4 minute read

IN TRENT’ANNI LE RISORSE IDRICHE NAZIONALI DIMINUITE DEL 20%

Questa riduzione è da attribuire a diminuzione delle precipitazioni, incremento dell’evaporazione dagli specchi d’acqua e traspirazione dalla vegetazione, per l’aumento delle temperature

© LedyX/shutterstock.com

Il costante declino nella utilizzabilità delle risorse idriche italiane è una malattia che viene da lontano. Per l’Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) pur essendo circondati per molti chilometri dal mare o avendo laghi e fiumi, in trent’anni (1991-2020) con circa 440 mm, la disponibilità di acqua diminuisce del 20% rispetto al valore di riferimento storico di 550 mm, più o meno 166 km3 registrati tra il 1921 - 1950. Non arrivano notizie confortanti neanche dall’analisi delle stime sul lungo periodo (1951 - 2021), che indicano una significativa riduzione, pari al 16% in meno guardando al dato annuale storico. Tale calo è principalmente legato agli impatti dei cambiamenti climatici, non solo per la diminuzione delle piogge, ma anche per l’aumento dell’evaporazione e della traspirazione dalle piante, piaghe che hanno una comune origine: le alte temperature. Queste informazioni sono state riportate dal modello idrologico “Bigbang” dell’Ispra, il quale ha analizzato in settant’anni la situazione italiana, restituendoci un quadro quantitativo e qualitativo. Se l’anno 2022 è ancora in fase di valutazione, le previsioni future legate al clima indicano possibili impatti sui cicli idrologici e sulla possibilità d’impiego a breve e lungo termine sia su scala globale sia locale. L’unica condizione per invertire questa tendenza negativa è l’adozione di azioni che possano limitare le pressioni antropiche e diminuendo le emissioni di gas serra e gestendo intelligentemente l’oro blu.

La siccità del 2022 ha messo in evidenza la necessità di affrontare le problematiche connesse allo sperpero o al cattivo uso. Già in passato, gli studi avevano evidenziato un accrescimento significativo delle aree soggette a condizioni di aridità estrema su scala annuale in Italia. Inoltre, le analisi presentate dall’Istituto in collaborazione con l’Istat sul bilancio nazionale hanno portato alla luce il ruolo rilevante dei prelievi dai corpi idrici nel determinare condizioni di stress, anche in anni non siccitosi e con una larga disponibilità superiore alla norma, com’è avvenuto nell’estate del 2019. Mancanza di rovesci ed esaurimento di un bene così prezioso rappresentano una minaccia reale per l’agricoltura, l’industria e la vita quotidiana delle persone. Nel settore legato alla terra, la mancanza può causare un peggioramento nella resa dei raccolti, un decremento nella qualità dei prodotti e una risalita nei costi di produzione.

Un minor livello negli acquiferi porta alla per- dita di habitat naturali e della biodiversità non tralasciando che un apporto meno considerevole da fiumi e altri corsi può pesare sulle attività di pesca e sulle strutture locali che ne dipendono.

L’industria può essere gravemente colpita soprattutto nel settore manifatturiero, che richiede un elevato consumo per il processo produttivo. Come se non bastasse, la scarsità di piovaschi può avere un impatto diretto sulle nostre vite, ad esempio attraverso la riduzione della disponibilità per uso potabile. Questo può comportare la necessità di adottare misure di razionamento del servizio, con un effetto negativo pure sull’economia locale.

Per cercare di contrastare i danni sono necessarie politiche a lungo termine che promuovano la gestione sostenibile come, ad esempio, l’adozione di pratiche agricole efficienti, il riciclo e il riutilizzo dell’acqua industriale, la riduzione degli sprechi domestici e la promozione di dispositivi a basso consumo. È importante, in aggiunta, investire nella ricerca e nello sviluppo di tecnologie innovative per contribuire a mitigare le sofferenze già in atto, ricorrendo all’irrigazione a goccia, alla desalinizzazione del mare e al recupero degli scarichi. In base alle prime analisi nazionali relative al periodo 2016 - 2021, si può affermare che lo stato ecologico delle acque superficiali interne, fiumi e laghi italiani, stia migliorando. In particolare, oltre il 43% dei corpi idrici tocca l’obiettivo di qualità buono e superiore, mentre lo stato chimico buono vale per il 77%. La percentuale di ciò che non è stato ancora analizzato si riduce al 10%, denotando una maggiore attenzione al controllo. Rimangono stabili i numeri sulla qualità dei fiumi, mentre sembra essere cambiata in meglio quella dei laghi.

Riguardo alle acque di transizione (quelle, cioè, che si trovano vicino ad una foce, parzialmente di natura salina, ma in modo sostanziale condizionate dai flussi di acqua dolce) e alle marino - costiere, i dati percentuali che attestano lo stato ecologico buono ed elevato sono saliti di circa dieci punti rispetto ai sei anni precedenti (66% per le acque marino costiere e 15% per quelle di transizione). Tuttavia, crescono anche i “cattivi” in stato chimico non buono, (49% per le marino costiere, 57% per le acque di transizione). Occorre tener presente, tuttavia, che dal 2015 la classificazione ha introdotto l’osservazione costante di alcuni parametri negli organismi vegetali e animali dell’ecosistema, non più solo nelle acque. Studiando i corpi idrici sotterranei, il livello è buono per il 70% di essi, un’espansione notevole rispetto ai sei anni passati (58%). Quelli non ancora classificati (3%) si sono abbassati notevolmente (erano al 17%). In generale, tali cifre suggeriscono che l’Italia sta compiendo progressi nella protezione delle proprie ricchezze naturali, ma lo sforzo deve continuare con l’obiettivo di proteggere e gestire cum grano salis, pensando alle future generazioni. (G. P.).

Immaginiamo di passeggiare in un bosco di lecci, pioppi e castagni: l’aria è fresca e profumata, il silenzio viene rotto solo dal cinguettio degli uccelli e dallo scrosciare di un ruscello. Improvvisamente, nell’ombra, scorgiamo una magnifica creatura dal manto fulvo, con dei maestosi palchi, le appendici ramificate, che si staglia contro il verde intenso degli alberi. Non è un sogno né una fiaba, ma la realtà di una Calabria che nel Parco Naturale Regionale delle Serre e nelle Riserve naturali circostanti ha reintrodotto i primi venti esemplari di cervo italico. Sono stati catturati nel Bosco della Mesola (FE), l’ultimo areale residuo della sottospecie autoctona presente nella nostra penisola (Cervus elaphus italicus), falcidiata durante gli ultimi secoli.

A marzo, dopo essersi dedicati attentamente alla cattura, gli animali sono stati spostati in sicurezza a oltre mille chilometri di distanza. Tale iniziativa ha accresciuto la biodiversità del parco e costituisce una ricchezza per le comunità locali presenti e future. Il monitoraggio è assicurato dai collari satellitari. Tali dispositivi consentono di verificare gli spostamenti, i tassi di sopravvivenza e riproduzione, e le eventuali cause di morte.

L’obiettivo è catturare e rilasciare almeno venti individui all’anno nella nuova area identificata per il triennio (2023, 2024 e 2025).

La liberazione sarà effettuata tra novembre e marzo, in modo da non interferire con le delicate fasi del loro ci -

This article is from: