Il Giornale dei Biologi - N.2 - Febbraio 2024

Page 1

Giornale

RARE E CRONICHE

Due classificazioni per patologie con caratteristiche diverse Due sfide da vincere

Edizione mensile di Bio’s. Registrazione n. 113/2021 al Tribunale di Roma. Direttore responsabile: Vincenzo D’Anna.
dei Biologi Febbraio 2024 Anno VII - N. 2 www.fnob.it
e competenze della FNOB
Funzioni

Scarica l’app della FNOB

e resta sempre aggiornato su notizie e servizi

13

PRIMO PIANO

Malattie rare e malattie croniche. Due sfide da vincere di Rino Dazzo

La Sla e la sua incidenza variabile di Rino Dazzo

Il diabete, scomodo compagno di viaggio di Rino Dazzo

Funzioni e competenze della Fnob nei rapporti con gli ordini territoriali Avv. Arturo Umberto Meo

INTERVISTE

22

24

Screening prenatale. L’esperienza del biologo Dell’Edera di Pierantonio Lutrelli

Tumori, nel 2024 si prevedono tassi di mortalità in calo di Chiara Di Martino

30

Ictus pediatrico: anche se raro, è fra le più frequenti cause di disabilità di Elisabetta Gramolini

Aumentato le persone che vivono con una diagnosi di cancro nel vecchio continente di Sara Bovio

Classificazione dei tumori: verso un approccio molecolare di Carmen Paradiso

Tumore del polmone: un nuovo farmaco può bloccare la malattia di Domenico Esposito

Le origini della demenza: esisteva ai tempi degli antichi greci e romani? di Domenico Esposito

Rivoluzione nella ricerca sulla gravidanza: creata la prima placenta 3D di Carmen Paradiso

Sos burnout: stress da lavoro in aumento di Domenico Esposito

Diabete, livelli di insulina ripristinati in 48 ore con due farmaci antitumorali di Ester Trevisan Scoperta

del

L’importanza dei conservanti nei prodotti cosmetici di

Cresce il fatturato della cosmetica di

Sommario Giornale dei Biologi | Feb 2024 C
il valore
una dieta sana di Domenico Esposito
Neonati:
di
Carla Cimmino
Caruso 32 34 36 38 SALUTE
Eleonora
una proteina chiave
la rigenerazione
tessuto moscolare di Sara Bovio 26 40 42 43 44 10 EDITORIALE
per
Vincenzo D’Anna
48 28
In difesa della legalità
5 14
16

50

53

58

60 61 AMBIENTE

Cresce del 5,1% la superficie bio in Ue di Eleonora Caruso

Italia in arancione. 281 località vincitrici per il turismo sostenibile di Gianpaolo Palazzo

La corsa alla maggiore velocità sul web ha un costo nascosto di Gianpaolo Palazzo

Innovazione o stallo? Le sedi scolastiche tra buone pratiche e fondi bloccati di Gianpaolo Palazzo

Rivestimenti in materiale termocromico di Pasquale Santilio

Agrumi e vite rossa contro la glicemia di Pasquale Santilio

Un micro pomodoro per gli astronauti di Pasquale Santilio

64

Il colosso di Costantino ricostruito ai musei capitolini di Rino Dazzo

Tutti pazzi per Sinner, ma non solo: 6 azzurri nella top 100 mondiale di Antonino Palumbo

Vittozzi iridata di biathlon di Antonino Palumbo

Yule, da ultimo a primo nello sci: le altre grandi rimonte dello sport di Antonino Palumbo

Renna, “stella” azzurra della vela verso Parigi di Antonino Palumbo

LIBRI

Rubrica

Concorsi

Abbiamo ancora bisogno di parlare di fossili viventi?

di Filippo Nicolini

Il trapianto fecale del microbiota tra rischi e benefici terapeutici di Daniela Bencardino

Studi

Sommario D Giornale dei Biologi | Feb 2024 INNOVAZIONE
SCIENZE
di genetica
di Cinzia Boschiero 80 86 LAVORO
sulla malattia di Huntington
pubblici
Biologi 78 90 SPORT
per
68 71 72
BENI CULTURALI
Acquisire l’arte in gigapixel di Eleonora Caruso 74
Stambecchi sempre più attivi di notte e farfalle che perdono le macchie sulle ali di Sara Bovio
letteraria 76
54 62
56 67

Informazioni per gli iscritti

Si informano gli iscritti che gli uffici della Federazione forniranno informazioni telefoniche di carattere generale dal lunedì al giovedì dalle 9:00 alle ore 13:30 e dalle ore 15:00 alle ore 17:00. Il venerdì dalle ore 9:00 alle ore 13:00

Tutte le comunicazioni dovranno pervenire tramite posta (presso Federazione Nazionale degli Ordini dei Biologi, via Icilio 7, 00153 Roma) o all’indirizzo protocollo@cert.fnob.it, indicando nell’oggetto l’ufficio a cui la comunicazione è destinata.

È possibile recarsi presso le sedi della Federazione Nazionale degli Ordini dei Biologi previo appuntamento e soltanto qualora non sia possibile ricevere assistenza telematica. L’appuntamento va concordato con l’ufficio interessato tramite mail o telefono.

Giornale dei Biologi | Feb 2024 3
UFFICIO CONTATTO Centralino 06 57090 200 Ufficio protocollo protocollo@cert.fnob.it

Anno VII - N. 2 Febbraio 2024

Edizione mensile di Bio’s

Testata registrata al n. 113/2021 del Tribunale di Roma

Diffusione: www.fnob.it

Direttore responsabile: Vincenzo D’Anna

Giornale dei Biologi

Questo magazine digitale è scaricabile on-line dal sito internet www.fnob.it

Questo numero del “Giornale dei Biologi” è stato chiuso in redazione martedì 27 febbraio 2024.

Contatti: protocollo@cert.fnob.it

Gli articoli e le note firmate esprimono solo l’opinione dell’autore e non impegnano la Federazione Nazionale degli Ordini dei Biologi.

Immagine di copertina: © Skylines/www.shutterstock.com

4 Giornale dei Biologi | Feb 2024
Edizione mensile di Bio’s. Registrazione 113/2021 al Tribunale di Roma. Direttore responsabile: Vincenzo D’Anna.
Febbraio 2024 Anno VII - N. 2 www.fnob.it Due classificazioni per patologie con caratteristiche diverse Due sfide da vincere RARE E CRONICHE Funzioni e competenze della FNOB

In difesa della legalità

Da quando è entrata in vigore la legge 3/2018 sulle Professioni Sanitarie e l’ingresso della categoria dei Biologi tra queste ultime, si è dovuto procedere a chiudere il vecchio Ordine Nazionale dei Biologi per dare vita alla Federazione Nazionale degli Ordini dei Biologi e con essa a un decentramento di tipo amministrativo, funzionale e organizzativo in grado di valorizzare le specifiche esigenze e le criticità dei territori, in sostituzione del vecchio Ente centralizzato.

Su questa edizione troverete il parere pro veritate che chiarisce quali siano le competenze degli ordini territoriali e quelle facenti capo alla Fnob

Un’operazione con molte problematiche esecutive, stante il fatto che fin del 1° gennaio 2023 l’ONB ha chiuso i battenti e le interazioni tra gli iscritti sono state in parte “demandate” alle sedi regionali. Attenzione però: sulle pagine di questo numero troverete, al riguardo, il parere pro veritate reso da un noto avvocato amministrativo che, sulla scorta dell’analisi giuridica del combinato disposto delle varie leggi che regolano la materia, ha chiarito quali siano le competenze esclusive in capo ai singoli ordi -

Editoriale Giornale dei Biologi | Feb 2024 5

ni territoriali e quelle ancora facenti capo alla FNOB, ente sovra-ordinato di rappresentanza della categoria.

Il parere conferma quando sostenuto dal Ministero Vigilante, quello della salute. Un parere resosi necessario dall’erronea interpretazione che taluni presidenti territoriali hanno inteso recepire del rapporto tra centro e periferia, tra Federazione e Ordini. Non sono risultati pochi, infatti, quelli che in un primo momento, magari perché disorientati, hanno malamente interpretato ruoli e facoltà assegnate agli Ordini regionali e alla FNOB. Spesso sono sorti veri e propri contenziosi e lunghi epistolari e, quel che è peggio, al -

cune di queste controversie, precisazioni e chiarimenti forniti, non sono stati resi noti ai componenti dei Consigli direttivi eletti negli Ordini territoriali.

Male inteso è stato il concetto di autonomia, che va certo riservata agli Ordini territoriali, ma solo nelle materie indicate dalla normativa vigente in materia

Tanto ha creato, in talune regioni, un clima avvelenato da convincimenti erronei e diametralmente opposti, come quello che pretendeva di assegnare agli Ordini locali una potestà in materie che la legge non indicava affatto come di loro pertinenza. Viceversa, questi stessi presidenti hanno omesso di seguire le precise indicazioni che pure la Federazione aveva impartito avvalendosi della prerogativa di legge che concede alla FNOB i compiti di coordinamento ed indiriz -

Editoriale 6 Giornale dei Biologi | Feb 2024

zo e quindi l’obbligo, per i destinatari, di dare puntuale esecuzione alle disposizioni di FNOB.

Parimenti, male inteso è stato il concetto di autonomia, che va certo intesa come riservata agli Ordini territoriali, ma riferita alle sole materie indicate dalla normativa vigente di esclusiva competenza degli Ordini medesimi. Non altro! Diversi poi sono stati gli Ordini che hanno rifiutato di utilizzare l’affiancamento proposto dalla Federazione e l’offerta dei servizi centralizzati, convenienti sia economicamente sia per la efficienza dei servizi stessi erogati per il tramite di uffici e personale formati da anni di esperienza nel ramo.

Agli ordini territoriali sono stati proposti alcuni servizi centralizzati, convenienti sia economicamente sia per la efficienza degli stessi

Molti hanno scelto di spendere per dotarsi di sistemi doppioni di quelli esistenti in FNOB. Insomma, una corsa a ricreare una dispendiosa quanto inutile duplicazione. Uno dei motivi di maggiore frizione è stato quello della definizione della quota pro capite annuale che le regioni sono tenute a versare alla Federazione. Una esclusiva prerogativa del Comitato Centrale della Federazione non soggetta a trattative al ribasso. La FNOB ha tagliato di oltre il 50% il vecchio bilancio dell’ONB, riducendo drasticamente le indennità degli amministratori, ossia quelle di funzione, rimborsi spese e le retribuzioni occasionali riconosciute

Editoriale Giornale dei Biologi | Feb 2024 7

ai componenti del Comitato Centrale. Ridotti, inoltre, i compensi dei professionisti consulenti e dei collaboratori occasionali. Il tutto al fine di ridurre al minimo le proprie esigenze economiche.

Tuttavia, la Federazione non ha potuto né voluto azzerare le “poste” in bilancio riservate alle varie attività in favore dei Biologi italiani, in regime di gratuità, nei campi dell’informazione, formazione, master, Summer School e borse di studio. Defraudare di ulteriori risorse la FNOB avrebbe avuto il risultato di azzerare quelle possibilità di ausilio, tutela e servizi e opportunità indirizzate agli iscritti. Un atteggiamento di gran -

de responsabilità quello assunto dal Comitato Centrale di FNOB che consentirà di proseguire sulla strada già percorsa nell’ultima legislatura dall’ONB e illustrata nel “libro bianco” riferito al quinquennio 2017-2022.

La Fnob ha stanziato fondi a favore dei Biologi da trasformare in informazione, formazione, master, Summer School e borse di studio

Perché ritornare su argomenti già trattati, vi starete chiedendo? Per la semplice ragione che in alcune regioni e macroregioni, approfittando del diffuso disinteresse degli iscritti a tenersi informati sullo stato dell’arte e a non voler partecipare alla vita ordinistica (rimanendo quindi a digiuno delle varie questioni), si è alimentato e rinfocolato un risentimento di avversione nei confronti della Federazione. Parlia -

Editoriale 8 Giornale dei Biologi | Feb 2024

moci chiaro: c’è una massa inerte che ancora pensa che l’Ordine rappresenti una tassa e non una grande opportunità da sfruttare, una difesa della categoria, un modo di crescere come Biologi. Il gioco di addossare a Roma la responsabilità del finanziamento agli Ordini regionali è una menzogna che si scioglie man mano la gente apprende e s’informa.

Abbiamo bisogno che i colleghi s’informino, che i dirigenti imparino che vale il principio di legalità e di rispetto delle norme

resisi finalmente conto che il decentramento amministrativo comportava anche un aumento fisiologico delle spese, hanno pensato bene di aumentare la quota d’iscrizione trattenendo per sé l’aumento che, sarà bene chiarire, non finisce nelle casse della Federazione bensì in quelle degli Ordini.

Non poche sono le lacune organizzative e la scarsa efficienza dei servizi resi agli iscritti da alcuni di questi Ordini territoriali riottosi e che certo non dipendono dalla FNOB, ma dall’insipienza e dalle mendaci scusanti di quei dirigenti territoriali. Alcuni di questi,

Insomma, tagliando corto: abbiamo bisogno che i colleghi s’informino, che i dirigenti imparino che vale il principio di legalità e di rispetto delle norme. A nulla servono le bugie e le recriminazioni, perché la storia, prima o poi, si incaricherà di indicare con chiarezza chi sono gli incapaci e chi i bugiardi.

Editoriale Giornale dei Biologi | Feb 2024 9

Primo piano

MALATTIE RARE E MALATTIE CRONICHE DUE SFIDE DA VINCERE

Così diverse per origine e natura, ma in fondo simili per le sofferenze provocate Ricerca e prevenzione sono le armi più efficaci per ridurre i disagi e salvare vite

di Rino Dazzo

10 Giornale dei Biologi | Feb 2024

Primo piano

Le prime sono le malattie più subdole, quelle che colpiscono un numero relativamente ristretto di persone, le più difficili da curare, spesso perché una cura non c’è e fino a qualche tempo fa si pensava non valesse neppure la pena cercarla. Le seconde costituiscono, crudamente, la principale causa di morte in gran parte del pianeta. Malattie rare da una parte e malattie croniche dall’altra: tanto distanti, almeno apparentemente, ma in realtà con diversi tratti in comune. Quali sono le differenze tra le une e le altre? Quali sono i trattamenti prevalenti per le malattie rare e quali sono invece quelli per le malattie croniche? E che tipo di assistenza sanitaria è previsto in Italia per le une e per le altre?

