Olio Officina Almanacco 2014

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DACCI OGGI IL NOSTRO OLIO QUOTIDIANO L’olio da olive è condivisione e accoglienza. Unisce le diverse materie prime alimentari, rendendole più sapide. Allo stesso modo, nella vita quotidiana, non è solo un corpo fluido vegetale, è anche spirito che lega e unisce le diverse culture del mondo. È alimento interetnico. Luigi Caricato


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Sommario 4 – 5. Luigi Caricato: La forza propulsiva dell’entusiasmo 6 – 9. Pietro Leemann: Mangiare sano è un ottimo investimento 12 – 15. Nicola Dal Falco: Filippo La Mantia: ciò che non sono 16 – 18. Daniela Marcheschi: Il volto umano dell’olio 20 – 22. Nicola Dal Falco: Un po’ d’olio per iniziare 24. Aimo Moroni: Zuppa etrusca 26 – 27. Gianfranco Perbellini: Ravioli al pesto di basilico… 30 – 34. Tributo all’aceto 36. Piaceri acidi 37 – 41. Eddo Rugini: Il dono di Minerva 42. Piaceri d’olio

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44 – 49. Stefano Cerni e Lorenzo Cerretani: A bocca vergine 52 – 55. Gabriele Maiorano: Nessuno trascuri l’olio di lentisco 56 – 61. Alfonso Pascale: Crescere significa fiorire 62 – 64. Luigi Caricato: Vista, olfatto, gusto 66 – 67. Paola Cerana: Libero olio in libero Stato 69 – 72. Gianni Staccotti: la grammatica del gusto 74 – 75. Camminata d’arte tra gli olivi 76. Valerio Marini: Camminata tra gli olivi. Vignetta 77 – 91. La camminata tra gli ulivi per immagini 92 – 93. Luigi Caricato: L’anima sociale dell’olio 94 – 95. Valerio Marini: Florida e Olanda. Vignette

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La forza propulsiva dell’entusiasmo di Luigi Caricato

Ci vuole entusiasmo, ma proprio tanto, direi. Così com’è la realtà oggi, non ci si riconosce più: manca il popolo, ma anche una casa comune che lo accolga. Non si può proseguire così stancamente, con i soliti atteggiamenti depressivi. Le risorse ci sono, mancano semmai la progettualità, e in particolare le idee. A essere sinceri fino in fondo, le persone con grandi idee e visione del futuro esistono, capaci di realizzare le aspettative tanto attese. Rendere tuttavia le risorse disponibili del Paese un tesoro di tutti e per tutti, con soluzioni ampiamente condivise, sembra un’impresa impossibile. È sufficiente eliminare le zavorre che tengono avvitata l’Italia su se stessa, rendendola immobile, per scardinare un sistema improduttivo e insieme devastante. Gli unici che possono reagire sono coloro che operano direttamente nel proprio campo d’azione. Chi lavora, per intenderci. Chi sta sul campo. Non chi predica o vive del lavoro altrui. Per una svolta epocale, ci vogliono persone che abbiano un sano e propulsivo entusiasmo. È questa disposizione d’animo a fare la differenza. Ed è proprio l’entusiasmo che può scrollare e agitare le coscienze, scuotendo le complesse e variegate dinamiche della vita e le relazioni sociali ed economiche. Occorre riprendere il contatto con noi stessi, rimuovendo le nostre ragnatele interiori. La passione che motiva molti di noi non è sufficiente. Se non sapientemente indirizzata, né ispirata da una pur minima ragionevolezza, né tanto meno animata da entusiasmo, a poco serve. L’Italia dell’olio arranca, ha il fiato corto, come del resto ogni altro ambito economico, sociale e culturale del Paese, proprio perché è venuta meno l’importante risorsa dell’entusiasmo. La mia, oggi, quest’anno, è una chiamata alle armi bianche dell’entusiasmo.

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Mangiare sano è un ottimo investimento di Pietro Leemann

Quella mattina ho pensato che la giornata si sarebbe prospettata avventurosa. Mi è caduto per terra il bicchiere della tisana che è andato in mille pezzi, dopo qualche minuto ho pensato bene di tirarmi sul mignolo del piede la porta del bagno. Volevo poi portare del kefir a Piero, un collaboratore al Joia, l’ho chiuso assieme a del latte di mandorla in un vasetto per la marmellata e l’ho infilato nella borsa. Mentre m’incamminavo zoppicante verso la metropolitana sono stato rincorso da un signore in bicicletta il quale mi ha fatto notare che dalla borsa usciva una lunga scia color bianco e che naturalmente mi aveva sporcato i pantaloni. Nella borsa avevo l’agenda, fradicia, la carta d’identità la cui foto è diventata sbiadita a causa dell’acidità della nobile bevanda, e il telefonino è andato in tilt. Sulla metropolitana mi sono messo in un angolo, un po’ per nascondermi, un po’ per non imbrattare i miei ignari compagni di viaggio. Per fortuna invece in cucina mi hanno accolto con un sorriso e mi sono sentito subito meglio. Lavorare con collaboratori motivati e appassionati mi dà la tranquillità di portare avanti con qualità il mio progetto. È importante che il ristorante sia una realtà in continua evoluzione, la progressione è garanzia di miglioramento; nel mio cuore mi piacerebbe che attraverso il nostro agire gli ospiti fossero sempre più contenti di mangiare la cucina vegetariana e che sempre più

Lavorare con collaboratori motivati e appassionati mi dà la tranquillità di portare avanti con qualità il mio progetto

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In coda al carosello naturalmente le medicine (e le purghe) necessarie a risolvere i molti problemi di salute che insorgono a causa di una cattiva alimentazione. È un po’ come se allo Stato saltasse in mente di fare pubblicità al gioco e come conseguenza dovesse fare poi fronte al problema di quelle famiglie finite sul lastrico perché ogni loro centesimo è sperperato in quel vizio. Sarebbe paradossale.

Un’alimentazione leggera, amica del pianeta e di tutti gli esseri, è la migliore sotto ogni punto di vista

A proposito dell’alimentazione, recentemente ho partecipato a un interessante esperimento. Ai settantamila ragazzi delle scuole milanesi è stato proposto un menu vegetariano e senza latticini, che avevo progettato per l’occasione. Dopo le varie prove su piccola e grande scala, il fatidico giorno sono stato a mangiare assieme ad alcune centinaia di loro in una delle scuole dove veniva proposto. È stata un’esperienza molto istruttiva, che mi ha portato a riflettere. Appena arrivato mi sono divertito molto a guardarli giocosi e spensierati: chi spintonava, chi ridacchiava, chi correva a nascondersi. L’età della scuola è davvero bella!

persone, smettessero di mangiare carne o ne diminuissero il consumo. Un’alimentazione leggera, amica del pianeta e di tutti gli esseri è la migliore sotto ogni punto di vista. Mi stupisco che questo dato di fatto non sia cantato ai quattro venti; i molti amici che frequento non hanno dubbi in proposito, come pure medici, ambientalisti e spiritualisti che lo stanno dichiarando all’unisono. Ciò nonostante, c’è ancora molta strada da percorrere. A riprova di questa evidenza, sul finire dell’ultimo anno sono uscite le principali guide gastronomiche e purtroppo le ricette dei ristoranti più premiati sono ancora veri bollettini di guerra le cui vittime sono gli animali, il pianeta che ne soffre e naturalmente la salute dei clienti che le assaggiano. I ristoranti più blasonati, in questo momento molto mediatico per noi cuochi, dove le trasmissioni di cucina hanno sostituito i tormentoni tipo “Grande fratello” e le ricette a fondo giornale si trovano anche nel bollettino della parrocchia, dovrebbero, a mio modo di vedere, essere da esempio per le persone, non solamente nel proporre una cucina trasgressiva e opulenta.

Che strana cosa, il benessere deve averci giocato qualche brutto scherzo, il primo dei quali l’aver tolto il tempo di cucinare

Arrivati a tavola è iniziata un’altra musica: circa un trenta per cento di loro ha mangiato il menu senza pensarci troppo e un altro venti si è sforzato di mangiare. Per i rimanenti invece è stato un vero disastro. Un nutrito gruppo di arzilli ragazzi cercava di convincere i

La stessa osservazione vale per le pubblicità sugli alimenti; troppe volte i protagonisti, assieme alle automobili di cui dovremmo averne due o tre a testa, sono la carne e i dolciumi. 8


compagni a smettere di mangiare quello strano cibo, prendendoli in giro e decantando loro i pregi delle merendine. Altri, i più timidi, allungavano con aria disperata le mani verso il pane disposto in mezzo al tavolo. Guardandoli mi sembravano dei prigionieri, condannati a eseguire un dovere insormontabile. Come mi è dispiaciuto! Istintivamente ho frugato nelle tasche per vedere se mi era rimasta qualche caramella da allungare sottobanco, mi è però venuto in mente che non ne compero più da anni.

Così quella mattina, sull’onda di queste esternazioni, ho spiegato alla brigata l’importanza del loro ruolo nel quale il buono, che deve essere una costante, è sostenuto dall’intento di fare bene all’ospite. Già Ippocrate dichiarava: “Fa’ che il cibo sia la tua medicina e che la medicina sia il tuo cibo”. Nulla è cambiato da allora. Lavorare con questi presupposti ha un sapore completamente diverso. La scelta dei prodotti dei contadini che coltivano e allevano nella grandissima campagna confinante la piccola Milano, deve essere sostenuta dalla conoscenza che devono sviluppare, attraverso lo studio dei testi di riferimento e attraverso la capacità di distinguere ciò che è corretto.

Mi sono rivisto alla loro età, ugualmente spensierato, forse allora tutto era più semplice: nell’armadio avevo due paia di pantaloni e un paio di scarpe che cambiavo solo quando erano sfondate; se non mangiavo quello che avevo nel piatto non c’era nessun dolcino a consolarmi; mi tenevo la fame e dopo qualche capriccio mi sforzavo di assaggiare, persino le bistecche nodose stile anni Settanta, dal gusto delicatamente rancido e dalla consistenza simile al chewing gum. Tranne quelle, ho poi finito per apprezzare ogni cosa.

In questo momento-punto-di-svolta, vanno naturalmente anche incluse le scelte ambientali, etiche e morali. Il cuoco è moderno quando mette in pratica le indicazioni della scienza dell’alimentazione, nel senso olistico del termine, ancor prima di inventare una nuova combinazione alimentare. Il gioco di abbinare questo a quello ci ha portato fin troppo lontano ed è una direzione sterile se limitata al godere e basta, assetati come conseguenza di continue e sempre nuove emozioni. È vero, a paragone, i vari “Criminal Minds” diventano sempre più raccapriccianti e “Psycho” di Hitchcock oggi probabilmente lo proietterebbero nelle scuole materne prima del sonnellino pomeridiano.

Che strano, il benessere deve averci giocato qualche brutto scherzo, il primo dei quali aver tolto il tempo di cucinare a papà e mamme. A quei ragazzi volevo ricor-

Il cuoco è moderno quando mette in pratica le indicazioni della scienza dell’alimentazione, nel senso olistico del termine

Se dovessimo perderci però in quelle, rischieremo di distaccarci dalla realtà, quella con la erre maiuscola, con il senso evolutivo dell’esistenza e con il nostro paesaggio interiore, fragile ma ricco di infinite sfumature che ci fanno essere preziosi e unici. La nostra originalità non è data dall’essere riusciti a sopravvivere a un’emozione invasiva e gratuita. Ancor meno a far mancare la terra sotto i piedi a chi gentilmente e con sentimento nutriamo.

dare il titolo del film di Benigni e spiegar loro che l’atto del mangiare è più semplice di quello che sembra loro. Mangiare sano poi è un ottimo investimento, migliore di qualsiasi titolo in borsa.

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Filippo La Mantia: ciò che non sono di Nicola Dal Falco

Filippo La Mantia appartiene a quel pugno di persone che dice sempre prima ciò che non è. Umile ambizione di arrivare, presto e bene, alla sostanza delle cose. Non sono questo, quello e soprattutto quanto ti stai immaginando in questo preciso istante. L’effetto che fa una simile schiettezza è di rendere l’interlocutore più attento, magari solo un po’ più silenzioso. In fondo, per La Mantia si tratta di trovare il tempo per mostrare il di più che ha dentro e non concedersi alle etichette di un passato, il proprio, sempre troppo pittoresco agli occhi di molti. “Non sono un cuoco, ma cucino per gli altri. Non sono un cuoco – precisa – nel senso di chi ha iniziato il mestiere da giovane, facendosi le ossa nei grandi ristoranti internazionali.

Non mi piace giudicare gli altri dalla strada che imboccano, stabilendo chi può e chi non può

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Io ho cominciato a quarantadue anni, partendo una seconda volta da zero. Non mi piace, quindi, giudicare gli altri dalla strada che imboccano, stabilendo chi

cedimenti giusti, ma che non garantisce l’immediata capacità di dire qualcosa di personale, di esprimersi fino in fondo. Anzi, a ben vedere, la proliferazione di scuole che insegnano tutto, addirittura la scrittura creativa, mostrano un fastidio nei confronti del talento, di questo superfluo, insinuante, antidemocratico, selettore naturale. Così, il rischio implicito di iscriversi a un bel corso è di ripetere la lezione a memoria, di finire tra la truppa che marcia al passo. Il talento, la dote che come una bilancia ci permette di misurare il peso del mondo meno (-) le nostre più intime ambizioni, è qualcosa di superiore rispetto alla capacità o alla passione.

Il talento è qualcosa di superiore rispetto alla capacità o alla passione

Chi ha capacità potrebbe mettere da parte la passione, chi ha passione giudica la capacità come una variabile, chi ha talento stima le capacità e trae energia dalla passione. A riprova di quanto detto c’è, ad esempio, la naturalezza con cui La Mantia riconosce la bravura dei colleghi. Ne onora i risultati. Ma soprattutto, c’è la coerenza di certe scelte. La prima, la più curiosa e radicale, è il gran rifiuto di utilizzare aglio e cipolla, condimenti fedifraghi secondo La Mantia, autorizzati spesso a coprire il gusto diretto delle cose.

può e chi non può. Ma soprattutto non sopporto chi non ammette il talento, l’abilità naturale. Chi non perde occasione per svalutarne gli effetti sulla vita e sul lavoro e, forse, perché manca tanto di tenacia che di fortuna, si sente in dovere di ridurre il successo altrui ad un inghippo, all’inevitabile aiutino o peggio ad un bluff”.

Che significa avere talento

Il proprio ruolo corrisponde a un progetto

Anticamente, con talento si identificava il piatto della bilancia, un peso, una somma di denaro. Poi, significò l’inclinazione stessa che assume il piatto nel pesare. Infine, prevalse il significato cristiano, legato alla famosissima parabola dei talenti. È interessante la difesa che La Mantia fa del talento, in un’epoca dove tutto si acquista e si vende, sottoposto al dazio della tecnica che consente sì di imparare i pro14


Il suo pesto di agrumi che li sostituisce pare proprio il paradigma del talento che cerca per passione un’alternativa, una risposta, un altro spunto di bellezza. La seconda scelta, gravida di conseguenze, è la consapevolezza che il proprio ruolo corrisponde ad un progetto.

un taccuino d’appunti a portata di mano. Posti, storie e persone possono far scaturire un’idea o a volte lasciare spazio ad un ricordo, ad una immagine, ad un profumo che ritornano. Qualche tempo fa, ad Istambul, ho visto un fritto che voglio rifare, perché tale e quale al fritto della mia città, di certe ore della mia vita, di Palermo”. Se non cuoco, che cosa allora? “Oste e cuoco”. Ecco un’altra etimologia intrigante, una parola che condivide la sua radice con oste nel senso di forestiero, straniero e per estensione: nemico. L’oste, quello vero, è pronto ad accogliere chiunque si presenti all’uscio. È un dovere, è quel talento che, superata la linea dell’ipocrisia, può diventare anche una sorta di vocazione.

Quando viaggio, viaggio con un taccuino d’appunti a portata di mano

Cucina povera siciliana “In qualsiasi posto io lavori – dice – dalla casa privata all’albergo di lusso, è il progetto La Mantia che conta. Vale a dire, fare e proporre la cucina povera siciliana. Povera che non significa il contrario di ricca, a condizione di ‘battere’ i mercati, di scegliere la qualità che quel giorno ti viene offerta e molto spesso regalata. Questione di naso, di tatto, di umanità, insomma. La prova di cosa si può combinare con un minimo di perizia e di buona volontà è tutta documentata. Al mercato Trionfale di Roma, la mia spesa per quattro persone è stata filmata. Un menu con quattro portate di pesce per la sostenibile cifra di venti euro venti”.

