero Fassino, sindaco di Torino e mons. Arrigo Miglio, presidente delle Settimane Sociali dei cattolici italiani. Sotto: una splendida veduta di Torino.


«La famiglia tornerà nel cuore del Paese» La previsione politicamente scorretta del professor Stefano Zamagni «La famiglia è destinata a tornare al centro dell’attenzione sia delle politiche sociali, sia del processo di sviluppo del Paese». A fare questa previsione “politicamente scorretta”, data per sicura «non nel breve, ma nel medio termine», è Stefano Zamagni, ordinario di economia politica all’Università di Bologna, tra i relatori della 47a Settimana Sociale. Qual è la prima ragione che la spinge a dire, contro la tesi oggi dominante, che la famiglia non è morta? «La prima ragione deriva dalle trasformazioni già in atto nel sistema del welfare. Siamo passati dal welfare State, basato sui bisogni particolari dei singoli, a prescindere dalla famiglia, alla welfare society, che ha di necessità bisogno della collaborazione delle famiglie – tanto della famiglia singola,

quanto delle reti di famiglie – altrimenti non può funzionare». Basta questo per argomentare una previsione così “controcorrente”? «C’è una seconda ragione che ha a che fare con un processo di portata davvero epocale: la fine del modello tayloristico, iniziato un secolo fa e altrove già da tempo abbandonato definitivamente. La transizione a un tipo di organizzazione del lavoro post-taylorista esige la rilevanza della famiglia. Molti imprenditori illuminati hanno già capito che, se non si va nella direzione dell’armonizzazione tra i tempi del lavoro e i tempi di vita della famiglia, il declino delle imprese è segnato. Le aziende sanno, infatti, che non possono fare a meno del lavoro femminile, che in molti comparti è superiore a quello maschile e genera livelli di pro-

duttività più alti. Se non si risolve il problema dell’armonizzazione, e le donne che desiderano avere figli si vedono costrette a rimanere a casa, le imprese ci rimettono». C’è una correlazione tra famiglia e “benessere”? «Certamente che c’è, basta pensare a tutte le ricerche sulla cosiddetta “curva della felicità”. E questo è il terzo motivo per cui prevedo che la famiglia nel prossimo futuro tornerà al centro dell’attenzione: oggi le statistiche dicono che la famiglia è un generatore di felicità. A parità di condizioni, chi vive in famiglia dichiara un livello di felicità superiore a chi vive da solo. Il vecchio slogan, che si ripete stancamente dagli anni Ottanta, per cui “la famiglia è finita”, oggi non ha più senso». Come si concilia la sua previsione “politicamente scorretta” con la fragilità e le difficoltà delle famiglie che si sono acuite con la crisi? «La fragilità e le difficoltà delle famiglie, che risalgono a tempi ben anteriori allo scoppio dell’attuale crisi economica e finanziaria, derivano dal fatto che fino ad ora non esiste in Italia una politica per la famiglia. Ci sono solo provvedimenti sulle famiglie, che riguardano singole situazioni familiari, ma finora una politica per la famiglia non è mai esistita: esistono provvedimenti per gli asili, per le persone non autosufficienti, per i portatori di handicap, ma sono sempre interventi di tipo individuale e non rivolti al nucleo familiare nel suo insieme. Le politiche familiari devono prendere la famiglia come riferimento, per poi orchestrare le diverse misure a suo favore: finora, invece, si è fatto sempre il contrario, basandosi sui bisogni singoli e prescindendo dai legami nel contesto familiare. Un esempio per tutti: l’Isee e la Tares. Quando si tratta di dare allo Stato, il terzo figlio pesa moltissimo, quando invece si deve ricevere dallo Stato, pesa pochissimo. Eppure la famiglia è sempre la stessa…». 29


Chiesa

La famiglia, tematizzata in questa 47a edizione delle Settimane Sociali dei cattolici italiani, continui a rivolgere lo sguardo speranzoso verso il futuro e sia portatrice della Provvidenza che aiuta ad affrontare le sfide e gli interrogativi che la società pone alla Chiesa.

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“convergere”. E la prima battaglia è quella di «continuare ad affermare lo spirito e la lettera con cui la nostra Costituzione riconosce i diritti e i doveri di quella particolare formazione sociale che è la famiglia fondata sul matrimonio. Non possiamo spaventarci né tacere di fronte a chi propone o minaccia di trasformare un diritto in un reato di opinione». Ma sono tanti i temi sul tappeto, come «la valenza pubblica dell’impegno educativo, la contestazione radicale che va portata alla pretesa dello Stato di farsi educatore, la crisi dell’educazione alla laboriosità e all’intraprendere, il carattere ingiusto e inefficiente della pressione fiscale che oggi debbono sopportare i contribuenti italiani e le loro famiglie, la onerosità e gli aspetti sperequativi del modello di welfare State tuttora imperante». Senza contare lo “sfruttamento” delle famiglie immigrate e il degrado degli spazi urbani che incide sulla qualità della vita, non solo delle periferie. Le Settimane Sociali, ha detto il Papa all’apertura di questa edizione, «sono state provvidenziali e preziose, e lo sono ancora oggi». Anche per la loro capacità di «affrontare, e se possibile anticipare, gli interrogativi e le sfide talvolta radicali posti dall’attuale evoluzione della società». «Coraggio, avanti», il suo invito all’Angelus. Appuntamento, allora, nel 2017.


Femminile, plurale

di Anna Pia Viola

In ginocchio con Francesco «M

entre ero sola nella piccola cappella romanica del secolo XII di Santa Maria degli Angeli, […] in cui san Francesco ha pregato tante volte, qualcosa più forte di me mi ha obbligato, per la prima volta nella mia vita, a inginocchiarmi». Con queste parole Simone Weil parla della sua visita alla Porziuncola nel 1935. Lei, filosofa molto attenta alle sorti degli ultimi e molto critica nei confronti della Chiesa che tiene di più ai privilegi, al mettersi in mostra con riti e liturgie che celebrano l’uomo e non Dio, proprio lei ci mostra come si sta davanti al Signore attraverso l’esperienza di Francesco: in ginocchio! Mi domando spesso se noi francescani ci interroghiamo su questo stile che fu di Francesco, ma non sempre dei suoi compagni e seguaci. Come dimenticare l’amarezza di Francesco nel venire contestato dai suoi frati proprio per la sua semplicità e la sua scelta di essenzialità. Egli non voleva che il suo fosse un Ordine clericale, un Ordine che avesse gli stessi privilegi dei chierici. Non voleva che i suoi frati si mettessero in mostra, ma che anzi scegliessero i luoghi dove nessuno voleva andare e le persone più sofferenti. Quanto di questo spirito di Francesco viene coltivato oggi? Quanto tempo dedichiamo a pregare (e non solo a “dire” le preghiere), a fermarci dinanzi alla vita, alle persone e non solo davanti alle sacre immagini? Tutto questo non è facile né scontato perché pregare, fermarsi,

meditare, richiede tempo e silenzio. Chi è lontano dalla Chiesa, e soprattutto chi non vuole far parte di essa, cerca un’esperienza, un luogo, un tempo, delle persone che siano compagne nel pregare. Tante persone sono attratte da Francesco perché riconoscono che lui davanti al Signore china il capo. La frenetica attività che spesso abita le nostre fraternità, l’attenzione che dedichiamo alla preparazione delle liturgie e dei momenti conviviali, testimoniano più la voglia di celebrare noi stessi, la nostra bravura. Quante volte abbiamo sentito l’espressione: «Che bella celebrazione liturgica! Quanti ministranti! E che canti, e che festa…» e poi? Ci sarà un giorno in cui non ci verrà chiesto se avremo celebrato secondo i riti di santa romana Chiesa, ci sarà un giorno in cui non avrà senso dire: «Signore, ab-

biamo servito all’altare, noi laici insieme ai preti; siamo diventati diaconi e ministri dell’eucaristia; abbiamo fatto la processione con gli stendardi e il Tau al collo; abbiamo letto la Bibbia e sospirato commossi; ogni settimana facevamo un’attività diversa per mostrare a tutti quanto la nostra fraternità è presente…». E ci sarà un giorno, ed è oggi, in cui ci viene chiesto di metterci in ginocchio davanti al Signore, di fare silenzio per ascoltare ed essere compagni degli ultimi del mondo che chiedono solo di imparare dall’esperienza di Francesco. Simone Weil rimase fuori dalla Chiesa perché vedeva molta incoerenza e indifferenza. E noi? Chiediamo ancora riconoscimenti e visibilità? Proviamo a darci tempo, a rallentare le nostre attività per dire con Francesco, in ginocchio: «Mio Dio e mio Tutto». 31


Mondo

Strumenti di pace Siria: per la terribile situazione nel continente asiatico i francescani in dialogo con il Presidente degli Stati Uniti d’America, Barack Obama.

I

di Attilio Galimberti

n occasione della Pentecoste del 2005 i Ministri Generali, riuniti nella Conferenza della Famiglia Francescana, hanno inviato a tutti i francescani del mondo una lettera dal titolo “Strumenti di Pace” nella quale, oltre all’invito a riscoprire la nostra missione, quella di essere annunciatori di pace, venivano proposte modalità concrete ed attuali per realizzare questa missione. L’articolo 19 della Regola OFS è poi ancora più esplicito a questo proposito affermando: «Quali portatori di pace e memori che essa va costruita continuamente, ricerchino le vie dell’unità e delle fraterne intese attraverso il dialogo». Tutto questo per introdurvi nella serie di avvenimenti che, con epicentro in Siria e quasi alla velocità della luce, si sono succeduti tra la fine di agosto e la metà di settembre. Abbiamo già parlato su queste pagine della terribile guerra civile che sta insanguinando la Siria e tutti voi avrete vissuto, attraverso i drammatici reportage che giornali e televisioni ci hanno proposto, l’orribile risultato dell’impiego di armi chimiche che criminali irresponsabili, (non importa da quale parte del campo fossero) il 21 agosto hanno utilizzato contro la popolazione civile. 32

Tutti noi poi siamo rimasti col fiato sospeso per la paventata possibilità di un intervento armato da parte degli Stati Uniti, che poteva avere conseguenze terribili per la stabilità mondiale ed abbiamo aderito con fede e speranza all’invito di papa Francesco ad utilizzare le armi del digiuno e della preghiera per cambiare i cuori dei potenti e per impetrare il dono della Pace. Mentre tutto questo accadeva, alcuni membri del nostro Ordine Francescano Secolare avevano chiesto alla Commissione CIOFS Presenza nel Mondo se si avessero dirette dalla Siria e se si potesse fare qualche cosa per queste popolazioni. Attraverso i contatti con alcuni religiosi della Siria, con cui corrispondiamo con regolarità, abbiamo avuto dei resoconti drammatici. Cosa fare allora di concreto? Era ovvio che la nostra priorità doveva essere quella di riuscire per lo meno a proporre, a tutti i livelli, una azione pacificatrice non-violenta e diplomatica ma tramite quali canali poter far sentire la nostra voce? La risposta ovvia è stata quella di rivolgerci a Franciscans International (FI) e poi, per il suo tramite anche a Franciscan Action Network (FAN), una associazione che riunisce tutti i Francescani


del Nord America e che ha sede a Washington D.C. e che, tra i suoi scopi, ha quello di fare azione di “advocacy” a favore di Pace, Giustizia e Integrità del Creato presso il Congresso degli USA. Questa la sequenza degli avvenimenti stile Twitter: – 21 agosto: utilizzo armi chimiche in Siria; – 22 agosto: alcuni membri OFS chiedono al responsabile della Commissione CIOFS Presenza nel Mondo se è possibile avere notizie più precise sulla situazione e su eventuali azioni che si possano intraprendere; – 23 agosto: il responsabile della Commissione CIOFS Presenza nel mondo contatta l’ufficio di Franciscans International a New York per concordare una azione; – 29 agosto: vengono coinvolti anche i responsabili di Franciscan Action Network e si organizza un meeting via skype per mettere a punto una linea di azione comune; – 29 agosto: pomeriggio – il meeting ha luogo e viene preparata la bozza di una lettera da inviare al Presidente Obama nella quale si chiede di rinunciare all’intervento armato, di ricercare invece una soluzione non-violenta e politica alla crisi e di atten-

dere i risultati della indagine degli ispettori ONU; – 1 settembre: la bozza della lettera è pronta ma l’invito di papa Francesco alla giornata di preghiera e di digiuno e la risposta entusiasta da ogni parte del mondo ferma il lavoro sulla lettera; – 5 settembre: il direttore esecutivo di FAN partecipa ad un incontro con il direttore di un nuovo ufficio, istituito dal Segretario di Stato J. Kerry con finalità consultiva nei confronti delle associazioni religiose presenti in Washington. L’incontro, che in origine aveva lo scopo di una conoscenza reciproca, diventa l’occasione perché tutti i presenti facciano pressioni contro l’intervento militare in Siria. Il direttore dell’ufficio è in particolare molto interessato al lavoro di FAN e di FI e al parere dei francescani riguardo la Siria. Al direttore di FAN viene assicurato che il suo parere sarebbe stato riferito, il giorno stesso a John Kerry; – 7 settembre: celebrazione della giornata di preghiera e digiuno secondo le intenzioni di papa Francesco. La tensione internazionale si allenta e gli Stati Uniti accettano la proposta russa per ricercare una soluzione alla crisi tramite una via diplomatica; – 10 settembre: su richiesta del diretto33


Mondo

I testi delle lettere tra il FAN e il Presidente Obama

Caro Presidente Obama, Franciscan Action Network è una associazione che è stata istituita con lo scopo di patrocinare una visione francescana di pace e giustizia negli Stati Uniti e nel mondo per il tramite delle Nazioni Unite. Noi oggi le scriviamo per aggiungere le nostre voci al grido che viene dalla Siria e da tutto il mondo: sollecitiamo un crescente e fermo impegno perché venga data una risposta non-violenta, umanitaria e diplomatica alla crisi siriana e chiediamo con forza che ci si astenga da un intervento militare in tale paese. Crediamo che i governi esterni alla Siria debbano cessare immediatamente le azioni che portano ad una escalation della militarizzazione del conflitto, comprendendo, tra queste, azioni quali la fornitura di armi, di equipaggiamenti o sostegni di altro tipo. Leggendo i rapporti che parlano dell’attacco del 21 agosto che è stato sferrato utilizzando armi chimiche, che sono al bando, e che ha provocato perdite e grandi sofferenze tra i civili, condividiamo la forte preoccupazione del nostro governo e del mondo intero. Questo è l’ultimo di un orribile elenco che comprende violenze contro i civili, violazioni della legislazione internazionale e atti che sono crimini contro l’umanità. Questo ultimo evento deve servire a catalizzare i crescenti sforzi di coloro che mirano a garantire la sicurezza, i bisogni e i diritti di tutto il popolo siriano, a far progredire soluzioni pacifiche della crisi e a portare le fazioni in lotta ad un dialogo che consenta di negoziare la fine del conflitto. Sollecitiamo il nostro governo a dare pieno sostegno ed appoggio all’indagine delle Nazioni Unite sull’attacco del 21 agosto e ad ascoltare gli appelli del Segretario Generale Ban Ki-moon perché venga dato al gruppo degli ispettori dell’ONU il tempo di svolgere il loro lavoro. Richiamiamo tutti gli attori del conflitto a rispettare appieno le regole della legislazione umanitaria internazionale. Occorre poi che ogni atto contrario ad essa e ogni crimine contro l’umanità, così come definito nello Statuto di Roma, debba essere indagato a fondo e condannato e coloro che ne sono responsabili debbano essere processati. Sfortunatamente i francescani presenti in più di 160 paesi del mondo possono testimoniare la gravità del flagello della guerra. Sappiamo che, oggi, le conseguenze di un conflitto armato sono sopportate soprattutto dai civili e sofferte più intensamente dai più vulnerabili. Nei due anni del conflitto siriano, le Nazioni Unite hanno stimato che i morti siano più di 100.000; dall’inizio del conflitto ad oggi, l’Alto Commissariato della Nazioni Unite per i Rifugiati, ha registrato, più di due milioni di sfollati e l’UNICEF conferma che un terzo di loro sono bambini al di sotto degli 11 anni. Ci uniamo a papa Francesco e ai leader delle altre religioni per opporci con forza ad un intervento militare in Siria. Continuiamo ad essere uniti a papa Francesco ai leader delle altre religioni nella preghiera e nel digiuno per la pace in Siria ed in tutti i luoghi dove esistono conflitti e perché i contendenti dei due schieramenti in lotta depongano le loro armi ed «ascoltino la voce della loro coscienza e, con coraggio, intraprendano la strada dei negoziati». Sollecitiamo infine il nostro governo perché incrementi l’azione diplomatica ed umanitaria mirata a promuovere la pace, a proporre soluzioni pacifiche e durature e a garantire i diritti di tutti i siriani. In solidarietà con i nostri fratelli e le nostre sorelle della Siria, che devono vivere e morire in base alle conseguenze di azioni e decisioni della comunità internazionale. Washington D.C. 10 settembre 2013 Suor Margaret Magee OSF President

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Patrick Carolan Executive Director


Caro Patrick, grazie per avermi scritto. Ho ricevuto dagli americani molti commenti sul conflitto in corso in Siria e sull’attacco con armi chimiche che ivi ha avuto luogo ed io ho apprezzato il suo punto di vista. Nel corso degli ultimi due anni, il processo che è iniziato con una serie di pacifiche manifestazione di protesta contro il regime repressivo di Bashar al-Assad si è trasformato in Siria in una brutale guerra civile durante la quale sono state uccise più di 100.000 persone. In questo periodo noi abbiamo lavorato, insieme ad amici ed alleati, per fornire un aiuto umanitario alla popolazione siriana e per aiutare la opposizione moderata all’interno della Siria e dar forma ad una soluzione politica della protesta. Ma abbiamo anche resistito alle richieste che ci chiedevano di avviare una azione militare perché riteniamo di non dover essere noi a risolvere, con la forza, la guerra civile che si combatte all’interno di un paese. La situazione è comunque drammaticamente cambiata alle prime ore del 21 agosto quando più di 1000 siriani – e fra questi centinaia di bambini – sono stati uccisi con armi chimiche utilizzate dal governo di Assad. Quello che è successo a queste persone non è soltanto una violazione della legislazione internazionale, ma è anche un pericolo per la nostra sicurezza. Se non interveniamo, il regime di Assad non vedrà nessuna ragione per smettere di utilizzare tali armi chimiche e se la messa al bando di queste armi mortali viene eroso, altri tiranni e altri regimi autoritari non avranno ragioni per pensarci due volte a procurarsi questi gas tossici e ad utilizzarli. Nel tempo le nostre truppe, sul campo di battaglia, potrebbero trovarsi ad affrontare la prospettiva di una guerra chimica. Potrebbe essere più facile per le organizzazioni terroristiche ottenere queste armi e utilizzarle in attacchi contro civili. Se la lotta andasse oltre i confini della Siria, queste armi potrebbero diventare una minaccia per i nostri alleati di quella regione. Quindi, dopo attenta riflessione, io ho determinato che è nell’interesse della sicurezza nazionale degli Stati Uniti rispondere all’utilizzo di armi chimiche da parte del regime di Assad con una azione militare mirata. Lo scopo di questa azione sarebbe quello di dissuadere Assad dall’utilizzo di tali armi, di rendere spregevole la possibilità del suo regime di utilizzarle e di chiarire al mondo che noi non ne tollereremo l’utilizzo. Benché io possieda l’autorità di ordinare queste azioni militari, in assenza di una minaccia diretta alla nostra sicurezza io credo che il Congresso debba prendere in considerazione la mia decisione ad agire. La nostra democrazia è più forte quando il Presidente agisce con il sostegno del Congresso – e quando gli Americani sono uniti come fossero una persona sola. Mentre questo dibattito si sta svolgendo, abbiamo già cominciato a vedere i segnali che la minaccia credibile di una azione militare da parte degli Stati Uniti può aiutare a far avanzare il cammino delle diplomazie. Il governo russo ha infatti espresso il desiderio di unirsi alla comunità internazionale per costringere Assad a rinunciare alle sue armi chimiche ed il regime di Assad ne ha ora ammesso il possesso e ha persino dichiarato la volontà di aderire alla Convenzione Internazionale sulle Armi Chimiche che ne proibisce l’utilizzo. È ancora troppo prematuro dire se questa offerta avrà successo ed ogni accordo che si farà dovrà verificare che il regime di Assad mantenga i suoi impegni, ma questa iniziativa ha il potenziale di rimuovere la minaccia delle armi chimiche senza la necessità di ricorrere all’uso della forza. Questa è la ragione per la quale ho chiesto ai leader del Congresso di posporre il voto che autorizzi l’uso della forza fintanto che sono aperte le vie diplomatiche. Nei giorni a venire io continuerò la mia discussione con il Presidente Putin e nello stesso tempo noi lavoreremo con i nostri due alleati più vicini – Francia e Regno Unito – per far avanzare una risoluzione del Consiglio di Sicurezza della Nazioni Unite che chieda ad Assad di rinunciare alle sue armi chimiche e di distruggerle in modo definitivo e sotto il controllo internazionale. Nello stesso tempo ho ordinato al nostro esercito di mantenere le posizioni attuali per tenere sotto pressione Assad e per essere in condizione di rispondere rapidamente nel caso in cui la diplomazia fallisse. Mentre continuiamo questo dibattito – in Washington e in tutto il paese – necessito del vostro aiuto per essere sicuro che tutti capiscano i fattori in gioco. La ringrazio ancora per avermi scritto. Sinceramente, Barack Obama 35


Mondo re dell’ufficio di J. Kerry, e per suo tramite FAN invia una lettera il cui testo ricalca, salvo un breve periodo, quello concordato alla fine di agosto con FI al Presidente Obama; – 13 settembre: il Presidente Obama risponde, personalmente al direttore di FAN. In allegato le traduzioni in italiano delle due lettere. È stato dato un contributo al cammino di pace? Non so, so solo che la lettura francescana della situazione e la proposta per una ricerca delle possibili vie per una sua soluzione pacifica e non-violenta – secondo la spiritualità francescana – è arrivata all’orecchio e alla attenzione di quello che viene definito “l’uomo più potente del mondo” e che lui si è sentito in dovere di rispondere a tale testimonianza per chia-

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rire le proprie ragioni. È un fantastico esempio di quello che dialogo e preghiera possono ottenere e che invece violenza e prevaricazione sempre negheranno. Una sola nota conclusiva: Franciscans International (come anche FAN) conduce, direttamente e per il tramite di francescani della base, molte azioni concrete di questo tipo in difesa dei diritti delle minoranze e della pace, soprattutto in quelle aree del mondo dove sono presenti guerre e situazioni di violazione dei diritti dei più deboli che sono dimenticate e trascurate dai grandi mezzi di comunicazione, lontano dalle luci dei riflettori e in silenzio. Per questo è necessario che tutta la famiglia francescana ne sostenga il lavoro e l’azione con la preghiera, l’amicizia e l’aiuto concreto.

Qui sotto: l’uomo “più potente del mondo”, il Presidente degli Stati Uniti d’America, Barack Obama.


