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ALLERGIE STAGIONALI? ADESSO DURANO (QUASI) TUTTO L’ANNO
Le reazioni, un tempo tipiche della primavera, sono sempre più protratte nel tempo Caldo, inquinamento e cambiamenti nel paesaggio stanno ridisegnando gli scenari primavera, tornano le allergie stagionali. Ma è davvero così? Ha ancora senso associare sintomi tipici e fastidiosi come la rinite allergica, la tosse stizzosa, il prurito, la lacrimazione, la congiuntivite o, nei casi più seri, l’asma e la febbre da fieno a un determinato periodo dell’anno? La verità è che, da stagionali, le allergie stanno diventando croniche. Quelle che, fino a qualche tempo fa, erano tipiche manifestazioni del cambio di stagione, del passaggio da un clima freddo a uno più caldo, stanno assumendo sempre più un carattere duraturo e permanente. Il risultato? Reazioni allergiche già sul finire dell’inverno, ma anche in estate e fino ad autunno inoltrato. La colpa? Anche in questo caso la ragione principale risiede nei cambiamenti climatici che stanno trasformando, sempre più a vista d’occhio, gli stessi paesaggi in cui viviamo e la stessa aria che respiriamo. Può essere utile dare uno sguardo ai numeri. Sono circa dieci milioni gli italiani che soffrono di disturbi allergici. Secondo gli esperti, aumenteranno del 5% – mezzo milione circa, dunque – nei prossimi cinque anni. E molto probabilmente il numero di chi soffre a causa delle allergie già oggi è sottostimato, se si pensa che, secondo l’Istat, il 10% dei prodotti da banco venduti nelle farmacie italiane è costituito da farmaci in grado di alleviare le più comuni sintomatologie allergiche. Ma perché si soffre di allergie? Un ruolo importante è giocato dalla genetica. Le allergie, infatti, sono vere e proprie patologie del sistema immunitario e, come tali, scritte nel DNA e trasmissibili dai genitori ai figli, con probabilità che spaziano dal 40% (dal papà allergico) al 60% (da mamma allergica), fino al 100% in caso di allergia di entrambi i genitori. Ai fattori genetici si sommano poi quelli ambientali, come clima e inquinamento, in grado di peggiorare la gravità dell’infiammazione. E non è detto che un’allergia sia costante nel tempo. Può insorgere in età anziana o nella vecchiaia e può anche progredire negli anni se non curata adeguatamente, passando ad esempio da reazioni come la rinite allergica nell’adolescenza all’asma attorno ai 40-50 anni, fino a rischiare l’insufficienza respiratoria dopo i 65 anni.
Le allergie di tipo ambientale più comuni sono quelle al polline, più dettagliatamente alle proteine e alle glicoproteine presenti soprattutto nel polline di alcune famiglie di piante: Asteraceae (tra cui lattuga, radicchio, girasoli e carciofi), Betullaceae (betulle e noccioli), Cupressaceae (cipressi, sequoie), Fagaceae (faggi, castagni e querce), Oleaceae (olivi, frassini, gelsomini), Poaceae (le graminacee quali grano, mais, riso, orzo e cereali) e Urticaceae (ortica, parietaria). L’esposizione a uno o più allergeni, soprattutto se protratta nel tempo, provoca reazioni e sintomi tristemente noti a tutti coloro che sono alle prese con questo tipo di problemi. Il punto è che da alcuni anni, ormai, il calendario pollinico non ha più contorni fissi o ben delineati. Gli allergeni, infatti, sono presenti nell’aria per un periodo più lungo e con concentrazioni maggiori rispetto al passato, favoriti dal graduale innalzamento delle temperature medie, dalla progressiva tropicalizzazione del clima e dalla scarsità di piogge e nevicate, i più efficaci strumenti naturali in grado di abbattere la quantità di pollini in circolazione.
Il clima in Italia sta cambiando e, con esso, la composizione della vegetazione. Piante un tempo tipiche delle regioni meridionali, come gli ulivi, ora sono diffuse anche al nord e con loro viaggiano gli allergeni, che si spostano al ritmo di 100 chilometri per ogni grado di temperatura in più. Va da sé che, moltiplicandosi i fattori di rischio, aumentano le possibilità che si sviluppino reazioni allergiche in una fascia crescente della popolazione. Con il caldo e la siccità aumenta il polline nell’aria, mentre diminuiscono gli insetti impollinatori. Grano e graminacee sono tra i pochi esempi di piante impollinate dal vento. La stragrande maggioranza delle colture alimentari e quasi tutte le altre piante da fiore hanno bisogno dell’impollinazione zoofila, mediata cioè da animali come api, farfalle, sirfidi, coleotteri e vespe.
Gli insetti impollinatori, però, sono in preoccupante declino, con un aumento della mortalità invernale delle api che in certe zone del paese ha raggiunto il 40%, come evidenzia l’ultima pubblicazione (12/20) dell’Ispra, l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, su natura e biodiversità.
Gli insetti impollinatori, però, sono in preoccupante declino, con un aumento della mortalità invernale delle api che in certe zone del paese ha raggiunto il 40%, come evidenzia l’ultima pubblicazione (12/20) dell’Ispra, l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, su natura e biodiversità. I fattori?
«Distruzione, degradazione e frammentazione degli habitat, inquinamento da agenti fisici e chimici, cambiamenti climatici e diffusione di specie aliene invasive, parassiti e patogeni». Insieme a effetti potenzialmente devastanti su colture e vegetazione, la diminuzione degli impollinatori può giocare un ruolo anche sulla diffusione delle allergie. L’azione delle api e degli altri insetti aiuta infatti ad abbassare la concentrazione degli allergeni nell’aria aperta, trasferendo il polline da un fiore all’altro.
Inquadrare il problema per combatterlo con maggior efficacia. Il primo passo da compiere, quando si ha a che fare con le manifestazioni allergiche, è diagnosticare rapidamente e con esattezza l’allergene che le determina, in modo da scongiurare reazioni che possono essere gravi o addirittura gravissime, come lo shock anafilattico. Gli strumenti messi a disposizione dalla diagnostica negli ultimi anni sono sempre più accurati.
«Il classico prick test cutaneo non è quasi più richiesto, adesso si fa un comune esame del sangue per misurare il livello di immunoglobuline IgE specifiche per un particolare allergene, individuando la sostanza responsabile», spiega la biologa Antonietta Martino, direttrice di uno dei più grossi laboratori d’analisi di Roma. «I test più richiesti in questo periodo sono quelli classici: gramigna, ulivo e parietaria, un tipo di erba che cresce in modo invasivo sui muri cittadini. E poi quello specifico per il polline della betulla, principale sensibilizzante delle proteine Pr10 che sono presenti in molti alimenti vegetali anche di largo consumo come mele, carote e sedano. Per non parlare dei test su intolleranze e allergie alimentari, letteralmente esplosi negli ultimi tempi, soprattutto per quel che riguarda lattosio e lattulosio».
La diagnostica molecolare può rivelarsi fondamentale per individuare con precisione e in tempi stretti le proteine responsabili delle reazioni più comuni e fastidiose, predisponendo le opportune contromisure. «Noi utilizziamo un test che consente di misurare simultaneamente e in modo specifico la reattività individuale a 112 molecole grazie alla nuova tecnologia microarray, un biochip molto sofisticato», prosegue la dottoressa Martino. «Questo tipo di test, consistente in un singolo prelievo venoso o capillare, è basato sui componenti cross reattivi che si trovano