Se non cuoco, che cosa allora? “Oste e cuoco”

“L’ottanta per cento dei piatti che ho immaginato non sono sostituibili, perché continuamente richiesti. Penso alla pasta con le sarde, alla pasta con il pesto di agrumi, alla caponata, al baccalà fritto in agrodolce… Quando viaggio – continua La Mantia – viaggio con 15


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Il volto umano dell’olio di Daniela Marcheschi

Una differenza va fatta fra coltivazione e agricoltura. Coltivazione è il semplice accudire alcune specie vegetali, prendersene cura e riprodurle. È una attività, un lavoro agricolo, che non necessariamente comporta la presenza di una economia di tipo agricolo. Secondo gli antropologi, la coltivazione ha preceduto la domesticazione, ovvero il processo di adattamento genetico (e l’uso di animali domestici, produzione di ceramica, tecnologia della pietra levigata…), che si sviluppò nell’età neolitica. Agricoltura, che prevede l’uso dell’aratro e degli animali, è invece il sistema economico organizzato in cui si produce cibo grazie alle piante coltivate dall’uomo. Sia grazie alla coltivazione sia grazie all’agricoltura si è instaurato un rapporto nuovo con l’ambiente ecologico, modificando il paesaggio culturale.

Sia grazie alla coltivazione sia grazie all’agricoltura si è instaurato un rapporto nuovo con l’ambiente ecologico, modificando il paesaggio culturale

La coltivazione ha contribuito a sviluppare non solo tutta una serie di rituali propiziatori, religiosi, per garantirne il successo, cioè la prosperità dei raccolti, ma anche una divisione del lavoro, la ripartizione dei ruoli in rapporto al sesso, che ha avuto conseguenze importanti nelle società interessate [Dizionario di Antropologia, a cura di U. Fabietti e F. Remotti, Bologna, Zanichelli, 1997, ss.vv.].

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La cura dell’olivo (che permette il passaggio dall’olilumina con la sua forza tutto ciò che è oscuro, anche le vo selvatico all’olivo coltivato o, appunto, domestico) e forze che scatenano la guerra. la produzione dell’olio che caratterizzano tutta l’area mediterranea, è forse l’esempio degli esempi di tali Nei miti intorno alla Guerra di Troia, ci appaiono così intersecazioni fondamentali e complesse sul piano dei più trasparenti le valenze e la drammaticità della fisaperi per lo sviluppo della cultura umana. Appunto gura di Ulisse: l’uomo che si finge pazzo per evitare di “il volto umano” dell’attività andare in guerra, che cerca che porta a grandi conquiste in ogni modo di tornare alla scientifiche, materiali e mosua patria e si ricongiunge rali, senza danni, e produce alla sposa Penelope, alla fine beni collettivi in armonia dell’Odissea, nella camera L’olio consacra l’uomo, con la natura per lungo temda letto costruita dallo stesnel senso che inserisce po (l’olivo può vivere molti so eroe, in legno di olivo. l’individuo in una secoli, del resto). Per i mudimensione più alta, sulmani, non a caso, l’olivo Nella Bibbia, la colomba è l’asse del mondo, è l’albero che porta l’olivo annuncia la fra cielo e terra “benedetto” del Corano, sede pace di Dio, la fine del Diludel Paradiso che accoglie fevio, il perdono e la rinascita. deli e martiri. L’olio − il più antico prodotto alimentare, o fra i più antiProprio per essere pianta che produce alimentazione, chi − accompagna l’Uomo e la sua storia da millenni, e ma anche altri beni − la luce, alimentata dall’olio nelle ha così potuto acquisire valori simbolici plurivalenti: di lampade, il beneficio del corpo (l’elasticità muscolare, prosperità, fraternità, ma anche della immensa potenla purificazione intestinale con l’olio), il miglioramento za di Dio e di purificazione, come l’acqua primigenia, delle prestazioni di congegni vari unti − l’olivo è stato indifferenziata, in cui sta il Tutto prima di articolarsi visto a ragione come l’albero di Atena dai Greci (per in cose ed esseri distinti. loro il primo olivo sarebbe nato dal litigio fra Atena e Poseidon) e di Giove e Minerva dai Romani. In ogni L’olio serve per il rito dell’unzione (lo si faceva con i re – caso nella Grecia antica si arrivava a punire con pene David, i sacerdoti – lo si fa nella Cresima), unzione che molto severe chi danneggiava in qualche maniera gli consacra l’uomo a un compito sacro: “sacro” nel senso olivi (nella piana di Eleusi…). che inserisce l’individuo in una dimensione più alta, Atena era la dea della sapienza e della saggezza; i suoi simboli sono perciò la civetta e l’olivo. Uno dei suoi epiteti infatti è Pallade - difensora - perché era la dea della guerra fatta soltanto per difendersi giustamente. Da ciò l’olivo che annuncia la pace, come ribadirà anche Dante: come a messagger che porta ulivo [Purgatorio, II, v. 70].

L’olivo e l’olio sono non solo “frutti” della terra, ma, su un piano più elevato, un simbolo meditato in millenni di storia umana

L’olivo era così simbolo di misericordia, pietà e luce, perché simbolo operoso di pace e perché la ragione il-

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fra cielo e terra, e in cui trovano posto lui come singolo, gli altri come collettività, la Natura e la Storia intesa come passato, presente e futuro da creare, e le relazioni che si stabiliscono fra tutti questi elementi.

Si pensi anche al rito che nella tradizione cattolica lo annuncia, nella Domenica delle Palme: la benedizione dell’olivo o il cosiddetto “olivo benedetto”. Appunto annuncio di rinascita e resurrezione, potenza che vincerà la morte.

L’olio affida l’essere umano anche alla morte – appunto nel segno della misericordia e del perdono, della purificazione dai peccati, nel rito cristiano. Gesù è il “Messia” (dall’ebraico Mashiach), cioè l’unto del Signore, perché ha ricevuto il battesimo da san Giovanni, che gli apre una nuova vita in ogni senso, e perché ha una missione da compiere. “Lo Spirito del Signore è sopra me” – dice in Luca, 4: 18. La sua croce è una insegna, significativamente fatta di olivo e cedro,

L’olivo e l’olio sono dunque non solo “frutti” della terra, ma, su un piano più elevato, un simbolo meditato in millenni di storia umana di ciò che accompagna la vita in tutti i suoi aspetti. E non credenti o credenti che siamo, se l’essere umano si priva della speranza di far rigermogliare − ognuno nei modi che gli sono più congeniali − il destino proprio e degli altri, di risollevarsi e risollevarli dopo una tragedia, si priva della possibilità di vincere ogni tipo di morte, di rinascere e costruire una vita nuova.

L’olivo annuncia la pace. Lo ribadisce anche Dante: come a messagger che porta ulivo

secondo la leggenda: emblema della missione divina che ha ricevuto e che affida agli uomini nella resurrezione. Esempio della potenza di Dio, Dio stesso, figlio di Dio, Gesù è l’uomo mondo dai peccati e che monda grazie al suo sacrificio: l’Agnus Dei qui tollit peccata mundi. Proprio per questo è sul Monte degli Olivi (o Monte Oliveto), a Gerusalemme, nell’orto del Getsèmani o l’orto degli olivi, che Gesù si recò a pregare, e dove fu arrestato cominciando la sua passione.

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Un po’ d’olio per iniziare di Nicola dal Falco

Da cinquant’anni non manca mai un piattino d’olio extra vergine sul tavolo, un piccolo sole che ti fissi, con accanto il pane. Pane e olio per iniziare, qualunque sia il cibo e il vino che seguiranno. Prima viene l’olio e insieme a lui il pane quotidiano, fatto solo con farine biologiche e senza lievito di birra. Così è, quando siedi, a Milano, al ristorante di Aimo e Nadia o meglio, nel Luogo di Aimo e Nadia, spazio definito in senso fisico e spirituale. “Ogni volta che mi chiedono il perché – spiega Aimo Moroni – rispondo che l’olio nel piatto riguarda un po’ la mia storia, molto la cultura di questo Paese e altrettanto se non di più la salute. L’aspetto arcaico, solenne e sentimentale dell’olio affiora nel ricordo di mia nonna che, allineando pane, aglio, olio, aceto, sale e pepe, annunciava che quella sera si cenava a pan unto. Cena da mezzadri, tra guerra e dopoguerra. Con l’unto c’era un pane che, quando cuoceva nel forno, ne sentivi l’odore a due chilometri di distanza! Bontà schietta, ma rara, perché il pane bianco era cibo domenicale mentre la polenta, che costava la metà, si usava tutti i santi giorni. Perciò, quando partii a quattordici anni, i vicini e i conoscenti, chiedendo che fine avessi fatto si sentivano, e a ragione, rispondere che ero andato a Milano a guadagnarmi il pane”.

Ogni volta che mi chiedono il perché, rispondo che l’olio nel piatto riguarda un po’ la mia storia, molto la cultura di questo Paese e altrettanto se non di più la salute

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Un tono di voce magistrale

– sottolinea Moroni – è di ricordare il sapore originario delle cose, legato alle stagioni, ritmato sul tempo La voce è sempre un dono, un dettaglio che avvicina dei campi e della natura. Una scuola del palato, che all’ascolto. Quella di Aimo Moroni è levigata e tonda, non dimentichi più: il coniglio nel gabbione, i piccioni senza particolari inflessioni, ma con il gusto di piazaccanto alla finestra, le pollastrelle di primo canto, le zare battute in dialetto milanese. Sempre un tono più uova nel corbello”. basso, cordiale, che, però, sale e si affila appena si preNon è la visione di un’arcadia scomparsa, ma una vera cisa un pensiero, si evoca un’esperienza formativa, si e propria mappa che aiuta a distinguere tra ciò che è racconta una storia. buono e cattivo ed anche tra ciò che è buono e medioUn tono di voce magistrale, frutto di fervore metodico, cremente buono. di consapevolezza retorica, che non azzarda, ma svi“Aver osservato, ascoltato, annusato, assaggiato, ma scera e pesa: lui di Pescia che dopo Milano è stato a anche palpato – continua Moroni – mi permette di veKyoto, a New York, a Mosca, Parigi, gente del contado dere al volo se un carciofo ha tre giorni di vita o arriva lucchese, città-stato di mercanti e direttamente dal campo, se gli di artigiani viaggiatori. spinaci sono coltivati in maniera Quando gli chiedo cosa vuol dire, intensiva, se la cipolla rossa di secondo lui, fare cucina creativa, Tropea è quella giusta, fino a sareplica così: pere dall’odore se il brodo è salato Resto debitore del “Credo che i comunicatori abo meno. Resto, insomma, debitore motto di Ippocrate biano fin troppo enfatizzato la del motto di Ippocrate secondo secondo cui l’alimento capacità creativa che, anziché cui l’alimento è medicamento. è medicamento mostrare il lato eccezionale di un Alla fine, tutto questo fa sì che piatto, è diventata un sinonimo di Umberto Veronesi, assaggiando modernità e di bontà. la mia zuppa etrusca, preparata Ricordo che, una volta, un signore con tre tipi di cavolo, bieta, fagioli mi magnificava alcuni piatti creativi come il vermicele farro della Garfagnana, possa esclamare che al ristolo con salsa wasabi e alghe fritte e il coniglio farcito al rante del sottoscritto si vende sapore e salute. foie gras. Gli dissi – e forse ero un po’ allegro – di venire al mio ristorante, che lo avrei invitato ad una degustaAimo Moroni che ha girato nei mercati, che è partizione di caffè, accompagnata con un trito di prezzemolo to prima dell’alba per avere quei funghi e solo quelli, e aglio… riuscii a farlo sorridere”. appena usciti dal bosco, che ha imparato a matare e L’aneddoto sulla cucina creativa è, invece, serio, persquartare un bovino, conoscendo la carne in ogni sua ché coinvolge l’altissimo concetto che Aimo Moroni ha fibra, che elenca i suoi fornitori come Omero i popoli e della spesa, dove il piacere della scoperta non è esotico, i re sotto le mura di Troia, ha soprattutto un desiderio. ma ha il gusto di una peregrinazione attraverso terre Riuscire a trasmettere l’arte della spesa che è insieme incognite, cariche di tesori. conoscenza impeccabile delle materie prime, amore del Per spiegarlo, bisogna fare, nuovamente un passo inprossimo e amore in cucina. dietro, alla fonte stessa della conoscenza. Prima di saAlimento è salute come affermava il grande Ippocrate. pere di cibo occorre, infatti, aver assaggiato in modo che la mente attinga ad un repertorio certo di sapori. Il vantaggio dell’età “Il vantaggio di avere qualche primavera sulle spalle 22



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Zuppa etrusca di Aimo Moroni

Per i fagioli Mettere a bagno separatamente in acqua oligominerale i fagioli per dodici ore. Scolarli e cuocerli in due pentole diverse coperti di acqua oligominerale (circa un litro per pentola) con mezzo spicchio di aglio e una foglia di salvia. Farli sobbollire circa un’ora e mezzo, avendo cura di salare dieci minuti prima di togliere dal fuoco. Scolarli tenendo da parte la loro acqua di cottura, metterli in un unico recipiente, eliminare la salvia e passarne metà con un passaverdura; unire la passata ai fagioli interi e mantenere il tutto in caldo. Per il farro Appassire la cipolla nell’olio, unire il farro, farlo insaporire 3, 4 minuti a fuoco dolce, bagnarlo con il vino bianco, far evaporare a fuoco vivace, quindi cuocerlo per trenta minuti bagnando con poco brodo vegetale per volta. Cinque minuti prima che sia completata la cottura aggiustare di sale. Pulire e lavare tutte le verdure. Tritare grossolanamente il cipollotto, l’aglio e il porro; tagliare a cubetti il sedano, le carote, le zucchine e le patate; spezzettare tutte le altre verdure a foglia (cavolo verza, cavolo nero toscano e bietola). In un tegame mettere 30 g olio, tutte le verdure, il mazzetto guarnito, il prezzemolo e basilico, i semi di finocchio. A fuoco dolce far insaporire per circa 10 minuti mescolando frequentemente; unire l’acqua di cottura dei fagioli, salare poco e lasciar sobbollire per circa 2025 minuti. Unire quindi i fagioli interi, quelli passati e continuare la cottura altri 10 minuti. Aggiustare di sale e a piacere di pepe. Essiccare il pane in forno a bassa temperatura. Metterne due fette sul fondo di una zuppiera, versarvi sopra metà della zuppa ben calda, quindi ripetere l’operazione con il resto del pane e il resto della zuppa. Lasciare riposare alcuni minuti, quindi servire aggiungendo l’olio rimasto a filo.

Ingredienti per 6 persone 300 g foglie di cavolo nero senza nervature 200 g foglie di cavolo verza senza nervature 4 foglie di bietole 6 cipollotti freschi 2 porri medi (usare solo il bianco) 3 carote medie 4 zucchine piccole e sode, possibilmente la varietà “striata di Napoli” verde chiaro 2 patate medie a pasta bianca 2 gambi di sedano verde (preferibilmente quello piccolo molto profumato) 2 spicchi d’aglio 1 mazzetto guarnito di rosmarino, salvia, alloro, timo 1 cucchiaino di semi di finocchio selvatico 1 cucchiaio di foglie di prezzemolo e basilico spezzettate grossolanamente 40 g olio extra vergine di oliva 4 fette di pane toscano bigio cotto in forno a legna Per i fagioli 150 g fagioli bianchi di Sorana 150 g fagioli dall’occhio 1 spicchio di aglio diviso a metà 2 foglie di salvia Per il farro 60 g farro della Garfagnana 15 g cipolla tritata 1 cucchiaio di vino bianco secco 200 g brodo vegetale 6 g olio extra vergine di oliva sale marino e pepe nero q.b. 24



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Ravioli al pesto di basilico, patate e fagiolini verdi con olio extra vergine d’oliva ligure ai pinoli tostati di Gianfranco Perbellini Ristorante Perbellini, Isola Rizza, Verona

Una ricetta in cui si esprime, in tutta la sua evidenza e peculiarità, la compagnia dei grassi: burro, olio extra vergine di oliva e olio di arachide.

Ingredienti per 4 persone

Tostare il riso a secco, bagnarlo con brodo e farlo cuocere per 30-35 minuti. Mantecarlo con burro e parmigiano, quindi frullarlo fino a ottenere una crema. Aggiungervi l’emulsione di basilico e, una volta raffreddato, il mascarpone. Preparare una batonette di patate, sbollentarle in acqua salata. Sbollentare in acqua salata anche i fagiolini e quindi aprirli a metà nel senso della loro lunghezza. Tostare in forno i pinoli e frullarli con l’olio di semi di arachidi e l’olio extra vergine di oliva. Farcire i ravioli con il composto al basilico, lessarli in abbondante acqua salata e poi glassarli in padella insieme a una noce di burro. Condire all’olio extra vergine di oliva ligure sia la batonette di patate che i fagiolini verdi. Servire i ravioli con le verdure leggermente tiepide, una spolverata di pecorino grattugiato e l’emulsione di pinoli tostati.

Per la pasta: 250 g farina “forte” 25 g semola rimacinata 2 rossi d’uovo 3 uova intere 100 g riso 1,5 l brodo 30 g burro 50 g parmigiano grattugiato 30 g emulsione di basilico 30 g mascarpone 60 g fagiolini verdi 80 g patata 40 g pecorino grattugiato 100 g pinoli 50 g olio di semi di arachidi 10 g olio extravergine di oliva ligure q.b. sale .

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olioofficina / artedamangiare

Tributo all’aceto

Maria Cristina Tebaldi Aceto Balsamico ... da Corte a Corte una Goccia un Segno un Disegno un BALSAMO sui Colori della Mensa della Vita

Sandra Marzorati “ACETUM” ALCHIMIA CHE FERMENTANDO TRATTIENE IL RESPIRO E SI TRASFORMA...

Athos Collura L’aceto è come l’arte, perché no? L’arte è come l’aceto, deve essere prodotta selezionando l’eccellenza degli “elementi”, nel primo caso gli artisti nel secondo l’uva.

Mario Giavino Anche l’aceto ha una madre naturale

Carmine Caputo di Roccanova L’aceto è un condimento eccellente per la cucina quasi futurista

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topylabrys A A A! Aceto – Arte – Alchimia L’Arte antica delL’Alchimia... Gesto che porta ad una SINTESI per ottenere CONSERVAZIONE e GUSTO L’Arte contemporanea di Arte da mangiare mangiare Arte svela le forme dei Gusti conservandone i ricordi! Nel processo antico della maturazione dell’aceto ne individuo la Forma di un TRONCO di Piramide capovolta, forte e compatta! La piramide che dalla sua base superiore formata da materia liquida, attraverso il trascorrere del TEMPO muta e la materia fluida man mano si contrae, ispessisce, prende consistenza... Ed eccoci alla concentrazione che ne determina la forza del gusto. Identico è il processo che l’Artista compie attraverso la ricerca e l’elaborazione. Aceto e tronco di Piramide capovolto... questo il filo conduttore di un percorso magico che fa dell’unione fra materie... una esperienza antica e sempre rinnovata che porta a vivere emozioni multisensoriali!

Evento quotidiano con il quale Tutti noi, figli, Osiamo vivere...

Clara Bartolini ACETO Tempi d’aceto, ma ciò che asprigno s’insinua il sapore della vita risveglia, incita a più energiche vitali azioni. Il colore sanguigno scalda i gesti antiche memorie contiene. Gocce di sole rosso e dolce olio accogliente, viva rendono la tavola, luogo d’incanto e condivisione. Temprato Aceto, Nobile Olio, matrimonio d’amore complice sapienza.

Stefano Soddu X, V@,+ (ACETO) Sa di acciaio di ago pungente profuma i frutti della terra regala sensazioni da cogliere grati eccita animo e intelletto biblica madre d’alchimia e d’entropia

Edy Persichelli aceto e olio L’aceto rappresenta l’asprezza della vita, L’olio la fluidità.

Gabriella Edifizi Ti muovi al tocco delle mie dita ARGILLA. Sottraggo, aggiungo… un fregio, un rilievo. Ti nascondo, non tutta, riservo! ACETO sulla tua pelle… toglie, disgrega, muta il già mutato. Materie in battaglia. Da forma a forma. Creazione!

Silvana Pincolini ACETO: Arte Come Esperienza Totalmente Ossessiva

Maurizio Gabbana ... Acqua santificata dal crudo saluto a GESÙ, che diventa Condimento di vita:

Tremendamente Originale Teneramente Orgiastica.

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Sergio Sansevrino - ORGANICO AL PROPRIO SEGRETO ETERNO ROMANO. - PERFETTAMENTE INTEGRATO AL MODO IN CUI INCORPORA I SINTOMI PIÙ INTENSI.

Pino Lia

Gico CI SONO COSE CHE VORRESTI FARE CON IL CUORE, ED ALTRE CHE DEVI FARE CON L’ACETO.

Barbara Pietrasanta

“Vino buono dimenticato... aceto è diventato”

L’artista e la sua mente sono come il vino nell’incontro inevitabile con il tempo, con le avversità e con il deteriorarsi della materia: riesce sempre a trasformarsi in qualcosa di eccezionale, in grado di inventare nuovi sapori e conservare storia, cultura e sapere.

Mari Jana Pervan Mutazione Porgo la mia mano creatrice e contemplo con sguardo attento il tuo cangiamento

Geremia Renzi & Lucia Rosano ACETO “Soglia dell’IO”: un viaggio pieno di peripezie ed avventure

Elisabetta Bosisio *goccia di rosso e di bruno vestita, si sposa gaia nell’insalata, con l’olio vergine della sua vita-**

Franco Vertovez Bianco o vermiglio al palato assai fino di madre figlio agro e divino

Arjan Shehaj L’aceto contiene 95% d’acqua, l’uomo arriva a 75-80%, da questo fattore scientifico si capisce perché a tutti piace l’aceto, forse questo è un motivo per cui ci piace tanto e si trova a tavola quasi sempre. A volte senza di esso non possiamo mangiare e gustare il cibo.

Brunella Rossi Assaporalo Condividilo E Tienilo Ovunque

A mio avviso anche nell’arte c’è un legame con l’aceto e con il cibo, il gusto di come creare, il piacere di gustare e il piacere di adoperare. Un altro legame tra queste due realtà è senz’altro che sono antichi e nello stesso tempo attuali e contemporanei.

Serena Rossi Aceto Ingiustizia sonora. Soluzione rossa di un grande viola. Miscela insieme il ricordo e l’errore di una notte d’amore.

Federica Berner Ghezzi Il profumo sottile dell’aceto risveglia lo stupore della vita

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Micaela Tornaghi Non accettare parole d’Aceto

Silvio Manzotti L’Aceto (considerato da un artista) Ho preso la tavolozza degli aceti: Lo scuro del balsamico sul riso; il bianco su carpioni, giardiniere e sottaceti. Il rosso per crauti e pinzimoni; sfumature d’ambrata emulsione per le insalate

Daniela Gorla mura di aceto lavate dalla peste molecole di confine deserte d’amore ombre di vita seta di luce

Orisol Insalata profumata poco aceto e ben oliata

Diego Pasqualin Sapore propedeutico dolcemente ruvido sul palato del cuore.

Claudio Gasparini Il particolare gusto dell’aceto sveglia il sapore del cibo

Mariangela De Maria Aceto Comun denominatore di sapori In cima a pensieri euforici Sottile comunicazione per gusti raffinati

Daniela Rancati Aceto = alchimia… da “perle” amate dal sole e generate dalla terra.

Daniela Dente - versione 1 - colla di pelle... tempera all’uovo... bianco, rosso... aromatico, antisettico... balsamico, si sposa con tutto!versione 2 - colla di pelle... rosso d’uovo... bianco, rosso... aromatico, antisettico... balsamico, si sposa con tutto!

Tegi Canfari aceto, il condimento che non “a-ceto”

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olioofficina / emozioni

Piaceri acidi L’aceto è assolutamente virile, tanto quanto l’olio è femminile. Ecco perché li si sposa abitualmente. Ed ecco perché l’olio può fare a meno dell’aceto, e non viceversa! L’aceto è penetrante, mentre l’olio carezza. L’aceto acquista con l’età e il tempo, mentre l’olio deve essere vergine! Paola Cerana

Per me l’aceto è immancabile, è un tocco di brio e intensità che rende appetitosi e raffinati anche i piatti più semplici. Massimo Occhinegro

È una asprezza generosa Angelo Balestra

Godimento dello spirito e dei sensi Carlotta Baltini Roversi

L’aceto è l’altro volto dell’olio Maria Carla Squeo

L’aceto io l’ho sempre bevuto. È stata la mia bevanda preferita, da ragazzino. Senza esagerare, a piccoli sorsi. Poi nei campi trovavo l’acetosella selvatica, Oxalis acetosella, ne mordevo il sottile fusto, senza mangiarne, per dissetarmi e trarne piacere, al gusto d’aceto. Luigi Caricato

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­olioofficina / prospettive

Il dono di Minerva di Eddo Rugini

Il dono di Minerva, libro di grande formato edito da La Rocca, di cui sono autori Fontanazza, Gentilini, Manna, è una densa ma chiara sintesi della storia dell’olivo e del suo prodotto olio, svolta sotto forma di review, che solo chi ha lavorato tanto a lungo con questa difficile pianta, chi l’ha amata e chi ha una sensibilità innata per l’arte, può rappresentare in modo così efficace. Quest’opera traccia l’evoluzione della olivicoltura e delle tecniche di estrazione dell’olio con dovizia di particolari, citando autori anche poco conosciuti, con senso critico e senza risparmiarsi nel fornire spiegazioni di natura scientifica circa le tecniche empiriche applicate all’olivo nell’antichità per costringerlo ad essere più generoso (come il nobile perugino Corniolo della Corgna che, all’inizio del XV secolo, utilizza la tecnica di fori riempiti con terra, tecnica già praticata dai Romani) o le tecniche utilizzate per produrre oli di qualità, frutto anche di una rivisitazione in chiave moderna di quelle già conosciute e applicate dagli stessi Romani e che nel corso dei secoli si sono perse, smentendo autori moderni che affermano il contrario. Nell’opera viene tracciata, in italiano con testo a fronte in inglese, l’evoluzione della olivicoltura dalle sue origine ai giorni nostri, servendosi di citazioni storiche parallelamente alle rappreL’olivo è stato sempre onorato e sentazioni artistiche (sculture, affreprotetto laddove l’agricoltura, il schi, dipinti) che rappresentano l’olivo commercio e l’arte erano fiorenti o i suoi prodotti dall’antichità ad oggi. È un modo, questo, di veicolare ai posteri un ulteriore messaggio culturale che senza dubbio risulta più efficace delle sole parole, per una pianta che

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tanto ha stimolato lo spirito, i sentimenti e l’interesse tare in aree povere dell’Asia e dell’Africa con le stesse figurativo in generale, anche se non ha avuto assieme finalità. all’olio quella notorietà, che hanno avuto per esempio Il professor Giuseppe Fontanazza sin dall’inizio della la vite e il vino, malgrado anche l’olivo e l’olio possano sua attività di ricercatore si è reso conto che era nesenz’altro gloriarsi di altrettanta “nobiltà”, come affercessario costituire nuove varietà più produttive e non ma l’autore. Per questo motivo egli si rammarica e aualternanti. I difetti che descriveva già Pietro Vettori spica che si metta più cura con progetti architettonici nel 1569, come la scarsa allegagione anche dopo una degli oleifici, così come nella organizzazione di mostre abbondante fioritura, è un difetto che ancora oggi si rie nell’allestimento di musei, similmente a quanto è scontra frequentemente, e la causa va cercata proprio stato fatto per la vite e il vino. nelle caratteristiche delle varietà conosciute, le stesse Auspica altresì che un maggior impegno venga profudescritte dal Vettori nel Rinascimento e, più tardi, nel so per rendere la coltivazione dell’olivo più redditizia, 1809, dal Tavanti. Quest’ultimo ha tentato anche una dopo che tanto è stato fatto per iniziale classificazione morfoloconsolidare la valenza alimentagica, ripresa poi da vari autori re e salutistica dei suoi prodotti e moderni quali Ciferri, Marinucci, che ne ha determinato un increMorettini, Baldini, Scaramuzzi, mento nella coltivazione a livello Venerato e rappresentato e altri; i padri, insomma, delmondiale. L’olivo è un protagonila arboricoltura moderna. Una in ogni forma di arte, sta indiscusso nella rappresenclassificazione che è stata tentadalla pittura alla tazione iconografica, almeno ta anche dallo stesso autore con scrittura, fino quasi a quanto la vite e il vino, non per i suoi collaboratori utilizzando considerare l’olivo una un solo aspetto ma per tutto queltecniche molecolari. Di fatto le lo che esso rappresenta: per la cultivar attuali sono rimaste più pianta straordinaria sua presenza nel paesaggio, per o meno le stesse del passato, a l’aspetto di pianta sempreverde, parte qualche piccolo miglioraper la straordinaria capacità di mento operato con la selezione rigenerarsi, per le attribuzioni di clonale. innumerevoli significati oltre che per le proprietà nuL’autore aveva però già intuito la necessità di intratraceutiche e salutistiche del suo prodotto. prendere una via nuova, quella del miglioramento L’olivo è stato, fin dall’antichità, sempre onorato e genetico per incrocio, oltre a quella clonale ed è graprotetto laddove l’agricoltura, il commercio e l’arte zie a questo impegno che sono stati selezionati nuovi erano fiorenti. Ha suscitato tanta venerazione ed è genotipi, quasi gli unici (FS17, Famosa, in particolare), stato tanto rappresentato in ogni forma di arte, dalla al momento, in grado di opporsi al dilagare di due, tre pittura alla scrittura, da arrivare quasi a considerarlo cultivar straniere sulla scia della intensificazione colcome una pianta straordinaria. Tale venerazione, nei turale, con l’obbiettivo di accrescere il reddito per la confronti di una pianta quasi immortale, ha costituito indiscussa produttività e costanza produttiva, ma che forse addirittura un ostacolo per la ricerca volta ad apnon si distinguono certo, per nostra fortuna, per la resa profondire le conoscenze sulle sue caratteristiche più in olio e le caratteristiche organolettiche e qualitative intime. Ma l’autore, con le sue ricerche a tutto tondo, del prodotto. D’altro canto oggi la qualità non premia non ha esitato a sfidare l’olivo, ha voluto conoscerlo il produttore e quindi non lo incoraggia a produrre oli meglio per renderlo ancora più generoso di quanto già qualitativamente superiori, abbiamo perso la tradizionon sia stato e sia ancora: cioè una pianta che ha sfane e gli insegnamenti degli antichi romani. Apicio, gamato intere popolazioni e che oggi si tenta di imporstronomo romano, riporta nei suoi scritti che l’olio da 38


olive verdi aveva un valore di cinque volte superiore a quello da olive nere, ovviamente perché la qualità di quest’ultimo era assolutamente inferiore rispetto a quello prodotto con olive verdi. Era sin d’allora noto che da una stessa varietà di olivo si potessero ricavare oli di diversa qualità. Oggi ci rendiamo conto come questa carenza di nuovi genotipi, o di portinnesti capaci di ridurre la vigoria di varietà tradizionali con elevate caratteristiche organolettiche degli oli, incoraggi coloro che, già poco inclini all’innovazione e allo sviluppo della ricerca, come varie associazioni e certi politici, frenano qualsiasi tipo di rinnovamento della nostra olivicoltura per timore che un cambiamento possa compromettere la tipicità dei nostri oli. La ricerca in agricoltura è ridotta al lumicino e i prezzi dell’olio definiti in base ad una classificazione che non tiene conto della qualità all’interno della categoria degli extra vergini, hanno come conseguenza estrema l’abbandono di oliveti in aree disagiate, perché la coltivazione non è più remunerativa. Tutto ciò finisce inoltre per favorire l’importazione da paesi in via di sviluppo di olive e oli di dubbia qualità, cosicché alcuni dei nostri oli, di qualità eccellente, spesso finiscono nei blends col risultato della sempre maggiore diffusione di un olio di mediocre qualità, che non aiuta a trasmettere al consumatore la corretta percezione della qualità sensoriale che possa sconfiggere quella di affezione, acquisita dal consumatore con il consumo abituale di oli non propriamente di qualità. L’olivicoltura italiana deve essere rinnovata, e in fretta, laddove possibile, magari inizialmente facendo anche ricorso all’uso di portinnesti nanizzanti per mantenere la tipicità del suo prodotto, senza venir meno al ruolo fondamentale che l’olivo esercita su alcuni paesaggi definiti storici, per il mantenimento dei quali, però, l’onere non deve ricadere solo sulle spalle dell’agricoltore. L’olivo “umanizza” il paesaggio che viene comunque modellato dall’agricoltore, anche se spesso condizionato dal pianificatore architetto-paesaggista che è portato per la sua preparazione culturale più verso aspetti puramente estetici che verso quelli produttivi e funzionali. Certamente si potrebbe fare meglio con la formazione di figure professionali altamente

qualificate con forti competenze agronomiche e artistico-architettoniche che l’autore, forte della sua spiccata sensibilità a queste tematiche, sembra auspicare. La nostra olivicoltura, quindi, non può e non deve essere solo custodita come un dipinto antico in un museo. Si deve tenere presente nell’operare le scelte che anche le opere d’arte antiche sono servite, oltre che ad appagare i desideri del momento, a fornire spunti agli artisti che si sono succeduti nel tempo per presentare magari gli stessi soggetti, ma in forme e colori differenti, per creare nuove rappresentazioni che rispecchiassero i gusti dell’epoca pur mantenendo la loro funzione di suscitare emozioni e sentimenti spesso anche superiori a quelli del passato Lo avevano percepito anche artisti in passato, che la olivicoltura è soggetta a cambiamenti; basti osservare l’acquerello del Dürer riportato in questa opera per renderci conto dell’adeguamento della coltivazione dell’olivo alle necessità del momento. In questo disegno acquarellato si osservano le diverse forme di allevamento, inclusa quella naturale a monocono, originata forse dopo una devastante gelata. Forma di alleva-

La venerazione nei confronti di una pianta quasi immortale, l’olivo, ha forse costituito addirittura un ostacolo per la ricerca volta ad approfondire le conoscenze sulle sue caratteristiche più intime

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mento questa sostenuta da sempre dall’autore e che, se non ha trovato un largo consenso presso agricoltori e divulgatori, ciò è dovuto essenzialmente a un difetto di comunicazione; oggi tuttavia questa forma di allevamento è tornata alla ribalta prepotentemente, perché adatta agli impianti intensivi e super-intensivi, ovviamente solo per genotipi che a questa forma si prestano, come più volte ribadito nel corso degli anni dall’autore. Per capire tutto ciò è necessario non solo studiare e sperimentare, ma confrontarsi con le esperienze di altri paesi, magari molto lontani, che tuttavia fanno oggi parte ineluttabilmente di un unico sistema di mercato. Dall’opera si evince chiaramente che i contenuti sono frutto di esperienze scientifiche, progettuali e editoriali profonde maturate dall’autore non solo in

la don Carlo e la Giulia, di più recente costituzione), frutto di un lungo e scrupoloso lavoro di miglioramento genetico. Varietà che non hanno nulla da invidiare a quelle straniere impiegate attualmente in impianti intensivi e super-intensivi, anzi in grado di produrre più olio di qualità decisamente superiore. L’uso di queste, congiuntamente ad altre in via di sperimentazione e all’impiego di portinnesti capaci di ridurre la vigoria di molte cultivar di pregio, si spera servano a costituire oliveti produttivi e con costi di gestione ridotti, in aree attualmente occupate da oliveti oramai improduttivi, abbandonati o in fase di abbandono, con l’auspicio di un inizio di sblocco di questo deprecabile immobilismo della olivicoltura italiana. Non poteva mancare nella trattazione, infine, la messa

La ricerca in agricoltura è ridotta al lumicino e i prezzi dell’olio definiti in base a una classificazione che non tiene conto della qualità all’interno della categoria degli extra vergini

Italia e nei paesi tradizionalmente olivicoli, ma anche in altri continenti. Esperienze servite a semplificare per rendere più economiche e accessibili a tutti certe tecniche, da quella della propagazione per talea in semplici cassoni a quella dell’allevamento in vaso delle piante in vivaio, alle forme di allevamento degli olivi in campo adatte ad operazioni colturali integralmente meccanizzabili, come la potatura e la raccolta in continuo, o la realizzazione di impianti intensivi ad alta densità. Esperienze fatte anche sperimentando le proprie varietà brevettate (oltre la citata FS 17, Favolosa,

in luce della importanza della raccolta di germoplasma di olivo, operata dal nostro autore nella maggior parte delle aree olivicole più significative del mondo, nonché della sua conservazione e successiva caratterizzazione, per predisporre un serio piano di miglioramento genetico, supportato da tecniche molecolari e biotecnologiche avanzate, in ambito di Istituzioni scientifiche pubbliche. Leggendo questo libro sono ritornato indietro con la memoria di alcuni decenni quando insieme all’autore si alternavano discussioni sul futuro della olivicoltu40


ra ad argomenti relativi all’arte. E mi rendo conto che molti di quelli che appena qualche decennio fa erano desideri, auspici, progetti, oggi si sono concretizzati, con la tenacia, caparbietà e lungimiranza di alcuni ricercatori, ma in modo particolare dell’autore, piegando spesso la resilienza della specie. Sin da allora egli era attento alla ricerca di dipinti antichi raffiguranti l’olivo. Oggi finalmente con molto piacere, in parte, li possiamo vedere raccolti in questa straordinaria opera che celebra la cultura e la coltura di questa meravigliosa pianta. L’olivo e l’olio sono stati senza alcun dubbio protagonisti della storia, tanto che oggi vengono utilizzati per promuovere ed esaltare immagini promozionali in vari settori, dalla moda alla cosmesi, all’oreficeria; per fini ornamentali, dal bonsai alle decorazioni di giardini anche con piante monumentali, ai mobili e agli oggetti ricavati dal suo legno. Ma non è ancora sufficiente: questa pianta merita una valorizzazione maggiore e maggiore dovrà essere il riconoscimento a chi lo coltiva e lo studia. Con l’olivo e i suoi prodotti la cultura e la coltura si fondono inscindibilmente e l’auspicio è che l’uno e gli altri continuino a suscitare l’interesse di naturalisti, scienziati, agronomi, artisti, letterati, ebanisti e artigiani come finora è avvenuto. Non credo ci siano motivi perché questo interesse venga meno. Già si è avverato ciò che Pietro Vettori auspicava nel suo trattato nel secolo XVI “Delle lodi e della coltivazione degli Ulivi”, dove si legge: “che venga in maggior honore o meglio si conosca la bontà e la virtù di lei (pianta)... e che può nascere agli huomini utilità maggiore”, che è anche l’auspicio degli autori. Infatti molti ricercatori hanno iniziato ad esaminare questa pianta nel suo intimo (con le biotecnologie e la biologia molecolare) e già sono apparse novità interessanti, per ora peculiari, che non lasceranno indifferenti scienziati ed artisti e che ridaranno un nuovo impulso alla coltivazione dell’olivo e al consumo dell’olio, come auspicava ancora lo stesso Vettori oltre 400 anni fa: “… maggior vaghezza prenderà loro di piantare e di governar bene quello che furono poste dai nostri antecessori”. Spero che anche il mio auspicio si concretizzi: che que-

La nostra olivicoltura non può e non deve essere solo custodita come un dipinto antico in un museo

sta opera, diventata ora un “dono degli autori ai lettori”, abbia un seguito; cioè che gli autori, prendendo spunto dalle recenti novità colturali, biologiche, biotecnologiche e molecolari, congiuntamente alle recentissime opere artistiche di questo inizio secolo raffiguranti l’olivo, offrano a tutti noi un “Nuovo dono di Minerva”. Auspico altresì che le autorità amministrative e politiche, che sono spesso permeate di ideologie e di discutibili etiche che ostacolano il progresso scientifico e culturale, favorendo la concentrazione degli interessi nelle mani di pochi, che ne fanno monopoli di idee e di prodotti, possano trovare il coraggio di fare e di lasciar fare ciò che è esclusivamente utile al progresso dell’umanità.

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olioofficina / emozioni

Piaceri d’olio È il marito che tutte le cose buone da mangiare vorrebbero avere – Fausta Repole Un'universo olfattivo sempre nuovo – Claudia Donegaglia La lingua degli alberi abitati... – Gabriella Della Monaca È la strada che ho percorso facendomi diventare la persona che sono – Angela Canale Il cuore dell'oliva – Giandomenico Scanu Tranne una brevissimo periodo in montagna, di cui ricordo la bellezza dei luoghi ma soprattutto un gran freddo, fin dalla nascita ho vissuto sulla costa, dove mare e olivi sono sempre presenti e vicini. L'olio è quindi per me calore – Giorgio Lazzaretti L'olio da olive dorato, limpido e nutriente è il regalo che l'ulivo, pianta forte, gentile e generosa, ci fa puntualmente ogni anno; è il sole che ci restituisce dopo aver lottato contro la siccità e i venti – Grazia Milano L’olio è donna. Profumo, raffinatezza, vivacità, sensualità, dono della terra – Salvatore Scuderi Mi piace giocare con il gusto. Amo la cucina semplice, quindi l'olio è fondamentale – Antonella Bertagnin Ne apprezzo il gusto nell’accostamento con i cibi e la sua fluidità, consistenza e aroma, da quando entra in bocca a quando scende in gola – Gianni Ferrario Il punto di vista della salute. Il profumo di frutta delle olive. – 健康面とオリーブ果実の香り。Kyoko Matsuyama Olio: originale, liscio, istrionico, onnipresente. Impossibile per me rinunciare a un prodotto della terra – Roberta Maresci Mi piace che resti in gola, che sia forte, deciso. Così deve essere il colore – Maria Pia Romano Il sapore, che deve essere corposo, ma non troppo. E il giusto mix di densità e di fluidità – Loredana Limone Dans mon histoire personnelle, la mise en contact avec l’huile d’olive fut assez tardive – Christine Philippe 42


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olioofficina / storia

A bocca vergine Dal 1901, Oleificio moderno, un testo ricco di innovazioni per il settore dell’olio di Stefano Cerni e Lorenzo Cerretani

Fino a pochi anni or sono molti operatori della filiera olivicola erano convinti che le olive, per ottenere un olio di buona qualità, prima di essere lavorate dovessero fare la “calda”, fenomeno attraverso il quale le drupe, ammassate in grossi cumuli, danno origine a processi fermentativi che determinano l’innalzamento della temperatura di diversi gradi nel centro della massa. Questa deleteria pratica agricola, ancora oggi non del tutto eradicata, è la causa principale dell’insorgenza nell’olio da olive di gravi difetti organolettici quali il riscaldo, l’avvinato e la muffa (qualora si sviluppino anche colonie di muffe sulla superficie del cumulo). Tra gli addetti ai lavori c’era la convinzione che alla base della cattiva consuetudine (estremamente generalizzata fino agli anni ’80 del secolo scorso, oggi fortunatamente meno diffusa) di conservare a lungo e male le olive prima della molitura ci sia stata, se non proprio l’avallo del mondo scientifico dei primi del Novecento, l’attribuzione di una scarsa importanza alle modalità di conservazione delle olive quale condizione per ottenere un olio di buona qualità. È noto che le cattedre ambulanti (strutture pubbliche ministeriali collegate agli Ispettorati dell’Agricoltura) già fin dai primi anni del secolo scorso diffondevano nelle campagne, in maniera piuttosto capillare, le innovazioni tecnologiche dell’epoca e aggiornavano gli agricoltori divulgando le “moderne” tecniche colturali riferite alle principali piante coltivate. Viene quindi spontaneo pensare che anche il settore olivicolo abbia beneficiato delle attenzioni delle cattedre ambulanti che divulgavano le conoscenze dell’epoca.

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A fine Ottocento esistevano studi scientifici riguardo le buone pratiche agronomiche dell’oliveto e le corrette procedure elaiotecniche.

A proposito dell’influenza del clima sulle caratteristiche dell’olio, l’autore riferisce che la stessa varietà coltivata in siti diversi, dà origine a prodotti differenti: “con la luce viva del sole (quindi in climi più caldi) si produrranno oli più grassi, colorati e ricchi di sostanze aromatiche: il contrario avviene nei climi ove l’azione del sole è meno viva e si avranno oli magri, meno colorati e di aroma meno pronunziato, ma più delicati”.

Dalla consultazione di una interessantissima pubblicazione dal titolo “Oleificio moderno” del dottor Eustachio Mingioli, professore d’Industrie agrarie e direttore del Regio oleificio sperimentale annesso alla Regia scuola superiore d’agricoltura in Portici, edita nel 1901, si può constatare che le conoscenze scientifiche raggiunte nel settore della elaiotecnica alla fine dell’Ottocento erano tutt’altro che scarse se confrontate con le consuetudini e le norme comportamentali di quasi un secolo dopo la data della sua pubblicazione. È come se il contenuto della pubblicazione non fosse stato divulgato tra gli operatori olivicoli che, ignari degli esiti negativi di certe pratiche agronomiche, hanno continuato imperterriti a commettere gravi errori, soprattutto nella fase del post raccolta.

Nei climi ove la temperatura media è più elevata le produzioni sono più abbondanti, se al frutto si lascia raggiungere la maturazione fisiologica, gli oli risultano “grossolani”. Nei climi più temperati al contrario le produzioni risultano meno abbondanti ma gli oli hanno caratteri organolettici più “fini e delicati”. L’autore precisa comunque che in un dato sito di coltivazione le condizioni meteorologiche sono variabili di anno in anno e quindi “una stessa varietà coltivata nella medesima oliveta, non tutti gli anni raggiunge un identico grado di maturazione e rende le stesse quantità di oli, come pure le qualità non saranno sempre le stesse”. Nelle annate in cui il cielo è più coperto si ha la minor resa e la peggiore qualità di prodotto. “Nei luoghi caldi, ove la maturazione fisiologica si succede completa, le olive possono raggiungere la sovramaturazione. Ma in questi luoghi si può sospendere la maturazione in un tempo anticipato e corrispondente al momento in cui nelle olive si rinviene la qualità più eletta di oli e nella massima quantità”. L’autore fa riferimento all’anticipo della raccolta adattandola alla ricerca del miglior compromesso tra qualità e quantità per cui “anche nelle regioni ove il clima è più elevato (l’autore intende più caldo), è possibile ottenere qualità di oli identiche a quelle che si otterrebbero dalle stesse varietà vegetanti in località a clima più temperato e più confacente per la formazione di oli più fini e delicati. Nelle regioni più calde adunque, quando le fasi meteoriche si svolgono normalmente, le olive maturando in un tempo molto più breve, per assicurare la materia prima capace di dare oli fini e delicati, bisognerà, in genere, procedere più presto alla raccolta”. In pratica è il concetto attualissimo che vede il grado di maturazione delle olive come uno dei fattori più im-

La parte seconda del volume, riferita alla elaiotecnica, è ricca di spunti e suggerimenti, per ottenere un olio di qualità, affatto scontati anche riferiti ai giorni nostri. A proposito della raccolta l’autore riferisce che “essa andrà compiuta al giusto grado di maturazione delle olive, poiché è dal grado di essa che dipendono la qualità e quantità degli oli da estrarre”. Precisa che molteplici sono le cause che rendono variabile la maturazione e fra queste attribuisce alla varietà un peso rilevante. “Vi sono varietà più o meno oleifere, altre che rendono gli oli più delicati ed altre ancora più grossolani”. L’autore auspica che venga effettuato uno studio elaiografico delle varietà coltivate per individuare quelle che per quantità e qualità di olio prodotto siano le più idonee nei diversi ambienti di coltivazione. “Tale studio che in Italia non è ancora stato possibile, si eseguisce ora in California, plaga oleifera nascente che un giorno non lontano sarà molto produttiva e potrà disturbare l’attuale assetto dei mercati oleari europei”. La previsione fortunatamente non si è avverata e oggi la California, pur rappresentando il più importante sito di coltivazione dell’olivo negli Stati Uniti, non rappresenta certo una minaccia alle produzioni del bacino del Mediterraneo. 45


portanti per la caratterizzazione sensoriale degli oli. Le raccolte quindi, compatibilmente con la quantità di prodotto presente in azienda, vanno programmate in funzione dell’indice di maturazione più confacente per una determinata cultivar, anticipandole o ritardandole in funzione sia delle condizioni climatiche della stazione di coltivazione sia dell’andamento stagionale annuale, il tutto senza perdere di vista anche gli obiettivi commerciali che si intende perseguire.

tra una serie di oli, far precedere l’analisi chimica a quella sensoriale. La sequenza di degustazione va dal campione ad acidità più bassa procedendo verso l’ordine crescente. Salti repentini tra oli di buona e scadente qualità, possono alterare profondamente il gusto al punto di confondere gli assaggiatori che potrebbero esprimere giudizi diametralmente opposti a quelli emessi seguendo la scala di valori cresenti di acidità. “Negli assaggi entra in gioco il paragone fatto in base alle riminescenze gustative del passato”, (il concetto attuale di memoria olfattiva e gustativa) confrontando le sensazioni del campione in esame, con le caratteristiche dell’olio “tipico o ideale”. Gli oli in assaggio vengono così suddivisi in gruppi omogenei sulla base di uno o più caratteri che identificano il campione ideale. I giudizi comparati vengono espressi fissando parametri le cui sensazioni vengono calibrate su una scala da 1 a 10, con 1 l’ultimo grado di apprezzamento e 10 il massimo possibile corrispondente al tipo ideale. Esiste quindi un esame generale per definire i gruppi omogenei e uno speciale all’interno dei gruppi. I punteggi per ogni singola sensazione vengono così sommati e il risultato viene poi diviso per il numero delle sensazioni rilevate al fine di ottenere una media complessiva che rappresenta il valore del singolo campione, che può essere confrontato con altri appartenenti al medesimo gruppo. Nell’esame degli oli si rilevano caratteri fisici (vischiosità, fluidità, trasparenza, limpidezza e chiarezza) e organolettici (sapore o gusto, odore o profumo, e colore).

“Se il clima è uno dei principali fattori del grado di inolizione delle olive e della qualità degli oli che in esse si formano, non secondariamente influisce la natura del suolo dell’oliveta sul grado di maturazione. Nei terreni sterili, argillosi, molto umidi, freddi, privi di calcare, poco ricchi di potassa e di fosfati, la maturazione procede stentata, l’inolizione è scarsa e gli oli sono scadenti. Nei terreni fertili, calcarei, al giusto grado di umidità, caldi, grassi, ricchi di minerali, la maturazione delle olive procede molto più perfetta e accelerata e la ricchezza oleifera più abbondante”. Questo concetto controverte gli schemi colturali antiquati che consideravano l’olivo una pianta frugale in grado di adattarsi a tutti gli ambienti podologici. In conseguenza a questa capacità di adattamento gli agricoltori, nei vecchi schemi agronomici di fine Ottocento, assegnavano all’oliveto i terreni peggiori, quelli che non avrebbero garantito ad altre piante arboree più pregiate (vite o frutteti) un reddito soddisfacente. I concorsi oleari non sono una novità del terzo millennio

Fra gli assaggi fisici la vischiosità e la fluidità si possono rilevare con strumenti chiamati vischiosimetri i cui valori risultano “rigorosi e attendibili” rispetto alla rilevazione sensoriale troppo empirica e poco efficace. Peccato che l’autore non riporti l’interpretazione dei dati di laboratorio e i parametri utilizzati per attribuire, ad una determinata viscosità, il relativo punteggio.

Anche a fine Ottocento si svolgevano “Mostre di concorsi oleari” avvalendosi di norme e criteri a cui attenersi per eseguire gli assaggi. “Assaggi empirici non hanno il valore di una analisi chimica, ma se ben eseguiti assumono il vero mezzo per determinare la bontà di un olio che deve soddisfare le esigenze del gusto dei consumatori”. L’autore riferisce che esiste una relazione stretta tra il valore dell’acidità libera e le caratteristiche sensoriali dell’olio: sopra il 3,5% si riscontrano gravi difetti. È utile quindi, in un giudizio comparato

“I caratteri di trasparenza, limpidezza e chiarezza sono determinati dall’occhio esperto e non occorre altri mezzi per definirli”. 46


Occhio esperto, olfatto sensibile e gusto educato ed esperto.

bianchi). “Nel giallo verdino raramente si ha un verde deciso, la tendenza è sempre la predominanza al giallo con sfumature inferiori”. L’autore fa notare come un olio troppo colorato sia da classificare fra gli oli scadenti così pure gli oli troppo bianchi, sia che derivino da processi naturali, sia che l’imbianchimento venga indotto da procedimenti artificiali. Nell’esaminare il colore per attribuire al parametro un valore, bisogna “considerare la natura dei mercati sui quali gli oli si intendono destinare”. In genere si preferiscono colorazioni poco intense nella scala del giallo paglierino, o giallo ambrato; “i toni di colore nella scala del verde sono quasi sempre poco accetti”. All’epoca i mercati del nord Europa preferivano gli oli di colore bianco “che pel colore ialino si rassomigliano alquanto all’acqua”. L’autore fa notare che a livello scientifico la composizione della materia colorante è quasi estranea alla vera costituzione degli oli per cui “si dovrebbe tener poco o niun conto” del colore per attribuire un livello di qualità al prodotto. È solo l’aspetto commerciale che suggerisce la valutazione del colore perché “il tono dei colori e l’intensità colorante son tenuti in pregio ed apprezzati sui mercati e dai consumatori”.

Sono i requisiti che l’assaggiatore deve possedere per esprimere giudizi corretti. Non basta l’esperienza e al momento dell’esercizio il soggetto deve possedere “le qualità fisiologiche più sane e normali poiché basta una condizione patologica leggerissima per alterare le sensazioni ed ottenere apprezzamenti contrari”. I degustatori di oli non dovrebbero essere sottoposti costantemente a forti sensazioni, per cui chi “fiuta tabacco e beve liquori” non può degustare oli senza correre il rischio di commettere errori grossolani di valutazione. È buona norma che gli assaggiatori si presentino alle sedute “a bocca vergine, senza aver fumato o bevuto caffè, a corpo digiuno e a stomaco vuoto”.

L’esame sensoriale si basa sui seguenti criteri: Colore “Il colore varia con l’età, col metodo di estrazione, oltre ad essere dipendente dalla natura della materia prima”. L’autore consiglia, per avere una visione omogenea, di porre gli oli all’interno di provette del diametro di 2 centimentri, considerato che “gli oli guardati in

Odore L’odore degli oli “mangiabili” ricorda quello delle olive fresche ed è “più o meno pronunziato a seconda l’origine, la qualità della materia prima e l’età dell’olio”. Il concetto è quindi simile a quello attuale di fruttato, nelle diverse gradazioni di intensità. Negli oli non si debbono sentire “odori estranei come di cedro o limone, avendo taluni l’abitudine di macinare cortecce di cedro o limone assieme alle olive per ottenere oli profumati”. All’epoca era in uso l’abitudine di aromatizzare gli oli d’oliva con altre essenze tipo vaniglia e cannella, definite dall’autore “porcherie” per mascherare eventuali difetti presenti. Evidentemente la legge non impediva l’utilizzo di sostanze aromatizzanti non essendo ancora stato definito il concetto di “Vergine”. Gli oli devono avere solo “l’odore speciale di frutto che posseggono le olive fresche al momento della loro colta”.

massa, si presentano di un colore più cupo di quando sono traguardati a trasparenza in un bicchiere”. Le tinte di colore corrispondono a due toni, uno assolutamente giallo, l’altro al giallo verdino. Le gradazioni di giallo sono le seguenti: giallo oro, giallo chiaro, giallo paglierino, giallo pallido, giallo ambrato, giallo sbiadito (detti anche oli 47


Qualsiasi altro odore estraneo, anche se gradito dal consumatore, deve essere considerato un difetto. Laddove la percezione del sentore di frutta è forte non è un pregio, anzi è piuttosto un difetto in quanto l’odore di olive fresche deve essere “tenue e delicato. Nell’olio vergine e ancora mosto è più sentito, in quello stagionato diventa molto delicato e gradito. Il profumo negli oli per essere apprezzato deve essere delicatissimo; ma quando è marcato o troppo inciso diventa sgradevole”.

Rispetto al punto 1) si procede avvicinando il bicchiere alle narici e annusando si percepiscono gli odori, nel secondo caso si fanno cadere alcune gocce di olio nel palmo della mano (l’autore specifica sinistra) e quindi con la destra si “stropiccia” per alcuni secondi per poi aprire le mani avvicinandole al naso. Il calore generato dallo sfregamento rende “più pronta e abbondante la volatilizzazione dei principi aromatici” esaltando la percezione dei pregi e dei difetti. Nel terzo caso alle percezioni gustative proprie dell’assaggio degli alimenti, si percepiscono contestualmente anche le sensazioni retronasali che si rilevano “molto più potentemente sia per i pregi che per i difetti poiché si sprigionano più liberamente col calore della bocca”. Si procede deglutendo l’olio e, a bocca chiusa, facendo fuoriuscire l’aria dalle narici “Respirando per le narici stabilendo così una corrente d’aria calda che trascina nelle fosse nasali le sostanze profumanti gli oli”. Sapore e gusto “Il miglio modo di degustare gli oli è di berli direttamente dal bicchiere” utilizzato per rilevare i caratteri visivi, senza sussidio di pane o altro “comangiare”, senza neppure intingere una foglia d’insalata per leccarla e degustare l’olio. Tra un assaggio e il successivo “bisogna rinfrescarsi la bocca masticando frutta non profumata e le mele o le pere si prestano a preferenza. È un errore mangiare pane o bere cognac o altri liquori” che potrebbero irritare le mucose e alterare le percezioni gustative. Dopo aver deglutito solo parte dei frutti masticati ed espulsa la restante, si eseguono ripetuti lavaggi della cavità orale espellendo l’acqua e solo in piccola parte deglutendola per arrivare a “togliere dall’esofago quella sensazione grassa”. L’autore consiglia, per evitare di stancare e alterare il gusto, di non superare i 12/15 assaggi. Al di sopra di questi numeri, le valutazioni sono poco attendibili.

L’odore di un olio si può rilevare in tre differenti modalità: 1) Fiutando direttamente l’olio nel bicchiere (odore a distanza); 2) Fiutando immediatamente dopo averlo riscaldato e stropicciato fra le palme delle mani; 3) Apprezzando le sensazioni di profumo che si risvegliano e si sentono nelle fosse nasali dopo la deglutizione e durante le sensazioni della retrobocca.

Esisteva un piccolo vocabolario sensoriale e la mappa del gusto All’assaggio di un olio si percepiscono le seguenti sensazioni:

Oggi, nel terzo caso, non si parlerebbe di profumo, ma di aroma di bocca e di sensazioni retronasali. 48


1) Sensazioni nell’antibocca, sono le sensazioni che si rilevano sulla punta e ai lati della lingua e al palato.

La lettura del testo del professor Eustachio Mengoli smentisce chiaramente la credenza che in un passato “recente” (20-30 anni fa) non fossero note conoscenze fondamentali per la produzione di oli di qualità. Infatti, la conservazione in sacchi fino al riscaldamento delle olive ha rappresentato fino a qualche decennio fa uno dei fenomeni deleteri per la qualità dell’olio; in realtà in alcuni contesti tale pratica viene ancor oggi attuata. Pertanto, va dato merito ai diversi strumenti di comunicazione che hanno acceso i riflettori sulle produzioni di qualità: dalle riviste a stampa passando più recentemente a quelle on-line nonché per i numerosi corsi che hanno diffuso le conoscenze tecniche dapprima tra i produttori e trasformatori e poi presso i consumatori e tutti i diversi tipi di utilizzatori. Sicuramente in quest’ultimo elenco vanno annoverati anche i concorsi e le guide che hanno creato uno spirito di confronto e uno stimolo di miglioramento tra i produttori. L’attualità dei concetti e delle informazioni divulgate già ai primi del Novecento dal professor Mengoli riguardano anche l’analisi sensoriale che come ben noto agli addetti ai lavori ha dovuto attendere novant’anni per diventare uno strumento di lavoro di controllo ufficiale.

2) Sensazioni nella retrobocca, sensazioni sulla base della lingua. 3) Sensazioni nelle fosse nasali. Sulla punta della lingua si percepisce il dolce, l’acido e lo stittico (ovvero l’astringente), sensazioni che poi si estendono anche ai lati ma non sul dorso. Sul dorso della lingua e sul palato si percepisce l’insipido, il mucillaginoso, il rancido, il pungente, il leggiero, il fresco, il delicato, il piacevole, lo snervato, il guasto, l’acre e il pastoso. Nel retrobocca le sensazioni di gusto sono rilevabili attraverso “i fasci nervosi glosso-faringei” che rilevano l’acredine, il pungente, l’ardente, il putrido, l’ammoniacale. L’insieme di tali sensazioni prende il nome di dietrogusto. Le sensazioni di dietrogusto quando sono “nulle sono pregevolissime ma quando sono sensibili, gradite o non gradite, sono un difetto. Un olio per essere ottimo non deve lasciare sensazione di sorta nella

Bibliografia Mengoli E., Oleificio moderno, 1901. Rotondi A., Bendini A., Cerretani L., Mari M., Lercker G., Gallina Toschi T., “Effect of olive ripening degree on the oxidative stability and organoleptic properties of cv. Nostrana di Brisighella extra virgin olive oil”, Journal of Agricultural and Food Chemistry 52 (11), 2004, pp. 3649-54.

retrobocca. Gli oli che non imprimono dietrogusto sono i migliori”. In linea generale tutte le sensazioni devono essere deboli e gradevoli e non devono lasciare nella bocca e nell’olfatto nessuna sensazione spiccata e durevole. 49




olioofficina / colture

Nessuno trascuri l’olio di lentisco di Gabriele Maiorano

Colori e profumi della vegetazione mediterranea hanno il potere di suscitare emozioni complesse che restano impresse come marchio indelebile di un territorio, della sua cultura e della sua popolazione. Nelle giornate assolate di montaliana immobilità esplodono le variazioni del verde tra le note fragranti sprigionate da una vegetazione che, a tratti lussureggiante, stride con la calura e l’aridità solo apparente. Ed è qui che tra le eriche, i mirti, l’alloro, il corbezzolo, i cisti, il carrubo e il ginepro s’insinua il lentisco, un cespuglio sempreverde fittamente ramificato dall’intenso aroma balsamico e resinoso. Il nome scientifico Pistacia lentiscus suggerisce parentele non del tutto sconosciute: questo arbusto, raramente alberello, appartiene alla famiglia delle Anacardiaceae e al genere Pistacia che condivide con il terebinto (Pistacia terebinthus) ed il pistacchio (Pistacia vera). Le sue foglie sono alterne, paripennate, composte da foglioline coriacee, ovato-ellittiche, interamente glabre e di colore verde intenso. I fiori sono piccoli, verdognoli o rossastri, raccolti in infiorescenze a pannocchia, poco appariscenti per mancanza della corolla, distinti in fiori femminili e maschili e allocati su piante differenti, il lentisco infatti è una pianta dioica. Il frutto è una piccola drupa sferica di colore verdastro ad inizio della fruttificazione, tendente al nero a piena maturazione passando per un colore rosso acceso. La fioritura ha luogo in tarda primavera, mentre i frutti diventano ben visibili in pieno autunno colorando la macchia mediterranea di punteggiature rosso acceso, per poi giungere a piena maturazione ad inverno inoltrato. Quest’umile arbusto, presenza costante nei paesaggi costieri del bacino mediterraneo, è stato partecipe del cammino dell’uomo che nel lentisco ha trovato una risorsa alimentare, medicamentosa e utile alle più svariate attività produttive. Ne sono testimonianza le citazioni di numerosi autori classici greci e romani che riportano un uso intensivo di tutte le parti dell’arbusto: il legno, i frutti, le galle, la resina e le foglie. Pur avendo perso gran parte della sua antica importanza, anche oggi il lentisco viene utilizzato per molteplici scopi, ad esempio dalla distillazione dell’intera

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pianta si ricava l’olio essenziale lentisco, impiegato in profumeria e nella medicina tradizionale, il suo legno è apprezzato per la produzione di carbone vegetale e per i lavori di intarsio, le foglie, le galle e la corteccia sono impiegate per la concia del pellame mentre dal tronco si estrae una resina impiegata nell’industria alimentare, nella medicina tradizionale e nella pittura. Tra le più conosciute vi è la resina ricavata dai lentischi endemici dell’isola di Chio (Grecia) conosciuta con il nome di mastice di Chio.

rio, del Mediterraneo. Ad eccezione di sporadiche informazioni a carattere generale,1 soltanto negli ultimi anni la comunità scientifica internazionale ha iniziato a studiare la composizione, le proprietà nutrizionali e salutistiche dell’olio di lentisco.2,3,4,5 Questo interesse attuale deriva dalla crescente importanza economica e nutrizionale degli oli vegetali ed è alla base della riscoperta, della caratterizzazione e dell’innovazione nella produzione di olio vegetale da fonti alternative. A questo va aggiunto che la medicina tradizionale popolare riconosce al lentisco numerose proprietà benefiche, e su questo aspetto interessanti scoperte diventano sempre più numerose all’avanzare di nuovi studi scientifici.6,7

Un altro importante tesoro è nascosto nelle drupe del lentisco, infatti dai frutti si ricava un olio utilizzato da tempo immemore come succedaneo dell’olio di oliva per scopo alimentare, per la produzione dei saponi e come combustibile per l’illuminazione. L’utilizzo dell’olio di lentisco ha origini antichissime, Plinio il Vecchio nell’opera Naturalis Historia raccomandava l’impiego dell’olio di lentisco per la tintura dei capelli in rosso: “E questa [la feccia dell’aceto] arsa acquista più vigore. Allora impiastricciata con l’aggiunta di olio di lentisco in una sola notte rende rossi i capelli”. A partire dal XX secolo, l’industrializzazione e l’agricoltura intensiva ed uniforme hanno determinato l’abbandono della produzione dell’olio di lentisco lasciando così il posto al consumo globalizzato di specifici oli vegetali.

Alla luce degli ultimi lavori pubblicati il lentisco può essere considerato a tutti gli effetti una pianta a frutti oleaginosi in quanto le sue drupe possiedono un contenuto di olio che, a seconda dell’origine della pianta, dei fattori genetici, dello stadio di maturazione delle drupe e delle condizioni climatiche, varia dal 30% al 42%.2,3 La composizione in acidi grassi, principali costituenti di un olio vegetale, è comparabile, se non qualitativamente superiore, a quella dei più conosciuti oli vegetali. Nell’olio di lentisco infatti, gli acidi grassi più rappresentati sono in ordine decrescente: acido oleico, palmitico, linoleico, palmitoleico e stearico (Tab. 1). L’acido oleico costituisce più del 50% degli acidi grassi totali. Questo è un acido grasso monoinsaturo dalle numerose proprietà salutistiche, appartiene alla classe dei MUFA (MonoUnsaturated Fatty Acid). Segue l’acido palmitico, acido grasso saturo (Saturated Fatty Acid, SFA) con un contenuto che, in media, supera di poco il 20%. Successivamente, in concentrazione di poco inferiore al 20%, vi è l’acido linoleico. Quest’ultimo acido grasso appartiene alla categoria degli acidi grassi polinsaturi (PolyUnsaturated Fatty Acid, PUFA), serie degli omega-6 e risulta essere un acido grasso dai numerosi ruoli biologici, essenziale per l’organismo poiché la biosintesi endogena non è in grado di soddisfare appieno il fabbisogno totale.

