La rivista dell’Ordine Francescano Secolare d’Italia
Contiene I.R.
Anno 11 – n° 11 novembre 2013
Periodico mensile Poste italiane – Sped. in Abb. Post. D.L. 353/03 (conv. in L. 27.02.04 n. 46) art. 1c. 2DCB Padova
Festival Francescano: il bilancio della V edizione
GRIDO
IL DI FRANCESCO:
A FAVORE,
NON CONTRO!
Misericordia e verità: lo Statuto dell’OFS d’Italia
scrivi a: direttorefvs@ofs.it o redazionefvs@ofs.it oppure a: redazione FVS c/o segretariato nazionale OFS, viale delle Mura Aurelie, 9 00165 – Roma
Carissimi amici della Redazione FVS nel numero di maggio 2013 vi era un intervento del ministro nazionale, nella pagina “caro OFS” a proposito dello Statuto nazionale che, si diceva allora, era in fase di elaborazione. Siccome in questi anni ho sentito spesso parlare di questo strumento, volevo sapere a che punto siamo rispetto alla stesura e all’iter giuridico che deve affrontare. Grazie per le notizie che saprete darmi e per il lavoro che svolgete per tutto l’OFS d’Italia. Una professa Carissima sorella, grazie per le tue parole e per il tema che metti “sul tavolo”, di grande rilevanza per tutto il nostro Ordine. La tua richiesta giunge a noi con straordinario tempismo. È infatti proprio durante l’Assemblea nazionale OFS che si è tenuta ad Assisi nell’ultimo weekend del mese di ottobre (i cui contenuti saranno approfonditi nel prossimo numero FVS di dicembre-gennaio) che lo Statuto è stato approvato dai ministri e viceministri regionali perché sia presentato al CIOFS che, dopo attento esame, dovrebbe approvare e quindi promulgare questo prezioso strumento. Rispetto alla tua prima richiesta, possiamo solo immaginare che i tempi non sono certamente stretti! Il CIOFS, infatti, si prenderà tutto il tempo necessario per formulare un’attenta analisi del testo, in relazione alle Costituzioni Generali, prima di proporre eventuali modifiche o approvare in forma definitiva. Non possiamo perciò rispondere con chiarezza su quali siano i tempi e, probabilmente, nemmeno l’iter che attende lo Statuto che sarà presentato in questo
tempo al Consiglio di Presidenza del CIOFS. E forse non è nemmeno importante che questo Statuto, frutto del lavoro di molti anni in diverse commissioni giuridiche nazionali e del contributo di tutte le regioni OFS d’Italia che già dallo scorso 2012 hanno potuto visionare il testo per proporre variazioni, aggiunte, apporti di vario genere, sia operativo nel giro di poco tempo. L’importante è, come ben sottolineava Remo Di Pinto nel pezzo citato nella tua domanda, che cosa effettivamente possiamo “farne” di uno statuto nazionale. Questo è il punto focale ogni qual volta ci accostiamo ad uno strumento giuridico: come potrà essere utilizzato? Come uno strumento che chiede comunione oppure chiede rigore? Uno strumento che impone omologazione oppure suscita condivisione e confronto? Ci servirà per, come diceva il ministro nazionale in quella pagina, «abitare la strada» oppure per chiuderci in meccanismi di non accoglienza e di “giustizialismo”? Lo Statuto nazionale approvato dall’assemblea di fine ottobre certamente è solo uno strumento, come (o meglio, dopo) la Regola e le Costituzioni, che desidera offrire dei parametri condivisi e sperimentati di vita fraterna all’interno delle fraternità dell’OFS d’Italia. Non toglie la “sovranità” della fraternità locale, «cellula prima dell’Ordine» (Reg. 22), né impone modalità di vita che non siano presenti nelle Costituzioni, il primo documento attuativo della nostra splendida Regola. Vi è infatti un rischio nel produrre strumenti giuridici che Gesù ha definito in questa maniera così chiara ed inequivocabile, quanto dura: «Il sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato» (Mc 2, 27). A volte le nostre piccolezze ci portano a scegliere la
norma come se potesse essere disgiunta dalla misericordia. Come se giustizia e pace non si potessero «baciare» come suggerisce il salmo 85. Ma questo non è l’intento del diritto nella Chiesa: le norme intervengono nella vita ecclesiale innanzitutto per aiutare nel discernimento della volontà del Signore. Lo statuto dell’OFS d’Italia allora sarà un insieme di norme che, partendo dalla lettura del contesto specifico italiano, ecclesiale e sociale, promuovono la vitalità delle fraternità esistenti, la nascita di nuove e le modalità per «rendere presente il carisma del Serafico Padre nella vita e nella missione della Chiesa» (Reg. 1), a partire dalle indicazioni della Regola e delle Costituzioni Generali. Strumento di comunione suggerendo alcuni atti che possono essere vissuti in ogni fraternità a qualsiasi livello, come il percorso per ottenere il riconoscimento della personalità giuridica civile, o qualificando la posizione dell’Ordine in merito ad altre strutture italiane, come per esempio l’inserimento pieno dell’OFS all’interno del Mofra italiano e, di conseguenza, regionale. I temi trattati nello statuto sono i temi della vita della fraternità: l’avvicinamento, la formazione e l’ammissione all’Ordine, i capitoli elettivi, spirituali, deliberativi, consultivi, gli uffici all’interno del consiglio, i rapporti con la famiglia francescana, la cura dell’Araldinato e i rapporti con la Gioventù Francescana, l’Evangelizzazione e la presenza nel mondo, nella società, ecc. Sarà certamente un prezioso strumento nella vita di ogni fraternità dell’OFS d’Italia che, se verrà utilizzato con «verità e misericordia» (Sal 85), ci aiuterà a camminare nelle periferie dell’esistenza per portare a tutti la gioia del Signore Gesù. La redazione FVS 3
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Lettere a FVS
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Il grido di Francesco: A favore, non contro!
25 Basta con gli applausi. Ridateci il silenzio... Inciviltà sugli spalti.
Le parole tanto attese di papa Francesco ad Assisi.
27 Lessico dell’anima Al centro della fede.
11 Caro OFS
Vecchio scarpone…
12 Pellegrini e forestieri in questo mondo, verso la perfetta letizia
28 Debito pubblico: una triste storia italiana
Il futuro dell’Italia compromesso anche dalla poca memoria.
Un bilancio e il racconto di Festival Francescano 2013.
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15 Le parole di Francesco
La novità per “tutto l’anno” di Festival Francescano.
17 FVS al Festival Francescano La prima volta della rivista a Rimini.
19 In breve
Cronaca dalla fraternità nazionale.
20 Lampedusa, una tragedia europea Parla Cecilia Malström, responsabile per gli Affari interni dell’UE.
23 I viaggi della speranza che incrociano disperazione Come rimettere al centro la persona?
31 In attesa di un miracolino cerottini della manovrina
I tentativi inadeguati della nostra politica.
34 Grecia, la Chiesa spera. Nonostante tutto.
Gli interventi della Chiesa alla grande crisi.
39 In Chiara Luce
«De te, Altissimo porta significazione».
40 Un francescano tra gli amministratori di Roma
Intervista a Paolo Masini, assessore dell’Urbe.
47 Femminile, plurale La salvezza: dentro o fuori?
48 “Ginettaccio” eroe silenzioso dalla resi stenza al nazismo Da poco dichiarato “Giusto fra le nazioni”.
51 Affrontare il mondo a viso aperto
Al Festival Francescano la testimonianza di Andrea Bartali.
54 “La grande bellezza”: una Roma da Oscar Il film italiano in lizza per l’ambito premio americano.
61 Segni e tracce
Da leggere, da vedere, da ascoltare.
66 Sipario
L’editoriale dell’ultima pagina.
53 Oltre il segno del Battesimo I 36 giusti: una speranza.
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Autorizzazione n. 737 del 28/12/2002 del tribunale di Milano
Foto: archivio di redazione, Marco Franchi, Stefana Musio, Ivano Puccetti.
Direttore responsabile: Ettore Colli Vignarelli
Stampa: Imprimenda snc Via Martin Piva, 14 – Limena (PD)
Delegato comunicazione e stampa Consiglio Nazionale OFS: Gianpaolo Capone Caporedattore: Paola Brovelli Redazione: Cinzia Benzi, Miriam Burattin, Roberta Giani, Ilenia Grecu, Antonella Lagger, Ornella Omodei Zorini, sorelle francescane della nuova Gerusalemme
Collaboratori fissi: Andrea Serafino Dester, Remo Di Pinto, Attilio Galimberti, MichaelDavide Semeraro, Anna Pia Viola, Umberto Virgadaula Hanno collaborato a questo numero: Gianni Borsa, Paolo Bustaffa, Monica Cardarelli, Maria Manuela Cavrini (monastero clarisse di Città della Pieve), Maria Gabriella Filippi, Ro-
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berto Luzi, Vincenzo Pastore, Alfonso Petrone, Federico Pontiggia, Daniele Rocchi, Nicola Salvagnin, Giulio Sartini, Carmine Tabarro, Giorgio Tufano, Chiara Vecchio Nepita. Recapiti redazione: Via Crespi, 11 – 28100 Novara Tel.: 334 2870869 e-mail: redazionefvs@ofs.it Gestione abbonamenti c/o Segretariato nazionale OFS Viale delle Mura Aurelie, 9 – 00165 Roma Tel e fax: 06 632494, cel. 334 2870709 e-mail: segreteria.fvs@ofs.it
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Eventi
IL GRIDO DI FRANCESCO:
A FAVORE,
NON CONTRO!
Nel «giorno del pianto» un richiamo alla pace che ha vissuto Francesco: quella di Cristo portata con mitezza e umiltà di cuore.
T
di Paola Brovelli
anta attesa in tutta Italia e in tutto il mondo francescano per lo storico incontro ad Assisi tra i “due Francesco”… attesa resa ancora più significativa e ricca di emozione dalla terribile tragedia consumata nel mare mediterraneo proprio alla vigilia della visita ad Assisi di papa Francesco. Si sono attese le sue parole, come sempre veraci e pungenti, nella loro schiettezza e semplicità. Sono stati attesi i suoi gesti per dire ancora una volta il desiderio di incontro con ogni uomo che soffre e che vive. Ha risuonato in tutti noi quel monito ad avere «vergogna», come uomini, come cristiani, di quanto accadeva il giorno precedente vicino alle nostre coste italiane. Ha più volte ricordato papa Francesco che il suo sostare nella città di Chiara e Francesco è stato innanzitutto un pellegrinaggio di amore, per «pregare sulla tomba di un uomo che si è spogliato di tutto e si è rivestito di Cristo». E, come nell’itinerario che Francesco descrive per sé nel suo testamento, ha iniziato la sua visita andando ad «ascoltare le piaghe» nell’Istituto Serafico. Le 7
Eventi
piaghe di Gesù in mezzo alle quali vivono gli ospiti dell’Istituto, sono quelle che hanno segnato la passione del Signore e che egli “porta con sé” anche nella risurrezione. «Ma è interessante: Gesù, quando è risorto era bellissimo. Non aveva nel suo corpo dei lividi, le ferite… niente! Era più bello! Soltanto ha voluto conservare le piaghe e se le è portate in Cielo». E queste piaghe che troviamo in chi soffre hanno bisogno di essere «ascoltate! Forse non tanto dai giornali, come notizie; quello è un ascolto che dura uno, due, tre giorni, poi viene un altro, un altro… devono essere ascoltate da quelli che si dicono cristiani». Si affaccia alla finestra dell’Istituto papa Francesco e, con il suo stile inconfondibile, benedice il popolo che lo attende: «Pregate a favore, non contro!». Come sempre le sue parole hanno il sapore di chi conosce la misericordia e desidera condividerla. In questo pellegrinaggio nei luoghi della storia del Santo di cui ha voluto il nome si ritrova a richiamare, ancora una volta, alle necessità della Chiesa. Perché uno degli aspetti più significativi e, forse, più difficili di papa Francesco è proprio quello di parlare sempre alla Chiesa. Non se la “prende” con il mondo, con la politica, con l’economia, con “l’altro”. Parla alla Chiesa e, proprio nella sala del vescovado in cui Francesco si spogliò dei suoi abiti, parla della spoliazione necessaria alla Chiesa di oggi: lo spirito della mondanità, troppo presente, che «uccide l’anima, uccide le persone, uccide la Chiesa» perché «porta alla vanità, all’orgoglio che è idolatria». E un richiamo decisamente prepoten8
Papa Francesco fa dell’incontro lo stile con cui avvicina chi lo attende e gli cammina accanto. Con lo sguardo di amore e di accoglienza, tipico di chi cerca di vivere con fedeltà il Vangelo. Nella pagina a fianco alcuni momenti della giornata vissuta ad Assisi: la Messa, la folla che lo attende, la preghiera davanti alla tomba in compagnia dei ministri generali degli Ordini francescani, l’Istituto Serafico e la Porziuncola, luogo privilegiato dell’incontro con il Signore.
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Eventi te: «La Chiesa siamo tutti! Tutti! Dal primo battezzato, tutti siamo Chiesa, e tutti dobbiamo andare per la strada di Gesù». L’ostacolo, lo si intravede in questa sottolineatura, nelle parole del nostro Pontefice, proprio per le caratteristiche di trasparenza e di schiettezza, è quello, da parte di tutti i cristiani, di immaginare che egli stia sempre parlando a qualcun altro… ai vescovi e ai cardinali e alla struttura gerarchica della Chiesa; al movimento di laici che ci vive accanto; ai sacerdoti chiamati ad essere pastori. Ma egli, lo ha ribadito forte ad Assisi, parla a ciascun battezzato perché la Chiesa è questa! E forse in questo tempo in cui in tanti proviamo ad “appropriarci” delle parole di papa Francesco (rischio ancora più forte da chi vive la spiritualità del santo di Assisi), Bergoglio stesso ci ricorda che la Chiesa che soffre di poca aderenza al Vangelo ha bisogno di maggiore fedeltà da parte di ciascuno: «È triste cancellare con una mano quello che scriviamo con l’altra. Il Vangelo è Vangelo!». «Non vi ho dato ricette nuove. Non le ho, e non credete a chi dice di averle: non ci sono». Il richiamo forte al clero e ai consacrati incontrati nella cattedrale di San Rufino: la parola, il cammino, l’annuncio «fino alle periferie», tema tanto caro al santo Padre. Durante l’omelia della celebrazione solenne, si rivolge a san Francesco per chiedere che egli aiuti ciascun cristiano ad imparare a sostare in compagnia del crocifisso: ancora una volta la misericordia ricevuta e donata come necessità per portare la pace del Signore Gesù in ogni luogo e, soprattutto, ad ogni persona. «La pace francescana non è un sentimento sdolcinato. Per favore: questo san Francesco non esiste! E neppure è una specie di armonia panteistica con le energie del cosmo…». Infine la preghiera per l’Italia, «perché ciascuno lavori sempre per il bene comune, guardando a ciò che unisce più che a ciò che divide».
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Alle monache del protomonastero di santa Chiara sottolinea due aspetti essenziali della vita claustrale: la contemplazione della realtà di Gesù Cristo, «non idee astratte», e la vita di comunità. La richiesta è quella di essere esperte in umanità, portatrici di gioia, non con il sorriso «di un’assistente di volo», ma con la gioia di chi contempla l’umanità del Signore Gesù con gli occhi aperti, come fece Francesco, come fece Chiara. E in questa contemplazione vive anche la capacità e il desiderio di «curare l’amicizia tra voi, la vita di famiglia, l’amore tra voi», senza mormorazioni e senza critiche, in maniera tale che «il monastero non sia un Purgatorio», ma «sia una famiglia». Nell’incontro in piazza a Santa Maria degli Angeli, festa di condivisione con migliaia di giovani accorsi per incontrare papa Francesco, risponde a quattro domande e ancora una volta Francesco e Chiara conducono il suo discorso: «Non abbiate paura di fare passi definitivi», che si parli di matrimonio o di vita consacrata, «ogni storia è unica», non ci sono vie già segnate, «Dio ci sorprende sempre». «Ma qui ad Assisi non c’è bisogno di parole! C’è Francesco, c’è Chiara, parlano loro! Il loro carisma continua a parlare a tanti giovani nel mondo intero: ragazzi e ragazze che lasciano tutto per seguire Gesù sulla via del Vangelo». «Qui ad Assisi, qui vicino alla Porziuncola, mi sembra di sentire la voce di san Francesco che ci ripete: “Vangelo, Vangelo!”. Lo dice anche a me, anzi, prima a me: papa Francesco, sii servitore del Vangelo! Se io non riesco ad essere un servitore del Vangelo, la mia vita non vale niente! Ma il Vangelo, cari amici, non riguarda solo la religione, riguarda l’uomo, tutto l’uomo, riguarda il mondo, la società, la civiltà umana. Il Vangelo è il messaggio di salvezza di Dio per l’umanità».
Nel «giorno del pianto» è il Vangelo il protagonista assoluto delle parole e dei gesti di papa Francesco: quello stesso Vangelo richiamato dalla vita e dall’esperienza di Chiara e Francesco d’Assisi.
Caro OFS di Remo di Pinto
Vecchio scarpone...