Secondo l’Osservatorio Malattie Rare «una malattia si definisce “rara” quando la sua prevalenza, intesa come il numero di casi presenti su una data popolazione, non supera una soglia stabilita. In UE la soglia è fissata allo 0,05

Giornale dei Biologi | Feb 2024 11 © Skylines/shutterstock.com

Primo piano

per cento della popolazione, non più di un caso ogni 2000 persone». In realtà non c’è uniformità tra i vari paesi. Negli Stati Uniti, ad esempio, una malattia rara è considerata tale quando colpisce non più di 200mila persone, in Giappone non più di 50mila. Dal 2008 il 29 febbraio, giorno raro per antonomasia perché cade ogni quattro anni, è il Rare Disease Day, la Giornata Mondiale delle Malattie Rare, che negli anni non bisestili si celebra il 28.

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità le malattie croniche sono invece «problemi di salute che richiedono un trattamento continuo durante un periodo di tempo da anni a decadi». Sul sito dell’Istituto Superiore di Sanità si legge che «le malattie croniche costituiscono la principale causa di morte quasi in tutto il mondo. Si tratta di un ampio gruppo di malattie, che comprende le cardiopatie, l’ictus, il cancro, il diabete e le malattie respiratorie croniche. Ci sono poi anche le malattie mentali, i disturbi muscolo-scheletrici e dell’apparato gastrointestinale, i difetti della vista e dell’udito, le malattie genetiche. In generale, sono malattie che hanno origine in età giovanile, ma che richiedono anche decenni prima di manifestarsi clinicamente».

La principale differenza tra malattie rare e croniche sta nelle cause scatenanti. L’origine di gran parte delle circa seimila malattie rare censite nell’ICD-11, l’ultimo aggiornamento della International Classification of Diseases dell’OMS, è di tipo genetico. In particolare, si stima che l’80% delle patologie rare sia determinato da una mutazione genetica, per la restante parte da infezioni batteriche o virali, o da allergie. Nelle malattie croniche, oltre alla predisposizione genetica e all’età, entrano in gioco altri fattori. Sempre sul sito dell’ISS sono elencati «alimentazione poco sana, consumo di tabacco, abuso di alcol, mancanza di attività fisica», che possono generare «fattori di rischio intermedi, ovvero l’ipertensione, la glicemia elevata, l’eccesso di colesterolo e l’obesità».

L’elenco delle malattie rare comprende un insieme piuttosto eterogeneo di malattie metaboliche ereditarie, immunodeficienze severe congenite, malattie lisosomiali e malattie neuromuscolari genetiche. In molti casi i sintomi compaiono in età pediatrica, in un numero più limitato in età adulta. L’approccio a diverse malattie genetiche per anni è stato quello di somministra-

La principale differenza tra malattie rare e croniche sta nelle cause scatenanti. L’origine di gran parte delle circa seimila malattie rare censite nell’ICD-11, l’ultimo aggiornamento della International Classification of Diseases dell’OMS, è di tipo genetico. In particolare, si stima che l’80% delle patologie rare sia determinato da una mutazione genetica, per la restante parte da infezioni batteriche o virali, o da allergie.

©

re al paziente il prodotto mancante, dovuto al difetto del relativo gene. Oggi è la terapia genica l’approccio più utilizzato e che sta garantendo i migliori risultati, almeno in patologie come la talassemia e diverse malattie metaboliche. Il problema principale? Sempre lo stesso: servono soldi per ricerca e sperimentazione e l’attenzione verso questo tipo di malattie, che pure in Italia colpiscono circa tre milioni di persone, è un fenomeno relativamente recente. L’approccio prevalente al momento per le malattie croniche, che spesso sono anche particolarmente invalidanti, è invece quello della prevenzione e della promozione di stili di vita sani: alimentazione corretta, attività fisica regolare, niente fumo, consumo di alcol limitato.

Infine, l’assistenza sanitaria. Il Piano nazionale malattie rare 2023-2026, approvato il 24 maggio 2023 dalla Conferenza Stato-Regioni, ha fissato le principali linee di intervento e di supporto: prevenzione primaria, diagnosi, percorsi assistenziali, trattamenti farmacologici, trattamenti non farmacologici, ricerca, formazione, informazione, registri e monitoraggio della Rete nazionale delle malattie rare. Un database europeo, Orphanet, da alcuni anni assegna un codice univoco, l’Orpha code, per ogni specifica malattia rara attraverso cui è possibile richiedere, per il paziente, l’esenzione dal ticket per le prestazioni sanitarie. L’esenzione è prevista anche per alcune malattie croniche e per particolari condizioni caratterizzate da gravità clinica e alto grado di invalidità. Ma è soprattutto sotto il profilo della prevenzione che l’azione delle istituzioni si è fatta più incisiva, a partire dai primi anni Duemila.

12 Giornale dei Biologi | Feb 2024
DC Studio/shutterstock.com
©
Smart Calendar/shutterstock.com

Tra le malattie rare più note, soprattutto per chi segue lo sport, c’è la sclerosi laterale amiotrofica, chiamata spesso semplicemente SLA oppure morbo di Lou Gehrig, formidabile campione di baseball la cui condizione, nel 1939, accese i riflettori dell’opinione pubblica su questa patologia. Si tratta di una una malattia neurodegenerativa progressiva che colpisce i motoneuroni, le cellule nervose cerebrali e del midollo spinale che permettono i movimenti della muscolatura volontaria. In presenza della SLA questo tipo di cellule va incontro a graduale degenerazione nel corso di mesi, o più generalmente anni, rendendo sempre più difficile il compimento di attività basilari come bere, mangiare, respirare e comunicare, contribuendo a ridurre la massa muscolare con conseguente perdita di funzionalità dei muscoli, favorendo la rigidità muscolare con conseguente rallentamento e impossibilità di muoversi liberamente.

La particolarità della SLA è che la degenerazione non coinvolge le funzioni cognitive, sensoriali, sessuali e sfinteriali, nonché la stessa voglia di rapportarsi agli altri. I malati di sclerosi laterale amiotrofica, insomma, diventano di fatto prigionieri del loro stesso corpo, praticamente impossibilitati a compiere liberamente ogni atto quotidiano. Ma rimangono perfettamente coscienti. In Italia secondo i dati resi noti dall’AISLA, l’Associazione Italiana Sclerosi Laterale Amiotrofica, l’incidenza della malattia è di tre casi ogni 100mila abitanti l’anno, contro una prevalenza di dieci casi ogni 100mila nei paesi occidentali.

Il dato curioso è che nei calciatori e in sport come il football o il baseball l’incidenza è due volte superiore. Addirittura sei volte superiore per quel che riguarda i calciatori di Serie A, come documentato da uno studio dell’Istituto Mario Negri diffuso nel 2020. I casi forse più celebri di stelle del campionato italiano vittime di

LA SLA E LA SUA INCIDENZA VARIABILE

La sclerosi laterale amiotrofica è una malattia rara che tale non è, purtroppo, tra i calciatori e gli sportivi

SLA sono quelli di Stefano Borgonovo, ex attaccante tra le altre di Fiorentina, Milan e Pescara negli Anni ’80 e ’90, e Gianluca Signorini, ex libero del Genoa nello stesso periodo. Ma la lista è nutrita e comprende 34 calciatori che si sono affacciati in Serie A, B o C tra il 1959 e il 2000. Centrocampisti soprattutto.

Come per l’80% delle malattie rare, all’origine della SLA c’è una causa genetica, insieme ad altri fattori ambientali (traumi e incidenti di gioco l’ipotesi più accreditata per gli sportivi). Al momento esistono solo farmaci in grado di ritardare la progressione

della malattia e macchinari in grado di assistere i pazienti nelle loro attività. Nei malati di SLA si deposita una proteina, la TDP-43, che rappresenta il segno della degenerazione. Uno studio del 2023 del gruppo di ricerca del Dipartimento di Biologie e Biotecnologie “C. Darwin” della Sapienza Università di Roma, coordinato dalla professoressa Mariangela Morlando, ha fatto luce su alcuni meccanismi alla base del processo neurodegenerativo. Identificato, in particolare, uno specifico sottogruppo di RNA circolari coinvolto nella degenerazione cellulare. (R. D.)

Giornale dei Biologi | Feb 2024 13
Primo piano Primo
Lou Gehrig (1903-1941), giocatore di baseball statunitense, morì a causa di questa malattia che oggi è anche conoscita con il suo nome.

IL DIABETE, SCOMODO COMPAGNO DI VIAGGIO

È una delle malattie croniche più comuni e diffuse: le cause, i sintomi e le terapie per tenerlo sotto controllo

Èuno scomodo compagno di viaggio per molti italiani, circa quattro milioni e mezzo secondo le ultime stime, con almeno 350mila nuovi casi accertati ogni anno. Il diabete, con le sue complicazioni, provoca circa 75mila decessi l’anno in Italia, con un costo socio-sanitario stimato di oltre venti miliardi di euro. Si ritiene, inoltre, che un milione e mezzo di persone siano diabetici inconsapevoli: non sanno di esserlo o non è stato loro ancora diagnosticato.

Il diabete, come riporta l’Istituto Superiore di Sanità, è «una malattia cronica caratterizzata dalla presenza

di elevati livelli di glucosio nel sangue (iperglicemia) e dovuta a un’alterata quantità o funzione dell’insulina, ormone prodotto dal pancreas che consente al glucosio l’ingresso nelle cellule e il suo conseguente utilizzo come fonte energetica. Quando questo meccanismo è alterato, il glucosio si accumula nel circolo sanguigno».

Esistono due forme di diabete. Quello di tipo 1 riguarda il 10% dei diabetici e insorge di solito nell’infanzia o nell’adolescenza: le cellule beta, che producono insulina nel pancreas, vengono progressivamente distrutte dal sistema immunitario che le rico -

Primo piano

nosce erroneamente come minacce. Il diabete di tipo 1, dunque, rientra tra le malattie definite autoimmuni.

Il diabete di tipo 2, invece, riguarda il 90% dei diabetici e si manifesta generalmente dopo i 30-40 anni. L’insulina è prodotta regolarmente dal pancreas, ma le cellule dell’organismo non riescono a utilizzarla. La familiarità incide per il 40% nell’insorgenza del diabete di tipo 2; altri fattori di rischio sono l’età, l’obesità e la mancanza di attività fisica.

I sintomi sono più acuti nel diabete di tipo 1 (sete, bisogno continuo di urinare, stanchezza, perdita di peso, aumento di infezioni) e più sfumati nel diabete di tipo 2, dove invece la glicemia è generalmente elevata. Entrambi i tipi di diabete possono determinare complicanze più o meno gravi che coinvolgono cuore, reni, vasi sanguigni, nervi e occhi. Si va dal maggior rischio di incappare in un attacco cardiaco a quello di sviluppare un’insufficienza renale, dalla possibilità di avere un ictus a quella di sviluppare coronaropatie, problemi ai piedi e agli arti inferiori oppure retinopatie, malattie oculari che possono portare alla cecità.

Che il diabete sia uno scomodo compagno di viaggio fino alla fine lo dimostra, purtroppo, il fatto che cure definitive non ce ne siano. Si può convivere senza troppi problemi col diabete seguendo uno stile di vita sano, con abitudini alimentari equilibrate, mettendo da parte fumo e alcol. E si possono assumere farmaci capaci di tenere sotto controllo i livelli di glicemia come la metformina, le sulfaniluree, i tiazolidindioni, le gliptine, i megletinidi, gli agonisti di GLP-1 e gli inibitori SGLT2.

Nei casi di diabete di tipo 1 la terapia consiste in iniezioni di insulina per tutta la vita, iniezioni che si rendono necessarie anche in pazienti con diabete di tipo 2 per i quali l’assunzione di altri farmaci non si sia rivelata efficace. (R. D.)

14 Giornale dei Biologi | Feb 2024
© Ground Picture/shutterstock.com
Giornale dei Biologi | Feb 2024 15

FUNZIONI E COMPETENZE DELLA FNOB NEI RAPPORTI CON GLI ORDINI TERRITORIALI

Parere pro veritate dell’avv. Arturo Umberto Meo che delinea il quadro dei rapporti tra Federazione ed ordini regionali dettati dal legislatore

di Avv. Arturo Umberto Meo

Mi si chiede, alla luce della normativa vigente nella materia del nuovo status delle professione sanitarie e dei regolamenti attuativi, un parere circa le funzioni e le competenze esclusive della Federazione Nazionale Ordine Biologi nei rapporti con gli Ordini distrettuali e/o regionali, nonché la sussistenza o meno di specifiche competenze concorrenti tra la Federazione Nazionale e gli ordini territoriali.

È opportuno, anche al fine di rispondere al quesito che precede, illustrare, sia pur brevemente, il quadro normativo di riferimento nella materia che qui ci occupa, ma anche le finalità perseguite dalla normativa introdotta di recente (Legge n.3/2018) e la ratio legis sottesa alla stessa, ma soprattutto la normativa vigente in materia alla luce della Riforma delle Professioni sanitarie.

E ciò anche per consentire alle possibili interpretazioni e applicazione di alcune disposizioni (recte: di alcuni principi normativi che disciplinano le azioni, le attività e le finalità della Federazione nei rapporti con i terzi in generale, e con gli Ordini distrettuali/regionali in particolare) – che riguardano direttamente la vicenda oggetto del quesito sottopostomi– una coerenza quanto più verosimile e ragionevole

con i criteri generali di interpretazione ed applicazione della norma, ma soprattutto con la ratio e le finalità volute dal legislatore nell’adozione della materia indicata.-

Nel caso che qui ci occupa, il Decreto legislativo del Capo Provvisorio dello Stato 13 settembre 1946, n.233, così come modificato ed integrato dalla Legge (delega) n.3 dell’11 gennaio 2018, ha recepito, tra l’atro, la riforma delle professioni sanitarie, e quindi anche quella dei Biologi.-

In particolare, la normativa testé indicata, che è stata oggetto da parte del Ministero della Salute dei relativi decreti attuativi, cos’ come previsto, è finalizzata non solo ad assicurare una organicità alla normativa di settore già vigente, ma si è posta anche l’obiettivo di razionalizzare, nell’ambito del nostro ordinamento, la organizzazione delle professioni sanitarie, tra le quali anche quella dei Biologi, prevedendo nuove disposizioni inerenti le elezioni, le modalità elettorali, le incompatibilità e la composizione dei consigli degli ordini e delle federazioni nazionali. Ma soprattutto, per quanto qui ci occupa, ha previsto, in modo chiaro e lineare – a dire il vero le relative norme non sembra necessitino di particolari interpretazioni e/o esegesi di sorta – , funzioni e competenze della Federazione Nazionale dei Biologi (Comitato Centrale e Consiglio Nazionale), anche per quanto concerne i rapporti tra

16 Giornale dei Biologi | Feb 2024 Primo piano
***

questa e gli Ordini Distrettuali o Regionali, fissando di converso anche le competenze e i limiti operativi di quest’ultimi.