Lessico dell’anima

E ora? S

ono passati poco più di sei mesi dall’elezione di papa Francesco a vescovo di Roma. Tutti siamo impressionati dalle sue scelte, dai gesti, dalla capacità di comunicare, dall’audacia nel proporre le iniziative, dallo stile con cui accompagna la Chiesa a «prendere il largo». E ora? Adesso si tratta – permettetemi di parafrasare la lettera di san Giacomo apostolo – di accogliere con docilità la voce di Francesco che ci viene offerta tutti i giorni, mettendola in pratica, non come ascoltatori smemorati illudendoci di essere giusti davanti a Dio (Rm 2,13), nè stolti perché compiacenti di salire sul palcoscenico di questo mondo, collusi con un neopaganesimo subdolo che trasforma l’esperienza della fede cristiana in un’occasione per manifestare se stessi e non la persona viva e vivificante di Gesù Cristo. Il Romano pontefice ci riconduce all’umanità del Maestro di Nazaret, perché essa sola, chiedendo allo Spirito di intervenire, ci permette di incarnare il “Discorso sul Monte” che Gesù ha vissuto in prima persona e proposto alle folle (cf Mt 5.6.7). Qual è questo discorso? «Le Beatitudini!». Esse sono la sostanza del cristianesimo ed anche il fondamento su cui poggiano tutti i “settori di servizio” di qualunque istituzione cattolica. Infatti quando vogliamo parlare dei “laici” non possiamo prescindere dalla seguente espressione: «Voi siete il sale della terra e la luce del mondo» (Mt 5,13-16). Che dire riguardo alla “Promozione dell’Unità dei cristiani”? «Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono» (Mt 5,23-24). L’ambito “Famiglia” si basa anche su queste parole: «Avete inteso che fu detto: Non commet-

terai adulterio. Ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel proprio cuore» (Mt 5, 27-28). La commissione “Giustizia e Pace” parte dalle seguenti affermazioni: «Se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli»; «Chiunque si adira, chi dice al fratello “stupido”, chi gli dice “pazzo” è sottoposto a giudizio; se uno ti dà uno schiaffo... tu porgigli anche l’altra guancia, e a chi vuole portarti in tribunale e toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello... Da’ a chi ti chiede... Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano» (cf Mt 5,20-45). Strettamente legato allo spirito di queste parole è il settore relativo alla “Pastorale per i Migranti” ed al “Dialogo Inter-Religioso”. C’è una cultura della non accoglienza: gli stranieri non devono venire ad occupare il nostro spazio – dicono alcuni – non devono integrarsi; alcuni genitori non permettono ai loro figli di andare a scuola con i piccoli provenienti dalle «periferie del mondo». Tutto questo è antievangelico! Siamo chiamati, invece, all’ospitalità, all’interazione ed alla cooperazione fra persone o gruppi di soggetti appartenenti a differenti tradizioni religiose. San Francesco docet! «Tre volte... egli intraprese il cammino verso i paesi degli infedeli; ... Finalmente la terza volta, con la guida di Dio venne condotto al cospetto del Soldano di Babilonia: là predicò il Vangelo di Cristo, con una manifestazione così efficace di spirito e di potenza che lo stesso Soldano ne fu ammirato e, diventato mansueto per divina disposizione, lo ascoltò con benevolenza» (FF 1356). Anche la “Pastorale della Salute” trova nelle «Beatitudini» il senso del suo servizio, lad-

Fra Giancarlo Li Quadri Cassini

dove Gesù dice: «Non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete o berrete, né per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito? ... E chi di voi, per quanto si preoccupi, può allungare anche di poco la propria vita?» (Mt 6,25-27). Per comprendere tutto ciò occorre la fede, che va chiesta mediante la preghiera intima, umile e fervorosa. La missione della Chiesa, la “Promozione della Nuova Evangelizzazione”, tiene conto anche della susseguente espressione: «Chi osserverà questi precetti e li insegnerà, sarà considerato grande nel regno dei cieli» (cf Mt 5,19). Guardiamo con fiducia a papa Francesco, profeta dei nostri giorni, che viene a noi nella semplicità e rendiamoci disponibili alla conversione, come singoli e come fraternità, da essere disposti a cambiare le nostre Costituzioni, perché, forse, non più corrispondenti ai dettami del «dolce Cristo in terra». Capaci di rinnovare le nostre strutture organizzative, pastorali e giuridiche, senza dimenticare di vivere in prima persona Cristo: l’amore di Dio dato a noi! Diceva papa Luciani: «Il vero dramma della Chiesa, che ama definirsi moderna, è il tentativo di correggere lo stupore dell’evento di Cristo con delle regole». Questo articolo, “concepito” prima della visita del successore degli Apostoli ad Assisi, vuole far comprendere che solo un ritorno alle origini, a quella fraternità vissuta da san Francesco nel «sine glossa» dell’umanità di Cristo, è possibile incarnare il “Discorso sul Monte”. E se il Papa ci dicesse: «Incominciamo, fratelli, a servire il Signore Dio nostro, perché finora poco abbiamo progredito» (FF 1237), noi, senza indugio, ci impegneremo a compiere l’incarico di ricominciare a vivere «il Vangelo di nostro Signore Gesù Cristo» (Regola OFS 4). 37


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Filippine: un boom economico che dimentica i poveri 38

Il grande Paese asiatico, promosso dalle agenzie di rating per la sua crescita tumultuosa, convive con profonde contraddizioni sociali. La denuncia dei vescovi: ÂŤI piĂš deboli non beneficiano dei progressi, il governo esclude i poveri dalla crescita economicaÂť.


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di Gianfranco Bilancia

uest’anno, le Filippine – indicate dall’agenzia di rating Standard & Poor’s, come il motore più importante dell’economia del Sud-Est asiatico – insieme all’Indonesia, la Malaysia, la Thailandia e Singapore, dovrebbero crescere, in media, del 5,5%: un dato superiore alle previsioni, che parlano di un Pil in aumento del 7%, per poi assestarsi sul 6-6,5% nei prossimi due anni. Il grande Paese asiatico – cento milioni di abitanti, nella maggior parte giovani e con il maggior numero di cattolici – che ospiterà nel 2016 il Congresso eucaristico internazionale, può contare su costi perfino più concorrenziali della Cina, su una manodopera di alto profilo e su un alto livello dei consumi, che coprono il 70% del Pil, grazie anche all’apporto delle rimesse dall’estero, inviate alle famiglie da circa dieci milioni di filippini emigrati in altri Paesi. Il mercato azionario è cresciuto del 33% l’anno scorso e la moneta si è apprezzata del 7% circa nei confronti del dollaro. Questi risultati sono stati resi possibili grazie alle politiche adottate dal presidente Benigno Aquino, che è giunto oramai a metà del suo mandato. In

Le Filippine hanno conosciuto un grande boom economico che ha ulteriormente enfatizzato il divario tra ricchi, sempre più ricchi e poveri, sempre meno protetti e più emarginati: Manila ne è l’immagine più eloquente, come fossero due città completamente diverse e lontane.

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particolare la sua azione è stata incisiva in relazione alla lotta alla corruzione, al contrasto alla povertà e alla modernizzazione, in un contesto di democrazia consolidata, che conosce anche i suoi punti di resistenza. Rispetto alla corruzione, rimane ancora molto da fare, come dimostrano le manifestazioni che si sono tenute a Manila e in altre città, il 26 agosto, alle quali hanno partecipato decine di migliaia di persone. Dimostrazioni popolari indette contro gli scandali legati al “Fondo di assistenza allo sviluppo prioritario”, utilizzato discrezionalmente dai parlamentari, che sembra abbiano commesso abusi nell’utilizzo di questo strumento finanziario.

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Ancora immagini eloquenti del dislivello sociale ed economico che si vive nel grande paese asiatico, meta turistica per le straordinarie bellezze e luogo di grande povertà e sofferenza per molti abitanti.


PICCOLE MONETE, GRANDE SOLIDARIETÀ Francescani nelle Filippine

Una piccola somma di denaro può essere insignificante per alcuni, ma non per il Pondo ng Pinoy, che attraverso una raccolta di donazioni tra i privati di ogni fascia sociale è riuscito a migliorare le condizioni di vita di persone da sempre incatenate alla povertà. Nato come una piccola iniziativa parrocchiale, il Pondo ng Pinoy, al suo 9° anniversario, ha assunto le proporzioni di un vasto movimento sociale che interessa ora la vita di molti filippini. «La fondazione

non è solo una raccolta di fondi per i poveri – spiega p. Apacible, del vicariato dei ss. Pietro e Paolo – ma è diventato un modo di vivere, un movimento che ci permette di aiutare i nostri fratelli e sorelle che hanno avuto meno fortuna di noi». Istituito nel 2004 dall’allora arcivescovo di Manila, il card. Gaudencio Rosales, il Pondo ng Pinoy ha dato ai filippini l’opportunità di mettersi a disposizione degli altri nel modo più semplice possibile. «È un modo

di affrontare la vita che ci conduce in cielo attraverso la promozione della cooperazione con gli altri – spiegava il card. Rosales – non interessa solo chi dalla vita ha avuto di più, ma anche quelli che hanno poco. Chiunque può sposare la causa del Pondo ng Pinoy». «I 25 centesimi che doniamo sono una somma minima – aggiunge oggi Apacible – ma unendo ogni piccolo sforzo possiamo garantire sostegno a chi ne ha bisogno». Secondo gli ultimi rapporti, nell’anno fiscale 2012-2013, il programma del Pondo ng Pinoy ha raccolto un totale di 15,8 milioni di pesos filippini (Php), circa 280mila euro. La maggior parte delle donazioni, una somma pari a 7,9 milioni di Php, è giunta dalle parrocchie dell’area metropolitana di Manila; seguita da quelle di Malolos e Antipolos, con 972mila Php ciascuna. Con i proventi della campagna, sono state costruite case per le famiglie più povere ed è stato procurato cibo a migliaia di bambini malnutriti. I contributi accumulati sono stati anche utilizzati per creare piccole compagnie d’investimento nel campo della sanità, degli alloggi, di progetti educativi e di microcredito; o, più nel quotidiano, di attività come panetterie o coltivazioni di riso.

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L’Asia è davvero il continente delle contraddizioni e le Filippine racchiudono nella società e nel paesaggio tutte le inconciliabili antinomie, così evidenti da questa carrellata di fotografie. La crescita e lo sviluppo del Paese, però, non riescono ad affrontare alcuni decisivi problemi di carattere strutturale. Come quello della disoccupazione, aumentata nei primi mesi dell’anno e quello della povertà: il 28% dei filippini vive al di sotto della soglia minima di sopravvivenza. Su questa questione, nelle scorse settimane, è intervenuta la Conferenza episcopale delle Filippine, attraverso una nota del presidente di “giustizia e pace”, monsignor Broderick Pabillo, ausiliare di Manila, nella quale si afferma che «i più deboli non beneficiano dei progressi, il governo esclude i poveri dalla crescita economica». Inoltre sottolinea «la concentrazione della ricchezza in mano a una piccola parte della popolazione». Viene rimarcato, in particolare, il problema della contrattualizzazione della manodopera e viene messa in discussione la politica economica «che non ha avuto un riscontro pratico nel Paese; anzi, ha causato ulteriori abusi e vessazioni e benefici solo per i ricchi». Lo scenario descritto corrisponde alla real42


SENZA FRONTIERE Notizie in breve

CAPITOLI NAZIONALI Diverse le fraternità nazionali che in questa estate hanno celebrato il capitolo elettivo e la fraternità nazionale della Colombia, in occasione della visita fraterna e pastorale ha celebrato un capitolo intermedio. Iryna Rudichenko è il nuovo ministro nazionale dell’Ucraina, eletta all’inizio del mese di giugno a Khmeinytski. Dina Shabalina è la consigliera internazionale. La fraternità nazionale di Nuova Zelanda ha celebrato il Capitolo il 29 giugno ad Auckland, la città più popolosa della nazione. Ministro nazionale è Shirley McGinley e Chantal Heally è la consigliera internazionale. Il 6 luglio a Sydney è stata eletta Sandra Tilley ministro nazionale della fraternità dell’Australia e Oceania. Andrea Burvill è la consigliera internazionale.

Confermata Altagracia Rodriguez ministro nazionale della Repubblica Dominicana (foto in alto) nel Capitolo presieduto da Maria Con-

suelo Núñez, consigliere di Presidenza CIOFS di lingua spagnola, accompagnata da fra Jose Antonio Cruz Duarte, assistente generale. Consigliera internazionale è Maria Mejias. La stessa consigliera di Presidenza Maria Consuelo Núñez e l’assistente generale fra Amando Truillo Cano hanno effettuato la visita fraterna e pastorale alla fraternità nazionale della Colombia. Hanno incontrato gli assistenti nazionali e superiori maggiori OFM che hanno ospitato l’incontro, oltre che il consiglio nazionale con il ministro Huxley Fabian Aguirre. Il capitolo intermedio (foto qui sotto), cui hanno parte-

cipato molti dei responsabili regionali e locali delle 54 fraternità riunite in otto regioni e delle 27 fraternità della Gi.Fra., ha permesso a questa fraternità in continua crescita di tracciare delle linee importanti e concrete per sviluppare nei prossimi anni progetti significativi anche per l’ulteriore sviluppo dell’OFS in Colombia.