Oggi questa tradizione sopravvive solo in ristrette zone della Tunisia, dell’Algeria e della Sardegna dove si pratica ancora l’originario processo artigianale che prevede bollitura delle drupe, spremitura manuale e separazione dell’olio affiorante che viene poi portato a temperature elevate per separare il grasso alimentare vero e proprio dalla componente mucillaginosa caratterizzata da notevole astringenza. L’olio così prodotto possiede spiccate proprietà organolettiche grazie alla sua fragranza fresca, balsamica ed aromatica e al suo sapore deciso. Queste caratteristiche dotano l’olio di lentisco di un potenziale notevole, meritando dunque una maggiore diffusione come olio vegetale ad uso alimentare, al di là dei suoi attuali confini territoriali ormai ristretti. Le sue intense proprietà organolettiche offrono appieno l’espressione più autentica del territo53


Da un’analisi complessiva dei dati si può notare come l’olio di lentisco possieda dunque, un contenuto elevato di acidi grassi insaturi (MUFA + PUFA) che supera il 70% sul totale. Ciò ha delle implicazioni salutistiche ragguardevoli, infatti l’olio di lentisco è caratterizzato da un rapporto SFA:MUFA:PUFA superiore al valore ideale 1:1,5:1 raccomandato dalle attuali linee guida alimentari che definiscono un grasso (vegetale o animale) come salutare.

Acido Oleico (C18:1)

Charef et al., 20082 55,3

Trabelsi et al., 20123 49,0

Mezni et al., 20124 54,8

Dhifi et al., 20135 51,1

Acido Palmitico (C16:0)

19,5

25,7

26,7

23,5

Acido Linoleico (C18:2)

21,4

20,9

15,8

20,7

Acido Palmitoleico (C16:1)

2,1

1,4

1,1

1,2

Acido Stearico (C18:0)

1,7

1,0

1,5

1,4

quello dei più comuni oli vegetali quali l’olio di mais (1,1 g/kg), l’olio di colza (0,8 g/kg olio) e l’olio di semi di girasole (0,7 g/kg). Il tocoferolo α, ad attività antiossidante più elevata è presente per il 93,62% sul totale dei tocoferoli nell’olio di lentisco. Oltre a quanto dimostrato da questi lavori scientifici, numerosi altri parametri necessitano di essere indagati, come anche la presenza di numerose biomolecole che attendono di essere identificate, quantificate e valutate per una potenziale azione biologica. Dagli approfondimenti scientifici in questa direzione potrebbero scaturire conoscenze utili a spiegare le numerose proprietà benefiche attribuite al lentisco con notevole contributo alla produzione di un olio dalle specifiche qualità nutraceutiche. Uno studio recente ha evidenziato la presenza di numerosi metaboliti secondari nelle foglie di lentisco, la maggior parte dei quali caratterizzati per la prima volta in questa specie.7 Questo risultato rimanda ad un illustre precedente: nell’olio ricavato dai frutti dell’olivo (Olea europea) infatti, si riscontra l’esclusiva presenza dell’oleuropeina, molecola con funzione antiossidante e nutraceutica appartenente alla classe dei polifenoli.

Tabella 1: Principali acidi grassi presenti nell’olio estratto da drupe di lentisco

Anche altre diverse classi di composti chimici, sebbene presenti in piccola percentuale, contribuiscono a conferire particolari proprietà salutistiche ad un olio vegetale, oltreché organolettiche. Hajer Trabelsi e colleghi3 hanno svolto un’analisi qualitativa e quantitativa dei fitosteroli presenti nell’olio di lentisco, una classe di molecole bioattive nota per la capacità di influire positivamente sui livelli di LDL-colesterolo plasmatico. Dalle analisi svolte si evidenzia un contenuto in fitosteroli pari a 0,43 grammi su 100 grammi di olio di lentisco. Il ß-sisterolo, e molto secondariamente il campesterolo, sono i fitosteroli predominanti per più del 90% su tutti quelli indagati. Wissal Dhifi e colleghi5 hanno indagato invece il contenuto in tocoferoli, importanti antiossidanti naturali meglio conosciuti come Vitamina E. Questi sono composti bioattivi liposolubili essenziali e vitali per l’uomo con funzione nutriente vitaminica. L’olio di lentisco ha un contenuto di 8,1 grammi di tocoferoli per ogni chilo di olio, questo valore è molto più elevato rispetto a

Tra gli aspetti che sarebbe utile approfondire vi è anche lo studio e la messa a punto di opportune tecniche di estrazione dell’olio di lentisco volte a preservarne le proprietà organolettiche e nutrizionali, così come avvenuto per l’olio di oliva con l’avvento della centrifuga ad asse orizzontale. Per l’olio di lentisco infatti, non è noto l’impiego di un processo produttivo che sia alternativo al metodo tradizionale. Un primo tentativo, sebbene in scala di laboratorio, si riscontra nel lavoro di Faten Mezni e colleghi4 che hanno comparato l’olio di lentisco prodotto attraverso metodo tradizionale a quello ottenuto attraverso pressa idraulica e centrifugazione. I risultati hanno evidenziato come i parametri qualitativi indagati siano nettamente superiori nell’olio ottenuto attraverso la spremitura a freddo. Ai vantaggi sensoriali, nutrizionali e salutistici insiti in questo olio così particolare, l’impiego del lentisco ag54


giunge anche opportunità riguardanti la sostenibilità, il rispetto della biodiversità e la difesa del territorio. Il lentisco, infatti, è considerato una pianta pioniera della vegetazione mediterranea. La sua frugalità, la capacità di rigenerarsi dopo eventi come l’incendio o il taglio, la resistenza all’aridità, la scarsa appetibilità da parte degli erbivori e la capacità di migliorare il terreno lo rendono importante dal punto ecologico per il recupero e l’evoluzione di aree degradate verso sistemi forestali più complessi ed articolati.

xidant and antibacterial activities of Pistacia lentiscus L. fruit oil”, Journal of Medicinal Plants Research, vol. 6 (39), 2012, pp. 5266-71. 5. Dhifi “Chemical composition of Lentisk (Pistacia lentiscus L.) seed oil”, African Journal of Agricultural Research, vol. 8 (16), 2013, pp. 1395-400. 6. Duru M.E., Cakir A., Kordali S., Zengin H., Harmandar M., Izumi S., Hirata T., “Chemical composition and antifungal properties of essential oils of three Pistacia species”, Fitoterapia, vol. 74, 2003, pp. 170-6. 7. Rodríguez-Pérez C., Quirantes-Piné R., AmessisOuchemoukh N., Madani K., Segura-Carretero A., Fernández-Gutierrez A., “A metabolite-profiling approach allows the identification of new compounds from Pistacia lentiscus leaves”, Journal of Pharmaceutical and Biomedical Analysis, vol. 15 (77), 2013, pp. 167-74.

L’olio di lentisco con la sua tradizione millenaria merita indubbiamente maggiore attenzione e approfondimenti che mettano in piena luce le sue proprietà nutrizionali e salutistiche e la capacità di tipizzare un territorio nel rispetto della sua salvaguardia e della sostenibilità. Ancora una volta dallo spontaneo abbraccio tra la saggezza popolare e madre natura timide opportunità per lo sviluppo del territorio bussano alle nostre porte, a condizione però di essere in grado di guardare con orgoglio al proprio passato proiettandolo rispettosamente nell’imminente futuro.

Bibliografia 1. Villavecchia V., Eigenmann G., Nuovo dizionario di merceologia e chimica applicata, vol. II, p. 1095, Hoepli, 1944. 2. Charef M., Yousfi M., Saidi M., Stocker P., “Determination of the Fatty Acid Composition of Acorn (Quercus), Pistacia lentiscus Seeds Growing in Algeria”, Journal of the American Oil Chemists’ Society, vol. 85 (10), 2008, pp. 921-4. 3. Trabelsi H., Cherif O.A., Sakouhi F., Villeneuve P., Renaud J., Barouh N., Boukhchina S., “Total lipid content, fatty acids and 4-desmethylsterols accumulation in developing fruit of Pistacia lentiscus L. growing wild in Tunisia”, Food Chemistry, vol. 131 (2), 2012, pp. 434-40. 4. Mezni F., Maaroufi A., Msallem M., Boussaid M., Khouja M.L., Khaldi A., “Fatty acid composition, antio55


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olioofficina / economia

Crescere significa fiorire di Alfonso Pascale

Nei prossimi mesi, i singoli Stati membri dell’Unione Europea negozieranno con la Commissione Europea gli spazi di flessibilità, concessi dalla riforma della PAC (Politica agricola comune) appena varata, per adattare le normative ai contesti nazionali. Uno dei temi scottanti che dovrà essere affrontato è quello relativo all’individuazione del cosiddetto “agricoltore attivo” per farlo assurgere a destinatario esclusivo degli “aiuti diretti”. Una grana difficile da disinnescare a livello europeo. E pertanto si è preferito cederla agli Stati membri. I “pagamenti diretti” sono una forma di sostegno pubblico che il Commissario Europeo MacSharry introdusse agli inizi degli anni ’90 del secolo scorso come tipologia di intervento a carattere transitorio (doveva durare 5-6 anni) per consentire un passaggio morbido dalla vecchia politica di sostegno dei prezzi alla progressiva liberalizzazione dei mercati e allo sviluppo rurale. Ma su quella politica, preannunciata inizialmente come intervento a termine, si costruì immediatamente una mastodontica macchina burocratica per gestirla. E così, la difficoltà a smantellare questa megastruttura si è tradotta in un tacito vincolo per le successive riforme sempre irrimediabilmente abortite.

Un’intollerabile politica protezionistica danneggia le agricolture dei paesi poveri

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Oggi, con il sistema degli “aiuti diretti”, la PAC si preproduttori che, in molte aree del nostro paese, contrisenta come un’intollerabile politica protezionistica che buiscono in modo decisivo a mantenere in vita un’olividanneggia le agricolture dei paesi poveri. La si giustificoltura legata al territorio: quella che ha non solo una ca spudoratamente come un utile mezzo per attenuare funzione produttiva, ma soprattutto di tutela dell’ami problemi posti a livello mondiale dallo squilibrio crebiente e del paesaggio. In una società consumistica scente tra risorse e popolazione. Ma per fronteggiare cresciuta all’insegna dell’usa e getta, questi olivicoltori l’insicurezza alimentare andrebbero attuate liberalizsono considerati un inutile e ingombrante fardello di zazioni e protezioni a geometria variabile. I paesi più cui liberarsi. Non servono più neanche alle burocrazie poveri dei nostri hanno bisogno, per un certo periodo, sindacali per garantire la sopravvivenza delle proprie di proteggersi dalle importazioni dei nostri prodotti agenzie di servizi. agricoli e puntare al proprio sviluppo autoctono. E noi La storia dell’intervento pubblico in agricoltura ci ridovremmo dichiararci disponibili a favorire queste lecorda che ci sono politiche capaci di accrescere il cagittime e irrinunciabili esigenze. I paesi industrializpitale sociale e altre di indebolirlo. Le grandi trasforzati, invece, qualora le crisi alimentari dovute ai prezzi mazioni economiche e sociali si sono ottenute senza alti del cibo colpissero le fasce fratture e disagi quando sono povere della propria popolastate fondate sulla ricostituzione, non dovrebbero nutrirle zione dei legami comunitari, producendo di più localmente, investendo ingenti risorse Un luogo comune da ma dovrebbero farvi fronte pubbliche prima di tutto sfatare è che il benessere con adeguate politiche di welnell’istruzione, nella cultura, delle persone sia solo fare in grado di lottare effettinella casa, nei servizi sociovamente contro le povertà. sanitari, nella viabilità. E materiale. Sfugge che Invece di prendere atto delle successivamente in quelle iniil benessere è anche critiche mosse dalle organizziative infrastrutturali e di sospirituale zazioni internazionali alla ristegno alle attività produttive forma della PAC e irrobustire per favorire lo sviluppo. Dalla la politica di sviluppo rurale, bonifica integrale alla riforma le istituzioni europee hanno agraria e agli interventi infraconfermato gli “aiuti diretti” quale principale forma strutturali del primo ciclo della Cassa per il Mezzod’intervento pubblico in agricoltura. E tuttavia non giorno, la coesione sociale è sempre stata considerata hanno potuto fare a meno di ridurre i finanziamenti una premessa, non un effetto dello sviluppo. E tutte per tale politica. L’alternativa sarebbe stata una conle politiche per l’agricoltura che si sono discostate da tribuzione più elevata degli Stati membri al bilancio siffatto criterio sono state un fallimento. comunitario. Ma l’acuirsi della crisi economica e finanLa PAC è attualmente una politica inadeguata proprio ziaria ha reso impraticabile questa strada. E così, ora perché è incentrata su di una tipologia d’intervento che la coperta si è ristretta, è diventata ineluttabile (pagamenti diretti) che erode il capitale sociale delle l’esigenza di individuare qualche criterio selettivo. campagne. Favorisce, infatti, comportamenti indiviIn Italia, l’orientamento che pare prevalere è quello di dualistici. Far pervenire ogni anno un sostegno finandestinare i “pagamenti diretti” solo agli imprenditori ziario assistenziale sul conto corrente di un agricoltore agricoli professionali e di escludere, in ogni caso, i prosenza richiedere in cambio nulla che potesse andare duttori che attualmente ricevono un aiuto inferiore ad a beneficio dei cittadini contribuenti, significa disinuna certa soglia. Ma nessuno denuncia che la scelta di centivare le pratiche collaborative e i comportamenti questi due criteri andrà a punire proprio quei piccoli responsabili. Ma nessuno ha il coraggio di denunciare 58


La crescita non dev’essere un fine ma un mezzo. E oggi serve per creare più lavoro e meno debito pubblico. Crescere significa fiorire. Non c’è vita senza fioritura.

apertamente il carattere deleterio di questa politica che la maggioranza degli agricoltori non gradisce. Che senso ha un sostegno pubblico che permette ai produttori agricoli solo di sopravvivere e di prolungare l’agonia, ma non li rafforza e non li predispone per fronteggiare le sfide del futuro? Gli agricoltori avvertono fortemente il disagio ma preferiscono tacere. Sperano che prima o poi cambi qualcosa. E allora a chi giova la perpetuazione di questa politica? A quelle strutture pubbliche e private che la gestiscono e non sono disponibili a riconvertirsi. Una delle cause fondamentali del declino della rappresentanza sociale nelle campagne è proprio il venir meno del ruolo di propulsione del capi-

tale sociale svolto per un lungo periodo dalle organizzazioni professionali. E tale declino si è avviato quando esse hanno accettato e difeso politiche pubbliche che, anziché alimentare il capitale sociale, lo erodono. La crisi che stiamo vivendo è una crisi non solo economica, sociale e istituzionale, ma soprattutto morale. E la causa principale sta nell’idea imperante che l’economia possa andare avanti a prescindere dai legami comunitari. Ma non c’è economia senza comunità. E non c’è la possibilità di salvaguardare le risorse naturali senza accrescere i beni relazionali. La storia delle campagne ci ricorda che c’è un nesso inscindibile tra i valori del mondo rurale (reciprocità, mutuo

In una società consumistica cresciuta all’insegna dell’usa e getta, gli olivicoltori sono considerati un inutile e ingombrante fardello di cui liberarsi. Non servono più neanche alle burocrazie sindacali per garantire la sopravvivenza delle proprie agenzie di servizi

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aiuto, fraternità) e la tutela della terra, dell’acqua e nelle campagne e sono portatori – chi più, chi meno della biodiversità. Le comunità rurali si sono rette, fin dei valori del mondo rurale. da tempi remoti, sulla base di regole autodefinite per Oggi una società civile vivida e responsabile sta fatil’uso comune delle risorse. cosamente emergendo, anLa bonifica è stata, fin dal che se in forme diverse dal Medioevo, parte integrante passato. Non la vediamo dell’umano incivilimento. perché ci vorrebbero nuovi Ha rappresentato l’insieme occhi. Dovremmo, infatti, Che senso ha un sostegno pubblico abbandonare un’opinione delle azioni per sottrarre la che permette ai produttori terra al dissesto idraulico e diffusa che vuole gli uomini all’impaludamento e renderagricoli solo di sopravvivere e di mossi unicamente da autola abitabile dagli uomini. Se, prolungare l’agonia, ma non li interesse miope e non anche dunque, vengono meno i varafforza e non li predispone per dalla simpatia verso gli altri lori fondamentali che hanno e dall’etica della responsabifronteggiare le sfide del futuro? lità verso ogni essere vivenalimentato la società civile delle campagne, non solo si te. Gli esseri umani, prima inceppa lo Stato e il mercato, di cercare interessi e guadache in origine si sono fondati gni, sono cercatori di stima, proprio su quei valori, ma si di approvazione sociale, di distruggono inesorabilmente anche le risorse naturarelazioni. Per vedere questa società civile dovremmo li. E, pertanto, per uscire dalla crisi morale in cui ci lasciarci alle spalle una concezione secondo la quale siamo impantanati, bisogna ripartire dalla capacità avrebbero dignità di esistere solo le imprese proiettadella società civile di rivitalizzare quei valori che apte esclusivamente alla massimizzazione del profitto partengono al nostro DNA. Gli italiani – non dobbiae sarebbero, comunque, destinate a soccombere nella mo dimenticarlo – sono un “popolo di contadini”, cioè concorrenza con le prime tutte quelle che si pongono provengono prevalentemente da famiglie che vivevano anche altri obiettivi. Ci sono tanti imprenditori, tanti