D’altronde, la ratio legis sottesa alla nuova Organizzazione della professione dei Biologi, è logica, prima ancora che giuridica.

Ed infatti, la Federazione Nazionale, prevista dalla nuova normativa, e i cui organi sono eletti dai presidenti degli Ordini Territoriali (questi compongono il Consiglio Nazionale che elegge il il Comitato centrale, i cui componenti nominano il Presidente che ha la rappresentanza della Federazione) assume in sé, perché ne è destinataria ex lege, funzioni non solo di coordinamento ma anche di indirizzo nei confronti degli Ordini territoriali e/o regionali, oltre ad essere destinataria di ulteriori competenze e funzioni, in via esclusiva.

A tal riguardo, l’art. 7 del Decreto legislativo del Capo Provvisorio dello Stato 13 settembre 1946, n.233, ed introdotto dalla legge n.3/2018, rubricato “Federazioni Nazionali” stabilisce che : “1. Gli ordini territoriali sono riuniti in Federazioni nazionali con sede in Roma, che assumono la rappresentanza esponenziale delle rispettive professioni preso enti e istituzioni nazionali, europei e internazionali.

2. Alle Federazioni nazionali sono attribuiti compiti di indirizzo e coordinamento e di supporto amministrativo agli Ordini e alle Federazioni regionali, ove costituite,

Gli ordini territoriali sono riuniti in Federazioni nazionali con sede in Roma, che assumono la rappresentanza esponenziale delle rispettive professioni preso enti e istituzioni nazionali, europei e internazionali.

nell’espletamento dei compiti e delle funzioni istituzionali (nonché di organizzazioni e gestione di una rete unitaria di connessione, di interoperabilità tra i sistemi informatici e di software alla quale i predetti Ordini e Federazioni regionali aderiscono obbligatoriamente concorrendo ai relativi oneri, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica – [Cfr. anche art.1 Regolamento interno e di organizzazione della FNOB, regolarmente approvato]).

Orbene, non v’è chi non veda che le previsioni innanzi indicate, ad una lettura organica e sistematica appaiono chiare, non prestandosi ad equivoci interpretativi.

D’altra parte, una corretta ed univoca interpretazione, e quindi applicazione, delle stesse (norme) è di estrema importanza ove si consideri che essa rappresenta, nel caso di specie, l’elemento fondamentale su cui fondare appunto il rapporto tra Federazione nazionale e Ordini territoriali e/o Federazioni regionali, ove esistenti, nonché funzioni e competenze di cui la Federazione Nazionale è destinataria in via esclusiva.

Ed invero, il primo comma del citato art. 7 fissa il principio (“la Federazione assume la rappresentanza esponenziale della professione di biologo presso enti e istituzioni nazionali, europei e internazionali)” da cui discendono, poi, i corallari previsti dall’art. 8 (così come vedremo nello specifico in seguito)

Giornale dei Biologi | Feb 2024 17

del Decreto legislativo del Capo Provvisorio dello Stato 13 settembre 1946, n.233 – così come modificato e integrato dalla L.3/2018.

La riforma delle professioni sanitarie, nello specifico quella del Biologo, ancorché abbia previsto con la istituzione degli ordini territoriali, una nuova organizzazione nazionale non ha in alcun modo svilito o compresso il ruolo centrale ed esclusivo della Federazione (ossia competenze e funzioni che erano state già attribuite al precedente Ordine Nazionale), anzi la ha rafforzato ulteriormente – ammesso e non concesso che ce ne fosse stato bisogno - attribuendo alla stessa, con la istituzione degli ordini territoriali e/o delle Federazioni regionali, una presenza territoriale capillare. Ed è anche per questo che le sono state attribuiti compiti di indirizzo e coordinamento e supporto amministrativo degli ordini territoriali e/o alle Federazioni regionali, ove costituite.

Sicché, è di assoluta evidenza che il Legislatore abbia voluto attribuire - ma non poteva essere diversamente - alla Federazione Nazionale competenze e funzioni (rappresentanza esponenziale ) per tutelare gli interessi pubblici e diffusi della professione di Biologo.

Né può soccorrere una diversa interpretazione della legge il richiamo alla potestà legislativa concorrente – ex art.117 Cost. – in materia di professioni sanitarie ove si consideri che la Corte Costituzionale ha più volte precisato che la potestà legislativa concorrente delle professioni deve rispettare il principio invalicabile di ordine generale secondo cui l’individuazione delle figure professionali, con i relativi profili ed ordinamenti è riservata allo Stato.

In altre parole, la previsione normativa testé richiamata, ovvero l’attribuzione in essa contenuta di specifiche ed esclusive competenze alla Federazione Nazionale nei rapporti con i Terzi – sia nazionali che internazionali – (Enti ed Istituzioni), non è altro che la concreta attuazione della potestà legislativa concorrente; sicché è la Federazione Nazionale che ha un ruolo centrale, ed è chiamata, ex lege, a tutelare, sotto ogni profilo (giuridico, economico, culturale) gli interessi della professione del Biologo. Mentre, gli Ordini territoriali e/o le

Primo piano

Alle Federazioni nazionali sono attribuiti compiti di indirizzo e coordinamento e di supporto amministrativo agli Ordini e alle Federazioni regionali, ove costituite, nell’espletamento dei compiti e delle funzioni istituzionali (nonché di organizzazioni e gestione di una rete unitaria di connessione, di interoperabilità tra i sistemi informatici e di software alla quale i predetti Ordini e Federazioni regionali aderiscono obbligatoriamente concorrendo ai relativi oneri, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

Federazioni Regionali, ove costituite, hanno ruoli, funzioni e competenze residuali, anche in ragione della normativa vigente (cfr. art.8 Decreto legislativo del Capo Provvisorio dello Stato 13 settembre 1946, n.233 – così come modificato e integrato dalla L.3/2018) che considera quest’ultimi destinatari dell’attività di indirizzo e coordinamento da parte della Federazione Nazionale.

Siffatto principio trova ulteriormente conferma nella norma di dettaglio, che ne è il corollario, e precisamente nell’art. 8, comma 15, ove sono chiaramente disciplinati ruolo e competenze della Federazione Nazionale.

Ed infatti, il richiamato art. 8, rubricato Organi Nazionali. prevede espressamente che:

“1. Sono organi delle Federazioni nazionali:

a) il Presidente;

b) Il Consiglio nazionale;

c) Il Comitato Centrale;

d) la Commissione di albo, per le Federazioni comprendenti più professioni;

e) il Collegio dei revisori.

2. Le Federazioni sono diretti dal Comitato centrale costituito da quindici componenti, fatto salvo quanto previsto dall’articolo 6 della L. 24 luglio 1985, n. 409.

3. Il collegio dei revisori è composto da un presidente iscritto nel Registro dei revisori legali e da tre membri, di cui uno supplente, eletti tra gli iscritti agli albi.

4. La commissione per gli iscritti all’albo degli odontoiatri si compone di nove membri eletti dai presidenti delle commissioni di albo territoriali contestualmente e con le stesse modalità e procedure di cui ai commi 8, 9 e 10. I primi eletti entrano a far parte del Comitato centrale della Federazione nazionale a norma dei commi secondo e terzo dell’articolo 6 della legge 24 luglio 1985 n. 409. La commissione di albo per la professione medica è costituita dalla componente medica del Comitato centrale. Con decreto del Ministro della salute è determinata la composizione delle commissioni di albo all’interno della Federazione nazionale degli Ordini dei tecnici sanitari di radiologia medica e delle professioni sanitarie tecniche, della riabilitazione e della prevenzione, nonché

18 Giornale dei Biologi | Feb 2024

la composizione delle commissioni di albo all’interno della Federazione nazionale degli Ordini delle professioni infermieristiche.

5. I rappresentanti di albo eletti si costituiscono come commissione disciplinare di albo con funzione giudicante nei confronti dei componenti dei Consigli direttivi dell’Ordine appartenenti al medesimo albo e nei confronti dei componenti delle commissioni di albo territoriali. È istituito l’ufficio istruttorio nazionale di albo, costituito da cinque componenti sorteggiati tra quelli faceti parte dei corrispettivi uffici istruttori regionali e da un rappresentante estraneo alla professione nominato dal Ministro della salute.

6. Ogni Comitato centrale elegge nel proprio seno, a maggioranza assoluta degli aventi diritto, il presidente, il vice presidente, il tesoriere e il segretario, che possono essere sfiduciati, anche singolarmente, von la maggioranza qualificata dei due terzi degli aventi diritto. Chi ha svolto tali incarichi può essere rieletto nella stessa caria consecutivamente una sola volta.

7. Il presidente ha la rappresentanza della Federazione, di cui convoca e presiede il Comitato centrale e il Consiglio nazionale, composto dai presidente degli Ordini professionali; il vice presidente lo sostituisce in caso di assenza o di impedimento e disimpegna le funzioni a lui eventualmente delegate dal presidente.

8. I Comitati centrali sono eletti dai presidenti dei rispettivi Ordini, nel primo trimestre dell’anno successivo all’elezione dei presidenti e dei Consigli direttivi degli Ordini professionali, tra gli iscritti agli albi, a maggioranza relativa dei voti e a scrutinio segreto, favorendo l’equilibrio di genere e il ricambio generazionale nella rappresentanza, con le modalità determinate con successivi regolamenti. I Comitati centrali durano in carica quattro anni.

9. Ciascun presidente dispone di un voto per ogni cinquecento iscritti e frazione di almeno duecentocinquanta iscritti al rispettivo albo.

10. Avverso la validità delle operazioni elettorali è ammesso ricorso alla Commissione centrale per gli esercenti le professioni sanitarie.

Primo piano

Non v’è chi non veda che le previsioni innanzi indicate, ad una lettura organica e sistematica appaiono chiare, non prestandosi ad equivoci interpretativi. D’altra parte, una corretta ed univoca interpretazione, e quindi applicazione, delle stesse (norme) è di estrema importanza ove si consideri che essa rappresenta, nel caso di specie, l’elemento fondamentale su cui fondare appunto il rapporto tra Federazione nazionale e Ordini territoriali e/o Federazioni regionali, ove esistenti, nonché funzioni e competenze di cui la Federazione Nazionale è destinataria in via esclusiva.

11. Il Consiglio nazionale è composto dai presidenti dei rispettivi Ordini.

12. Spetta al Consiglio nazionale l’approvazione del bilancio preventivo e del conto consuntivo della Federazione su proposta del Comitato entrale, nonché l’approvazione del codice deontologico e dello statuto e delle loro eventuali modificazioni.

13. Il Consiglio nazionale, su proposta del Comitato entrale, stabilisce il contributo annuo che ciascun Ordine deve versare in rapporto al numero dei propri iscritti per le spese di funzionamento della Federazione.

14. All’amministrazione dei beni spettanti alla Federazione provvede il Comitato centrale.

15. Al Comitato centrale di ciascuna Federazione spettano le seguenti attribuzioni:

a) predisporre, aggiornare e pubblicare gli albi e gli elenchi unici nazionali degli iscritti;

b) vigilare, sul piano nazionale, sulla conservazione del decoro e dell’indipendenza delle rispettive professioni;

c) coordinare e promuovere l’attività dei rispettivi Ordini nelle materie che, in quanto inerenti alle funzioni proprie degli Ordini, richiedono uniformità di interpretazione ed applicazione;

d) promuovere e favorire, sul piano nazionale, tutte le iniziative di cui all’articolo 3, comma 1, lettera d);

e) designare i rappresentanti della Federazione presso commissioni, enti ed organizzazioni di carattere nazionale, europeo ed internazionale;

f) dare direttive di massima per la soluzione delle controversie di cui alla lettera e) del comma 1 dell’articolo 3.

16. Alle commissioni di albo di ciascuna Federazione spettano le seguenti attribuzioni:

a) dare il proprio concorso alle autorità centrali nello studio e nell’attuazione dei provvedimenti che comunque possano interessare la professione;

b) esercitare il potere disciplinare, a norma del comma 5;

c) nelle Federazioni con più albi, esercitare le funzioni di cui alle lettere d), e) ed F) del comma 15, eccettuati i casi in cui le designazioni di cui alla suddetta lettera e) concernano uno o più rappresentanti dell’Intera Federazione.”

Giornale dei Biologi | Feb 2024 19

Orbene, dalla lettura piana della norma testé indicata non v’è chi non veda che il legislatore ha voluto attribuire alla Federazione Nazionale – in modo chiaro ed espresso – non un ruolo formale ma sostanziale allorquando ha assegnato alla stessa funzioni specifiche sia nei rapporti con i Terzi – Enti ed Istituzioni ( si badi bene non solo nazionali, ma europei e internazionali ) – per la tutela e lo sviluppo della professione di Biologo sotto il profilo professionale, culturale, sociale ed economico, sia nei rapporti interni con gli Ordini territoriali e/o le federazioni regionali, ove costituite, ponendo a carico della stessa (Federazione Nazionale) il compito ( recte: la potestà) di coordinarli e supportarli.

D’altronde, la circostanza che la FNOB abbia un ruolo esponenziale nelle funzioni e nelle competenze che è chiamata a svolgere, anche e soprattutto nei rapporti con gli Ordini territoriali e con le Federazioni regionali, ove costituite, trova molto semplicemente legittimità nei principi generali del nostro ordinamento, in materia di interpretazione della legge.-

L’art. 12, comma 1, delle Preleggi, rubricato appunto “Interpretazione della legge “ ove viene stabilito che “ nell’applicare la legge non si può attribuire ad essa altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore”.

