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DALL’OCCHIO È POSSIBILE SCOPRIRE L’ALZHEIMER PRIMA CHE I SINTOMI SIANO EVIDENTI

Lo studio del Cedars-Sinai, il più ampio mai realizzato, ha evidenziato che l’analisi della retina, combinata ad altri esami, è in grado di anticipare l’esordio del declino cognitivo spiegato che questa ricerca «è la prima a fornire analisi approfondite dei profili proteici e degli effetti molecolari, cellulari e strutturali dell’Alzheimer nella retina umana e di come corrispondono ai cambiamenti nel cervello e nella funzione cognitiva. I risultati raggiunti potrebbero alla fine portare allo sviluppo di tecniche di imaging che ci consentono di diagnosticare l’Alzheimer prima e in modo più accurato e di monitorare la sua progressione in modo non invasivo guardando attraverso l’occhio».

Yosef Koronyo, ricercatore associato presso il Dipartimento di Neurochirurgia del Cedars-Sinai e primo autore dello studio, dal canto suo ha spiegato che «la retina, un’estensione dello sviluppo del cervello, offre un’opportunità senza pari per un monitoraggio economico e non invasivo del sistema nervoso centrale. Grazie al contributo dei nostri collaboratori, abbiamo scoperto l’accumulo di proteine altamente

Ground Picture/shutterstock.com tossiche nelle retine di pazienti con malattia di Alzheimer e lieve deterioramento cognitivo, che causano una grave degenerazione delle cellule». Per riuscire nell’impresa, i ricercatori hanno esaminato campioni di tessuto retinico e cerebrale raccolti in 14 anni da 86 donatori umani, il più grande gruppo di campioni retinici di pazienti umani con malattia di Alzheimer e lieve deterioramento cognitivo finora studiato. Gli esperti hanno confrontato campioni di donatori con funzione cognitiva normale con quelli con decadimento cognitivo lieve nelle prime fasi della malattia di Alzheimer e quelli con demenza della malattia di Alzheimer in fase avanzata. Così facendo, hanno esplorato le caratteristiche fisiche delle retine, misurando e mappando marcatori di infiammazione e perdita cellulare funzionale, e analizzato le proteine presenti nei tessuti retinici e cerebrali. Da quest’analisi è emerso che nelle retine di pazienti con decadimento cognitivo lieve e malattia di Alzheimer si ravvisava una sovrabbondanza di una proteina chiamata beta-amiloide 42, nota per aggregarsi nel cervello dei pazienti con malattia di Alzheimer, formando placche che interrompono le funzioni cerebrali. Sono stati registrati anche: accumulo di proteina beta-amiloide nelle cellule gangliari, le cellule che collegano l’input visivo dalla retina al nervo ottico; un numero maggiore di astrociti e di cellule immunitarie, chiamate microglia, attorno alle placche di beta-amiloide; una riduzione dell’80% delle cellule microgliali chiamate ad eliminare le proteine beta-amiloidi dalla retina e dal cervello; infine la presenza di vie biologiche specifiche responsabili dell’infiammazione e della morte di cellule e tessuti.

Il professor Koronyo ha spiegato che «questi cambiamenti nella retina erano correlati a cambiamenti in parti del cervello chiamate corteccia entorinale e temporale, centri per la memoria, la navigazione e la percezione del tempo». «Questi risultati ci permettono di comprendere meglio gli effetti della malattia di Alzheimer sulla retina» ha dichiarato Keith L. Black, presidente del Dipartimento di Neurochirurgia e della Cattedra Ruth e Lawrence Harvey in Neuroscienze al Cedars-Sinai, coautore dello studio. «Poiché questi cambiamenti corrispondono a quelli cerebrali e possono essere rilevati nelle prime fasi del deterioramento, potrebbero condurci a nuovi metodi diagnostici per la malattia di Alzheimer e a valutare nuove forme di trattamento». (D. E.).

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