La crisi che stiamo vivendo è una crisi non solo economica, sociale e istituzionale, ma soprattutto morale

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giovani, tante donne, tante aziende a dimensione familiare, tante imprese sociali del cosiddetto “terzo settore”, tante persone impegnate nei gruppi di acquisto solidale, nel commercio equo e solidale, nel commercio elettronico, nell’agricoltura sociale, nei piccoli esercizi commerciali, nella ristorazione di qualità, nelle reti di economia solidale che vivificano un’economia civile capace di alimentare i beni relazionali e, nel contempo, favorire le condizioni per la crescita del paese. L’altro luogo comune da sfatare è che il benessere delle persone sia solo materiale. E sfugge che il benessere è anche spirituale. Nella vita è importante avere più cose o consumare più beni. Ma è altrettanto importante decidere, in libertà, la composizione dell’insieme dei beni da produrre, nonché le modalità di fornitura dei beni stessi. E si discute se la crescita sia in sé un bene o un male. È una discussione che non porta da nessuna parte. La crescita non dev’essere un fine ma un mezzo. E oggi serve per creare più lavoro e meno debito pubblico. Crescere significa fiorire. Non c’è vita senza fioritura. Si vive meglio in un paese che sta crescendo e in fretta anziché in un paese già ricco e ormai in stagnazione. C’è quindi un nesso più forte tra felicità e crescita che tra felicità e ricchezza. Ci dà più gioia crescere; e questo non significa necessariamente arricchirci, distruggere i beni comuni. Si può benissimo crescere acquisendo consapevolezza critica, responsabilità sociale, sobrietà e, dunque, modelli di produzione e di consumo sostenibili. Crescita non è necessariamente sinonimo di consumismo e di spreco. Crescere è vivere in pienezza la propria vita stando come individui liberi e responsabili in comunità che gestiscono, in modo consapevole e sostenibile, i beni comuni. Ci vorrebbe una politica che riconoscesse questa nuova società civile che sta emergendo e che vivifica un’agricoltura capace di interagire con l’insieme della società, rifiutando le contrapposizioni tra modelli produttivi e di consumo, tra sistemi di imprese, tra mercato locale e globale, tra i diversi ethos del mercato. Un’agricoltura che non vuole stare più nei ranghi protezionisti, corporativi e nazionalistici in cui talune politiche l’hanno voluta confinare. Un’agricoltura che rifiuta di essere considerata un mondo a parte, autoreferenziale e in-

disponibile al dialogo e alla contaminazione con altri settori e altri paesi. Un’agricoltura che incomincia a resistere a quelle forze di vario tipo, le quali – alcune per conservare rendite di posizione e prebende, altre per acquisirne di nuove – intendono edificare e imporre più sofisticate barriere. Un’agricoltura che riscopre finalmente nelle proprie radici l’idea che l’identità si riconosce nell’alterità e l’accoglienza è più antica di ogni frontiera.

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olioofficina / saggiassaggi

Vista, olfatto, gusto di Luigi Caricato

L’olio lo si è sempre degustato, sin dall’antichità. Perché è il modo più evidente e immediato per scoprire e apprezzare la qualità in tutta la sua evidenza. Quando, tuttavia, un assaggiatore d’olio professionista procede con un approccio ai sensi freddo e distaccato, troppo razionale, si allontana anni luce dalle vere condizioni dell’assaggio. Chi non prova ogni volta emozioni, si illude di essere un vero assaggiatore. L’eccesso di emozionalità nell’atto dell’assaggio non aiuta, ma nemmeno l’eccesso di razionalità porta nella giusta strada. Ci vuole più anima e la giusta dose di raziocinio. Chiunque può degustare un olio, anche senza averne piena conoscenza, purché vi si accosti con la dovuta attenzione. Sarebbe tra l’altro utile procedere con l’acquisto di tutti gli oli che si trovano sugli scaffali dei vari punti vendita, o attingendo direttamente dagli spacci aziendali. L’operazione è semplice. Si prende un taccuino e si riportano le sensazioni e le valutazioni anche nel corso dell’utilizzo in cucina. In tal modo si giunge a una propria personale e libera selezione. Non è più il caso di scegliere in base al prezzo più conveniente, ma in ragione dei nostri gusti personali e del miglior rapporto qualità-prezzo. Ecco alcuni tra i tanti oli da olive presenti a Olio Officina Food Festival.

Cru Muela > da olive in gran parte Taggiasca, e poi Leccino, Frantoio e Gentile. Giallo dai riflessi verdolini, si apre al naso con profumi vegetali di intensità medio leggera. Al gusto è dolce al primo impatto, con note amare e piccanti ben dosate. Ha buona fluidità, con sensazioni rotonde e armoniche, gusto di carciofo, mandorla e lieve punta piccante in chiusura < Sommariva, Albenga, Liguria

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Selezione oro > giallo dai riflessi verdi, è limpido. Si apre al naso con profumi fruttati di intensità medio leggera e dalle connotazioni vegetali che richiamano il carciofo e la mandorla. Al palato ha una fluidità media, gusto mandorlato, con un ritorno della sensazione di carciofo, una lieve nota amara e piccante di fondo. In chiusura mandorla ed erbe di campo, una lieve punta piccante < Santagata, Genova, Liguria

Stajano > da Cellina, Frantoio, Ogliarola e Pendolino. Giallo oro dai riflessi verdi, limpido. Al naso le note erbacee, dai sentori floreali. In bocca è morbido e vellutato, di buona fluidità e finezza, con sensazioni amare e piccanti ben dosate e in ottimo equilibrio, dal gusto vegetale di carciofo. In chiusura i toni mandorlati, i richiami di erbe di campo e una lieve punta piccante. < Tenuta Stajano, Alezio, Puglia

Selezione Primavera > giallo dorato dai riflessi verdolini, è lievemente opaco. Al primo impatto si avverte una netta percezione dolce e di morbidezza al palato, armonia delle note fruttate, gusto mandorlato e vegetale, con richiami al carciofo e una lieve sensazione amara. Rimandi alla mandorla e un lieve tocco piccante in chiusura. < Raineri, Chiusanico, Liguria

Salvagno > da olive Grignano. Giallo oro e limpido, ha profumi medio leggeri di oliva, con sentori vegetali e di erbe officinali. Al gusto è delicato e morbido, con note di carciofo e di erbe di campo. L’amaro e il piccante sono contenuti e in buon equilibrio. Ottima fluidità e armonia. In chiusura una lieve punta di piccante e la mandorla. < Giovanni Salvagno Frantoio per olive, Nesente Valpantena, Veneto

Poesia > è un blend di oli da olive Leccino e Pendolino. Verde dai riflessi oro, è limpido alla vista. Al naso i profumi erbacei con richiami al carciofo. Al palato la buona fluidità, la nota amara e piccante lieve ma persistente, il gusto vegetale in cui ricompare il carciofo e altri ortaggi. In chiusura note di erba di campo e mandorla, con lieve punta piccante. < Terre dell’Etruria, Castagneto Carducci, Toscana

Meraviglia > da olive Rossignola. Verde chiaro dai riflessi dorati, limpido alla vista. Al naso ha note fruttate di media intensità, vegetali, dalle nette connotazioni erbacee e richiami al cardo e al carciofo, oltre a lievi sentori di mela. Al palato è morbido e armonico, avvolgente, con note amare e piccanti evidenti ma in equilibrio. Note di erbe di campo e mandorla in chiusura. < Lory Musizza, Vabriga, Parenzo, Istria

Ol Istria, Bjelica > da olive Istarska bjelica. Verdolino dai riflessi dorati, è limpido alla vista. Al naso ha i profumi fruttati di media intensità, erbacei, con richiami alla mandorla e al cardo. Al palato è avvolgente e di buona fluidità, armonico, con amaro e piccante ben dosati, gusto vegetale di carciofo. In chiusura una punta piccante, mandorla e sentori di erba di campo. < Agrolaguna, Parenzo, Istria, Croazia

Terre Rosse > Dop Umbria Colli Assisi Spoleto, da olive Moraiolo. Verde smeraldo intenso, ha note fruttate di media intensità, dalle nette connotazioni erbacee. Al palato si apre elegante e morbido, ha buona fluidità e corpo, gusto vegetale con rimandi al carciofo e note amare e piccanti in buon equilibrio. Una sensazione di avvolgenza al palato con, in chiusura, una punta piccante unitamente ai sentori di mandorla e carciofo. < Azienda agraria Hispellum, Spello, Umbria

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San Giuliano, Dop Sardegna > da olive Bosana e Semidana. Giallo dorato dai riflessi verdolini, limpido. Ha note fruttate di media intensità, dai sentori floreali con netti richiami alle erbe di campo. Al palato è morbido, fine e delicato, con toni amari e piccanti armonici, ben dosati. Gusto vegetale di carciofo, e, in chiusura, una lieve e gradevole punta piccante, con rimandi alla mela. < San Giuliano, Alghero, Sardegna

Masserie di Sant’Eramo, Dop Terra di Bari Bitonto > fruttato di media intensità, dalle connotazioni erbacee. Si avverte l’erbe fresca, verde, con sentori vegetali di carciofo. Al palato è morbido, dal gusto vegetale e dai toni amari e piccanti ben dosati e in ottimo equilibrio. C’è l’erba fresca anche in chiusura, nella sensazione retro-olfattiva, unitamente a una punta piccante < Agroalimentari del Colle, Santeramo, Puglia

Dop Garda Orientale > da olive in prevalenza Casaliva, ma anche Fort, Leccino, Moraiolo e Pendolino. Verde tenue dai riflessi dorati, limpido, dai profumi freschi, vegetali, di intensità leggera, con sentori di mela e carciofo. Elegante e delicato al gusto, fine, rotondo, armonico, morbido al palato, dai toni mandorlati e con lieve punta di piccante in chiusura < Fratelli Turri, Cavaion Veronese, Veneto

Lucrezio > da olive Cellina di Nardò, Ogliarola di Lecce e Cornulara. Verde tenue dai riflessi oro, limpido. Al naso ha profumi fruttati di media intensità dai sentori floreali con richiami di erbe di campo. Al palato buona fluidità, morbidezza, sapidità, gusto vegetale, con note di mandorla e frutta bianca, note amare e piccanti armoniche e persistenti. In chiusura toni mandorlati < Francesco Caricato, San Pietro in Lama, Puglia

Colline di Firenze, Igp Toscano > da olive Frantoio e Moraiolo in coltivazione biologica. Verde intenso, limpido. Al naso i sentori di carciofo e mandorla, dalle connotazioni erbacee; al palato è morbido, vellutato, con sensazione di buona fluidità e freschezza, gusto vegetale di carciofo, toni amari e piccanti armonici, ben dosati; mandorla e punta piccante in chiusura < Azienda agricola Buonamici, Fiesole, Toscana

Dop Valle del Belice > da olive Nocellara del Belice in purezza. Verde dai riflessi dorati, limpido alla vista. Al naso ha note di pomodoro maturo e richiami erbacei dal fruttato mediamente intenso. Al palato buona fluidità e morbidezza, gusto vegetale, con amaro e piccante in ottimo equilibrio e buona persistenza. In chiusura una lieve punta piccante < Sciavuru d’Aliva, Castelvetrano, Sicilia

Dop Terra di Bari > da olive Ogliarola barese e Coratina. Giallo oro dai riflessi verdolini, limpido. Ha note fruttate di media intensità e sentori di mandorla ed erbe di campo. Morbido e dolce al primo impatto, dal gusto rotondo, vegetale, percezione al palato di media fluidità, con amaro e piccante armonici; in chiusura mandorla, toni speziati e punta piccante < Agridè, Bitonto, Puglia

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L’O riginale filo che

ci lega. Un filo ricco d’amore e di gusto che ha visto crescere generazioni e continuerà a veder crescere tutti i loro figli.

Leggi con attenzione l’etichetta e verifica sempre la provenienza dell’olio che consumi. Garantisci il meglio a te e la tua famiglia.

100% olive italiane

150° anniversario Unità d’Italia


olioofficina / liber

Libero Olio in libero Stato di Paola Cerana

Ogni volta che mi appresto a leggere un testo di Luigi Caricato mi predispongo a uno stato di psicologico benessere. So già che, sin dalle prime pagine, non solo imparerò qualcosa di nuovo ma parteciperò anche di quel modo appassionato e seducente che contraddistingue il suo stile letterario. Da amante profana dell’olio, anche questa volta leggendo Libero Olio in libero Stato ho imparato molto. Per esempio, che si può raccontare la millenaria storia dell’olio con la stessa fluida leggerezza propria di quel filo di succo da olive che scorre sul piatto: quella fluida leggerezza che somiglia alla poesia, alla musica, alla femminilità. Si può imparare con piacere come e perché, nei secoli, l’olio sia diventato definitivamente “democratico”, passando da prodotto pregiato riservato a pochissimi ad alimento pienamente fruibile a chiunque lo desideri. Perché, poesia a parte, oggi l’olio da olive non rappresenta semplicemente un cibo ma anche un potente strumento sociale ed economico, avendo radunato intorno alla medesima categoria merceologica tutte le classi sociali. Da lettrice e consumatrice, ho anche capito perché a questo processo di democratizzazione si debba affiancare un costante impegno sinergico verso una qualità sempre più ambiziosa (da parte di chi produce), insieme a un senso di consapevolezza sempre più diffuso (da parte di chi consuma). Paradossalmente, come spiega Caricato, l’olio da olive è un prodotto semplice, immediato, lineare. E la semplicità è spesso difficile da spiegare. Tuttavia, un fatto diventa chiaro dopo aver letto il libro: che se dall’esterno il mondo dell’olio si presenta composto e avvolto da una calma apparente, in realtà è perennemente agitato da correnti e controcorrenti che minano, a volte, obiettivi comuni di successo.

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Qui entra in gioco l’accalorata passione con cui Caricato denuncia una realtà italiana tentacolare, di cui politica e sindacalismo sarebbero responsabili attraverso infestanti intrusioni in un mondo agricolo già osteggiato da vicini molto competitivi. Denuncia che si pone tuttavia come punto di partenza e non d’arrivo, quale spunto di confronto per un sano dialogo costruttivo nel bene dell’olio.

E siccome nei suoi scritti, oltre all’informazione e alla passione, Caricato aggiunge sempre un tocco di originalità, ho apprezzato molto le note a fondo di ogni capitolo. Sì, proprio quelle che di solito uno non legge, che invece in questo pamphlet sono piacevoli oltre che utili. Ogni nota è un consiglio di lettura, un link ad altri testi eloquenti e coerenti col tema trattato. In particolare, l’ultima nota al termine del Manifesto per il risorgimento dell’olio italiano, la dice lunga e con queste parole dell’autore, con cui mi trovo perfettamente d’accordo, consegno a voi la lettura di questo libro: “Consiglio: leggete e diffondete questo libello, nel nome dell’olio da olive e di quanti ci mettono l’anima nel proprio lavoro, pur di offrire un olio democratico, destinato a tutti e a beneficio di tutti, senza distinzione alcuna di razza, sesso, religione o ideologia…”.

E allora capisco anche il perché di questo titolo Libero Olio in libero Stato: l’allusione alla storica concezione separatista potrebbe oggi estendersi anche alla separazione tra Olio e Stato, restituendo così al succo da olive quella semplicità, immediatezza e linearità che lo rendono ciò che essenzialmente è: un concentrato di salute e piacere.