Nel caso che qui ci occupa, sono lapalissiane, tra l’altro, le previsioni stabilite al comma 15 del citato art. 8, ed in particolare alle lettere c), d) ed e), ossia alla Federazione Nazionale (FNOB), ed in particolare al Comitato Centrale spetta di:

“coordinare e promuovere l’attività dei rispettivi Ordini nelle materie che, in quanto inerenti alle funzioni proprie degli Ordini, richiedono uniformità di interpretazione ed applicazione; promuovere e favorire, sul piano nazionale, tutte le iniziative di cui all’articolo 3, comma 1, lettera d);

designare i rappresentanti della Federazione presso commissioni, enti ed organizzazioni di carattere nazionale, europeo ed internazionale”.

Ovviamente esse sono da considerare,

Primo piano

In conclusione, la volontà del Legislatore, nel caso che qui ci occupa, è estremamente chiara e lineare: è assegnato alla Federazione Nazionale (FNOB) un ruolo centrale, perché è chiamata, ex lege appunto, a tutelare, sotto ogni profilo (giuridico, economico, culturale), presso ogni sede ed in ogni dove (Enti ed Istituzioni nazionali, europei ed internazionali) gli interessi della professione del Biologo. Mentre, agli Ordini territoriali e/o le Federazioni Regionali, ove costituite, sono riservati ruoli, funzioni e competenze residuali.

in una lettura logica e funzionale della ratio legis, norme al tempo stesso programmatiche e precettive nella misura in cui il Legislatore ha voluto appunto attribuire alla FNOB il ruolo esponenziale, e quindi preminente e preponderante, nella tutela complessiva del Biologo.

A conferma di ciò sovviene anche la norma di cui alla lettera d) dell’art. 8, comma 15, che, richiamando la lettera d) dell’art. 3, prevede tra le altre competenze della FNOB quelle di promuovere e favorire, sul piano nazionale, le iniziative volte a facilitare il progresso culturale degli iscritti , anche in riferimento alla formazione universitaria finalizzata all’accesso alla professione ( cfr.art.3, 1 comma, lettera d) del Decreto legislativo del Capo Provvisorio dello Stato 13 settembre 1946, n.233 – così come modificato e integrato dalla L.3/2018. ).

Ed infine, ma non per ordine di importanza, il ruolo che il Legislatore ha voluto riservare alla Federazione Nazionale (nel caso di specie FNOB) trova ulteriore conferma anche nella previsione normativa (cfr. art. 8, comma 13 ) secondo la quale è il Comitato Centrale che propone il contributo annuo che ciascun Ordine deve versare per consentire lo svolgimento delle funzioni e competenze di cui la Federazione Nazionale è attributaria ex lege.

In conclusione, quindi, la volontà del Legislatore, nel caso che qui ci occupa, e rispetto al quesito sottopostomi, è estremamente chiara e lineare: è assegnato alla Federazione Nazionale (FNOB) un ruolo centrale, perché è chiamata, ex lege appunto, a tutelare, sotto ogni profilo (giuridico, economico, culturale), presso ogni sede ed in ogni dove (Enti ed Istituzioni nazionali, europei ed internazionali) gli interessi della professione del Biologo. Mentre, agli Ordini territoriali e/o le Federazioni Regionali, ove costituite, sono riservati ruoli, funzioni e competenze residuali (cfr. Decreto legislativo del Capo Provvisorio dello Stato 13 settembre 1946, n.233 – così come modificato e integrato dalla L.3/2018)

Nei suddetti termini rendo il presente parere restando a disposizione per quant’altro possa occorrere.

Napoli, 19 febbraio 2024

20 Giornale dei Biologi | Feb 2024

È nata la FNOB

Federazione Nazionale degli Ordini dei Biologi

Seguici sui canali ufficiali

www.fnob.it

Federazione Nazionale degli Ordini dei Biologi Giornale dei Biologi

Il Giornale dei Biologi

SCREENING PRENATALE L’ESPERIENZA DEL BIOLOGO DELL’EDERA

L’approccio analitico delle strutture del sistema sanitario in Basilicata con esami genetici predittivi di ultima generazione

di Pierantonio Lutrelli

Cinquantacinquenne originario di Miglionico, un piccolo paese nel cuore della Lucania, Domenico Dell’Edera è attualmente responsabile del Laboratorio di Genetica Medica ed Immunogenetica presso l’Ospedale “Madonna delle Grazie” di Matera. Dopo aver conseguito il Diploma di Maturità Scientifica presso il Liceo Scientifico Statale “Dante Alighieri” della città dei Sassi, la formazione accademica è stata acquisita frequentando l’Università degli Studi “La Sapienza” di Roma, con la laurea in Scienze Biologiche.

Com’è proseguita la sua formazione?

Nel 1994 ho ottenuto l’abilitazione alla professione di Biologo, iscrivendomi all’Ordine. Nel 1996 ho conseguito il Diploma di Specializzazione in Genetica Applicata con indirizzo in Citogenetica e Genetica Molecolare sempre presso “La Sapienza”. Sono seguiti negli anni diversi corsi di perfezionamento, tra i quali quello in “Biologia e tecnologie della riproduzione assistita” presso l’Università degli Studi “Federico II” di Napoli.

Quali sono state le figure più importanti che l’hanno ispirata?

I miei mentori sono stati il professore Giuseppe Novelli e il professore Bruno Dalla Piccola. Con loro ho imparato ad avere un occhio attento verso l’innovazione. È seguita l’esperienza come dirigente biologo in diverse strut-

ture ospedaliere e come consulente scientifico “embriologo della riproduzione” presso l’IRCCS “Saverio De Bellis” di Castellana Grotte (Bari). Nel 2007 sono diventato responsabile del laboratorio di genetica Medica e Immunogenetica del Presidio Ospedaliero “Madonna delle Grazie” di Matera nonché Centro di Riferimento Regionale per la prevenzione e diagnosi delle patologie genetiche. In quest’ambito, insieme ai medici di Medicina Generale, ai pediatri e alle Unità Operative di Ginecologia ed Ostetricia presenti nei cinque punti nascita della Regione Basilicata, ho attuato numerosi progetti specialmente nell’ambito della diagnostica prenatale, elaborando programmi nella Regione Basilicata volti a combattere l’emigrazione e la diseguaglianza sanitaria a vantaggio del concetto di equità nella erogazione delle prestazioni sanitarie.

Che risultati avete raggiunto?

Insieme al direttore della UOC di Ostetricia e Ginecologia dell’Azienda San Carlo di Potenza, dott. Sergio Schettini, e alla dottoressa Maria Laura Pisaturo, abbiamo assicurato alle donne in gravidanza della Basilicata con rischio concreto di procreare figli con patologie genetiche non curabili, la Diagnosi Prenatale Invasiva del primo trimestre (villocentesi). Nel 2014, insieme al Centro Regionale per la Fibrosi Cistica diretto dal dott. Donatello Salvatore, abbiamo attuato un progetto sulla

22 Giornale dei Biologi | Feb 2024
Intervista

ricerca del portatore sano di fibrosi cistica in Basilicata. In questo modo si è riuscito a mappare la frequenza del portatore sano di fibrosi cistica e le copie/famiglie a rischio di procreare figli affetti da fibrosi cistica. Tra le prime regioni in Italia, la Basilicata ha adottato, come test di secondo livello, lo screening molecolare delle principali aneuploidie cromosomiche fetali. Il progetto prevede l’isolamento del DNA fetale da sangue venoso materno in modo da comprendere la presenza o meno di una eventuale patologia cromosomica nel feto. Questo progetto ha gettato le basi per un approccio più completo e preciso alla valutazione del rischio genetico nelle prime fasi della gravidanza. Il NIPT ancora oggi, nella maggior parte delle Regioni Italiane, è erogato prevalentemente dal settore privato; quindi, la spesa è a totale carico della paziente.

Ci sono stati altri progetti innovativi in ambito genetico?

Certo. Il 2023 ha visto la realizzazione di un progetto pilota sullo screening del portatore sano di Atrofia Muscolo Spinale 1 (SMA1), che ha portato a importanti risultati nella prevenzione di questa malattia genetica. Il nostro laboratorio è inserito nella rete Europea Orphanet come centro di riferimento per Io studio di alcune patologie geniche e cromosomiche fra le quali la fibrosi cistica, le alfa e beta talassemia, l’atrofia muscolo spinale 1,

Ospedale “Madonna delle Grazie” di Matera.

Tra le prime regioni in Italia, la Basilicata ha adottato, come test di secondo livello, lo screening molecolare delle principali aneuploidie cromosomiche fetali. Il progetto prevede l’isolamento del DNA fetale da sangue venoso materno in modo da comprendere la presenza o meno di una eventuale patologia cromosomica nel feto.

l’emocromatosi, la sindrome adrenogenitale, la sindrome dell’X-fragile, le patologie citogenomiche mediante l’utilizzo di una metodica denominata Cgh-Array.

Come fa a trasmettere le sue conoscenze in ambito scientifico?

Sono coautore di diverse linee guida in ambito genetico e sanitario. In particolare, sono coinvolto nella stesura delle linee guida per la diagnosi citogenetica, del protocollo di screening prenatale per la valutazione del rischio di aneuploidie, del documento sul Carrier Screening e Expanded Carrier Screening e delle raccomandazioni per la predisposizione e l’organizzazione di laboratori di embriologia e genetica medica. Sono coautore di diversi libri pubblicati in ambito nazionale ed internazionale fra i quali spicca il libro dal titolo “Trombofilia in Ostetricia e Ginecologia” edito da Verduci, che cerca di condividere con chi legge un percorso e degli strumenti che siano utili a tutti coloro che operano quotidianamente nei vari campi medici e che hanno a che fare con l’emostasi nella donna. L’emostasi e l’ostetricia sono settori della medicina che da molto tempo s’incontrano e, influenzandosi a vicenda, determinano l’andamento clinico di una gravidanza e, talvolta, il futuro del nascituro. Sono, infine, coautore di più di cento articoli scientifici pubblicati su riviste nazionali ed internazionali.

Giornale dei Biologi | Feb 2024 23 ”
Il dott. Domenico Dell’Edera (al centro) con la sua équipe.

TUMORI, NEL 2024 SI PREVEDONO TASSI DI MORTALITÀ IN CALO

Complici, in Italia, la diminuzione del consumo di alcol e il dato stabile di sovrappeso e obesi. Resta qualche numero negativo: ne parla Carlo La Vecchia (Statale di Milano)

di Chiara Di Martino

Uno studio sui tassi di mortalità per tumore condotto ogni anno dal 2011 per orientare le politiche di programmazione sanitaria ma anche per monitorare i fattori di rischio: a condurlo è l’Università degli Studi di Milano insieme all’Università di Bologna e le previsioni per il 2024 sono state pubblicate sulla rivista Annals of Oncology. Diverse buone notizie per l’Italia (e la Francia), ma resta anche qualche ombra. I tassi sono stati esaminati anche per il Regno Unito, la Germania, la Polonia e la Spagna a partire dai dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e dell’Eurostat, ed è stata analizzata la mortalità per diversi tumori: stomaco, colon-retto, pancreas, polmone, mammella, utero (compresa la cervice), ovaio, prostata, vescica e leucemie, sia negli uomini sia nelle donne.

Partiamo dal primo dato generale: le predizioni dei decessi per tumore indicano una diminuzione dei tassi di mortalità del 6,5% negli uomini e del 4% nelle donne nell’Unione Europea, tra il 2018 e il 2024. E ancora: seppur in diminuzione nei dati assoluti, il cancro del colon-retto è in aumento del 26% negli uomini e del 36% nelle donne tra i 25 e i 49 anni nel Regno Unito, probabilmente a causa di un aumento dell’obesità e del consumo di alcol e superalcolici. Un fe -

nomeno, quello dell’aumento del consumo di alcol, che non si registra, invece, in Italia, dove è diminuito drasticamente negli ultimi 40 anni. A dirci di più è Carlo La Vecchia, docente di Statistica Medica ed Epidemiologia all’Università Statale di Milano e ‘guida’ dello studio.

Professore, partiamo dal principio: quando si parla di tumori, quali sono i principali fattori di rischio?

Il primo è certamente il fumo, seguito dalle condizioni di sovrappeso/obesità e poi certamente il consumo di alcol. Per quest’ultimo, però, in Italia (e in Francia) si registra un calo significativo: basti pensare che negli anni ’70-’80 in questi due paesi era il più alto al mondo, con oltre 20 litri di etanolo puro per adulto all’anno. Ora quella quantità è scesa a 5 litri: una diminuzione del 70%. A questo si accompagna, sempre nel Belpaese, una sostanziale stabilità della proporzione sovrappeso-obesi, che invece in alcuni paesi europei e in Nord America cresce in maniera costante.

Lo studio si focalizza sulle tipologie di tumore più comuni. Cosa può dirci?

Il maggiore aumento dei tassi di mortalità per tumore al colon-retto tra i giovani si registrerà nel Regno Unito, dove nel 2024 ci sarà un aumento del 26% (rispetto al 2018) negli uomini e di quasi 39% nelle donne,

24 Giornale dei Biologi | Feb 2024
Intervista

©

attestandosi, per i primi, come seconda causa di morte dopo il tumore ai polmoni e, per le seconde, la terza, dopo il tumore alla mammella e ai polmoni. Tra i fattori chiave che contribuiscono all’aumento dei tassi di mortalità tra i giovani per questa patologia ci sono il sovrappeso, l’obesità e le condizioni di salute correlate, come alti livelli di glucosio nel sangue o il diabete. In Italia non si registra un aumento marcato, e si spiega con la già menzionata diminuzione del consumo di alcol. In generale, poi, gli andamenti di mortalità per tumore alla mammella continuano a essere favorevoli: nel 2024 si prevede una diminuzione del 6% nell’UE.

C’è un dato in crescita per l’Italia?

Quello del tumore al polmone nelle donne (+6%), che ‘scontano’ l’eccesso di sigarette soprattutto per quelle nate negli anni ’50-’60. Anche il tumore al pancreas – molto difficile sia da individuare sia da trattare con successo, classicamente associato al consumo di tabacco e all’obesità, due fattori che, comunque, lo spiegano solo in parte – è in aumento nel nostro paese.

Guardando i numeri assoluti c’è qualche buona notizia?

