Giornale dei Biologi
Aprile 2024 Anno VII - N. 4
DONAZIONI D’ORGANO ITALIA GENEROSA
È il secondo Paese in Europa, dopo la Spagna Normativa sul consenso e pratiche innovative
2 CREDITI ECM
Da questo mese riparte il programma “Formare informando”. Scarica il Giornale dei Biologi attraverso l’area riservata del sito www.fnob.it e avrai diritto a 2 crediti ECM gratuiti per ogni numero pubblicato.
Edizione mensile di Bio’s. Registrazione n. 113/2021 al Tribunale di Roma. Direttore responsabile: Vincenzo D’Anna.
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Laboratori e Farmacie: gran confusione sotto il cielo di Vincenzo D’Anna
Italia, terra di trapianti: sono sempre di più e aumenteranno ancora di Rino Dazzo
La normativa sul consenso dei donatori di Rino Dazzo
Donazione a cuore fermo, come funziona di Rino Dazzo
INTERVISTE
Ruolo del cromosoma Y sull’espressione genica e in risposta al danno al Dna di Ester Trevisan
Studiare la resilienza dei faggi per tutelare gli ecosistemi forestali di Ester Trevisan
22 Una nuova terapia potrebbe spegnere l’infiammazione nel Lupus in modo permanenteù di Sara Bovio
Lavorare in sanità tra le ambizioni dei giovani di Eleonora Caruso
La prima immunoterapia “Til” per i tumori solidi di Carmen Paradiso
Sostanze chimiche nell’ambiente dannose per il sistema nervoso di Carmen Paradiso
La lunghezza dei geni influenza l’invecchiamento di Carmen Paradiso
I meccanismi all’origine della paura generalizzata post-stress di Carmen Paradiso
La scienza rivela il segreto di alcuni grandi sportivi: la vista super veloce di Domenico Esposito
Tumore all’ovaio 4.800 nuovi casi l’anno migliori cure con un test di Domenico Esposito
Italia: un bimbo su 77 soffre di autismo di Domenico Esposito
Disturbo bipolare: in 120mila ne soffrono di Domenico Esposito
Dai semi delle fragole i componenti bioattivi per la cura della pelle di Carla Cimmino
Stress e disturbi del sonno fra le cause della calvizie di Biancamaria Mancini
Sommario Giornale dei Biologi | Apr 2024 C 16 18
PIANO
PRIMO
13
25 26 28 30 SALUTE Il “cronometro” che controlla la qualità della divisione cellulare di Sara Bovio 20 32 34 36 38 10 EDITORIALE
5 14 39 40 44
AMBIENTE
Custodi fragili di un patrimonio da salvaguardare di Gianpaolo Palazzo
Dai rifiuti del caffè alla panetteria di Gianpaolo Palazzo
L’Italia sfida la tempesta. Difficile navigare tra i rischi climatici di Gianpaolo Palazzo
La Terra gira più veloce rispetto a prima di Michelangelo Ottaviano
L’ape che unisce Francia, Turchia e Iraq di Michelangelo Ottaviano
“Life wild wolf” per salvaguardare i lupi di Sara Bovio
INNOVAZIONE
Creato un organoide di osso per studiare la sindrome di Hurler di Sara Bovio
La coesina contro il cancro al colon-retto di Pasquale Santilio
La medicina di genere e il cromosoma Y di Pasquale Santilio
Un farmaco per fermare il tumore al polmone di Pasquale Santilio
Il cibo del futuro è pronto in tavola di Pasquale Santilio
Nuova passeggiata archeologica tra le bellezze di Roma di Rino Dazzo
Musei gratis per i diciottenni di Roma di Eleonora Caruso
Pallavolo: quanta Italia nelle finali di Champions League di Antonino Palumbo
Jacobs e la corsa al bis d’oro olimpico di Antonino Palumbo
Rischi e leggerezze. Le (troppe) cadute che fanno paura al ciclismo di Antonino Palumbo
Per l’Italrugby un “sei nazioni” da record di Antonino Palumbo
Rubrica letteraria
LAVORO
Concorsi pubblici per Biologi
SCIENZE
Fibromialgia: la sindrome del dolore che deriva da molteplici cause di Daniela Bencardino
Nuove possibilità di cura per il medulloblastoma resistente a chemioterapia di Cinzia Boschiero
Il biologo nell’evoluzione del suolo e del paesaggio di Giuliano Russini
Sommario D Giornale dei Biologi | Apr 2024
80 84
76 90 SPORT
66 69 70
BENI CULTURALI
62 72 56 58
46 48 50 59 LIBRI
74 52 65 53 54 60 61
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Si informano gli iscritti che gli uffici della Federazione forniranno informazioni telefoniche di carattere generale dal lunedì al giovedì dalle 9:00 alle ore 13:30 e dalle ore 15:00 alle ore 17:00. Il venerdì dalle ore 9:00 alle ore 13:00
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Giornale dei Biologi | Apr 2024 3
Anno VII - N. 4 Aprile 2024
Edizione mensile di Bio’s
Testata registrata al n. 113/2021 del Tribunale di Roma
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Direttore responsabile: Vincenzo D’Anna
Giornale dei Biologi
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Questo numero del “Giornale dei Biologi” è stato chiuso in redazione venerdì 26 aprile 2024.
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Gli articoli e le note firmate esprimono solo l’opinione dell’autore e non impegnano la Federazione Nazionale degli Ordini dei Biologi.
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4 Giornale dei Biologi | Apr 2024
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Laboratori e Farmacie: gran confusione sotto il cielo
di Vincenzo D’Anna Presidente della Federazione Nazionale degli Ordini dei Biologi
Nelle ultime settimane la FNOB ha dovuto fronteggiare due grossi problemi che hanno destato una comprensibile apprensione nel comparto dei laboratoristi. Tuttavia, come spesso capita per i poco o male informati, sono pervenute alcune critiche sotto forma di lamentazioni fini a se stesse. Ahinoi, costa rimarcare come siano ancora numerosi gli iscritti all’Albo che poco si curano di seguire le vicende del proprio ordine professionale e a nulla valgono le continue “notizie” che vengono loro inoltra-
Sono ancora numerosi gli iscritti che non si curano di seguire le vicende della Fnob e a nulla valgono le continue “notizie” che vengono loro inoltrate
te e che sovente restano lettera morta. Abbiamo più volte evidenziato che questa vocazione all’indifferenza e all’isolamento produce una diffusa ignoranza dei problemi e che questa, a sua volta, alimenta considerazioni tanto erronee quanto ingenerose.
Intendiamoci: la critica avveduta è il sale della democrazia a differenza della lamentela emotiva che, invece, finisce con l’essere una manifestazione della protervia e dell’ignoranza. Ma tant’è, tale condizione di superficialità, già grave nella categoria dei Biologi, si acuisce nel comparto dei
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Biologi laboratoristi, come conseguenza del fatto che ormai i laboratori di analisi cliniche si sono trasformati in società commerciali entro le quali operano imprenditori totalmente (o quasi) a digiuno delle conoscenze e delle dinamiche professionali. Ovviamente questi soggetti sono anche estranei alla vita dell’Ordine e guardano alla propria attività sotto il profilo esclusivamente economico e della redditività che ne deriva.
Molti biologi sono estranei alla vita dell’Ordine e guardano alla propria attività sotto il profilo esclusivamente economico e della redditività che ne deriva
Molti tra questi, presenti in gruppi social organizzati (sotto la denominazione del laboratorio di analisi), sono particolarmente vocati a dare sfogo alle proprie insoddisfazioni con interventi ignari e dissociati dalla piena conoscenza del contesto nel quale quel determinato
comparto sanitario si trova a orbitare e a operare. Innanzitutto, credono ancora di essere in possesso di un titolo privilegiato quale fu la convenzione con il Sistema Sanitario, nel mentre dal lontano 1994 l’istituto convenzionale è stato sostituito da quello dell’accreditamento. Quest’ultimo ha trasformato le strutture private in centri accreditati, ossia aventi i requisiti richiesti per erogare, in qualità di fornitori, prestazioni per il committente statale.
La commessa viene definita in un sinallagma contrattuale che le singole strutture accettano ogni anno e che determina la quantità e la qualità delle prestazioni da erogare e i correlati limiti di spesa, meglio conosciuti come tetti di spesa. Tetti che
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purtroppo non coprono l’effettivo fabbisogno di cui l’utenza ha bisogno con il risultato, quindi, che l’ammontare finanziario risulta talvolta incapiente a soddisfare la richiesta. Sul versante a gestione pubblica, invece, tale limite è inesistente e quindi determina una maggiore capienza di accessi, ossia la possibilità che l’utente che si rivolge al privato accreditato sia sviata verso le strutture pubbliche statali.
lo Stato ha indotto le aggregazioni con il taglio delle tariffe di remunerazione degli esami, presupponendo che queste sfruttino le economie di scala
L’eccesso di strutture accreditate presenti al Centro Sud, ha indotto il legislatore a porre requisiti di qualità particolari come la soglia minima di efficienza (200mila prestazioni/ anno) e quindi l’aggregazione delle strutture di laboratorio sotto quella soglia. Una nor-
ma ormai vecchia di ben 18 anni, ma che pure è ancora largamente inevasa nelle regioni meridionali! Tanto ha fornito il pretesto allo Stato per indurre le aggregazioni attraverso il taglio delle tariffe di remunerazione degli esami, partendo dal presupposto che proprio tali aggregazioni sfruttino le economie di scala sui maggiori volumi di prestazioni da loro stesse erogate. Molti ancora sono quelli che questa responsabilità ignorano perseverando nel rifiutare di adeguarsi alla norma di accreditamento quale è la soglia minima. Un caos normativo che alimenta una disparità tra le varie aree della nazione. Il nuovo tariffario (capestro) predisposto dal Ministero che taglia ulteriormente le tariffe di
Editoriale Giornale dei Biologi | Apr 2024 7
laboratorio, risponde proprio a questa logica, certo opinabile e ingiusta, ma pur sempre obbligatoria. Aver scongiurato l’entrata in vigore del nuovo nomenclatore inducendo il
Ministero a rivedere le modalità di costruzione della tariffa, è costato lavoro ed impegno alla FNOB che tuttavia non ha ricevuto, come al solito, alcuna attestazione di merito!
L’altro problema
Aver scongiurato
l’entrata in vigore del nuovo nomenclatore inducendo il Ministero a rivedere la costruzione della tariffa, è costato lavoro alla FNOB
è quello sorto con il decreto varato dal Consiglio dei Ministri che aggiorna le attività assentite nelle cosiddette “farmacie dei servizi”. Molti non sanno che quella tipologia di farmacie è stata introdotta con la legge 153 risalente al lontano 2010 e che presso le stesse si eseguono ormai da tempo esami di laboratorio, con one-
ri a carico dell’utente, e con il metodo POCT (esami con kit preconfezionati) su sangue capillare. Il paziente, se impedito fisicamente, può farsi aiutare dal farmacista ed eseguire solamente un determinato numero di esami in auto controllo. Una successiva circolare (quindi di rango inferiore alla legge istitutiva) ha ampliato senza limiti la tipologia di esami eseguibili su sangue capillare e durante il Covid per stato di necessità ha eliminato anche l’auto-controllo.
Ora, la nuova legge di riforma, che è all’esame del Parlamento, dove è sostenuta da un’ampia maggioranza di consensi, introduce anche la possibilità che gli esami siano richiesti dal medico senza che nulla possa cambiare lo stato delle cose preceden-
Editoriale 8 Giornale dei Biologi | Apr 2024
ti, ossia con oneri a carico del paziente. Tanto è bastato perché si scatenasse una protesta con tratti di isteria tra i Biologi laboratoristi. Tuttavia, il vero problema risiede altrove: nella mancanza di rilascio di un reperto firmato dal responsabile farmacista (che lo esegue essendo stato cancellato l’autocontrollo) al quale mancano le competenze professionali; la mancanza di requisiti organizzativi a tutela della sicurezza del paziente e la presenza di attrezzature automatiche per leggere gli esami che determinano plurimi analiti.
Il reperto deve essere firmato da un Biologo e che esami con il metodo POCT non abbiano i requisiti di attendibilità nonostante i kit preconfezionati
Da qui il lavoro sul Ministero e con il Ministro che la FNOB ha messo in campo perché si possa giungere ad un emendamento della attuale legge.
Almeno nelle parti che riguardano la diagnostica di laboratorio. È nostro convincimento, infatti, che il reperto debba essere firmato da un Biologo e che taluni esami con il metodo POCT non abbiano i requisiti di attendibilità nonostante i kit preconfezionati utilizzati dai farmacisti lo garantiscano. Un tavolo tecnico ministeriale definirà le questioni solevate dalla FNOB e dalla Federlab, associazione di categoria maggiormente rappresentativa dei laboratori di analisi. Questo lo stato dell’arte sotto un cielo pieno di erroneità e confusione. Anche stavolta la spunteremo, senza che chi ci critica, poi, possa un giorno darcene atto. È proprio vero che i Biologi non ringraziano...
Editoriale Giornale dei Biologi | Apr 2024 9
ITALIA, TERRA DI TRAPIANTI: SONO SEMPRE DI PIÙ E AUMENTERANNO ANCORA
Cresce la cultura della donazione: oltre due cittadini su tre esprimono il consenso Ma ci sono ampie differenze tra nord e sud e ancora troppe resistenze da superare di Rino Dazzo
10 Giornale dei Biologi | Apr 2024
Primo piano
Cresce sempre più in Italia la cultura della donazione. I dati più recenti relativi ai trapianti di organi, tessuti e cellule confermano il trend degli ultimi anni: lo Stivale è diventato il secondo Paese in Europa per numero di donatori dietro la Spagna e davanti alla Francia. Nel 2023, in base al report del Ministero della Salute, il tasso nazionale di donazione è salito a quota 28,2 donatori per milione di persone (pmp). Un bel balzo rispetto al massimo storico raggiunto appena l’anno precedente (24,6) e che ha portato, nel solo anno scorso, a superare quota duemila donazioni (2.042 per la precisione, con un incremento dell’11,6%) e a realizzare 4.462 trapianti, 586 in più rispetto al 2022: in questo caso l’incremento è stato del 15,1%. Emilia Romagna (51,1 donatori pmp), Veneto (46,4) e Toscana (45,6) le regioni dove si dona di più, ma stando alla valutazione del ministero sono «ottimi anche i tassi di Sardegna, Piemonte e Marche, mentre restano purtroppo indietro le regioni meridionali».
Giornale dei Biologi | Apr 2024 11 © VesnaArt/shutterstock.com Primo piano
L’assoluta maggioranza dei trapianti realizzati nell’ultimo anno riguarda rene e fegato. Il primato spetta a quelli di rene, 2.245 con un incremento del 10,4% rispetto al 2022. Quelli di fegato sono stati 1.696, più 14,7%. In terza posizione i trapianti di cuore, 370, con un balzo del 46,2% rispetto ai 253 del 2022. Seguono poi polmone (186, cresciuti del 33%) e pancreas (+46,2%). La regione dove si effettuano più trapianti rimane la Lombardia (827 in totale), mentre in rapporto alla popolazione è il Veneto: 140,9 trapianti per milione di abitanti. Sempre al nord le regioni al secondo e al terzo posto della classifica: Piemonte ed Emilia Romagna. Al sud, la regione che ha fatto registrare il trend di crescita più significativo è la Puglia, passata da 29,7 a 46,9 trapianti per milione di abitanti. Più in generale, il dato più confortante è che gli interventi hanno esiti in costante miglioramento, a prescindere dal tipo e dal luogo di realizzazione. Ma come spiegare la tendenza, che sta proseguendo anche nei primi mesi del 2024? Secondo il Ministero della Salute «un risultato così eclatante è stato di fatto possibile grazie a due fattori di crescita fortemente coltivati in questi ultimi anni dal Centro Nazionale Trapianti. Il primo è il consistente aumento delle segnalazioni di potenziali donatori nelle terapie intensive delle oltre 200 sedi di prelievo attive sul territorio nazionale». Il secondo fattore di crescita, invece, «va cercato nel forte investimento del CNT sul programma di donazione dopo accertamento di morte con criteri cardiaci, la cosiddetta “donazione a cuore fermo” (donation after cardiac death, DCD). I trapianti derivati da questo tipo di donatori sono aumentati esponenzialmente: siamo passati dai 100 del 2018 ai 221 del 2022 per arrivare nel 2023 a ben 438 trapianti grazie agli organi prelevati da DCD». La priorità rimane ridurre i tempi e snellire liste d’attesa che, pur con gli incrementi degli ultimi periodi, includono ancora circa ottomila pazienti.
Solo Gran Bretagna e Spagna avevano lanciato prima il programma di prelievo DCD, paesi in cui il tempo di arresto cardiaco necessario per constatare il decesso è di cinque minuti: in Italia è di venti. Sei i centri nel paese in grado di realizzare prelievi e trapianti di cuore dopo morte cardiaca: il primo e più efficiente rimane quello di Padova. La difficoltà più grande da superare non è di tipo tecnico o di acquisizione
L’assoluta maggioranza dei trapianti realizzati nell’ultimo anno riguarda rene e fegato. Il primato spetta a quelli di rene, 2.245 con un incremento del 10,4% rispetto al 2022. Quelli di fegato sono stati 1.696, più 14,7%. In terza posizione i trapianti di cuore, 370, con un balzo del 46,2% rispetto ai 253 del 2022.
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di nuove competenze: riguarda le opposizioni al prelievo. Se è aumentato il numero dei donatori, è cresciuta dello 0,7% anche la percentuale di chi rifiuta la donazione nelle rianimazioni, ora al 30,5%. La normativa dà la possibilità di accordare o negare il consenso in sede di rinnovo delle carte d’identità elettroniche: nel 2023 sono stati 2,4 milioni gli italiani che hanno dato il loro sì ai prelievi (68,5% del totale), mentre una fetta consistente (31,5%, oltre 1,1 milioni di persone) ha ribadito il proprio no. Entro la fine di quest’anno dovrebbe essere attivata la possibilità di registrare la propria dichiarazione direttamente da casa, non solo presso gli uffici anagrafe.
Un’ultima considerazione va fatta su tessuti e midollo: anche in questi casi si è registrato nell’ultimo periodo un aumento record delle donazioni, con 14.912 prelievi e 24.949 trapianti e incrementi rispettivamente del 21% e del 16,7% rispetto al 2022. Boom di trapianti di cornea e del tessuto muscolo-scheletrico, ma è record anche per le cellule staminali emopoietiche: nel 2023 in Italia ben 399 donazioni di midollo osseo che hanno contribuito a rendere possibile la realizzazione di 1.023 trapianti. Un ulteriore slancio può darlo la tendenza a ricorrere al prelievo delle cellule da sangue periferico, che ormai riguarda il 90% di questo tipo di donazioni e che è eseguita con modalità poco invasive e del tutto simili a una normale donazione di sangue. Mentre il fatto che quasi 30mila (su poco meno di mezzo milione) nuovi iscritti al registro donatori IBMDR abbia tra i 18 e i 25 anni è un altro segnale di speranza.
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Primo piano © New Africa/shutterstock.com
Cosa dice la legge? Quali sono le norme che disciplinano la donazione degli organi in Italia? Come si legge sul sito dell’Istituto Superiore di Sanità, «le norme italiane in materia di donazione di organi e tessuti sono tra le più garantiste al mondo: la legge 29 dicembre 1993 n. 578 e il Decreto Ministeriale 11 aprile 2008 n. 136 introducono la netta separazione tra la determinazione della morte di un individuo e l’eventuale processo di donazione degli organi. Inoltre, il quadro normativo prevede un’ulteriore tutela: la commissione di medici che certifica la morte è indipendente da chi ha riscontrato lo stato di morte e diversa dall’équipe che eseguirà il prelievo e il trapianto».
Sempre l’ISS fa riferimento alla «tracciabilità dell’intero processo di donazione e trapianto: è possibile, infatti, risalire in qualsiasi momento all’organo prelevato e a quello trapiantato attraverso il Sistema informativo trapianti, la banca dati del Ministero della Salute che raccoglie tutti i dati provenienti dagli ospedali e dai centri trapianto». Prima di ogni tipo di prelievo è necessario esprimere il proprio consenso.
Diversi i modi per farlo. Nei casi di donazioni post mortem, è necessario registrare la propria volontà presso gli uffici anagrafe dei Comuni al momento del rilascio o del rinnovo della carta d’identità elettronica, iscrivendosi all’AIDO (Associazione Italiana per la donazione di organi, tessuti e cellule) sia online attraverso SPID o firma digitale, sia presso una delle sedi dell’associazione, oppure firmando il modulo presso la propria ASL di riferimento, o ancora compilando il tesserino del CNT o il tesserino blu del ministero della Salute, oppure una delle donor card distribuite dalle associazioni di settore. Ma si può anche comunicare informalmente la propria decisione ai familiari o riportare la propria volontà su un foglio bianco, comprensivo di data e firma, da
LA NORMATIVA SUL
CONSENSO DEI DONATORI
Cosa dice la legge? Ecco tutto quello che c’è da sapere per diventare donatori e contribuire a salvare vite
custodire con cura. E per chi non si esprime? Il principio del «silenzio-assenso» non vale. I familiari (coniuge non separato, convivente more uxorio, figli maggiorenni e genitori) possono acconsentire oppure opporsi al prelievo durante il periodo di osservazione di morte, mentre per i minorenni sono sempre i genitori a decidere: se uno dei due è contrario, il prelievo non avrà luogo. Ogni cittadino può modificare la propria dichiarazione di volontà in qualsiasi momento: nel caso, la dichiarazione presa in considerazione sarà l’ultima ufficializzata in ordine di tempo.
È opportuno sottolineare come la donazione sia sempre e comunque un atto volontario, consapevole, gratuito e anonimo. Un atto che può avvenire in vita (rene, porzione di fegato e, dal 2012, anche di porzioni di polmone, pancreas e intestino, oltre naturalmente alla donazione di cellule staminali emopoietiche) oppure dopo la morte. In questo caso gli organi prelevabili e trapiantabili sono cuore, polmoni, rene, fegato, pancreas e intestino, mentre tra i tessuti rientrano pelle, ossa, tendini, cartilagine, cornee, valvole cardiache e vasi sanguigni. (R. D.)
Giornale dei Biologi | Apr 2024 13
Primo piano Primo © dizain/shutterstock.com
DONAZIONE A CUORE FERMO, COME FUNZIONA
Uno dei fattori determinanti per l’aumento di prelievi e trapianti in Italia è la DCD: ecco di cosa si tratta
Sono passati 36 anni dal primo trapianto eseguito con successo in Italia. Era il 26 aprile 1966 e a Roma Pietro Valdoni, Paride Stefanini e Raffaello Cortesini realizzavano un trapianto di rene. Sarebbe stato il primo di una lunghissima serie e proprio ad aprile, da 27 anni, si celebra la Giornata nazionale per la donazione e il trapianto di organi e tessuti, promossa dal Centro Nazionale Trapianti e dal Ministero della Salute. Quest’anno la Giornata è stata celebrata domenica 14 aprile e ha lanciato un messaggio chiaro: «Donare è una scelta naturale».
Ma è soprattutto un atto di amore, di eccezionale responsabilità umana e civile. Una scelta che può arrivare a salvare fino a sette vite in attesa di trapianto. Quella di un 50enne deceduto alcune settimane fa a Milano per arresto cardiaco, seguito da danni neurologici irreversibili, ne ha salvate quattro: l’uomo, tempo prima, aveva infatti espresso l’esplicito consenso alla donazione di organi e tessuti. Il suo cuore è stato così trapiantato al Policlinico San Matteo di Pavia, il suo fegato al Policlinico di Milano mentre i reni uno al Niguarda di Milano e uno all’Ospedale di Bergamo.
La particolarità è che quello del 50enne è stato il primo caso in Lombardia di donazione multiorgano da donatore a cuore fermo in un ospedale senza Cardiochirurgia, realizzato grazie alla collaborazione tra l’ECMO team del Policlinico San Matteo e l’ASST dei Santi Paolo e Carlo di Milano. Ma di casi del genere ce ne sono sempre di più. La donazione a cuore fermo (DCD) è quella che segue l’accertamento di morte con criteri cardiaci. Il Ministero della Salute la illustra così: «La morte di una persona può essere accertata con criteri neurologici (nota come “morte cerebrale”) e con criteri cardiaci.
Al di là della modalità con la quale viene accertata la morte di un individuo, è importante ribadire che la morte è unica e coincide con la totale e irreversibile cessazione di tutte le funzioni cerebrali. Infatti, per determinare la morte con criteri cardiologici occorre osservare un’assenza completa di battito cardiaco e di circolo per almeno il tempo necessario perché si abbia con certezza la necrosi encefalica tale da determinare la perdita irreversibile di tutte le funzioni encefaliche. In Italia, la donazione a cuore fermo può avvenire solo dopo che un medico abbia certificato la morte mediante l’esecuzione di un elettro-cardiogramma protratto per un tempo di almeno 20 minuti (nella maggior parte dei Paesi europei questo tempo è di 5 minuti). Questo è considerato il tempo di anossia, trascorso il quale si considera vi è certamente una irreversibile perdita delle funzioni dell’encefalo e quindi la morte dell’individuo».
Il prelievo di organi da donatore a cuore fermo è una procedura complessa dal punto di vista organizzativo, logistico e medico, ma che sta consentendo in varie realtà d’Italia un aumento esponenziale dei trapianti realizzati e il conseguente salvataggio di un numero maggiore di vite. Una sfida da vincere. (R. D.)
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Primo piano
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Giornale dei Biologi | Apr 2024 15 www.fnob.it Master di I livello in SOSTENIBILITÀ DEI SISTEMI ALIMENTARI E DELLA DIETA MEDITERRANEA Master telematico asincrono marzo – luglio 2024
“
RUOLO DEL CROMOSOMA Y SULL’ESPRESSIONE GENICA E IN RISPOSTA AL DANNO AL DNA
Intervista a Ludovica Celli e Miriana Cardano, ricercatrici del Cnr-Igm e autrici dello studio “CRISPR/Cas9 mediated Y chromosome elimination affects human cells transcriptome”
di Ester Trevisan
Un progetto coordinato dall’Istituto di genetica molecolare del Consiglio nazionale delle ricerche di Pavia ha aggiunto un nuovo tassello al settore della medicina di genere, ambito scientifico che studia come le differenze biologiche possano influenzare l’insorgere di alcune malattie e la relativa risposta terapeutica.
Il team di ricerca ha sviluppato in laboratorio una linea cellulare maschile umana privata del cromosoma sessuale maschile tramite metodi di gene editing, per indagare l’effetto dell’Y sull’espressione genica e nella risposta al danno al DNA. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Cell & Bioscience.
Qual è il punto di partenza del vostro studio?
Il nostro studio parte dall’interesse nel comprendere i meccanismi alla base delle differenze tra i sessi in condizioni fisiologiche e patologiche, le quali sono governate in parte dal diverso dosaggio dei cromosomi sessuali X e Y. Inoltre, è stato ormai dimostrato il ruolo del cromosoma Y e della sua perdita nella determinazione di queste differenze in patologie come cancro e malattie cardiovascolari e neurologiche, anche se i meccanismi molecolari restano ancora da chiarire.
E l’obiettivo che vi siete poste?
Il nostro scopo era di confrontare una linea cellulare maschile XY e una linea da essa derivata senza cromosoma Y, generata da noi
utilizzando la tecnica CRISPR/Cas9. L’analisi del trascrittoma di questo modello cellulare ci avrebbe aiutato a svelare i pathways che si sono alterati in seguito alla perdita del cromosoma specifico maschile e a comprenderne meglio le conseguenze.
Quali sono gli step che vi hanno condotto ai risultati ottenuti?
La nostra analisi è iniziata dalla generazione di una linea cellulare senza cromosoma Y, sfruttando la natura altamente ripetuta di alcuni suoi geni, utilizzati come target per gli RNA guida necessari ad effettuare i tagli a doppio filamento tramite CRISPR/Cas9. Da entrambe le linee cellulari (con e senza Y) è stato sequenziato tutto l’RNA e, grazie all’utilizzo di specifici protocolli bioinformatici, è stato possibile effettuare un confronto tra i due profili trascrizionali. La scelta di una linea cellulare maschile sana con un corredo cromosomico normale è stata cruciale per escludere effetti confondenti in questo passaggio. Successivamente, i risultati ottenuti con l’analisi bioinformatica sono stati validati sperimentalmente in laboratorio.
Quali differenze avete riscontrato tra la linea cellulare con entrambi i cromosomi sessuali e quella priva del cromosoma Y?
Dal nostro studio è emerso che la linea cellulare senza cromosoma Y possiede un repertorio di geni coinvolti in migrazione cellulare, angiogenesi e risposta immunitaria, espressi in ma-
16 Giornale dei Biologi | Apr 2024
Intervista
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Ludovica Celli
Ludovica Celli è laureata in Molecular Biology and Genetics presso l’Università di Pavia, dove nel 2023 consegue il dottorato di ricerca. Ha svolto la sua attività presso l’Istituto di Genetica Molecolare del CNR studiando la regolazione dell’espressione genica ed il ruolo degli RNA non codificanti. Svolge un anno di Post-Doc presso La Sapienza di Roma, occupandosi dell’integrazione di dati omici nel cancro al seno maschile e femminile. Oggi è ricercatrice presso l’Istituto di Tecnologie Biomediche del CNR.
niera differente rispetto alla controparte recante il cromosoma maschile. Inoltre, i geni coinvolti nel pathway dello sviluppo del follicolo ovarico sono risultati più espressi nella linea cellulare senza Y, che quindi mostra una somiglianza con il fenotipo femminile.
Quali conseguenze comporta la perdita del cromosoma Y?
In letteratura esistono diversi studi che hanno dimostrato come la perdita dell’Y promuova l’insorgenza di malattie e renda i tumori più aggressivi, causando una prognosi peggiore. I nostri risultati mostrano un’alterazione della risposta al danno al DNA, della migrazione e invasione cellulare in seguito alla perdita del cromosoma Y, supportando la sua funzione difensiva nella trasformazione tumorale.
In termini terapeutici quale contributo potrebbe apportare il vostro lavoro?
Nonostante la natura sana delle due linee cellulari, i meccanismi regolati in maniera diversa sono riconducibili all’insorgenza di cancro, ma anche a malattie legate al sistema immunitario, promuovendo l’idea che il cromosoma Y svolga un ruolo protettivo in tali patologie. Grazie all’identico contenuto genetico delle linee messe a confronto, che differiscono solo per la presenza o meno dell’Y, questo nostro sistema sperimentale può essere utilizzato come modello per la ricerca di nuovi approcci terapeutici per le malattie che mostrano un’incidenza diversa nei due sessi.
Il nostro scopo era di confrontare una linea cellulare maschile XY e una linea da essa derivata senza cromosoma Y, generata da noi utilizzando la tecnica CRISPR/Cas9. © Drpixel/shutterstock.com
Su quali finanziamenti ha potuto contare questa ricerca?
La nostra ricerca è stata resa possibile grazie all’assegnazione del Premio Bertazzoni, il quale è stato istituito grazie a una donazione da parte di Giovanna Bertazzoni in memoria di suo padre, il professore Umberto Bertazzoni. I nostri studi hanno potuto contare anche sul finanziamento della Fondazione AIRC, ottenuto dalla dottoressa Laura Zannini dell’Istituto di Genetica Molecolare di Pavia.
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Miriana Cardano
Miriana Cardano ha conseguito la laurea in Molecular Biology and Genetics presso l’Università di Pavia. Nel 2023 ha ottenuto il dottorato in Biomolecular Sciences and Biotechnology presso la scuola IUSS di Pavia, studiando la regolazione sesso-specifica di un fattore della risposta al danno al DNA nel cancro. Oggi ricopre il ruolo di ricercatrice post-doc presso l’Istituto di Genetica Molecolare del CNR, dove studia i meccanismi del dimorfismo sessuale e della perdita del cromosoma Y nel cancro.
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STUDIARE LA RESILIENZA
DEI FAGGI PER TUTELARE
GLI ECOSISTEMI FORESTALI
Intervista a Paulina Puchi, prima autrice dello studio, sulla capacità dei boschi di faggio italiani di adattarsi e resistere agli effetti del cambiamento climatico
Dottoressa Puchi, può descriverci a grandi linee come funziona il “sistema immunitario” degli alberi e cosa accade quando subisce un attacco esterno?
Attraverso studi dendrocronologici, che consistono nell’analisi degli anelli di crescita degli alberi, e di anatomia quantitativa del legno, abbiamo rilevato che nei boschi che mostrano segni di declino, come lo scolorimento delle foglie e l’attacco di patogeni, il processo di indebolimento degli alberi è in corso da oltre 50 anni. Questo fenomeno potrebbe essere causato da una serie di fattori, tra cui cambiamenti ambientali, stress idrico, aumento della temperatura e riduzione dell’ecosistema, ovvero la diminuzione della superficie boschiva. Di conseguenza, quando si verificano eventi di siccità estrema, gli alberi non sono in grado di resistere a lungo. Pertanto, quando osserviamo boschi che stanno morendo, assistiamo alla conseguenza di un lungo periodo di indebolimento del sistema di trasporto dell’acqua e riduzione di carbonio a disposizione degli alberi.
Quali sono i danni maggiori arrecati dai cambiamenti climatici alla vegetazione boschiva?
I cambiamenti climatici avvengono rapidamente, superando la capacità di adattamento dei boschi alle nuove condizioni. Questo fenomeno minaccia la vegetazione boschiva, portando a incendi più frequenti, mortalità degli alberi, alterazione degli ecosistemi e un indebolimento che
aumenta la suscettibilità agli attacchi di patogeni.
Quali territori sono stati coinvolti dalla ricerca e in quale arco temporale?
Trentino Alto Adige, Lazio, Campania, Calabria in un periodo di circa 50 anni, dal 1965 al 2014.
Perché la ricerca si è concentrata sui faggi?
Il faggio è una specie plastica che si adatta alle condizioni specifiche del sito e per questo è una delle specie più diffuse in Europa.
Quali strategie mettono in campo questi alberi per sopravvivere?
Durante eventi di siccità estrema associati a elevate temperature, per limitare la perdita di acqua durante la fotosintesi, gli alberi tendono a chiudere gli stomi, cioè i piccoli forellini controllati da cellule stomatiche poste sulla superficie delle foglie da cui entra anidride carbonica ed esce acqua. Tuttavia, la chiusura degli stomi può comportare una limitazione nell’assorbimento di CO2, essenziale per la fotosintesi. Questo deficit di carbonio riduce la capacità della pianta di sintetizzare carboidrati e altre sostanze vitali per la crescita e la sopravvivenza, aumentando il rischio di morte per mancanza di carbonio o “carbon starvation”. D’altra parte, mantenere gli stomi aperti durante la siccità può rappresentare un adattamento di sopravvivenza. Tuttavia, ciò può causare la formazione di bolle d’aria nella struttura idraulica dello xilema, il tessuto responsabile del trasporto di acqua e sostanze nutritive
18 Giornale dei Biologi | Apr 2024
Intervista
Paulina F. Puchi
Paulina F. Puchi è una ecologa forestale con una formazione in eco-idrologia, dendrocronologia e anatomia quantitativa del legno. La sua ricerca si concentra sulla comprensione di come gli alberi si stanno adattando alla variabilità climatica e agli eventi climatici estremi. Ha conseguito la laurea presso l’Universidad Austral de Chile (Valdivia, Cile) in Ingegneria per la Conservazione delle Risorse Naturali e il dottorato in Ecologia Forestale presso l’Università di Padova. Attualmente, ha un assegno di ricerca post-dottorale presso il CNR-IBE e il CNR-ISAFOM, dove si occupa di modellistica e analisi delle dinamiche del carbonio e dell’acqua nei sistemi forestali in risposta allo stress idrico.
all’interno della pianta. Queste embolie ostacolano il flusso di acqua e nutrienti, con conseguenze negative sulla salute e la sopravvivenza a lungo termine della pianta.
Cosa si intende per efficienza intrinseca nell’uso dell’acqua da parte degli alberi e a quale funzione assolve?
L’efficienza intrinseca nell’uso dell’acqua rappresenta il “costo” della fissazione del carbonio per unità di perdita d’acqua, in particolare durante la fotosintesi degli alberi, ovvero la quantità di acqua necessaria per unita di “zuccheri” prodotti. Potremmo definirla come un indicatore della capacità di reagire alla siccità. Durante lo scambio gassoso, due isotopi di carbonio, il C12 e il C13, sono coinvolti. In condizioni normali, gli alberi utilizzano principalmente il carbonio più leggero, il C12, per la fotosintesi. Un aumento nel rapporto del C13 indica che, come strategia fisiologica per conservare acqua e sopravvivere durante periodi secchi, gli alberi chiudono gli stomi, riducendo la crescita e l’accumulo di carbonio. Al contrario, una diminuzione del rapporto del C13 indica che gli alberi hanno mantenuto gli stomi aperti durante un periodo secco, aumentando la fotosintesi e la crescita. Questa strategia può portare a embolie o fallimento idraulico nel lungo termine. In buona sostanza l’albero scommette su una strategia più conservativa, ma che può portarlo a “morire di fame”, oppure su una più rischiosa che, però, può portarlo all’embolia.
Attraverso studi dendrocronologici, che consistono nell’analisi degli anelli di crescita degli alberi, e di anatomia quantitativa del legno, abbiamo rilevato che nei boschi che mostrano segni di declino, come lo scolorimento delle foglie e l’attacco di patogeni, il processo di indebolimento degli alberi è in corso da oltre 50 anni.
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Quale contributo possono dare i risultati di questo studio alla tutela degli ecosistemi forestali?
I risultati di questo studio dimostrano che, nonostante quattro siti di faggio sembrino apparentemente in buona salute, in realtà mostrano una riduzione della crescita e un aumento dell’efficienza nell’uso dell’acqua, ma in maniera sito-specifica, pur essendo della stessa specie. I siti più a sud sembrano essere più resilienti al cambiamento climatico, ma hanno mostrato segni precoci di stress dopo eventi climatici estremi. Queste scoperte hanno implicazioni importanti per la gestione forestale e la conservazione della specie, non solo a livello nazionale ma anche a livello globale. Comprendere i meccanismi di resilienza dei boschi di faggio è cruciale per sviluppare strategie di conservazione efficaci in un mondo che sta affrontando rapidi cambiamenti climatici.
Da chi è composto il team di ricerca?
Il team di ricerca è composto da me, Daniela Dalmonech, Elia Vangi e dal responsabile Alessio Collalti, tutti afferenti al Laboratorio di Modellistica Forestale dell’Istituto per i Sistemi Agricoli e Forestali del Mediterraneo (CNR-ISAFOM). La nostra ricerca è condotta in collaborazione con la professoressa Giovanna Battipaglia dell’Università della Campania Vanvitelli e il professor Roberto Tognetti della Libera Università di Bolzano. (E. T.)
Giornale dei Biologi | Apr 2024 19 ”
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IL “CRONOMETRO” CHE CONTROLLA LA QUALITÀ DELLA DIVISIONE CELLULARE
Si tratta di un meccanismo che impedisce la moltiplicazione di cellule potenzialmente cancerose misurando la durata della mitosi e che viene “spento” in molti tipi di cancro
Ogni giorno nel nostro organismo miliardi di cellule sono impegnate a moltiplicarsi. Tuttavia, nella divisione cellulare, a volte avvengono errori che possono causare malattie come il cancro. Durante la mitosi il DNA di una cellula si divide in due serie uguali di cromosomi segregati in due cellule figlie geneticamente identiche. Di solito il processo impiega circa trenta minuti per completarsi, ma quando le cellule presentano un difetto, hanno bisogno di più tempo per organizzare i cromosomi e distribuirli nelle cellule figlie. Partendo da questa considerazione, i ricercatori dell’Okinawa Institute of Science and Technology insieme ai colleghi dell’Università della California San Diego hanno scoperto che esiste un meccanismo che calcola il tempo impiegato dalle cellule per dividersi e dà “l’allarme” se il processo si allunga troppo. I ricercatori hanno scoperto che il ritardo induce la formazione di un complesso molecolare detto “cronometro mitotico” che consiste in un percorso di reazioni biochimiche che controlla continuamente il tempo trascorso nella mitosi. Alla base del percorso c’è un complesso di tre proteine, tra cui p53, codificata dal gene più comunemente mutato nei tumori umani. «Questo complesso - ha spiegato Franz Meitinger, primo autore della ricerca - non si forma durante una mitosi normale, ma solo quando questa dura più a
lungo». «Le cellule - spiega lo scienziato - misurano il tempo che trascorrono nella fase mitotica e usano questa informazione per capire se il processo sta avvenendo in modo corretto». «Volevamo capire - termina il ricercatore - come il meccanismo molecolare protegge l’organismo dallo sviluppo del cancro».
Gli autori dello studio, come riportato sulla rivista Science, hanno descritto per la prima volta, il modo in cui le cellule malate sono individuate e impedite di proliferare ulteriormente. Il complesso inizia a formarsi trenta minuti dall’inizio della mitosi e, dopo che la cellula esce dalla mitosi estesa, diventa attivo nelle nuove cellule figlie. Questa attivazione innesca altri fattori che possono arrestare le divisioni o uccidere le cellule in modo permanente. «C’è un segnale che si accumula e che, quando la mitosi è troppo lunga, può indurre l’arresto della divisione o la morte cellulare immediata; se invece la mitosi è moderatamente prolungata, si ha un’attivazione parziale di questa via, per cui le cellule possono ancora continuare a dividersi», ha commentato Hazrat Belal, uno degli autori.
Attraverso una serie di esperimenti, i ricercatori hanno seguito il percorso nelle cellule per un periodo di 48 ore e hanno scoperto che il percorso funziona come un meccanismo di controllo di qualità che “ricorda” il tempo mitotico. Ritardi di soli venti minuti sono inter-
20 Giornale dei Biologi | Apr 2024 Salute
di Sara Bovio
pretati come “a rischio”. Se il meccanismo rileva una mitosi anormalmente lunga, trasmette questa informazione alle cellule figlie, che poi arrestano la proliferazione nella fase G1 del ciclo cellulare.
«Questo lavoro dimostra che le cellule monitorano attentamente il tempo impiegato per eseguire la mitosi e lo usano come filtro per eliminare le cellule potenzialmente problematiche», ha detto Arshad Desai, del Dipartimento di Biologia Cellulare e dello Sviluppo dell’Università della California. «Se una cellula impiega più tempo del normale per completare la mitosi – ha proseguito l’autore - le cellule figlie sapranno che la madre ha faticato a portare a termine la divisione e smetteranno di farlo come misura di sicurezza».
I ricercatori ritengono che la mezz’ora cruciale di tempo mitotico potrebbe essere la soluzione dell’evoluzione per superare rapidamente una parte vitale ma potenzialmente pericolosa della vita, quando le cellule sono vulnerabili. I tumori, secondo Karen Oegema, autore dello studio e professore dell’Università della California, sono come un estraneo nel nostro corpo che combattiamo costantemente
Attraverso una serie di esperimenti, i ricercatori hanno seguito il percorso nelle cellule per un periodo di 48 ore e hanno scoperto che il percorso funziona come un meccanismo di controllo di qualità che “ricorda” il tempo mitotico.
utilizzando meccanismi di sorveglianza come il cronometro. Come sottolineato dagli autori, il meccanismo del cronometro è “spento” da molti tipi di cancro, consentendo di tollerare genomi aberranti che vanno incontro a mitosi più lunghe e problematiche. «La nostra ricerca suggerisce che la misurazione del tempo di mitosi è un meccanismo che è stato sviluppato come un modo per proteggerci. Essenzialmente – ha proseguito la ricercatrice - è un’altra funzione di soppressione dei tumori legata al compito di p53 di proteggere dalle cellule problematiche».
Guardando al futuro, i ricercatori hanno osservato che la loro scoperta potrebbe essere utilizzata per prevenire la diffusione delle cellule cancerose e potrebbe migliorare la diagnosi e la terapia del cancro. I tumori che mantengono la capacità di monitorare la durata della mitosi mostrano, infatti, sensibilità agli agenti antimitotici. Lo stato del cronometro, si legge nello studio, potrebbe influenzare l’efficacia degli agenti terapeutici attualmente in uso o in fase di sviluppo per colpire i processi mitotici, e potrebbe servire come potenziale biomarcatore per il loro uso nel trattamento del cancro.
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22 Giornale dei Biologi | Apr 2024 Salute
Eruzione cutanea a farfalla che può essere causata dal Lupus.
UNA NUOVA TERAPIA POTREBBE SPEGNERE L’INFIAMMAZIONE NEL LUPUS IN MODO PERMANENTE
Dopo una sola iniezione di cellule CAR-Treg in un modello murino umanizzato di LES, gli organi intaccati dalla malattia hanno riacquistato le loro normali funzionalità
di Sara Bovio
Un recente studio ha utilizzato per la prima volta le cellule CAR-Treg su modelli murini umanizzati di Lupus Eritematoso Sistemico (LES) dimostrando la loro efficacia nell’arrestare in modo permanente l’infiammazione che caratterizza la malattia. L’importante risultato è stato raggiunto dai ricercatori dell’IRCCS Ospedale San Raffaele e apre a nuovi scenari nel campo della ricerca delle malattie autoimmuni e non solo.
Lo studio, pubblicato su Nature Communications, è stato coordinato dalla professoressa Chiara Bonini e dal dottor Matteo Doglio dell’IRCCS Ospedale San Raffaele. La nuova terapia, basata sull’uso delle cellule CAR-Treg, si è dimostrata in grado di esercitare un effetto
immunosoppressivo direttamente negli organi linfoidi, il luogo in cui avviene la presentazione dell’antigene e la produzione degli anticorpi responsabili dell’infiammazione nella patologia autoimmune.
Il Lupus Eritematoso Sistemico (LES) è una malattia cronica autoimmune che colpisce in Europa circa 1 persona su 1.000, prevalentemente donne, con un picco di incidenza tra i 20 e i 35 anni. Nelle malattie autoimmuni il sistema immunitario diventa iperattivo e attacca erroneamente le cellule e i tessuti del corpo, causando infiammazione e danni. «La terapia ideale per le malattie autoimmuni - afferma Bonini - dovrebbe mirare a correggere la risposta immunitaria errata senza compromettere in modo eccessivo
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la capacità difensiva del corpo». «Da qui – prosegue l’autrice dello studio - è nata l’intuizione di utilizzare i CAR-Treg. I CAR-T convenzionali non sono in grado di distinguere i linfociti B responsabili dell’infiammazione da tutti gli altri linfociti, mentre i CAR-Treg riescono a operare una selezione mirata spegnendo semplicemente le cellule iperattive senza provocarne la morte». Come spiegato nello studio, un’importante diminuzione generale di linfociti B, tra cui anche quelli che producono gli anticorpi contro gli agenti infettivi esterni, è da evitare, perché comporta per il paziente un maggiore rischio di contrarre infezioni.
Le CAR-T (acronimo di Chimeric Antigen Receptor T cell therapies) sono terapie geniche, utilizzate anche per il cancro, che agiscono attraverso l’inserzione di materiale genetico all’interno delle cellule dell’organismo umano. Utilizzano specifiche cellule immunitarie (i linfociti T), che sono estratte da un campione di sangue del paziente, modificate geneticamente e “ingegnerizzate” in laboratorio per essere poi re-infuse nel malato per attivare la risposta del sistema immunitario. La stessa tecnologia può essere utilizzata anche sui linfociti T regolatori o Treg adibiti alla regolazione del sistema immunitario, per evitare
Il Lupus Eritematoso Sistemico (LES) è una malattia cronica autoimmune che colpisce in Europa circa 1 persona su 1.000, prevalentemente donne, con un picco di incidenza tra i 20 e i 35 anni.
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reazioni infiammatorie esagerate o deputati alla prevenzione dell’insorgenza dell’autoimmunità. In questo contesto, i CAR possono ridirigere le Treg contro bersagli rilevanti nel contesto delle malattie autoimmuni, potenziandone l’attività. Gli autori dello studio hanno creato un modello murino umanizzato. «Il sistema immunitario del topo - afferma Doglio, primo autore dello studio - è diventato in poco tempo molto simile a quello umano, a quel punto è stato possibile indurre la malattia di LES e praticare l’iniezione di linfociti T regolatori modificati con i CAR. È la prima volta che i CAR-Treg sono studiati in modelli murini con un sistema immunitario completamente umanizzato». I risultati dopo una sola iniezione di CAR-Treg nei modelli murini sono stati sorprendenti: si è ridotta l’infiammazione e si è ristabilito l’equilibrio naturale del sistema immunitario. Gli organi intaccati dalla malattia, e in particolare gli organi linfoidi, in seguito all’infusione hanno riacquistato le normali funzionalità sconfiggendo la malattia.
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«In seguito all’infusione dei CAR-Treg - continua Doglio - è stato possibile osservare la risposta di ciascun organo dapprima compromesso a causa della malattia. Per esempio, i polmoni dei modelli murini lupoidi presentavano una reazione infiammatoria caratterizzata da lesioni di tipo granulomatoso, in seguito al trattamento non solo l’infiammazione si è ridotta del 60%, ma la struttura polmonare risulta preservata».
«Tutti i reagenti – conclude Doglio - che sono stati utilizzati nello studio sono già compatibili con la clinica. Speriamo che la nostra ricerca intraprenda presto l’iter necessario allo sviluppo di un farmaco specifico anche per altre malattie autoimmuni, non solo per il Lupus».
Gli autori hanno, infatti, ipotizzato di utilizzare i CAR-Treg in altri campi come il trapianto d’organo, per prevenire il rigetto, e il trapianto di midollo osseo per controllare la GVHD (malattia da trapianto contro l’ospite). «Grazie alla loro capacità immunoregolatoria, i CAR-Treg potrebbero essere in grado di ridurre drasticamente le probabilità che l’organo trapiantato sia rigettato», conclude la professoressa Bonini.
La scoperta dei ricercatori del San Raffaele offre una speranza di guarigione in più per i malati di Lupus e potrebbe rafforzare la sostenibilità dei sistemi sanitari, liberando risorse per migliorare la salute generale e proseguire le ricerche mediche.
24 Giornale dei Biologi | Apr 2024
Salute
Il 10 maggio ricorrerà la giornata mondiale del Lupus.
Irisultati di una ricerca commissionata a Ipsos da Fondazione Clariane, che in Italia è presente con il network della Salute Korian, mettono in evidenza quanto le professioni sanitarie siano ricercate dai giovani studenti di sette Paesi europei. Infatti risulta che il settore sanitario, dopo il lusso (51%) e l’educazione (47%), è il terzo più ambito dai ragazzi europei (45%). In particolare, le professioni legate alla salute mentale sono quelle più scelte.
Considerando le ambizioni degli studenti italiani, le professioni sanitarie si classificano sotto la media europea (42%), mentre lusso (62%) e il settore delle telecomunicazioni (61%) sono molto ricercati. Federico Guidoni, il presidente e CEO di Korian Italia, ha spiegato: «Il calo delle vocazioni in sanità è un elemento sistemico. Non possiamo pensare di affrontare la crescente domanda di cure e assistenza sanitaria richiamando i medici in pensione o semplicemente aumentando i posti nelle università. I dati evidenziano un ampio divario tra le aspirazioni dei giovani e la loro percezione delle professioni sanitarie, soprattutto per quanto riguarda driver ritenuti fondamentali come il bilanciamento vita-lavoro, la flessibilità oraria e il salario».
Prosegue poi Guidoni: «Il settore privato e quello pubblico sono chiamati a dialogare e fare sistema anche su questo fronte, per essere pronti alle sfide del futuro. Possiamo fare meglio, investendo ancora di più in formazione e in nuove modalità organizzative e di lavoro favorite dall’introduzione massiva della digitalizzazione e automatizzazione dei processi a minor valore aggiunto e dall’introduzione strutturata dell’intelligenza artificiale. Tutti elementi estremamente attrattivi per i giovani. Usare tutte le risorse a disposizione e usarle meglio. Questo deve essere il nostro obiettivo».
Lo studio di Ipsos è stato svolto grazie a un questionario online tra ottobre e novembre 2023: hanno partecipato 2100 giovani tra i 16 e i 20 anni. Questi
LAVORARE IN SANITÀ TRA
LE AMBIZIONI DEI GIOVANI
La ricerca è stata fatta nel vecchio continente. Professioni sanitarie dietro solo ai comparti del lusso e dell’educazione
erano di sette paesi europei: Francia, Germania, Italia, Belgio, Paesi Bassi, Uk e Spagna. In tutto trecento tra ragazzi e ragazze hanno espresso la loro preferenza per le professioni sanitarie. Il 75% dei giovani si mostra molto fiducioso di trovare un’occupazione in seguito al ciclo di studi, e questo riguarda anche studenti italiani, pur trovandosi in uno dei paesi con il tasso di disoccupazione giovanile più alto.
Inoltre sono state individuate le motivazioni che spingono i giovani a scegliere una professione infermieristica e socio-sanitaria piuttosto che altre: l’utilità della professione, la soddisfa-
zione personale e la riconoscenza sociale, la possibilità di lavorare in squadra. Oltre a questo, risulta anche che il 48% dei giovani sceglie questo lavoro per i livelli salariali. Mentre, sempre stando ai risultati degli studi, i limiti che vengono maggiormente individuati dagli aspiranti infermieri o socio sanitari europei sono: il carico di lavoro, il contatto con le malattie, i livelli salariali, gli orari lavorativi non regolari, la difficile gestione della vita privata con quella lavorativa. Il 33% degli studenti indica anche come difficoltà la durata del ciclo di studi per lavorare in questi ambiti. (E. C.)
Giornale dei Biologi | Apr 2024 25
Salute
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LA PRIMA IMMUNOTERAPIA
“TIL” PER I TUMORI SOLIDI
Un approccio innovativo approvato negli Stati Uniti per il trattamento dei tumori soldi come il melanoma metastatico
© Nemes Laszlo/shutterstock.com
26 Giornale dei Biologi | Apr 2024 Salute
Lifileucel, la prima immunoterapia con tumor-infiltrating lymphocyte (TIL) per i tumori solidi, in particolare il melanoma metastatico, ha ottenuto l’approvazione negli Stati Uniti. Due sono gli studi che hanno consentito di arrivare all’approvazione. Il primo studio di fase 2, è stato condotto negli Stati Uniti nel 2022 e ha dimostrato come lifileucel consentisse una remissione della malattia nel 33% dei pazienti trattati. Il secondo studio, pubblicato sul “New England Journal of Medicine”, ha presentato i risultati di un trial di fase 3 condotto in Europa e ha coinvolto pazienti con melanoma metastatico che avevano già ricevuto trattamenti precedenti. Questi pazienti sono stati randomizzati per ricevere la TIL o un altro inibitore del checkpoint immunitario. I pazienti trattati con immunoterapia TIL, hanno avuto benefici clinici oggettivamente superiori: oltre il 20% dei pazienti ha raggiunto una remissione completa, con assenza di malattia per un periodo di sette anni, come previsto dallo studio. Per quelli trattati con terapie convenzionali la percentuale si ferma al 7%. Il risultato ottenuto è stato considerato significativo, soprattutto considerando che si tratta di pazienti con melanoma in stadio avanzato, già trattati in precedenza. Lo studio europeo di fase 3 è stato sostenuto interamente da centri ospedalieri olandesi e danesi, senza coinvolgimento di aziende.
L’immunoterapia rappresenta un approccio innovativo per il trattamento del cancro, che mira a potenziare il sistema immunitario per riconoscere e distruggere le cellule tumorali come farebbe con un’infezione. Ci sono due principali approcci: il primo consiste nell’attivare la funzione citotossica dei linfociti T contro le cellule tumorali, l’altro nell’ingegnerizzazione dei linfociti T per aumentare la risposta immunitaria del paziente. Negli ultimi trent’anni, il primo approccio ha portato allo sviluppo degli inibitori dei checkpoint immunitari, farmaci sul mercato da tempo e che hanno dimostrato efficacia significativa in diversi tipi di tumori solidi. La più recente delle due strategie è nota come terapia CAR-T (Terapia a base di linfociti T che esprimono un recettore chimerico per l’antigene, Chimeric Antigen Receptor T cell therapy). Rispetto alla strategia basata sugli inibitori dei checkpoint, la terapia CAR-T si inserisce nell’ambito della medicina personalizzata, poiché il suo protocollo consente di sviluppare il trattamento sulla base delle cellule immunitarie specifiche del paziente. Gli Stati Uniti hanno approvato i primi farmaci basati sulla terapia CAR-T nel 2017, segui-
L’immunoterapia rappresenta un approccio innovativo per il trattamento del cancro, che mira a potenziare il sistema immunitario per riconoscere e distruggere le cellule tumorali come farebbe con un’infezione. Ci sono due principali approcci: il primo consiste nell’attivare la funzione citotossica dei linfociti T contro le cellule tumorali, l’altro nell’ingegnerizzazione dei linfociti T per aumentare la risposta immunitaria del paziente.
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ti dall’approvazione in Europa nel 2018. Questi trattamenti hanno riguardato principalmente pazienti affetti da alcuni tipi di tumori del sangue, come la leucemia linfoblastica nei bambini e il linfoma negli adulti.
L’approvazione di questa nuova terapia, lifileucel, è di estrema importanza poiché apre la strada a un nuovo approccio di immunoterapia cellulare per i tumori non ematologici. Il gruppo che ha sviluppato questa terapia è tra i primi a guardare con ottimismo alle potenzialità dell’immunoterapia basata sui linfociti anti-tumore. Si tratta del team guidato da Steven Rosenberg, del National Cancer Institute di Bethesda, nel Maryland. Questo gruppo è stato pioniere nel dimostrare l’efficacia dei linfociti infiltranti del tumore (TIL) nel ridurre le dimensioni dei tumori nelle persone affette da melanoma metastatico. Studi clinici precedenti condotti da Rosenberg e il suo team hanno mostrato che il trattamento con TIL ha portato a una remissione completa in alcuni pazienti affetti da melanoma per oltre 20 anni. Il tumor-infiltrating lymphocyte, sebbene fosse una delle prime forme di immunoterapia, ha ottenuto l’approvazione per l’uso clinico in ritardo rispetto ad altre terapie. Questo tipo di terapia cellulare è unico perché il prodotto cellulare è personalizzato per ciascun paziente, rappresentando un’innovazione nel campo delle terapie cellulari.
Essi fanno parte della categoria di cellule immunitarie naturali chiamate linfociti T che riconoscono specifici bersagli, chiamati antigeni, presenti sulla superficie delle cellule tumorali. Questo riconoscimento consente loro di infiltrarsi nei tumori solidi e attaccarli. La tecnica approvata consente di inviare direttamente al laboratorio che produce il prodotto un campione di tessuto metastatico prelevato chirurgicamente.