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carpe, scarponi usati, neri, con la tomaia segnata dalla forma del piede… scarpe semplici, buone per il cammino… e basta. Un’immagine forse irriverente per ricordare il Papa ad Assisi, ma densa, viva, dinamica… presente, futuro, speranza. La grandezza del messaggio di papa Francesco sta nel condurre all’essenziale, evitando che l’attenzione si fissi sull’aspetto esteriore della sua persona, del suo prestigio… Questo vescovo di Roma non vuole rubare la scena a Cristo! Lo vuole portare e avvicinare alla gente, col Suo amore, la Sua tenerezza, la Sua gioia, la Sua speranza… con questi semplici scarponi ai piedi, che utilizza per andare più veloce, verso le persone, soprattutto verso i poveri e i sofferenti… verso la periferia. Sì, non ama il centro della città, dove sono i salotti, dove risiedono le autorità che pure accetta di incontrare e alle quali rivolge poche parole, dirette, un invito, un’esortazione ad uscire da se stessi, ad amare i poveri e la povertà… in certi contesti sembra insofferente, come a dire: «Lasciatemi andare da loro». Di san Francesco ha ricordato l’essenziale, il suo essere tutto in Cristo, sgombrando il campo dalle letture romantiche, dalle interpretazioni parziali e distorte di un francescanesimo ecolo-
gico, animalista, teorico, ideologico… ma questo Papa non ama affidarsi a troppe parole, esprime i suoi concetti con il suo corpo, con i suoi piedi, instancabili, agili a dispetto della fatica di un corpo sottoposto a un impegno massacrante anche per un giovane sportivo. È questo che grida, che interpella, che sollecita, che scuote! La testimonianza di Chiesa in cammino verso la gente, verso i lontani; Chiesa povera e dell’essenziale, bisognosa solo di un paio di scarponi, usati, neri, con la tomaia segnata dalla forma del piede. Quelli che scegliamo di indossare quando dobbiamo camminare mol-
to… non le “scarpe buone”, quelle per le cerimonie, belle solo da guardare, rigide, che fanno male ai piedi, che ci costringono a rimanere fermi, seduti. «Vecchio scarpone, fai rivivere tu la mia gioventù…». Parole di una vecchia canzone… che ci richiamano alla “gioventù” della nostra fede, la freschezza dell’identità originaria, del Francesco tutto in Cristo, dell’essenziale della nostra vocazione… scarponi che dovremmo recuperare dalla nostra soffitta impolverata e calzare ai piedi per andare, fuori, verso la periferia… di villaggio in villaggio, come Francesco, a portare Cristo, solo Lui, non noi stessi, non l’OFS. Beata gioventù!
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Eventi/2
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di Monica Cardarelli
onfermate le 30.000 presenze della scorsa edizione; più di 120.000 persone che hanno respirato l’atmosfera del Festival per le strade e le piazze del centro storico. Diverse centinaia di ascoltatori per le conferenze di Moni Ovadia, di fra Raniero Cantalamessa e di Andrea Bartali, figlio del grande campione Gino. Folta presenza e grande partecipazione alle tavole rotonde sul tema dell’immigrazione e sul dialogo interreligioso. Circa 4.500 gli studenti coinvolti in spettacoli, laboratori e incontri a loro dedicati con le attività didattiche per le scuole di ogni ordine e grado. Oltre 1.000 persone hanno visitato le sei mostre allestite a Castel Sismondo in occasione del Festival e più di 200 persone hanno partecipato ai workshop, i laboratori per adulti, novità di questa edizione. I numeri lo confermano: anche la quinta edizione del Festival Francescano, dedicata al tema del cammino, è stata un successo. Ma non sono i numeri a decretare la riuscita di un’iniziativa come questa, per quanto non possano essere smentiti. Festival Francescano nasce
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Giunti alla meta della quinta tappa del Festival Francescano, che si è svolto il 27, 28 e 29 settembre a Rimini, è ora il momento di assaporare quanto vissuto e condiviso prima di ripartire per il prossimo Festival, il cui tema sarà: “letizia”.
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dal desiderio di portare il messaggio di Francesco d’Assisi e lo spirito francescano tra la gente, scendere nelle strade e nelle piazze, avvicinare i fratelli e le sorelle che hanno sentito parlare di questo santo così famoso perché patrono d’Italia ma forse non lo conoscono profondamente. È nato dalla gioia di essere di nuovo missionari e itineranti, pellegrini in questo mondo, al modo di Francesco. Gli organizzatori, i volontari e tutti i francescani coinvolti in questo grande e bellissimo progetto non cercano consensi dai numeri, non sono interessati dalle folle ma dall’incontro nella gioia e nella semplicità, con spirito di fraternità. Tutto nelle iniziative proposte conduce all’incontro con il Signore attraverso l’incontro con i fratelli: dalle lodi mattutine agli appuntamenti con le clarisse; dalla visita alla reliquia di sant’Antonio ai vespri e alle celebrazioni eucaristiche o alle confessioni. Le conferenze, i dibattiti, le mostre, gli stessi laboratori per studenti ed anche i workshop per adulti sul tema dell’edizione scelta, tutto è finalizzato a questo: portare il carisma francescano e lasciare che come un profumo inondi le piazze del Festival e attiri a sé. Ecco allora che anche per questa quinta edizione si può dire che sia stato un successo, perché l’atmosfera che si respirava, palpabile a tutti, era densa di semplicità e di umiltà, di fraternità e di gioia, di calore e di preghiera. Il tema del cammino poi è particolarmente affascinante: chi non si è mai sentito anche solo per un giorno o per un’ora, “sospeso”, senza una meta e un luogo «dove posare il capo». La sensazione 14
di precarietà e di provvisorietà su questa terra (e non mi riferisco ad una precarietà economica) è insita nella sensibilità dell’essere umano: sentire di non poter contare solo sulle proprie forze e che se ci si affida ad “Altro da noi” si può stare al sicuro, perché non ci farà mancare mai niente. L’uomo è perennemente in cammino e in ricerca ma per il cristiano questo cammino ha un nome ben preciso e soprattutto una meta definita. «Il Figlio di Dio si è fatto per noi via, e questa con la parola e con l’esempio ci indicò e insegnò il beato padre nostro Francesco, vero amante e imitatore di lui» (FF 2824). Così scrive Chiara d’Assisi nel suo Testamento. Sapeva bene quale era la
I laboratori per i ragazzi e i bambini sono una parte essenziale delle attività didattiche di Festival Francescano. Nella pagina di apertura il coro di Festival Francescano. Nel box qui sotto la presentazione della bella esperienza “Parole francescane”. Le fotografie sono di fra Ivano Puccetti.
LE PAROLE DI FRANCESCO
Il cammino di Festival Francescano non si arresta. Al via, dal 15 ottobre a Rimini, incontri di spiritualità francescana. di Chiara Vecchio Nepita È iniziato martedì 15 ottobre a Rimini, presso la chiesa di S. Bernardino, un progetto pilota denominato “Parole francescane”. Si tratta di quattro incontri previsti da ottobre 2013 ad aprile 2014, una sorta di “assaggio” di un percorso più strutturato, che prenderà avvio ad ottobre 2014. L’idea, promossa dal Movimento Francescano dell’Emilia-Romagna e lanciata durante l’ultima edizione di Festival Francescano, prende spunto dal percorso delle “10 Parole”, un’esperienza di approfondimento della fede ideata da un sacerdote romano, don Fabio Rosini ed ormai diffusa in tutta la Regione, così come nel resto d’Italia. «Siamo francescani» – spiega il biblista fra Dino Dozzi. «Ci è parso interes-
sante approfondire il modo di Francesco di leggere e vivere il Vangelo. Insieme, religiosi e laici, abbiamo organizzato un gruppo di lavoro per preparare questo percorso. Le parole a cui abbiamo pensato sono fraternità, minorità, povertà, letizia, Creato». Le parole di Francesco saranno il punto di partenza per affrontare tematiche legate alla vita quotidiana, con un taglio esistenziale: un percorso guidato dalla Parola, da immagini e musica per prendere coscienza di se stessi e mettersi in cammino. Per prepararsi al Natale, il 17 dicembre si terrà: “Grano anche per le al-
lodole”, così Francesco vive il Natale. Segue, il 18 febbraio, “Dall’amaro al dolce”, Francesco: giullare di Dio e penitente di Assisi. Infine, il 15 aprile: “Tu sei umiltà, tu sei bellezza”, la vita bella. Si aggiungono a questi quattro incontri, altrettanti momenti di preghiera guidati dalle Clarisse nelle serate del 20 novembre, 22 gennaio, 19 marzo e 21 maggio. La chiesa di S. Bernardino si trova in piazza San Bernardino a Rimini. Per informazioni, è stata attivata un’apposita casella di posta elettronica: parolefrancescane@festivalfrancescano.it. 15
Eventi/2 meta e il punto di partenza quando fuggì di casa la notte della domenica delle palme del 1211, o meglio la meta era anche la sua via: Gesù Cristo. Una via e una meta indicate dallo stesso Francesco, vissute con l’esempio prima che con le parole. Nella seconda lettera ad Agnese di Praga Chiara ci indica anche come procedere nel cammino della vita: «Tieni sempre davanti agli occhi il punto di partenza. I risultati raggiunti, conservali; ciò che fai, fallo bene; non arrestarti, ma anzi, con corso veloce e passo leggero, con piede sicuro, che neppure alla polvere permetta di ritardarne l’andare, cautamente avanza confidente, lieta e sollecita nella via della beatitudine». (FF 2875) Parole scritte tra il 1235 e il 1238 e che sono un progetto di vita anche per noi, oggi. «Siamo pellegrini o turisti?» chiedeva agli intervenuti all’incontro di Festival Francescano fra Martin Carbajo Nunez, spiegando poi che turisti sono coloro che si preoccupano di vivere come se fossero di passaggio, senza una meta unificatrice e lontano da tutti; in questo modo però difficilmente si prendono impegni per tutta la vita, ma si trascina un’esistenza frammentaria, del piacere immediato, senza una vera e propria accettazione dei limiti e delle sofferenze. I pellegrini, invece, sono coloro che non fuggono dal mondo, ma accolgono la realtà senza però farsi intrappolare dai beni materiali considerando che tutto è buono ma il senso e il fine ultimo è sempre e solo Dio. Da queste parole si capisce come condizione indispensabile del pellegrino sia la povertà. Lo stesso Francesco spiegava ai suoi frati che se si
Conferenze, tavole rotonde e stand: la presenza dei francescani a Rimini invade la città. In alto: l’intervento di fra Martin Carbajo Núnez “Il pellegrino e il turista”. Qui sotto la tavola rotonda “Un mondo di migranti” con Margherita Boniver, Gabriella Ghermandi e Gloria Lisi moderata da Sabina Fadel. Tutte le fotografie sono di Stefana Musio.
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al Festival Francescano
Per la prima volta la nostra rivista ha allestito uno stand a Rimini in piazza Tre Martiri per far conoscere FVS alle migliaia di persone che transitano in quei giorni nel centro di Rimini, in compagnia della Cooperativa Fratelli è possibile di Cesena che presentava i suoi prodotti editoriali: Momenti Francescani e la grande novità di quest’anno, TauApp che la nostra rivista ha presentato nel numero di Agosto-Settembre. Per tre giorni sono state distribuite centinaia e centinaia di copie gratuite di Francesco il Volto Secolare, mentre un filmato raccontava per immagini la struttura, la grafica, i contenuti e le grandi novità dell’ultimo anno della rivista. Molte le persone che si sono accostate attirate dalla locandina e dal materiale pubblicitario e hanno voluto informazioni sulla rivista. Molte le persone che hanno sottoscritto gli abbonamenti proprio in quei giorni, grazie anche al nuovo sito dell’OFS che offre l’opportunità di abbonarsi facilmente online. In attesa del prossimo anno…
Ancora degli scatti di Stefana Musio per lo stand FVS. 17
Eventi/2 posseggono dei beni, si devono anche difendere e in quel caso si entra in lotta e non in dialogo, ci si chiude e si creano innumerevoli e superflue preoccupazioni. Se invece non si ha nulla, ci si apre agli altri, si entra nella logica della gratuità e della speranza, dell’accoglienza incondizionata tipica del pellegrino. L’esperienza di accogliere ed essere accolti necessita, infatti, di una apertura e una disponibilità all’incontro con l’altro e con l’Altro che presuppone una povertà sia dai beni materiali che dai luoghi, dalle persone: la libertà di andare incontro all’altro, svuotati di cose e di se stessi per poter accogliere. È importante questo passaggio perché è ciò che permette di proseguire nel nostro cammino come pellegrini. La stessa Chiara nella sua Regola al capitolo VIII dedicato alla povertà scrive: «Le sorelle non si approprino di nulla, né della casa, né del luogo, né d’alcuna cosa, e come pellegrine e forestiere in questo mondo, servendo al Signore in povertà e umiltà, con fiducia mandino per la elemosina. E non devono vergognarsi, poiché il Signore si fece per noi povero in questo mondo» (FF 2795). È interessante notare come in queste parole Chiara abbia ripreso letteralmente il capitolo VI della Regola bollata dei Frati Minori (FF 90). Questo sta a sottolineare quanto la povertà intesa in senso così ampio sia da Francesco che da Chiara, cioè «non considerare nulla come proprio» – sia gli oggetti che le persone, il proprio corpo o i luoghi – sia elemento indispensabile per la sequela di Cristo e per la vita di ogni cristiano ma in modo
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Spettacoli “in cammino”, i volontari del Festival, presenza indispensabile per una buona riuscita della manifestazione. E i frati, in dialogo e in cammino a fianco di chi si accosta al Festival.
IN BREVE
Cronaca dalla fraternità nazionale CONFERMATI I MINISTRI IN LAZIO E IN LOMBARDIA
L’assemblea dell’OFS di Lombardia ha confermato, domenica 13 ottobre, Lorenzo Verri alla guida del consiglio regionale. Con lui sono stati eletti durante il weekend di Capitolo celebrato da Enzo Picciano, Paola Braggion come vice ministro (nella foto) e Dimitri Garzoli, Giovanni Battista Mauri, Bianca Lucia De Tomasi, Luigi Bozzi, Renato Rusconi, Paolo Mancini, Claudio Bianchi, Rosario D’Angelo, Paolo Bellici in qualità di consiglieri. Dopo due intensi giorni di preghiera e lavoro, il 19 e 20 ottobre, il Capitolo elettivo regionale OFS Lazio, celebrato dal vice ministro nazionale Noemi Paola Riccardi si è concluso nella gioia e nel ringraziamento allo Spirito Santo. Bruno Tomarelli viene riconfermato ministro. Viceministro
è Isabella Di Paola, che nel precedente mandato ricopriva l’incarico
di segretaria regionale. Riconfermati nel servizio anche Cristiana Barchesi, Iride Marcellini, Adriano Faccenda, Maria Grazia Di Tullio, Roberto Luzi e Giulio Sartini. Le “nuove leve”: Antonio Filosa, Luigi Mirisola, Claudio Mastrogiovanni e Maria Chiara de Angelis. SANTA ELISABETTA IN CONDIVISIONE Il consiglio regionale OFS dell’Abruzzo ha invitato tutte le fraternità locali a vivere la giornata di santa Elisabetta d’Ungheria all’insegna della condivisione con chi è in difficoltà, organizzando per quel giorno un pranzo cui invitare persone in difficoltà e soprattutto di strutturare un luogo che favorisca il dialogo e la condivisione. Una bella iniziativa che, ci auguria-
mo, porterà alla vita delle fraternità abruzzesi uno slancio di reale condivisione con gli ultimi. IL CONVEGNO EPM Alla fine del mese di novembre l’atteso convegno del settore Evangelizzazione e Presenza nel Mondo che, come detto più volte, racchiude gli importanti ambiti della vita OFS della pastorale familiare che gode della grande forza vissuta alla 47° Settimana Sociale a Torino, proprio sul tema della famiglia; il Ce.Mi.OFS che si sta preparando ad accompagnare un’altra famiglia che vivrà l’esperienza Fidei Donum in una nuova missione Cemi in Cile; ed infine l’ambito GPSC che si confronta quotidianamente con l’attualità del nostro Paese per la costruzione di un «mondo più fraterno ed evangelico» (Reg. OFS 14). UNA FAMIGLIA MISSIONARIA Proprio durante la celebrazione della Giornata Missionaria Mondiale, il 20 ottobre, su Rai1, nella trasmissione “A sua immagine” andava in onda un’intervista a casa di Eugenio ed Elisabetta Di Giovine che, insieme ai loro 4 figli, hanno vissuto tre anni in missione, presso Guanare in Venezuela.
particolare per ogni francescano che deve vivere la propria vita come pellegrino e forestiero. Un programma di vita impegnativo senza dubbio ma altrettanto stimolante da vivere e da condividere fraternamente, in umiltà. Con lo stesso desiderio di vivere la fraternità che ha portato Festival Francescano alla sua quinta edizione, viene riproposto il cammino per la prossima tappa, sulla gioia e la letizia. Una nuova sfida in un momento come quello che stiamo vivendo in cui è più che mai urgente riscoprire e proporre il vero spirito francescano, ripartendo proprio dalla povertà: una sfida accolta con gioia, nella consapevolezza che «l’anima dell’uomo fedele, che è la più degna tra tutte le creature, è resa dalla grazia di Dio più grande del cielo. Mentre, infatti, i cieli con tutte le altre cose create non possono contenere il Creatore, l’anima fedele invece, ed essa sola, è sua dimora e soggiorno, e ciò soltanto a motivo della carità, di cui gli empi sono privi» (Terza Lettera di Chiara d’Assisi a Agnese di Praga, FF 2892). 19
Attualità
Lampedusa, una tragedia europea
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di Gianni Borsa
Intervista alla commissaria Cecilia Malmström, svedese, responsabile per gli Affari interni dell’Unione, dopo i drammatici episodi al largo delle coste siciliane. Solo una vera politica sull’asilo può evitare il ripetersi di questi drammi.
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opo l’ennesima tragedia nel mar Mediterraneo, molte voci (politici, media, commentatori…) hanno puntato il dito contro l’Europa, a loro giudizio incapace di rispondere alle emergenze migratorie. Eppure nessuno ricorda di segnalare che sono gli stessi Stati membri che spesso faticano a comprendere la necessità di una vera competenza comunitaria sui temi legati al controllo delle frontiere, alla politica di asilo, alla risposta alle migrazioni, sia per regolarne i flussi sia per integrare chi arriva nel Vecchio Continente. Nel frattempo in sede Ue sono stati creati (Frontex) o si stanno realizzando (Eurosur) strumenti per affrontare il problema. La commissaria Cecilia Malmström, svedese, responsabile per gli Affari interni, è schierata in prima linea su tutti questi fronti.
In questa pagina, ecco i barconi che da tanti anni giungono all’isola di Lampedusa, trasformando troppo spesso quel mare in un cimitero fluido. Tragedie che si consumano sotto i nostri occhi.
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Attualità
Dinanzi a quanto accaduto al lar go di Lampedusa, quale può essere il ruolo dell’Unione europea e qua li, invece, i compiti che spettano agli Stati dell’Ue? Il controllo delle frontiere esterne e il soccorso e la successiva accoglienza dei profughi non richiederebbero una maggiore solidarietà fra gli Stati comunitari? «Quanto è successo a Lampedusa è una tragedia europea. È atroce, e avviene tristemente con grande frequenza: il Mediterraneo è ormai paragonabile a un “mare di morte”. Questi episodi mostrano quanto sia importante la solidarietà espressa concretamente dagli Stati membri. Nessun paese dell’Unione è in grado di affrontare la sfida migratoria da solo, per questo motivo ho ripetutamente richiesto una comune politica migratoria a livello europeo, basata sul rispetto dei diritti degli immigrati e dei richiedenti asilo, contestualmente incardinata sul principio della solidarietà, sia nei confronti dei migranti che tra gli Stati Ue. Nello specifico, è necessario offrire sostegno agli Stati che si affacciano sulle frontiere esterne dell’Unione. La Commissione europea fornisce sostegno ai Paesi sotto pressione migratoria estrema, quali Italia, Grecia, Malta e Spagna, attraverso aiuti economici, Frontex e il Sistema comune europeo di asilo (Ceas). Potremo presto avvalerci di un nuovo strumento, il sistema Eurosur, che contribuirà a migliorare il monitoraggio e 22
la rilevazione di piccole imbarcazioni in difficoltà in modo da attivare le operazioni di soccorso prima che accadano tragedie. Occorre altresì raddoppiare gli sforzi per combattere i criminali che sfruttano la disperazione umana e ciò può avvenire principalmente intensificando la cooperazione con i Paesi terzi dove queste reti si basano e operano». Sulle complesse politiche di asilo l’Europa ha fatto significativi passi avanti, anche grazie al suo impegno. Basti pensare alla messa a punto del citato Sistema comune europeo di asilo che sarà pienamente operativo dal 2015. Tale strumento consentirà una reale e comune risposta alla do manda di accoglienza e protezione che giunge da tanti cittadini in fuga
Il 3 ottobre la grande tragedia seguita da tutto il mondo. Il capo del governo Enrico Letta, qui sopra, davanti ad alcune delle bare dei tanti bambini che erano a bordo del barcone andato a fuoco. Qui sotto l’agghiacciante fotografia che ritrae la sistemazione dei corpi restituiti dal mare.
I viaggi della speranza che incrociano disperazione
di Alfonso Petrone Li chiamano viaggi della Speranza, ma da anni continuano a perdere la vita tante persone; disperati, uomini, donne, bambini, che fuggono dalla miseria, dalla guerra, dalla fame, dalle ingiustizie dei loro paesi di provenienza. Quella avvenuta in acque maltesi, a sole 39 miglia da Lampedusa è la più grande tragedia del mare registrata in questi mesi di sbarchi continui, in cui alla parola “immigrati” è stata associata soltanto la questione dell’emergenza. Forse dopo questa immane tragedia sarà più facile immedesimarsi nelle condizioni di miseria che spingono i popoli al di là del Mediterraneo a rischiare una fine orribile, con un prezzo
altissimo da pagare. Un barcone è affondato, a bordo c’erano circa trecento persone, fra queste anche donne e bambini. Quarantotto sono state salvate dalla Guardia costiera, altre tre da un peschereccio. Ma i dispersi sono almeno duecentocinquanta. Erano in gran parte eritrei e somali. Secondo la guardia costiera italiana, la loro imbarcazione era lunga non più di 13 metri, partita due giorni prima da Zuwarah, in Libia. A un certo punto, nella notte arriva ai maltesi una richiesta di soccorso da un telefono satellitare, a bordo del barcone stesso. Partono tre motovedette, un aereo e un elicottero del nostro guardiacoste
perché i maltesi erano “impossibilitati” a intervenire. La prima motovedetta raggiunge il barcone in pericolo alle 4, la burrasca e la concitazione rendono un’impresa ogni tentativo di trasbordare i migranti. Finiscono in acqua, mentre la carretta si inabissa. Ancora una strage, consumata sulle coscienze dell’Europa, incapace di accogliere; una sfida che mortifica la civiltà, che ci fa comprendere di quanto siamo indietro se lontani dalla capacità di tutelare la vita delle persone. Eppure, sono in tanti i volontari italiani, che nella splendida isola di Lampedusa, si rimboccano ogni giorno le maniche per affrontare in emergenza i continui sbarchi della disperazione. Ma cosa si può fare per arginare questo disperante fenomeno? Aprire finalmente un dialogo forte, credibile e coinvolgente, tra i Paesi Europei e i Paesi di provenienza degli immigrati; collaborare alla soluzione dei gravi problemi socio-politici che determinano la fuga; costruire percorsi di giustizia, di pace, di difesa dei diritti delle persone. Ancora una volta basterebbe mettere al centro l’attenzione alla persona umana, alla tutela della sua vita, farlo insieme, con fermezza e dedizione, per salvare migliaia di vite umane. Ancora una volta riecheggiano le parole di papa Francesco: «Preghiamo per avere un cuore che abbracci gli immigrati. Dio ci giudicherà in base a come abbiamo trattato i più bisognosi». 23
Attualità Oltre duecentocinquanta le persone che hanno perso la vita nella drammatica tragedia del 3 ottobre. E molti di quei corpi ancora sono in quelle acque, nonostante il grande lavoro per recuperare i tanti corpi inghiottiti.
da nord Africa, Medio Oriente o Pae si arabi? «Il Sistema comune europeo di asilo adottato recentemente consiste in norme comuni che introducono criteri chiari da applicare nel valutare le domande di asilo, le procedure più efficienti, e migliori condizioni di accoglienza per i richiedenti asilo. Garanzie specifiche sono state introdotte per evitare che i richiedenti asilo siano posti in stato di detenzione nei Paesi dell’Unione. Per coloro la cui richiesta di asilo è stata accettata e ai quali è quindi riconosciuta protezione internazionale, le nuove norme armonizzano i benefici derivanti da questo nuovo status, soprattutto per ciò che riguarda il diritto di residenza, l’accesso all’impiego e l’assistenza sanitaria. In generale dobbiamo essere più aperti nel concedere il diritto di asilo e impegnarci maggiormente per il reinsediamento di persone che hanno bisogno di protezione internazionale all’interno dell’Ue, di concerto con l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati. Accogliere e dare ospitalità nell’Unione europea alle fasce più vulnerabili potrebbe evitare che i migranti mettano le loro vite in pericolo mentre cercano di raggiungere le nostre coste. È inaccettabile che oggi i rifugiati siano costretti a rivolgersi ai trafficanti di esseri umani per raggiungere l’Europa. Mi auguro che centri di prima accoglienza possano essere creati anche fuori dei confini comunitari, ma gli Stati membri non sono ancora pronti per questo, nessuno lo è». Lei ha sempre insistito sulla ne cessità di rispondere a monte al 24
problema delle migrazione raffor zando la cooperazione allo sviluppo. L’Unione europea sta facendo la sua parte in questo senso? «I migranti arricchiscono le nostre società, questo è ciò che è avvenuto nel passato e continuerà a essere così anche in futuro. Dobbiamo lavorare insieme per poter poi cogliere i frutti di migliori politiche migratorie attuate a livello globale. Non esiste altra alternativa. Per ottimizzare il coordinamento e la gestione dei flussi migratori occorre innanzitutto cambiare il nostro atteggiamento nei confronti dell’im-
nostre società. Ma questo contributo è possibile solo se siamo pronti a riconoscere e utilizzare al meglio il potenziale dell’immigrazione. Ciò richiede coraggio e leadership nella promozione di un nuovo approccio, ma sfortunatamente spesso assistiamo a una mancanza di volontà politica e al fatto che molti Stati membri preferiscono erigere ulteriori barriere ai propri confini piuttosto che accogliere un maggior numero di persone al loro interno. Sebbene la situazione sia difficile, non ho nessuna intenzione di venire meno al mio impegno, e la Commissione
migrazione. Dobbiamo iniziare a valorizzare i benefici e le opportunità che può apportare sia ai Paesi Ue sia agli immigrati stessi. Gli immigrati possono dare un importante contributo alle
europea incessantemente promuove iniziative per l’immigrazione regolare. Attualmente le possibilità di arrivare sul territorio Ue sono poche, e ciò costringe le persone ad affrontare per-
Basta con gli applausi Ridateci il silenzio…
di Vincenzo Pastore Lo chiamano minuto di silenzio o di raccoglimento: sessanta secondi in cui commemorare chi è scomparso, rivolgendo una preghiera lassù per chi crede o un semplice pensiero quaggiù per chi non crede. Il silenzio, appunto, che troppo spesso lascia spazio alla gestualità tipica di uno spettacolo (gli applausi) o alla manifestazione più becera della maleducazione e dell’inciviltà (cori, fischi e quant’altro). La tragedia dei migranti di Lampedusa non ha lasciato indifferente lo sport italiano, oggi crogiuolo di culture ed etnie diverse, figlie anche di quei barconi della speranza che approdano sulle coste della penisola. Il Coni, dopo la tragedia dello scorso 3 ottobre, aveva stabilito il canonico minuto di raccoglimento per tutte le gare sportive del fine settimana. In campo, dove il copione prevede gli atleti disposti con il capo chino e il fischio dell’arbitro a scandire l’inizio e la fine dei sessanta secondi. E sulle tribune, dove il pubblico lascia per un attimo da parte le ansie e le aspettative dell’evento per alzarsi in piedi e vivere quell’istante. Sarebbe questa la cornice in un Paese civile. Da noi, invece, le sfumature prendono il sopravvento. Fari puntati, nell’Italia calcio-centrica, sul mondo del pallone. Serie B, Brescia,
prima del match tra i padroni di casa e il Palermo, gli ultras locali intonano il coro “Forza Brescia alé”. Serie A, Roma (Lazio-Fiorentina), i tifosi biancocelesti urlano “Forza Lazio alé”. Torino, Juventus-Milan, la curva bianconera sente il richiamo patriottico e dà il via a “Fratelli d’Italia”. A Bologna, invece, prima della sfida tra i rossoblù e il Verona, i supporter scaligeri vogliono fare le cose per bene. Dopo il fischio dell’arbitro, cantano “Io credo risorgerò”, che è un celebre canto liturgico. Se non fosse per il mancato rispetto del silenzio, l’intento sarebbe anche lodevole. Ma quegli stessi tifosi sono saliti agli onori delle cronache per episodi di razzismo e, proprio nella stessa domenica 6 ottobre, per essersi resi protagonisti di alcuni tafferugli con gli ultras bolognesi che hanno ritardato di venti minuti l’inizio della gara. Non solo. Facendo un rapido giro sul web, si scovano alcuni precedenti, in cui i veronesi hanno intonato quel canto anche durante le partite. Cosa c’entri un canto religioso e funebre con una partita di calcio resta un mistero ma restituisce la cifra dello scherno, dell’intolleranza e della maleducazione che fanno capolino durante i minuti di silenzio. O nei funerali, soprattutto di gente famosa, in cui il
feretro è accompagnato dagli applausi scroscianti della folla. Mentre nelle esequie dei comuni mortali il clima di raccoglimento torna, giustamente, a regnare sovrano. Come se esistessero morti di serie A e morti di serie B. Il silenzio, invece, è come una livella, direbbe Totò: mette tutti sullo stesso piano, conferisce quella massima forma di rispetto a cui probabilmente non siamo più abituati nelle nostre giornate caotiche e rumorose. Nell’Italia del giorno dopo, delle bandiere a mezz’asta e del lutto al braccio, della simbologia funerea a intermittenza come rito purificatore delle nostre coscienze, il minuto di silenzio è stato un minuto violato, violentato, tradito, calpestato. Non c’è spazio per una breve e silenziosa memoria di quel che è stato. Non c’è spazio per una pausa, per una fermata, per una riflessione. Il silenzio è un intruso da emarginare, un imbarazzo da superare, un nemico da aggirare con la banalità di un applauso. Con l’insensatezza di un coro o di un fischio. A cui magari seguono altri applausi per coprire gli incivili. Altro rumore, altro caos, altra violenza. Quando, invece, bisognerebbe provare che effetto fa associare la preghiera e la memoria al suono del silenzio. 25
Attualità
corsi molto pericolosi mettendo le loro vite in mano a criminali senza scrupoli che sfruttano la disperazione umana. Per questo motivo abbiamo approntato una serie di contatti con gli stati del Nord Africa al fine di giungere a un accordo comune per migliorare la gestione dei flussi migratori e promuovere la mobilità. È stato adottato a tal fine un nuovo Partenariato per la mobilità con il Marocco che include più canali per l’immigrazione regolare. Ci auguriamo che simili accordi possano essere raggiunti con altri Paesi della regione, in particolare con la Tunisia».
Ancora immagini del naufragio del 3 ottobre scorso. Gli interventi per salvare alcune vite e i tanti corpi di uomini, donne e bambini che in quella notte disperata hanno perso la vita.
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Lessico dell’anima Fra Giorgio Tufano
Al centro della fede
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entre si conclude l’anno dedicato alla vita di fede, ricordiamo con gratitudine l’esortazione di Benedetto XVI (Porta fidei, 15): «Giunto al termine della sua vita, Paolo chiede al discepolo Timoteo di cercare la fede con la stessa costanza di quando era ragazzo. Sentiamo questo invito rivolto a ciascuno di noi, perché nessuno diventi pigro nella fede. Essa è compagna di vita che permette di percepire con sguardo sempre nuovo le meraviglie che Dio compie per noi». Con la pubblicazione dell’enciclica sulla fede, da parte di papa Francesco, si nota la continuità tra i due Pontefici: «La Chiesa non presuppone mai la fede come un fatto scontato, ma sa che questo dono di Dio deve essere nutrito e rafforzato, perché continui a guidare il suo cammino» (Lumen fidei, 6). La grazia della fede. L’uomo ha bisogno di conoscenza e di verità, perché senza di esse non si sostiene. La fede, senza verità, non rende sicuri i nostri passi; resta una bella fiaba, la proiezione dei nostri desideri o si riduce a un bel sentimento, che consola e riscalda, ma resta soggetto al mutare del nostro animo e alla variabilità dei tempi (cfr. ivi, 24). Papa Francesco richiama la connessione della fede con la verità, un nesso che potrebbe essere guardato con sospetto; oggi la fede è sottoposta alla prova di una mutata mentalità che riduce le certezze umane all’ambito delle conquiste scientifiche e tecnologiche. Eppure, grazie alla fede molti cristiani si dedicano con amore a chi è solo o emarginato, perché riflette il volto di
Cristo; la fede ha permesso ai martiri di offrire la loro vita come segno di amore, e ha provocato il cuore di uomini e donne a lasciare tutto per annunciare il Vangelo, subendo spesso violenza proprio a causa della fede. Per fede uomini e donne di ogni lingua e razza hanno trovato risposta alla loro domanda sul senso della vita, arricchendo l’esistenza in tutte le sue dimensioni. La luce della fede è strumento di trasformazione delle famiglie, di progresso dei popoli; essa nasce e si sviluppa nelle relazioni quotidiane, cresce quando è vissuta come esperienza di un amore ricevuto e comunicato con gioia, si trasmette nella forma del contatto, da persona a persona, come una fiamma si accende da un’altra fiamma (cfr. ivi, 37). Con il cuore si crede... (Rom 10,10). Il cuore, nella Bibbia, è il centro dell’uomo, dove s’intrecciano tutte le sue dimensioni: il corpo e lo spirito;
l’interiorità della persona e la sua apertura agli altri; l’intelletto, il volere, l’affettività. Ebbene, se il cuore è capace di tenere insieme queste dimensioni, è perché esso è il luogo dove ci apriamo alla verità e all’amore, ci toccano e ci trasformano nel profondo. La fede trasforma la persona intera, appunto in quanto essa si apre all’amore. È in questo intreccio della fede con l’amore che si comprende la forma di conoscenza propria della fede, la sua forza di convinzione, la sua capacità di illuminare i nostri passi. La comprensione della fede è quella che nasce quando accogliamo l’amore di Dio che ci trasforma interiormente e ci dona occhi nuovi per vedere la realtà. Si avvera, allora, la considerazione di san Bonaventura nel racconto delle stimmate di san Francesco: «Il verace amore di Cristo aveva trasformato l’amante nell’immagine stessa dell’amato» (FF 1228).