La repubblica delle Filippine è un arcipelago composto da 7.107 isole. Ben 97 milioni di abitanti ne fanno il 12° paese più popoloso del mondo, e altri 11 milioni di filippini vivono all’estero. 43


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tà più generale dell’Asia di oggi. Il continente è segnato da profonde contraddizioni: è il più rapido nello sviluppo, ma è anche il luogo dove vive quasi la metà dell’intera popolazione più povera al mondo; è il principale centro del mondo per produzione e vendite relative al settore manifatturiero, dei servizi e dell’informatica, ma contemporanea­mente una grande percentuale degli asiatici è analfabeta e disoccupata; è il principale centro al mondo del risparmio, ma nella maggior parte dei suoi Stati sono necessari cospicui investimenti interni, nelle infrastrutture, nei trasporti, nel settore dell’energia e nell’urbanizzazione. Nonostante questo, l’Asia – con i suoi Paesi che più emergono, come le Filippine – propone una crescita socio-economica formidabile, che riguarda il 60% della popolazione mondiale. Il problema è proprio quello sottolineato dai vescovi delle Filippine: garantire che di questa crescita beneficino tutti. I vescovi delle Filippine stanno “alzando” la loro voce per cercare di creare le condizioni perché il grande sviluppo economico nel paese possa essere davvero a beneficio e a vantaggio di tutta la popolazione e non solo di una ristretta parte privilegiata.

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In

Chiara luce

di Sr. Maria Manuela Cavrini

La risposta di Chiara d’Assisi

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uasi dodicimila figlie di Chiara di Assisi, sparse in tutto il mondo, ripetono oggi la sua stessa vita in povertà, castità, obbedienza e clausura. Perché? Cosa ha da dire Chiara, in quest’alba del XXI secolo, a tutti noi, lei che Francesco chiamava anzitutto «cristiana»? Chiara è una donna affascinata. Che ha respirato l’implacabile passione, l’eros e insieme l’agape di Dio, che si è sentita cercata, inseguita, penetrata dal fascino del Signore Gesù. La sua bellezza avvertita come il bene più grande, un bene troppo “altro” da ogni bene umano, il “più” che Chiara ripete in una sua lettera: «La sua potenza è più forte, la sua nobiltà più elevata, il suo aspetto più bello, l’amore più soave e ogni favore più fine». Non può non essere conquistata. Quando sperimenti sulla tua pelle che le tue frenesie e le tue inquietudini, i tuoi smarrimenti e il tuo peccato, le tue domande e le tue aspirazioni, non cadono nel nulla ma hanno un approdo, quando ti senti amato e amato gratis da quel Dio che ha creato i cieli e i fiori del campo, allora desideri rispondere con altrettanto amore. All’oggetto del proprio fascino si obbedisce, lasciando prevalere le ragioni del cuore su quelle del buon senso. Chiara è una donna che rimane. Entra a S. Damiano, la prima chiesetta riparata da Francesco, senza certezze, senza prospettive sicure. Tra quelle mura, la scelta del limite anche spaziale e la percezione della distanza da Lui si fanno struggente nostalgia d’infinito. Non ci sono più in Chiara neppure le selve e i dirupi, come per Francesco, tra i quali vagare in cerca del proprio Dio: anche questi ha reso al

Signore. Nuda fede e pienezza di Lui, per quarantadue lunghi anni, di cui ventotto nella malattia. Una vita di quotidiane, piccole fedeltà, una vita “persa” per Lui. A dire l’abissale sopraffazione di Dio, alla quale non puoi rispondere che con la tua abissale povertà. Di fronte al generale scetticismo e disorientamento, al vagabondare senza riferimenti e senza meta, la tua vita come risposta a un dono che viene dall’Alto, a un “Tu” che incessantemente ti rivolge la parola e ti vuole come elemento prezioso nel suo Disegno di salvezza e di gioia. Chiara è una donna universale. Radicalità dell’amore per il Signore Gesù e amore per la Chiesa, il suo Corpo vivo e reale, vanno insieme. Con Lui Chiara arriva ad ogni uomo sulla faccia della terra. Nel suo cuore, sotto gli occhi di Lui, avvengono le fatiche e le lotte di tutti. Sa che tutto entra nella sua vita, sa che cosa significa portare in sé il mondo, come una madre custodi-

sce in grembo il proprio figlio fino a darlo alla luce. I grandi scenari della guerra e della pace, come i gesti spiccioli e concreti della vita dell’uomo. La sua speranza e la sua gioia, la sua paura, la sua sofferenza e la sua disperazione. In una società in cui prevalgono l’indifferenza e l’autoaffermazione, il successo ad ogni costo, Chiara dice comunione e servizio, relazione e perdono. Ti insegna che ogni bene seminato lungo la strada ti rende sempre più a Sua immagine e ti introduce un po’ di più nell’eternità, perché è Lui stesso l’Autore di quel bene. Se dopo ottocento anni lo Spirito Santo – questa Persona della Santissima Trinità cui non difettano mezzi e fantasia! – continua a tenere acceso e a custodire il dono di Chiara, forse è perché la Vita nasce sempre da un cuore che si apre per tutti. E, se oggi non ci fosse Chiara, il mondo e la vita di ognuno di noi sarebbero più poveri di speranza. 45


Temi

Gli italiani? Un popolo di

analfabeti religiosi

Idee confuse sugli autori della Bibbia. Buio assoluto sui dieci comandamenti. Risposte insufficienti sulle tre virt첫 teologali; una indagine Gfk Eurisko rivela una grande ignoranza degli italiani sulla religione. 46


di Maria Chiara Biagioni

G

li italiani? Ignoranti in materia religiosa. Oltre il 50% ha idee confuse sugli autori della Bibbia e soltanto il 16% è in grado di mettere in ordine cronologico Noè, Abramo, Mosè e Gesù. Meno di due italiani su dieci sono in grado di citare i dieci comandamenti e il 41% ne sa citare uno soltanto. È quanto emerge da un’indagine condotta da Gfk Eurisko per conto della Chiesa valdese, i cui dati sono stati recentemente presentati a Torre Pellice ad una serata pubblica promossa nell’ambito del Sinodo delle chiese metodiste e valdesi dal titolo “Santa ignoranza. Gli italiani, il

pluralismo delle fedi, l’analfabetismo religioso”. Ne parliamo con Paolo Naso, coordinatore della Commissione studi della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (Fcei). Che cosa l’ha colpita di più della ricerca Eurisko? Abbiamo riscontrato un’elevata punta di persone che senza esitazione si definisce cattolica. Il problema è che a questa identità corrisponde un assoluto analfabetismo religioso. Alla domanda per esempio, capostipite di ogni catechismo, riguardo alle tre virtù teologali, ha saputo rispondere solo il 17%. Oppure, riguardo alla lettura del47


Temi la Bibbia, solo il 30% lo fa al di fuori delle celebrazioni liturgiche. Rarissime poi le persone in grado di citare tutti e dieci i comandamenti: il 41% ne sa citare solo uno, di solito il «non uccidere» o il «non rubare». Solo poi il 16% sa mettere in ordine cronologico Noè, Abramo, Mosè e Gesù. Siamo quindi di fronte ad un dato gravissimo di assoluto analfabetismo religioso. È un fenomeno che c’è sempre stato o è andato peggiorando negli anni? È un fenomeno che è andato peggiorando negli anni. Abbiamo per esempio posto la domanda su chi ha iniziato la riforma protestante. Il dato che emerge è che circa il 50 % degli italiani sa che è stato Lutero. Quando abbiamo posto la stessa domanda a giovani sotto i 30 anni, quelli cioè che dovrebbero essere più freschi di studi, il dato si abbassa al 31%. Emerge allora un dato ancora più

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grave che riguarda in particolare i giovani. C’è di che preoccuparsi. Che cosa preoccupa di più? Un dato oggi di analfabetismo religioso così alto ha una pessima funzione sociale. Oggi le religioni sono chiamate in causa dal più ampio tema della interculturalità. Ignorare o non disporre di chiavi di comprensione della realtà religiosa significa venire meno alla cittadinanza sociale, alle dinamiche delle integrazioni, della semplice convivenza nello spazio pubblico. Vuol dire che c’è un legame tra i fenomeni di razzismo e l’analfabetismo religioso? Esiste un rapporto stringente. La forza più percepibile di razzismo è la discriminazione nei confronti di chi ha una religione diversa. Negli ultimi 4 anni, per esempio, sono state fatte campagne scientifiche di delegittimazione della

In Italia ancora molti sono i battezzati ma il livello di “ignoranza religiosa” è davvero molto alto, soprattutto nelle nuove generazioni.


LE RELIGIONI PRESENTI IN ITALIA La religione più diffusa in Italia è il Cristianesimo, presente fin dai tempi apostolici. La confessione cristiana maggioritaria è il Cattolicesimo. Sono tuttavia presenti diverse altre confessioni cristiane: i fedeli ortodossi sono quasi 1,3 milioni, per lo più di recente immigrazione; i protestanti sono circa 750.000; la maggior parte di essi è pentecostale, Assemblee di Dio in Italia (Pentecostali ADI) circa 400.000 membri, sebbene a lungo il cristianesimo riformato in Italia sia stato identificato principalmente con la comunità valdese. Di antichissima origine è la comunità ebraica italiana, che ammonta oggi a circa 36.000

fedeli. Più recente è la diffusione dei movimenti di ispirazione cristiana

dei mormoni, che conta 22.000 fedeli, e dei testimoni di Geova, che conta 247.251 aderenti.

so elaborati sulla base dell’ufficialità dell’adesione alle varie religioni attraverso riti quali per esempio il battesimo. Questo metodo non tiene conto però di chi abbandona ogni tipo di fede e di chi professa apertamente l’ateismo, che conta nel paese, secondo alcune stime, almeno 9 milioni di cittadini. Questo problema statistico si evidenzia in maniera importante in particolare per la Chiesa cattolica. Secondo il 46/o rapporto annuale CENSIS si considererebbe cattolico il 63,8% degli italiani, ma se vogliamo far riferimento a chi effettivamente frequenta costantemente i riti e le assemblee religiose, i Cattolici praticanti sono sicuramente meno del 20% degli italiani.

La diffusione di altre religioni non appartenenti al Cristianesimo è stata in gran parte determinata dai fenomeni migratori degli ultimi decenni: si stima che in Italia risiedano oggi oltre 1,2 milioni di musulmani secondo la Lega Musulmana Mondiale e tra 600.000 e 650.000 secondo Caritas, 103.000 buddisti, 108.000 induisti, 25.000 sikh e 45.000 animisti. I movimenti neopagani contano poco più di 13.000 aderenti. Riguardo alle statistiche sulle religioni presenti in Italia esiste un problema di calcolo dovuto al fatto che i numeri dei credenti vengono spes-

presenza islamica nel nostro Paese con la motivazione che il musulmano è portatore di valori e sistemi di pensiero e vita incompatibili con la società italiana. Perché l’appartenenza religiosa dà così fastidio? La prima ragione è che siamo in Italia. Siamo cioè in un contesto nel quale l’identificazione religiosa ha un peso che non si riscontra in altre società come quella americana, inglese o svizzera. Il secondo elemento è dato dal fatto che alcuni partiti politici hanno diffuso echi dozzinali e volgari dello scontro di civiltà che sono diventati categorie di scontro politico. Ci sono cioè in Italia forze politiche che hanno deciso di fare political marketing agendo su questo tema. E gli effetti negativi in termini di pregiudizio sono purtroppo sotto gli occhi di tutti, quando le logiche discriminatorie ed esclusive diventano senso comune.