In molti pazienti con melanoma sono presenti i linfociti T che possono riconoscere il tumore stesso. Grazie all’utilizzo di citochine, queste cellule vengono ampliate in laboratorio, fino a raggiungere delle quantità molto importanti. In seguito, vengono re-inoculati nel paziente dopo aver rimosso i linfociti esistenti. Alcuni di questi linfociti possono restare nel corpo a lungo, aiutando il sistema immunitario a riconoscere il cancro qualora dovesse ritornare. È importante sottolineare che l’approvazione riguarda la procedura di questa nuova immunoterapia e non un farmaco specifico per il melanoma. (C. P.).
Giornale dei Biologi | Apr 2024 27 Salute
SOSTANZE CHIMICHE NELL’AMBIENTE DANNOSE
PER IL SISTEMA NERVOSO
Studio americano pubblicato sulla rivista Nature Neuroscience pone l’attenzione sugli oligodendrociti: vulnerabili alle sostanze chimiche
di Carmen Paradiso © Andrii Vodolazhskyi/shutterstock.com 28 Giornale dei Biologi | Apr 2024
Salute
L’esposizione dell’uomo a sostanze chimiche nell’ambiente, soprattutto durante le fasi cruciali dello sviluppo del sistema nervoso centrale nei bambini, genera gravi preoccupazioni per la salute. Elementi come il metilmercurio, il piombo e i policlorobifenili sono associati alla compromissione dello sviluppo cerebrale, contribuendo all’aumento dei disturbi neurologici dello sviluppo come l’autismo e il disturbo da deficit di attenzione/iperattività ADHD (Attention Deficit Hyperactivity Disorder). I fattori ambientali giocano un ruolo cruciale insieme alla genetica nella comparsa di questi disturbi. Secondo uno studio americano pubblicato sulla rivista Nature Neuroscience gli oligodendrociti, fondamentali per la funzione cerebrale attraverso la mielinizzazione e il supporto neuronale, sono particolarmente vulnerabili a queste sostanze chimiche dalla fase fetale all’adolescenza.
Nel corso della ricerca gli organoidi corticali umani sono stati generati da cellule staminali embrionali e iPSC, seguendo rigide linee guida della ricerca sulle cellule staminali. Questi organoidi sono stati sviluppati in un ambiente colturale ottimizzato per promuovere l’espansione e la differenziazione delle cellule precursori degli oligodendrociti (OPC), attraverso l’aggiunta di fattori di crescita e integratori specifici. La valutazione dell’effetto delle sostanze chimiche sugli OPC è stata condotta mediante uno screening chimico utilizzando composti tossici della Toxicity Forecaster della United States Environmental Protection Agency (US EPA), al fine di identificare i composti che interferiscono con lo sviluppo delle OPC. Per valutare l’impatto delle sostanze chimiche sono state utilizzate diverse tecniche, tra cui l’immunocitochimica, l’imaging ad alto contenuto e i test di vitalità cellulare.
Inoltre, lo studio ha esaminato gli effetti di specifici composti quaternari sulla vitalità cellulare, attraverso una serie di configurazioni sperimentali su varie linee cellulari, al fine di comprendere i profili di tossicità di tali composti. Delle 1.823 sostanze chimiche testate alcune hanno mostrato citotossicità per gli OPC in via di sviluppo o hanno ostacolato la loro generazione senza causare danni cellulari evidenti. Anche se la maggior parte delle sostanze chimiche non ha avuto impatti significativi sullo sviluppo o sulla vitalità degli oligodendrociti, 292 sono risultate citotossiche e 47 hanno inibito la generazione di oligodendrociti.
Nel corso della ricerca gli organoidi corticali umani sono stati generati da cellule staminali embrionali e iPSC, seguendo rigide linee guida della ricerca sulle cellule staminali. Questi organoidi sono stati sviluppati in un ambiente colturale ottimizzato per promuovere l’espansione e la differenziazione delle cellule precursori degli oligodendrociti (OPC), attraverso l’aggiunta di fattori di crescita e integratori specifici.
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Successive analisi, fatte utilizzando il test MTS, che valuta l’attività metabolica come indicatore della vitalità cellulare, hanno confermato gli effetti citotossici di alcune sostanze chimiche. Comparando i profili di citotossicità tra diverse tipologie cellulari e utilizzando dati provenienti dall’EPA, è emerso che i composti quaternari mostrano una citotossicità selettiva verso gli oligodendrociti. Questi composti, caratterizzati da un nucleo di azoto circondato da quattro gruppi alchilici, hanno dimostrato una particolare sensibilità tossicologica nello sviluppo degli oligodendrociti. Lo studio ha anche analizzato l’attivazione della risposta integrata allo stress (ISR) come possibile meccanismo alla base della citotossicità indotta dai composti quaternari. Inoltre, è stata valutata la capacità dei composti quaternari di attraversare la barriera emato-encefalica, rivelando la loro presenza nel tessuto cerebrale.
Lo studio è stato esteso ai modelli organoidi neurali regionalizzati ottenuti da cellule staminali pluripotenti umane, confermando la capacità dei composti quaternari di interferire con lo sviluppo degli oligodendrociti umani, con conseguente riduzione della densità di OPC SOX10+ e oligodendrociti. Inoltre, lo screening ha individuato i ritardanti di fiamma organofosfati come agenti inibitori dello sviluppo degli oligodendrociti, evidenziando il loro effetto di arresto sulla progressione degli oligodendrociti da stadi precoci a intermedi e maturi. Questi risultati sono stati successivamente convalidati su modelli in vivo e in vitro dello sviluppo del cervello umano. È emersa una significativa riduzione del numero di oligodendrociti SOX10+ CC1+ esposti al Tris(1,3-dicloro-2-propil) fosfato (TDCIPP), uno dei ritardanti di fiamma organofosfati in esame. Infine, utilizzando i dati del National Health and Nutrition Examination Survey (NHANES), lo studio ha posto l’attenzione sulle associazioni tra l’esposizione ai ritardanti di fiamma organofosfati e gli esiti dello sviluppo neurologico nei bambini.
È emerso che livelli elevati di bis (1,3-dicloro-2-propil) fosfato urinario (BDCIPP), un metabolita indicativo di esposizione a TDCIPP, vengono associati a una maggiore incidenza di bisogni educativi speciali e di disfunzioni motorie grossolane. Da questo si è dedotto che ci possa essere una importante relazione tra l’esposizione ai ritardanti di fiamma organofosfati e gli esiti avversi sullo sviluppo neurologico.
Giornale dei Biologi | Apr 2024 29
Salute
Tra i ricercatori si fa spazio la teoria che l’invecchiamento possa essere meno influenzato da specifici geni dell’invecchiamento e più dalla lunghezza di un gene. Secondo un articolo pubblicato sulla rivista Trends in Genetics, molti dei cambiamenti legati all’invecchiamento potrebbero essere il risultato della diminuzione dell’espressione dei geni lunghi. Questo declino nell’espressione dei geni lunghi con l’avanzare dell’età è stato osservato in una vasta gamma di animali, dai vermi agli esseri umani, in vari tipi di cellule e tessuti umani, e anche in individui affetti da malattie neurodegenerative.
In passato, la ricerca scientifica sull’invecchiamento era incentrata sull’identificazione dei singoli geni responsabili del processo di invecchiamento. Secondo questa teoria l’invecchiamento non è solo determinato dai geni stessi, ma anche dalle condizioni ambientali e dallo stile di vita. Il concetto che fattori esterni come il fumo o la restrizione calorica possano influenzare direttamente l’attività genetica e quindi l’invecchiamento è significativa. Ad esempio, il fumo è noto per causare danni al DNA e accelerare l’invecchiamento cellulare, mentre la restrizione calorica è stata associata a una maggiore longevità e a una riduzione dei danni ossidativi. Questa prospettiva apre la strada a nuove strategie per rallentare l’invecchiamento e promuovere la salute a lungo termine. Quattro sono stati i gruppi di ricerca (Spagna, Paesi Bassi, Germania e Stati Uniti) che, seppur utilizzando approcci metodologici differenti, sono giunti alle stesse conclusioni.
L’invecchiamento è associato a una serie di cambiamenti a livello molecolare, cellulare e degli organi, dalla produzione proteica alterata al metabolismo cellulare subottimale fino all’architettura tissutale compromessa. Gli studiosi ritengono che questi cambiamenti abbiano origine da
danni al DNA causati dall’esposizione cumulativa ad agenti dannosi come le radiazioni UV o le specie reattive dell’ossigeno generate dal nostro stesso metabolismo. Nonostante molte ricerche sull’invecchiamento si siano concentrate su geni specifici che potrebbero accelerare o rallentare il processo, non è emerso alcun modello chiaro riguardo ai geni particolarmente suscettibili all’invecchiamento in termini di funzione genetica. È
LA INFLUENZA
L’invecchiamento non
Salute 30 Giornale dei Biologi | Apr 2024
emerso che la suscettibilità sia legata alla lunghezza dei geni. Secondo il coautore Ander Izeta del Biogipuzkoa Health Research Institute e dell’Ospedale universitario di Donostia, per molto tempo la ricerca sull’invecchiamento ha concentrato l’attenzione sui geni correlati, ma lo studio suggerisce che potrebbe essere più un processo casuale, influenzato dalla lunghezza dei geni piuttosto che dalla loro specificità o funzione genetica.
Essenzialmente, il fattore determinante è casuale, i geni
Gli studiosi ritengono che questi i cambiamenti a livello molecolare, cellulare e degli organi, dalla produzione proteica alterata al metabolismo cellulare subottimale fino all’architettura tissutale compromessa, abbiano origine da danni al DNA causati dall’esposizione cumulativa ad agenti dannosi come le radiazioni UV o le specie reattive dell’ossigeno generate dal nostro stesso metabolismo.
LA LUNGHEZZA DEI GENI
non è solo genetico: la diminuzione dell’espressione dei geni lunghi potrebbe essere la chiave per comprendere il processo
più lunghi semplicemente offrono più opportunità per essere danneggiati. Gli studiosi hanno fatto un parallelo con un viaggio su strada: più lungo è il tragitto, maggiori sono le probabilità di incorrere in imprevisti. Inoltre, poiché certi tipi di cellule tendono a esprimere geni più estesi rispetto ad altri, queste stesse cellule sono più inclini ad accumulare danni al DNA con l’avanzare dell’età. Le cellule stazionarie (o che si replicano raramente) sembrano essere più vulnerabili rispetto a quelle ad alto turnover, poiché il tempo extra che queste ultime hanno a disposizione favorisce l’accumulo di danni al DNA, rendendole dipendenti dai meccanismi di riparazione del DNA. Le cellule nervose, notoriamente caratterizzate dalla presenza di geni estesi e dalla scarsa o nulla capacità di divisione, risultano particolarmente sensibili a questo fenomeno, evidenziando il legame tra invecchiamento e degenerazione neurale. Inoltre, molti dei geni coinvolti nella prevenzione dell’aggregazione proteica nella malattia di Alzheimer sono particolarmente lunghi. Anche i pazienti pediatrici, trattati con chemioterapia, presentano, in seguito, un invecchiamento precoce e una degenerazione neurale Gli autori evidenziano che i danni ai geni lunghi potrebbero spiegare gran parte delle caratteristiche dell’invecchiamento poiché sono correlati a noti acceleratori dell’invecchiamento e possono essere attenuati con terapie anti-invecchiamento conosciute, come la restrizione calorica, che ha dimostrato di limitare i danni al DNA. Secondo Thomas Stoeger, coautore della Northwestern University, molteplici fattori, noti per influenzare l’invecchiamento, sembrano essere correlati a questa regolazione dipendente dalla lunghezza, tra cui diversi tipi di radiazioni, fumo, consumo di alcol, dieta e stress ossidativo. Tuttavia, sebbene l’associazione tra il declino dell’espressione dei geni lunghi e l’invecchiamento sia robusta, rimangono ancora da dimostrare prove causali. Questi risultati possono aprire la strada a nuove strategie di trattamento per contrastare l’invecchiamento e le malattie correlate e preservare l’integrità dei geni nel corso del tempo. (C. P.).
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Salute Giornale dei Biologi | Apr 2024 31
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INFLUENZA L’INVECCHIAMENTO
La nostra reazione alla paura è un meccanismo fondamentale per la sopravvivenza, che ci avvisa di stare attenti e di evitare situazioni pericolose. Le persone che hanno vissuto si- tuazioni di stress estremo o potenzialmente mortale possono sviluppare
una sensibilità eccessiva alla paura, percependola anche in situazioni dove non vi è una minaccia reale ma semplicemente un riemergere di sensazioni provate. Questa tendenza alla generalizzazione della paura è dannosa per l’organismo e può causare danni psicologici, come il disturbo da stress post-traumatico (PTSD). I processi neurobiologici che scatenano sensazioni di paura senza una minaccia effettiva non sono ancora del tutto chiari. Tuttavia, i ricercatori dell’Università della California a San Diego hanno identificato le modifiche nella biochimica cerebrale e hanno tracciato le vie nervose coinvolte nelle esperienze diffuse di paura. Hanno individuato i neurotrasmettitori responsabili della paura generalizzata indotta dallo stress, queste molecole di dimensioni ridotte agiscono come messaggeri chimici tra i neuroni per lo scambio di informazioni.
I risultati di questa ricerca, guidata da Hui-Quan Li, sono stati pubblicati su Science in un articolo intitolato “La paura generalizzata dopo lo stress acuto è causata dal cambiamento nell’identità del co-trasmettitore neuronale”. I ricercatori hanno scoperto che l’eccessiva generalizzazione della paura a situazioni innocue è una caratteristica comune dei disturbi d’ansia derivanti da stress acuto, ma i meccanismi sottostanti a questa generalizzazione sono ancora poco compresi. Nel loro studio, hanno evidenziato che la paura generalizzata è causata da un cambiamento nel tipo di tra-
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Salute
smettitore utilizzato dai neuroni serotoninergici nelle ali laterali del rafe dorsale, passando dal glutammato all’acido γ-aminobutirrico (GABA). Hanno notato un cambiamento simile nell’identità del trasmettitore nel cervello post-mortem di individui affetti da disturbo da stress post-traumatico (PTSD). Inoltre, hanno scoperto che bloccare questo cambiamento nel trasmettitore impedisce di sviluppare la paura generalizzata. Nel loro studio, l’ex scienziato assistente di progetto presso l’UC San Diego, Hui-quan Li, PhD presso Neurocrine Biosciences, insieme a Nick Spitzer, PhD della Scuola di Scienze Biologiche, e i loro collaboratori, hanno condotto una ricerca approfondita sui neurotrasmettitori. Questi neurotrasmettitori sono i messaggeri chimici che facilitano la comunicazione tra i neuroni nel cervello e sono alla base della paura generalizzata indotta dallo stress. Gli studiosi hanno focalizzato la loro attenzione nell’area del cervello nota come rafe dorsale. Un’area che, nella risposta agli stimoli di stress, ha un ruolo fondamentale. Hanno scoperto che lo stress acuto provoca un cambiamento nei segnali chimici trasmessi dai neuroni in questa regione, passando da neurotrasmettitori eccitatori come il glutammato a quelli inibitori come il GABA (acido gamma-amminobutirrico). Questo cambiamento porta a risposte di paura generalizzata. “Le nostre scoperte forniscono preziose intuizioni sui meccanismi sottostanti alla generalizzazione della paura”, ha dichiarato Spitzer. Comprendere questi processi a un livello molecolare così dettagliato - capire cosa succede e dove succede - ci consente di intervenire in
“Le nostre scoperte forniscono preziose intuizioni sui meccanismi sottostanti alla generalizzazione della paura”, ha dichiarato Spitzer. Comprendere questi processi a un livello molecolare così dettagliato - capire cosa succede e dove succede - ci consente di intervenire in modo specifico sui meccanismi che alimentano i disturbi correlati”.
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modo specifico sui meccanismi che alimentano i disturbi correlati.”
Successivamente, i ricercatori hanno esaminato il cervello umano post-mortem di persone affette da disturbo da stress post-traumatico, confermando la presenza di un simile cambiamento nel neurotrasmettitore glutammato-GABA. Per bloccare la produzione di paura generalizzata, i ricercatori hanno introdotto un virus adeno-associato (AAV) prima dell’esperienza di stress acuto. Questo virus è stato progettato per sopprimere il gene responsabile della sintesi del GABA, impedendo così di sviluppare la paura generalizzata.
Inoltre, il trattamento con l’antidepressivo fluoxetina (commercializzato come Prozac) immediatamente dopo un evento stressante ha prevenuto il cambiamento del neurotrasmettitore e l’insorgenza della paura generalizzata. I ricercatori non solo hanno individuato la localizzazione dei neuroni che modificavano il loro trasmettitore, ma hanno anche evidenziato le connessioni di tali neuroni con l’amigdala centrale e l’ipotalamo laterale, aree cerebrali precedentemente associate alla generazione di altre risposte alla paura.
“Ora che comprendiamo il nocciolo del meccanismo che scatena la paura indotta dallo stress e i circuiti neurali che la regolano,” ha dichiarato Spitzer, “possiamo intervenire in modo mirato e specifico.” Questo studio aprirà la strada sia a nuovi trattamenti nella lotta alle paure immotivate, stress cronico e attacchi di panico e sia a forme di prevenzione per questi disturbi che continuano ad avere un impatto significativo nella vita delle persone. (C. P.).
I MECCANISMI ALL’ORIGINE DELLA
PAURA GENERALIZZATA POST-STRESS
Ricerca dell’UC San Diego rivela cambiamenti nella biochimica cerebrale e nei circuiti neurali legati alla paura e al disturbo da stress post-traumatico
Giornale dei Biologi | Apr 2024 33
Salute
Il dibattito sui fotogrammi al secondo (FPS o framerate) è sempre stato acceso tra gli appassionati. Adesso nuovi elementi si stanno aggiungendo all’analisi che renderebbero i grandi campioni sportivi diversi da tutti gli altri. Quanto meno negli sport dove riflessi e velocità la fanno da padrone. Certo, non tutti coloro che vantano questa particolare capacità rispetto agli altri riescono a valorizzarla in maniera così evidente. Tutto dipenderebbe quindi dalla percezione degli input visivi, avvertiti maggiormente da alcuni piuttosto che da altri.
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Qual è il segreto sportivo di molti fuoriclasse del mondo? La domanda è lecita e la scienza ci viene incontro, provando a indicare una possibile traccia. La risposta sarebbe nella vista super-veloce: alcune persone, infatti, avrebbero la capacità di percepire più input visivi al secondo rispetto ad altre, risultando più efficaci nelle performance che richiedono velocità come in determinate discipline sportive, ma anche ad esempio nell’utilizzo dei videogiochi.
A supportare questa teoria per certi versi singolare e che - inutile nasconderlo - fa volgere il pensiero ai supereroi dei fumetti è stato uno studio del Trinity College di Dublino pubblicato sulla rivista Plos One. In sostanza percepiamo il mondo che ci circonda attraverso la nostra vista con una velocità definita risoluzione temporale. La possiamo paragonare alla velocità di refresh con la quale si aggiorna lo schermo di un computer. I ricercatori dell’Istituto di neuroscienze e del dipartimento di zoologia del Trinity College hanno così cercato di capire quanto questa capacità varia da persona in persona e se a livello individuale può subire delle oscillazioni.
Per comprenderlo hanno sottoposto un’ottantina di volontari a un test di percezione visiva che determina la frequenza massima alla quale una persona riesce a percepire lo sfarfallio di una luce intermittente: se la sorgente luminosa lampeggia a una frequenza superiore rispetto alla soglia dell’individuo, allora la luce verrà percepita come continua. Il risultato? Non è lo stesso per tutti. Alcuni, infatti, hanno iniziato a vedere la luce fissa già a una frequenza di 35 lampeggi al secondo, mentre altre persone riescono ancora a percepire lo sfarfallio quando la luce lampeggia più di 60 volte al secondo.
Clinton Haarlem, uno degli autori dello studio, ha spiegato: «Abbiamo anche misurato la risoluzione temporale in più occasioni negli stessi partecipanti e abbiamo scoperto che, anche se c’è una variabilità significativa tra le persone, nei singoli individui il tratto sembra essere abbastanza stabile nel tempo». La risoluzione temporale visiva è piuttosto stabile da un giorno all’altro, sebbene le analisi condotte abbiano dimostrato che ci possa essere una fluttuazione maggiore nelle femmine rispetto ai maschi. Parliamo comunque di una flut-
tuazione leggera. «Non sappiamo ancora come questa variazione nella risoluzione temporale visiva influenzi la nostra vita quotidiana, ma - ha aggiunto Haarlem - crediamo che le differenze individuali nella velocità di percezione possano diventare evidenti in situazioni ad alta velocità in cui è necessario localizzare o tracciare oggetti in movimento, come negli sport con la palla, o in situazioni in cui le scene visive cambiano rapidamente, ad esempio negli sport elettronici. Ciò suggerisce che alcune persone potrebbero avere un vantaggio rispetto ad altre prima ancora di aver preso in mano una racchetta da tennis per colpire la pallina o prima di aver preso un controller per tuffarsi in qualche mondo fantastico online».
Il dibattito sui fotogrammi al secondo (FPS o framerate) è sempre stato acceso tra gli appassionati. Adesso nuovi elementi si stanno aggiungendo all’analisi che renderebbero i grandi campioni sportivi diversi da tutti gli altri. Quanto meno negli sport dove riflessi e velocità la fanno da padrone. Certo, non tutti coloro che vantano questa particolare capacità rispetto agli altri riescono a valorizzarla in maniera così evidente. Tutto dipenderebbe quindi dalla percezione degli input visivi, avvertiti maggiormente da alcuni piuttosto che da altri.
E questo discorso è valido anche per gli animali: ce ne sono alcuni che vedono a rallentatore e altri in modo accelerato. Ciò dipende dalla percezione dello scorrere del tempo che cambia a seconda delle esigenze della specie per catturare le prede o scappare. Le specie con la vista più veloce (e dunque la percezione temporale più rallentata) sono libellule e mosconi, che vedono fino a 300 fotogrammi al secondo, percependo ogni dettaglio di ciò che accade. Tra i vertebrati, quello con l’occhio più veloce è la balia nera, un piccolo uccello bianco e nero che vede 146 fotogrammi al secondo. I dati sono stati raccolti analizzando 138 specie di animali diversi con risultati pubblicati sulla rivista Focus con differenze marcate tra chi vive in ambienti terrestri e chi invece in quelli marini. (D. E.).
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Giornale dei Biologi | Apr 2024 35 Salute
SCIENZA
IL
DI ALCUNI GRANDI
LA VISTA SUPER VELOCE
La
arriva da uno studio
include anche
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LA
RIVELA
SEGRETO
SPORTIVI
Perché alcuni campioni dello sport sono così forti?
risposta
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Il test Hrd è capace di misurare l’instabilità genomica del tumore ovarico, una delle principali caratteristiche biologiche di questo tumore, permettendo così di adattare le cure a ogni singola paziente. Rappresenta un’evoluzione del test per individuare la mutazione dei geni Brca in questo tipo di tumore ed è rilevante nella scelta della terapia
© Saiful52/shutterstock.com
Ogni anno in Italia sono diagnosticati 4.800 nuovi casi di tumore alle ovaie. Il problema principale di questa neoplasia è nella diagnosi, che nella maggior parte dei casi - purtroppo - avviene in maniera tardiva, considerata l’aspecificità dei sintomi. La buona notizia, invece, deriva dall’indice di sopravvivenza che sta migliorando sensibilmente, soprattutto grazie alle cure innovative e ai nuovi test molecolari. L’Ovarian Cancer Commitment, coalizione che riunisce clinici, Istituzioni e associazioni pazienti, sta portando avanti una campagna per incentivare l’esecuzione di test Hrd, i quali permettono di selezionare un tipo di terapia maggiormente efficace.
Si tratta di analisi complesse, che non tutti i tipi di laboratori sul territorio nazionale sono in grado di effettuare in attesa dell’entrata in vigore dei nuovi Lea (Livelli essenziali di assistenza). Per sensibilizzare l’opinione pubblica sull’importanza di questo test, oltre che per fare in modo che l’attenzione su questa neoplasia aumenti ancora, si è tenuto un incontro tra i più grandi esperti del settore che per l’occasione hanno presentato la nuova campagna informativa dal titolo “Hai due minuti?”. Sandro Pignata, direttore Oncologia Medica, Dipartimento di Uro-Ginecologia dell’Istituto Nazionale Tumori Pascale di Napoli, ha spiegato gli elementi che caratterizzano il carcinoma ovarico e i motivi per cui il test in questione può rivelarsi particolarmente utile: «Il carcinoma ovarico si caratterizza per notevoli deficit genetici che vanno ad alterare i meccanismi di riparazione dei danni del Dna.
Il test Hrd è capace di misurare l’instabilità genomica del tumore ovarico, una delle principali caratteristiche biologiche di questo tumore, permettendo così di adattare le cure a ogni singola paziente. Rappresenta un’evoluzione del test per individuare la mutazione dei geni Brca in questo tipo di tumore ed è rilevante nella scelta della terapia con i Parp-inibitori, la nuova classe di farmaci che può contrastare le neoplasie che presentano un difetto in questi processi molecolari». E qui entra in gioco la disponibilità dei laboratori: «L’esecuzione del test Hrd richiede però piattaforme tecnologiche e software attualmente presenti solo in pochi centri altamente
specializzati. Inoltre, al momento, il processo di tariffazione e rimborsabilità del test non è sempre chiaro ed omogeneo in tutte le Regioni. È auspicabile una centralizzazione della governance dei laboratori che svolgono queste analisi molto complesse, basate sulla tecnologia Ngs (Next Generation Sequencing).
Solo così è possibile garantire la massima qualità di erogazione degli esami e il contenimento dei costi di esecuzione». In Italia la percentuale di diagnosi tardiva del tumore ovarico è pari all’80%.
Una soglia preoccupante che rende necessario aumentare la consapevolezza tra le donne, attraverso opportune campagne informative relativamente a una patologia di cui, forse, si parla ancora poco. Allo stesso tempo, inoltre, è necessario favorire e velocizzare, per tutte le pazienti, l’accesso ai test per biomarcatori predittivi e alle cure innovative contro la neoplasia ginecologica che presenta il più alto tasso di mortalità.
L’appello è stato lanciato dall’Ovarian Cancer Commitment (OCC) attraverso l’iniziativa europea promossa da AstraZeneca insieme alla Società Europea di Oncologia Ginecologica (ESGO) e alla Rete Europea dei Gruppi di Advocacy sul Cancro Ginecologico (ENGAGe). Significativo è il monito lanciato da Nicoletta Colombo, Direttore di Ginecologia oncologica medica dell’IEO e professore associato di Ostetricia e Ginecologia presso l’Università di Milano-Bicocca: «La patologia provoca ogni anno più di 3.200 decessi. Questo è dovuto a una sintomatologia aspecifica e tardiva e dalla totale mancanza di programmi di screening. Nonostante le difficoltà nell’ottenere diagnosi precoci, non sono mancati negli ultimi anni importanti innovazioni terapeutiche. In particolare, l’oncologia di precisione sta portando grandi benefici in termini di sopravvivenza».
Considerazioni alle quali si aggiungono quelle di Anna Fagotti, ordinario di Ostetricia e Ginecologia presso l’Università
36 Giornale dei Biologi | Apr 2024 Salute
TUMORE ALL’OVAIO 4.800 NUOVI CASI L’ANNO MIGLIORI CURE
CON UN TEST
Per via dell’aspecificità dei sintomi la diagnosi resta il problema principale di questa neoplasia Ma grazie a nuovi tipi di esami e cure mirate la sopravvivenza migliora
di Domenico Esposito
Cattolica del Sacro Cuore, Direttore Unità Operativa Fondazione Policlinico Universitario Gemelli e presidente ESGO: «Tutte le pazienti hanno il diritto di essere assistite in centri oncologici specializzati nel trattare una malattia così complessa. Bisogna adottare i criteri e gli standard di selezione dei centri di riferimento all’interno delle reti oncologiche regionali in tempi brevi. E sull’intero territorio nazionale occorrono linee guida omogenee che rispettino alcuni criteri e standard essenziali - in tutto dieci - che sono stati stabiliti di recente dall’European Society of Gynaecological Oncology». Il lavoro da fare, dunque, è ancora enorme, anche per quanto riguarda i centri specializzati, tra i quali soltanto cinque seguono i criteri ESGO. E complessivamente solo il 27% delle pazienti vi è indirizzata. Troppo poco.
Giornale dei Biologi | Apr 2024 37 Salute
ITALIA: UN BIMBO SU 77
SOFFRE
DI AUTISMO
I disturbi si manifestano tra i 14 e 28 mesi di vita: i maschi sono colpiti 4,4 volte in più rispetto alle femmine
In Italia un bambino su 77 nella fascia d’età compresa fra 7 e 9 anni presenta un disturbo dello spettro autistico. Sulle cause dell’autismo, che si palesa, in genere, nei primi anni di vita si ancora poco, nonostante i numerosi studi finalizzati a far luce su questo disturbo dello sviluppo neurologico dalle diverse sfumature e da livelli di gravità che variano da persona a persona.
Già, perché può manifestarsi attraverso comportamenti ripetitivi, difficoltà nelle interazioni sociali e anche nella comunicazione tra chi non riesce ad articolare bene le paro -
le e chi, invece, non parla affatto. Lo scorso 2 aprile si è celebrata la Giornata mondiale della consapevolezza sull’autismo, che fu istituita nel 2007 dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite: i monumenti di numerose città si sono illuminati di blu per ricordare a tutti che c’è ancora tanto da fare, soprattutto in termini di diagnosi precoce.