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Debito pubblico: una triste storia italiana
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L’entità enorme del disavanzo pubblico rischia di compromettere il futuro delle persone che andranno in pensione e dei giovani in attesa di lavoro. Da dove viene questo “mostro”? Chi ne porta le responsabilità? 29
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di Carmine Tabarro
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criveva lo scrittore e giornalista Ugo Ojetti: «L’Italia è un Paese di contemporanei senza antenati né posteri perché senza memoria di se stesso». L’entità del nostro debito pubblico ne è un esempio concreto. Infatti il debito pubblico è tra le cause strutturali di quello che per molti è il declino italiano. A quanto ammonta il debito pubblico italiano? Il più recente dato diffuso dal governo dichiara che l’Italia vanta un pessimo rapporto debito/Pil del 132,9%, seconda solo al 160,5% della Grecia. Ma chi sono stati o sono i responsabili di questo dramma che blocca il presente e il futuro del paese, condannandolo al declino? Per far comprendere l’ampiezza del disastro e dell’incapacità della classe dirigente del paese e anche della società civile, va precisato che il debito pubblico italiano è continuato a crescere nonostante il “dividendo” dell’euro; in altre parole con il passaggio dalla lira all’euro abbiamo goduto di tassi d’interessi e inflazione bassa e quindi avevamo ampi margini per ridurlo.
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Nonostante questi fondamentali elementi economici positivi, i diversi responsabili del paese degli ultimi venti anni, non sono stati in grado di mettere sotto controllo la finanza pubblica riducendo il debito almeno al di sotto del 100% del Pil. Ma andiamo con ordine: nel 1965 il nostro debito pubblico, grazie al “boom” economico di quegli anni si attestava al 35% del Pil. Nel 1980 il debito pubblico arriva al 57,6%, un aumento dovuto all’aumento del peso delle spese per il welfare state e spese correnti. Purtroppo una gran parte di questa spesa sociale non andava a creare solo strutture di giustizia sociale o infrastrutture materiali o immateriali, ma soprattutto a garantire consenso elettorale. Per pareggiare l’aumento del debito pubblico è stata aumentata la pressione fiscale, senza riuscire a pareggiare le perdite. Dal 1960 al 1980 la spesa per il welfare è passata dal 29 al 42% del PIL (salirà al 53,5% nel 1990), mentre le entrate fiscali sono cresciute dal 30,9%
Gli italiani e la crisi economica: troppo abituati a pensare che la “colpa” sia dell’Euro o dell’Imu. Ed invece il debito pubblico così alto ha radici molto più profonde nella storia economica della nostra Repubblica.
IN ATTESA DI UN MIRACOLINO CEROTTINI DELLA MANOVRINA di Nicola Salvagnin
Come una leggera terapia di antibiotici da fare ogniqualvolta ci sia il rischio di guai peggiori, così i governi degli ultimi anni, ogni due o tre mesi approntano una manovrina sui conti pubblici. L’ultima, varata nelle ultime settimane dal governo Letta (nella fotografia qui sotto, il capo del governo Enrico Letta), deve trovare la copertura ad un buco di 1,6 miliardi di euro (lascito dell’addio all’Imu) nel rapporto deficit-Pil, che non deve superare il 3%, pena mannaia europea sulle nostre tasche. Un miliardo e mezzo di euro su 800 di spesa complessiva sarebbero un’inezia, se non fosse che la politica italiana su queste inezie s’impantana come nelle sabbie mobili. Tra quarant’anni gli storici si stupiranno del fatto che l’aumento di un punto percentuale dell’Iva abbia occupato le prime pagine dei giornali per un mese (a proposito: è aumentata e finora non è morto nessuno). Questa volta si rimedia da una parte lo-
devolmente, cioè senza aumentare per l’ennesima volta le accise sui carburanti (la benzina italiana è la più cara della Via Lattea); dall’altra parte si agisce “all’italiana”: si è deciso che verranno “venduti” immobili pubblici per un valore di 500 milioni di euro. Ma non sul mercato, che non li acquisterebbe dall’oggi al domani, bensì alla Cassa depositi e prestiti, cioè ad una costola di Stato il cui bilancio non è però contabilizzato dentro quello dello Stato. Una partita di giro contabile. Speriamo che in Europa non venga in mente a nessuno di chiedere di quali immobili si tratta, e a che prezzo ciascuno. L’altro taglio riguarda le “spese dei ministeri”, che nell’immaginario collettivo sembrano essere le matite e i caffè ministeriali, ma che sono poi i finanziamenti ad opere pubbliche come strade o nuove scuole. C’è da esultare? Insomma. Ma, si dice, questi sono rattoppi. Poi arriverà la Legge di stabilità, la vecchia finanziaria. Così come l’abbiamo trasformata
in questi anni, trattasi di solito di una serie ben più ampia di frattaglie contabili messe assieme. Perché le grandi manovre sulla spesa dello Stato si fanno in altro modo, vedi la pur discutibile legge Fornero sulle pensioni. Peccato, perché c’è estremo bisogno di serietà vera, e non solo formale. Di grandi idee, di provvedimenti forti (un esempio: rivedere il rapporto StatoRegioni su competenze e spese) che si potrebbero fare con questi numeri in Parlamento. La macchina italiana non si rimetterà in carreggiata cambiando il liquido per i tergicristalli. Non si fa politica industriale inventandosi all’ultimo momento un salvataggio pubblico di Alitalia fatto da… Trenitalia; no, dalle Poste. E perché non dalla Sisal? Sulle scommesse è imbattibile. Ma l’assunzione di responsabilità la dovrebbero fare tutti, non solo lo Stato, non solo il governo. Cos’hanno fatto le cosiddette parti sociali – in primis Confindustria e sindacati – per traghettare le relazioni industriali dal 1968 al 2020? Finora le abbiamo viste solo piangere aiuti statali. Mentre in Germania sono state le protagoniste di quella rivoluzione economica che ha portato un Paese economicamente fermo (anno 2002) a dominare l’Europa e a competere da vincente in tutto il mondo (anno 2013). Mentre qui c’è un’attesa quasi messianica per il taglio di qualche punto del cuneo fiscale, come se questo – pur giustissimo vista la colossale pressione tributaria attuale – fosse la vera benzina per la ripresa italiana. Tale andazzo fa sorgere un dubbio: ma siamo sicuri che l’Italia voglia veramente fare qualcosa per bloccare questo suo lento ma inesorabile declino? Se sì, qualcuno batta un colpo. 31
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del 1960 al 36,5% del 1979. Le conseguenze sono del tutto evidenti: il deficit nel 1969 era all’1,1%, nel 1970 raggiunge quota 3,6%, e nel 1979 il 10,2%. Il Welfare state, comprensivo di spese sociali e spese correnti e non per investimenti, è stato finanziato con il debito. A questo vanno aggiunti gli effetti inflattivi dei due shock petroliferi del 1973 e 1979. Ma il peggio doveva manifestarsi. Nel 1981 avvenne una rivoluzione copernicana in materia di debito pubblico: la divisione tra Tesoro e Banca d’Italia. Con questa decisione la Banca d’Italia divenne autonoma dalla politica e quindi non era più obbligata all’acquisto illimitato del debito pubblico. Senza nessun filtro della Banca d’Italia, nei quindici anni successivi, il debito esplose indebitando il nostro futuro e quello dei nostri figli. In dieci anni il debito pubblico è raddoppiato dal 66,5% del 1982 al 105,2% del 1992. In questi anni si sono poste le basi per il dissesto finanziario e morale del nostro paese. Si tratta degli anni a cavallo tra la “prima” e la “seconda Repubblica”, e lo scoppio di Tangentopoli. Con la moneta unica il debito scende al 113,7% nel 1999, 109,2% nel 2000, 108,7% nel 2001. Anche nel 2002, 2003 e 2004 si registra un calo (105,5%, 104,2% e 103,8%). A quel punto la discesa virtuosa si interrompe: 105,9% nel 2005 e 107,6% nel 2006. Nel 2007 il debito scende al 104%, poi anche per effetto della crisi sottovalutata abbiamo una nuova impennata: 105,7% nel 2008; 116% nel 2009, 118,6% nel 2010, 120,1% nel 2011, 127% nel 2012. 32
Le scelte politiche degli ultimi 50 anni hanno fatto sì che il debito pubblico continuasse, quasi senza sosta a salire, determinando ora una situazione di grande precarietà ed instabilità.
Il disastro finanziario del paese ha raggiunto il rapporto “monstre” nonostante tre manovre finanziarie del 2011, per un totale di oltre 80 miliardi a regime. E ora, stando alla Nota di aggiornamento al Def appena approvata dal governo, il debito viaggia verso il 132,9%, con annessa la quota nazionale dei prestiti Efsf diretti alla Grecia e della capitalizzazione dell’Esm (il fondo salva Stati permanente). Come uscire da questo vicolo cieco? Certamente la recessione patrimoniale che ha fatto contrarre il Pil del 5,1 per cento (2009), richiede notevoli sacrifici. Quali strade per risanare i conti pubblici, far uscire il paese dal declino degli ultimi venti anni e dare una speranza alle famiglie, ai giovani, al paese? Elenchiamo alcuni passaggi fondamentali: -agire sul Pil, attraverso riforme incisive, politicamente “non piacevoli” ma fondamentali ad esempio la riforma della pubblica amministrazione;
-riforma fiscale: tassare meno il reddito da lavoro e da impresa, e in misura maggiore la rendita; -una vera lotta all’evasione fiscale che vale 120150 miliardi di euro l’anno; -vendita degli asset pubblici per abbattere il debito pubblico; -politiche dell’offerta (liberalizzazioni, riforma vera del mercato del lavoro), in grado di rimettere in moto la scala sociale; -contenere strutturalmente la spesa corrente (siamo al 51,2% del PIL) con tagli selettivi e non lineari e investire sulle spese produttive; -politiche fiscali ad hoc per il sud d’Italia: il debito non potrà decrescere se non si liberano tutte le forze del paese, quindi aumento del PIL; -recuperare credibilità e stabilità politica, così da aggredire quegli 80-90 miliardi di interessi passivi che i governi italiani, di qualunque colore politico, sono costretti a recuperare ogni anno sui mercati per finanziare il debito pubblico di oltre 2mila miliardi.
Per migliorare la situazione e cercare di arginare il debito pubblico bisogna prendere provvedimenti significativi e tempestivi.
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Mondo
Grecia. La Chiesa spera. Nonostante tutto.
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di Daniele Rocchi
a Grecia tenta di risalire la china, di mettere la crisi all’angolo sperando così di ottenere ancora credito dai finanziatori che hanno fino ad oggi erogato pacchetti di aiuti per un totale di 240 miliardi di euro. Sostenuta anche da una eccezionale stagione turistica, Atene stima che tra il 2015 e il 2016, il Paese avrà un buco di bilancio “ben al di sotto” del 2% del Pil, con un’economia ancora in calo quest’anno del 3,8% ma in risalita +0,6% nel 2014. Numeri che arrivano a ridosso della ripresa dei colloqui con i finanziatori internazionali, la cosiddetta Troika (composta da Bce, Ue e Fmi), e con i quali la Grecia cerca di evitare altre misure di austerità. In ballo, ora, ci sono altri 10 miliardi di euro di finanziamenti. Uscire dalla recessione non sarà facile: basti vedere gli ultimi dati rilasciati dall’Ufficio di Statistica, Elstat, che hanno rilevato che l’ultimo tasso dei senza lavoro ha toccato quota 27,9%. Un dato in continua salita se si confronta con il 27,6% di luglio e con il 24,6% di giugno 2012. All’origine la politica di tagli operata dal Governo del premier Antonis Samaras che sta provocando una vera ondata di scioperi e che da inizio settembre
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La testimonianza dell’esarca apostolico monsignor Dimitrios Salachas, in prima linea nel portare solidarietà concreta al popolo, denuncia gravi difficoltà nel mantenere in funzione le strutture di assistenza.
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Mondo sta paralizzando la pubblica amministrazione greca. Le ultime misure varate dal Governo sono la messa in mobilità di 25mila impiegati statali entro la fine del 2013. In sciopero anche gli insegnanti, i medici ospedalieri, gli avvocati, i dipendenti degli Istituti previdenziali e quelli dell’Ufficio di Collocamento e del trasporto pubblico. Bloccati dalle agitazioni anche i siti archeologici. I custodi protestano contro il licenziamento di 250 dipendenti del ministero della Cultura. «Gli scioperi di questi giorni dicono chiaramente che il popolo è disperato. La situazione è tragica, sentiamo tante promesse ma non vediamo risultati. La luce in fondo al tunnel non si scorge». L’Esarca apostolico per i cattolici di rito bizantino in Grecia, Dimitrios Salachas non usa mezzi termini. A contatto quotidiano con la gente ne percepisce tutte le difficoltà e la drammaticità di un momento che per il Paese ellenico sembra non avere fine. E lo racconta: «Le famiglie soffrono. Non sanno come sopravvivere con tutte le spese che hanno da affrontare. Ogni nucleo, ogni singola persona vive quotidianamente l’ansia di dover pagare tasse molto pesanti e non sa come andare avanti». Il Governo Samaras è nelle mani della Troika, «è questa – dichiara il presule – a decidere e non il Governo. La Troika decide
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A sinisitra, l’esarca apostolico Monsignor Dimitrios Salachas. Sotto, il premier del governo greco Antonis Samaras.
Lo “spettro” in questo tempo di terribile crisi in Grecia sono gli scontri avvenuti nel 2008, dopo il primo grande momento della crisi economica. Sotto, il premier del governo greco Antonis Samaras con Angela Merkel, primo ministro tedesco.
E IN SIRIA LA LUCE È FRANCESCANA Si chiama “Ats Pro Terra Sancta”, l’organizzazione non governativa promossa dalla Custodia di Terra Santa (nella fotografia il Custode fra Pierbattista Pizzaballa), come strumento di sostegno agli sfollati interni siriani. Ats, è una delle poche Ong, se non l’unica, che si occupa di coloro che in Siria, a causa del conflitto, sono stati costretti a lasciare lavoro, terre e casa per trasferirsi in altre città e villaggi del Paese in cerca di sicurezza. Fin dall’inizio della guerra, i francescani hanno creato quattro centri di accoglienza, che danno da dormire a centinaia di persone, e provvedono ai biso-
gni primari (cibo, vestiti e medicine) di almeno 400 persone ogni giorno. Ogni mese circa 50 famiglie vengono aiutate a cercare nuove case. Ma si tratta di numeri che crescono di giorno in giorno. Come i bisogni della gente. Una solidarietà che sfida le armi e la violenza e che riesce a segnare, anche in mezzo alla fatica, tante piccole vittorie. Rispondere ai tanti bisogni con i pochi mezzi a disposizione richiede una valida organizzazione interna ed è per questo che insieme ai frati collaborano religiosi, religiose e laici. Tutte le info sono sul sito: www.proterrasancta.org 37
Mondo
le direttive ed il popolo paga». Sotto accusa è la drastica politica dei tagli necessaria per ottenere nuovi crediti ma che «impone la restituzione del denaro e quindi provoca ancora debito» ricorda Dimitrios che non nasconde la necessità della riforma dell’amministrazione pubblica. «Era ed è necessaria ma non in modo così radicale senza tenere in giusto conto la vita delle persone e delle loro famiglie. Chi deve pagare questo debito? Il popolo, mentre si scoprono ogni giorno nuovi grossi evasori fiscali». E il popolo non sa come fare. Scende in piazza, manifesta, protesta come in questi giorni, ma poi è costretto a ricorrere ad agenzie e associazioni per trovare aiuto e sostegno concreto. La Chiesa cattolica locale in questa opera di solidarietà è in prima linea e mette a disposizione quel poco che ha e che ottiene dall’estero. Le preoccupazioni non mancano a riguardo. «Come Chiesa cattolica greca – spiega l’esarca – non sappiamo se potremo continuare a mantenere le nostre opere di misericordia come ospedali, case di accoglienza per anziani, case di cura per persone con disabilità, mense, sostegno a migliaia di emigrati e profughi, anche siriani, che ricorrono ai nostri centri per avere aiuto. Ci sono salari da pagare, le spese di gestione e soprattutto le tasse. È sempre più difficile andare avanti». Tuttavia, aggiunge, «ogni 38
giorno le nostre Chiese e parrocchie, grazie all’aiuto della Caritas Grecia e con il sostegno di Caritas di altri Paesi, cercano di soddisfare le tante richieste di generi alimentari, di vestiario, ma anche di soldi, necessari per pagare bollette, affitti, spese mediche e scolastiche. I mezzi scarseggiano e stanno venendo meno anche quei pochi fondi garantiti in passato dallo Stato». Una situazione non meno difficile la sta vivendo anche la Chiesa Ortodossa, che, in Grecia, è alla stregua di un ente di Stato, i suoi sacerdoti, infatti, sono impiegati statali e sono pagati. Il taglio dei dipendenti statali, ricorda Dimitrios, «coinvolge anche i sacerdoti ortodossi. Ci sono, però, vescovi che stanno ordinando nuovi presbiteri per non far mancare la presenza pastorale nelle comunità». Intanto, nell’attesa che la Troika decida nuove misure economiche e che la Grecia dal primo gennaio 2014 cominci il suo semestre di presidenza Ue, il vescovo coltiva la speranza in un futuro migliore. «Non deve mancare questa speranza. Finora abbiamo operato confidando nella Divina Provvidenza, lo facciamo ora ancora di più. Se perdessimo questa speranza e fiducia sarebbe una grande e irrimediabile disgrazia per la Grecia. Spero che da questa crisi possano nascere stili di vita più equi e sostenibili che diano prospettive al futuro dei nostri giovani».