Carlo La Vecchia.

le predizioni dei decessi per tumore indicano una diminuzione dei tassi di mortalità del 6,5% negli uomini e del 4% nelle donne nell’Unione Europea, tra il 2018 e il 2024.

rebbe a 4-5.000. L’abitudine al consumo di tabacco, purtroppo, si legge in tutti i dati: il fumo rimane responsabile del 25% di tutti i decessi per tumore tra gli uomini e del 15% tra le donne nell’Unione Europea.

Come vanno complessivamente letti i dati?

I tassi scendono, ma i numeri dei tumori sono stabili. Dal punto di vista epidemiologico, lo studio serve a monitorare i fattori di rischio – che sono quelli che ho elencato - e l’impatto della prevenzione. Laddove registriamo una diminuzione, dobbiamo ricordarci che essa è accompagnata, in alcuni casi, da una miglior diagnosi, come nel caso del colon-retto, o da migliori terapie, come nel caso del tumore alla mammella.

Quale considerazione si può far discendere dallo studio?

Oltre all’importanza di ridurre fattori di rischio come il consumo di alcol e tabacco, le nostre previsioni evidenziano anche l’importanza di colmare i divari tra i Paesi Europei per quanto riguarda i programmi di diagnosi e trattamento del tumore. I tassi di mortalità continuano a essere più elevati in Polonia e in altri Paesi dell’Europa centrale e orientale, e ciò è dovuto in parte all’inadeguatezza dei programmi di screening e alla mancanza di accesso alle terapie più moderne.

Giornale dei Biologi | Feb 2024 25 ”
Secondo lo studio, nel 2024 i decessi per tumore in Italia saranno 21.400 per gli uomini e 11.400 per le donne. Se nessuno fumasse, il totale, anziché 33.000 circa, arriveGajus/shutterstock.com

DIABETE, LIVELLI DI INSULINA RIPRISTINATI IN 48 ORE CON DUE FARMACI ANTITUMORALI

Uno studio di ricercatori australiani potrebbe segnare una svolta terapeutica rivoluzionaria rendendo i pazienti finalmente indipendenti dalle iniezioni quotidiane

di Ester Trevisan

Arriva dal continente dei canguri una nuova ricerca scientifica che potrebbe segnare una svolta rivoluzionaria nella terapia contro il diabete. Un team di ricerca australiano, guidato da scienziati del Baker Heart and Diabetes Institute di Melbourne, ha dimostrato che due farmaci approvati dalla Food and Drug Administration statunitense contro il cancro sono in grado di trasformare le cellule duttali del pancreas in cellule β , ovvero le cellule endocrine presenti nelle isole pancreatiche (isole di Langerhans) sensibili alla glicemia e deputate a produzione, stoccaggio e rilascio dell’insulina nell’organismo. Tutto con un’efficienza assoluta in termini di tempo: nell’arco di sole 48 ore dalla somministrazione dei farmaci, ha inizio la produzione di insulina. I ricercatori, coordinati dal professor Assam El-Osta, docente presso il Program Epigenetics in Human Health and Disease, hanno puntato l’attenzione sull’enzima EZH2, una metiltransferasi strettamente legata alla crescita e allo sviluppo delle cellule. Utilizzando due farmaci chiamati GSK126 e Tazemetostat impiegati contro tumori metastatici come il sarcoma epitelioide e il carcinoma mammario, gli studiosi hanno rilevato la loro capacità di influenzare l’enzima EZH2 e di modificare la forma -

zione delle cellule duttali progenitrici, portandole a sviluppare funzioni simili a quelle delle cellule β . Le cellule “trasformate” iniziano così a rispondere ai livelli di glicemia e a produrre insulina in base alle necessità, sostituendosi alle cellule β compromesse.

Le cellule duttali lavorano come fossero controfigure grazie ai due farmaci antitumorali in grado di ripristinare la funzione perduta o compromessa della sintetizzazione di insulina a causa del diabete di tipo 1, che distrugge le cellule β attraverso un processo autoimmunitario in cui i linfociti T attaccano e uccidono le cellule delle isole pancreatiche.

Gli esperimenti sono stati realizzati su cellule di un bambino di 7 anni e di un adulto di 61 anni con diabete di tipo 1, oltre che su quelle di un soggetto sano di 56 anni. I test hanno evidenziato l’efficacia di entrambi i farmaci nel favorire la produzione di insulina indipendentemente dall’età. Come spiegato dagli autori dello studio, i farmaci attualmente disponibili per trattare il diabete aiutano a tenere sotto controllo i livelli di glucosio nel sangue, ma «non prevengono, arrestano o invertono la distruzione delle cellule che secernono insulina», pertanto con questa nuova, potenziale terapia, si potrebbe raggiungere l’indipendenza dalle iniezioni di insulina.

26 Giornale dei Biologi | Feb 2024 Salute

Ciò potrebbe rappresentare una svolta nel trattamento dei pazienti affetti da diabete di tipo 1 e di tipo 2 insulino-dipendenti. Con una prevalenza in continua crescita, il diabete viene identificato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) quale priorità globale per tutti i sistemi sanitari. Ad oggi nel mondo si contano oltre 530 milioni di adulti diabetici, un numero destinato ad aumentare a 640 milioni nel 2030. In Europa la malattia interessa circa 60 milioni di adulti e gli italiani con diabete sono cir-

ca 4 milioni, ma si stima che un ulteriore milione abbia la malattia senza che sia mai stata diagnosticata. I risultati dello studio “EZH2 inhibitors promote β -like cell regeneration in young and adult type 1 diabetes donors”, ai quali hanno concorso anche ricercatori dell’Istituto di ricerca medica di St. Vincent, dello STEM College dell’Università RMIT e dell’Università Monash, sono stati pubblicati sulla rivista scientifica “Signal Transduction and Targeted Therapy” del gruppo Nature.

Giornale dei Biologi | Feb 2024 27
Studio/shutterstock.com
© Proxima
Ad oggi nel mondo si contano oltre 530 milioni di adulti diabetici, un numero destinato ad aumentare a 640 milioni nel 2030.
© Halfpoint/shutterstock.com

SCOPERTA UNA PROTEINA CHIAVE PER LA RIGENERAZIONE DEL TESSUTO MUSCOLARE

Un recente studio ha identificato un nuovo meccanismo in grado di controllare l’equilibrio fra differenziamento e autorinnovamento delle cellule staminali muscolari di topo

Una ricerca internazionale, capitanata dall’Istituto di genetica e biofisica “A. Buzzati-Traverso” del Cnr, ha individuato una proteina che riveste un ruolo chiave nei meccanismi di rigenerazione e omeostasi dei muscoli scheletrici. Tali processi rigenerativi sono particolarmente compromessi durante l’invecchiamento o nel caso di patologie degenerative come per esempio la distrofia di Duchenne. I risultati dello studio hanno aggiunto un importante tassello alla comprensione dei processi di rigenerazione muscolare e potrebbero portare allo sviluppo di nuove terapie rigenerative più efficienti. Alla ricerca, pubblicata sulla rivista Developmental Cell, ha preso parte anche l’Istituto Sanford Burnham di La Jolla (California), l’Università degli Studi di Napoli Federico II e l’IRCCS Fondazione Santa Lucia di Roma.

Oggetto principale dello studio sono state particolari cellule staminali adulte dette “cellule satellite”, presenti all’esterno delle fibre muscolari di topo. Queste cellule sono capaci sia di differenziarsi e rigenerare il tessuto muscolare danneggiato, sia di autorinnovarsi così da mantenere una riserva di staminali quiescenti pronta per futuri cicli rigenerativi. Secondo quanto emerso dalla nuova ricerca, l’attivazione o meno delle cellule satellite è risultata legata a una piccola proteina denominata Cripto, presente sulla loro superficie.

«I muscoli - spiega Gabriella Minchiotti (Cnr-Igb), coordinatrice dello studio - forniscono sostegno strutturale al corpo, consentono il movimento e contribuiscono attivamente al metabolismo basale». «Il tessuto muscolare scheletrico - prosegue Minchiotti - costituisce circa il 40% del peso corporeo di un individuo adulto: comprendere i meccanismi alla base dei processi di rigenerazione dei tessuti in condizioni fisiologiche e nella patologia è di fondamentale importanza». Come chiarisce la ricercatrice, il mantenimento dell’integrità muscolare dipende principalmente dalle cellule satellite: quando il muscolo è a riposo, esse si trovano in uno stato inattivo/dormiente, denominato “quiescenza”. Viceversa, come risposta a danni muscolari, si attivano e manifestano la straordinaria capacità di compiere due azioni importantissime: esse possono differenziarsi, cioè trasformarsi in nuove cellule muscolari (mioblasti) che contribuiscono a rigenerare il tessuto danneggiato e, parallelamente, hanno la capacità di auto-rinnovarsi, cioè dare origine a nuove cellule quiescenti, assicurando il mantenimento di una “riserva” di cellule staminali pronta per le future necessità.

La ricerca ha chiarito anche come la proteina Cripto guida le cellule satellite a differenziarsi in cellule muscolari o a ripopolare la riserva di cellule staminali quiescenti. «Abbiamo scoperto che le cellule satellite attivate

28 Giornale dei Biologi | Feb 2024 Salute

non sono tutte uguali: si distinguono, infatti, per la presenza di quantità diverse sulla loro superficie di una piccola proteina che si chiama Cripto», aggiunge Minchiotti. «In seguito a un danno muscolare, le cellule staminali si “svegliano” rivestendo la loro superficie con la proteina Cripto. Quando il rivestimento diventa sufficiente, le cellule Cripto positive vanno incontro a differenziamento. Al contrario, le cellule con livelli più bassi o assenti di Cripto - o Cripto negative - ritornano allo stato quiescente e ripopolano la “riserva” di cellule satellite. Quantità diverse di Cripto sulla superficie delle cellule – aggiunge la ricercatrice - creano una micro-eterogeneità, cioè una sorta di “mappa” che cambia rapidamente sulla loro superficie».

Nel corso dello studio i ricercatori sono rimasti sorpresi in particolare dall’elevata dinamicità di queste cellule che possono rapidamente intercambiarsi: «Le cellule Cripto positive diventano Cripto negative e viceversa e questo avviene eliminando la proteina in eccesso dalla superficie cellulare o rivestendo la superficie con la proteina che è immagazzinata internamente alla cellula», commenta

Oggetto principale dello studio sono state particolari cellule staminali adulte dette “cellule satellite”. Queste cellule sono capaci sia di differenziarsi e rigenerare il tessuto muscolare danneggiato, sia di autorinnovarsi.

© Kite_rin/shutterstock.com

Ombretta Guardiola, ricercatrice del Cnr-Igb e autrice principale del lavoro. «Questa plasticità consente alle cellule satellite di adattarsi rapidamente ai cambiamenti dell’ambiente circostante che avvengono durante la rigenerazione muscolare. Infatti, Cripto agisce sulla superficie cellulare come “sensore” molecolare che “legge” le variazioni dell’ambiente, inclusa la presenza di molecole infiammatorie che si accumulano in seguito ad un danno muscolare».

Gli autori precisano che prima di poter essere applicato all’uomo, lo studio richiede ulteriori approfondimenti. «Le perturbazioni dell’equilibrio fra differenziamento e autorinnovamento delle cellule staminali muscolari sono state associate alla degenerazione muscolare legata all’età, e il nostro studio identifica un nuovo meccanismo in grado di controllare questo equilibrio», spiega Minchiotti. «In futuro – conclude l’autrice - riuscire a controllare l’espressione e la localizzazione della proteina Cripto nelle cellule staminali muscolari delle persone anziane potrebbe migliorare l’efficienza della rigenerazione muscolare». (S. B.)

Giornale dei Biologi | Feb 2024 29
© BigBlueStudio/shutterstock.com

ICTUS PEDIATRICO: ANCHE SE RARO, È FRA LE PIÙ FREQUENTI CAUSE DI DISABILITÀ

Nella riabilitazione, centrale il ruolo del terapista occupazionale per aiutare i bambini a recuperare le abilità perse e raggiungere veri e propri obiettivi di autonomia

di Elisabetta Gramolini

Quando si parla di ictus in genere si parla esclusivamente della popolazione matura o più anziana. Eppure l’ictus colpisce pure i bambini. Sebbene con prevalenza rara in questa fascia d’età, la patologia nei Paesi sviluppati è una delle più frequenti cause di disabilità e rappresenta una tra le prime dieci cause di morte nella popolazione pediatrica con una percentuale più alta nel primo anno di vita.

L’ictus nel bambino viene tipicamente suddiviso in due categorie: l’ictus perinatale che avviene cioè tra la ventesima settimana gestazionale e il 28esimo giorno di vita, con una incidenza stimata tra i 25 e i 40 casi ogni 100mila nati ogni anno, e l’ictus pediatrico che invece si manifesta dal 29esimo giorno di vita ai 18 anni, con una incidenza fra l’1,3 e i 13 casi su 100mila nati ogni anno.

Nonostante la maggior plasticità cerebrale, non sempre il recupero nei bambini è migliore rispetto a quanto accade nella popolazione adulta. I pazienti pediatrici che sopravvivono all’ictus perinatale e pediatrico, infatti, hanno un alto rischio di disabilità, di complessità e severità variabile, che può interessare la sfera motoria, sensoriale, cognitiva e comportamentale, oltre a portare conseguenze di tipo neurologico, come l’epilessia. La maggior parte di bambini colpiti da ictus richiede quindi una presa in carico riabilitativa multidiscipli-

nare complessa che ha l’obiettivo di favorire il massimo livello di partecipazione possibile a tutte le attività quotidiane, migliorando la qualità della loro vita.

Una figura chiave in questo percorso è quella del terapista occupazionale, il professionista sanitario della riabilitazione che si occupa di promuovere la salute e il benessere attraverso la possibile attività che può essere svolta. La terapia occupazionale è una scienza altamente centrata sul paziente e sulla famiglia, perché le nostre occupazioni sono inscindibili dal contesto ambientale, sociale e familiare. L’intervento è quindi altamente individualizzato poiché, ognuno svolge, nella propria quotidianità, attività significative profondamente diverse. Nell’ambito dell’età evolutiva, e in particolare nell’ictus pediatrico, il ruolo del terapista occupazionale diventa quello di aiutare i bambini non solo a recuperare le abilità perse ma, in alcuni casi, a raggiungere veri e propri obiettivi di autonomia che, a causa della precocità dell’evento, non erano ancora stati acquisiti. Bambini e ragazzi possono trovarsi da un giorno all’altro a non essere più in grado di svolgere alcune attività per loro fondamentali nel percorso di costruzione della propria personalità.