Per quanto riguarda l’Italia, secondo le stime diffuse dal Ministero della Salute sulla base dei dati dell’Osservatorio per il monitoraggio dei disturbi dello spettro autistico coordinato dal ministero con l’Istitu -
to Superiore di Sanità i maschi sono 4,4 volte più colpiti rispetto alle femmine. E, a testimonianza di quanto sia diffuso l’autismo anche nel nostro Paese, un altro dato allarmante: sono circa 500mila le famiglie in cui si registra la presenza di almeno una persona con disturbi dello spettro autistico. Allargando il discorso all’Europa, la prevalenza del disturbo varia da 0,63% in Danimarca e Svezia, a 1,16% nel Regno Unito.
E negli Stati Uniti la crescita dei casi riscontrati è significativa negli ultimi 20 anni: se nel 2020 la media era di un bambino su 150, nel 2020 si è passati a uno su 36. Sulle cause dell’autismo si discute da tempo, tuttavia non sono ancora individuate con certezza. A tal proposito, l’ipotesi più accreditata è che sia il risultato di una combinazione complessa di fattori genetici e ambientali. La ricerca non si ferma: l’obiettivo è provare a cercare di comprendere meglio la complessità di questo disturbo.
E in questo contesto diventa fondamentale riconoscere in tempo i disturbi, che di solito si manifestano già nell’età compresa tra 14 e 28 mesi. «L’individuazione dei segni di rischio, la diagnosi precoce e l’intervento tempestivo sono azioni strategiche per il miglioramento della prognosi e della qualità della vita dei bambini con ASD (dall’inglese Autism Spectrum Disorders) e dei loro caregiver - ha dichiarato Elisa Fazzi, presidente della Società Italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza, (SINPIA) e direttore della U.O. Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza ASST Spedali Civili e Università di Brescia -. Siamo migliorati in termini di diagnosi precoce e soprattutto nell’individuazione dei soggetti a rischio anche prima dei due anni, ma è importante è che i servizi di Neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza sull’intero territorio nazionale abbiano a disposizione tutte le risorse necessarie per realizzare l’intervento precoce». (D. E.).
38 Giornale dei Biologi | Apr 2024
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Centoventimila italiani soffrono di disturbo bipolare, patologia psichiatrica che riguarda tra l’1 e il 2% della popolazione. Sono invece 80 milioni i casi nel mondo, a testimonianza del fatto che questo disturbo, spesso scambiato per depressione, è sempre più diffuso ma soprattutto difficile da individuare. Quando si parla di disturbo bipolare si fa riferimento a una condizione mentale caratterizzata da oscillazioni estreme dell’umore. Per fare un esempio è un po’ come vivere sulle montagne russe. Sì, perché la persona che ne soffre è capace di passare dall’euforia a periodi di profonda tristezza o depressione.
Un’altalena perenne di stati d’animo contrastanti che inevitabilmente finisce per influenzare la qualità della vita di chi ne è affetto. L’Organizzazione Mondiale della Sanità si sofferma a descrivere i tratti di questo tipo di disturbo mentale. Durante la fase depressiva, la persona sperimenta tristezza, irritabilità, perdita di piacere o interesse per le attività per gran parte della giornata. I sintomi maniacali, invece, possono includere euforia, aumento della loquacità, pensieri accelerati, aumento dell’autostima, diminuzione del bisogno di sonno e comportamento impulsivo e sconsiderato e talvolta anche deliri o allucinazioni. Questi due poli estremi si alternano in modo imprevedibile e possono durare da giorni a settimane.
C’è poi un altro aspetto da tenere in considerazione: l’Oms, infatti, ricorda come i soggetti con disturbo bipolare corrano un rischio maggiore di suicidio. Lo scorso 30 marzo si è celebrato il World Bipolar Day, la Giornata Mondiale del disturbo bipolare ed è stata l’occasione per accendere i riflettori su una patologia che raramente è diagnosticata in tempo. Lo ha evidenziato la Società Italiana di Psichiatria (Sip) attraverso un accorato appello a medici e specialisti affinché «non cadano
DISTURBO BIPOLARE:
IN 120MILA NE SOFFRONO
Ecco la stima dei casi in Italia. Ma troppo spesso è scambiato per depressione: l’appello degli esperti ai medici
nel tranello di diagnosi frettolose e sbagliate». Già, senza accertamenti accurati il più delle volte il disturbo bipolare viene superficialmente etichettato come depressione. «E un disturbo bipolare curato male, come una normale depressione, può avere conseguenze importanti sulla vita dei pazienti. È bene ascoltarli e fare un’accurata anamnesi» puntualizza la presidente Sip Emi Bondi. Che continua: «Si tratta di una malattia seria che può sfociare in comportamenti spregiudicati e pericolosi per sé stessi e gli altri». L’altalena di emozioni che contraddistingue il disturbo bipolare
lo rende di non facile individuazione anche per lo stesso paziente. «Perché l’episodio depressivo è riconoscibile, mentre la fase di risalita è vissuta in maniera positiva - spiega Bondi -. Può capitare che ci sia scarsa consapevolezza, ma anche una scarsa accettazione nel chiedere aiuto e curarsi». Esistono diverse opzioni per fronteggiare il disturbo che includono la combinazione di terapia farmacologica, psicologica e supporto sociale. In genere si ricorre a farmaci utilizzati per stabilizzare l’umore e prevenire sia gli episodi maniacali sia quelli depressivi. (D. E.).
Giornale dei Biologi | Apr 2024 39
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40 Giornale dei Biologi | Apr 2024 Salute © nblx/shutterstock.com
DAI SEMI DELLE FRAGOLE I COMPONENTI BIOATTIVI PER LA CURA DELLA PELLE
Alcuni articoli recenti hanno prestato molta attenzione alle potenzialità degli scarti: vinacce di bacche, scarti rimasti durante la produzione del distillato e semi, che potrebbe essere indice di potenziale significativo per cosmetici e farmaci
di Carla Cimmino
L’interesse per la valorizzazione dei sottoprodotti agroalimentari che vengono generati durante la lavorazione della frutta è sempre più diffuso. In linea alla tendenza globale: rifiuti zero, vantaggi economici e ambientali, l’utilizzo di materiali considerati rifiuti può portare alla creazione di nuovi prodotti o additivi alimentari/cosmetici con elevati valori pro-salute.
Le fragole (Fragaria × ananassa Duch.) sono bacche stagionali, note per il loro gusto e valori nutrizionali, coltivate in tutto il mondo, contengono vitamina C fenoli tra cui antociani, flavonoidi ed ellagitannini, utilizzate anche per la produzione di bevande, succhi e marmellate. Alcuni articoli recenti hanno prestato molta attenzione alle potenzialità degli scarti: vinacce di bacche, scarti rimasti durante la produzione del distillato e semi, che potrebbe essere indice di potenziale significativo per cosmetici e farmaci.
Per isolare in modo esaustivo i componenti e valutare il contenuto totale di semi, si è utilizzato un processo di estrazione in tre fasi: 1) la prima analisi cromatografica ha rilevato la presenza del contenuto totale nei semi decomposti; 2) la seconda analisi cromatografica ha rilevato la presenza e il
Giornale dei Biologi | Apr 2024 41
Salute
Dallo studio è emerso che i semi di fragola sgrassati sono un ricco serbatoio di composti fenolici; il tiliroside, il kaempferol glucoside e l’acido ellagico essendo i componenti più abbondanti del materiale. La frazione isolata ricca di fenoli ha dimostrato: 1) proprietà antiossidanti significative, come evidenziato dalla sua capacità di eliminare i radicali liberi nei fibroblasti della pelle umana; 2) attività citoprotettiva in condizioni di stress ossidativo.
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contenuto totale di semi sgrassati; 3) la terza analisi cromatografica ha rilevato la presenza di due costituenti fenolici predominanti nell’estratto con tempi di ritenzione di circa 18 e 26,3 min, entrambi i componenti hanno mostrato un forte assorbimento nel 200–400 nm. Confrontando i dati della spettrometria di massa con i componenti identificati, sono stati identificati negli estratti: acido ellagico e kaempferolo 3-O-cumaroil-glucoside (tiliroside), procianidina, kaempferol glucoside, quercetina glucoside, pelargonidin-3-(malonil)-glucoside, esoside catechina, insieme a derivati di acido ellagico, tra cui acido metilico. Il contenuto dei principali composti identificati nei semi di fragola sgrassati è risultato conforme ai valori documentati nella letteratura esistente., Grzelak-Błaszczyk et al., hanno studiato materiali derivati da tre stagioni di coltivazione, riportando un contenuto di acido ellagico libero compreso tra 43,8 e 58,2 mg/100 g di materiale secco, antociani da 9,8 a 15,2 mg/100 g, e glicosidi di kaempferolo da 24,4 a 28 mg/100 g.; il tiliroside, flavonoide prezioso, infatti dati di letteratura hanno evidenziato che questo polifenolo ha potenti proprietà antinfiammatorie, epatoprotettive, anti-iperglicemiche e antidiabetiche. La fonte più ricca di tiliroside è rappresentata dai fiori di Tilia cordata, o le parti aeree di Potentilla spp. quando la sua quantità supera 1 mg/g.
Da una serie di valutazioni l’effetto benefico dell’estratto sui fibroblasti cutanei è probabilmente da attribuire al presenza di tiliroside, 3-glucoside di kaempferol e acido ellagico, secondo quanto riportato da numerosi documenti scientifici, i quali descrivono nel dettaglio le loro attività biologiche, anche la forte attività antiossidante del tiliroside (valutata utilizzando vari test colorimetrici, tra cui FRAP, DPPH•, ABTS•+ e Fe2+ saggi chelanti), è stata precedentemente riportata nella letteratura. Li et al., hanno infatti parlato del suo effetto citoprotettivo contro il danno indotto da OH• nella cellula staminale mesenchimale e hanno scoperto, che l’attività è legata alla frazione p-cumaronilica nella struttura molecolare. Studi in vivo hanno dimostrato che il tiliroside presenta un effetto protettivo contro l’infiammazione
della pelle all’esposizione ai raggi UV; agisce anche come un inibitore della tirosinasi, che può essere utile nei preparati sbiancanti per la pelle. Takeda et al. invece hanno scoperto che il tiliroside stimola la produzione di ceramidi, i componenti dello strato più esterno dell’epidermide, essenziali per mantenere l’idratazione della pelle, di conseguenza, favorisce la ritenzione dell’umidità e migliora la funzione di barriera cutanea. L’acido ellagico appartiene a un potente agente antiossidante, infatti Baek et al. hanno riportato i suoi effetti protettivi contro lo stress ossidativo indotto dai raggi UV-B nelle cellule della pelle, associati al ripristino dei livelli di glutatione (GSH) e superossido dismutasi (SOD), che sono stati ridotti nei fibroblasti sottoposti a irradiazione UV-B; l’acido ellagico inibisce alcune metalloproteinasi, tra cui ialuronidasi, elastasi, collagenasi, essendo responsabili della rottura della matrice extracellulare e della perdita di compattezza della pelle ed esercita un effetto fotoprotettivo. Il kaempferol 3-glucoside ha una significativa attività di scavengingactivity del ROS, proteggendo la membrana cellulare dallo stress ossidativo.
Dallo studio è emerso che i semi di fragola sgrassati sono un ricco serbatoio di composti fenolici; il tiliroside, il kaempferol glucoside e l’acido ellagico essendo i componenti più abbondanti del materiale. La frazione isolata ricca di fenoli ha dimostrato: 1) proprietà antiossidanti significative, come evidenziato dalla sua capacità di eliminare i radicali liberi nei fibroblasti della pelle umana; 2) attività citoprotettiva in condizioni di stress ossidativo. Quindi è possibile asserire che i semi di fragole sgrassati, possono essere utilizzati come materiale prezioso, al fine di ottenere un additivo benefico, per i prodotti destinati alla cura della pelle. Tratto da “Recovery of Bioactive Components from Strawberry Seeds Residues Post Oil Extraction and Their Cosmetic Potential” di WeronikaWójciak, MagdalenaZ uk,IreneuszSowa,BarbaraMazurek, KatarzynaTys kiewicz and Magdalena Wójciak.
42 Giornale dei Biologi | Apr 2024
Salute
Per i biologi iscritti all’albo - Quota agevolata a 140 euro per i primi 60 iscritti; - Consulenza e informazione online per i due mesi successivi al corso; - 22 crediti Ecm.
Per i non iscritti all’albo dei biologi, il costo di partecipazione sarà di 420 euro. Tutti i partecipanti riceveranno un attestato di partecipazione italo-belga.
Giornale dei Biologi | Apr 2024 43 Corso Fad in
www.fnob.it
PROGETTAZIONE EUROPEA
22 Ecm per i biologi
L’interazione stress-caduta può essere classificata in tre livelli:
Livello 1: stress acuto o cronico come induttore primario del telogen effluvium.
Livello 2: stress acuto o cronico come fattore aggravante nei disturbi della caduta dei capelli la cui patogenesi primaria è di natura endocrina, tossica, metabolica o immunologica (ad esempio, alopecia androgenetica, alopecia areata).
Livello 3: Lo stress come problema secondario in risposta a una precedente perdita di capelli.
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Lo stress e i disturbi del sonno influiscono sulla salute umana e contribuiscono a numerose comorbilità, tra cui la perdita dei capelli come l’effluvium o l’alopecia androgenetica (AGA). È stato dimostrato infatti che i segnali neurali modulano la crescita dei capelli, di particolare interesse sono gli ormoni steroidei cortisone e cortisolo, che vengono rilasciati in risposta allo stress. La melatonina invece è un ormone cronobiotico che agisce da sincronizzatore stabilizzando i ritmi corporei e la sua presenza è importante nella gestione dell’insonnia, ma anche della depressione, dell’epilessia, del morbo di Alzheimer, del diabete, dell’obesità, dei disturbi immunitari e dell’alopecia.
Numerosi studi, sia in vitro che in vivo, hanno dimostrato che alcune sostanze che mediano lo stress in modo opposto alla melatonina, come la sostanza P, l’ormone adrenocorticotropo, la prolattina e il cortisolo inibiscono effettivamente la crescita dei capelli. Poiché vi sono evidenze dell’effetto diretto del cortisolo sul follicolo pilifero, è possibile identificare anche una correlazione diretta tra cortisolo alto e la caduta dei capelli. Bassi livelli di cortisolo invece, rallentano la degradazione dello ialuronato e dei proteoglicani che svolgono un ruolo importante sulla normale funzione e sul meccanismo del ciclo del follicolo pilifero. In questo modo, l’eccesso di cortisolo è in grado di esercitare un effetto dirompente sul meccanismo finemente regolato del follicolo pilifero, portando allo sviluppo di disturbi della crescita dei capelli come l’alopecia androgenetica, l’alopecia areata e il telogen effluvium.
Solo poche molecole clinicamente disponibili sono note per essere efficaci nel contrastare lo stress e i disturbi del sonno a fini tricologici, e vi sono in aggiunta diversi effetti collaterali da gestire. Per tali motivi la soluzione potrebbe venirci proprio dalle piante officinali con i loro preziosi costituenti attivi. L’alga spirulina o i semi di sesamo, ad esempio, sono ricchi di triptofano, un aminoacido alla base della sintesi di serotonina e melatonina, e per questo utile nel trattamento della depressione e dei disturbi del sonno associati alla caduta dei capelli. Tra gli aminoacidi utili per il controllo del sonno abbiamo an -
che la glicina, un amminoacido non essenziale che ha ruoli indispensabili nella neurotrasmissione sia eccitatoria che inibitoria tramite i recettori del glutammato di tipo N-metil-D-aspartato e i recettori della glicina, rispettivamente. È stato dimostrato che la glicina migliora il sonno riducendo la temperatura corporea interna, i suoi effetti sui ritmi circadiani sono dovuti all’aumento di concentrazione plasmatica di melatonina e dell’espressione dell’mRNA dei geni dell’orologio e dei neuropeptidi nell’SCN. Pertanto, la glicina modula alcuni neuropeptidi nel SCN e questo fenomeno può contribuire indirettamente a migliorare la sonnolenza e l’affaticamento occasionali indotti dalla restrizione del sonno. Un altro aiuto possiamo averlo dalla L-teanina ( γ -glutamiletilammide), un amminoacido non proteico unico che si trova nel tè verde (Camellia sinensis), un fitochimico che ha il potenziale di mitigare e prevenire la confusione psichica correlata allo stress (Centro Nazionale di Psichiatria e Neuroscienze, Tokyo, 2019). Inoltre, la teanina influenza la plasticità sinaptica dell’ippocampo, migliorando le prestazioni con effetti antistress simili agli antidepressivi. Molto interessante uno studio del 2019 (randomizzato, controllato con placebo, crossover e in doppio cieco) che ha mostrano una normalizzazione dei disturbi del sonno nelle persone trattate con un mix di Teanina e acido γ -amminobutirrico (GABA). GABA è un amminoacido non proteinogenico ed è il principale neurotrasmettitore noto per l’attivazione dei recettori GABAA. La miscela GABA/l-teanina ha un effetto sinergico positivo sulla qualità e sulla durata del sonno. È stato osservato che trattare lo stress e la mancanza di sonno con tali so -
Salute
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stanze induce un miglioramento delle condizioni tricologiche associate. Inoltre, è stato dimostrato che oltre l’integrazione orale, vi sono diverse attività volte a ridurre lo stress e i livelli di cortisolo, come l’attività fisica o ascoltare musica. Si può quindi concludere che affrontare e trattare gli aspetti psicologici dei disturbi della crescita dei capelli indotti dallo stress e dalla mancanza di sonno giustifica un’area altrettanto interessante e importante per la ricerca futura.
1. Thom E. Stress and the Hair Growth Cycle: Cortisol-Induced Hair Growth Disruption. J Drugs Dermatol. 2016 Aug 1;15(8):1001-4. PMID: 27538002.
2. Liamsombut S, Pomsoong C, Kositkuljorn C, Leerunyakul K, Tantrakul V, Suchonwanit P. Sleep quality in men with androgenetic alopecia. Sleep Breath. 2023 PMID: 35469370.
3. Kim S, Jo K, Hong KB, Han SH, Suh HJ. GABA and l-theanine mixture decreases sleep latency and improves NREM sleep. Pharm Biol. 2019 Dec;57(1):6573. doi:10.1080/13880209.201 8.1557698. PMID: 30707852; PMCID: PMC6366437.
STRESS E DISTURBI DEL SONNO
FRA LE CAUSE DELLA CALVIZIE
I segnali neurali modulano la crescita dei capelli Importanti sono gli ormoni steroidei cortisone e cortisolo
di Biancamaria Mancini
Salute
Giornale dei Biologi | Apr 2024 45
«Il periodo più idoneo per il rilevamento floristico-vegetazionale
- scrivono il professor
Bruno Enrico Leone
Cerabolini e il botanico
Cesare Lasen - è giugno - luglio -settembre. Il numero minimo di aree di rilevamento dovrà essere proporzionale alla superficie complessiva dell’habitat e alla sua diversità geografica, tenendo conto delle peculiarità regionali. È opportuno che i monitoraggi vengano ripetuti nel tempo all’interno di plot permanenti, con una frequenza consigliata di 6 anni. I rilievi devono essere individuati casualmente sull’intera superficie dell’habitat. Competenze necessarie degli operatori: esperto in vegetazione e flora, esperto in fotointerpretazione, fotorestituzione e mappatura GIS».
Nel cuore delle Alpi si ergono i lariceti, un ecosistema unico e affascinante. Queste foreste, dominate dalla specie Larix decidua e/o Pinus cembra, costituenti formazioni pure o miste, talvolta associate con Picea abies o Pinus uncinata, sono un patrimonio esclusivo della regione biogeografica nel Nord Italia. Come ogni tesoro, però, anche loro sono fragili e richiedono attenzione e cura. Il sottobosco può variare notevolmente a seconda della presenza o meno del pascolo. In assenza è dominato da arbusti, altrimenti diventa prevalentemente erbaceo. I larici, le uniche conifere europee a perdere le foglie (gli aghi), donano ai versanti montani un caratteristico viraggio di colori durante l’autunno, passando dal verde al giallo intenso.
Tuttavia, sono attualmente in uno stato di conservazione inadeguato. Secondo i dati del “IV Rapporto della Direttiva habitat”, le principali minacce includono una gestione forestale inappropriata, l’esposizione a eventi estremi come valanghe, frane e smottamenti, e l’innalzamento delle temperature che favorirebbe attacchi di patogeni. I cambiamenti climatici possono anche facilitare l’invasione di alcune specie tipiche, come l’epilobio (Chamaenerion angustifolium), minando l’integrità della struttura nella comunità vegetale e rendendo il territorio meno resiliente.
Il pascolo può costituire un pericolo per la conservazione, poiché influenza
la composizione dello strato erbaceo. In condizioni di sovra pascolo, si tende a perdere l’equilibrio naturale faticosamente raggiunto. Per determinare il grado di naturalità, alcuni aspetti come le caratteristiche della corteccia e la profondità delle incisioni nei tronchi sono di grande importanza, in quanto indicatori dell’antichità relativa alla formazione. Altri validi parametri per valutare la salvaguardia sono le coperture di licheni, sia per quanto riguarda la loro composizione sia la struttura. D’altro canto, la presenza di specie tipiche in ambienti ecotonali e invasive all’interno delle aree testate è segnalatrice di degrado «I dati floristico-vegetazionali possono essere integrati con le specie della componente muscinale (briofite e licheni, da rilevare anche all’interno dello strato arboreo). Entrambi questi gruppi sono di notevole interesse per l’habitat anche su altri substrati (rocce, legno morto, tronchi di alberi vivi ecc.)».
L’analisi della vegetazione viene portata avanti mediante la «realizzazione di rilevamenti vegetazionali, con attribuzione di valori di copertura (scala di Braun-Blanquet o copertura percentuale) al ricoprimento totale e a tutte le singole specie presenti all’interno dello stand di rilevamento (incluse le eventuali specie aliene). La superficie di ciascun rilievo - continuano Cerabolini e Lasen - è consigliata in 225 m2 (15x15m), da valutare in base alla tipologia e alla ricchezza floristica e in funzione dell’omogeneità fisionomico/stazionale. Negli ambienti radi di alta quota è opportuno effettuare il campionamento all’interno
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Ambiente
CUSTODI FRAGILI DI UN PATRIMONIO DA SALVAGUARDARE
Secondo il IV Rapporto della Direttiva habitat, relativo all’Italia, i giganti alpini si trovano in uno stato di conservazione inadeguato, esposti ad eventi estremi di superfici non inferiori a 20x20m». Non è raro trovare esemplari maestosi e in Italia sono stati censiti diversi larici monumentali. Per citarne alcuni abbiamo quello di Montoppio a San Genesio Atesino, i tre secolari della Val d’Ultimo (BZ), l’antico bosco di Val Comasine a Pejo, scampato alla necessità di legno da carbonizzare, la scalinata in Val di Rabbi, Parco dello Stelvio (TN), quello millenario in Valmalenco (SO), a quasi 2200 metri di altitudine. Gli elenchi regionali, aggiornati al mese di settembre 2003, sono disponibili sul sito del Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste.
Con l’intento di raccogliere ulteriori informazioni è possibile consultare il sito Reporting “Direttiva habitat”, (https:// reportingdirettivahabi -
tat.isprambiente.it/) cercando con il codice 9420 o il nome ufficiale “9420 Foreste alpine di Larix decidua e/o Pinus cembra”. Tuttavia, la tutela non è solo una questione di scienza, ma una responsabilità che tutti noi condividiamo. Ogni persona può fare la sua parte, sia che si tratti di ridurre il proprio impatto ambientale, di sostenere organizzazioni impegnate nella conservazione, o, semplicemente, diffondere la consapevolezza sull’importanza di questi inestimabili alleati. Non dimentichiamo mai che la Natura è un dono prezioso e l’onere di proteggerla è nelle nostre mani. (G. P.).
Giornale dei Biologi | Apr 2024 47
Ambiente
DAI RIFIUTI DEL CAFFÈ ALLA PANETTERIA
Gli scarti possono diventare, secondo uno studio dell’Enea, un ingrediente prezioso per l’industria alimentare, riducendo l’impatto ambientale e i costi di smaltimento
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Ambiente
“Rivoluzionare il mondo dell’espresso e salvare il Pianeta, un muffin alla volta!” Questo potrebbe essere il titolo di una nuova campagna pubblicitaria per la sostenibilità, grazie a una scoperta innovativa. Uno studio dell’Enea ha rivelato che il principale tra gli scarti organici provenienti dalla torrefazione del caffè, noto come silverskin, potrebbe essere trasformato in un ingrediente di valore per i prodotti da forno. Questa innovazione non solo determina una riduzione dell’impatto sull’ambiente (del 73%), grazie alla produzione evitata della farina, ma dimezzerebbe anche i costi di smaltimento per le aziende, obbligate ora a trasformarlo in compost. Per ogni area metropolitana, Napoli (Italia), Barcellona (Spagna) e Pazardzhik (Bulgaria), è stata analizzata la gestione dell’organico allo scopo d’individuare i flussi non valorizzati e attivare rinnovate strategie di economia circolare.
«L’analisi del ciclo di vita - spiega Giuliana Ansanelli, ricercatrice e coautrice dello studio insieme alle colleghe Gabriella Fiorentino e Amalia Zucaro del Laboratorio Enea Tecnologie per il riuso, riciclo, recupero e valorizzazione di rifiuti e materiali - ha evidenziato che l’utilizzo alimentare della silverskin consentirebbe di evitare circa 250 kg di CO2 equivalente per ogni tonnellata di farina sostituita con lo scarto del chicco del caffè, pari a un quantitativo di CO2 che può essere assorbito da 22 alberi. Invece, la sua valorizzazione come compost determina l’emissione di circa 236 kg di CO2 equivalente e il suo impatto ambientale non è compensato dai vantaggi di utilizzare il compost ottenuto al posto dei fertilizzanti sintetici».
La pellicola molto soffice di colore argento, che riveste il seme del caffè e viene rilasciata durante il processo di tostatura, è ricca di carbonio e azoto, diventando pregiata per l’agricoltura poiché migliora la fertilità del terreno e può essere utilizzata anche nelle coltivazioni biologiche.
«Sul fronte economico, - sottolinea Gabriella Fiorentino - i risultati dell’analisi dei costi del ciclo di vita indicano che l’azienda di torrefazione campana, analizzata nello studio, può conseguire una riduzione di quasi il 60% dei costi legati allo smaltimento della silverskin, passando da 448 €/ton a 190 €/ton, se valorizzata come ingrediente funzionale piuttosto che come compost».
La ricerca, condotta nell’ambito del progetto europeo “Biocircularcities”, apre nuove prospettive per un futuro più verde ed ecologista.
I risultati sono stati pubblicati sulla rivista “Sustainability” (https://www. mdpi.com/20711050/15/23/16281).
In particolare, hanno esplorato e identificato opportunità e carenze normative per l’introduzione di processi virtuosi che, partendo dall’identificazione di un rifiuto - scarto biologico, possano creare nuove catene di valore.
Il settore agro-industriale della Città Metropolitana di Napoli, nel 2019, ha prodotto circa trentamila tonnellate di scarti organici, di cui quasi il 3% proveniva da aziende di torrefazione.
«Attualmente, - afferma Amalia Zucaro - questo rifiuto organico viene inviato agli impianti di compostaggio, con elevati costi di trattamento. Ma in Campania c’è carenza di infrastrutture per il trattamento della frazione organica e quindi sarebbe auspicabile individuare modalità di gestione alternative dello scarto della torrefazione del caffè, in accordo con i principi della bioeconomia circolare e della simbiosi industriale, che permettano di ridurre impatto ambientale, costi di smaltimento a carico delle aziende e della regione e pressione sugli impianti di compostaggio. Il nostro studio evidenzia proprio questo: l’impiego nei prodotti da forno potrebbe rappresentare una valida soluzione a beneficio non solo dell’ambiente e dell’economia ma anche della salute dei consumatori, visto che è ricca in fibre (35%), proteine (19%) e antiossidanti».
Anche la panetteria, dove la silverskin (CS) è stata impiegata come ingrediente, ha riportato vantaggi economici (quasi 30.000 € per tonnellata di CS), risparmiando sull’acquisto di farina di grano e aumentando i profitti con la vendita dei “funzionali” (un cibo che in virtù della presenza di componenti fisiologicamente attive, determina un effetto benefico per la salute oltre la sua funzione nutriente di base). Pur essendo, quindi, un elemento promettente, è ancora in attesa di approvazione per l’uso commestibile e commerciale. Nonostante i risultati incoraggianti e numerose ricerche che evidenziano bassi rischi e molti benefici legati al consumo, la procedura di approvazione, stabilita dal Regolamento (UE) 2015/2283, non è ancora conclusa. La Commissione Europea (CE) supervisiona attentamente il processo, che prevede la verifica dell’assenza di contaminanti chimici e biologici potenzialmente dannosi per la salute umana. Inoltre, potrebbe richiedere all’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare di condurre una valutazione del rischio, al fine di garantire una maggiore tutela. Resta da vedere se supererà queste rigorose verifiche e potrà essere la chiave per sbloccare un futuro più salubre, dimostrando che la trasformazione non è solo un’opzione, ma una necessità di un’era in cui tutto può e dev’essere utilizzato al meglio. (G. P.).
© INRAPA COLLECTION/shutterstock.com Giornale dei Biologi | Apr 2024 49 Ambiente
Immaginiamo un mondo in cui gli eventi meteorologici estremi sono la norma, non l’eccezione. Un territorio in cui tempeste violente, inondazioni devastanti e ondate di calore insopportabili sono all’ordine del giorno. Questo non è un film di fantascienza, ma una realtà che molti italiani vivono spesso. Più del 90% dei nostri comuni sono a rischio, con oltre 8 milioni di abitanti in pericolo. Uno articolo, pubblicato sulla rivista “Safety in Extreme Environment” (https://link.springer.com/ article/10.1007/s42797-024-00100-3) esamina la mortalità associata a pericoli meteorologici e idrogeologici in Italia dal 2003 al 2020.