La presenza della Chiesa cattolica e ortodossa in Grecia continua ad essere segno di speranza per molti, anche grazie ai tanti interventi di aiuto che esse portano avanti, nonostante le gravi difficoltà.
In
Chiara luce
di Sr. Maria Manuela Cavrini
«De te, Altissimo porta significazione» Seno di bosco discende al ritmo di montuose fiumare. Questo ritmo mi rivela Te, il Verbo Primordiale.
S
ono i versi iniziali della prima tavola di Trittico romano, là dove il nostro amato Papa-poeta ci presenta l’esperienza della creazione, la sua bellezza, il suo dire «altro». Siamo lontani dall’imprevidente sfruttamento e dal saccheggio indiscriminato che l’uomo continua a esercitare nei confronti della natura. E siamo altrettanto lontani da un amore per la natura neutro, da un naturalismo che esalta le creature senza riferirle al Creatore, che le ha chiamate all’esistenza e le sostiene incessantemente con il suo amore. Non per caso uno dei santi più amati dalla gente – e forse più travisati – è san Francesco. Lo onoriamo come patrono d’Italia, inventiamo filastrocche sul suo incontro con il lupo, ci commuoviamo dinanzi al Cantico di frate Sole. Magari lo arruoliamo tra gli ecologisti di oggi e ne facciamo un antesignano dei verdi. Ma già il pensatore russo Solov’ëv, scrivendo agli inizi del 1900, metteva in guardia dall’attenzione esclusiva data a valori come solidarietà, difesa della natura, pace, dialogo, se diventano sostitutivi dell’adesione alla persona di Cristo e al suo mistero di salvezza. Non per niente il suo anticristo è un «benefattore dell’umanità», un «filantropo, pieno di compassione e non solo amico degli uomini, ma anche amico degli animali». Certo, un amore per il creato senza riferimento a Dio oggi va di moda e riempie i salotti televisivi. Ma davvero fare della natura una casa senza padrone è la soluzione ai nostri problemi? «In principio Dio creò il cielo e la terra». L’universo uscito dalle mani di Dio è un’opera d’arte perfetta, che Egli affida all’uo-
mo, come affiderà il suo stesso Figlio. L’uomo è l’«essere preminente su tutti i viventi, in certo senso culmine dell’universo e bellezza dell’intera creazione» (sant’Ambrogio). Nasce con il sigillo del suo Dio impresso nelle profondità del suo essere, con l’immagine incancellabile del Signore Gesù, che lo rende icona vivente del proprio Creatore. Ha la vita intera, perché l’immagine sia sempre più conforme all’Originale. Fra tutta la creazione e Cristo esiste una connessione previa, che sussiste fin dalle origini delle cose e, benché attaccata e continuamente insidiata dal demonio, non è mai andata perduta. Dall’eternità Cristo è stato predestinato come il vertice, il capo, il compendio di tutte le cose e niente esiste, di quanto è stato creato, che non sia modellato su Cristo, finalizzato a Lui, intimamente connesso con Lui. Tutto ciò che di bello, di vero, di buono esiste è un riflesso del Signore Gesù: una frangia del suo mantello, che i santi toccavano, come la donna emorroissa del Vangelo. Così per Francesco tutto è «scala per raggiungere il Diletto»; «in ogni opera loda l’Artefice; tutto ciò che trova nelle creature lo riferisce al Creatore», «attraverso le orme, impresse nella natura, segue ovunque il Diletto». Il Cantico di frate Sole è l’inno che sgorga dal suo cuore in festa perché tutto è segno per lui dell’amore di Dio, del suo Mistero di salvezza. Altrettanto si può dire per Chiara. L’invito che rivolge alle sorelle esterne, che per qualche comune necessità uscivano da S. Damiano «che, quando vedessero li arbori belli, fioriti e fronduti, laudassero
GIOVANNI PAOLO II
Iddio; e similmente quando vedessero li omini e le altre creature, sempre de tutte e in tutte le cose laudassero Iddio», non è semplice capacità di ammirazione per quanto di bello vi è nel creato, ma acquista un valore sacramentale. Per il contemplativo ogni cosa è segno, rimando a un «di più», l’universo è una «foresta di simboli» (Baudelaire). Il problema è, piuttosto, che noi questi simboli e questi segni non sappiamo più leggerli. Con tutta la nostra scienza e i progressi della tecnica, siamo come analfabeti di fronte al grande libro della natura. Staccate da Cristo, le cose ci restano impenetrabili, opache. «Tutto è vostro! Ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio». All’uomo è stato affidato il compito di continuare l’opera creatrice di Dio. Di vivificare, di «cristificare» il cosmo. Non vi è separazione tra lo spirituale e il materiale, ma anche il mondo, la natura e la storia partecipano con noi alla progressiva divinizzazione dell’universo. Il contemplativo, proprio perché riesce a cogliere un frammento del Verbo ovunque – anche là dove gli altri vedono solo una presenza del male e del peccato –, perché scorge il filo invisibile che lega ogni realtà riconducendola al Signore della storia e dei cuori, può fare dono della speranza. Può e deve fare dono della speranza, annunciare ad ogni viandante sperduto «quanto resta della notte». Con la sua incessante ricerca del Volto del Signore, aspetta e affretta «la venuta del giorno di Dio», quando finalmente ci saranno «nuovi cieli e una terra nuova, nei quali abita la giustizia». 39
Incontri
Un francescano tra gli amministratori di Roma Lavori pubblici e periferie: ecco le deleghe all’assessore della giunta del comune di Roma, Paolo Masini, un uomo dal cuore francescano. Lo abbiamo intervistato.
P
di Roberto Luzi
aolo Masini da poco tempo svolge il suo servizio alla città di Roma come assessore ai Lavori Pubblici e soprattutto alle periferie. Paolo ha una storia molto bella che si radica nella pianta francescana. Suo padre, da sempre di animo francescano, ha voluto educare i figli secondo lo spirito del poverello d’Assisi tanto che lui stesso oggi è direttamente al servizio degli altri e della chiesa. Infatti dopo la morte della moglie il padre di Paolo è divenuto frate francescano ed oggi con letizia si dedica totalmente alla vigna del Signore. Paolo ha respirato nei polmoni dell’anima quest’ossigeno che l’ha reso, nella difficile attività politica ed ora amministrativa, uomo di servizio e seminatore di speranza soprattutto per gli ultimi, tanto da ottenere la delega alle periferie e alle povertà. Vogliamo capire meglio come l’impegno politico può e deve essere il campo del servizio alla carità per un 40
laico, riscoprendo la politica come servizio della carità alla persona soprattutto per quelle persone che vivono ai margini della città e dell’esistenza. Come è nata la tua vocazione alla politica e in un certo qual senso quanto ha influito la famiglia e l’esperienza francescana? L’esperienza nell’impegno sociale nasce proprio all’interno della mia parrocchia a Roma, la Trasfigurazione, un fertilissimo humus figlio del Concilio. Un gruppo di sacerdoti fantastici che hanno gettato le basi per la crescita di belle generazioni e, per quanto mi riguarda, la mia famiglia ha fatto il resto... Tra loro anche don Andrea Santoro che insieme agli altri, Franco, Giuseppe e il parroco Viscardo, hanno fatto di quegli anni una scuola di vita davvero indimenticabile. Ricordo, solo per fare un esempio, quando si decise di ospitare da noi le madres de Plaza de Mayo in un momento non certo facile per l’Argentina e per la Chiesa. Fu
A fianco il palazzo del Campidoglio dove hanno sede l’assemblea e la giunta capitolina.
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Incontri una scelta coraggiosa che contribuì a fare luce su quegli anni terribili. Da quella esperienza cresce un forte impegno civile nel volontariato che poi, con la complicità di una sorta di “primarie ante litteram”, organizzate dall’allora Pds, si trasformò in impegno concreto nell’amministrazione con la prima elezione in Municipio. In generale, io credo che la politica possa e debba essere davvero il servizio più alto che si possa offrire alla propria comunità. Quei sacerdoti, e l’insegnamento dei miei genitori, penso, mi abbiano consentito di mantenere quell’umiltà e quella passione indispensabili per tenere la barra dritta nel mare agitato e non sempre trasparente della politica. Un’altra domanda che credo fondamentale: come rinnovare la politica italiana e come far innamorare i giovani alla passione politica? Domande difficili, ma la risposta che per prima mi viene in mente è semplice da dire quanto difficile da praticare: con l’esempio. Pochi giorni fa è stato l’anniversario della morte di quel grande italiano che fu Alcide De Gasperi. De Gasperi amava ripetere che il politico pensa alle prossime elezioni mentre lo statista alle prossime generazioni. Penso a lui, a Berlinguer, ai tanti fantastici amministratori locali che antepongono sempre il bene comune agli interessi privati. Penso ad Angelo Vassallo, grande sindaco ucciso dalla camorra come tanti sacerdoti, don Pino Puglisi ed altri che non si sono voluti piegare all’arroganza della mafia. Occorre ripartire dai comportamenti concreti, dall’esempio nella vita e nell’azione quotidiana. Non è vero che i giovani non hanno valori:
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a volte li tengono consapevolmente o inconsapevolmente in serbo finché non trovano le persone giuste degne di fiducia con le quali condividerli, esprimerli e nutrirli. Ed è quindi compito non solo della politica in senso stretto, ma responsabilità che spetta a tutti, ognuno dalla propria postazione, quello di isolare le mele marce ed aiutare a far emergere gli esempi virtuosi e carismatici. C’è una frase meravigliosa di madre Teresa che esprime perfettamente quello che intendo dire: «Qualunque cosa voi scegliate di fare nella vita siate il meglio». Nel tuo lavoro di amministratore oggi della Capitale, e prima in diversi ruoli politici e non, qual è il tuo rapporto con le parrocchie di Roma? Cosa hai fatto con loro e oggi cosa si potrebbe fare? Ma ancora quale contributo le parrocchie possono dare per costruire il bene di Roma e dei suoi cittadini? È un rapporto sempre intenso e fecondo, nato sul campo, lavorando insieme a quelle tante comunità parrocchiali che si sporcano le mani quotidianamente nei problemi della città. Sono una risorsa indispensabile: parrocchie, mense, centri di ascolto, scuole di italiano per stranieri, oratori, sono cuori pulsanti di impegno civile e sociale. Messe in rete fra loro e con le altre realtà sane di una città difficile e impegnativa come Roma, diventano le fondamenta per ricostruire quel senso di comunità che negli ultimi tempi si è perso ma che è indispensabile per rendere il cittadino meno solo e capace di affrontare la vita in una metropoli, con tutti i suoi problemi e le sue con-
Uno scorcio della periferia romana, una delle deleghe più significative in mano a Paolo Masini nella giunta Marino.
Ecco Paolo Masini, a destra durante una riunione di lavoro e a fianco in compagnia del padre.
traddizioni. Nel 50° del Concilio mi piacerebbe fare la mia parte per mettere in rete questa vera e propria ricchezza umana e sociale della nostra città. Troppo spesso nel ceto politico si assiste ad un’affannata rincorsa ad auto intestarsi patenti ed etichette cattoliche, per poi assumere però comportamenti che troppo spesso vanno in direzione esattamente opposta. E forse in questo anche noi cristiani abbiamo una nostra parte di responsabilità: ci siamo accontentati ed accomodati per troppo tempo su queste etichette senza andare a vedere quello che nascondono realmente. Il rispetto del cosiddetto mondo cattolico da parte della politica passa invece proprio nel non accontentarsi di fornire definizioni, ma sporcarsi le mani, lavorare per affrontare insieme i problemi, i drammi piccoli e grandi che vivono le persone nelle nostre città. Una domanda sul Papa non posso evitarla dal momento che tu sei un amministratore di Roma il cui vescovo è il papa, il quale incontrando gli studenti delle scuole gesuite in Italia il 7 giugno scorso ha detto: «Coinvolgersi nella politica è un obbligo per un cristiano. Noi cristiani non possiamo “giocare da Pilato”, lavarci le mani: non possiamo. Dobbiamo coinvolgerci nella politica, perché la politica è una delle forme più alte della carità, perché cerca il bene comune. E i laici cristiani devono lavorare in politica. Lei mi dirà: “Ma non è facile!”. Ma neppure è facile diventare prete. Non ci sono cose facili nella vita. Non è facile, la politica si è troppo sporcata; ma io mi domando: si è sporcata, perché? Perché i cristiani non si sono coinvolti in politica con lo spirito evangelico? Con una domanda che ti lascio: è facile dire “la colpa è di quello”. Ma io, cosa faccio? È un dovere! Lavorare per il bene comune, è un dovere di un cristiano! E tante volte la strada per lavorare è la politica. Ci sono altre strade: professore, per esempio,
è un’altra strada. Ma l’attività politica per il bene comune è una delle strade. Questo è chiaro». Come politico ed amministratore come commenti queste parole e ti rivolgo la domanda del papa, ma tu cosa fai? Fantastiche, come tutto l’inizio di questo pontificato che non esito a definire straordinario e profetico. Una continua lezione, il Concilio che si fa verbo, realtà, pratica e gesto quotidiano mettendo insieme ideali e concretezza, cielo e terra, Marta e Maria. L’interpretazione concreta attraverso l’impegno e l’esempio della dottrina sociale della Chiesa. Lo stimolo all’impegno dei cattolici in politica è importante tanto più se proviene con questa forza e attraverso questa testimonianza. Occorre sporcarsi le mani, come dice papa Francesco, ed evitare che i giochetti della brutta politica, dei capo-bastone, dei faccendieri, della fedeltà agli interessi invece dell’interesse per idee, paralizzino anziché spronare i virgulti, le giovani leve che con fatica cercano di farsi strada. La mia esperienza personale mi dice proprio questo: con la tenacia ed i valori c’è ancora modo di dimostrare che l’impegno dei cattolici in politica ha un senso, anzi, diventa rivoluzionario e indispensabile, come possono essere le parole e l’esempio del Papa. Un giorno sarà possibile pensare alla politica come il mezzo della verità e della costruzione di una civiltà dell’amore dove ogni uomo venga accolto, custodito ed incoraggiato a creare relazioni di vita? Beh, me lo auguro e faccio di tutto perché ciò possa realizzarsi: altrimenti tutto il nostro impegno si ridurrebbe al massimo ad una testimonianza velleitaria. È sotto gli occhi di tutti che stiamo vivendo un momento di grande crisi: è come se ci avessero messo su di un treno che andava 300 all’ora contro un muro, facendoci credere che non erano possibili altre strade, che c’erano solo quei binari per andare avanti, che quello era l’unico sistema di sviluppo possibile. Nulla di più sbagliato: 43
Incontri
abbiamo buttato risorse, energie, relazioni umane. Una rincorsa all’apparire invece che all’essere, sbagliata non solo eticamente ma, come i fatti dimostrano, lo era anche economicamente, tanto che mi sembra che la strada del cambiamento si stia aprendo anche tra le persone meno sensibili. Dobbiamo trasformare la crisi in un’occasione di svolta, un’opportunità per “ripensarci”. Le relazioni umane devono tornare ad essere centrali ed intorno ad esse costruire tutto ciò che guarda ad uno sviluppo sostenibile che rispetti le persone e l’ambiente dove vivono, che si riconosca nella green economy, che incentivi i gruppi di acquisto, il commercio equo e solidale, i condomini solidali e tutte quelle forme di partecipazione e di co-gestione del bene comune che diventano la nuova frontiera dell’innovazione ma anche riscoperta di valori e di modalità di vita ereditata dai nostri nonni e troppo presto abbandonata. Bisogna insomma essere creativi, guardare al futuro in modo innovativo ma con le radici ben piantate nella terra. Quale il tuo attuale impegno nell’amministrazione capitolina? Quali progetti in cantiere? Cosa stai sognando per la tua e nostra Roma? 44
In questa consigliatura appena iniziata, dopo una lunga gavetta in Municipio e poi in Consiglio Comunale, Ignazio Marino mi ha proposto di far parte della sua squadra di governo. Un grande onore per me. Cosa c’è infatti di più alto che servire la propria città? Luigi Petroselli, sindaco al quale sono molto legato, diceva che si può governare Roma solo se la si ama. Nulla di più vero. Le deleghe che il Sindaco mi ha assegnato sono quella dei Lavori Pubblici e delle Periferie (la delega che alcuni parroci amici scherzando mi dicono essere la delega di papa Francesco). Sono 4 le parole d’ordine della mia azione di governo: trasparenza, sviluppo, innovazione, partecipazione, importanti tanto più in questo momento di penuria estrema di risorse. Molti sono i progetti in corso ma tutto parte, soprattutto nel campo di cui mi occupo, dalla trasparenza, la legalità e la lotta alla corruzione e all’infiltrazione della malavita negli appalti. Dobbiamo innanzitutto garantire ai cittadini che ogni euro pubblico finisca al servizio della collettività senza prendere strade diverse e perverse; vanno premiate e tutelate poi le imprese sane, attaccate dalla malavita organizzata e dal denaro facile e sporco che immette nel sistema
economico e che, specialmente in questo momento di crisi, uccide lo sviluppo ed i diritti. Con Avviso Pubblico – associazione degli enti locali contro le mafie – e con la supervisione dell’Autorità di Vigilanza sugli appalti, stiamo redigendo un decalogo che raccoglierà anche il contributo delle imprese, delle parti sociali e delle associazioni di cittadini: scriviamo insieme le regole e cambiamo questo sistema ponendo un argine fermo e intelligente alla corruzione e all’illegalità. Su questo punto non si arretra di un passo. Credo sia soprattutto questo il motivo per cui Marino ha dato a me, che venivo da anni di impegno per il sociale, la formazione e la cultura, un incarico tanto gravoso. Stiamo lavorando poi per uscire dai copia-incolla statici, da sistemi che si trascinano da decenni. Daremo spazio all’innovazione, anche favorendo la partecipazione e il controllo dei cittadini attraverso gli strumenti tecnologici (smart-phone e social network, ad esempio); utilizzando materiale di recupero nella manutenzione stradale; risparmiando energia con gli impianti di illuminazione di nuova generazione. Sono solo alcuni esempi di come trasparenza, buon senso e creatività possono contribuire praticamente a cambiare il volto di una città.