«Rabbia, frustrazione, depressione, senso di isolamento e paura per il futuro sono sentimenti spesso presenti nelle persone colpite da

30 Giornale dei Biologi | Feb 2024 Salute

ictus, soprattutto se si tratta di adolescenti –dichiara Marta Bertamino, pediatra dell’Unità di Medicina Fisica e Riabilitazione dell’Irccs Ospedale Gaslini di Genova -. Riappropriarsi della propria autonomia, anche se in una forma diversa rispetto a quella sperimentata prima dell’ictus, ha ricadute positive sulla qualità di vita non solo del bambino o del ragazzo ma anche della famiglia. Il terapista occupazionale può aiutare il bambino, i caregiver e le comunità attraverso un supporto educativo alle autonomie e alla promozione del senso di competenza».

L’intervento del terapista occupazionale dovrebbe iniziare precocemente nei casi di ictus in età evolutiva ed è differenziato rispetto alle esigenze, all’età e alla complessità del quadro clinico. Si integra con le altre figure delle professioni riabilitative e assistenziali nell’identificare, ad esempio, gli ausili necessari e i corretti posizionamenti per favorire l’allineamento posturale e, nel percorso riabilitativo, per accompagnare il rientro a casa (tra cui la valutazione dell’accessibilità degli

L’ictus nel bambino viene tipicamente suddiviso in due categorie: l’ictus perinatale che avviene cioè tra la ventesima settimana gestazionale e il 28esimo giorno di vita, con una incidenza stimata tra i 25 e i 40 casi ogni 100mila nati ogni anno, e l’ictus pediatrico che invece si manifesta dal 29esimo giorno di vita ai 18 anni, con una incidenza fra l’1,3 e i 13 casi su 100mila nati ogni anno.

ambienti di vita – domicilio, scuola e ambienti sociali), tenendo conto delle abitudini del nucleo familiare.

Prima di ogni valutazione, il terapista occupazionale effettua un’analisi preliminare di tre elementi fondamentali per lo svolgimento delle attività: la persona, l’occupazione, cioè l’attività che la persona si trova a svolgere nel suo contesto, e l’ambiente, nella sua accezione sia fisica sia sociale. L’intersezione di questi tre sistemi è lo spazio di realizzazione di quella che viene chiamata performance occupazionale. Più questi sistemi si parlano e si intersecano, maggiore sarà la possibilità che la performance si realizzi con efficacia e soddisfazione. «Partecipazione, autonomia e inclusione sono le parole chiave soprattutto quando si tratta di bambini o adolescenti e, in questo, l’intervento del terapista occupazionale è di cruciale importanza in una situazione così complessa come quella causata dalla disabilità post ictus», conclude Andrea Vianello, presidente della Associazione per la lotta all’ictus cerebrale, A.L.I.Ce. Italia Odv.

Giornale dei Biologi | Feb 2024 31
© Halfpoint/shutterstock.com
©
Pressmaster/shutterstock.com

AUMENTANO LE PERSONE CHE VIVONO CON UNA DIAGNOSI DI CANCRO NEL VECCHIO CONTINENTE

Secondo le ultime stime, 1 europeo su 20 ha affrontato il cancro nel corso della sua vita e questo dato è in crescita, in parte per effetto dell’invecchiamento della popolazione

32 Giornale dei Biologi | Feb 2024 Salute

All’inizio del 2020 il 5% della popolazione europea aveva affrontato nel corso della vita una diagnosi di tumore, per un totale complessivo di 23.7 milioni di persone. Dal 2010 al 2020, inoltre, il numero di casi prevalenti per tumore in Europa è aumentato in media del 3,5% l’anno e del 41% in totale (da 16.8 a 23.7 milioni), in parte per effetto dell’invecchiamento demografico. Sono questi i principali risultati di un recente studio internazionale coordinato dall’Istituto Superiore di Sanità e dalla Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori di Milano e pubblicato sulla rivista Lancet Oncology. Lo studio ha stimato la prevalenza del cancro a inizio 2020 in Europa analizzando i dati dei registri tumori di 29 paesi europei partecipanti al programma di ricerca EUROCARE-6. La nuova serie di dati resa disponibile dallo studio è accessibile on-line sul sito dello European Cancer Information System (ECIS) della Commissione Europea.

Scendendo più nel dettaglio della ricerca, sul totale di 23.7 milioni di persone che a inizio 2020 avevano avuto una diagnosi di tumore, le donne erano 12.8 milioni mentre gli uomini 10.9 milioni. Il 16% del totale dei pazienti aveva un’età inferiore ai 55 anni, in tutto 3.74 milioni di persone. Va precisato che le stime della ricerca hanno compreso tutti i casi prevalenti, ossia pazienti ancora in terapia, persone sotto sorveglianza per la prevenzione di eventuali recidive e persone guarite dal tumore che non necessitano di altre cure o controlli.

Per quanto riguarda le tipologie di tumore risultate più comuni sul totale dei casi prevalenti, al primo posto per le donne c’era il tumore della mammella (43%), mentre per gli uomini il tumore della prostata (37%). Al secondo posto, per entrambi i sessi, i tumori colonrettali. Lo studio epidemiologico si è basato sui dati riguardanti pazienti diagnosticati dal 1978 e seguiti fino al 2013, per un totale di oltre 19 milioni di casi oncologici e 32 tipologie di tumore analizzate. I ricercatori hanno poi utilizzato il metodo statistico della regressione lineare per ottenere una proiezione dei dati fino al 1° gennaio 2020.

Una caratteristica unica, evidenziata dallo studio, è stata la stima di sopravvivenza al cancro a lungo o lunghissimo termine. Nel 2020 il numero di casi prevalenti diagnosticati da meno di 5 anni (8.86 milioni) era di molto inferiore al numero dei lungo viventi oltre i 5 anni, stimati in 14.85

milioni in totale, rispettivamente 5.75 milioni tra 5 e 10 anni, 5.54 milioni tra 10 e 20 anni e 3.55 milioni viventi da più di 20 anni dalla diagnosi. Complessivamente il 38% di tutti i casi prevalenti in Europa al 2020 erano sopravvissuti da più di 10 anni dalla diagnosi.

Lo studio ha anche evidenziato importanti differenze tra i 29 paesi europei partecipanti. Considerando il totale dei tumori maligni, i valori massimi di prevalenza sono stati riscontrati in Germania, Italia, Belgio e Francia, mentre quelli minimi in Bulgaria, Polonia e Slovakia. Le differenze maggiori sono state riscontrate per i tumori ad alta variabilità geografica di incidenza, come il melanoma della pelle, per il quale la proporzione di prevalenti nella popolazione, era 8 volte più alta in Danimarca rispetto alla Bulgaria, per entrambi i sessi.

«I risultati dello studio – spiegano gli autori - indicano che una quota molto significativa della popolazione europea è o è stata interessata dall’esperienza del cancro. L’aumento del carico oncologico, condizionato dall’invecchiamento demografico e in combinazione agli alti costi delle terapie innovative, ha delle serie implicazioni per la sostenibilità dei sistemi sanitari e socioassistenziali».

Gli autori della ricerca rilevano anche che le stime di prevalenza integrano gli studi sui guariti dal cancro e sulla qualità di vita dei pazienti oncologici e sono quindi di utilità per sviluppare linee guida sul follow up, per prevenire secondi tumori o sequele tardive e migliorare l’assistenza lungo tutto il percorso della malattia. Inoltre questi tipi di studi incentrati sulla prevalenza per durata di malattia consentono di quantificare la platea interessata da politiche volte a mitigare le conseguenze socio-economiche della patologia, come la discriminazione lavorativa o finanziaria.

Il Progetto EUROCARE è iniziato nel 1989 su iniziativa di due istituti di ricerca italiani: l’Istituto Nazionale dei Tumori (INT Milano) e l’Istituto Superiore di Sanità (Roma). Gli obiettivi di EUROCARE sono monitorare l’andamento temporale della sopravvivenza oncologica e le sue variazioni tra Paesi europei, misurare la prevalenza del cancro e studiare i percorsi di cura dei pazienti oncologici. Grazie alla partecipazione di un numero crescente di registri tumori europei di popolazione, lo studio fornisce regolarmente stime di sopravvivenza per tumore complete e comparabili in Europa.

Il Progetto EUROCARE è iniziato nel 1989 su iniziativa di due istituti di ricerca italiani: l’Istituto Nazionale dei Tumori (INT Milano) e l’Istituto Superiore di Sanità (Roma). Gli obiettivi di EUROCARE sono monitorare l’andamento temporale della sopravvivenza oncologica e le sue variazioni tra Paesi europei, misurare la prevalenza del cancro e studiare i percorsi di cura dei pazienti oncologici.

Giornale dei Biologi | Feb 2024 33 Salute © create jobs 51/shutterstock.com
© PopTika/shutterstock.com

CLASSIFICAZIONE DEI TUMORI: VERSO UN APPROCCIO MOLECOLARE

Dalla nomenclatura basata sulla localizzazione organica a una personalizzazione terapeutica legata alla profilazione genetica: l’idea di un gruppo di ricercatori francesi

di Carmen Paradiso

Finora, gli approcci predominanti nella cura del cancro si sono focalizzati sulla localizzazione del tumore nel corpo. Questo ha portato professionisti della salute a classificare i tumori secondo la localizzazione organica. Tuttavia, questa pratica risulta sempre più inadeguata di fronte ai progressi dell’oncologia di precisione, che impiega la profilazione molecolare delle cellule tumorali e immunitarie per personalizzare le terapie e renderle sempre più efficaci. La discussione nel mondo scientifico è aperta da diverso tempo, ma ora sembra esserci una visione unanime sull’idea di rivedere la nomenclatura dei tumori.

È stato il team di ricercatori guidato dal centro oncologico Gustave-Roussy in Francia ad avanzare questa idea. Infatti, il gruppo di ricerca ha recentemente pubblicato un commento sulla rivista Nature, sostenendo che classificare i tumori secondo le loro caratteristiche molecolari potrebbe accelerare l’identificazione delle terapie più efficaci. Alberto Bardelli, direttore scientifico dell’Istituto Fondazione di Oncologia Molecolare di Milano e professore all’Università di Torino ha sottolineato che ormai l’dea che il cancro sia una malattia molecolare è ormai un concetto accettato nel mondo scientifico; evidenziando l’importanza degli oncogeni, geni che pro-

Salute 34 Giornale dei Biologi | Feb 2024

muovono la trasformazione maligna di una cellula, come prova che le caratteristiche del cancro vanno oltre i tradizionali confini organici. Secondo i ricercatori dell’Ifom il passaggio a una classificazione basata sulle caratteristiche molecolari richiederà un impegno collettivo e la formazione di una nuova generazione di medici. Ed è per questo che nasce il programma Physician Scientist, un’iniziativa congiunta tra varie istituzioni (l’Ifom, Fondazione Airc per la Ricerca sul Cancro, Università di Milano, Istituto Nazionale dei Tumori, Ospedale Niguarda e Istituto Europeo di Oncologia di Milano), per offrire una formazione medica più completa che tenga conto degli ultimi sviluppi nell’oncologia di precisione.

Attualmente, è noto che tutte quelle persone affette da patologie oncologiche apparentemente diverse, ma causate dalla stessa mutazione genetica, possono beneficiare dello stesso trattamento. Al contrario, per quelle neoplasie che hanno nello stesso tessuto, ma sono caratterizzate da marcatori differenti, si richiede un approccio terapeutico differente. Bardelli prevede un futuro in cui i team di cura saranno sempre più multidisciplinari, includendo non solo medici ma anche esperti di intelligenza artificiale e biologi molecolari.

©

Questi progressi mirano a superare le limitazioni della classificazione basata sulla localizzazione organica, che può ostacolare l’accesso alle terapie mirate, come nel caso del farmaco nivolumab, progettato per bersagliare una proteina che permette alle cellule tumorali di evitare l’attacco del sistema immunitario e la sua efficacia è maggiore in presenza di alti livelli di questa proteina. Tuttavia, l’approccio tradizionale alla sperimentazione clinica, organizzato per ogni tipologia di tumore, ha ritardato l’accesso a questa terapia per molti pazienti. Infatti, durante le fasi di sperimentazione, il nivolumab ha dimostrato di essere efficace nel trattamento del melanoma e del carcinoma renale, in particolare nei casi in cui si registrava un’elevata espressione della proteina. Successivamente si sarebbe dovuto sperimentare questo trattamento su altri tipi di cancro che presentavano simili caratteristiche molecolari. Tuttavia, milioni di persone con questi profili non sono stati inclusi in tali studi, questo proprio a causa dell’approccio tradizionale di classificazione dei tumori.

Un altro esempio è dato dagli inibitori PARP, che sono efficaci contro tumori con mutazioni BRCA1 e BRCA2, presenti in diversi tipi di cancro non solo in quelli del seno. I tumori che si diffondono oltre l’organo di origine, noti come metastatici, sono responsabili del 67-90% dei decessi legati al cancro. Questi tipi di tumore vengono generalmente trattati con terapie sistemiche, utilizzando farmaci che agiscono attraverso il flusso sanguigno. Come viene evidenziato dai ricercatori, per migliorare il trattamento del cancro metastatico, è essenziale che la comunità scientifica e medica faccia un salto qualitativo, passando dalle classificazioni basate sull’organo di origine a quelle basate sulle caratteristiche molecolari del tumore.

Infine, Bardelli ha sottolineando come nonostante sia fondamentale e giusto ciò che affermano i ricercatori francesi, bisogna tenere presente che la ricerca resta l’unico strumento e che è necessario riconoscere l’esistenza delle eccezioni, nonostante l’approccio molecolare possa semplificare l’approvazione dei farmaci. Infatti, alcuni farmaci possono funzionare per un tipo di tumore e non per un altro, nonostante abbiamo caratteristiche molecolari simili.