Nei 378 decessi, 321 sono per frane e valanghe, 28 per tempeste e 29 per inondazioni. Le regioni con il maggior numero di morti e città coinvolte sono risultate Trentino-Alto Adige (73 decessi e 44 comuni), Lombardia (55 e 44), Sicilia (35 e 10), Piemonte (34 e 28), Veneto (29 e 23) e Abruzzo (24 e 12); alto, pure, il numero di territori a rischio riscontrato in Emilia-Romagna (12), Calabria (10) e Liguria (10). Tra le terre da tenere sotto osservazione c’è anche la Val d’Aosta con 8 deceduti, un numero considerevole se si tiene conto degli abitanti complessivi.
«La mortalità - spiega Raffaella Uccelli, ricercatrice del Laboratorio ENEA Salute e Ambiente e coautrice dello studio insieme alla collega Claudia Dalmastri - è l’unico indicatore sanitario immediatamente disponibile
per tutti i comuni italiani e la Banca Dati Epidemiologica dell’Enea consente di effettuare studi sull’intero territorio nazionale utilizzando la mortalità per causa come indicatore di impatto sulle popolazioni residenti».
Inoltre, circa il 50% dei 247 centri abitati con almeno una persona scomparsa è costituito da paesi montani o poco abitati, dov’è stata riscontrata una loro fragilità intrinseca e difficoltà negli interventi di soccorso. Trentino-Alto Adige, Lombardia, Piemonte, Veneto, Valle d’Aosta, Abruzzo e Sicilia hanno sofferto tanto in questi anni, indipendentemente dalla loro collocazione nel Nord, Centro o Sud, anche se le località settentrionali contraddistinte dalla presenza delle Alpi sembrano essere quelle più insicure.
«A livello demografico - sottolinea Claudia Dalmastri - le vittime sono state 297 uomini e 81 donne. La ragione di questa disparità fra i sessi potrebbe essere collegata, almeno in parte, a diversi stili di vita, alle attività svolte, agli spostamenti casa-lavoro e ai tempi diversi trascorsi all’aperto». Nel nostro Paese sono stati convolti per frane (1,3 milioni di abitanti) e inondazioni (6,9 milioni). Da gennaio a maggio 2023, si sono verificati
50 Giornale dei Biologi | Apr 2024 DIFFICILE NAVIGARE
Ambiente
Ambiente
122 eventi meteorologici estremi rispetto ai 52 registrati nello stesso periodo del 2022 (+135%) e le più colpite sono state Emilia-Romagna, Sicilia, Piemonte, Lazio, Lombardia, Toscana. Tutte queste, tranne il Lazio, sono state riconosciute rischiose anche nello studio Enea».
Il numero e la frequenza degli accadimenti eccezionali sono ultimamente incrementati drammaticamente, come evidenziato nei rapporti periodici dell’Istituto Italiano per la Protezione e la Ricerca Ambientale (Ispra), del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr) e di alcune associazioni ambientaliste come Legambiente. In particolare, una crescita consistente di frane e alluvioni è stata segnalata dall’Ispra fra il 2009 e il 2014. La comprensione delle minacce associate al “meteo impazzito” può guidare lo sviluppo di strategie efficaci per prevenire o gestire tali eventi. Questa conoscenza è utile a fornire un fondamento storico per ulteriori studi di valutazione, che possano stimare il costo aggiuntivo in termini di vite umane lavorando su scenari climatici futuri.
Le raccomandazioni dovrebbero essere rivolte alle autorità nazionali e locali e focalizzate sulla prevenzione delle catastrofi, con particolare attenzione
Circa il 50% dei 247 centri abitati con almeno una persona scomparsa è costituito da paesi montani o poco abitati, dov’è stata riscontrata una loro fragilità intrinseca e difficoltà negli interventi di soccorso. Trentino-Alto Adige, Lombardia, Piemonte, Veneto, Valle d’Aosta, Abruzzo e Sicilia hanno sofferto tanto in questi anni, indipendentemente dalla loro collocazione nel Nord, Centro o Sud, anche se le località settentrionali contraddistinte dalla presenza delle Alpi sembrano essere quelle più insicure. © hxdbzxy/shutterstock.com
ai suoli più indifesi. Preparare piani d’azione a lungo termine è una priorità per garantire la sicurezza di persone, strutture e beni. Quando le misure preventive non sono sufficienti, è fondamentale essere pronti a mobilitare le strutture sanitarie, compresa la disponibilità di posti letto e terapie appropriate per i traumi fisici e psicologici subiti dai residenti. Dopo un evento catastrofico, dovrebbero essere attivate immediatamente strategie di emergenza per prevenire il consumo di cibo e acqua contaminati, che potrebbero causare epidemie. Infine, è essenziale che i progetti tecnici per il ripristino delle condizioni ambientali, infrastrutturali, economiche e sociali preesistenti siano immediatamente attuabili ed efficaci. Eppure, non abbiamo un Piano di adattamento ai cambiamenti climatici, fermo ora alla Valutazione ambientale strategica (https://www.mase.gov.it/pagina/piano-nazionale-di-adattamento-ai-cambiamenti-climatici).
«Gli eventi meteo estremi - conclude Raffella Uccelli - stanno aumentando di frequenza e intensità a causa dei cambiamenti climatici, con conseguenze drammatiche su territori e popolazioni, in particolare sugli over 65, la cui percentuale in Italia è aumentata del 24% in 20 anni. Conoscere le aree a più alto rischio anche per la mortalità associata diventa, quindi, fondamentale per definire le azioni prioritarie d’intervento, allocare risorse economiche, stabilire misure di allerta e intraprendere azioni di prevenzione e mitigazione a tutela del territorio e dei suoi abitanti».
L’ITALIA
SFIDA LA TEMPESTA
NAVIGARE TRA I RISCHI CLIMATICI
Più del 90% dei nostri comuni sono a rischio per eventi estremi, con oltre 8 milioni di abitanti esposti. Tra 2003 e 2020 sono stati rilevati 378 decessi complessivi
Giornale dei Biologi | Apr 2024 51
di Gianpaolo Palazzo
LA TERRA GIRA PIÙ VELOCE RISPETTO A PRIMA
I motivi dell’applicazione del “secondo intercalare negativo” sono stati pubblicati sulla rivista “Nature”
Partire da Seneca fino ad arrivare a Christopher Nolan, passando prima da Foscolo e Salvador Dalì, è solo uno degli itinerari che è possibile percorrere seguendo il filo rosso della parola “tempo”. La preoccupazione del suo buon uso, gli interrogativi sulla sua relatività; la percezione dello stesso, che a volte sembra non rispondere alla ferrea meccanicità dello strumento che lo misura, e le inquietudini sul suo incessante fluire, le quali si esauriscono con il nostro ritorno al “nulla eterno”, sono solo alcune delle questioni che da sempre perseguitano
l’uomo nel suo rapporto col tempo. Materialmente, come ben sappiamo, esso viene misurato in maniera esatta dai nostri orologi, i quali fanno riferimento al movimento della Terra: il secondo è infatti definito come la frazione di tempo che il nostro pianeta impiega per compiere un giro attorno al proprio asse. Ma se ora la Terra iniziasse a girare più velocemente?
La pressione esercitata da questi tormenti ancestrali aumenterebbe ancora di più se i nostri orologi segnassero un secondo in meno? Tali domande non sorgono senza una buona ragione. Per la prima volta nella storia i cro-
nometristi mondiali starebbero infatti prendendo in considerazione l’idea di sottrarre un secondo dai nostri orologi, proprio per via dell’aumento della velocità di rotazione della Terra. Lo studio, che spiega i motivi della possibile applicazione di questa regolazione chiamata “secondo intercalare negativo”, è stato pubblicato sulla rivista “Nature” da Elizabeth Gibney. Per capire meglio di cosa si tratta è importante spiegare la differenza tra tempo astronomico e tempo atomico: il primo è quello calcolato sulla base della posizione degli astri, tra cui il Sole, rispetto alla Terra; il secondo è relativo alla frequenza della luce emessa dagli atomi. Il tempo impiegato dalla Terra per ruotare su sé stessa è di circa 24 ore, e per migliaia di anni il pianeta ha generalmente rallentato in modo variabile la velocità della rotazione. Tale rallentamento, provocato dall’attrazione della Luna sugli oceani, non ha mai avuto importanza fino a quando, nel 1967, non furono adottati gli orologi atomici come standard temporale ufficiale (il cosiddetto Tempo Coordinato Universale o UTC). Ogni giorno il tempo astronomico restava esattamente indietro di 2,5 millisecondi rispetto a quello atomico, creando delle frazioni di secondo di scarto. Queste frazioni giornaliere si sono accumulate negli anni fino a costituire secondi interi, e a partire dal 1972, in virtù di questi accumuli, i cronometristi internazionali hanno deciso di aggiungere un “secondo intercalare positivo” in giugno o dicembre, di modo che il tempo astronomico raggiungesse il tempo atomico. Da allora, i secondi intercalari positivi sono stati aggiunti 27 volte all’UTC. Dal 2016 la Terra ha però improvvisamente iniziato ad accelerare la sua rotazione anziché rallentarla, e qualora la sua velocità dovesse aumentare ancora potrebbe essere necessario rimuovere un secondo dal nostro orologio introducendo un “secondo intercalare negativo”.
52 Giornale dei Biologi | Apr 2024
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Ambiente
di Michelangelo Ottaviano
Èstata scoperta una nuova specie di ape Hoplitis la cui insolita distribuzione geografica connette il Parco Nazionale del Mercantour delle Alpi francesi sud-occidentali e le catene montuose di Turchia e Iraq settentrionale. La nuova specie, denominata Hoplitis onosmaevae, presenta caratteristiche ecologiche assolutamente uniche, che hanno suscitato l’entusiasmo dei ricercatori Matthieu Aubert, Christophe Praz e Andreas Müller, gli autori dello studio pubblicato sulla rivista “Alpine Entomology”.
Prima di addentrarsi alla scoperta di questo nuovo membro delle Hoplitis è bene dire qualcosa sul genere a cui questo singolare apoideo appartiene. Hoplitis Klug, 1807 è il genere di api più diversificato della tribù delle Osmiini, appartenenti alla grande famiglia delle Megachilidae. L’80% delle 389 specie che costituiscono questa tribù si trova nell’ecozona del Paleartico (area che fa riferimento alla sottoregione europea, mediterranea, arabica, siberiana e manciuriana). H. Klug, 1807 è il sottogenere più vasto con 93 specie annoverate tra le sue fila, la cui specie più diffusa è l’Hoplitis adunca, con la quale H. onosmaevae è imparentata.
Inoltre, è importante specificare che le Hoplitis sono api molto simili alle Osmie, un genere di impollinatrici comunemente soprannominate “api muratrici” per via della loro capacità di creare nidi usando materiale vegetale o fango unito alla saliva. Un’altra caratteristica che le Hoplitis condividono con le Osmie è quella di essere impollinatrici pacifiche e solitarie, poiché non vivono in colonie e non producono miele. L’H. onosmaevae si presume sia un’ape strettamente oligolettica, cioè che si rifornisce di polline solo su un limitatissimo numero di fiori, che nel caso del nostro esemplare sono esclusivamente quelli di Onosma L. (da cui “onosmaevae”).
Il tratto estetico più significativo di questa specie è una proboscide par-
L’APE CHE UNISCE FRANCIA TURCHIA E IRAQ
La specie Hoplitis onosmaevae è suscettibile ai mutamenti di habitat e ai cambiamenti climatici
ticolarmente lunga, un adattamento sviluppato per raccogliere il nettare dai fiori a tubo lungo proprio di questo genere di piante. H. onosmaevae nidifica nelle tane degli insetti nel legno morto, similmente a H. adunca e H. manicata, due specie con la quale è imparentata in maniera stretta.
La distribuzione territoriale fortemente sconnessa ha importanti implicazioni per la conservazione di H. onosmaevae: la nicchia ecologica molto ristretta in cui la specie vive la rende altamente suscettibile ai possibili mutamenti di un habitat, rappresentati ad esempio dalle mo -
difiche delle pratiche agricole o dai cambiamenti climatici. Per fari sì che quest’ape così particolare continui a prosperare, i ricercatori hanno sottolineato come sarà necessario sviluppare dei piani per la conservazione non solo di H. onosmaevae, ma di tutte le specie animali e vegetali che popolano le Alpi sud-occidentali. Lo studio, infine, oltre all’accurata ricostruzione della storia di questa nuova specie, celebra con entusiasmo la straordinaria e meravigliosa diversità che caratterizza la superfamiglia degli Apoidei e, in particolar modo, le api selvatiche. (M. O.).
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I“LIFE WILD WOLF” PER SALVAGUARDARE I LUPI
Si tratta di un progetto che affronta il problema della loro presenza in città al fine di tutelarli
l progetto “Life Wild Wolf” ha lo scopo di scoraggiare la presenza dei lupi nelle aree abitate. Negli ultimi anni abbiamo assistito a una continua popolazione di animali come cinghiali, volpi e lupi in città e periferie. In questo modo il progetto, nato da poco, permetterà di gestire al meglio situazioni critiche che si possono presentare a causa della presenza di animali selvatici in ambienti europei antropizzati. Purtroppo si tratta di un fenomeno in crescita a livello europeo, e pochissimi paesi hanno linee guida in grado di fornire indicazioni su come intervenire e garantire sicurezza.
Questi animali, pur avvicinandosi alle città, rimangono selvatici, e in quanto tali non devono essere trattati come animali domestici. Valeria Salvatori, responsabile del progetto per l’Istituto di Ecologia Applicata, ha spiegato: «Il progetto tratterà il caso del lupo, le cui popolazioni si stanno espandendo in diversi Paesi europei. L’obiettivo è migliorare la capacità tecnica delle autorità competenti nel gestire e prevenire le criticità, incoraggiando pratiche che facciano mantenere al lupo un comportamento schivo, così come da natura, e migliorino le reazioni delle persone alla sua presenza inaspettata. Il partenaria-
to internazionale ci permetterà di analizzare le casistiche più diverse e creare una base di dati a livello europeo che ci consentirà di condividere esperienze e buone pratiche».
Il progetto è supportato dall’Università degli Studi di Roma La Sapienza, la Regione Lazio e il Comune di Roma.
Da circa 11 anni la presenza di lupi sul Litorale Romano è aumentata: dal 2010 fino a oggi sono stati registrati 8 lupi morti investiti, 4 lupi morti per bracconaggio e 3 per cause naturali. Un numero notevole, che ha caratterizzato principalmente quest’area. Gli studi infatti si svolgeranno a Roma, nell’Oasi Lipu Castel di Guido e nelle limitrofe aree naturali della Riserva Naturale Statale del Litorale Romano. Nel territorio dell’area protetta, ampia 15.900 ettari, gli studiosi monitoreranno due branchi: uno ha come territorio centrale l’Oasi Lipu Castel di Guido, gestita dal 1999, il quale si compone di 3 individui, l’altro si trova tra Maccarese e Aranova, ed è composto sempre da 3 individui.
Il progetto “Life Wild Wolf” è finanziato dal programma LIFE della Commissione Europea e ha durata di 5 anni, è composto da un gruppo multidisciplinare di 18 partner, coordinati dall’Istituto di Ecologia Applicata di Roma.
Suo obiettivo principale è quello di sviluppare protocolli sperimentali e testare la loro efficienza, per fornire un contributo alla gestione di queste situazioni critiche. Dunque verranno definiti i modelli comportamentali dei lupi nei contesti dominati dall’uomo e verranno individuati interventi per evitare o diminuire la presenza dei lupi negli insediamenti umani. Saranno poi sperimentati dispositivi di protezione, oltre alla formazione tecnica per tutti gli enti preposti al monitoraggio, gestione e comunicazione della presenza del lupo. Il progetto sarà svolto in Croazia, Germania, Grecia, Italia, Portogallo, Repubblica Ceca, Slovenia e Svezia, toccando 7 delle 9 popolazioni di lupo d’Europa.
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Ambiente
di Eleonora Caruso
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CREATO UN ORGANOIDE DI OSSO PER STUDIARE LA SINDROME DI HURLER
La ricerca rappresenta un primo passo per indagare i meccanismi della malattia e testare trattamenti più efficaci anche per altre patologie genetiche che coinvolgono lo scheletro
Per la prima volta si è riusciti ad ottenere in laboratorio un organoide di osso, ovvero una riproduzione tridimensionale dell’architettura della cartilagine e dell’osso con l’obiettivo di studiare trattamenti più efficaci per la sindrome di Hurler, malattia genetica pediatrica rara. L’organoide è stato realizzato dagli scienziati della Fondazione Tettamanti e della Sapienza Università di Roma utilizzando cellule staminali scheletriche prelevate da piccoli pazienti.
La ricerca è stata pubblicata sulla rivista scientifica JCI Insight e le sue conclusioni aprono alla possibilità di utilizzare gli organoidi per lo studio anche di altre malattie genetiche rare. Tra i coautori figura anche il Professor Shunji Tomatsu dell’Università del Delaware, tra i massimi esperti mondiali di mucopolisaccaridosi, gruppo di patologie genetiche rare di cui fa parte la sindrome di Hurler. Questa patologia di tipo metabolico, colpisce in Europa un bambino su 100.000 ed è causata dalla mutazione di un gene e dalla conseguente assenza dell’enzima che nell’organismo umano si occupa dello “smaltimento” di alcune catene di zuccheri, dette glicosaminoglicani che sono prodotti di degradazione del metabolismo. L’accumulo di queste molecole danneggia tutti gli organi e i tessuti e, in particolare, le ossa che sono la parte del corpo più resistente alle tera-
pie oggi disponibili: la terapia enzimatica sostitutiva, che consiste nella somministrazione dell’enzima mancante, il trapianto allogenico di cellule staminali ematopoietiche e la terapia genica, cioè l’infusione nel paziente di cellule staminali ematopoietiche del paziente stesso in cui il gene mutato è stato “corretto” in laboratorio.
L’organoide, che replica alcune caratteristiche peculiari delle ossa dei pazienti colpiti da questa patologia, è pertanto un modello prezioso per osservare con precisione ancora maggiore i meccanismi della malattia e su cui sperimentare farmaci più efficaci.
«L’organoide è stato creato da cellule staminali scheletriche, cellule essenziali per generare il tessuto osseo, prelevate dal midollo osseo dei piccoli pazienti» spiegano Marta Serafini della Fondazione Tettamanti dell’IRCCS San Gerardo dei Tintori di Monza e Mara Riminucci, del Dipartimento di Medicina Molecolare, Sapienza Università di Roma. «Queste cellule hanno generato cartilagine che si è poi trasformata in tessuto osseo e midollo osseo nel modello tridimensionale. È stato osservato, anche attraverso analisi molecolari e istologiche, che l’organoide manifestava delle importanti alterazioni rispetto ai soggetti sani. La ricerca rappresenta un primo passo importante per approfondire lo studio di questa patologia e, in prospettiva, di altre malattie genetiche rare con coinvolgi-
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mento scheletrico. È fondamentale – concludono le ricercatrici - sviluppare modelli per studiare malattie rare vista la difficoltà di ottenere e, quindi, di analizzare campioni di tessuto, in particolare da pazienti pediatrici».
La sindrome di Hurler è la forma più grave di mucopolisaccaridosi di tipo 1, ed è una malattia genetica rara che presenta gravi sintomi, tra cui problemi nella crescita, deformità scheletriche, malfunzionamento degli organi interni e del sistema nervoso. La sopravvivenza è legata alla gravità delle manifestazioni cliniche e alle complicanze neurologiche, respiratorie e cardiovascolari. Se non s’interviene, purtroppo, l’aspettativa di vita non supera i dieci anni. Negli ultimi venti anni la sopravvivenza e la qualità della vita dei pazienti è nettamente migliorata grazie alle terapie specifiche e sintomatiche.
Il quadro clinico della sindrome di Hurler è dominato da anomalie scheletriche progressive con compromissione della funzione muscolo-scheletrica, tratti facciali grossolani, epatosplenomegalia, cardiopatia valvolare, perdita della vista e dell’udito, ostruzione del-
Questa patologia di tipo metabolico, colpisce in Europa un bambino su 100.000 ed è causata dalla mutazione di un gene e dalla conseguente assenza dell’enzima che nell’organismo umano si occupa dello “smaltimento” di alcune catene di zuccheri, dette glicosaminoglicani che sono prodotti di degradazione del metabolismo.
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le vie aeree superiori e ritardo nello sviluppo mentale con un’età funzionale massima di 2-4 anni. Le ossa sono strutture particolarmente resistenti alle terapie oggi in uso per il trattamento della sindrome e, pertanto, le deformità scheletriche sono uno dei sintomi più gravi di questa patologia.
Gli autori della ricerca hanno eseguito saggi in vitro e in vivo per studiare l’effetto delle mutazioni responsabili della sindrome di Hurler sulle caratteristiche e sul destino della cartilagine umana. Le prime fasi di condensazione cellulare e di differenziazione cartilaginea si sono verificate e sono progredite normalmente, tuttavia, nelle ultime fasi della maturazione, sono comparsi cambiamenti strutturali e molecolari che hanno compromesso la capacità della cartilagine di completare la sua maturazione in vitro e di rimodellarsi in osso e cellule stromali in vivo. Con questo studio i ricercatori sono riusciti a capire con maggior dettaglio i meccanismi compromessi del processo di ossificazione e ricavare una conoscenza più approfondita della sindrome di Hurler per sperimentare in prospettiva terapie più efficaci. (S. B.)
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LA COESINA CONTRO IL CANCRO AL COLON-RETTO
I risultati, pubblicati sul Journal of Experimental & Clinal Cancer Research, ottenuti con il sostegno dell’AIRC
Un team di ricerca coordinato dall’Istituto di tecnologie biomediche del Consiglio nazionale delle ricerche di Pisa ha dimostrato come sia possibile diminuire la massa tumorale in topi con carcinoma del colon-retto partendo dall’inibizione del gene SMC1A, il cui prodotto proteico rientra in un complesso proteico noto come coesina. Lo studio è stato condotto finora con animali di laboratorio ed è stato sostenuto dalla Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro. Antonio Musio, ricercatore dell’Istituto di tecnologie biomediche del
Consiglio nazionale delle ricerche e coordinatore della ricerca, ha spiegato: «Il nuovo approccio consiste nel somministrare molecole sintetiche di RNA, dette “short hairpin RNA” o in breve shRNA, in grado di silenziare il gene SMC1A, al fine di ridurre i livelli di proteina all’interno della cellula tumorale. In contemporanea abbiamo anche somministrato ai topini il bevacizumab, un farmaco antitumorale costituito da un anticorpo monoclonale, che ci ha così permesso di potenziare e accrescere gli effetti della terapia a base di RNA. Complessivamente, il trattamento ha aumentato la sopravvivenza
degli animali trattati e ridotto la massa del carcinoma. Questo effetto sembra dovuto al fatto che la cura provoca anomalie cromosomiche nelle cellule tumorali, che per questo muoiono».
Nel corso di una precedente ricerca gli studiosi avevano potuto osservare, che il malfunzionamento della proteina codificata dal gene SMC1A destabilizza la crescita cellulare.
Antonio Musio ha proseguito affermando: «La coesina è un complesso proteico che contribuisce a una corretta divisione cellulare, all’organizzazione tridimensionale del nucleo e alla regolazione dell’espressione genica. Quando però la coesina non funziona adeguatamente, la cellula comincia a crescere in maniera incontrollata, trasformandosi in tumore».
Si stima, che il cancro del colon-retto è in crescita in tutto il mondo: i dati rilevati sulla base delle statistiche formulate dall’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro, lo collocano al quarto posto per incidenza e al terzo posto per mortalità. Pertanto, si rende necessario identificare nuovi biomarcatori prognostici e bersagli terapeutici al fine di sviluppare trattamenti farmaceutici più efficaci per i pazienti.
Il ricercatore ha così concluso: «Nell’era della medicina di precisione, comprendere i meccanismi molecolari alla base dello sviluppo tumorale è diventato imprescindibile e di fondamentale importanza. In questo senso il gene SMC1A potrebbe rappresentare un bersaglio molecolare per impedire il processo neoplastico e aprire nuove prospettive per la cura di questo tipo di tumore».
A questo studio hanno partecipato anche l’Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico dell’Ospedale policlinico San Martino, l’Irccs Istituto nazionale tumori Regina Elena, l’Università dell’Insubria di Varese, l’Istituto di ricerca genetica e biomedica del Consiglio nazionale delle ricerche di Milano e l’Università di Genova.
58 Giornale dei Biologi | Apr 2024
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Innovazione
di Pasquale Santilio
Un progetto, che è stato coordinato dall’Istituto di genetica molecolare del Consiglio nazionale delle ricerche di Pavia (Cnr-Igm) ha aggiunto un nuovo e significativo tassello al settore della “medicina di genere”, vale a dire quell’ambito scientifico che studia come le differenze biologiche possano influenzare l’insorgere di alcune malattie e la relativa risposta terapeutica.
Il gruppo di ricerca ha sviluppato in laboratorio una linea cellulare maschile umana privata del cromosoma Y, il cromosoma sessuale maschile, attraverso metodi di gene editing, con la finalità di indagare l’effetto del cromosoma maschile sull’espressione genica e nella risposta al danno al DNA. I risultati dello studio sono stati pubblicati su Cell & Bioscience.
Ludovica Celli, ricercatrice dell’Istituto di genetica molecolare del Consiglio nazionale delle ricerche coinvolta in questo studio, ha spiegato: «Ci siamo concentrati sulla valutazione della perdita del cromosoma sessuale maschile in quanto studi precedenti suggeriscono che sia associato a malattie neurodegenerative e cardiovascolari, oltre che all’insorgenza dei tumori e all’invecchiamento».
La ricercatrice Miriana Cardano del Cnr-Igm ha aggiunto: «In particolare, l’obiettivo era analizzare l’impatto del cromosoma Y e le conseguenze della sua perdita sul resto del genoma umano. Sfruttando tecnologie di editing genetico e di sequenziamento dell’RNA, abbiamo generato una linea cellulare maschile umana senza cromosoma Y, che è stata esaminata per il suo profilo di espressione genica, confrontandola con la linea cellulare normale che possiede entrambi i cromosomi sessuali. I nostri risultati hanno mostrato che la perdita del cromosoma maschile può influenzare il trascrittoma, ovvero tutte le informazioni trascritte dai geni, andando ad alterare processi biologici coinvolti nella formazione del cancro, come la
LA MEDICINA DI GENERE
E IL CROMOSOMA Y
Ricercatori del Cnr hanno sviluppato in laboratorio una linea cellulare maschile umana privata del cromosoma Y
regolazione della migrazione cellulare, la crescita cellulare, la risposta ai danni al DNA, l’angiogenesi e la risposta immunitaria».
Oltre a proporre un nuovo approccio per studiare le condizioni fisiologiche e patologiche legate al sesso, rivelando nuovi ruoli per il cromosoma Y, lo studio apre la strada per la ricerca di nuove strategie terapeutiche personalizzate.
Lo studio è stato in parte finanziato da una donazione di Giovanna Bertazzoni per onorare la memoria del padre Umberto Bertazzoni, pioniere della ricerca biomedica che molto contri-
buì alla crescita dell’allora Istituto di genetica e biochimica evoluzionistica del Consiglio nazionale delle ricerche di Pavia, oggi Istituto di genetica molecolare. Grazie a questa donazione è stato istituito il “Premio Bertazzoni” da assegnare al miglior progetto di ricerca presentato dai giovani ricercatori dell’Istituto di genetica molecolare del Consiglio nazionale delle ricerche: il premio è stato assegnato alla proposta presentata da Miriana Cardano, assegnista dell’Istituto e ultimo nome del lavoro pubblicato, e da Ludovica Celli, primo autore della pubblicazione. (P. S.).
Giornale dei Biologi | Apr 2024 59
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Innovazione
UN FARMACO PER FERMARE
IL TUMORE AL POLMONE
L’Unesbulin, un nuovo medicinale per il trattamento dei tumori, è risultato efficace per ridurre quello polmonare
Un gruppo di ricerca internazionale guidato dall’Istituto di tecnologie biomediche del Cnr di Pisa, composto anche da studiosi di Stati Uniti e Singapore, ha scoperto come l’Unesbulin, un farmaco per il trattamento dei tumori, possa incidere con efficacia sul microambiente tumorale del polmone, riducendone la crescita. Lo studio è disponibile su Cancer Research Communications.
Il team, guidato da Elena Levantini e con Giorgia Maroni come prima autrice dello studio, entrambe ricercatrici del Cnr-Itb, ha utilizzato l’innovativa
metodologia della trascrittomica ad alta risoluzione, vale a dire il sequenziamento mirato a identificare l’insieme di RNA presente in ogni singole cellula, e tecniche di imaging, per dimostrare come l’Unesbulin sia in grado di interrompere le interazioni tra le cellule tumorali e cellule circostanti quali cellule endoteliali, fibroblasti e cellule immunitarie, essenziali per la crescita del tumore.
Elena Levantini, che coordina il Laboratorio di oncologia molecolare del Cnr di Pisa, ha spiegato: «Il farmaco Unesbulin, attualmente in fase di sperimentazione clinica negli Stati
Uniti, agisce inibendo BMI 1, un oncogene coinvolto nei tumori polmonari. Il nostro studio si è focalizzato su modelli animali affetti da tumore al polmone portatore di mutazioni del gene EGFR, che si riscontrano in circa il 10-15% dei pazienti con carcinoma polmonare non a piccole cellule (NSCLC), il tipo più comune di cancro al polmone. Tali mutazioni rendono le cellule tumorali più sensibili a una classe di farmaci chiamati inibitori della tirosina chinasi (TKI) dell’EGFR, che bloccano l’attività del recettore mutato. Tuttavia, tali farmaci non funzionano bene in tutti i pazienti, e molti sviluppano resistenza farmacologica nel tempo, necessitando di identificare nuove terapie farmacologiche».
Giorgia Maroni ha aggiunto: «Abbiamo scoperto che, oltre ad aver ridotto il numero delle cellule tumorali, l’Unesbulin ha avuto un profondo impatto sul microambiente tumorale, fattore chiave per la progressione del tumore e la risposta alla terapia: ha, infatti, interrotto la comunicazione tra le cellule tumorali e le cellule dell’ambiente tumorale che supportano la crescita e la sopravvivenza del tumore fornendo ad esso sostanze nutritive. Il farmaco ha interferito con la loro funzione e ne ha ridotto la quantità: di conseguenza, i tumori trattati con Unesbulin erano più piccoli di quelli non trattati. La riduzione della crescita del tumore è stata evidenziata da esami di risonanza magnetica».
Lo studio ha aperto nuove strade per lo sviluppo di nuove strategie terapeutiche per il trattamento di una patologia attualmente responsabile della maggior parte delle morti di cancro nel mondo, relativamente al quale le opzioni terapeutiche sono, purtroppo, ancora molto limitate. La ricerca ha anche messo in evidenza l’importanza di legare tecniche di trascrittomica unicellulare e imaging MRI per studiare la complessità e la dinamica del tumore in risposta al trattamento. (P. S.).
60 Giornale dei Biologi | Apr 2024
Innovazione
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Se volessimo tracciare l’identikit del cibo vegetale, che Enea sta sviluppando al fine di offrire alimenti più sani e sostenibili, contrastando l’impatto dei cambiamenti climatici che minacciano suolo, salute, qualità e produttività delle piante e, quindi, la sicurezza alimentare, dovremmo dire: nutriente, saporito e sostenibile.
Si tratta della cosiddetta “agricoltura cellulare”, vale a dire della produzione, a partire da vegetali di interesse agronomico, di alimenti con un’ampia varietà di molecole utili alla salute, senza erosione di suolo e perdita di biodiversità.
Come è stato sottolineato in occasione del World Economic Forum, entro il 2050, a fronte di un aumento della domanda globale di cibo del 50%, i cambiamenti climatici potrebbero causare la riduzione dei raccolti fino al 30% e sarà fondamentale individuare sistemi produttivi alternativi.
Le cellule vegetali, se coltivate in ambienti controllati, possono rappresentare una biomassa alimentare innovativa e di qualità, basata su modelli produttivi che consentono di superare i problemi legati al crollo di produttività di alcune colture ma anche di limitare lo sfruttamento delle risorse naturali, come terra e acqua, riducendo gli scarti di produzione e il ricorso a prodotti fitosanitari, in coerenza con le raccomandazioni del Green Deal Europeo per il 2030. Questi alimenti vengono prodotti con una tecnologia consolidata che ha consentito l’estrazione di principi farmaceutici sfruttando l’enorme corredo biochimico naturale delle cellule vegetali. In buona sostanza, a partire da un espianto vegetale di interesse e sfruttando le caratteristiche proprie delle cellule vegetali, si ottiene la moltiplicazione delle stesse in una coltura liquida che può avvenire in bioreattori simili a quelli già usati per il lievito con cui vengono prodotto pane e birra.
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IL CIBO DEL FUTURO
È PRONTO IN TAVOLA
Enea sta sviluppando, attraverso l’agricoltura cellulare, un cibo vegetale che sia nutriente, saporito e sostenibile
Il nuovo cibo, consumato “fresco” e non necessariamente trasformato, potrebbe essere utile anche nello Spazio, per far fronte all’esigenza di rendere autonomi i futuri equipaggi dagli approvvigionamenti a Terra e aiutarli ad affrontare condizioni extra-terrestri con sistemi di crescita fuori suolo. Sono emerse evidenze che tali alimenti possono sviluppare valori nutrizionali, sensoriali e di digeribilità simili, o migliori, delle piante di provenienza. Tra gli altri benefici per il consumatore, l’assunzione di un alimento ricco di molecole benefiche nello stato in cui
sono presenti in natura, il cosiddetto fitocomplesso, senza ricorrere ad alimenti added with con rischi per la sicurezza alimentare.
Per le aziende questo nuovo sistema produttivo consentirebbe di affrancarsi da variazioni climatiche o stagionali e di realizzare produzioni più programmabili e flessibili, standardizzate e continue di materiale vegetale, da integrare con le produzioni agricole di eccellenza dei territori. Inoltre, la possibilità di modulare l’accumulo di sostanze utili alla salute in funzione dei parametri di crescita, apre la strada alla produzione di cibi “personalizzati”. (P. S.).
Giornale dei Biologi | Apr 2024 61
Innovazione
NUOVA PASSEGGIATA ARCHEOLOGICA TRA LE BELLEZZE DI ROMA
Il progetto riprende le intuizioni di papa Alessandro VII e del ministro Baccelli. In connessione i Fori e i percorsi attorno al Colle Palatino: città antica e moderna
di Rino Dazzo
62 Giornale dei Biologi | Apr 2024
Beni culturali
L’idea ha radici antiche, che si possono far risalire al pontificato di Alessandro VII, papa dal 1655 al 1667, raffinato umanista e amante dell’architettura e delle testimonianze di epoca classica. Un sogno poi ulteriormente coltivato negli ultimi anni dell’Ottocento su iniziativa del ministro Guido Baccelli, uno dei teorici della “terza Roma”, città vetrina del nuovo stato unitario e portatrice di una nuova grandezza dopo quella dei Cesari e dei Papi. Adesso quello che promette di rivelarsi come un itinerario pedonale tra i più belli e suggestivi al mondo sta finalmente per diventare realtà. Si chiamerà “La Nuova Passeggiata Archeologica” e congiungerà via dei Fori Imperiali con altri percorsi attorno al Colle Palatino, intercettando e raccordando gli itinerari già esistenti di via di San Gregorio, via dei Cerchi, via di San Teodoro e delle salite e discese del Colle Capitolino. Il progetto sarà realizzato dallo studio romano Labics, che si è aggiudicato il bando internazionale indetto lo scorso ottobre da Roma Capitale – Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali. Progetto che è stato presentato e illustrato nel corso di una cerimonia tenuta ai Mercati di Traiano – Museo dei Fori Imperiali e che ha coinvolto il ministro della Cultura Gennaro
Giornale dei Biologi | Apr 2024 63 Beni culturali
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Sangiuliano, il sindaco di Roma Roberto Gualtieri e il sovrintendente capitolino Claudio Parisi Presicce. Un’iniziativa trasversale, dunque, e per questo ancor più significativa. Insieme, i tre hanno svelato il nome dello studio che, tra le 23 proposte presentate, è stato giudicato più idoneo a realizzare gli obiettivi del bando. Si tratta di Labics, appunto, di Maria Claudia Clemente e Francesco Isidori, che ha ripreso e rilanciato l’idea della «Passeggiata» tardo-ottocentesca ma coniugandola al presente, con la finalità di collegare l’area archeologica del centro di Roma, dai Fori al Campidoglio, passando per il Colosseo, le Terme di Caracalla, il Circo Massimo, il Palatino e il Celio, e di rimetterla in connessione con la città moderna e gli stessi rioni circostanti.
“La Nuova Passeggiata Archeologica” sarà caratterizzata da ampi spazi pedonali, aree verdi, balconate e percorsi sopraelevati da cui ammirare le bellezze sottostanti. Sono anche previste apposite percorrenze ciclo-pedonali. Il costo stimato per la realizzazione delle opere è di 18 milioni e 800mila euro, al netto di Iva. E i tempi di realizzazione?
«Da sempre sono un assertore della modernizzazione e di un’interpretazione corretta dell’articolo 9 della Costituzione, che ci impone la tutela e la salvaguardia del patrimonio della Nazione ma anche la sua valorizzazione. Allo stesso tempo la mia preoccupazione era che il progetto salvaguardasse il valore della storia», ha sottolineato il ministro Sangiuliano. «I Fori non nascono oggi, ma già con papa Alessandro VII era stato abbozzato il primo progetto di passeggiata sui Fori Imperiali. Possiamo dire che la via e la visione prospettica è stata storicizzata quindi il progetto dovrà armonizzarsi con questi criteri. Mi piace l’idea che ha sviluppato il sindaco Gualtieri, cioè di un’area che non sia solo un punto di congiunzione dal punto A al punto B, ma che sia un’agorà: in un’epoca in cui siamo tutti concentrati sugli smartphone – ha concluso il ministro – bisogna ritrovare il senso del rapporto umano, dell’incontro tra le persone».
Per quelli c’è da aspettare un po’, ma non tantissimo. Dopo le opportune verifiche di legge sulla graduatoria del bando, infatti, lo studio vincitore dovrà perfezionare il progetto di fattibilità tecnica ed economica, dopodiché sarà indetta la Conferenza dei Servizi e congiuntamente sarà affidato il progetto esecutivo e indetta la gara d’appalto. I lavori, in una previsione ottimistica, dovrebbero partire a settembre per completarsi entro il triennio 2025-2027, in cui è prevista la realizzazione di un più ampio progetto di trasformazione del CarMe, il Centro Archeologico monumentale di Roma, che prevede un investimento mai visto prima per iniziative del genere nella Capitale: 282 milioni di euro tra fondi Pnrr, Giubileo, dello Stato e del Comune.
«La Nuova Passeggiata Archeologica» sarà caratterizzata da ampi spazi pedonali, aree verdi, balconate e percorsi sopraelevati da cui ammirare le bellezze sottostanti. Sono anche previste apposite percorrenze ciclo-pedonali.
Sindaco che, dal canto suo, ha posto l’accento su un aspetto: la passeggiata non sarà solo un’attrazione turistica, ma un’occasione e un’opportunità per gli stessi abitanti della Capitale. «Il percorso sarà un luogo piacevole dove passeggiare e dove poter anche indugiare per godersi la vista sui Fori», ha spiegato Gualtieri. «E lo sarà per i turisti ma anche per i romani che potranno riappropriarsi di un luogo per vivere la bellezza della Città Eterna. È un progetto molto bello che mi pare colga bene l’obiettivo di valorizzare ulteriormente un’area che tutto il mondo ci invidia. Via dei Fori e i Fori stessi si riconciliano: la via diventa una prospettiva e uno spazio dal quale godere della bellezza dei Fori. Siamo contenti che abbia vinto uno studio romano; è una grande soddisfazione vedere premiato un progetto che, con delicatezza, coglie le varie stratificazioni dell’area e le valorizza».
64 Giornale dei Biologi | Apr 2024 Beni culturali
Rendering dello studio Labics che realizzerà il progetto.
«Puntiamo sui giovani»: è così che Gualtieri si è espresso in merito alla nuova iniziativa presentata dal Campidoglio. Si tratta infatti di un’iniziativa rivolta a tutti i giovani di Roma neomaggiorenni, cioè che diventeranno o sono già diventati maggiorenni nel 2024. Rispettando questo unico requisito, i ragazzi o le ragazze potranno entrare gratuitamente nel sistema museale di Roma Capitale per un intero anno.
L’assessore capitolino alla Cultura Miguel Gotor, che ha contribuito notevolmente all’iniziativa, ha commentato: «Vogliamo dare ai giovani che si affacciano all’età adulta un benvenuto, offrendo loro un anno di accesso totalmente gratuito e senza limiti al patrimonio museale, archeologico e monumentale di Roma Capitale, a nostro avviso questo è un modo eccellente per promuovere un accesso sempre più diffuso alla cultura, stimolando al tempo stesso nei nostri giovani un senso di appartenenza alla comunità nella quale vivono e che vogliamo che sentano sempre di più come loro».
Si è espressa poi la presidente dell’Assemblea Capitolina Svetlana Celli: «La trasformazione di Roma non può prescindere da una nuova, migliore e inclusiva partecipazione delle ragazze e dei ragazzi romani. Un grazie per questo risultato alla giunta guidata dal sindaco Gualtieri e all’assessore alla cultura Gotor».
La giunta capitolina infatti ha approvato una delibera con la quale ha deciso di regalare ai giovani la Roma Mic Card: i neomaggiorenni dovranno possedere una carta che permetterà di accedere gratuitamente in tutti i musei e nelle aree archeologiche e monumentali gestite dalla Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali e che permetterà anche di ottenere agevolazioni e sconti presso mostre, caffetterie e librerie museali.
La Roma Mic Card si rivolge potenzialmente a 41mila giovani e, una volta attivata, sarà valida per 12 mesi. Sarà possibile attivare la carta digitale nelle prossime settimane sul sito https://mic-
MUSEI GRATIS PER I
DICIOTTENNI DI ROMA
I giovani neomaggiorenni avranno accesso gratuito al sistema museale di Roma Capitale per un anno
di Eleonora Caruso
card.roma.it/ o tramite l’app Mic Card, in seguito all’inserimento del codice fiscale. I neomaggiorenni riceveranno da parte del sindaco Gualtieri un QR Code che spiegherà precisamente come ricevere la Roma Mic Card. Inoltre l’accesso gratuito sarà ampliato anche ai 18enni residenti nell’area metropolitana di Roma, dunque la carta digitale potrà essere ottenuta anche ai giovani dei Comuni della città Metropolitana di Roma Capitale. Questa iniziativa ha lo scopo in primo luogo di andare incontro alle giovani generazioni affinché possano apprezzare lo straordinario patrimonio culturale capitolino, in secondo luogo vuole contribu-
ire a rendere sia i ragazzi che le ragazze parte attiva nella vita culturale della città.
Il sindaco Roberto Gualtieri si è concentrato molto su questi aspetti durante il suo intervento: «I giovani sono il futuro della nostra città e su di loro investiamo. - ha commentato- Li stiamo mettendo al centro di tutte le nostre politiche: dal trasporto pubblico, dove abbiamo varato una misura di gratuità per tutti i ragazzi e le ragazze under 19, fino all’apertura di nuove aule studio. Oggi, con questa nuova misura, avviciniamo ancor di più i giovani romani alla cultura, garantendo la Mic Card gratuita a tutti loro per un anno intero».
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Musei Capitolini, Roma.
Beni culturali
PALLAVOLO QUANTA ITALIA NELLE FINALI DI CHAMPIONS LEAGUE
L’Itas Trentino prova a sfatare il tabù delle finali con i polacchi dello Jastrzębski Węgiel. Fra le donne, derby italian tra Imoco Conegliano e Vero Volley Milano. Super Finals il 5 maggio
66 Giornale dei Biologi | Apr 2024 Sport
di Antonino Palumbo
Il derby italiano Conegliano-Milano nella finale di Champions league femminile. Il ritorno dell’Itas Trentino in quella maschile, nel match con i vicecampioni uscenti dello Jastrzębski Węgiel. Non sarà un 5 maggio come gli altri, per gli appassionati italiani di pallavolo, pronti a seguire con grande trepidazione le Super Finals 2024 in programma ad Antalya, in Turchia.
L’Itas è arrivata in finale quasi in scioltezza, perdendo (al tie break) due sole partite a obiettivo ormai acquisito: con l’Asseco Resovia Rzeszow nel sesto ed ultimo turno della Pool B e sul campo della Lube nel ritorno della semifinale, quando il 3-1 dell’andata e i due set vinti in terra marchigiana avevano già regalato alla Trentino Volley il pass per Antalya. Per il resto, il cammino degli uomini di Fabio Soli, campioni d’Italia 2023 e primi anche nella regular season della Superlega quest’anno, è stato autoritario. Nella Pool A, l’Itas ha lasciato appena un set all’Ach Volley e uno al Tour, prima di un tris di vittorie secche e del 2-3 con l’Asseco, a primato blindato. Doppio 3-0, invece, ai quarti di finale sui berlinesi dello Sport-Club Charlottenburg. In semifinale si è concretizzato il derby con una Lube Civitanova molto più costante rispetto al cammino nella Superlega nazionale. E capace di battere l’Halkbank Ankara di Abdel Aziz e Ngapeth che, nei playoff di spareggio per un posto ai quarti, aveva rispedito a casa i polacchi dello Zaksa, lontani parenti della squadra vincitrice delle ultime tre edizioni della Cev Champions League.
Giornale dei Biologi | Apr 2024 67 © EvrenKalinbacak/shutterstock.com Sport
Alessia Gennari della Imoco Conegliano.
Il match d’andata, a Trento, ha premiato un’Itas più cinica e matura nei momenti cruciali, trascinata da Michieletto e Rychlicki a un pesante 3-1. Già vittoriosa sulla Lube nei due incroci di campionato, l’armata gialloblu ha messo definitivamente in cassaforte il biglietto per la Turchia, aggiudicandosi il secondo e il terzo set nelle Marche. Gli ultimi due parziali (3-2 Civitanova il risultato) si sono trasformati in un’occasione per le seconde linee.
Il segreto per conquistare la finale lo ha “svelato” coach Fabio Soli, dopo il ritorno della semifinale: «Siamo stati bravissimi a mettere il gruppo davanti ad ogni cosa, a saper soffrire e a trovare le soluzioni di gioco nel corso della partita, accettando le nostre imperfezioni. Abbiamo offerto una pallavolo efficace con un’idea precisa di squadra, caratteristiche che ci accompagnano dall’inizio della stagione e su cui faremo ancora leva».
Trento ha vinto tre volte la Champions League, fra il 2009 e il 2011. Ma ha perso le ultime tre finali disputate, con Zenik-Kazan (2016) e Zaksa (2021 e 2022). Quest’anno, l’ultima avversaria si chiama Jastrzę bski Węgiel, che ha eliminato in semifinale i turchi dello Ziraat Bankasi, unici ad aver vinto 6 partite su 6 nella fase ai gironi, eppure qualificata al penultimo atto solo vincendo il golden set con gli spagnoli del Guaguas, dopo un clamoroso 0-3 casalingo. Lo Jastrzębski Węgiel è alla
“Siamo stati bravissimi a mettere il gruppo davanti ad ogni cosa, a saper soffrire e a trovare le soluzioni di gioco nel corso della partita, accettando le nostre imperfezioni. Abbiamo offerto una pallavolo efficace con un’idea precisa di squadra, caratteristiche che ci accompagnano dall’inizio della stagione e su cui faremo ancora leva”.
seconda finale consecutiva: lo scorso anno fu battuta al tie-break dallo Zaksa al palasport di Torino, pochi giorni dopo averlo annichilito nel campionato nazionale.
Dalla finale scudetto 2023 alla sfida per la conquista della Champions League: saranno Conegliano e Milano a contendersi il più prestigioso trofeo continentale in campo femminile. Per le venete dell’A. Carraro Imoco si tratta della quarta finale nelle ultime cinque edizioni e della quinta della sua storia, tutte fra il 2017 e oggi. Tre anni fa l’unico successo, per 3-2 sul VakifBank, club turco nel 2011 pose fine a sei stagioni di dominio targato Bergamo (4 titoli)-Perugia (2 titoli) e che da allora ha disputato dodici finali vincendone la metà.
Prima finale di Coppa dei Campioni, invece per la Pro Victoria Pallavolo Monza alias Allianz Vero Volley Milano. La “delusa” d’Italia è invece la Savino Del Bene Scandicci, passata con autorità con sei vittorie e due soli set persi nella Pool B ma eliminata ai quarti da quella stessa Eczacibasi battuta con un doppio 3-1 nel girone. Finaliste lo scorso anno, le Tigri di Turchia hanno reso la vita durissima anche all’Imoco in semifinale volando sullo 0-2 a Conegliano grazie alla solita, devastante Tijana Boskovic. Poi sono salite in cattedra una scintillante Bella Haak, autrice di 37 punti, e la talentuosa Khaila Lanier, che hanno sospinto le italiane al successo al tie-break, per 18-16. Al ritorno, straordinaria prova di forza muro-difesa per le venete, capaci di chiudere 3-1 e centrare il 41esimo sigillo di fila in tutte le competizioni.
Ora c’è il derby con il Vero Volley. Che facessero sul serio, le vicecampionesse d’Italia 2023 lo hanno fatto intendere nel girone, espugnando per 3-0 il campo del VakifBank, vincitore delle ultime due edizioni della Champions League, e qualificandosi ai quarti come prime. Ai quarti, Miriam Sylla e compagne non hanno lasciato scampo alle polacche della Lks,poi è arrivata l’impresa col Fenehrbace: 3-0 per le italiane a Milano, 3-1 per le turche a Istanbul. Decisivo il golden set, finito 11-15 per il Vero Volley, trascinato da una Paola Egonu che giocherà la quinta finale consecutiva con la quarta squadra diversa. Ne ha già vinte tre con Novara, Conegliano e VakifBank.
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Fabio Soli.
A destra, Kamil Rychlicki (oggi alla Itas Trentino) in un’immagine di repertorio.
Il 1° agosto di tre anni fa Lamont Marcell Jacobs, velocista italiano nato negli States, regalava la prima storica medaglia d’oro olimpica all’Italia nei 100 metri piani. Vola il tempo e tre anni sono passati manco fossero quei dieci secondi scarsi che separano lo start dal fotofinish della più ambita finale dell’atletica leggera. Al 4 agosto 2024, il detentore del titolo vuole arrivare nelle migliori condizioni possibili perché, dopo un anno condizionato dagli infortuni, il suo obiettivo dichiarato è fare il bis. E non solo a Parigi. «Quest’anno potrò dirmi felice se riuscirò a confermare i due titoli nei 100 agli Europei e alle Olimpiadi» ha dichiarato Jacobs in una recente intervista, raccontando la sua personale Road to Paris.
Il primo appuntamento con Marcell è fissato per il 18 maggio, allo stadio dei Marmi di Roma intitolato al suo illustre ‘avo’ sportivo Pietro Mennea. In quella data, l’azzurro correrà la sua specialità in occasione del Roma Sprint Festival, al rientro dagli Stati Uniti e a meno di tre settimane dagli Europei di casa. Successivamente, il calendario di Jacobs prevede la partecipazione alla gara dei 100 metri di Ostrava e poi la rassegna continentale, nella quale cercherà di difendere il titolo conquistato a Monaco due anni fa: finale in calendario nella serata di sabato 8 giugno allo stadio Olimpico. «Non vedo l’ora di essere lì - ha raccontato Jacobs a Sky Sport - correre in casa sarà un’ottima esperienza. Lo Sprint Festival sarà una gara importante, la mia prima in Italia: ho voglia di rivincita dopo due stagioni complicate».
Il Roma Sprint Festival sarà una tappa di avvicinamento importante, in una cornice prestigiosa, incorniciata dalle statue di marmo, per gli azzurri in vista dell’Europeo. La pista dello stadio dei Marmi, con la nuova colorazione grigia, è sensibilmente riqualificata da ‘Sport e Salute’ in vista dei Campionati Europei che si svolgeranno dal 7 al 12 giugno all’O-
JACOBS E LA CORSA
AL BIS D’ORO OLIMPICO
Il velocista azzurri debutterà al Roma Sprint Festival
il 18 maggio. Dallo scorso autunno è allenato dal guru Reider
limpico e nel Parco del Foro Italico, a cinquant’anni dall’ultima edizione organizzata in Italia. «Il Roma Sprint Festival è una tappa importante del calendario agonistico per alcuni dei nostri atleti di punta - ha spiegato il presidente della Fidal, Stefano Mei -. Questo è un anno cruciale per l’atletica italiana che inizierà con gli Europei in casa e si concluderà con i Giochi Olimpici di Parigi, dove cercheremo di consolidare il percorso di crescita avviato a Tokyo 2020».
Lo scorso settembre, Jacobs si è separato dal tecnico Paolo Camossi, affidandosi al guru statunitense Rana
Reider. Del nuovo tecnico parla così: «In questo momento a livello mentale sto benissimo, sono rilassato e tranquillo. Con l’allenatore si è subito instaurato un bel rapporto di fiducia, è il tipico americano che ti sprona a ogni ripetuta, inoltre è davvero uno scienziato. Tutto quello che facciamo è ripreso da dati. Il mio obiettivo del 2024 è quello di stare in salute prima di tutto e poi l’allenamento. E per ora entrambe le cose vanno bene. Ho una gran voglia di rivincita, dopo due anni un po’ complicati – ha concluso Jacobs - e di riprendermi quella medaglia vinta a Tokyo».
Giornale dei Biologi | Apr 2024 69
Sport
© roibu/shutterstock.com
Marcell Jacobs.
RISCHI E LEGGEREZZE LE (TROPPE) CADUTE CHE FANNO PAURA AL CICLISMO
La campagna di primavera è finita in ospedale per tanti big delle due ruote L’ex ct azzurro Cassani e l’ex professionista Roche hanno detto la loro, in maniera netta
Lo scorso anno i “colpevoli” erano stati individuati nei freni a disco, quest’anno si riflette anche su velocità sempre più alte, strade pericolose, scelte estreme sulle bici (dai mateirali alle geometrie) che perdonano meno gli errori. Tra corse a tappe e classiche, oltre alla classe di giganti come Tadej Pogacar e Mathieu Van der Peol, la primavera 2024 ha confermato che il ciclismo sta diventando decisamente pericoloso. E se lo scorso anno l’elvetico Gino Mader, 26 anni, in una terribile caduta al Giro di Svizzera ci ha rimesso la vita, nelle ultime settimane sono stati diversi i corridori tornati a casa con le ossa rotte - letteralmente - e senza certezze sul periodo di degenza, convalescenza e recupero.
All’imminente Giro d’Italia, in partenza il 4 maggio da Venaria Reale, mancherà uno dei protagonisti più attesi, Wout Van Aert della Visma Lease a Bike. Il belga era caduto all’Attraverso le Fiandre, a fine marzo, rimediando ben nove fratture (clavicola, sterno, diverse costole) e saltando, dopo un intervento chirurgico, tutte le classiche di aprile, incluse Giro delle Fiandre e Parigi-Roubaix che erano i suoi principali obiettivi stagionali. Non ci sarà neppure il suo connazionale Gerben Thijssen, finito al tappeto allo Scheldeprijs. Frattura alla clavicola e addio al Giro d’Italia 2024 anche per un altro atleta della Visma Lease a Bike, Wilco Kelderman. Non parliamo di novellini, ma di professionisti di fama e di esperienza nel mondo del ciclismo. Fra gli altri ancora non
al meglio o addirittura fermi ci sono i numeri 2 (Vingegaard), 3 (Evenepoel), 6 (Roglic), 8 (Adam Yates) del ranking mondiale, oltre al predetto Van Aerte che è numero 9, a Quintana e a un’altra decina di nomi significativi. Emblematica, in questo contesto, è stata la caduta nella quarta tappa del Giro dei Paesi Baschi, in Spagna, il 4 aprile. Una caduta nelle prime posizioni del gruppo, in discesa, a quasi 80 km orari, ha mandato al tappeto Vingegaard, vincitore degli ultimi due Tour de France, ma anche Roglic, Evenepoel, Skjelmose e Vine. Vingegaard è finito contro un masso, gli altri in un canale di scolo in cemento. Il danese è uscito davvero malconcio: trasportato in ospedale, ha rimediato fratture alla clavicola destra e diverse costole, una contusione polmonare e uno pneumotorace. Evenepoel ne è uscito con una clavicola e una scapola fratturata, quattro vertebre rotte - due cervicali e due toraciche - per Vine, fortunatamente senza danni neurologici. Solo abrasioni invece per l’eritreo Tesfatsion, pure lui coinvolto, e per Roglic, apparso su Instagram con un fianco del corpo interamente coperto di cerotti. Sempre al Giro dei Paesi Baschi, il giorno dopo, una caduta nella quinta tappa ha messo fuori causa Gil Gelders e Mikel Landa cui, in ospedale, è stata riscontrata una frattura alla clavicola.
Sulla terribile giornata del 4 aprile all’Iztulia Basque Country Tour è intervenuto Davide Cassani, ex ct azzurro e volto storico del ciclismo italiani che, chiedendosi «Ma è mai pos-
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sibile che ad ogni corsa succeda sempre qualcosa di brutto», sulla sua pagina Facebook ha espresso dettagliate considerazioni su materiali, rischi, organizzazione. L’analisi dei materiali parte dall’impressione che «per la prestazione sembra che siano disposti a fare qualsiasi cosa» e spazia dai manubri (passati da 42/44 a 37/38 cm) ai cerchi senza uncini di ritenzione, fino ai caschi.
L’ex ct della Nazionale è stato molto critico anche sul diktat di stare avanti a ogni costo, che i direttori sportivi urlano simultaneamente ai corridori quando ci sono situazioni di pericolo, curve strette, cambi di direzione. «Vuol dire che in situazione di pericolo non si diminuisce la velocità, al contrario, si accelera» ha aggiunto Cassani, sottolineando la necessità di regolamentare le “radioline” e la possibilità concreta di vedere sempre meno campioni alle gare, per evitare il rischio di compromettere una stagione.
Infine, la stoccata agli organizzatori della corsa basca che, dopo il lungo di un atleta in
Cassani.
L’ex ct della Nazionale, Davide Cassani, è stato molto critico sul diktat di stare avanti a ogni costo, che i direttori sportivi urlano simultaneamente ai corridori quando ci sono situazioni di pericolo, curve strette, cambi di direzione.
fuga nella curva poi fatale per le ambizioni (e l’integrità) di Vingegaard e colleghi, avrebbero dovuto segnalare meglio il pericolo. «Io credo che, se vogliamo migliorare la situazione, serva un confronto tra tutti i componenti del ciclismo: Uci, corridori, manager, direttori sportivi, giudici di gara, organizzatori perché non è possibile continuare così».
Sul tema si espresso, sempre sui social, un fresco ex professionista, Nicolas Roche, segnato ancora oggi da una brutta caduta alla Vuelta 2019. Per Roche il quale sono diverse le cause di una situazione definita “fuori controllo”: «La velocità è più alta, il livello generale si è alzato, la lotta per l’aerodinamica è anch’essa arrivata al limite del pericoloso, la potenza di frenata è maggiore, i corridori sono sempre più vicini, le squadre fanno di tutto per mettere pressione nei settori più pericolosi, le strade vengono fatte per far rallentare i veicoli mentre i ciclisti vanno sempre più forte. La posta in gioco è così alta –ha concluso Roche - che i corridori sono pronti a rischiare tutto per vincere». (A. P.)
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© Rena Schild/shutterstock.com
Davide
PER L’ITALRUGBY UN “SEI NAZIONI” DA RECORD
Stabilito lo storico primato di punti, 11, siglato la meta più bella e vinto il premio di miglior giocatore del torneo
Mai vista un’Italrugby così. Dopo aver spaventato Inghilterra e Francia, la squadra azzurra è stata capace di pennellare un “Sei Nazioni” indimenticabile, il migliore della sua storia, chiudendo a 11 punti grazie ai successi su Scozia e Galles, siglando la miglior meta del torneo con Pani e vincendo il premio di miglior giocatore con Menoncello. Insomma, un trionfo. Almeno rispetto alle abitudini della palla ovale italiana.
Per i profani della materia, il Sei Nazioni (già Cinque Nazioni, fino
all’ingresso dell’Italia nel 200) è un torneo internazionale di rugby che si tiene ogni anno tra le squadre nazionali maschili di Francia, Galles, Inghilterra, Irlanda, Scozia e, appunto, gli Azzurri. I quali, per una ragione o per l’altra, in 18 delle 24 precedenti partecipazioni (e nelle otto più recenti) aveva rimediato il simbolico “cucchiaio di legno”, il goliardico riconoscimento del quale viene insignita l’ultima classificata. Nel peggiore dei casi, il “wooden spoon” può fare il paio con il whitewash, ovvero l’enplein di sconfitte nelle cinque partite giocate.
L’Italia, che da regolamento ha dovuto disputare tre match esterni, ha iniziato con un rimpianto, battuta per 24-27 all’esordio dall’Inghilterra all’Olimpico di Roma. Avanti nel punteggio a fine primo tempo, gli azzurri del neo ct Quesada sono stati rimontati e battuti nella ripresa da un’Inghilterra sporca ed efficace. Incassato il secco 36-0 dall’Irlanda, che poi ha confermato il successo finale del 2023, l’Italia ha iniziato a raccogliere i frutti dei suoi progressi a Lille, nel match con la Francia. Sotto di dieci punti dopo neppure un quarto d’ora, la squadra azzurra ha rimontato con due calci piazzati e una meta di Capuozzo trasformata da Garbisi, con la Francia in inferiorità numerica. E solo il palo ha negato allo stesso Garbisi il sorpasso allo scadere.
Una delle pagine “più belle della storia del rugby italiano”, per usare le parole della Federugby, è stata il 3129 sulla Scozia all’Olimpico, a coronamento di una rimonta di carattere in un match ruvido, fisico, giocato a ritmi elevati per tutti gli 80 minuti, in un Olimpico gremito. Sotto 16-22 all’intervallo, l’Italia ha orchestrato una grande ripresa, volando anche a +9 grazie alle mete di Brex, Lyagh e Varney e al piede caldo di Garbisi: 5 su 6 dalla piazzola. Chiusura in bellezza al Principality Stadium, con un meritato successo sul Galles, ben più ampio di quanto dica il 21-24 finale. L’Italia è infatti arrivata a condurre anche 180, quando Pani ha trovato quella che è stata poi giudicata la miglior meta dell’intero torneo, con tanto di esultanza alla Cristiano Ronaldo. Il titolo di miglior giocatore, invece, è andato a un altro azzurro, il 21enne Tommaso Menoncello. Inserito tra i quattro candidati da una giuria di esperti, in base alle statistiche, è stato poi premiato dal 33 per cento dei voti del pubblico, che lo ha preferito a Bundee Aki, vincitore del Sei Nazioni con l’Irlanda, all’inglese Ben Earl e allo scozzese Duhan Van der Merwe. (A. P.)
72 Giornale dei Biologi | Apr 2024
Sport Sport
© Pennacchio Emanuele/shutterstock.com
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Giornale dei Biologi | Apr 2024 73
DAI PRIMI ORGANISMI ALL’AI: LE CINQUE SVOLTE EVOLUTIVE DEL CERVELLO
Se vogliamo comprendere le potenzialità delle macchine, dobboamo partire dall’analisi della trasformazione della mente fino a oggi
di Anna Lavinia
Max S. Bennett
“Breve storia dell’intelligenza”
Apogeo, 2024 – 28,00 euro
Max S. Bennett non era nato quando il mondo per la prima volta guardava un’anticipazione di futuro nella famiglia Jetson. Negli anni ’60 i protagonisti della fortunata serie animata anticipavano telefoni cellulari, videochiamate, schermi piatti e robot autonomi. Sessantadue anni dopo la loro prima sorprendente apparizione televisiva, si riesce ancora ad immaginare qualcosa che l’intelligenza artificiale non possa fare? Sebbene riesca a sconfiggere senza problemi il più grande maestro di scacchi non è in grado di fare una cosa piuttosto ordinaria: caricare una lavastoviglie. Ci sono in effetti spazi della vita umana che l’IA non può ancora occupare.
L’enorme fame d’informazioni che gira intorno all’intelligenza artificiale può essere spiegata dal fatto che ci troviamo davanti ad una grande trasformazione della nostra vita. Non è la prima volta che questo accade nella storia dell’uomo ma probabilmente è quella più temuta. Più o meno consapevolmente stiamo assistendo all’alba del processo di creazione di esseri artificiali superintelligenti.
Con il termine intelligenza si fa riferimento a qualcosa di astratto, alla facoltà e alla vivacità mentale di un essere vivente di comprendere, di elaborare e di agire. L’intelligenza oggi si fa concreta nella capacità delle macchine di effettuare delle azioni che fino a poco fa erano considerate impossibili. Cose che eravamo abituati a pensare intangibili hanno subito una rivoluzione digitale. Le macchine hanno superato le forze biologiche di cui gli umani sono dotati. Se vogliamo davvero comprendere le loro abilità e potenzialità del futuro dobbiamo imprescindibilmente partire dal passato, conoscere l’evoluzione della mente fino ad oggi.
Che l’intelligenza artificiale non abbia un cervello che pulsa al suo interno è un fatto sconvolgente ma non nuovo. La vita ha iniziato a mostrare un comportamento intelligente molto presto nella sua storia, prima dei cervelli. L’autore di questo saggio tenta di spiegare il modo in cui siamo arrivati fino a qui. Ricercatore e fondatore di startup, è stato inserito nel 2016 nella classifica Forbes “30 under 30” dei talenti che stanno cambiando il mondo. E sotto la sua lente d’ingrandimento mette l’organo
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Libri
umano più misterioso di tutti. Il nostro cervello è d’ispirazione, fa da guida alla costruzione dell’intelligenza artificiale. Più conosciamo le nostre menti, meglio potremmo realizzare quelle artificiali a nostra immagine. Il rapporto tra le due strutture però è bidirezionale: anche l’IA può insegnarci qualcosa sul cervello.
Prima di partire per un viaggio nel mondo dell’intelligenza artificiale ed umana, lo studioso ci avverte di un pericolo in agguato: un errore d’interpretazione che spesso commettiamo. Quello che i biologi moderni chiamano “scala della natura”, una gerarchia delle forme di vita in cui gli esseri umani sono superiori a tutti gli altri. Nel ripercorre la nostra storia dobbiamo evitare di pensare che gli umani, solo perché unici, siano migliori. Dobbiamo avere impresso nella mente che tutte le specie esistenti, essendo ancora vive, sono prime a pari merito.
L’evoluzione delle intelligenze non è finita con quella artificiale, siamo ancora all’inizio. Ma come ha dichiarato Steven Hawking, la sua ascesa «potrebbe essere la cosa peggiore o la cosa migliore che può accadere per l’umanità».
Caroline Crampton
“A body made of glass”
Granta Books, 2024 – 29,04 euro
Secondo uno studio, la preoccupazione eccessiva riguardo la propria salute farebbe aumentare il rischio di mortalità del 60 per cento. Dalla storia privata dell’autrice a quella nota di alcune celebrità, la biografia definitiva dell’ipocondria. Internet e dispositivi digitali sono i migliori amici o i peggiori nemici degli ipocondriaci? (A. L.)
Aina S. Erice, Amanda Mijanogs “Viriditas”
Aboca Edizioni, 2024 – 24,00 euro
Sono tante le donne che hanno incrociato la loro vita con la storia della botanica ma poche quelle di cui conosciamo i nomi. Grazie al loro lavoro e alle sfide difficili a cui si sono sottoposte, abbiamo potuto approfondire la conoscenza delle piante oggi. Questo libro vuole omaggiare la loro memoria rimasta lungamente nascosta. (A. L.)
Roberto Sitia, Giuliano Grignaschi
“Io le patate le bollo vive”
Einaudi, 2023 – 14,00 euro
Il titolo fa riferimento ad una frase pronunciata dal premio Nobel Rita Levi Montalcini al termine di un incontro tra animalisti ed esponenti della ricerca biomedica. Il testo, alla portata di tutti, fa una lettura a 360° della sperimentazione animale, dubbi e certezze tra il benessere degli animali e gli scopi scientifici. (A. L.)
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Libri
CONCORSI PUBBLICI PER BIOLOGI
SAINT CAMILLUS INTERNATIONAL UNIVERSITY OF HEALTH SCIENCES – UNICAMILLUS
Scadenza, 2 maggio 2024
Procedura di selezione per la chiamata di un professore di seconda fascia, settore concorsuale 05/F1 - Biologia applicata, per la Facolta’ dipartimentale di medicina. Gazzetta Ufficiale n. 27 del 02-04-2024.
UNIVERSITÀ CATTOLICA DEL SACRO CUORE DI MILANO
Scadenza, 9 maggio 2024
Procedura di valutazione per la copertura di un posto di ricercatore a tempo determinato, settore concorsuale 05/E1Biochimica generale, per la Facoltà di medicina e chirurgia “A. Gemelli” di Roma. Gazzetta Ufficiale n. 29 del 09-04-2024.
UNIVERSITÀ DI SALERNOCONCORSO
Scadenza, 9 maggio 2024
Procedura di selezione per la copertura di un posto di ricercatore a tempo determinato e pieno, settore concorsuale 05/C1, per il Dipartimento di chimica e biologia Adolfo Zambelli. Gazzetta Ufficiale n. 29 del 09-04-2024.
UNIVERSITÀ DI ROMA “TOR VERGATA”
Scadenza, 9 maggio 2024
Procedura di selezione per la copertura di un posto di ricercatore a tempo determinato in tenure track e pieno, per il Dipartimento di biologia. Gazzetta Ufficiale n. 29 del 09-04-2024.
SAINT CAMILLUS INTERNATIONAL UNIVERSITY OF HEALTH SCIENCES – UNICAMILLUS
Scadenza, 9 maggio 2024
Procedura di selezione per la copertura di un posto di ricercatore a tempo determinato, settore concorsuale 05/F1 - Biologia applicata, per la facoltà dipartimentale di medicina. Gazzetta Ufficiale n. 29 del 09-04-2024.
AZIENDA OSPEDALIERA ORDINE MAURIZIANO DI TORINO
Scadenza, 12 maggio 2024
Concorso pubblico, per titoli ed esami, per la copertura di un posto di dirigente biologo, per la S.C. Anatomia patologica - laboratorio di immunopatologia. Gazzetta Ufficiale n. 30 del 12-04-2024.
AZIENDA SANITARIA LOCALE DI SALERNO
Scadenza, 12 maggio 2024
Concorso pubblico, per titoli ed esami, per la copertura di otto posti di dirigente biologo, disciplina di patologia clinica, a tempo indeterminato. Gazzetta Ufficiale n. 30 del 12-04-2024.
AZIENDA SANITARIA LOCALE “VC” DI VERCELLI
Scadenza, 12 maggio 2024
Concorso pubblico, per titoli ed esami, per la copertura di un posto di dirigente biologo, disciplina di patologia clinicalaboratorio di analisi chimico-cliniche e microbiologiche, a tempo indeterminato. Gazzetta Ufficiale n. 30 del 12-04-2024.
SAINT CAMILLUS INTERNATIONAL UNIVERSITY OF HEALTH SCIENCES – UNICAMILLUS
Scadenza, 16 maggio 2024
Procedura di selezione per la copertura di un posto di ricercatore, a tempo
determinato, in tenure track e definito, settore concorsuale 05/E2 - Biologia molecolare, per la Facoltà dipartimentale di medicina. Gazzetta Ufficiale n. 31 del 1604-2024.
ESTAR TOSCANA
Scadenza, 16 maggio 2024
Concorso pubblico, per titoli ed esami, per la copertura di un posto di dirigente biologo, disciplina di patologia clinica, area della medicina diagnostica e dei servizi, per l’attività dell’unità operativa complessa terapie cellulari e officina trasfuzionale, dell’Azienda ospedaliero-universitaria Senese, a tempo indeterminato. Gazzetta Ufficiale n. 31 del 16-04-2024.
CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE - ISTITUTO DI BIOLOGIA E PATOLOGIA MOLECOLARI DEL CNR DI ROMA
Scadenza, 9 maggio 2024
Presso l’Istituto di Biologia e Patologia Molecolari del Cnr di Roma è indetta una selezione pubblica, per titoli e colloquio, per il conferimento di un assegno, tipologia B) “Assegni Post Dottorali” per lo svolgimento di attività di ricerca inerenti l’Area Scientifica “Biologia, Biotecnologie e Biorisorse” da svolgersi nell’ambito del programma di ricerca “Multiple genetic approach to identify italian rocket resilient to climate change” per la seguente tematica: “Approcci di miglioramento genetico classico e tecnologie di evoluzione assistita (TEA) per la generazione di varietà di Diplotaxsis tenuifolia con una resa più elevata” sotto la responsabilità scientifica del Dott.ssa Alice Pajoro. Il bando è stato pubblicato sul sito internet www.cnr. it, sezione “concorsi”.
76 Giornale dei Biologi | Apr 2024 Concorsi
Segui la sezione Bandi e Concorsi sul sito della FNOB
Troverai gli avvisi pubblici dedicati ai Biologi
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NUOVE OPPORTUNITÀ
78 Giornale dei Biologi | Apr 2024
L’ONB si è trasformato
Sono stati costituiti la FNOB e gli Ordini Regionali dei Biologi*
*Calabria
Campania-Molise
Emilia Romagna-Marche
Lazio-Abruzzo Lombardia
Piemonte-Liguria-Valle D’Aosta
Puglia-Basilicata Sardegna Sicilia
Toscana-Umbria
Veneto-Friuli Venezia Giulia-Trentino Alto Adige
Giornale dei Biologi | Apr 2024 79
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LFIBROMIALGIA: LA SINDROME DEL DOLORE CHE DERIVA
DA MOLTEPLICI CAUSE
La limitata comprensione di questa condizione continua a impattare negativamente sulla qualità della vita di coloro che ne sono affetti
a fibromialgia è una sindrome che si contraddistingue per la cronicità del dolore muscolare e in Italia ne soffrono circa 2 milioni di persone, soprattutto donne che iniziano ad avvertire i primi sintomi tra i 30 e i 35 anni fino a raggiungere condizioni invalidanti tra i 45 e i 64 anni. Quindi non parliamo di una malattia rara bensì di una cronica e invalidante che ad oggi non ha una cura ben definita ma può essere gestita attraverso una serie di trattamenti terapeutici. La fibromialgia non è stata ancora inserita nei LEA, i livelli essenziali di assistenza, ma nella prima metà del 2023 il Ministero della Salute ha approvato il Decreto Tariffe che rappresenta la premessa di un nuovo aggiornamento dei LEA con l’inserimento di nuove patologie croniche e invalidanti, tra cui la fibromialgia [1].
Questa condizione patologica è definita sindrome perché si verifica con segni (tratti della malattia che il medico riscontra durante la visita) e sintomi (fastidi e disturbi che il paziente riferisce al medico) che si presentano contemporaneamente. I sintomi che dipingono il quadro della sindrome fibromialgica sono: rigidità muscolare e articolare, insonnia, affaticamento, disturbi dell’umore, disfunzione cognitiva, ansia, depressione, ipersensibilità e incapacità di svolgere le normali attività quotidiane [2].
Per molti anni è rimasta una malattia sconosciuta tanto che venne genericamente chiamata “Sindrome del dolore” e successivamente le furono attribuite diverse definizioni, alcune delle quali sono ancora oggi in uso. Per esempio,
* Comunicatrice scientifica e Medical writer
quando la rigidità e il dolore interessano principalmente la nuca viene chiamata “Sindrome di Atlante” ricordando il gigante costretto da Zeus a reggere sulle spalle l’intero globo terrestre.
La fibromialgia è una condizione complessa, difficile da diagnosticare e può essere associata anche ad altre malattie come ad esempio le infezioni, il diabete, le malattie reumatiche e i disturbi psichiatrici o neurologici. Il fatto che coinvolga il sistema nervoso centrale conferma il forte impatto che esercita sulla vita quotidiana con ricadute socio-sanitarie ed economiche molto serie per chi ne soffre [2,3]. Come per tutte le altre patologie ancora oggi poco conosciute, anche per la fibromialgia capire meglio le sue cause e i meccanismi con cui progredisce è fondamentale per stabilire terapie efficaci.
Quali sono le cause della fibromialgia?
Non sono ancora del tutto chiare quali siano le cause della fibromialgia ma la diagnosi aiuta i pazienti ad affrontare il disagio dovuto ai molteplici sintomi con cui si manifesta, riducendo dubbi e paura che sono i principali fattori psicologici che contribuiscono all’amplificazione della malattia [4]. Le ricerche in corso si concentrano sui diversi meccanismi implicati nella sua insorgenza come la predisposizione genetica, i fattori metabolici, biochimici e immunologici ma anche la correlazione con disturbi psicologici e le disfunzioni della modulazione del dolore.
A giocare un ruolo molto importante nella patogenesi è la sostanza P, un neuropeptide che trasmette gli impulsi del dolore dai recettori periferici al sistema nervoso centrale. Nel liquido cerebrospinale delle persone che soffrono di fi-
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di Daniela Bencardino *
bromialgia, la sostanza P risulta tre volte superiore rispetto ai soggetti sani e questo amplifica i sintomi, soprattutto il dolore. Insieme all’aspetto neurologico, anche quello endocrinologico risulta ampiamente coinvolto. Infatti, nelle persone affette da fibromialgia si riscontra una ridotta attività dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene che causa un’insufficienza surrenale. Ed è proprio questa insufficienza a spiegare i sintomi di affaticamento cronico, la scarsa capacità di compiere movimento fisico e la ridotta attività muscolare.
Lo stress ossidativo è un altro fattore cruciale dato che la fibromialgia fa registrare un ridotto livello di coenzima Q10. Questo enzima, naturalmente prodotto dall’organismo, viene utilizzato per generare energia e ha anche un effetto antiossidante, cioè protegge le cellule dai danni causati dai radicali liberi. La ridotta quantità del coenzima Q10 all’interno della cellula non consente il corretto funzionamento dei mitocondri. Di conseguenza, il superossido e i prodotti di perossidazione lipidica non vengono eliminati correttamente e la loro attività aumenta portando all’autodistruzione (autofagia) delle cellule del sangue con successivo danneggiamento dei tessuti [5].
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Anche un trauma può rappresentare un fattore scatenante la fibromialgia. Storie di abusi e trascuratezza vissute durante l’infanzia contribuiscono all’insorgenza di malattie fisiche in età adulta, soprattutto nel contesto delle malattie mentali. I traumi della vita favoriscono disturbi della personalità e scarsa reattività allo stress, due caratteri molto diffusi nei pazienti fibromialgici. Probabilmente la causa è un’alterazione dei livelli di glucocorticoidi, ormoni steroidei che sono coinvolti nella risposta allo stress, nella percezione del dolore, nella regolazione del sonno e nella funzione immunitaria. Tuttavia, la loro relazione con la patologia non è stata ancora completamente compresa.
L’alta prevalenza della fibromialgia tra i pazienti reumatologici ha suggerito la possibile correlazione tra la fibromialgia e le malattie autoimmuni. Così in uno studio su larga scala condotto a livello nazionale a Taiwan è stato osservato
che i pazienti con fibromialgia avevano un rischio maggiore di sviluppare la sindrome di Sjögren. Quest’ultima è una patologia infiammatoria autoimmune che colpisce le ghiandole esocrine, come quelle lacrimali e salivari, e in alcuni casi può estendersi a nuovi organi e tessuti e causare altre malattie autoimmuni. Un’ulteriore conferma del coinvolgimento del sistema immunitario è l’eccessiva metilazione di alcune regioni del gene GCSAML nelle donne con fibromialgia rispetto alle loro sorelle sane. Infatti, questo gene codifica per una molecola segnalatrice associata alla proliferazione e alla differenziazione dei linfociti B maturi [3].
Diagnosi
La fibromialgia è una sindrome complessa e la diagnosi sulla base dei sintomi riferiti dal paziente può risultare tardiva poiché spesso si sovrappongono a quelli di molte altre patologie. La complessità della sindrome si evince anche dal susseguirsi di continui aggiornamenti dei criteri utilizzati per la diagnosi. Fino al 2010 ci si basava sui criteri dell’American College of Rheumatology (ACR) del 1990 che diagnosticavano la fibromialgia se il paziente riferiva: dolore diffuso persistente da almeno tre mesi consecutivi e “punti di dolore” (tender points) in aree specifiche del corpo a seguito di una leggera pressione delle dita. Nel 2010 furono introdotti nuovi criteri dove al dolore diffuso si aggiunse il punteggio sulla scala di gravità dei sintomi sia somatici
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che cognitivi. Questo approccio ha permesso di identificare correttamente la patologia nel 93% dei casi con una specificità del 97% e una sensibilità del 92%. Nel 2016 questi criteri sono stati ulteriormente aggiornati e prevedevano:
• dolore generalizzato in almeno 4 delle 5 regioni specifiche per la fibromialgia;
• sintomi presenti per almeno tre mesi;
• indice del dolore diffuso ≥ 7 e gravità dei sintomi ≥ 5;
• diagnosi di fibromialgia valida indipendentemente da altre diagnosi;
• diagnosi di fibromialgia confermata anche in compresenza di altre malattie.
Tuttavia, la variabilità individuale e la compresenza di altre patologie complicano la definizione di criteri universali, pertanto test di laboratorio e strumentali devono essere adeguati al singolo caso aiutando lo specialista a confermare o smentire il sospetto diagnostico [2,4].
Oggi, attraverso segni e sintomi sospetti il medico di base riesce a identificare la patologia e indirizzare il paziente verso una visita approfondita da uno specialista reumatologo oppure algologo. A questo punto la diagnosi viene confermata attraverso precisi criteri stabiliti durante la consensus conference tenuta nel 2017 dai principali esperti italiani e dal Percorso Diagnostico Terapeutico Assistenziale (PDTA) italiano redatto nello stesso anno. Questa fase è critica per l’inizio delle terapie fondamentali che possono davvero cambiare il corso della malattia [6].
Inoltre, non sono stati ancora individuati biomarcatori specifici e la ricerca è orientata anche verso questo obiettivo affinché la diagnosi diventi sempre più precisa attraverso l’identificazione di fattori genetici o anche ambientali alla base della fisiopatologia della malattia.
La prevalenza della fibromialgia in gruppi familiari supporta la teoria secondo cui i fattori genetici, in combinazione con cause ambientali come traumi, malattie o stress emotivo, potrebbero predisporre le persone ad ammalarsi. I geni considerati fattori di rischio sono quelli coinvolti nei disturbi dell’umore e includono il trasportatore (5-HTT) e il recettore della serotonina 2A(5-HT2A), la catecol-O-metiltransferasi (COMT) e il recettore della dopamina.
Nelle condizioni di dolore cronico, inoltre, è stato osservato che i microRNA modificano l’espressione di molecole segnalatrici, trasmettitori, canali ionici o proteine strutturali portando all’iperattività dei neuroni nocicettivi periferici e del sistema nervoso centrale.
Nel dolore cronico anche le vie epigenetiche svolgono un ruolo significativo nella mediazione di cambiamenti a lungo termine sul sistema nervoso centrale e periferico. In particolare, le modifiche dello stato di metilazione così come quelle istoniche e l’espressione dei microRNA sembrano verificarsi in presenza di infiammazione periferica e danni nervosi nelle regioni legate al dolore [2].
Questi dati, seppur preliminari, sottolineano la necessità di comprendere meglio la patogenesi della fibromialgia con lo scopo di migliorarne la diagnosi.
Trattamento
La cura della fibromialgia richiede una diagnosi adeguata e un approccio basato sui sintomi, ma l’attuale conoscenza limitata della malattia complica lo sviluppo di terapie efficaci. I farmaci ampiamente utilizzati sono quelli che agiscono a livello del sistema nervoso centrale come antidepressivi, miorilassanti e anticonvulsivanti. Questi esercitano la loro azione su neuromediatori come serotonina
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e sostanza P le cui alterazioni sembrerebbero determinare l’insorgenza della malattia. Gli antidepressivi, inoltre, sono farmaci che facilitano il sonno e, consentendo al paziente di riposare meglio, alleviano il dolore. I miorilassanti agiscono con lo stesso obiettivo degli antidepressivi perché grazie alle loro proprietà sedative consentono ai muscoli di distendersi migliorando il riposo notturno mentre non è ancora molto chiaro il meccanismo con cui gli anticonvulsivanti apportino il loro effetto analgesico nei pazienti con fibromialgia. Si ipotizza che sia dovuto alla capacità di limitare l’attività neuronale e quella di interferire con i recettori dei neurotrasmettitori coinvolti nella diffusione del dolore [6].
Tuttavia, trattare la fibromialgia solo con i farmaci non porta a risultati soddisfacenti nonostante la ricerca negli ultimi anni abbia reso disponibili numerose molecole ad azione antidolorifica. La gestione attuale della fibromialgia, infatti, prevede una serie di approcci compresi l’educazione del paziente, la psicoterapia e un programma di attività fisica [5].
Sostenere i pazienti nell’interpretare e accettare la malattia e formarli su come gestirla può aumentare l’aderenza al trattamento nel lungo periodo. Il paziente risponde meglio alle cure quando è consapevole della limitata disponibilità dei trattamenti e soprattutto quando viene coinvolto nella formulazione di un piano di trattamento personalizzato. Oggi, grazie alla diffusione di piattaforme disponibili in rete e all’attivazione di programmi educativi di gruppo è possibile fornire ai pazienti un ulteriore supporto sociale.
Inoltre, alcuni studi hanno riportato che una dieta ipocalorica, vegetariana o a basso contenuto di oligosaccaridi fermentabili, disaccaridi, monosaccaridi e polioli (FODMAPs) può avere effetti positivi sulla qualità della vita [7].
Anche l’esercizio fisico migliora la gestione del dolore e degli stati di ansia, in particolare gli esercizi aerobici, l’allenamento della forza e quello della flessibilità corporea. Il primo contribuisce al benessere generale, alla funzionalità fisica e riduce il dolore; l’allenamento della forza riduce lo stato depressivo mentre una maggiore flessibilità corporea aumenta la qualità della vita. Inizialmente si dovrebbero integrare nelle proprie abitudini quotidiane degli esercizi a bassa intensità e proseguire aumentando gradualmente la durata fino a 30-60 minuti di attività almeno tre volte a settimana. Anche la danza è un tipo di esercizio aerobico che può essere utilizzato come terapia alternativa. Si è rivelata efficace nel migliorare la capacità funzionale, il dolore, la qualità della vita e l’immagine corporea delle donne affette da sindrome da fibromialgia [8].
L’assistenza psicologica-psichiatrica dei pazienti con fibromialgia è un valido supporto durante il trattamento, soprattutto nei casi in cui i sintomi sono particolarmente acuti. Inoltre, la fibromialgia si presenta spesso con disturbi psichiatrici che già di per sé rappresentano una condizione
altamente disturbante e possono interferire a vari livelli con la sindrome, per esempio intensificando la componente affettiva del dolore o amplificando il deficit funzionale [6].
Conclusioni
La fibromialgia è dunque una sindrome molto complessa che si manifesta con diversi sintomi, pertanto la ricerca sta assumendo un’importanza crescente con l’obiettivo principale di migliorare la qualità della vita dei pazienti e l’impatto economico che ha sulle famiglie e sul sistema sanitario. Non si conoscono ancora bene le cause che portano alla sua insorgenza e la diagnosi si basa solo su valutazioni cliniche. Lo stress ossidativo, una disfunzione mitocondriale e un disequilibrio tra ossidanti e antiossidanti sono tra le cause più indagate ma richiedono ulteriori studi per chiarire il loro ruolo nella patogenesi della malattia. Attualmente non sono stati identificati test o biomarcatori che consentano di diagnosticarla con precisione. Le analisi di laboratorio possono indicare solo una predisposizione, ma gli studi in atto suggeriscono che gli studi genetici potrebbero avere potenziali applicazioni come nuovi metodi diagnostici. Il solo trattamento farmacologico non è sufficiente e, considerando i diversi meccanismi di sensibilità al dolore, i trattamenti devono prevedere diversi programmi multidisciplinari che agiscono sulle cause neurologiche, cognitive, emotive e interpersonali del dolore cronico che caratterizzano la fibromialgia.
Bibliografia
1. Ministero della Salute. Ministero della Salute Ministero della Difesa. 2012;1–4. Available from: http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pagineAree_4588_listaFile_itemName_0_file.pdf
2. Siracusa R, Di Paola R, Cuzzocrea S, Impellizzeri D. Fibromyalgia: Pathogenesis, mechanisms, diagnosis and treatment options update. Int. J. Mol. Sci. 2021.
3. Giorgi V, Bazzichi L, Batticciotto A, Pellegrino G, Di Franco M, Sirotti S, et al. Fibromyalgia: one year in review 2023. Clin Exp Rheumatol. 2023;41:1205–13.
4. Maffei ME. Fibromyalgia: Recent advances in diagnosis, classification, pharmacotherapy and alternative remedies. Int J Mol Sci. 2020;21:1–27.
5. Assavarittirong C, Samborski W, Grygiel-Górniak B. Oxidative Stress in Fibromyalgia: From Pathology to Treatment. Oxid Med Cell Longev. 2022;2022.
6. Partecipato H, Stesura A, Presente DEL, Sarzi-puttini PP. Consensus conference sul PDTA 2017;1-28.
7. Houck DR, Sindelar L, Sanabria CR, Stanworth SH, Krueger M, Suh M, et al. NYX-2925, A Novel N-methyl-D-aspartate Receptor Modulator: A First-in-Human, Randomized, Double-blind Study of Safety and Pharmacokinetics in Adults. Clin Transl Sci. 2019;12:164–71.
8. Qureshi AG, Jha SK, Iskander J, Avanthika C, Jhaveri S, Patel VH, et al. Diagnostic Challenges and Management of Fibromyalgia. Cureus. 2021;13.
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NUOVE POSSIBILITÀ DI CURA PER IL MEDULLOBLASTOMA
RESISTENTE A CHEMIOTERAPIA
Una novità importante per i tumori cerebrali pediatrici, dove le opzioni terapeutiche sono limitate dalla tossicità dei trattamenti somministrati e dall’invasività degli interventi
“Inostri risultati suggeriscono che le cellule resistenti ai farmaci ricollegano in modo significativo più processi cellulari, consentendo il loro adattamento a un ambiente chemiotossico, esponendo tuttavia suscettibilità alternative utilizzabili per il loro targeting specifico,” spiegano i ricercatori del Dipartimento di Salute della Donna e del Bambino dell’Università di Padova, autori dell’articolo pubblicato sulla rivista Acta Neuropathologica Communications, in cui hanno dimostrato che i farmaci che agiscono sul metabolismo delle cellule tumorali, e che sono chiamati comunemente antimetaboliti, sono particolarmente attivi nel trattamento delle cellule tumorali resistenti alle terapie. La resistenza alla chemioterapia è una delle sfide più impegnative che i medici devono affrontare durante le cure dei pazienti oncologici e che i ricercatori devono cercare di risolvere con i loro studi sperimentali. L’insorgenza di cellule tumorali resistenti alle terapie è infatti uno dei maggiori ostacoli alla completa eliminazione del tumore.
Questo è particolarmente rilevante per il medulloblastoma, un tumore cerebrale pediatrico ancora difficile da curare e spesso refrattario alla chemioterapia. Ribadiscono i ricercatori:” Nonostante siano stati compiuti progressi positivi nel trattamento e nella cura dei pazienti affetti da diversi tipi di cancro, l’eventuale sviluppo di resistenza ai farmaci antitumorali rappresenta ancora un ostacolo cruciale alla cura dei pazienti. Infatti, l’incapacità di ottenere una completa eliminazione delle cellule maligne influenza inevitabilmente la prognosi e l’esito del paziente. Ciò diventa particolarmente rilevante nel contesto dei tumori cerebrali pediatrici, dove le opzioni terapeutiche sono già
limitate dalla localizzazione del tumore, dall’inaccettabile tossicità dei trattamenti somministrati in età pediatrica e dall’elevata invasività degli approcci non farmacologici”. Sebbene i meccanismi più ampiamente accettati che spiegano lo sviluppo della resistenza siano basati sull’acquisizione di alterazioni genetiche che colpiscono i bersagli dei farmaci, i risultati più recenti suggeriscono il potenziale coinvolgimento di diversi e anche fattori molto diversi dipendenti da meccanismi non mutazionali. Questi includono il potenziamento dell’efflusso del farmaco, l’induzione di risposte adattive allo stress come osservato recentemente nella persistenza degli antibiotici batterici e la plasticità della struttura della cromatina. Questo scenario complesso evidenzia che i meccanismi potenzialmente nascosti che sostengono la resistenza alla chemioterapia devono ancora essere scoperti, stimolando così la ricerca sul campo, con l’obiettivo di identificare peculiari alterazioni che inducono resistenza che fungeranno da promettenti vulnerabilità attuabili per l’eradicazione delle cellule tumorali. Spiegano gli autori dello studio: ”Qui, abbiamo generato, caratterizzato e sottoposto a screening farmacologico (attraverso un approccio HTS ad hoc) modelli resistenti alla chemioterapia di medulloblastoma (MB), la principale causa di morte dipendente dal cancro nei bambini.
In effetti, i MB mostrano una rapida crescita e proprietà altamente invasive, con il 15-30 per cento di essi che elude/ resiste ai trattamenti e sviluppa una recidiva fatale. Tuttavia, il programma di trattamento altamente aggressivo, che comprende intervento chirurgico, radioterapia e chemioterapia intensiva, si traduce spesso in un elevato carico di morbilità a lungo termine a causa della tossicità indotta
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di Cinzia Boschiero
dalla terapia. Il nostro approccio sperimentale ha permesso di selezionare funzionalmente il metabolismo nucleosidico come processo cellulare rilevante che caratterizza il fenotipo resistente delle cellule MB, che potrebbe poi essere sfruttato come suscettibilità specifica di queste cellule, con evidenti scopi terapeutici”.
I meccanismi molecolari che sostengono la resistenza delle cellule tumorali alle terapie che ne consentono l’adattamento, la sopravvivenza e la ricrescita sono ancora poco conosciuti. Di conseguenza, la gestione clinica dei tumori MB ricorrenti è gravemente influenzata da un’inadeguata considerazione dell’elevata divergenza mostrata dai tumori MB evoluti dal trattamento che recidivano dopo le terapie. Inoltre, la mancanza di raccolte di campioni di tumori abbinati primari e recidivi adeguati influenza pesantemente l’identificazione di strategie alternative per prevenire le ricadute o almeno trattare efficacemente i tumori ricorrenti emergenti.
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Dicono i ricercatori: ”Il nostro approccio sperimentale, ha permesso di generare e profilare rilevanti modelli in vitro di cellule MB resistenti alla chemioterapia, evoluti dopo uno stimolo chemioterapico ciclico. Infatti, i risultati forniti da questo studio descrivono uno scenario complesso in cui diversi processi cellulari si adattano all’ambiente chemiotossico, essendo quindi soggetti a una regolazione multilivello, dall’attivazione della via chinasi-dipendente all’espressione genica”. Ciò rende le cellule MB più refrattarie ad ulteriori trattamenti chemioterapici, ma espone anche peculiari suscettibilità dipendenti dalla riprogrammazione di determinate funzioni metaboliche cellulari. In questo studio, è stata identificata la classe degli antimetaboliti degli analoghi delle purine come un insieme rilevante di farmaci clinicamente disponibili in grado, non solo di colpire selettivamente le cellule MB resistenti alla chemioterapia, ma anche di sinergizzare in combinazione con regimi terapeutici standard. Di conseguenza, i dati forniscono un primo passo avanti verso la riduzione dei regimi aggressivi
ad alte dosi, la prevenzione della preoccupazione di lunga data riguardante la neurotossicità indotta dalla terapia e la morbilità. Si punta alla messa a punto di opzioni terapeutiche più efficaci. I modelli resistenti alla chemioterapia descritti in questo lavoro soddisfano la necessità di modelli affidabili di malattia ricorrente nel MB, dove la mancanza di tessuti recidivanti ostacoli l’identificazione dei fattori molecolari responsabili della ricrescita del tumore. Nonostante siano molto promettenti, i risultati di questo studio necessiteranno di ulteriore interpretazione al fine di svelare ulteriori nodi biologici cruciali che contribuiscono al fenotipo chemiotollerante osservato.
I risultati ottenuti nello studio sono comunque all’avanguardia ed hanno un rilevante impatto nella ricerca sul MB. Infatti, svelano un peculiare ricablaggio che si verifica nelle cellule MB resistenti, che mostra la sovraregolazione di percorsi specifici possibilmente coinvolti nel favorire la sopravvivenza delle cellule resistenti e la risposta ai chemioterapici. Questi dati aumentano notevolmente la conoscenza degli eventi molecolari coinvolti dalle cellule che fuggono dalla chemioterapia e di come queste cellule possano adattarsi al microambiente chemiotossico. Inoltre, le cellule MB resistenti possiedono caratteristiche trascrizionali specifiche che influiscono non solo sulla risposta ai farmaci, ma anche sulla prognosi del paziente MB. Ancora più importante, i dati prodotti dall’approccio HTS
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utilizzato hanno consentito l’identificazione degli analoghi delle purine come composti efficaci contro le cellule MB resistenti alla chemioterapia.
Questi risultati aumentano la rilevanza dei dati emersi dallo studio poiché i farmaci identificati sono stati precedentemente approvati per il trattamento di altre neoplasie, con la promessa di una loro facile traduzione clinica nel contesto del MB. I set di dati sull’espressione genica generati durante lo studio attuale sono disponibili nell’archivio GEO con il numero di accesso alla serie GSE220543 e sono accessibili senza restrizioni. Gli autori dello studio specificano che sono grati al Prof. Pfister del KiTZ Hopp Children’s Cancer Center Heidelberg per i suoi commenti costruttivi sullo studio. Inoltre, ringraziano il Dr. Frasson del Pediatric Research Institute, Padova per l’aiuto tecnico durante i test LDA. Infine, ringraziano il Prof. Liotta della George Mason University, Manassas per aver condiviso i protocolli e le strutture di proteomica. La ricerca è stata possibile grazie ad un finanziamento erogato dall’Università degli Studi di Padova. Questo lavoro è stato sostenuto dai fondi dell’Istituto di Ricerca Pediatrica Città della Speranza (Progetto n. IRP18/06), della Fondazione Rally per la Ricerca sul Cancro Infantile (#20IN28 e #21IC16), della Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo (CARIPARO) ( Progetto n. 17/07_1 FCR a SB e Progetto n. 20/16 FCR a LP), dalla Fondazione Just Italia (“Più forti di tutto”) e dalla Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro (AIRC) oltre che da alcune borse di studio della Fondazione Umberto Veronesi e borse di studio dell’AIRC (ID 24185). Le fonti di finanziamento non sono state coinvolte in alcun processo di progettazione dello studio, interpretazione dei dati o scrittura e presentazione dello studio.
I Co-autori primi sono Elena Mariotto, Elena Rampazzo e Roberta Bortolozzi, e hanno collaborato i ricercatori Giampietro Viola e Luca Persano, si tratta di un team estremamente preparato e coeso, molto motivato. Occorre ricordare che il medulloblastoma è il tumore maligno del sistema nervoso centrale più frequente nei bambini e insorge in una regione definita fossa cranica posteriore, regione ove è situato anche il cervelletto. I tumori embrionali del sistema nervoso centrale rappresentano all’incirca il 4 per cento delle neoplasie infantili. In Italia, secondo i dati AIRTUM (Associazione italiana registri tumori), sono colpiti da questo tipo di malattie circa 7 bambini ogni milione. L’incidenza è leggermente più alta tra i maschi rispetto alle femmine e tra i bambini più piccoli. Sono maggiormente a rischio di sviluppare medulloblastomi i bambini affetti da alcune malattie genetiche, per esempio la sindrome di Turcot, la sindrome di Gorlin e la sindrome di Li-Fraumeni. I sintomi con cui si manifesta all’inizio possono essere legati alla compressione, da parte del tumore, di strutture nella fossa cranica posteriore del cervello o legati al blocco della
circolazione del liquor e quindi all’idrocefalo causato da questo blocco.
I sintomi più comuni sono: mal di testa, vomito, instabilità progressiva nel camminare, comparsa di strabismo e comparsa di deviazione della testa. Ogni attività di prevenzione primaria richiede che le cause del tipo di tumore che si desidera prevenire siano note. Tuttavia, è raro che i tumori abbiano una singola causa. Per questa ragione, nella maggioranza dei casi è difficile o impossibile stabilire a posteriori, con criteri scientifici, l’origine di un tumore insorto in una persona, e in particolare è ancora più difficile nei bambini. Per i medulloblastomi non è al momento possibile stabilire strategie efficaci per la prevenzione, poiché non sono stati identificati fattori di rischio modificabili. Anche per questo è importante che i genitori di un bambino con medulloblastoma sappiano di non avere alcuna responsabilità per la malattia del proprio figlio. Purtroppo non è infrequente che, anche se le terapie hanno funzionato, il cancro si ripresenti a distanza di tempo (recidiva). In tal caso le cure disponibili sono generalmente inefficaci. La sopravvivenza a cinque anni dalla diagnosi si aggira intorno al 60-70 per cento.
La diagnosi viene effettuata con esami strumentali (Tomografia Computerizzata e successivamente Risonan-
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za Magnetica). Data la possibilità che esista una malattia disseminata ad altre regioni del sistema nervoso centrale, è sempre indispensabile ottenere immagini sia del cervello che del midollo spinale. Un prelievo del liquor tramite puntura lombare consente di escludere la presenza di cellule neoplastiche a questo livello. La conferma all’esame istologico viene ottenuta dopo l’intervento chirurgico di asportazione della lesione. Esistono diverse forme di medulloblastoma che sono distinguibili all’esame istologico e che consentono di prevedere l’aggressività del tumore.
Si distinguono tra forma classica con tessuto gelatinoso, molto ricco di vasi sanguigni; desmoplastica con tessuto più compatto; estensiva nodularità con prognosi migliore, può essere associata a sindromi genetiche (Sindrome di Gorlin); anaplastica a grandi cellule – in tal caso la malattia è più aggressiva, caratterizzata da molte alterazioni cellulari. La terapia del medulloblastoma si basa su tre pilastri fondamentali: chirurgia, chemioterapia, radioterapia. Spesso è necessario un intervento chirurgico preliminare che consenta di risolvere l’idrocefalo, prima di procedere all’asportazione del tumore. L’asportazione della neoplasia avviene attraverso un intervento chirurgico che prevede un taglio nella porzione posteriore della testa e della parte più alta del collo. L’utilizzo delle moderne tecniche neuro-
chirurgiche (neuronavigatore, microscopio, monitoraggio neurofisiologico) consente di ottenere il massimo dall’asportazione minimizzando i rischi di danno neurologico. L’asportazione chirurgica ideale è quella che consente di rimuovere il tumore completamente, tuttavia ci sono situazioni in cui il tessuto malato infiltra il tronco encefalico (una struttura nervosa vitale molto profonda e delicata) per cui si preferisce preservare le funzioni nervose lasciando piccole porzioni tumorali residue che verranno colpite dalle terapie successive.
Una volta confermata la diagnosi la terapia più adeguata verrà scelta in accordo con protocolli di trattamento internazionali. Il trattamento chemio-radioterapico viene scelto sulla base dell’età del bambino e dell’aggressività della malattia (terapie più intensive per consentire la guarigione delle forme più aggressive). La chemioterapia viene somministrata per via venosa, generalmente attraverso l’uso di un catetere venoso centrale che evita di eseguire frequenti punture venose. I farmaci utilizzati possono variare in base alle indicazioni specifiche dei protocolli. La radioterapia viene eseguita su tutto il cervello e midollo spinale, indirizzando però una dose più alta di radiazioni sui punti in cui si trovava il tumore al momento della diagnosi e una dose minore nelle restanti parti del cervello e del midollo spinale.
Questo tipo di trattamento ha lo scopo di ridurre la possibilità che piccoli residui cellulari possano consentire la comparsa di ricadute della malattia in futuro. «Nonostante siano molto promettenti, questi risultati chiariscono solo su una piccola parte dei potenziali meccanismi con cui le cellule tumorali sfuggono alle attuali terapie antitumorali,” spiegano il Prof. Giampietro Viola e il Dott. Luca Persano, coordinatori dello studio,”Anche per questo saranno un punto di partenza per ulteriori studi finalizzati alla caratterizzazione dei processi che sostengono la resistenza terapeutica nei tumori cerebrali pediatrici e l’identificazione di potenziali bersagli farmacologici». Il medulloblastoma è tra le neoplasie maligne più guaribili con le terapie attualmente disponibili. Accanto alla classificazione istologica esiste la possibilità di riconoscere dei sottogruppi in base ai difetti molecolari che provocano la proliferazione delle cellule tumorali.
In particolare si distinguono 4 sottogruppi (WNT, SHH, gruppo 3 e gruppo 4) con diversa frequenza e risposta alle cure. Esistono inoltre dei difetti molecolari (attivazione del gene MYC) che forniscono ulteriori indicazioni sull’aggressività della malattia. Al momento la ricerca è volta a trovare marcatori di malattia che consentano di ridurre ulteriormente l’intensità delle cure quando questo non modifichi la prospettiva di guarigione e ad individuare specifici difetti molecolari contro i quali sviluppare farmaci intelligenti. Il medulloblastoma è una neoplasia aggressi-
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va, e per ottenere probabilità di guarigione sono necessarie terapie altrettanto aggressive. L’impatto di queste terapie sulla qualità della vita di un bambino, ragazzo o adulto guarito da un medulloblastoma può essere notevole. Per questo è necessario ampliare le conoscenze di questa malattia e rivolgersi a Centri altamente qualificati che possano scegliere, in base alle caratteristiche cliniche, istologiche e molecolari della malattia il giusto trattamento per eradicarla ma al tempo stesso per garantire una buona qualità della vita futura.
Spiegano i ricercaatori:”Peraltro, le attuali opzioni terapeutiche prevedono l’utilizzo di farmaci che sono parzialmente efficaci, oltre a causare numerosi effetti collaterali e tossicità per i piccoli pazienti. Ciò lascia spazio a potenziali recidive, insieme alle conseguenze a volte durature di farmaci non del tutto tollerabili. Allo scopo di identificare i meccanismi molecolari che permettono ad alcune cellule tumorali di resistere alla chemioterapia, ci siamo adoprati nel nostro Dipartimento di Salute della Donna e del Bambino dell’Università di Padova insieme a colleghi dell’Istituto di Ricerca Pediatrica - Città della Speranza”. I ricercatori di questo studio hanno esposto ciclicamente cellule di medulloblastoma derivate dai pazienti alla stessa combinazione di farmaci comunemente utilizzata in clinica. Hanno così cercato di riprodurre in laboratorio ciò che accade quando un tumore mostra la propria resistenza alla chemioterapia.I risultati sono stati pubblicati sulla rivista internazionale Acta Neuropathologica Communications in un articolo dal titolo “Molecular and functional profiling of chemotolerant cells unveils nucleoside metabolism-dependent vulnerabilities in medulloblastoma”. Lo studio è stato coordinato dal Prof. Giampietro Viola e dal Dott. Luca Persano del Dipartimento di Salute della Donna e del Bambino dell’Università di Padova ed è stato condotto con pari contributo dalle Dottoresse Elena Mariotto, Elena Rampazzo e Roberta Bortolozzi. Grazie a questi esperimenti i ricercatori hanno mostrato che le cellule di medulloblastoma resistenti alla chemioterapia sono in grado di stravolgere completamente molteplici processi intracellulari. Le cellule tumorali contrastano così i danni provocati dai farmaci, si adattano ai trattamenti farmacologici e soddisfano le crescenti esigenze di nutrienti. Questa riconfigurazione metabolica può però trasformarsi nel tallone di Achille di queste cellule. I ricercatori coinvolti nello studio sono stati in grado di identificare tali vulnerabilità grazie a uno screening di più di duemila farmaci, con il quale hanno dimostrato che i farmaci che agiscono sul metabolismo delle cellule tumorali, chiamati comunemente antimetaboliti, sono particolarmente attivi nel trattamento delle cellule resistenti. Questo risultato è particolarmente rilevante, dal momento che molti dei farmaci identificati sono già approvati e attualmente impiegati nel trattamento
di altre neoplasie, anche pediatriche, facilitando così il loro potenziale futuro impiego anche nel contesto del medulloblastoma. «Gli studi sulla resistenza alla chemioterapia effettuati e descritti”, dice la dott.ssa Elena Mariotto, prima coautrice dell’articolo,” sono un buon sistema per studiare la resistenza farmacologica e il suo impatto sulla prognosi del medulloblastoma pediatrico. Possono infatti almeno in parte sopperire alla mancanza di campioni di recidive, una lacuna che può ostacolare l’identificazione dei fattori molecolari responsabili della ricrescita del tumore in seguito alla terapia».
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IL BIOLOGO NELL’EVOLUZIONE DEL SUOLO E DEL PAESAGGIO
Un profilo di suolo è rivelatore di molte cose: testimonia non solo gli interventi dell’uomo, ma anche il succedersi nei millenni di fenomeni naturali
Viviamo in un paese (l’Italia) ricoperto di piante; ci sembra logico accomunare al bosco o al prato piccoli animali; le cime delle montagne più alte le pensiamo senza vegetazione con rocce scoperte. Con difficoltà riusciremmo a immaginare la terra diversa: ma non fu sempre così. Il suolo rappresenta un substrato indispensabile per le piante (ad esse fornisce sostanze nutritizie sotto forma di sali e acqua), per gli animali e soprattutto per quelli che vivono nel terreno (endogei) e che vanno a comporre insieme alla pedoflora, i microfunghi, i protozoi e i batteri quel microcosmo di complessità elevata che i biologi chiamano “EDAFON” grazie al quale, mediante complessi cicli biogeochimici garantiscono la fertilità del suolo e la sua natura. Esso deriva dalla disgregazione fisica del mantello roccioso e dalla trasformazione chimica del sostrato minerale: forma lo strato superficiale delle terre emerse e contiene anche aria, acqua e organismi viventi.
Praticando uno scavo nella profondità di un terreno si evidenzia un profilo del suolo al di sotto della copertura vegetale. Generalmente vi si possono notare tre orizzonti:
- l’orizzonte A con humus (ossia la miscela di sostanze organiche di origine vegetale e animale che forma il terreno agrario e lo rende soffice e fertile), attraversato da fitte radici. In tale strato vivono gli animali che stanno sotto terra (zona di eluviazione) ad esempio tardigradi, rotiferi, nematodi, lombricidi etc;
- l’orizzonte B, di colore diverso dal precedente, zona in cui i costituenti del suolo vengono trasportati dall’acqua (zona di iIIuviazione). Sebbene le radici degli alberi lo raggiungano ancora è formato soprattutto di minerali;
- l’orizzonte C comprende la roccia madre con il materiale proveniente dalla sua degradazione, responsabile delle formazioni superiori.
Approfittando di uno scavo recente, realizzato ad esempio per la costruzione di una casa, o per inserire una linea in una strada, si possono osservare i vari orizzonti del suolo e averne nel suo insieme il profilo.
Quest’ultimo adeguatamente prelevato e conservato in recipienti di vetro o di plastica trasparente potrà essere oggetto di osservazione e di studio.
L’importanza del suolo, la sua evoluzione dimostra come esso dia un particolare aspetto al paesaggio.
Le zone desertiche o steppiche differiscono notevolmente da quelle ricoperte di vegetazione. Il suolo cambia e cambia anche tutto quanto lo popola. Allo stesso parallelo troviamo sia i deserti sia le rigogliose impenetrabili (purtroppo sempre meno) foreste tropicali pluviali. Il suolo varia da luogo a luogo. I suoli già conformati delle Alpi ad esempio, si suddividono nei seguenti tipi: terra sbiancata o podsolo (podzol), terra bruna, suoli «humus-carbonati», rendzine o suoli di marna, suoli «humus silicati». La differenza del suolo determina le presenze di vegetali differenti. L’uomo interviene attivamente sul suolo, ma non sempre in maniera razionale.
In molti casi ne provoca addirittura la desertificazione (riduzione della fertilità) o ne accelera la la desertizzazione. Un profilo di suolo è rivelatore di molte cose: testimonia non solo gli interventi dell’uomo, ma anche il succedersi nei millenni di fenomeni naturali. Se in un dato luogo ad esempio, ci sia stato in un periodo preistorico un incendio, saranno visibili a distanza di decine di migliaia
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di Giuliano Russini
di anni le tracce di carbone. L’analisi dei profili del suolo è importante per il biologo in termini di Igiene del suolo, in termini della sua produttività, ma anche per il biologo Antropologo per indagare sui primi insediamenti umani sulla terra.
Crescere in armonia
II suolo come detto è ricoperto di vegetazione. Le piante regolano le acque, proteggono il suolo, danno rifugio agli animali. L’uomo interviene sulla natura, la modifica, distrugge la foresta.
In questi ultimi duemila anni l’Europa ha subito grandi cambiamenti. La copertura forestale nel bacino Mediterraneo è stata profondamente alterata, o è ridotta a superfici esigue o è completamente scomparsa. È significativo apprendere dagli storiografi che «al tempo di Carlo V, nel XVI secolo, gli eserciti potevano recarsi dal meridione della Spagna fino al nord dell’Europa senza uscire dalle foreste. Oggi è possibile percorrere lo stesso itinerario senza entrare in una foresta» (PAVAN, 1971).
In una certa regione crescono determinate piante: su substrati rocciosi poveri di calcare, nella zona pedemontana castanile del nord Italia, fino al Ticino (Italia), per esempio, troviamo quercia, betulla, sorbo montano, sorbo degli uccellatori, tiglio a foglie piccole, faggio, frassino, acero montano e acero nero, castagno, ciliegio selvatico, nocciolo, ginestra, brugo. Altre piante crescono invece su substrati calcarei, per esempio il carpinello.
L’insieme fittissimo delle radici rinforza il terreno e ne impedisce lo slittamento dovuto alla pioggia e al vento. II bosco assume quindi un ruolo di grande importanza per la protezione dagli effetti devastatori di nubifragio sul paesaggio. L’insieme di erbe, cespugli e alberi forma un’associazione di piante. Essa per-
mette di caratterizzare un tipo di paesaggio, in quanto le linee di demarcazione sono ben definite. Una suddivisione di piani vegetativi è anche possibile per l’influsso dell’altitudine sulla presenza delle piante. Nell’Italia settentrionale si hanno: il piano del bosco di latifoglie (da 200 fino a 1000 m, s.l.m.) con la quercia soprattutto; il piano del faggio (fra i 1000 e i 1600 m, s.l.m.) nel quale si trova l’abete; il piano della pecceta (fino a 1800 m, s.l.m.) con l’abete rosso o peccio; il piano del larice (fino a 1900 m, s.l.m.); il piano degli arbusti di rododendro e del pino montano (tra i 1800 e i 2100 m, s.l.m.; il piano dei pascoli alpini (tra i 1900 e i 2500 m, s.l.m.); infine le zolle pioniere (oltre i 2500 m, s.l.m.).
I fattori ambientali sono decisivi per determinare la crescita in un luogo delle piante. Cosi la presenza delle pannocchie rosate della Bistorta officinalis è indice di terreno umido, i ranuncoli gialli indicano terreno secco, il ciclamino terreno calcareo. La disciplina biologica che studia le associazioni vegetali è la fitosociologia. Parecchi sono i fattori determinanti le piante che vivono nel medesimo habitat: la posizione geografica, il tipo di paesaggio, le condizioni del terreno. I biologi eseguono i rilievi necessari e allestiscono delle carte botaniche dalle quali risulta anche la frequenza di una determinata pianta su un dato terreno. Il bosco, relativamente all’altezza, si divide in strato arboreo, cespuglioso ed erboso. Lo studio attento delle piante permette di scoprire quali siano le condizioni migliori per la crescita e quindi anche quale sia il terreno più adatto. L’equilibrata distribuzione tra il verde e l’abitato preserva il paesaggio dalla deturpazione. Nel caso della co -
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struzione di un’autostrada, per esempio, si interpellano i botanici che in base ai rilievi fatti stabiliscono quali siano il rivestimento erboso e le associazioni vegetali adatti a ricoprire il terreno che la fiancheggiano. Il lavoro dei fitosociologi tende a una conciliazione e integrazione tra natura e tecnica.
Bibliografia
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-LANDOL T, E., KAUFFMANN, G., 1962: La nostra Flora. Zurigo
-ANTONIETTI, A., 1968: Le associazioni forestali dell’orizzonte submontano del Nord Italia e del Canton Ticino su substrati pedogenetici ricchi di carbonati. VoI. 44, fasc. 2. Ed. Istituto svizzero di ricerche forestali. Zurigo.
-PAVAN, M., 1969: Che cosa vogliamo farne del pianeta Terra. Appello ai giovani. Ed. Istituto di entomologia agraria, Università di Pavia.
-PAVAN, M., 1970: La difesa del suolo nella conservazione della natura. Ed. Istituto di entomologia agraria, Università di Pavia.
-PAVAN, M., 1970: Equilibri biologici. Ed. Isti·tuto di entomologia agraria, Università di Pavia.
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