Un’Italia che non sa decifrare il fenomeno del pluralismo religioso, che Paese diventerebbe? Da un lato un’Italia più povera culturalmente, perché non sa capire la sua storia di Paese multiculturale e non sa fare proprie le ricchezze e le tradizioni specifiche dell’altro. E dall’altro sarebbe un Paese più pronto all’implosione: il vettore religioso anziché essere un vettore di mediazione in funzione della coesione sociale diventerebbe un vettore di scontro. Se l’Italia quindi non mette seriamente mano ad una politica di alfabetizzazione religiosa in funzione della coesione sociale, a mio modo di vedere aggrava un percorso di implosione sociale: non ci capiamo, non dialoghiamo, non conviviamo serenamente e perpetriamo una logica di scontro. Certamente a basso conflitto, ma uno scontro lacerante del tessuto sociale.

Le appartenenze religiose in Italia sono altamente aumentate a seguito della grande immigrazione degli ultimi decenni: un dato che ha arricchito il nostro paese dal punto di vista culturale.

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Storie

La bontà che disarma I trent’anni dell’Arsenale della Pace, cuore del Sermig di Ernesto Olivero. Una espressione fortemente significativa della Chiesa che si lascia interpellare dalla domanda dei più poveri e dei più soli.

E

di Barbara Milanese

ra il 2 agosto del 1983: Ernesto Olivero e i suoi amici varcavano per la prima volta il portone dell’ex arsenale militare di piazza Borgo Dora, a Torino. La fabbrica da cui uscirono le armi del Risorgimento e delle guerre mondiali era un rudere. Da quel giorno diventò la nuova casa del Sermig, il Servizio Missionario Giovani, l’organizzazione fondata da Olivero. Il sogno di riconvertire un luogo di guerra coinvolse da subito migliaia di giovani e adulti. Tempo, capacità, risorse, lavoro gratuito, è nato così l’Arsenale della Pace, una casa sempre aperta per chi vuole cambiare, per chi è in difficoltà, per chi vuole cercare il senso della vita, con un murales che ricorda: «La bontà è disarmante». Ernesto Olivero la racconta così, questa avventura. Quasi come una favola. «Quando siamo entrati qui eravamo un piccolissimo gruppo missionario. Tutta una serie di appuntamenti, che Dio aveva previsto per noi, ci ha allargato l’orizzonte. Io rimango veramente stupito nel pensare che la prima lettera, giunta all’Arsenale, è arrivata dal Carcere speciale di Palmi, dove le Brigate Rosse – attraverso Claudio Carboni, il capo dei Nuclei armati proletari (Nap) – chiedevano a noi di entrare in contatto con loro perché volevano uscire fuori da questo buco nero». «Quando noi siamo entrati 50

nell’Arsenale – ha proseguito - non avevamo una lira. Ci volevano 100 miliardi per metterlo a posto! E abbiamo sentito l’esigenza di non bussare alle casse degli enti pubblici, ma di testimoniare questo nostro sogno. E in poco tempo, milioni e milioni di persone dall’Italia e da tutto il mondo sono venuti a portarci la loro disponibilità. E il primo arsenale di guerra è stato trasformato in un Arsenale di pace». I 30 anni dell’Arsenale sono il modello della storia del Sermig: un gruppo di laici nato dalle costole dell’Azione Cattolica, tra i protagonisti della “Quaresima di fraternità”, quando a Torino si cominciò a masticare mondialità e voglia d’incontro tra le culture laiche, marxiste e cattoliche. Nel 1983 il Sermig non aveva una sede propria. E da tempo


aveva messo gli occhi su quelle mura diroccate, nel cuore disordinato di Porta Palazzo. Nessuno se ne faceva niente: ma le burocrazie (più comunali che militari) faticavano lo stesso a cedere. Ernesto Olivero ne parlò all’allora Presidente della Repubblica Sandro Pertini, che reagì da par suo: strepitò e promise. E qualche mese dopo, l’11 aprile 1984, venne a inaugurare la nuova “casa”. Nessuno sa esattamente quanti milioni di ore di lavoro siano serviti per trasformare quei fabbricati: ma tutto il Sermig funziona così, il lavoro, i soldi, l’intelligenza di chi viene a “dare una mano” stanno nello stile del silenzio, del “fare e tacere” che era il motto di uno dei grandi santi sociali torinesi, Leonardo Murialdo. Dai muri diroccati si sono ricavati stanze di studio, magazzini, un auditorium, infermerie, cappelle, redazioni di riviste. E l’ultima nata è una chiesa, dedicata a Maria Madre dei giovani, realizzata in ricordo di Cecilia Gilardi, morta a 17 anni. Il suo papà ha voluto ricordarla mettendo a disposizione fondi e lavoro, per costruire un luogo d’incontro e di preghiera. Benedetto Camerana, architetto delle Olimpiadi torinesi, ha realizzato uno spazio in cui s’incrociano stelle e pianeti, giocato sulla luce. In una cappella Ernesto ha messo un’icona particolarissima della Vergine: una Madonna

Il murales che accoglie ogni persona quando giunge all’Arsenale della pace lascia poco spazio all’interpretazione: la pace, con la partecipazione di tutto il mondo e di ogni uomo e ogni donna. Questo è il mandato principale del Sermig che quest’anno compie 30 anni.

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Storie

che ha tre mani per accogliere, abbracciare, consolare. Una specie di “miracolo”, come lo ha chiamato senza mezzi termini l’arcivescovo Nosiglia alla messa di celebrazione del trentennale. L’Arsenale, col lavoro del Sermig, rientra pienamente in quel “quartiere dei miracoli” che è Valdocco: un chilometro quadrato in cui sono venute alla luce le opere del Cottolengo, di don Bosco, della Marchesa di Barolo e di tanti altri mossi dalla stessa ispirazione, quella «Charitas Christi urget nos» che campeggia sul voltone che unisce i due fabbricati della Piccola Casa. È la Divina Provvidenza, dice l’arcivescovo di Torino, a guidare i nostri passi e i nostri piani, che hanno da essere comunque orientati a un solo obiettivo: riconoscere il Signore nel prossimo, e soprattutto in chi è più povero e bisognoso. In questi trent’anni di storia, l’Arsenale è cresciuto, ed è divenuto una cittadella singolare e affascinante. In oltre 40.000 metri quadrati, ospita accoglienze, un poliambulatorio medico, una scuola di musica e di restauro, un asilo e un oratorio multietnici, un’Università del Dialogo, un centro di solidarietà internazionale che ha promosso migliaia di progetti di sviluppo in oltre 100 Paesi. Una casa di spiritualità e dialogo pensata soprattutto per i giovani, che qui si incontrano, si interrogano, partecipano a settimane di formazione, si mettono a servizio dei più poveri. 52

A testimonianza della serietà del Sermig nelle opere di carità basta dare un’occhiata alle attività svolte nel 2012. All’Arsenale della Pace di Torino si sono svolte settimane di condivisione; laboratori esperienziali e di approfondimento su mondialità e restituzione, accoglienza, pace e Giovani della Pace, spiritualità e Sacra Scrittura, musica e canto; lavoro manuale, per aiutare le persone accolte all’Arsenale e per sostenerne i vari servizi; momenti di spiritualità, per ricercare le motivazioni alla fede e fare un’esperienza di silenzio. Si sono registrate oltre 20.000 presenze. Il “Centro Come Noi Sandro Pertini” offre il servizio di accoglienza notturna e residenziale per donne e uomini senza fissa dimora, rifugiati/e, donne sole e con bambini, per persone vittime di maltrattamenti e tratta, profughi provenienti dal Nord Africa. Sono state registrate 25.539 presenze nell’accoglienza maschile e 14.455 nell’accoglienza femminile, 12 nuclei famigliari sono ospitati negli alloggi della foresteria Sermig; totale persone accolte 1.044; ha distribuito indumenti (n. 4.158 borse distribuite), coperte (1.436) e prodotti alimentari (359 borse distribuite) a persone e nuclei famigliari, italiani e stranieri, in difficoltà; infine ha lanciato una campagna di raccolta fondi a favore delle popolazioni terremotate dell’Emilia che ha fruttato € 57.000, consegnati al centro La Lucciola che si occupa di ragazzi diversamente abili. E nel Poliambulatorio medico “Giovanni Paolo II”, che è

Ecco l’Arsenale della pace di Torino. Un miracolo di condivisione, di mondialità e di accoglienza nel cuore del quartiere Porta Palazzo del capoluogo piemontese.


DALLO SPORTELLO DELLA BANCA AL CUORE DELLA MISSIONE Chi è Ernesto Olivero, fondatore del Sermig

Ernesto Olivero è nato nel 1940 a Mercato San Severino (Salerno), è sposato, con tre figli e sette nipoti. Ha lavorato in varie industrie del torinese e poi in banca fino alle dimissioni (1991). Nel 1964 ha fondato a Torino il Sermig, Servizio Missionario Giovani, insieme alla moglie Maria e ad un gruppo di giovani decisi a sconfiggere la fame con opere di giustizia, a promuovere sviluppo, a vivere la solidarietà verso i più poveri. Negli anni ’80 all’interno del Sermig nasce la Fraternità della Speranza, una realtà, tra l’altro, molto vicina nell’ispirazione ai valori francescani, che conta attualmente un centinaio di aderenti: giovani, coppie di sposi e famiglie, monaci e monache che si dedicano a tempo pieno al servizio dei poveri, alla formazione dei giovani, con il desiderio di vivere il Vangelo e di essere segno di speranza.

Attorno alla Fraternità della Speranza, centinaia di volontari e il movimento internazionale dei Giovani della Pace si ispirano alla spiritualità e al metodo del Sermig. A servizio degli ultimi Ernesto Olivero ha voluto che sin dall’inizio l’Arsenale della Pace fosse una porta aperta 24 ore su 24 sulla sofferenza, sulla miseria, sulla fame, sulla disperazione, sull’ingiustizia. Lo stile è quello di una famiglia che accoglie, con l’intento di aiutare chi con sincerità vuole uscire da qualsiasi situazione di degrado. Per l’impegno senza sosta che dall’Arsenale della Pace si estende al mondo dei sofferenti, nel 1992 Ernesto Olivero riceve il titolo di “Grand’Ufficiale dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana” conferito dal Presidente della Repubblica. Nel 1996 il Presidente della Repubblica lo nomina anche “Cava-

liere di Gran Croce”. Nel 1999 ha ricevuto dall’Università di Torino la laurea honoris causa in Sociologia. Oltre ad aver personalmente seguito molti progetti di sviluppo in diverse parti del mondo, Ernesto Olivero ha personalmente accompagnato le 77 missioni di pace realizzate dal Sermig in Paesi in guerra quali Somalia, Rwanda, ex Iugoslavia, Albania… con l’invio di aiuti di prima necessità a tutti, senza distinzioni politiche e religiose. Come riconoscimento per la scelta di costruire la pace attraverso azioni concrete di solidarietà, Re Hussein di Giordania ha conferito ad Ernesto Olivero la decorazione “Al Kawkab di prima classe”; anche l’organizzazione israeliana “Keren Kayemeth Leisrael” gli ha dedicato la piantagione di 18 alberi sulle colline di Gerusalemme. Tra le missioni di pace più significative, nel 2002, il contributo dato alla risoluzione dell’assedio della Basilica della Natività di Betlemme, che gli è valso il premio “Uomo di pace di Betlemme e Gerusalemme” assegnatogli dalla Custodia di Terra Santa. L’Osservatorio permanente presso la Santa Sede all’Onu lo ha insignito del titolo “Servitor Pacis” nel 1997 ed è candidato al Nobel per la Pace da Madre Teresa di Calcutta, Norberto Bobbio, il Card. Martini, il Presidente del Libano e altre personalità. In 47 anni Ernesto Olivero ha al suo attivo 1.380.000 copie di libri venduti per 41 titoli (alcuni di questi tradotti in spagnolo, portoghese, arabo, coreano). Ha scritto i testi per 7 album musicali prodotti dal Sermig. 53


Storie un servizio di assistenza sanitaria a persone disagiate e che non possono usufruire del SSN, sono state effettuate 5.275 visite mediche e 576 prestazioni odontoiatriche e distribuite 7.315 confezioni di farmaci. Mentre l’Ospiteria dell’Arsenale ha accolto i bambini e le loro famiglie in cura presso gli ospedali di Torino per gravi patologie: 27 nuclei famigliari per un totale di 56 persone provenienti da Georgia, Kyrgyzstan, Romania, Venezuela, Macedonia, Ucraina, Bulgaria e Marocco. Infine la Cooperativa Internazionale per lo Sviluppo – Re.Te ha realizzato 17 progetti a favore delle nazioni in via di sviluppo (per un totale di € 348.000 erogati); 71 interventi umanitari in situazioni di emergenza con l’invio di 273 tonnellate di prodotti alimentari, prodotti sanitari, cancelleria, giocattoli, computer, indumenti; progettazioni tecniche a sostegno delle iniziative realizzate in loco.