Salute Giornale dei Biologi | Feb 2024 35
Makistock/shutterstock.com
© Peddalanka Ramesh Babu/shutterstock.com

TUMORE DEL POLMONE: UN NUOVO FARMACO PUÒ

BLOCCARE LA MALATTIA

Via libera dell’Aifa a Lorlatinib: una speranza di trattamento per i pazienti adulti, in genere non fumatori, affetti carcinoma polmonare non a piccole cellule ALK positivo

36 Giornale dei Biologi | Feb 2024 Salute © Kateryna Kon/shutterstock.com

Sono drammatici i numeri in Italia per quanto riguarda il tumore del polmone. Ogni anno le diagnosi di questo tipo di cancro sono circa 40mila e costituiscono l’11% di quelle totali. Le percentuali sono diverse tra maschi e femmine: si calcola che un uomo su nove e una donna su 37 sviluppino un tumore del polmone nel corso della vita. La causa principale dell’insorgenza di questa neoplasia resta il fumo.

Ne è dimostrazione il fatto che la diminuzione dell’abitudine del fumo di sigaretta tra gli uomini è coincisa con una diminuzione, pur modesta, dell’incidenza della malattia. Parliamo di qualcosa come del -5,2 per cento/anno in tempi recenti. Discorso opposto va fatto invece per il genere femminile dove al contrario si è registrato un aumento motivato proprio con un’accresciuta abitudine al fumo (+2,7 per cento/anno). Sono due i gruppi principali di tumori al polmone se prendiamo in considerazione elementi distintivi come dimensione, forma e distribuzioni delle cellule tumorali: i carcinomi a piccole cellule, che costituiscono circa il 15% di tutti i carcinomi del polmone e i carcinomi non a piccole cellule che rappresentano circa l’85% di tutti i casi. I trattamenti sono differenti a seconda della tipologia. Naturalmente è fondamentale anche la prevenzione che per quel che riguarda il fumo si traduce in astensione. Ma sebbene questo sia il principale fattore di rischio, ne esistono anche altri: inquinamento atmosferico, esposizione ad amianto e ad altre sostanze chimiche, malattie polmonari croniche.

Le terapie nel corso del tempo hanno subito diverse evoluzioni con valutazioni che vanno di caso in caso anche in base alla stadiazione. Negli stadi più limitati si procede di norma con chirurgia o radioterapia, con possibilità di ricorrere alla chemioterapia laddove necessario. Ma, come scritto, la ricerca da questo punto di vista va avanti senza sosta. Come riportato anche dal Corriere della Sera esiste ora un nuovo farmaco capace di fermare il tumore ai polmoni in alcuni pazienti. Disponibile anche in Italia, il farmaco è in grado di bloccare, anche per diversi anni, la progressione di una neoplasia ai polmoni in pazienti che già presentano metastasi cerebrali. Tuttavia non è destinato a chiunque, ma solo ad una categoria specifica di persone con carcinoma polmonare. Quali? Lo spiega Silvia Novello, professore ordinario

Il progresso tecnologico può giocare un ruolo cruciale nel combattere questa complicata battaglia e dare una sterzata a dei dati che sicuramente allo stato attuale sono ancora fonte di preoccupazione. Già negli anni passi in avanti sono stati compiuti, ma altrettanti ne vanno fatti affinché la situazione possa ulteriormente migliorare col contributo delle innovazioni.

di Oncologia medica all’Università degli Studi di Torino e presidente di WALCE Onlus: «I pazienti con tumori ALK positivi sono mediamente giovani, per lo più sotto i 50 anni. Inoltre sono in gran parte non tabagisti o ex che hanno smesso da molti anni. Infine molti hanno metastasi cerebrali già al momento della diagnosi, perché questo sottotipo di neoplasia polmonare è molto aggressivo».

Il farmaco si chiama Lorlatinib e il motivo per cui è stato messo a punto è per superare la barriera ematoencefalica e agire a livello cerebrale. Ma non solo. Serve anche per essere attivo in pazienti precedentemente trattati con altre terapie (e la malattia è riuscita a mettere in atto dei meccanismi di resistenza). L’Aifa ha concesso l’autorizzazione su due fronti specifici: per i malati (adulti) con tumore non a piccole cellule avanzato, con traslocazione di ALK, non trattati in precedenza con altri farmaci della stessa categoria e per i malati che hanno già ricevuto cure specifiche alle quali non rispondono più. La neoplasia in questione resta assai complicata da trattare perché più del 70% dei pazienti arriva alla diagnosi tardi, quando la malattia è già in stadio avanzato.

In tal senso un supporto può giungere anche dall’Intelligenza Artificiale. L’Istituto nazionale dei tumori di Milano è stato infatti capofila del progetto internazionale di ricerca I3LUNG, finanziato con 10 milioni di euro dall’Ue. L’obiettivo è quello individuare, sfruttando le potenzialità dell’AI, diversi possibili biomarcatori per rendere a misura di paziente, e quindi più efficace, l’immunoterapia contro questo tipo di tumore. Nell’anno in corso è prevista la realizzazione di nuovi studi per combattere il cancro ai polmoni, ma anche quello alla pelle, oltre che per migliorare la condizione di chi soffre di Parkinson o depressione in gravidanza.

Alcune accortezze possiamo tenerle anche noi nella vita di tutti i giorni, svolgendo regolare esercizio fisico e introducendo nell’alimentazione tanta frutta e verdura, ricche di vitamine e altri elementi che possono aiutare i polmoni a mantenersi sani. Gli studi, inoltre, hanno dimostrato che lo screening sperimentale per il tumore del polmone nei soggetti ad alto rischio (forti fumatori) riduce la mortalità tumore-specifica e aumenta notevolmente le probabilità di individuare il tumore in stadio iniziale. (D. E.).

Giornale dei Biologi | Feb 2024 37
Salute
© Tourmalinwolf/shutterstock.com

Per approfondire la questione gli esperti hanno preso come modello gli odierni Tsimane Amerindi, un popolo indigeno della Bolivia, il cui stile di vita, proprio come quello di antichi greci e romani, è improntato sull’attività fisica con tassi di demenza estremamente bassi.

Questo ha spinto gli studiosi a concludere che «l’ambiente è un fattore determinante per il rischio di sviluppare demenza».

Da quanto esiste la demenza? È una malattia dei tempi moderni oppure risale all’antichità? Uno studio prova a far luce sull’origine di questa patologia che porta a un declino delle facoltà cognitive della persona. Ci arriveremo con calma, prima partiamo da ciò che è noto oggi, ovvero che si tratta di una malattia che colpisce il pensiero, il comportamento e che compromette la capacità di compiere anche i comuni atti quotidiani. La forma più diffusa di demenza è il morbo di Alzheimer, che occupa i due terzi dei casi totali. Poi c’è la demenza vascolare che è un deficit cognitivo causato da lesioni ai vasi sanguigni del cervello. In questo caso può essere causata da un singolo episodio di ictus cerebrale o da numerosi episodi di ictus nel corso degli anni. Quindi la demenza da corpi di Lewy, spesso associata al morbo di Parkinson, e la demenza frontotemporale. I sintomi sono differenti tra le varie malattie, sebbene abbiano degli elementi in comune. Non è sempre semplice individuare la demenza, anche perché spesso i segnali iniziali non sono così chiari ed evidenti. Ma non bisogna sottovalutare alcune potenziali spie come la progressiva e frequente perdita della memoria, lo stato confusionale, il cambiamento della personalità, l’apatia e la chiusura agli altri e la perdita della capacità di compiere i comuni atti quotidiani.

Per la maggior parte delle forme di demenza non esiste una cura realmente efficace, ma solamente dei farmaci in grado di alleviarne i sintomi, migliorando la qualità della vita. Chiunque può esserne colpito, sebbene il rischio aumenti col progredire dell’età. È meno comune, infatti, che persone sotto i 65 anni sviluppino la demenza: in questo caso si parla di demenza a esordio precoce. E, ora, passiamo a un altro quesito: da quanto tempo esiste la demenza? Fa parte della storia del genere umano oppure è frutto della società moderna. Testi medici risalenti a 2.500 anni fa menzionavano raramente gravi casi di perdita di memoria, come rivelato da uno studio condotto dall’University of Southern California e pubblicato sul Journal of Alzheimer’s Disease. Dall’analisi dei testi medici classici greci e romani sembrerebbe che la perdita di memoria grave, che oggi si verifica a livelli epidemici, non era affatto così comune tra i 2.000 e i 2.500 anni fa, all’epoca dei vari Aristotele,

Galeno e Plinio il Vecchio. Da ciò si evincerebbe come la sua diffusione dipenda in realtà dagli ambienti e stili di vita della società odierna. Tra le cause principali figurerebbero soprattutto i comportamenti eccessivamente sedentari e l’esposizione all’inquinamento atmosferico. Ne ha parlato Caleb Finch, professore universitario presso la USC Leonard Davis School of Gerontology e primo autore dello studio: «Fra le testimonianze degli antichi greci vi sono pochissime menzioni di qualcosa che potrebbe essere accostato a un lieve deterioramento cognitivo. Quando siamo arrivati ai romani, invece, abbiamo scoperto almeno quattro dichiarazioni che suggeriscono rari casi di demenza avanzata, anche se non possiamo affermare se si tratti di Alzheimer. Quindi, c’è stata una progressione dagli antichi greci ai romani».

In realtà gli antichi greci erano consapevoli del fatto che l’invecchiamento potesse portare a un lieve deterioramento cognitivo, ma nulla che facesse presupporre una grave perdita di memoria, di linguaggio e di ragionamento come quella causata dalla malattia di Alzheimer e da altri tipi di demenza. Finch e il coautore dello studio Stanley Burstein, storico della California State University di Los Angeles, hanno analizzato un’importante raccolta di scritti medici antichi di Ippocrate e dei suoi seguaci. Al suo interno sono effettivamente presenti una serie di disturbi delle persone anziane come sordità, vertigini e disturbi digestivi ma nulla a che fare con la memoria. Soltanto secoli più tardi, nell’antica Roma, c’è invece traccia di qualcosa di simile evidenziato dai testi di Galeno e Plinio Il Vecchio che mettevano in risalto le difficoltà da parte degli anziani nell’apprendere nuove nozioni. Ecco l’ipotesi di Finch: l’aumento della densità delle città romane con conseguente aumento dell’inquinamento ha portato a un incremento di casi di declino cognitivo. In più gli aristocratici romani usavano recipienti per cucinare e tubature dell’acqua in piombo e aggiungevano persino acetato di piombo al vino per addolcirlo, avvelenandosi senza saperlo con la potente neurotossina.

Alcuni scrittori antichi riconobbero la tossicità dei materiali che contenevano piombo, ma non seguirono progressi nell’affrontare il problema fino al XX secolo.

38 Giornale dei Biologi | Feb 2024
Salute
© fizkes/shutterstock.com

LE ORIGINI DELLA DEMENZA: ESISTEVA AI TEMPI DEGLI ANTICHI GRECI E ROMANI?

Uno studio dell’University of Southern California si è concentrato sui testi medici classici: gli esperti hanno scoperto che 2.000 anni fa la perdita di memoria era molto rara

di Domenico Esposito

Giornale dei Biologi | Feb 2024 39 Salute © SewCreamStudio/shutterstock.com

In un’epoca in cui la scienza medica compie passi da gigante, un gruppo di ricercatori dell’Università di Cambridge, guidato da Ashley Moffett, ha ideato e costruito una placenta in miniatura utilizzando cellule staminali. Questo organoide, descritto sulla rivista Cell Stem Cell dal gruppo di Ashley Moffett, rappresenta un importante passo nel campo della biologia riproduttiva e potrebbe gettare luce su alcuni dei più complessi misteri della gravidanza, inclusa la preeclampsia, una condizione nota anche come gestosi. La placenta funge da ponte vitale tra madre e feto, assicurando nutrimento e ossigeno al nascituro. Tuttavia, l’impianto placentare e le fasi iniziali della gravidanza sono notoriamente difficili da studiare, tanto da essere stati descritti come una “scatola nera” dello sviluppo umano da Moffett stesso. Il team di Cambridge ha cercato di capire quello che accade proprio in questa fase e lo ha fatto creando un modello tridimensionale di placenta che imita sorprendentemente la realtà, a partire da tessuto placentare reale. Il risultato è stato un organoide del trofoblasto che non solo assomiglia alla placenta umana, ma risponde positivamente anche ai test di gravidanza da banco. Una conferma della sua incredibile fedeltà biologica.

Questa replica in miniatura ha consentito agli scienziati di capire le prime fasi dello sviluppo placentare e il complesso processo di impianto all’endometrio materno. Rappresenta una sorta di invasione di un’agente esterno: il feto, attraverso la placenta, si impianta nell’ute-

ro in un delicato equilibrio che coinvolge anche il sistema immunitario materno, il quale deve tollerare quello che altrimenti potrebbe essere percepito come un’aggressione esterna.

Uno degli aspetti più importanti di questa ricerca riguarda la comprensione dei meccanismi alla base della preeclampsia, una condizione che colpisce alcune donne verso la fine della gravidanza e che può avere conseguenze gravi sia per la madre che per il bambino. “Per capire veramente la preeclampsia, per prevederla e prevenirla, dobbiamo osservare cosa accade nelle prime settimane,” ha affermato Moffett. Grazie alla creazione di queste “mini-placente”, i ricercatori sono ora in grado di fare proprio questo, aprendo nuove strade per comprendere e trattare uno dei problemi più complessi della gravidanza.

Precedenti studi hanno evidenziato come alcuni geni possano determinare alcune condizioni quali la preeclampsia. Infatti, una funzione importante è svolta dalle cellule killer naturali presenti nell’utero, che regolano le interazioni tra l’endometrio e le cellule della placenta, offrendo spunti significativi sulle prime fasi gestazionali. Recentemente, il gruppo di ricerca guidato dal professor Moffett ha sperimentato l’applicazione di proteine estratte dalle cellule killer naturali uterine su organoidi trofoblastici, simulando l’ambiente dell’impianto placentare. Questa ricerca ha permesso di identificare proteine fondamentali per lo sviluppo degli organoidi, rivelatesi cruciali per il corretto attacco della placenta. Queste molecole promuovono

RIVOLUZIONE NELLA

RICERCA

SULLA GRAVIDANZA:

CREATA LA PRIMA PLACENTA 3D

Scienziati dell’Università di Cambridge aprono nuove frontiere nella biologia riproduttiva, per la comprensione e il trattamento delle complicazioni gestazionali come la preeclampsia

40 Giornale dei Biologi | Feb 2024 Salute

Salute

l’invasione placentare nell’utero e la modificazione delle arterie materne.