Come poi ha detto papa Francesco nella sua prima visita in una parrocchia romana: «La realtà si capisce meglio non dal centro, ma dalle periferie». È vero. Ed è qui che si pone la frontiera del mio impegno di amministratore. Ricreare luoghi di aggregazione, inventare nuovi sistemi di cogestione degli spazi pubblici (piazze, parchi, ecc.) insieme alla cittadinanza, favorire l’impresa e l’innovazione sopratutto dei giovani attraverso il coworking, ricreare quel tessuto sociale indispensabile a gestire le sfide del nostro tempo, nelle periferie dei luoghi e dello spirito. Non è un caso che nei quartieri dove è più alto il tasso di dispersione scolastica lo sia anche quello dello spaccio di droghe, o della diffusione dei Compro-oro e dei video poker. Progetti importanti in questo campo ne stiamo portando avanti. Penso al calciosociale di Corviale, una buona pratica che attraverso lo sport recupera centinaia di giovani dall’emarginazione ed ai tanti progetti ancora, premiati anche a livello di Parlamento Europeo. Io sogno una città più vivibile, più solidale, più libera che leghi lo sviluppo collettivo e la modernità alla crescita della comunità civica, senza scalini sociali, senza barriere fisiche e di ceto, di sesso, di razza. Dobbiamo riattivare poi percorsi sul dialogo interreligioso e
Ancora un’immagine della piazza del Campidoglio dove hanno sede l’assemblea e la giunta capitolina.
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Incontri interculturale, lavorando sulle persone migranti a partire dal diritto di cittadinanza per chi nasce e cresce nel nostro paese, passo fondamentale se si vuole costruire davvero una percorso serio e credibile di integrazione. Mi piacerebbe che dopo questi 5 anni la mia, la nostra città, fosse migliore di quella che abbiamo avuto in consegna al momento dell’insediamento, proprio secondo quello splendido concetto di santa Caterina da Siena di città “prestata”. Ecco, vorrei che quando riconsegneremo Roma, i romani abbiano una città migliore, scaldata dalla passione che ci avremo messo, e tangibilmente migliorata dalla competenza, dal servizio, dall’impegno che saremo capaci di mettere in campo per la città. Il tuo essere francescano dentro e nelle radici cosa ti ha dato in più e come lo vivi? Mi ha dato e mi da moltissimo. Riesce a farmi vivere serenamente anche incarichi che fanno tremare i polsi, come occuparsi di un assessorato tanto importante che troppo spesso è appannaggio di personaggi e gruppi che intendono la politica, diciamo, in maniera diversa da come la intendo io. E poi mi permette di “riconoscere” l’altro nella sua individualità e non come rappresentante di qualche interesse o di qualche rapporto di potere; di percepire tutta l’importanza del mio ruolo proprio per mettermi ancora di più in ascolto dell’altro, al suo servizio, nella ferma convinzio-
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ne che sempre e comunque le cose e le persone semplici sono le più belle. Forse è anche per questo “spirito francescano” che il mio primo atto da assessore ho voluto fosse quello di presentarmi personalmente e stringere la mano uno ad uno ai dipendenti dei dipartimenti che sono sotto la mia responsabilità (circa 500 persone): un modo per dire che, al di là dei diversi ruoli, siamo tutti “colleghi”, chiamati insieme a lavorare per rendere la nostra città un luogo migliore. O ancora l’aver approvato come primo atto di Giunta la delibera per lo sviluppo ottimale della legge del Buon Samaritano che permetterà a centinaia di famiglie in un momento di crisi, di utilizzare in maniera costante il cibo che la grande distribuzione rischierebbe di mandare sprecato. A voi posso svelare un piccolo grande “segreto”, un particolare della mia vita per me molto importante e che proprio per questo di solito tendo a preservare: io sono in qualche modo un “figlio francescano”. Mio padre, quando mamma ci lasciò, dopo aver messo in sicurezza noi figli, decise di lasciare tutto e diventare frate francescano dell’ordine dei Frati Minori Rinnovati. Dopo anni di missione in Tanzania, ora è a Palermo. Mi piace pensare che la mia passione, la mia idea di servizio vissuto nella politica, sia in qualche modo una scelta francescana come la sua. Ognuno nel suo campo. Io, almeno, ogni giorno faccio di tutto perché lo sia davvero.
Una splendida veduta da Roma sud, una delle zone periferiche di cui si occupa, con grande zelo, Paolo Masini.
Femminile, plurale
di Anna Pia Viola
La salvezza: dentro o fuori? «H
o pensato a quanto spiacevole sia essere chiusi fuori; e ho pensato a quanto sia peggio essere chiusi dentro». Questa è un’espressione della scrittice Virginia Woolf e mi sembra che rispecchi il bisogno/desiderio di appartenenza e di libertà che ciascuno di noi porta nel cuore. Sintetizzo in questo modo: «Dentro o fuori?». Quando si può dire di essere “dentro” una fraternità, una comunità, un gruppo di amici, ecc. e quando invece se ne è “fuori”? Chi stabilisce il dentro e il fuori? Ma soprattutto qual è il prezzo da pagare per una condizione o l’altra? Ciascuno di noi avrà vissuto un’esperienza per cui si sente di poter dire: «Ero dentro quella situazione ed ora che ne sono uscita fuori, mi sento veramente liberata, sollevata!», per cui il “fuori” non indica esclusione, essere allontanati, ma rivela una condizione interiore di non attaccamento, di “libertà” rispetto a prima. È quello che spiritualmente ci viene sempre ricordato: «Esci dalla tua terra, dalle tue sicurezze…», «Esci da te stesso…», «Non entrare dentro situazioni che non sono il bene per te…». C’è anche un altro significato: “essere fuori” rimanda ad essere trasgressivi, un po’ folli, non conformi alle regole che un gruppo si è dato, non rispondere a dei criteri di omogeneità, non controllabili dalla ragione comune. Come giudicare questo aspetto? Ma è ovvio! È la salvezza! Poter scoprire di essere “fuori”, di essere folli, è il principio di una vita originale in cui
riprendiamo noi stessi, i nostri sogni, e viviamo con i nostri limiti sorridendoci su. Ancor di più, per noi “essere fuori” è una vocazione. Soprattutto chi segue Francesco d’Assisi, e lo segue realmente e non a parole, si mette in ascolto di quella follia che non gli ha fatto temere di dire alle diverse “regole” monastiche o alle regole del viver civile: «No, grazie». Anche un’altra ragazza, santa Elisabetta d’Ungheria, ha vissuto il suo essere “dentro” la sua famiglia, nella sua condizione di moglie, vedova e madre, scegliendo di uscire “fuori” dalle regole imposte. È stata un modello di ubbidienza Elisabetta? Certo! Ha ubbidito, ascoltato, quel tratto di follia che la faceva seguace di Francesco. La sua ubbidienza è stata secondo lo stile di usci-
re fuori dalle imposizioni. Ha fondato un ospedale, ha lottato contro le macchinazioni della suocera e dei cognati che volevano togliere al figlio il diritto di successione al trono. Insomma, una donna certamente consapevole di essere “dentro” una regola, una vita di penitenza, ma non per questo chiusa, ciecamente sottomessa al volere di altri. Forse è proprio la parola “chiusura” che ci dà la misura del nostro essere dentro o fuori una mentalità: se siamo dentro una fraternità non significa che siamo chiusi a ciò che viene dall’esterno, se sentiamo di essere “fuori” da una mentalità di chiusura, certamente siamo “dentro” lo stile evangelico. A ciascuno di noi meditare sul nostro essere “dentro o fuori”. 47
Storie
“Ginettaccio� eroe silenzioso dalla resistenza al nazismo 48
Qui sotto i due grandi campioni Fausto Coppi e Gino Bartali, da poco dichiarato “Giusto tra le nazioni” per aver salvato almeno settecento ebrei tra il 1943 e il 1944.
di Maria Gabriella Filippi
La leggenda del ciclismo italiano è stato proclamato “Giusto tra le nazioni”: tra il 1943 e il 1944 salvò almeno settecento ebrei dalla deportazione nei campi di concentramento.
«A
llenamento, allenamento, ’un mi posso fermare che altrimenti i muscoli mi si raffreddano…». Così esclamava Gino Bartali quando i tedeschi tentavano di fermarlo, e tirava dritto con l’aria da campione toscanaccio che è sul punto di mettere a segno un’altra delle sue grandi vittorie segrete, fino a poco tempo fa non ancora popolari. Sono queste le vittorie che gli hanno guadagnato il titolo di “Giusto tra le Nazioni” dallo Yad Vashem, il sacrario della memoria di Gerusalemme, proprio a fine settembre, nella settimana dei 49
Storie
mondiali di ciclismo che si sono svolti a Firenze, nella sua terra. Durante i suoi presunti allenamenti, il ciclista diventava il numero uno di una vera e propria staffetta clandestina attraverso le campagne umbre e toscane, trasportando documenti falsi avanti e indietro, da Assisi a Firenze, nascosti sotto il telaio della sella e nella canna della bicicletta. Nato nel 1914 a Ponte a Ema, vincitore di tre Giri d’Italia e due Tour de France, tra il 1943 e il 1944 Bartali fece parte di una rete di salvataggio gestita da Elia Angelo dalla Costa, arcivescovo di Firenze e suo amico, che ne aveva celebrato il matrimonio, e dal rabbino Nathan Cassuto. «Così, celandoli sotto nuova identità, ha salvato settecento o anche ottocento ebrei dalla deportazione nei campi di concentramento», ha raccontato il figlio Andrea Bartali ricordando come il padre non amasse parlare delle sue attività sotto i tedeschi, poiché – diceva – «il bene si fa ma non si dice. Non è bene speculare sulle sventure altrui»; discreto e assolutamente schivo, non volle che venisse documentato nulla di quello che aveva fatto. 50
Ancora Fausto Coppi (sulla destra) e Gino Bartali, simboli dell’agonismo ciclistico dell’Italia a cavallo della seconda guerra mondiale. Una passione per lo sport e per la giustizia. Tanto che Gino Bartali ha sfidato le leggi razziali portando nella canna della sua bicicletta diversi documenti necessari per nascondere centinaia di famiglie ebree.
Affontare il mondo a viso aperto di Chiara Vecchio Nepita. Intervista ad Andrea Bartali raccolta da Simona Mulazzani
Festival Francescano ha ospitato Andrea Bartali, figlio del grande campione del ciclismo. Proponiamo ai lettori di FVS un’intervista ad Andrea Bartali raccolta, durante i giorni del Festival, da Simona Mulazzani di Icaro Tv. Voi, quello che aveva fatto il papà per gli Ebrei lo sapevate, vero? Lo sapevo io. Mia madre l’ha saputo solo dopo la scomparsa di mio padre; lei è un tipo molto apprensivo, pertanto ha preferito non dirle niente. L’ha detto a me perché ha visto, oltre a un figlio, un amico, un confidente; ma con la promessa solenne di non riportare niente a nessuno fintanto che non avrei capito quando sarebbe stato il momento giusto. Ora che quel momento è arrivato, ho fatto una biografia su di lui, ho parlato in molte occasioni mostrando che mio padre non era soltanto un grande corridore, ma anche un uomo di Fede, un uomo di Coscienza che voleva portare aiuto al prossimo. Gino Bartali ha nascosto nella can
na della bicicletta documenti per gli Ebrei che dovevano scappare, fin gendo di allenarsi, soprattutto mos so da una grande Fede.
Papà si è iscritto all’Azione Cattolica all’età di dieci anni. Nel ’36 prese i voti di Terziario Carmelitano. Lui diceva che se dai un buon esempio, la gente ti segue… Nel Dopoguerra, la grande rivalità tra tuo papà e Coppi ha risollevato davvero l’Italia. Mio padre non capiva la guerra ma fu il suo esempio ad essere seguito: quello di non arrendersi mai. Qual è il più grande insegnamento che ti ha lasciato papà? Quello di non abbassare mai le braccia, di affrontare il mondo a viso aperto.
In alto Andrea e Gino Bartali nella copertina del libro che racconta la vita del grande ciclista, scritta dal figlio. A fianco: Andrea Bartali con Moni Ovadia e fra Prospero Rivi durante l’ultima edizione del Festival Francescano. 51
Storie Solo la figlia del rabbino Cassuto, aiutato dallo stesso Bartali a sfuggire alle grinfie naziste, rivela che, in una commossa conversazione con lui, venne a conoscenza delle coraggiose imprese perpetrate durante l’occupazione tedesca. Imprese riportate nel libro Road to Value, finalmente approdato in Italia con il titolo La strada del coraggio – Gino Bartali eroe silenzioso, e imprese stampate a caratteri di fuoco nella memoria dei sopravvissuti: uno di questi, Shlomo Pas, allora Giorgio Goldenberg, conserva con orgoglio l’autografo e la bicicletta regalatagli dall’eroe del ciclismo all’età di nove anni. Era il 1941 e ancora non avrebbe potuto immaginare che due anni dopo sarebbe finito a rifugiarsi in un convento, dove, in un secondo momento, sarebbe stato raggiunto dai familiari che erano rimasti nascosti per alcuni mesi nell’appartamento di via del Bandino. Anche l’italiano Renzo Ventura testimonia di come i suoi genitori avessero ricevuto le identità false da un inaspettato corriere clandestino. Una volta, quando venne fermato ad un posto di blocco, Bartali chiese con fermezza ai tedeschi che lo perquisivano, di non toccargli la bicicletta, poiché le parti che la componevano erano bilanciate in modo da poter acquistare la massima velocità sulla strada.
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A coloro che successivamente cercarono di capire le motivazioni che spingevano Bartali ad affrontare simili situazioni, rischiando la fucilazione, lui, cristiano fervente, spiegava semplicemente di obbedire alla propria coscienza. Sapeva di rischiare la vita, certo, come era convinto sempre che la vittoria di un Tour non fosse mai in tasca; per questo alla domanda su come facesse a vincere il Gran Tour, rispose: «Pregare, pregare». Al miracolo in bicicletta lui credeva fino in fondo.