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Da qualche anno l’Arsenale è diventata una multinazionale. Perché gli Arsenali, in realtà, sono diventati tre: oltre a Borgo Dora di Torino ci sono le sedi di San Paolo del Brasile e a Madaba. Tutti e tre gli Arsenali sono nati come segno di contraddizione: a Borgo Dora si costruivano bombe e cannoni; a San Paolo quegli edifici erano il centro di accoglienza e quarantena per gli immigrati e gli schiavi; a Madaba, da dove si vede il Mar Morto e la terra di Israele, la guerra è presente da sempre: e dunque tanto più è necessario un posto per incontrarsi, tra popoli e fedi diverse. In questi anni l’Arsenale è stato, più che ogni altra cosa, una scuola. Hanno trovato sede qui alcune antiche istituzioni artigianali torinesi; vi si tengono corsi di musica e altre materie. Ma la scuola consiste soprattutto nell’imparare a vivere insieme, scoprendo insieme i valori veramente importanti.

Nella foto in alto un’immagine dell’ingresso dell’Arsenale di San Paolo in Brasile. Più sotto, una fotografia di come si presentava l’Arsenale di Torino nel 1983. A fianco l’attuale ingresso del Sermig.


Oltre il segno del

Battesimo

di fratel MichaelDavide Semeraro e fratel Andrea Serafino Dester, Koinonia La Visitation

Dag Hammarskjöld (1905-1961): Negoziare

D

ag Hjalmar Agne Carl Hammarskjöld, questo il suo nome completo, morì «come un soldato» – così scrisse il Corriere della Sera – in un misterioso incidente aereo. Viaggiava per un’importante missione, legata alla questione congolese. Il premio Nobel per la pace, ad honorem, gli fu assegnato post mortem, «in segno di gratitudine per tutto quello che ha fatto, per tutto quello che ha ottenuto, per l’ideale per il quale ha combattuto: creare pace e magnanimità tra le nazioni e gli uomini». Completamente dimenticato, solo da qualche anno, a distanza di cinquant’anni anni, si è cominciato a riscoprire il suo cammino luminoso di credente diplomatico senza che questo abbia fatto di lui un diplomatico credente. Il suo diario, dopo la morte, fu ritrovato nel suo appartamento, contenente brevi pensieri non datati. Allegata agli scritti c’era una lettera, indirizzata a un amico, in cui spiegava come avesse iniziato ad appuntarsi certe riflessioni senza avere alcuna intenzione di pubblicarle; tuttavia, lo autorizzava a un’eventuale pubblicazione, che riteneva utile a dare un’idea della sua vera personalità a partire dal suo rapporto con Dio, alla cui luce aveva – per tutta una vita – vissuto così tanti e così complessi rapporti con gli altri. Il diario è definito dall’autore «una sorta di libro bianco che narra i miei

negoziati con me stesso e con Dio». Da esso emerge la spiritualità di Hammarskjold, un aspetto fino ad allora ignoto al pubblico e che quest’uomo fu capace di vivere profondamente senza bisogno alcuno di ostentazione né tantomeno di ideologizzazione. «Non so Chi o che cosa abbia posto la domanda… Non mi ricordo di avere risposto. Ma un giorno ho risposto sì a Qualcuno o a Qualcosa. E, da quel momento, ero sicuro che la mia vita avesse un senso». Così, ultimo di quattro figli maschi di Hjalmar Hammarskjöld e Agnes Almqvist, nasce a Jönköping, in Svezia. Trascorre gli anni della propria infanzia e adolescenza seguendo gli spostamenti del padre, uomo politico svedese: dapprima in Danimarca, poi a Uppsala, poi a Stoccolma. Compiuti gli studi universitari in economia, diviene segretario della commissione governativa sulla disoccupazione, carica che ricoprirà dal 1930 al 1934, per poi passare alla Banca di Svezia, sempre come segretario. Nel 1936 entra alle dipendenze del Ministero delle Finanze, dove ricopre diversi incarichi. Nel 1941 torna come presidente alla Banca nazionale di Svezia, incarico che terrà fino al 1948, per entrare poi al Ministero degli Esteri: dapprima come segretario e successivamente (1951) come viceministro degli Esteri. In questa veste è vicepresidente della delegazione svedese alla

VI Sessione dell’Assemblea generale dell’ONU a Parigi (1951-1952) e poi presidente alla sessione successiva (New York, 1952-1953). Il 7 aprile 1953 viene eletto all’unanimità per succedere nella carica di segretario generale dell’ONU al norvegese Trygve Lie, carica nella quale viene riconfermato nel 1957 allo scadere del mandato, interrotto dalla morte prematura cui era comunque ben preparato. Tra il 1925 e il 1930 scriveva: «Domani ci incontreremo, / la morte e io. / Spingerà la sua spada in uno che vegliava. / Ma come morde il ricordo d’ogni ora / sperperata». In questa strofa ritroviamo diverse tematiche a lui care: l’incontro e l’attesa della morte; la dedizione al presente, all’istante; la consapevolezza che ogni cosa è nelle mani di Dio: «Essere, essere soltanto in Dio. Qui e ora: ecco la maturità». Possiamo solo immaginare quanto segreto negoziare costò tanta consapevolezza e una così profonda pace: «“Dell’eterna nascita”, per me ora tutto è stato detto di ciò che ho imparato e ho ancora da imparare. Così l’anima in cui deve aver luogo tale nascita deve staccarsi da tutte le cose esteriori: interamente con se stessa e interamente in se stessa…. Devi avere un cuore molto esaltato, un cuore bruciante in cui domini tuttavia un’imperturbata calma silente». 55


Personaggi

San Francesco? Un miracolo

Giancarlo Giannini mette in scena uno spettacolo su san Francesco e per lui è un “ritorno” al Poverello di Assisi dopo l’esperienza, straordinaria, come doppiatore in “Fratello sole e sorella luna” di Franco Zeffirelli.

I

di Fulvio Paloscia

l primo incontro con san Francesco è stato da doppiatore. Franco Zeffirelli volle infatti Giancarlo Giannini per dare voce al suo film sul giullare di Dio, «che ancora mi emoziona per la sua bellezza. Ma amo molto anche il viaggio che Liliana Cavani ha fatto, e continua a fare, in questo straordinario personaggio. Visione trepidante di un uomo di fede Fratello sole sorella luna, viaggio molto più laico e in qualche modo politico quello della Cavani. Eppure altrettanto mistico». Giannini è tornato di recente, nello scorso luglio, a san Francesco o con lo spettacolo “San Francesco o del puro amore” andato in scena a Lucca con la partecipazione anche dello storico Franco Cardini. Giannini, che significò per lei dare voce a san Francesco? «Il mestiere del doppiatore è mostruoso: devi dare la voce ad un altro attore che ha una sua re-

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citazione, un suo corpo, una sua presenza magari molto lontana dalla tua. Doppiare Mel Gibson in Amleto è stata una faticaccia, ad esempio. Ma il san Francesco di Zeffirelli aveva battute di una tale bellezza, molte estrapolate dagli scritti del Santo, che alla fine è stato semplice. Mi concentrai molto sull’evoluzione da ricco mascalzoncello a invasato del Signore, il cui verbo diffuse con un modo peraltro molto attoriale».

Giancarlo Giannini “torna” a Francesco d’Assisi mettendo in scena “San Francesco o del puro amore” nella splendida cornice dell’ex convento francescano di Lucca (qui sopra) dopo l’esperienza da doppiatore nel film di Zeffirelli.

Giullare, infatti. Cioè, attore. È per questo che san Francesco ha ispirato registi, musicisti, è insomma un punto di riferimento per chi fa arte? «L’artista vero, profondo – risponde Giancarlo Giannini – è sempre dotato di una sensibilità che lo porta a sentire sulla propria pelle, con grande forza, la caducità e gli eccessi dei tempi in cui viviamo. Fare arte per me è raccontare il nesso che c’è tra fede e mistero in un mondo pieno di confusione e di simboli precari, nel quale l’uomo si 57


Personaggi Due straordinari e intramontabili registi che hanno sapientemente diretto Giancarlo Giannini. Sotto è Lina Wertmüller che ha diretto in diverse occasioni e con grande successo l’attore spezzino. A sinistra e nella pagina a fianco è ancora il grande Franco Zeffirelli.

muove con fatica cercando la sua identità. Io ho cercato di farlo anche nel mio ultimo film da regista, Ti ho cercato in tutti i necrologi». Un thriller che racconta una storia violenta. «Ma anche mistica. La violenza è lotta fra bene e male, e l’istinto del male è in ognuno di noi, mentre il bene spesso dobbiamo impararlo magari attraverso gli insegnamenti della religione. San Francesco parla di questo, basta avere gli occhi per leggerlo, il cuore per ascoltarlo, cercando di capire che la vita va vissuta in modo molto semplice e più gioioso. Godendo di essere uomo, e non soffrendone». Non faceva un film da regista da moltissimi anni. «Si figuri, non mi considero neanche un attore, ma un perito che riesce a recitare, un po’ come quei padri che raccontano le favole, altro grande mistero. In quei momenti sei attore e regista di te stesso. Ecco, io vedo il mio lavoro in questo modo. Perché sia l’attore che il regista raccontano. Una cosa è certa: con la macchina da presa non si intrattiene un rapporto nel segno del realismo. Anzi. Io, da regista, amo molto la visionarietà, quel pizzico di fantasia unica che rende personale un film. L’arte è intuizione della realtà, e intuire è proporre qualcosa di nuovo. Lo dico sempre anche ai miei allievi del Centro di sperimentazione cinematografica: l’intuizione, se non sbaglia, porta ad una scoperta. E la scoperta è insegnamento». Dietro la macchina da presa ha tenuto presente la lezione di qualcuno dei grandi registi con cui ha lavorato? «Tutti e nessuno. Da attore ho girato più di 150 film ed è ovvio che dentro abbia conservato tracce di ogni esperienza. Che, però, non è rima58


UNA VITA A 35 MILLIMETRI

Nasce a La Spezia il 1 agosto del 1942, ma a soli due anni si trasferisce a Napoli con la famiglia. Frequenta l’Accademia d’Arte Drammatica, a Roma. In teatro, si fa notare lavorando con Giuseppe Patroni Griffi nel ’63 (“In memoria di una signora amica”) e con Franco Zeffirelli l’anno seguente (“Romeo e Giulietta”). Raggiunge però la popolarità soltanto nel 1967, interpretando il ruolo del protagonista nello sceneggiato tv “David Copperfield”, adattamento del romanzo di Charles Dickens firmato da Anton Giulio Majano. Al cinema, s’impone con “Dramma della gelosia, tutti i particolari in cronaca” (1970) di Ettore Scola, ove inizia a tratteggiare quella figura survoltata, mercuriale di sottoproletario che felicemente metterà a punto in pellicole successive. Dopo altre prove di notevole interesse (è protagonista, nel ’71, del thriller “La tarantola dal ventre nero” di Paolo Cavara; nel ’72, eccelle accanto ad Alain

Delon nell’intenso “La prima notte di quiete” di Valerio Zurlini), esplode nei panni dell’operaio siciliano al centro di “Mimì metallurgico ferito nell’onore“ (1972) di Lina Wertmüller. Il film segna pure l’inizio di un lungo e fortunato sodalizio con quest’ultima, che produrrà i suoi risultati migliori con “Film d’amore e d’anarchia” (1973), “Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto” (1974) ed il tagliente “Pasqualino Settebellezze” (1975), forse il loro punto più alto. Talento proteiforme, a suo agio nel registro comico-brillante quanto in quello drammatico, Giannini passa con disinvoltura dalla frenesia di “Sessomatto” (1973) di Dino Risi alle tinte cupe di “Fatti di gente perbene” (1974) di Mauro Bolognini, dai toni leggeri di “A mezzanotte va la ronda del piacere” (1975) di Marcello Fondato a quelli elevati de “L’innocente” (1976) di Luchino Visconti, dalla commedia indigena di “Viaggio con Anita”