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olioofficina / gustologia

La grammatica del gusto di Gianni Staccotti

L’analisi gustologica esamina le fasi elementari, su basi semplici e precise, di una cucina che i cuochi eseguono con maturata professionalità e con la modestia di chi è padrone del suo mestiere, per passare poi ad approfondirle al ginnasio e a perfezionarle all’università nella discussione accademica. Discorrere, nel senso primitivo della parola di correre qua e là, passato poi al vagare con le parole riunendole correttamente nelle proposizioni, ciascuna costituita dal soggetto, predicato e complementi con elementi accessori come, attributi e apposizioni di un periodo. Si può trasferire questo concetto grammaticale alla gustologia per conoscere i metodi di cottura che esprimono un modo di essere delle vivande completate dai condimenti, qualificati dalle salse e graduati dalle spezie. L’analisi gustologica esamina ogni singola portata, intesa come una proposizione dove il verbo, la parola più importante del discorso, è il metodo di cottura, che esprime un modo di essere del soggetto inteso come alimento che si completa con il complemento visto come condimento, determinato dalle salse e graduato dalle spezie, rispettivamente aggettivi e avverbi. Alcuni metodi di cottura sono rimediabili ma non la frittura, tanto difficile quanto l’uso del congiuntivo. Friggere – secondo Piero Antolini, mastro oleario – significa cuocere gli alimenti nel grasso a temperatura abbastanza elevata perché essi riescano dorati e croccanti, evitando che siano imbevuti del grasso di cottura. Il complesso di proposizioni, collegate fra loro in modo da formare un tutto organico e con senso compiuto, costituisce il periodo, assimilabile al pasto costituito dalle portate in giusto accostamento fra loro e abbinate alle bevande che meglio esaltano le singole qualità organolettiche evitando la prevaricazione delle une sulle altre. Il pasto, servito a pranzo o a cena, nella sua quoti-

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dianità è simile alla prosa che, quando si veste a festa, diventa poesia nei banchetti delle grandi occasioni.

naria gli si assegna il ruolo principale, riservando alla bevanda il ruolo subordinato; quando, invece, si vuole presentare una rarità enoica, questa assume il ruolo principale e la vivanda quello subordinato. Si può considerare un vino di gran classe e valore come proposizione principale e il cibo come proposizione subordinata, intesa come mezzo di esaltazione delle qualità del vino al quale si abbina.

Lo spuntino o la cenetta s’identificano nell’aforisma che compendia, in forma concisa e suggestiva, il risultato di una meditazione, o in un epigramma: componimento poetico, di solito ferocemente satirico. Le vocali, assimilabili ai sapori fondamentali: acido, dolce, salato e amaro, variano in funzione delle diverse pronunce regionali o nazionali. Le consonanti che, per avere un suono, debbono necessariamente accompagnarsi ad una vocale, sono assimilabili agli aromi e ai profumi. Queste diversificazioni indicano inequivocabilmente l’origine di una parlata, così come stanno ad indicare l’origine di un alimento o di una vivanda.

Sono sempre valide le regole prese in considerazione per concordare i verbi della proposizione principale con quelli delle proposizioni subordinate del periodo che, come indicava Aristotele, “deve essere di tale grandezza da abbracciarlo con un’occhiata, “nel senso che deve essere abbastanza conciso da esprimere compiutamente un concetto senza scadere negli sbrodolamenti arcadici”.

Il cibo va inteso come una proposizione dove il verbo, la parola più importante del discorso, è il metodo di cottura, che esprime un modo di essere del soggetto inteso come alimento che si completa con il complemento visto come mezzo di cottura, determinato dalle salse e graduato dalle spezie, rispettivamente aggettivi e avverbi. I mezzi di cottura possono essere costituiti da acqua, brodo, vino, distillato; grassi animali come burro, strutto o vegetali: oli da olive o di semi.

Il vino si considera come una proposizione dove il soggetto è l’uva, il verbo è il metodo di vinificazione, da quella in bianco per ottenere vini bianchi da uve bianche ma anche da uve nere, alla macerazione e invecchiamento in botte e affinamento in bottiglia per i vini rossi sempre più di corpo, mentre il complemento oggetto si identifica nelle 300 e più componenti del vino. Così come il periodo è costituito da tante proposizioni quanti sono il pasto, ed è formato da tanti cibi che devono concordare fra loro, il servizio a tavola è assimilabile alla punteggiatura, costituita da tredici segni d’interpunzione, indispensabili per la precisa lettura e comprensione del testo, che si collocano fra l’una e l’altra parola al fine d’indicare le pause, il tono di una frase, fa tutt’uno con lo stile di chi scrive, così come la presentazione delle elaborazioni cucinarie denota lo stile di chi le propone.

Il periodo è assimilabile al pasto costituito da tante proposizioni quanti sono i verbi che devono concordare fra loro. Un cibo importante è la proposizione principale del pasto mentre il vino costituisce la proposizione subordinata; facendo sempre attenzione a concordare il verbo della proposizione principale: il metodo di cottura, con il verbo della proposizione subordinata: il metodo di vinificazione, prescindendo dal colore del vino.

La punteggiatura non esisteva nei testi antichi, così come non esisteva il metodo di servizio delle vivande che venivano proposte senza la sequenza armonica della nostra lista delle vivande in corretto abbinamento ai vini e combinate con i condimenti. C’è chi punteggia molto, chi poco, chi pochissimo; chi preferisca spezzare i periodi con un gran seguito di

Nel periodo esistono proposizioni principali e subordinate, in ciascuna delle quali si colloca la vivanda o la bevanda secondo l’intendimento di evidenziare l’una o l’altra, ma sempre collegate fra loro in modo da formare un tutto organico. Quando si vuole dare risalto ad una preparazione cuci70


punti fermi, chi ricorre piuttosto a periodi complessi, ricchi di punti e di virgole così come si può presentare una serie di piccoli assaggi, una portata importante o un piatto unico; una cosa è certa: punteggiar bene è tanto difficile quanto scrivere bene analogamente al servizio che può valorizzare o annullare le vivande preparate con la massima attenzione.

Ricapitolando: il pasto, dunque, servito a pranzo o a cena, nella sua quotidianità, è simile alla prosa che, quando si veste a festa, diventa poesia nei banchetti delle grandi occasioni. Così come lo spuntino o la cenetta s’identificano nell’aforisma che compendia, in forma concisa e suggestiva, il risultato di una meditazione, o in un epigramma. Bene, tanto gli orari quanto la composizione dei pasti sono in Italia molto diversi da quelli dei paesi anglosassoni dove, ai quattro pasti tradizionali si aggiungono il brunch (break+lunch) in orario tra la colazione ed il pranzo e il lunner, dopo l’orario del pranzo e prima di quello della cena (lunch+dinner).

Famoso è l’episodio di Martino, il frate che spostando il punto sconvolse il significato della frase subendo gravi conseguenze. Per un punto Martin perdé la cappa è una locuzione che si usa per riferirsi a chi, per un nonnulla, ha perduto una grande occasione, a chi vede sfuggire lo scopo ormai raggiunto. Il modo di dire è legato alla storiella dell’abate Martino, il quale, per dare il benvenuto agli ospiti, diede l’ordine di fare incidere sulla porta del convento i seguenti versi latini:

I pasti per gli italiani sono quattro: due principali (il pranzo e la cena, mai prevista prima delle otto) e due più leggeri (la colazione e, soprattutto per i bambini, la merenda) e ciascuno ha una sua fisionomia particolare.

Porta pàtens esto. Nulli claudàris honesto. Porta, stai aperta. Non ti chiudere a nessuna persona onesta. Ma lo scalpellino fece un grossolano errore: invece di mettere il punto dopo esto, lo mise dopo nulli: Porta pàtens esto nulli. Claudàris honesto, Porta, stai aperta a nessuno. Chiuditi alle persone oneste. E a pagare il banale errore fu il povero Martino, che ci rimise la cappa, cioè la veste e la carica di abate. (Dizionario dei modi di dire di Giuseppe Pittàno - Zanichelli).

E, per concludere, ecco un ulteriore chiarimento su alcuni punti chiave. L’etimologia indaga e studia l’origine e il vero significato delle parole, analizzando l’etimo che contiene il significato fondamentale della parola. È utile, se non indispensabile, conoscere l’etimo di ciascun alimento per poter comporre correttamente la vivanda prima e durante la sua preparazione. La grammatica è l’arte del correttamente parlare e scrivere senza errori di pronuncia o di ortografia e si divide in tre parti: fonologia, morfologia e sintassi.

Si racconta che Luigi Arnaldo Vassallo, noto con lo pseudonimo di Gandolin, collaboratore di Capitan Fracassa e fondatore del Don Chisciotte nel 1887 a Roma, divenne celebre per i suoi racconti sulla vita privata di una famiglia della piccola borghesia provinciale, raccolti nel libro La famiglia de’ Tappetti, del 1903. Un giorno ricevette un manoscritto dove l’autore aggiungeva, in cale, una serie di punti e di virgole con l’indicazione “se ne manca qualcuna provveda lei a metterle al posto giusto”. Esprimendo il suo fine umorismo, Gandolin restituì il manoscritto con l’appunto “la prossima volta mi mandi le virgole, che al testo ci penserò io!”.

La fonologia studia i suoni e la loro pronuncia, come scrivere correttamente le parole del discorso formate da una o più sillabe, costituite da una sola vocale o da una vocale con una o più consonanti pronunciate in un sol fiato. La morfologia è lo studio della forma delle parole delle quali osserva le trasformazioni e i mutamenti cui vanno soggette con la declinazione dei nomi e la coniugazione dei verbi. La declinazione è l’allontanamento 71


dalla forma naturale di una parola analogamente a quanto avviene per un alimento nella sua elaborazione cucinaria che lo allontana dalla sua forma primitiva conferendo aromi e profumi diversi da quelli primitivi. La sintassi studia l’ordinamento delle parole, il loro accordo e collegamento nella proposizione e nel periodo, analogamente a quanto avviene nell’accostamento delle diverse portate per comporre la lista delle vivande in un’armonia studiata per offrire le migliori sensazioni al gusto e all’olfatto, oltre che alla vista nella loro presentazione e nel servizio.

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olioofficina / arteinmovimento

Camminata d’arte tra gli olivi Il primo dicembre 2013 – era domenica, per l’esattezza – l’appuntamento è stato a Fiesole, in Toscana, alle porte di Firenze. Prima della tappa invernale, la “Camminata d’arte tra gli olivi” è stata percorsa a Cavaion Veronese, nell’area dell’olio Dop Garda. Era il 7 luglio, sempre di domenica. A distanza di tempo, per rievocare quanto è accaduto nel corso del 2013, riproponiamo alcuni testi con le immagini di quei momenti, del fotografo Gianfranco Maggio. Protagonisti della scena gli artisti di “Arte da Mangiare”, con topylabrys in testa. Nell’occasione, l’oleologo Luigi Caricato ha avuto modo di leggere alcuni brani scelti in prosa e in versi, ma la bellezza di quei giorni era tutta nell’atto di camminare e godere della vista delle opere degli artisti che hanno esposto a cielo aperto. La “Camminata d’arte e di valori tra gli olivi” è una iniziativa di Arte da Mangiare e Olio Officina Food Festival, con la preziosa collaborazione del frantoio dei fratelli Turri a Cavaion Veronese e dell’azienda agricola Buonamici a Fiesole, nonché della Biennale d’Arte contemporanea di Firenze.

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R-evolution

Maria Cristina Tebaldi

Una sorta di cantico francescano capace di far proprio un messaggio trascendente, cosmico e sacro, dove il sole, la luna, l’olio, non sono altro che simboli di un lungo itinerario interiore degli artisti, che scavano e contemplano il silenzio, in un cammino che li porta, come Francesco, a stare con le creature e non sopra di esse, dove la legge primordiale è quella del rispetto e della non violazione, sempre verso una nuova R-EVOLUTION dell’ARTE cosmicamente più artistocratica.

Artisti di Arte da Mangiare presenti: Federica Berner Ghezzi, Daniela Dente aka DaDe, Daniela Gorla, Silvio Manzotti, Roberto Perotti, Giosuina Pria, Andrea Rovatti, Studio Pace 10 (Monica Scardecchia e Gianfranco Maggio), Maria Cristina Tebaldi, topylabrys, Gabriella Di Trani, Monika Wolf, Paola Zan, Laura Zeni, Marcello Bruognolo, Gianni Ettore, Andrea Marussi, Serena Rossi, Orisol, Tegi Canfari, Marzia Devoto, Alessandra Finzi, Carmine Caputo di Roccanova, Clara Bartolini, Isa Lavi Giacconi

“La misura dell'amore è amare senza misura” - Sant'Agostino Accademia Nomade: Cristina Anna Aldrighi, Beatrice Facchini, Tommaso Gatti, Giuliano Cataldo Giancotti, Raffaele Maccagnola, Simone Mangione, Simone Natalizio, Andrea Panzera, Alice Parolari, Geremia Renzi, Luisa Turuani.

Poetiche d’arte “Maturità abbondanza leggerezza: tutto in una goccia” Come un grande ulivo Solido rugoso Contorto negli avvolgimenti delle esperienze vissute Ringrazio Per l’abbondanza dei doni ricevuti E dei frutti elargiti Tra le reti dei rapporti umani Nella chioma trasparente d’azzurro ... rinasco leggera

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olioofficina / nostroolioquotidiano

L’anima sociale dell’olio di Luigi Caricato

L'olio ricavato dalle olive non è una monade, ma un alimento completo, nato per essere prima di tutto condiviso. Da solo è un eccellente solista, ma è sempre pronto ad accogliere altri elementi, diversi dalla propria natura grassa. Possiamo per certi versi sostenere che quando si ha a che fare con l’olio da olive ci si trova davanti a un grande solista, il quale si trova comunque molto bene, ed esprime il meglio di sé, soprattutto quando è in compagnia, quando entra, con i suoi tratti distintivi, in un’orchestra di altri sapori e identità, restando pur sempre protagonista indiscusso. L’olio da olive è singolo e insieme molteplice. Accoglie in sé il singolare e il plurale, il maschile e il femminile. Sta bene da solo, ma diventa straordinario quando è in compagnia. E’ un ottimo veicolatore di sapori, arricchendo il gusto di altri elementi e nobilitandone la percezione complessiva. Lo si può degustare e apprezzare in purezza, nella consapevolezza che il meglio di sé lo da’ quando coniugato ad altre materie prime alimentari. Per questo, e non solo per questo, mi è facile associarlo a un desiderio di tenere saldamente uniti tutti gli elementi. L’olio da olive esprime, per molti versi, una visione ecumenica, tale da renderlo non più un alimento etnico tra i tanti, confinato nell’area del Mediterraneo, ma alimento interetnico che unisce ogni cultura e confessione religiosa, andando al di là di ogni barriera ideologica. E’ alimento che unisce e aggrega, essendo un attore sociale per eccellenza, aperto al confronto dialettico in quanto capace per sua natura di misurarsi con le diverse espressioni sensoriali dei cibi con i quali si confronta; ed è proprio per questo che diventa l'olio della fraternità, nell’atto

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stesso in cui viene condiviso da tutti, e nel momento in cui permette a chi è stato fuori dalla società, per colpe proprie o altrui, di rientrarvi attraverso un lavoro agricolo, necessario per poter produrre l’olio da olive, che contribuisce al pieno recupero di quella parte di sé che cerca una pacificazione interiore.

Ecco, di conseguenza, il tema portate dell'edizione 2014 di Olio Officina Food Festival: l'anima sociale dell'olio. Nell'olio si trova senza l'occasione di solidarizzare, ma anche la speranza di costruire una casa comune che accolga tutti.

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olioofficina / progettocultura

olioofficinaalmanacco 2 olioofficinaalmanacco è una espressione di libero pensiero a supporto del grande happening Olio Officina Food Festival – Condimenti per il palato & per la mente. Prima edizione a Milano, nei giorni 27, 28 e 29 gennaio 2012, seconda edizione nei giorni 24, 25 e 26 gennaio 2013, terza edizione nei giorni 23, 24 e 25 gennaio 2014. Tutto nasce a partire da un’idea di Luigi Caricato, promotore, curatore e anima propulsiva. Olio Officina è un progetto culturale con cui si intende riformulare l’abituale approccio con la cultura materiale. L’obiettivo è soddisfare l’urgente necessità di volgere lo sguardo a nuovi percorsi esplorativi, attraverso l’adozione di linguaggi e stili interpretativi inediti e inusuali. Olio Officina non è soltanto cultura materiale, ma anche, e soprattutto, luogo di cultura alta e di confronto. Da qui l’impegno a non confinare l’attenzione ai soli condimenti che soddisfano il palato, ma ad estendere equamente il medesimo interesse ai condimenti che nutrono e impreziosiscono la mente.

Copertina: Valerio Marini Quarta di copertina: Alfonso Pascale

olioofficinaalmanacco è una realizzazione per Olio Officina Food Festival Supplemento culturale di Olio Officina Magazine, direttore: Luigi Caricato Milano, gennaio 2014 Progettazione grafica: Alberto Martelli, Aerostato Stampa: Grafica GM Snc, Spino d’Adda (Cr) Si ringrazia per la gentile collaborazione Maria Carla Squeo e Ilaria Santomanco Web > festival: olioofficina.com – magazine: olioofficina.it – blog: olivomatto.it – luigicaricato.net


I NOSTRI EXTRA VERGINI Un olio per ogni esigenza.



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