Oltre il segno del
Battesimo
di fratel MichaelDavide Semeraro e fratel Andrea Serafino Dester, Koinonia La Visitation
I 36 giusti: una speranza
O
gni generazione conosce l’avvicendarsi di 36 uomini giusti – lamedvavnikim –, dalla cui condotta dipende il destino dell’umanità: questo dice la tradizione ebraica. Il resto dell’umanità, che continua a vivere nella pace e in una certa prosperità proprio grazie alla loro presenza nascosta ma efficace, non sa neppure che proprio la rettitudine di costoro fa sì che il mondo continui a vivere e possa beneficiare ancora di un’opportunità di incremento di vita e di gioia. Questi Trentasei Giusti vedono la divina Presenza ed è proprio questo loro costante rapporto con Dio che fa sussistere il nostro mondo, trasformandolo continuamente in un ambito sempre possibile di redenzione e di conversione. L’origine di questa tradizione nel mondo ebraico risale ad Abaye – uno degli Amoraim, maestri vissuti tra il III e il VI secolo a.C. tra Israele e Babilonia – a cui si deve un’importante opera di commento alle Scritture denominata Gemara. Questo giusto della tradizione ebraica ebbe a dire: «Ci sono almeno 36 uomini giusti (Tzaddikim) in ogni generazione che manifestano di contenere la Shechina (Presenza Divina). È scritto, felici coloro che attendono lui (lo) [il Suo arrivo]» (Sanh 97b; Suk 45b). Se scomponiamo la parola, Lamed-Vav Tzaddikim, troviamo che lamed è la dodicesima lettera dell’alfabeto ebraico, che corrisponde numericamente a 30, vav è la sesta lettera, equivalente al numero 6, sicché lamed-vav è un modo alternativo di descrivere il numero 36; tzaddikim significa uomini giusti. Il valore numerico di lo, che significa “Lui” è 36 e si riferisce a un verso contenuto in Is 30,18: «Eppure il Signore aspetta per farvi grazia, per questo sorge per avere pietà di voi,
beati coloro che sperano in lui!». Viene comunemente interpretato: beati coloro che sperano nei 36, nel senso di fare affidamento su questi 36 uomini giusti. Il numero è certamente simbolico, essendo un multiplo di dodici, ma non ha un’interpretazione univoca per cui possiamo pensare che esso raccolga in sé il meglio della nostra umanità, capace di cercare e desiderare la presenza di Dio, perché il mondo e la storia siano illuminati e trasformati dalla e per la sua infinita misericordia. Infatti secondo R. Simeon bar Yohai, maestro nell’epoca della Mishna (II sec.), i giusti di ogni generazione sarebbero almeno trenta (GenR 35,2), mentre secondo R. Simeon bar R. Jehotsadak (III sec.) i giusti sono quarantacinque: trenta in terra di Israele e quindici fuori di essa. Il numero di trentasei si afferma infine tra le varie tradizioni, perché definitivamente adottato dalla Cabbala. In ogni caso ciò che è di grande consolazione è la certezza che ogni generazione esprime un certo numero di persone in grado di riscattarla dai lacci dell’egoi-
smo e del male, così da permettere alla creazione di sussistere e alla storia di essere il luogo di quella divina pazienza che spinge alla conversione. Detto in altre parole, in ogni momento della storia ci sono dei santi, giustamente nascosti e che nessuno riesce a vedere, perché l’anonimato è la loro forza. Resta ancora da chiarire se questi giusti hanno coscienza di esserlo o sono persino nascosti a se stessi come il seme di un’umanità nuova in cui radica il seme divino. La tradizione dei Trentasei Giusti è divenuta familiare al mondo cristiano a partire dal 1959 con la pubblicazione di un romanzo: L’ultimo dei Giusti. In esso i Trentasei sono presentati come una linea dinastica legata al martirio e così l’ultimo della dinastia muore ad Auschwitz. Ma la tradizione concorda sul fatto che a nessuna generazione mancherà la speranza di Trentasei Giusti, nella cui ricerca di verità e di giustizia è racchiuso il pegno di un futuro in cui tutti gli uomini saranno tra loro solidali per cercare al meglio il bene per tutti. 53
Cinema
Ecco i protagonisti di “La grande bellezza�: in alto a sinistra il grande Toni Servillo. A fianco Sabrina Ferilli e qui sotto Carlo Verdone. 54
“LA GRANDE BELLEZZA”: una Roma da Oscar
Il film di Paolo Sorrentino ha la concreta speranza di entrare nella cinquina dei film stranieri candidati all’Oscar: lo sapremo il 16 gennaio, sull’onda di un fiume di recensioni simpatizzanti.
L
di Federico Pontiggia
a Commissione di Selezione per il film italiano da candidare all’Oscar istituita dall’Anica, su invito della “Academy of Motion Picture Arts and Sciences”, riunita davanti a un notaio e composta da Nicola Borrelli, Martha Capello, Liliana Cavani, Tilde Corsi, Caterina D’Amico, Piera Detassis, Andrea Occhipinti e Giulio Scarpati, ha designato “La grande bellezza” di Paolo Sorrentino, a rappresentare il cinema italiano alla selezione del Premio Oscar per il miglior film in lingua non inglese. L’annuncio delle cinquine che parteciperanno al premio Oscar per il miglior film in lingua non inglese sarà dato giovedì 16 gennaio 2014, mentre la cerimonia di consegna dell’86esimo premio Oscar si svolgerà domenica 2 marzo 2014. L’Italia non raggiunge la nomination dal 2006 con “La bestia nel cuore” di Cristina Comencini, mentre la statuetta manca dal 1999 con “La vita è bella” di Roberto Benigni. Uscito il 21 maggio nelle sale italiane, “La grande bellezza”, affresco esistenzial-capitolino interpretato da Toni Servillo, Carlo Verdone e Sabrina Ferilli, ha totalizzato in 18 settimane di program55
Cinema
mazione 6.554.757 euro al box office italiano. Il 15 novembre uscirà a New York e successivamente in altre città americane. I più seri concorrenti per l’entrata in cinquina de “La grande bellezza” paiono: il romeno “Il caso Kerenes, Walesa” del polacco Andrzej Wajda, “Wadjda” di Haifaa al-Mansour, primo film firmato da una regista saudita, “The Grandmaster” di Wong Kar-wai e il cileno “Gloria”. Fondamentale nella corsa verso la statuetta è l’appeal internazionale: quali erano state le rea zioni della critica dopo l’anteprima al festival di Cannes? Ha scritto Jay Weissberg su “Variety”: «Un’intensa e spesso sorprendente festa cinematografica che onora Roma in tutto il suo splendore e superficialità», mentre il collega del “Guardian” Peter Bradshaw ha sottolineato che «la grande bellezza, come la grande tristezza, può significare amore, sesso, arte o morte, ma soprattutto significa Roma, e il film vuole annegare nell’insondabile profondità della storia e della mondanità romana». Fronte “Hollywood Reporter”, Deborah Young osservava che «fortunatamente il regista Paolo Sorrentino sa fare di meglio che imitare il gigantesco Fellini e “La grande bellezza” è molto più di un inchino riverente, ripartendo da dove “La dolce vita” ci ha lasciati 53 anni fa». Ancora, “Screen International” per penna di Lee Marshall: «Certamente questa miscela di satira sociale e di malinconia esistenziale, questa ricerca della poesia anche ridicolizzando la poesia stessa è stato già fatto da Fellini. Ma “La grande bellezza” rimane una straordinaria esperienza cinematografica». Infine, il francese “Première” con Frédéric Foubert: 56
Ancora Toni Servillo e Isabella Ferrari, altra grande attrice nel cast. Sotto la locandina del film di Sorrentino. Nella pagina a fianco uno scatto de “La grande bellezza”.
UNA STATUETTA… DA SOGNO
L’Academy Award, comunemente conosciuto come Oscar, è il premio cinematografico per antonomasia, uno dei più importanti a livello mondiale e il più antico, giacché venne assegnato per la prima volta nel 1929 prima del Festival di Venezia che venne assegnato per la prima volta nel 1932. I premi vengono conferiti dall’Academy of Motion Picture Arts and Sciences, un’organizzazione professionale onoraria costituita da personalità che hanno portato avanti la loro carriera nel mondo del cinema quali attori, registi, produttori e tanti altri, e che al 2007 contava oltre 6.000 membri votanti. Il nome ufficiale della statuetta dorata è Academy Award of Merit, mentre vi sono varie versioni su come venne coniato il nomignolo Oscar. Secondo la
più accreditata, esso originò da un’esclamazione di Margaret Herrick, impiegata all’Academy of Motion Picture Arts and Sciences, la quale, vedendo la statuetta sopra un tavolo, esclamò: «Assomiglia proprio a mio zio Oscar!». La statuetta è placcata in oro 24 carati (ma durante gli anni della seconda guerra mondiale, per motivi economici, fu in gesso), è alta 35 centimetri e ha un valore commerciale di 295 dollari e inoltre i vincitori sono invitati a non venderla ma, casomai, restituirla all’Academy of Motion Picture Arts and Sciences. Di lei disse una volta la sceneggiatrice Frances Marion: «È un simbolo perfetto dell’industria cinematografica: un uomo con un corpo forte e atletico che stringe in mano una grossa spada scintillante, e a cui è stata tagliata una bella fetta di
testa, quella che contiene il cervello». Il nome Oscar è, inoltre, un marchio registrato della stessa Academy of Motion Picture Arts and Sciences. I premi vennero consegnati per la prima volta nella Blossom Room dell’Hollywood Roosevelt Hotel di Los Angeles il 16 maggio 1929, ma i nomi dei vincitori erano già stati annunciati tre mesi prima. Per qualificarsi un film doveva uscire nella città californiana nei dodici mesi terminanti il 31 luglio dell’anno precedente. Dal 1934 la candidatura è valida se il film è uscito nell’anno solare precedente. La Notte degli Oscar è una cerimonia molto elaborata, nella quale gli invitati fanno sfoggio delle creazioni dei più celebri stilisti, e viene trasmessa dalle televisioni di tutto il mondo. 57
Cinema In questa pagina, ancora fotografie dei protagonisti del film di Sorrentino: Toni Servillo, Sabrina Ferilli e Isabella Ferrari.
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Un momento dello splendido film in lizza per entrare nella cinquina che partecipa alla cerimonia di premiazione del grande riconoscimento dell’Oscar al miglior film straniero.
LE DUE SOLITUDINI
Il suicidio di un grande regista, Carlo Lizzani, apre la riflessione su speranza e disperazione di fronte a un gesto tremendo che scuote la coscienza di credenti e non credenti. di Paolo Bustaffa C’è una solitudine che, come un tarlo, scava un uomo, giorno dopo giorno, gli toglie il respiro dell’anima prima ancora che quello del corpo. È uno scavo silenzioso e muto ed è sempre troppo tardi quando ci si accorge dello scempio compiuto. E così davanti alla tragedia annunciata il dolore si accompagna alla domanda bruciante sul perché di un gesto così tremendo. Carlo Lizzani è stato l’ultimo di un lungo elenco di persone che hanno deciso di chiudere la propria esistenza terrena togliendosi la vita. Un elenco di uomini e donne che spesso nelle loro opere hanno raccontato con grande sensibilità la vita degli altri. Anche questo non è bastato per fermare un salto tremendo. Uccidersi a novantuno anni è interrompere bruscamente un tramonto e cancellare i suoi stupendi colori. Colo-
ri che, a pensarci bene, assomigliano tanto a quelli dell’alba. Per cancellarli è, però, necessario prima riconoscerli e ammirarli: la grande questione nasce proprio a questo punto. Si può arrivare al tramonto e scoprirlo senza colori perché questi si sono sbiaditi, sono addirittura scomparsi nello scorrere delle ore del giorno. Ore, spesso, di grande solitudine, di smarrimento, di sofferenza. E così, quando inesorabilmente si avvicina la notte, l’unico colore che rimane è il nero. Gli occhi dell’uomo si fissano su questo colore, non riescono ad andare oltre. Con gli occhi si ferma il pensiero che lascia l’ultima parola al buio e non osa chiedersi se dopo le tenebre ci saranno le luci dell’alba. Il pensiero cede così il passo alla solitudine della disperazione che è l’esatto contrario della solitudine della speranza.
Non è un gioco di parole, neppure uno slogan e, ancor meno, un tentativo di esprimere un giudizio sulle scelte sofferte di un uomo. Dalla differenza tra le due solitudini viene piuttosto l’invito, lieve e fermo, a ritrovare il significato più alto del vivere, del soffrire e del morire: ritrovarlo e comunicarlo con il linguaggio della prossimità, della condivisione, della ricerca comune della verità. È su questi sentieri che il dialogo tra la fede e la ragione è chiamato oggi più che mai a muovere passi in avanti con quella retta coscienza, con quel rispetto e con quella tenerezza che sono propri del viandante cristiano. Forse questo camminare insieme è mancato a uomini e donne che hanno deciso di chiudere con un gesto tremendo gli occhi davanti ai colori del tramonto perché non riuscivano più a scorgerli e, di conseguenza, ancora meno riuscivano a scorgere i colori dell’alba dietro il buio delle ore notturne. Forse accanto a loro non c’era nessuno che, tenendoli per mano, indicasse una luce invisibile a occhio nudo. Anche questi uomini e donne non sono morti invano, hanno bussato e bussano alla coscienza di credenti e non credenti perché la solitudine della speranza e non la solitudine dalla disperazione abbia l’ultima e credibile parola. 59
Cinema «I virtuosistici movimenti di camera che troncano il respiro e fanno sgranare gli occhi, la sensazione paralizzante di un montaggio pop, un pensiero che si manifesta con un ritmo quasi allucinatorio. Fin dalle prime immagini di “La grande bellezza”, si capisce che ci siamo! […] Questa altezza della visione estetica, questa disperazione crepuscolare, danno a “La grande bellezza” l’impronta di una “summa filmica”, del testamento di un vecchio maestro, salvo che il “vecchio maestro” in questione ha 42 anni». Recensioni di buon auspicio, vedremo. Ma, appunto, che film è “La grande bellezza”? Sorrentino ci dà due notizie. Prima la cattiva: di bellezza si può morire. Poi la buona: non moriamo noi, a rimanerci secco è un giapponese, reo di scatti compulsivi dal Gianicolo. Protagonista, lo straordinario Toni Servillo, che è tornato a lavorare per la quarta volta con il regista: è Jep Gambardella, 65 anni, re dei mondani, giornalista e scrittore con un solo libro all’attivo, “L’apparato umano”. Cita Flaubert, l’impossibile romanzo sul niente, si perde in mille chiacchiere alto borghesi, galleggia tra cinismo e disincanto in un mondo, per dirla con Cetto La Qualunque, in cui è «Tutto tutto, niente niente». Tra il Fellini di “Roma” e “La dolce vita” e l’Ettore Scola de “La terrazza”, “La grande bellezza” è un film “bigger than life”, ambizioso senza arroganza, smisurato ma con proporzioni auree, sacro e profano, Celine (“Viaggio al termine della notte”) e canti gregoriani, cafone e beato: in mezzo lui, Jep, che sogna il primo amore smarrito e si consuma con stile per la creatività perduta, guardando il mare della giovinezza sul soffitto del suo appartamento vista Colosseo… Qui sotto Roberto Benigni con Nicoletta Braschi alla cerimonia della premiazione degli Oscar quando vinse con “La vita è bella”. Sopra ancora Sabrina Ferilli e qui a fianco Isabella Ferrari, entrambe impegnate nel film di Sorrentino.
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Segni & Tracce da leggere, da vedere, da ascoltare
Morricone dà voce a
Lampedusa
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Il “teatro dei Frati”,
Ecco il tema della
La “musica impossibile”
il Cardinal Massaia
“Giornata
rompe
motore di cultura
delle comunicazioni
le frontiere
per Torino
sociali 2014”
della disabilità
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Segni & Tracce
Ennio Morricone dà voce ai morti di Lampedusa Il grande compositore italiano ha scritto una partitura per orchestra in memoria delle vittime delle tragedie nel Mediterraneo. Prima esecuzione a Milano il 2 novembre. IMMAGINI E STUPORE DALLA TERRA SANTA Presso la Libreria Terra Santa di Milano fino al 4 gennaio 2014 è esposta la mostra fotografica “Da Nazareth a Gerusalemme, duemila anni dopo”, con gli scatti di Paolo Miramondi. Un percorso di oltre trenta immagini in bianco e nero e grande formato, che regala della Terra Santa un’immagine profonda, intima e di grande stupore. «Sono stato in Terra Santa per la prima volta nel 2011 – racconta Miramondi – per un pellegrinaggio a piedi, da Nazaret a Gerusalemme, con la mia famiglia. Una tragedia familiare ci aveva colpiti e siamo andati in cerca di una risposta. Invece abbiamo trovato altre domande. Da quel momento sono tornato in Terra Santa altre tre volte». La mostra, visitabile gratuitamente (martedì-venerdì ore 10.30-19.00; sabato ore 10.3013.00, 14.00-19.00), viene esposta per la prima volta a Milano.
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V
edere e toccare la croce fatta con il legno dei barconi naufragati a Lampedusa, una croce donata anche a due papi, Benedetto e Francesco, non ha lasciato indifferente un grande artista come Ennio Morricone, il più famoso compositore italiano vivente, che durante la sua lunga e gloriosa carriera ha scritto musiche per teatro, radio, televisione e cinema. E che si è commosso ripensando al naufragio del 3 ottobre scorso e a tutti i viaggi della speranza che negli ultimi 20 anni hanno trasformato il Mediterraneo in un’immensa fossa comune liquida per almeno 20mila persone in fuga da guerre, persecuzioni e miseria. È nata così, nella sua casa romana la musica della “Voce dei sommersi”, una partitura di cinque minuti e mezzo che Ennio Morricone ha composto di getto e orchestrato e che verrà ascoltata per la prima volta in pubblico alle 21,30 di sabato 2 novembre nella chiesa milanese di Santa Maria Incoronata. «A Milano – spiega Morricone – un gruppo di persone il 2 novembre ricorderà le vittime e ho voluto comporre una musica per dare il mio contributo. All’inizio volevo chiamarlo “cantico” dei sommersi. Ma chi è morto non può cantare, dobbiamo onorarne la memoria. È una musica che ho cominciato a sentire quando ho visto la croce di legno. Una musica molto triste, che vuole restituire almeno per un attimo la voce a tutti coloro che giacciono in
fondo al mare Mediterraneo, a tutte le vittime di queste tragedie dell’immigrazione». Maestro, cosa l’ha colpita umanamente della vicenda di Lampedusa? «La disperazione che costringe queste persone a fuggire e a non fermarsi neppure davanti al rischio di morire. Giovani uomini, donne, bambini: una disperazione immensa e senza voce. Tutte le tragedie di Lampedusa sono mute, nessuno ce le ha raccontate. Abbiamo visto le bare, ma sappiamo poco o nulla della vita di questi profughi che arrivano dalla costa libica, tunisina o egiziana e che, a loro volta, sono fuggiti da guerre, persecuzioni e sofferenze in altri paesi». Cosa si può fare per evitare queste tragedie del mare? «Approvo la decisione del governo italiano di avviare un pattugliamento con navi e aerei nel Mediterraneo. Almeno possiamo individuare i profughi sulle carrette e salvare le loro vite accompagnandoli nei nostri porti». La musica può contribuire a scuotere le coscienze europee troppo indifferenti? «No, la musica può dare solo emozioni. Mi basta che si riesca per pochi istanti a ricordare i morti, i sommersi, creando un legame tra l’Africa dalla quale sono partiti e l’Europa dove non sono mai arrivati».