(1979) di Mario Monicelli alla dimensione internazionale di “Lili Marleen” (1980) di Rainer Werner Fassbinder. Nel corso degli anni ’80, le buone occasioni vanno diradandosi un poco alla volta: fa eccezione “Mi manda Picone” (1983) ove, napoletano disoccupato alle prese con la camorra, è grintoso ed efficace come ai bei tempi. L’esordio dietro la macchina da presa avviene con “Ternosecco”, 1987. Da annotare che la sua attività di doppiatore, mai abbandonata, prosegue con risultati eccelsi. Nel 2010 torna con “La bella società”, in cui interpreta un anziano farmacista innamorato di una donna più giovane nella Sicilia degli anni Sessanta. Nello stesso anno è impegnato sul set di “La prima notte della luna”, film drammatico ambientato nel periodo della Guerra Fredda. Nel 2013 torna dietro la macchina da presa, dopo 26 anni dal suo debutto come regista, con il thriller “Ti ho cercata in tutti i necrologi”.

sta così, appiccicata non si sa bene come, ma l’ho modificata nel tempo, restituendola a modo mio. L’insegnamento dei grandi serve a fare egregie cose, come disse il poeta. Ma con il tuo cervello». Lei è credente? «Molto, anche se i miei studi scientifici dovrebbero spingermi allo scetticismo. Fede significa credere nel mistero senza chiedersi perché. Il sole che oggi batte fuori dalle finestre, le foglie che sono sul mio terrazzo ognuna diversa dall’altra, questa è magia della Creazione. Anche il computer che ho davanti a me, – e che, per inciso, odio 59


Personaggi – è una magia, seppure legata al senso matematico della vita: perché anche il numero finisce per essere qualcosa di occulto, impenetrabile. Non credo che la vita sia solo quel tratto di strada compreso tra nascita e morte, per la quale non nutro nessuna paura. Anche quella è una forma di conoscenza». Le piace papa Francesco? «Sì, perché ha dato un nuovo indirizzo alla Chiesa: ci invita a curiosare nel mistero della fede con grande semplicità, senza che ci si faccia soggiogare da tenebrose minacce. Perché lì c’è la vita, niente altro. C’è la letizia di cui parla il Santo di Assisi, e che voglio far emergere con la mia lettura. Questa semplicità, che papa Francesco ha rispolverato sia a livello religioso che di comunicazione, è importantissima. E poi Bergoglio sta insegnando all’umanità a pregare: il legame tra noi e l’infinito credo sia uno dei temi portanti del mio mestiere. E mi fa sentire utile». (g.c. Repubblica)

«Il legame tra noi e l’infinito credo sia uno dei temi portanti del mio mestiere», dice Giancarlo Giannini, apprezzando papa Francesco che «sta insegnando all’umanità a pregare».

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Segni & Tracce da leggere, da vedere, da ascoltare

Luce sul Medioevo pag. 62

Il Giornalino

Un musical sulla storia

A Roma in ottobre

della San Paolo,

di Karol Wojtyla,

il nuovo corso

un “giovanotto� di

papa Giovanni Paolo II,

di formazione

90 anni, totalmente

per la regia

sulla comunicazione

rinnovato

di Duccio Forzano

realizzato da Nova-T

pag. 65

pag. 63

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Segni & Tracce

Medioevo: facciamo luce sui secoli bui Intervista al prof. Alessandro Barbero, docente all’Università degli Studi del Piemonte Orientale “Amedeo Avogadro” e personaggio noto anche al grande pubblico della televisione per le sue partecipazioni a “Quark”. UNA GUIDA VIRTUALE AL CUORE DI NAZARETH Un villaggio senza gloria, trascurato dai geografi e dagli storiografi locali all’inizio dell’era cristiana. Nazaret era così, prima che una giovane abitante di quel grumo di case rispondesse «sì» all’angelo che le annunciava la volontà di Dio su di lei, chiamata a dare carne e umanità al Figlio di Dio. Giustamente la grande basilica dedicata alla Vergine Maria occupa uno spazio rilevante nel centro storico cittadino e attira su di sé gli sguardi di tutta la cristianità. Dentro quel santuario (nella foto il “cuore” della basilica), e nelle pieghe della sua storia secolare, ci conduce la nuova versione del sito web in quattro lingue che la Custodia di Terra Santa dedica al Luogo Santo. Il sito, (nazaret-it.custodia.org) in quattro lingue presenta contenuti rinnovati e approfonditi raccolti in diverse sezioni tematiche che accompagnano il visitatore alla scoperta del luogo in cui ebbe inizio la vicenda umana di Gesù Cristo. 62

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lessandro Barbero, professore di Storia medievale, volto noto al pubblico televisivo per le sue numerose partecipazioni ai programmi di Piero Angela. Potrebbe sembrare «un po’ un guastafeste». Del resto, è così che lo studioso stesso, noto anche per la sua dote di raffinato oratore, si sente «quando – precisa –, dopo lunghe e accurate verifiche, gli tocca sentenziare che tutte quelle immagini pittoresche legate al Medioevo sono false». È infatti a causa di invenzioni successive che si è formata e diffusa l’idea che il Medioevo fosse interamente avvolto dalle tenebre. Barbero, l’immaginario collettivo associa al Medioevo grevi superstizioni. Tra queste, la più nota concerne la fine del mondo attesa allo scoccare dell’anno Mille. Si tratta di una credenza realmente diffusa a quei tempi o di un falso mito? «Bisogna distinguere. Che nel corso del Medioevo, prima e dopo l’anno Mille, siano spesso emersi dei predicatori che annunciavano l’avvicinarsi della fine del mondo, e che abbiano suscitato localmente dei movimenti collettivi, è vero. La fine del mondo e il giudizio universale erano preoccupazioni vere all’epoca, ognuno sapeva che prima o poi quel giorno sarebbe venuto e almeno un po’ se ne preoccupava. I movimenti millenaristici, che cioè proclamavano l’imminente fine del mondo, non sono però mai stati incoraggiati, anzi di solito messi a tacere, e non hanno mai avuto grande diffusione. È quindi un’invenzione moderna, sette-

ottocentesca, la descrizione di un’intera società che all’avvicinarsi dell’anno Mille si paralizza in preda al terrore». L’ostinata convinzione che la terra fosse piatta è la cartina di tornasole che si usa sovente per dimostrare l’arretratezza culturale durante il Medioevo. Lei smentisce anche questa teoria, non è così? «Non è tanto una teoria quanto un pregiudizio. Basta guardare qualunque raffigurazione di un imperatore medievale, che sia la famosa statuetta bronzea di Carlo Magno a cavallo, una miniatura raffigurante Federico Barbarossa, o il bassorilievo di un imperatore bizantino, per vedere che tutti tengono in mano il simbolo del loro potere sul mondo: un globo... Del resto il più noto trattato medievale sulla forma della terra, presente in tutte le biblioteche, si intitolava “La sfera”». Come spiega, la tale diffusione di queste e di altre idee negative intorno al Medioevo? «Il fatto è che l’idea di Medioevo è nata fin dall’inizio allo scopo di designare, appunto, un’epoca negativa. Gli artisti e i letterati del Rinascimento che si opponevano all’arte “moderna” (da loro stessi battezzata “gotica”, cioè barbara), i protestanti interessati a denigrare un’epoca in cui il papa aveva effettivamente diretto la società europea, gli illuministi in lotta contro la monarchia assoluta e il sistema feudale, avevano tutti interesse a dipingere il passato con i toni più cupi, mettendola in contrasto con la loro epoca di progresso».


Segni & Tracce Un “classico” rivisitato alla luce di papa Francesco

Si conclude il 4 ottobre l’iniziativa multimediale “BEATI…tudini – la vita è buona!”, risposta del Copercom (Coordinamento delle Associazioni per la Comunicazione) al desiderio “controcorrente” dei giovani: comunicare la vita buona del Vangelo. È la tappa conclusiva di quel cammino iniziato giusto un anno fa, il 4 ottobre del 2012, con il lancio del video del poeta Davide Rondoni (nella fotografia). Otto beatitudini, otto video, otto spaccati di realtà, otto testimonianze inedite di giovani che incarnano oggi, nella storia, questa pagina del Vangelo. Il Copercom, in armonia con il piano decennale della Chiesa italiana, si pone ancora in ascolto dei giovani.

Diventa un musical la storia di Giovanni Paolo II Sul palcoscenico le memorie in musica del Papa che ha abbattuto il Muro di Berlino e che in gioventù aveva calcato le scene nel teatro clandestino. Sette decenni dopo, la storia di Giovanni Paolo II scorrerà sotto i riflettori durante i giorni della canonizzazione creando quasi un segno che invita all’ascolto. La narrazione parte dall’attentato a

San Pietro. Sospeso tra la vita e la morte, i ricordi riaffiorano riportando il Papa all’infanzia. La biografia di Wojtyla diventa musical («Karol Wojtyla – La vera storia»), per la regia di Duccio Forzano, le musiche originali di Noa, Gil Dor e i Solis String Quartet e le coreografie di Marco Sellati. L’opera, che debutterà tra tre mesi toccando anche Torino, Palermo, Milano, Bologna, chiuderà il tour ad aprile al Brancaccio di Roma, in contemporanea con la cerimonia in Vaticano con cui papa Francesco eleverà agli onori degli altari il predecessore polacco.

scaffale

LE BEATITUDINI MULTIMEDIALI: OTTO VIDEO DEL COPERCOM

«Francesco d’Assisi è da sempre un santo popolare. Del tutto singolare è invece l’attuale congiuntura di entusiasmi francescani. La novità sta nel fatto che il cardinale Bergoglio, primo papa gesuita, ha deciso di assumere il nome di Francesco, con esplicito richiamo al santo di Assisi. Perché questa scelta? Quale fu la storia vera di Francesco e dei suoi compagni “minori”? E qual è oggi il suo significato? Insomma, per quali tramiti e attraverso quali suggestioni Bergoglio è pervenuto ad associare Francesco d’Assisi al suo auspicio di una Chiesa povera, individuando in lui il simbolo di riferimento per proporla e realizzarla?». Si legge così nella rinnovata introduzione della nuova edizione 2013 di uno dei più classici studi biografici sul Poverello. Un volume imprescindibile per chi ama e conosce Francesco d’Assisi. Giovanni Miccoli, nato a Trieste nel 1933, ha studiato presso la Scuola Normale Superiore e l’Università di Pisa, dove è stato allievo di Ottorino Bertolini, Delio Cantimori e Arsenio Frugoni. Giovanni Miccoli, Francesco. Il santo di Assisi all’origine dei movimenti francescani, Donzelli, pp. XXIV-296, € 18,50

Capire fino in fondo la povertà francescana «Signora», «santa» e «altissima», la povertà francescana è stata spesso fonte di conflitti interminabili dovuti al modo di interpretarla. Cos’è infatti la povertà? Perché per Francesco è così importante e dirimente? In cosa, per lui, differisce dalla povertà praticata dagli eremiti e dai cenobiti? Soprattutto qual è il suo rapporto con il Cristo, il messia inauguratore dei tempi nuovi? Confrontandosi con tali interrogativi, Carmine Di Sante propone una chiave di lettura della povertà francescana che ne individua il senso nella categoria della disappropriazione, istitutiva di una «economia» la cui legge è quella del dono e della giustizia. Nella radicalità di questa ermeneutica si comprende perché la povertà francescana dischiude una nuova forma dell’umano – un nuovo modo di abitare il mondo – che mai come oggi appare attuale, come possibile via per uscire dalla crisi della civiltà in atto, alla ricerca di un umanesimo e di un’antropologia alternativi alla volontà di potenza e di dominio. Carmine Di Sante, Francesco e l’altissima povertà. Economia del dono e della giustizia, Edizioni Messaggero Padova, pp. 176, euro 14 63


