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LA PRESSIONE ALTA UN PERICOLO SERIO PER IL CERVELLO: PUÒ CAUSARE DEMENZA

Un nuovo studio ha identificato i meccanismi associati all’ipertensione in grado di provocare declino cognitivo: così il cervello diventa ‘organo bersaglio’ dell’ipertensione

di Domenico Esposito

Quando si parla di ipertensione ci si riferisce a una condizione che affligge oltre un miliardo di persone in tutto il mondo. Per parlare di pressione alta, secondo le nuove linee guida, è necessario che misurazioni effettuate ad entrambe le braccia, più volte consecutive e in giorni diversi, evidenzino valori superiori a 140mmHg per la pressione sistolica e/o a 90mmHg per la pressione diastolica. Se da tempo sono noti gli effetti negativi dell’ipertensione sul cuore, ciò che non si conosceva era la correlazione fra pressione alta e declino cognitivo. A indagare i meccanismi alla base di questo deterioramento in grado di causare demenza e a identificarli sono stati gli autori di uno studio internazionale - pubblicato su “European Heart Journal” - che ha coinvolto le Università di Edimburgo e Cracovia, e l’Irccs Neuromed di Pozzilli.Gli scienziati hanno esaminato la risonanza magnetica cerebrale di 33mila persone inserite in un progetto della Uk Biobank, alle quali è stato affiancato un gruppo di pazienti (ipertesi e non) del Neuromed di Pozzilli. I risultati sono stati poi combinati con quelli dei test cognitivi e genetici e con osservazioni cliniche su migliaia di pazienti. Così facendo gli esperti sono riusciti a individuare le strutture cerebrali che vengono gradualmente danneggiate dalla pressione arteriosa elevata, determinando così il declino cognitivo.

Come sottolineato dall’ingegner Lorenzo Carnevale, ricercatore del Dipartimento di Angiocardioneurologia e medicina traslazionale presso l’IRCCS Neuromed e uno dei principali autori dello studio, quello della ricerca è stato «un approccio che potremmo definire triangolare. I vertici del triangolo sono costituiti da pressione arteriosa, analisi avanzate delle immagini delle risonanze e test cognitivi. In questo modo abbiamo potuto stabilire correlazioni che mettono in evidenza come, in presenza di ipertensione, alcune caratteristiche alterazioni cerebrali, misurabili nelle risonanze, possono spiegare la comparsa di decadimento cognitivo nei pazienti. È importante notare che questo non è un semplice lavoro di associazione, ma utilizza una tecnica denominata Randomizzazione Mendeliana che sfrutta le informazioni genetiche dei soggetti inclusi nello studio per identificare un nesso causale tra la pressione arteriosa, il danno cerebrale e le funzioni cognitive. E bisogna sottolineare come i dati ottenuti dalla UK Biobank abbiano trovato riscontro nella popolazione reclutata presso il nostro ospedale in Molise».

In particolare, una delle nove zone cerebrali coinvolte è chiamata “putamen” (si tratta di un’area collocata alla base del cervello anteriore, fondamentale per le risposte agli stimoli e all’apprendimento); le altre sono invece interessate nella funzione esecutiva e nella pianificazione di attività quotidiane semplici e complesse, nel processo decisionale e nella gestione delle emozioni. Un’altra scoperta rilevante è quella riguardante i possibili effetti distinti della pressione arteriosa sistolica (quella usualmente chiamata massima) e di quella diastolica (la minima). Quest’ultima, in particolare, da sola non appare associata a declino cognitivo: al contrario pare sortire un effetto protettivo quando si tiene conto di quella diastolica.

I danni causati dall’ipertensione sembrano colpire in particolare i sistemi di connessione tra le varie aree cerebrali, sia a livello della sostanza bianca (le fibre assonali che mettono in comunicazione i neuroni) sia in quelle strutture nervose chiamate proprio a gestire le comunicazioni fra aree diverse. Ciò spiegherebbe la progressiva perdita di funzione cognitiva in alcuni pazienti.

Secondo il professor Giuseppe Lembo, docente di Scienze Tecniche e Mediche Applicate all’Università La Sapienza di Roma e direttore del Dipartimento di Angiocardioneurologia e Medicina Traslazionale dell’IRCCS Neuromed, i risultati di questo studio «sono importanti a più livelli. Prima di tutto ci dicono che il cervello deve sempre più essere considerato un organo bersaglio dell’ipertensione, non solo per eventi come l’ictus cerebrale ma anche per quei danni subdoli e progressivi che, portando alla demenza, incidono in maniera rilevante sulla qualità della vita dei pazienti e portano con sé enormi costi sociali. Inoltre, abbiamo dimostrato l’esistenza di un danno cerebrale ascrivibile ai livelli di pressione arteriosa e ne abbiamo identificato le specifiche caratteristiche che possiamo valutare mediante analisi di risonanza magnetica avanzate. In futuro, quindi, potremmo focalizzarci su queste strutture per prevedere il rischio di danni cognitivi in pazienti ipertesi. Infine, questi dati potranno essere cruciali per una fase successiva di questi studi, già intrapresa nella nostra struttura e supportata da un importante finanziamento del Ministero della Salute: studiare le attuali terapie farmacologiche con l’obiettivo di ottenere, oltre a un buon controllo della pressione arteriosa, anche la prevenzione del danno cerebrale e del declino cognitivo ad essa associato».

© XStudio3D/shutterstock.com

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