Segni & Tracce Francesco nella sua essenza: il midollo del Vangelo
Il 53% dei ragazzi di 9-16 anni possiede uno Smartphone e il 48% lo usa quotidianamente per andare online. Sono questi i dati emersi dal primo report del progetto di ricerca europeo “Net children go mobile”. «In Italia – commenta Giovanna Mascheroni, ricercatrice dell’Università Cattolica di Milano e coordinatrice della ricerca – il 42% dei ragazzi che usano Internet accede alla Rete quotidianamente dallo Smartphone. Solo il 7% dei ragazzi italiani ha un cellulare che non permette la connessione a Internet». Il rapporto mostra anche il consolidamento di una tendenza già in atto, vale a dire la privatizzazione dell’accesso e dell’uso di Internet. «Gli Smartphone – continua la ricercatrice – creano così nuovi spazi privati anche all’interno del contesto domestico», che resta il principale luogo di accesso alla Rete.
Ecco il tema della “Giornata delle comunicazioni sociali 2014” Promuovere una comunicazione al servizio di un’autentica cultura dell’incontro è possibile. E ce lo sta insegnando papa Francesco con la sua grande capacità mediatica. Monsignor Celli, presidente del Pontificio Consiglio delle comunicazioni sociali, spiega la scelta del tema della Giornata mondiale 2014, “Comunicazione al servizio di un’autentica cultura dell’incontro”, proprio a partire dallo stile comunicativo di papa Francesco. Una comunicazione fatta non solamente di parole, ma anche di gesti. «Il mondo di oggi con le sue enormi potenzialità ha certamente favorito la diminuzione delle distanze, ma nello stesso tempo, gli uomini e le donne di oggi percepiscono un disorientamento e un vuoto che non riescono a spiegare. Promuovere «una comunicazione al servizio di un’autentica cultura dell’incontro», quindi, «significa muoversi verso l’altro, fare il primo passo, tendere la mano».
scaffale
GENERAZIONE SMARTPHONE: I NUMERI IN ITALIA
«Udendo che i discepoli del Cristo non dovevano possedere oro o argento o denaro, né portare per via bisaccia né sacca né pane né bastone, né avere calzari né due tuniche, ma predicare il regno di Dio e la penitenza, esclamò: “Questo è ciò che voglio; questo è ciò che chiedo; questo desidero fare con tutto il cuore”». L’esperienza umana e religiosa di frate Francesco, nella concretezza della società civile ed ecclesiastica e delle vicende degli inizi del secolo XIII, quali si possono ricavare innanzitutto dai suoi scritti e da fonti e documenti che le trasmettono in modo attendibile: queste pagine ci offrono un ritratto semplice e insieme estremamente puntuale e documentato, quale solo poteva venire da uno dei maggiori studiosi di Francesco e del francescanesimo. Non mancano riferimenti alle sorprendenti strumentalizzazioni politicoideologiche che intorno alla figura di san Francesco d’Assisi si sono consumate, ieri come oggi. Grado Giovanni Merlo, Frate Francesco, Il Mulino, pp. 181 euro 15
La vita e le parole di Chiara raccolti nelle “Fonti” L’opera dedicata a Chiara d’Assisi che integra e completa le Fonti Francescane. Il volume raccoglie tutti gli scritti, le biografie e le testimonianze (dal XII al XVI secolo) di una tra le figure più alte della spiritualità occidentale. Un’opera di facile consultazione, completa di introduzioni storiche e commenti esegetici, con un ricco apparato di note, citazioni interne e una numerazione marginale progressiva. Molti di questi testi erano già disponibili al pubblico ma in edizioni separate, lontane tra di loro, sia per i criteri con cui furono realizzate, sia per gli intenti perseguiti. Altri testi erano invece meno agevolmente accessibili o addirittura non tradotti affatto in lingua italiana. Altri ancora erano del tutto sconosciuti e vengono qui pubblicati per la prima volta. Le Fonti Clariane si presentano dunque come uno strumento prezioso – unico nel suo genere – destinato non solo agli studiosi, ma ad un vasto pubblico: per comprendere le radici, i presupposti e gli sviluppi del messaggio francescano. Giovanni Boccali (a cura di), Fonti clariane. Scritti, biografie, testimonianze, testi liturgici e sermoni, Edizioni Porziuncola, pp. 1368 € 60,00 63
Segni & Tracce
Il “teatro dei Frati”, motore di cultura per Torino Il “Massaia” viene da una lunga tradizione nata all’inizio del ’900 ed è oggi un punto di riferimento per molte iniziative culturali e di spettacolo nel capoluogo piemontese. RELIQUIE FRANCESCANE IN MOSTRA A ROMA Nella chiesa di San Francesco a Ripa, in Trastevere, unica casa del “Poverello d’Assisi” a Roma, oltre alla Cella del Santo, è custodito un ricco ed antico patrimonio di oggetti sacri, accumulatosi sin dalla nascita del primo nucleo dell’Ordine Francescano nell’Urbe, tra cui 293 autentiche reliquie e alcuni preziosi parati liturgici che necessitavano di urgenti e specifici interventi di restauro. Reliquie e paramenti, oggetti di natura differente, che esprimono un messaggio comune: come la venerazione della reliquia pone in relazione diretta con l’esperienza di Dio vissuta dal Santo, allo stesso modo le immagini e i simboli ricamati nei parati cercano di rendere sensibile e di trasmettere il racconto di un mondo immateriale. Nella chiesa romana all’inizio di ottobre si è svolta una mostra degli oggetti sacri restaurati: un’ampia selezione delle più rare autentiche con le annesse reliquie e l’antico parato dell’Immacolata Concezione. 64
A
Torino lo chiamano «il teatro dei Frati», ma il Teatro Cardinal Massaia è oggi uno dei punti di riferimento più significativi della cultura non solo di ispirazione cattolica nella città subalpina. Il “Massaia” pone le sue fondamenta all’inizio del secolo scorso quando, già nel 1903, esisteva accanto alla parrocchia Madonna di Campagna di Torino «un teatro piccinino, appollaiato in alto e con una temperatura da bagno russo... sfogatoio di bollori artistici» della Compagnia Vittorio Amedeo II. Ripresa la normalità dopo la Prima Guerra Mondiale, il 28 giugno 1925 viene inaugurato il nuovo Salone Cardinal Massaia, attrezzato anche per proiezioni cinematografiche, conferenze, accademie. La “Filodrammatica del Circolo” porta in scena farse e commedie e invita altre compagnie per serate «d’onesti intrattenimenti ricreativi e di educazione morale, religiosa e sociale», sovente con scopi benefici. Poi la Grande Guerra e il bombardamento dell’8 dicembre 1942: la chiesa Madonna di Campagna è completamente distrutta e il vicino teatro – gravemente compromesso – è frettolosamente ricostruito e adibito a chiesa provvisoria. Terminata la guerra, è allestito per alcuni anni un saloncino, con programmazione quasi esclusivamente cinematografica. Ricostruita la chiesa, si pensa anche al teatro: il 28 aprile 1956 è inaugurata la nuova sala con una proiezione in cinemascope. Poche le recite
teatrali. Nei successivi Anni ’70 la crisi del cinema di periferia fa ventilare l’ipotesi di chiusura, finché l’associazione “Il Borghiere” inizia a proporre stagioni teatrali sempre più apprezzate. Il resto, dopo la pausa per i lavori di adeguamento dal 1988 al 1990, è storia recente: compagnie professionali, gruppi di ottima qualità, compagnie amatoriali per spettacoli di prosa. Rassegne per i più piccoli, operette, cabaret, conferenze (da 26 anni Lunedì Cultura), proposte per le scuole, saggi, danza; scuola di teatro per adulti e bambini. Dal 2009, le attività del Teatro Cardinal Massaia sono gestite da una Cooperativa (la 3ATRO) costituita da alcuni giovani, appassionati al mondo del teatro ed attivi in questo settore da molto tempo. L’obiettivo della cooperativa è quello di dare lavoro a quei ragazzi che fino ad oggi hanno collaborato con il teatro parrocchiale in un rapporto di volontariato e, non ultimo, creare opportunità di lavoro giovanile. Numerose le attività di rilievo che trovano sede al Massaia. Appena partita nell’autunno 2013 la Rassegna “Con Occhi Nuovi”, che vuole inserirsi all’interno del pressante invito della Chiesa e di papa Francesco a ripensare l’evangelizzazione proponendo le cose di Dio nelle cose dell’uomo.
Segni & Tracce
Tv 2000 in crescita lancia l’X Factor cattolico Un “X Factor” cattolico, ma che non esalta talenti individuali, bensì “comunitari”. Si potrebbe definire così una delle novità del palinsesto di Tv2000, che darà spazio ai cori di tutta Italia: professionisti e dilettanti, maschili e femminili, di parrocchia e di montagna. La partenza del talent show è prevista per gennaio, per la conduzione di Arianna Ciampoli. Oltre alla gara ci sarà spazio per l’approfondimento sulla storia e sulla vita di tutti i giorni dei singoli cori. Ad annunciare la messa in onda di questo innovativo spazio di prima serata è il direttore di Tv2000, Dino Boffo, che rivela il segreto del successo dell’emittente dei cattolici: due parole, “professionalità” ed “empatia”, necessarie per raccontare alla gente papa Francesco. E gli ascolti premiano questa linea: il 7 ottobre, sono stati oltre 3 milioni e 700mila i contatti registrati da Tv2000 durante la maratona televisiva in diretta dedicata alla visita di papa Francesco ad Assisi. La media di giornata è stata del 2.21% con picchi
che hanno toccato l’8,44% nella mattina. Tra le 8.30 e le 11.30 gli ascolti sono stati sempre sopra il 5%. In questa fascia oraria la media è stata del 6.53%, dato che ha collocato Tv2000 al quinto posto della classifica delle
tv generaliste italiane, subito dopo Rai1, Canale 5, La7 e Rai3. Secondo il direttore DIno Boffo, “l’effetto Francesco” richiede un supplemento di responsabilità da parte dei media: «Questo è un Papa che rompe gli schemi, rompe le incrostazioni e ci obbliga a ripensare le nostre priorità. In poco tempo ha cancellato non la Curia, ma la corte papale: ha le idee talmente chiare da creare qualche rigetto, anche da parte della stampa».
LA MUSICA ROMPE LE BARRIERE DELLA DISABILITÀ Il Centro “Bignamini-Fondazione Don Gnocchi” di Falconara Marittima (An) ha promosso, alla fine dello scorso ottobre, la VII edizione del “Festival della musica impossibile”, incontro nazionale
delle diverse abilità musicali. Il Festival è un’iniziativa incentrata sulla libera espressione musicale. «Fare della buona musica ad alto livello – dicono gli organizzatori – può sembrare una sfida impossibile per chi ha difficoltà a muoversi, a parlare o semplicemente a pensare. È l’impossibilità di fare una cosa la rende di solito più curiosa e interessante». Durante le precedenti edizioni sono stati ospitati decine di Centri di riabilitazione, socio-educativi, associazioni e gruppi musicali da tutta Italia. È stato dato risalto a numerose iniziative artistiche che utilizzano la musica quale elemento facilitatore di percorsi di recupero in ambito riabilitativo, psichiatrico e sociale.
Il Centro Televisivo Vaticano compie 30 anni «Convergere anziché concorrere». Una “strategia”, ma anche una direzione di marcia, che implica la capacità di «mantenere la prospettiva evangelica in questa specie di autostrada globale della comunicazione», tenendo conto che «in questi decenni la tecnologia ha viaggiato a grande velocità, creando inaspettate reti interconnesse». A indicarla ai media cattolici è il Papa, nel messaggio inviato ai partecipanti al convegno per i 30 anni del Centro televisivo vaticano, nato il 22 ottobre 1983 per volontà del beato Giovanni Paolo II. Quello della televisione che «racconta il Papa al mondo» – ha assicurato il direttore, monsignor Dario Edoardo Viganò, concludendo l’incontro che si è svolto a Roma presso la sede della stampa estera – è proprio un lavoro «di gruppo, di insieme, che consiste nell’aggregare una serie di professionalità attorno a una progettualità condivisa».
Sta nel binomio «informare – documentare» la «missione in comune» di Rai e Ctv. A sottolinearlo, intervenendo al convegno, è stata la presidente della Rai, Anna Maria Tarantola, segnalando che il Ctv «è diventato un punto di riferimento nel mondo della comunicazione», e in comune con la Rai ha la missione “di servizio”: l’auspicio, per Rai e Ctv, è «creare ponti tra credenti e non credenti». Oltre al messaggio del Papa, al Ctv è arrivato anche quello del presidente Giorgio Napolitano, secondo il quale le «linee portanti» del Ctv, avviato su «un importante percorso d’innovazione», sono «le tematiche legate al rispetto della persona, il messaggio di pace e di speranza di cui la Chiesa si fa portatrice in una fase storica di notevoli cambiamenti culturali, politici e sociali, il senso di responsabilità verso le generazioni presenti e future». 65
Sipario
La sindrome di Agassi
L’editoriale dell’ultima pagina
di Ettore Colli Vignarelli
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C’
è una notizia che negli ultimi giorni di ottobre mi ha colpito lasciandomi sbalordito. Non è una notizia da prima pagina. Non riguarda Obama o la Cina, la Merkel o il Sudamerica. Riguarda un padre di Treviso incriminato per aver costretto il figlio 14enne a fare uso di doping per vincere gare di nuoto. Sono davvero rimasto senza parole. Ci ho pensato e ripensato. La storia è incredibile. Quel padre voleva che il proprio figlio diventasse a tutti i costi un campione a livello internazionale. Un’ambizione, che può perfino essere considerata legittima, almeno nell’intenzione iniziale, ma che, però, si è trasformata in ossessione, un malsano desiderio divenuto incubo per il ragazzo, sottoposto a pressioni fisiche e psicologiche da parte del padre. L’uomo s’era dapprima sostituito all’allenatore, poi al dietologo e agli esperti. Aveva costretto il figlio per mesi ad assumere integratori non idonei alla propria età e lo aveva sottoposto ad estenuanti allenamenti senza pause, al fine di migliorare quel talento in erba. Il giovane viveva nel timore di deludere le aspettative paterne; il padre, d’altronde, riusciva ad essere severo e austero in caso di sconfitte: anziché rassicurarlo, lo faceva sentire in colpa attraverso la freddezza affettiva. La storia è tremenda. E a scriverne la parola fine sarà l’autorità giudiziaria. Ma il caso è meno isolato di quanto non possa sembrare. Sono tanti i genitori che, da bordo campo, dall’alto della tribuna, dietro la rete di protezione, urlano istruzioni al figlio. E il piccolo terzino si sente gridare di salire sulle fasce e di attaccare gli spazi e di fluidificare. Peccato che il ragazzino ha cinque anni e “fluidificare” fa perfino fatica a ripeterlo. Sono tanti i genitori che a fine partita sono più sudati e stanchi dei figli. E sono troppi i figli che più che stanchi per la partita sono stressati per gli urli dei padri. Bisogna dirlo: ci sono padri che vedono nei figli la propria immagine o che sognano che siano i figli a restituirgli ciò che la vita, forse, gli ha sottratto. E allora il ragazzino deve correre sulla fascia più degli altri, o nuotare incessantemente perché
l’acqua della piscina prima o poi si trasformerà in oro. Tra i best sellers di questi mesi c’è un libro, “Open”, l’autobiografia del grande tennista Andrè Agassi. Anche a lui la vita ha riservato un padre-padrone che lo ha costretto a giocare a tennis fin dalla più tenera età. A tal punto da far dire all’uomo più famoso e popolare del tennis contemporaneo che lui quello sport impostogli dal padre è arrivato ad odiarlo con tutto se stesso.
Per fortuna di Agassi (e della storia del tennis) quell’odio si è poi trasformato in una passione irrefrenabile. Ma la sua storia fortunata è unica, o quasi. Purtroppo tante giovani passioni sportive (e non solo) finiscono stritolate dalle personalità disturbate di padri frustrati. Distruggere la libertà di un figlio per inseguire un proprio sogno è un atto di egoismo. Il più grande.
Uno sguardo oltre l’orizzonte
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