Segni & Tracce

Evangelizzazione 2.0: una “cassetta degli attrezzi” con Nova-T Un corso di formazione realizzato dalla casa di produzione multimediale dei Cappuccini italiani da metà ottobre presso il convento di via Cairoli a Roma. TUTTO PAPA FRANCESCO IN UN TWEET È uscito nelle scorse settimane per i tipi della Libreria Editrice Vaticana “I messaggi del Papa su Twitter”, pubblicazione che raccoglie tutti i tweet del Pontefice dal 17 marzo al 10 settembre. «Cari amici vi ringrazio di cuore e vi chiedo di continuare a pregare per me. Papa Francesco», questo il primo tweet di Jorge Mario Bergoglio, lanciato lo scorso 17 marzo, a pochi giorni dalla sua elezione a Sommo Pontefice. «Il vero potere è il servizio. Il Papa deve servire tutti, specie i più poveri, i più deboli, i più piccoli» scriveva il 19 marzo, nel giorno di inizio del ministero petrino. La pubblicazione della Lev, impreziosita dalle foto di Giovanni Chiaramonte, diviene così strumento efficace per rileggere e meditare su messaggi tanto brevi quanto incisivi, stretti nei 140 caratteri imposti da Twitter, ma senza confini nell’universo digitale. 64

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itorna il corso di formazione “Evangelizzazione e Comunicazione”, che la Nova-T (la casa di produzioni televisive e multimediali dei Frati cappuccini italiani) ha inventato per chi vuole imparare a «comunicare bene per evangelizzare meglio»; un’esigenza avvertita nella Chiesa da sempre, ma con ancora più forza sulla scia dell’esempio di papa Francesco, grande comunicatore anche attraverso internet e la Rete. L’avvento dei nuovi media e dei social network rappresenta una rivoluzione in tanti ambiti, soprattutto in quello ecclesiale e pastorale. Chi opera nel mondo religioso, nell’educazione, nell’animazione vocazionale, sa che deve sempre di più confrontarsi con la questione dei linguaggi della comunicazione e dei nuovi strumenti digitali. Sono questi gli “strumenti” da imparare ad usare per riuscire in un’evangelizzazione efficace. Questo corso è uno dei tanti modi con cui la Nova-T affianca religiose, religiosi ed educatori nell’annunciare il Vangelo oggi. Gli incontri si terranno presso la Fraternità dei Frati cappuccini lombardi in via Cairoli 43 a Roma, con l’orario 9.30-13.30 e 14.30-16.30. Il primo momento formativo si svolgerà il 15 e il 16 ottobre sul tema “Si può annunciare il Vangelo con i social network?”, per capire come usare questi strumenti per progettare un’azione pastorale e culturale efficace.

Martedì 15 è previsto il “corso base”, dedicato a coloro che si avvicinano per la prima volta a questi argomenti. Si parlerà dei cambiamenti tecnologici e antropologici dell’era digitale e la spiegazione dei due social network più conosciuti: Facebook e Twitter. Mercoledì 16 ci sarà il “corso avanzato”, pensato per coloro che hanno già frequentato un corso introduttivo (anche negli anni passati) e per chi è abituato a usare Facebook e Twitter. Si approfondiranno le questioni relative all’identità digitale e si passeranno in rassegna le altre piattaforme social emergenti come: Pinterest, Instagram, Anobii, Zazie, Paper.li. Evangelizzazione & Comunicazione continuerà con altri appuntamenti: il 5 novembre su “Virus e spam, password insicure, diritti di foto e video: come usare al meglio il computer e la rete?”; l’11 febbraio 2014 con “Come annunciare il Vangelo oggi? Le parole e i video per la missione e per il web”; l’11 marzo su “Fede incontro e vocazione: come fare pastorale giovanile oggi?”; l’8 e il 9 aprile con i corsi base e avanzato di “Come si fa a progettare e gestire un sito?”; il 6 maggio con “Non ci sono più i bambini di una volta… Come fare lezione e catechismo oggi?”. Il costo di partecipazione alle singole giornate è di 25 euro. Per informazioni e iscrizioni: scrivere a formazione@nova-t.it o telefonare allo 011.8991400.


Segni & Tracce

Il “nuovo” Giornalino, un giovanotto di 90 anni Dal 19 settembre il Giornalino, lo storico settimanale per ragazzi dei Periodici San Paolo, si è rinnovato completamente. A quasi 90 anni, che festeggerà proprio nel 2014, con alle spalle un lungo percorso in continua evoluzione attraverso il tempo, si rifocalizza sul pubblico dagli 8 agli 11 anni, tenendo insieme contenuti destinati a maschi e femmine e formulandoli con una grafica tutta rinnovata: inediti fumetti di qualità, racconti e storie, giochi, sport e “la parola ai ragazzi” con le nuove rubriche di dialogo. Un giornale per lettori curiosi, che amano leggere per divertirsi e informarsi, e genitori che vogliono coltivare nei loro figli il gusto della scoperta aprendo loro la strada verso l’avventura di crescere. Come spiega Alberto Porro, publisher Area Ragazzi dei Periodici San Paolo, «il nuovo Giornalino, è nato con la collaborazione di tutta la redazione, di Doxa per le ricerche quantitative e qualitative, e di un piccolo gruppo di specialisti: Lodovica Cima, consulente editoriale specializzata nel campo dei bambini e ragazzi, Pietro Corraini che, affiancato dall’art director dei Periodici San Paolo Luca Pitoni, ha disegnato le pagine del nuovo Giornalino, Fabrizio Savorani di Active Brains, per le attività di marketing». Per la comunica-

zione istituzionale, di prodotto, direct e web è stata scelta l’agenzia Kulta. «I lettori esistono, eccome! Sono giovani, giovanissimi, rapiti da storie

avvincenti e avventure che stimolano la loro curiosità e immaginazione» conclude il direttore padre Stefano Gorla. Il Giornalino è diffuso in 54 mila copie in edicola, parrocchia e per abbonamento.

GIÀ PRONTO IL PROGRAMMA DEL FESTIVAL BIBLICO 2014 “Le Scritture. Dio e l’uomo si raccontano” sarà il tema del X Festival Biblico di Vicenza, previsto per i giorni dal 22 maggio al 2 giugno 2014. Ne anticipano i contenuti i due enti promotori, la diocesi di

Vicenza e la Società San Paolo in un comunicato in cui riflettono sul ruolo di questo “festival” che, come le edizioni che l’hanno preceduto, intende offrire l’occasione per «entrare nel mondo della Bibbia che significa anche entrare nel mondo del racconto dell’agire di Dio e della vita dell’uomo». Il tema scelto sarà affrontato in modo trasversale: dalla teologia alla filosofia, dall’archeologia alla storia, dall’attualità alla sociologia, passando anche attraverso il linguaggio delle arti. Dopo il successo della scorsa edizione, che ha visto oltre 45mila presenze in 160 appuntamenti, la macchina organizzativa della rassegna si è già messa in movimento.

Una piéce teatrale su Carlo Maria Martini Al Piccolo Teatro Studio di Milano, fino al 6 ottobre, va in scena “Martini: il Cardinale e gli altri”. Il titolo dice gli intenti dell’autore, Marco Garzonio. Non uno spettacolo, ma la rappresentazione di un viaggio. L’ultimo. Un rito laico che comincia quando la comunità entra e si raccoglie nel luogo dell’evocazione. Carlo Maria Martini è colto nel momento in cui deve lasciare Gerusalemme per ritornare a casa. E narra drammaturgicamente come il cardinale Carlo Maria Martini ha fatto il vescovo per gli oltre 22 anni in cui è stato a Milano e perché, ritiratosi a Gerusalemme, ha assunto sempre più il ruolo di profeta dei nostri giorni travagliati; come la Chiesa ambrosiana si è rapportata con la società civile e con la politica e le differenze tra Martini e i vertici dell’episcopato italiano; come Martini ha risposto alle continue domande poste dal contesto culturale e sociale a proposito sia delle questioni

generali più scottanti della convivenza (ingiustizie, corruzione, violenza, guerre), sia dei problemi che toccano da vicino la vita delle persone a incominciare dalla famiglia e dalle difficoltà che essa oggi deve affrontare. Nella pièce, testo originale scritto appositamente dall’autore per il Festival di Spoleto, si intrecciano due filoni: quello oggettivo, diciamo così, che è un po’ la “storia di Milano”, dell’Italia e dell’Europa degli ultimi trent’anni, e quello soggettivo. Filo rosso dell’opera è il rapporto di Martini con il Corriere della Sera, testata per la quale l’autore Marco Garzonio («il maggior esperto martiniano» lo ha definito il cardinal Gianfranco Ravasi) ha seguito Carlo Maria Martini sin dal suo arrivo a Milano. Molto del materiale dell’opera, infatti, è tratto anche dagli articoli che il Cardinale scrisse per il giornale, dalle interviste che concesse, dalla posta con i lettori che ha tenuto negli ultimi tre anni della sua vita, dal 2009 al 2012. 65


Sipario

Francesco e la profezia che si avvera

L’editoriale dell’ultima pagina

di Ettore Colli Vignarelli

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a fede, per me, è l’incontro con Gesù. Un incontro personale, che ha toccato il mio cuore e mi ha dato un indirizzo e un senso nuovo alla mia esistenza. Ma al tempo stesso che è stato reso possibile dalla comunità di fede in cui ho vissuto (…). Senza la Chiesa – mi creda – non avrei potuto incontrare Gesù, pur nella consapevolezza che quell’immenso dono che è la fede è custodito nei fragili vasi d’argilla della nostra umanità». Questa frase è il cuore della lunga lettera di papa Francesco a Eugenio Scalfari, giornalista, fondatore del quotidiano La Repubblica, intellettuale vigorosamente e convintamente laico. Una frase che vale un’enciclica, e che scolpisce l’ennesimo evento comunicativo di questo straordinario pontefice. Ne scaturisce l’immagine di una Chiesa che sprigiona una freschezza fatta di carismi personali, che si consolidano in gesti immediati, in dialoghi sereni e pacifici. Una immagine che è

ciliari e Ratzinger autorevole perito. Bergoglio è il primo papa post conciliare: non ha più bisogno di teorizzare l’evento conciliare, e si limita ad applicarlo nella sua attività di tutti i giorni, a partire dalle Messe che celebra con semplicità “parrocchiale” all’ostello di Santa Marta. Francesco non potrebbe essere pensabile senza Giovanni. Nulla, come ha bene evidenziato Alberto Melloni, sembrava predestinare Angelo Giuseppe Roncalli al ruolo di grande innovatore se non la semplicità della sua esistenza e di una fede tutta incardinata sulla centralità dell’Eucaristia e della Parola. Fu questa la sua forza, ciò che gli consentì di essere percepito anche dai cosiddetti “lontani” come il portatore di un messaggio forte, veramente “non negoziabile” non per enunciazione dottrinaria ma per realtà di vita vissuta. Raccontano che mentre papa Giovanni agonizzava, una Messa era in corso in piazza San Pietro. Celebrata dal cardinale Luigi Traglia: si

icona di una sostanza profonda, che sta cambiando con la forza dirompente dei fenomeni di portata storica il volto stesso della Chiesa. Un percorso che ha radici lontane. Ha ragione infatti il direttore di “Famiglia cristiana” don Antonio Sciortino quando evidenzia il filo rosso evidente fra il pontificato di Giovanni XXIII e quello di Francesco, nel senso che il Papa argentino chiude il cerchio aperto da quello bergamasco: se Roncalli volle il Concilio, Montini fu uno dei protagonisti della sua prima sessione da Arcivescovo e lo condusse a termine da Papa, Luciani e Wojtyla furono padri con-

disse che Roncalli fosse spirato proprio mentre il Cardinale leggeva il passo evangelico del famoso “prologo” del Vangelo di Giovanni: «Fuit homo missus a Deo...» «E venne un uomo mandato da Dio il cui nome era Giovanni». Il Giovanni di Sotto il Monte fu il vero precursore di una nuova fase di vita della Chiesa in cui, come ebbe a dire poco prima di morire «non è il Vangelo che cambia, siamo noi che stiamo incominciando a capirlo meglio...». Non è sempre stato vero in questi cinquant’anni, ma forse oggi quella profezia può cominciare ad avverarsi.


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