Il professor Moffett ha messo in evidenza l’eccezionalità del meccanismo per cui le cellule fetali penetrano e modificano le arterie materne. Un’insufficiente invasione può compromettere la circolazione sanguigna, causando una riduzione nell’apporto di nutrienti e ossigeno al feto e di conseguenza portare a complicazioni nella fase avanzata della gravidanza. Margherita Turco, dell’Istituto Friedrich Miescher in Svizzera e co-autrice dello studio, ha sottolineato che nonostante la preeclampsia colpisca milioni di donne ogni anno in tutto il mondo, la sua comprensione di rimane limitata. Le donne di solito manifestano sintomi di preeclampsia verso la fine della gravidanza, ma per una comprensione approfondita, una previsione e prevenzione efficaci è importate capire ciò che accade nelle prime settimane.

La realizzazione di una placenta in miniatura attraverso l’uso di cellule staminali non è solo un traguardo della scienza moderna, ma promette anche di trasformare il modo in si comprende e affrontano le complicanze della gravidanza, avvicinandosi sempre di più a un futuro in cui la salute della madre e del bambino viene salvaguardata. Lo studio ha permesso di identificare alcuni processi chiave che ora richiedono maggiore attenzione, mettendo in evidenza il ruolo fondamentale della scienza di base nella comprensione della biologia umana. (C. P.).

La ricerca sugli organoidi placentari ha rivelato l’importanza di specifici geni che regolano il flusso sanguigno, offrendo nuove intuizioni su come la preeclampsia si sviluppi e su come potrebbe essere predetta e prevenuta.

© Alena Root/shutterstock.com
©
Giornale dei Biologi | Feb 2024 41
Petrovich Nataliya/shutterstock.com

SOS BURNOUT: STRESS

DA LAVORO IN AUMENTO

Il 22% dei dipendenti in tutto il mondo soffre di esaurimento: cause e soluzioni di uno dei mali dei nostri tempi

Il burnout è uno dei mali attuali che affligge la nostra società e che colpisce un numero sempre più consistente di persone in ogni angolo del pianeta, Italia compresa. La stessa Organizzazione Mondiale della Sanità l’ha ufficialmente riconosciuto, a testimonianza di quanto non debba essere preso sottogamba. Ma di cosa si tratta?

Il burnout è una condizione medica che porta chi ne soffre a sentirsi esausti, senza forze, demotivati, delusi, disinteressati e sotto stress sul luogo del lavoro. Un recente sondaggio condotto McKinsey Health Institute

mostra quanto la situazione debba essere affrontata di petto. Non è più il momento di tergiversare. Lo dicono i numeri, che non mentono mai. Pensate: su 30mila dipendenti in 30 Paesi, il 22% dei lavoratori su scala mondiale palesa sintomi di burnout.

Le cause che possono scatenare questa forma di esaurimento sono da ricercare nella mancanza di chiarezza delle mansioni professionali, nell’eccessiva pressione legata ai carichi di lavoro, nei ritmi intensi, ma anche nei conflitti interpersonali. In base ai risultati del sondaggio, a occupare il primo posto nella classifica dei Paesi

più colpiti da burnout è l’India con il 59%, mentre quello dove si registra la percentuale minore è il Camerun col 9%. E l’Italia dove si piazza? Per quanto i sintomi siano in aumento anche nello Stivale, il nostro Paese è collocato in una zona bassa della graduatoria con il 16% dei sintomi di burnout. C’è, però, da evidenziare che risulta alta (il 43%) la percentuale di esaurimento delle forze con conseguente stanchezza fisica e mentale.

Passiamo ora ai soggetti più a rischio. Secondo un altro sondaggio pubblicato su People Management, i più esposti al rischio esaurimento sono i dipendenti di piccole aziende che non ricoprono posizioni manageriali e i lavoratori più giovani. Già, il 50% dei dipendenti che rientrano nella cosiddetta Gen Z si ritiene stressato sul posto di lavoro per la maggior parte del tempo. Non solo: addirittura l’80% sarebbe disposto a rassegnare le dimissioni per via di una cultura aziendale definita tossica. Come contrastare il burnout? La ricetta è fornita sempre dal sondaggio del McKinsey Health Institute, da cui emerge l’importanza di un ambiente di lavoro positivo. Poter svolgere le proprie mansioni in un clima disteso e sereno permette ai dipendenti di provare un benessere maggiore e quindi essere più performanti. Insomma, ne beneficerebbero proprio tutti. Anche economicamente, come si evince da un’altra indagine che l’Istituto ha effettuato insieme a Business in the Community. Il miglioramento del benessere dei dipendenti, in questo caso del Regno Unito, avrebbe un valore economico stimato tra i 130 e i 370 miliardi di sterline all’anno. Dunque, combattere il burnout è possibile attraverso politiche aziendali votate al miglioramento generale delle condizioni lavorative. Meno stress per risultati migliori: sembra scontato, ma a volte le soluzioni più facili sembrano quelle più complicate da mettere in pratica. (D. E.).

42 Giornale dei Biologi | Feb 2024
©
Ground Picture/shutterstock.com Salute

Chi ben comincia è a metà dell’opera, recita un vecchio adagio. Ed è proprio così anche per l’alimentazione dei bambini nel primo anno di vita. Garantire al neonato una dieta sana e dunque priva di prodotti insalubri come, ad esempio, bevande zuccherate ridurrà il rischio di essere soggetto a malattie infiammatorie intestinali. È quanto emerge da uno studio condotto dall’Università di Göteborg, in Svezia, e pubblicato sulla rivista Gut. Per arrivare a questa conclusione di notevole importanza i ricercatori hanno fatto ricorso e analizzato i dati di due studi che hanno coinvolto 21.700 e 114.500 bambini, 95.200 madri e 75.200 padri reclutati in Norvegia tra il 1999 e il 2008. Nel dettaglio, i genitori hanno riferito cosa mangiavano i propri figli quando avevano 12-18 mesi e 30-36 mesi.

Gli esperti dell’ateneo scandinavo hanno sottolineato come sia fondamentale una dieta in cui risultino abbondanti quantità di pesce e verdure e nello stesso tempo un consumo minimo di bevande zuccherate. Seguendo questi principi per quella che potrebbe essere a tutti gli effetti considerata una sorta di dieta preventiva si potrebbe preservare la salute dei neonati a lungo termine.

Ciò di cui si alimentano i piccoli nel loro primo anno di vita diventa quindi cruciale per il benessere futuro. Soprattutto per contrastare l’IBD (malattia infiammatoria intestinale), che è in costante aumento a livello globale. Ci riferiamo a un gruppo di disturbi cronici dell’apparato digerente i cui tratti distintivi sono caratterizzati da infiammazione persistente dell’intestino: tra questi disturbi figurano anche la malattia di Crohn e la colite ulcerosa. La prima può colpire qualsiasi parte del tratto gastrointestinale e in particolare le aree terminali dell’intestino tenue e del colon, mentre la seconda riguarda il colon e la mucosa rettale.

Tornando allo studio dell’Univer-

NEONATI: IL VALORE DI UNA DIETA SANA

Un’alimentazione corretta nel primo anno di vita ridurrebbe i rischi di problemi intestinali in futuro: lo studio

sità di Göteborg, l’analisi finale si è concentrata su dieta seguita da 81.280 bambini di un anno, con i ricercatori che hanno misurato l’assunzione di tutti i tipi di alimenti: dalla carne al pesce, passando per frutta, verdura, latticini, dolci, snack e bevande. A distanza di anni è venuto fuori che 307 bambini hanno sviluppato IBD (nello specifico 131 malattia di Crohn, 97 colite ulcerosa e 79 con IBD non classificata) e che l’età media della diagnosi era di 12-17 anni. Dati che testimoniano la necessità di seguire una dieta sana nel primo anno di vita, perché dalla corretta alimentazione di

un neonato dipenderebbe, come afferma lo studio in questione, la qualità della sua vita in futuro. Il lavoro del team svedese fornisce numeri da tenere in alta considerazione: le diete di media e alta qualità, basate pertanto soprattutto su verdura, frutta e pesce, ridurrebbe il rischio IBD del 25% rispetto a una dieta insalubre. Ancora: un elevato consumo di pesce diminuirebbe del 54% la possibilità di andare incontro a colite ulcerosa. Al contrario, l’eccessivo consumo di bevande zuccherate aumenta addirittura del 42% il rischio di sviluppare problemi intestinali. (D. E.).

Giornale dei Biologi | Feb 2024 43
© Demianastur/shutterstock.com
Salute
44 Giornale dei Biologi | Feb 2024 Salute © Ekaterina_Klishevnik/shutterstock.com

L’IMPORTANZA DEI CONSERVANTI NEI PRODOTTI COSMETICI

Il ruolo degli ingredienti chimici, sintetici naturali, per prevenire o ritardare la proliferazione di batteri, inibendo la crescita microbica mediante diversi meccanismi

di Carla Cimmino

La pelle, è l’organo più esteso del nostro corpo, svolge svariate funzioni ovvero: funge da barriera protettiva contro gli agenti esterni, permette di controllare la temperatura corporea, fa da scudo a virus e batteri, ammortizza le sollecitazioni meccaniche, adattandosi ad ogni cambiamento. Tra i consumatori dilaga sempre di più l’interesse all’utilizzo di prodotti cosmetici “senza conservanti”, perché considerati nocivi per l’organismo. Le domande che ogni consumatore dovrebbe farsi sono: “i cosmetici sono realmente privi di conservanti? quanto è sicuro utilizzare prodotti senza conservanti? realmente i conservanti sono nocivi?”. Per rispondere in maniera appropriata sarebbe opportuno, esaminare alcune evidenze scientifiche sui conservanti, evidenziando che la maggior parte delle formulazioni cosmetiche sono costituite un grosso quantitativo di acqua e sostanze funzionali, che potrebbero essere degradate dai microrganismi, portando così al deterioramento della formulazione

“I conservanti sono ingredienti chimici sintetici o di derivazione naturale, incorporati in basse quantità nel cosmetico per prevenire o ritardare la proliferazione di batteri, inibendo la crescita microbica mediante diversi meccanismi.”

Conservanti dannosi, perché?

I conservanti nei cosmetici vengono demonizzati da quando uno studio del 2004 di Darbre et al, ha dimostrato la presenza di parabeni nel tessuto del tumore al seno, in 19 dei 20 pazienti studiati, portando alla conclusione che i parabeni e altre sostanze chimiche presenti nei cosmetici,

Giornale dei Biologi | Feb 2024 45 Salute

Il fenossietanolo è stato utilizzato per molti anni come conservante nei prodotti cosmetici, è efficace contro vari batteri Gram-negativi e Gram-positivi, contro lieviti e muffe; ha però un debole effetto inibitorio sul microbiota cutaneo. E’ ammesso come conservante a una concentrazione non superiore all’1%.

soprattutto quelli per le ascelle potessero contribuire all’aumento dell’incidenza del cancro alla mammella. Tuttavia, studi successivi hanno sollevato perplessità sui risultati dello studio del 2004. Harvey ed Everett hanno messo in discussione lo studio di Darbre, perché non poteva dimostrare relazione causale tra parabeni e cancro al seno, essendo state evidenziate alcune limitazioni: 1) il basso numero di pazienti analizzati; 2) la non identificazione della via di assimilazione dei parabeni; 3) l’assenza di analisi della concentrazione di parabeni in campioni di tessuto non canceroso. Pertanto, lo studio non disponeva di un controllo appropriato con cui confrontare i risultati. Nel 2013 in Europa, il Comitato scientifico per la sicurezza dei consumatori (SCCS) ha pubblicato un parere sulla sicurezza dei parabeni nei prodotti cosmetici, dove si chiarisce che i parabeni non comportano rischi per la salute se utilizzati a concentrazioni autorizzate. Inoltre, negli Stati Uniti la Food and Drug Administration (FDA) afferma che, ad oggi, non ci sono informazioni sufficienti per provare che i parabeni presenti nei cosmetici possano influire sulla salute umana.

“Problema” fenossietanolo

Il fenossietanolo è stato utilizzato per molti anni come conservante nei prodotti cosmetici, è efficace contro vari batteri Gram-negativi e Gram-positivi, contro lieviti e muffe; ha però un debole effetto inibitorio sul microbiota cutaneo. Secondo il Regolamento (CE) n.1223/2009 sui cosmetici, il fenossietanolo è ammesso come conservante nelle formulazioni cosmetiche a una concentrazione non superiore all’1%.

Nel 2012, l’agenzia francese Agence natio- nale de sécurité des médicaments et des produits de santé (ANSM) ha mostrato una serie di preoccupazioni riguardo l’uso del fenossietanolo come conservante nei prodotti cosmetici, perché alcuni studi hanno messo in risalto la sua potenziale tossicità per esposizioni a dosi elevate. Il rapporto ANSM ha raccomandato di ridurre la concentrazione massima di fenossietanolo, come conservante, dall’1 allo 0,4% nei prodotti cosmetici per bambini con meno di tre anni. Nel 2016 l’SCCS ha valutato il profilo di sicurezza del fenossietanolo come conservante nei prodotti cosmetici, confrontando dati di sicurezza disponibili pubblicati su riviste scientifiche sottoposte a revisione paritaria (peer-reviewed), con dati di sicurezza di studi condotti da produttori di prodotti cosmetici, su richiesta dello stesso SCCS. Quindi il Comitato ha concluso che il fenossietanolo è sicuro per i consumatori, compresi i bambini di tutte le età, se utilizzato come conservante nei prodotti cosmetici a una concentrazione massima dell’1%.

Non è detto che i prodotti senza conservanti siano sicuri

I prodotti cosmetici “senza conservanti” sono pubblicizzati e acclamati da molti, i quali ignorano che i cosmetici devono essere mantenuti in un certo modo per impedire la crescita di batteri, lieviti e muffe al di sopra di una concentrazione tollerabile, per questo i produttori utilizzano strategie come: l’uso di sostanze che non sono elencate nell’Allegato V del Regolamento (CE) n.1223/2009, dove non sono identificate o classificate come conservanti, ma che sono comunque

46 Giornale dei Biologi | Feb 2024
Salute
© Drazen Zigic/shutterstock.com © Dusan Petkovic/shutterstock.com

in grado di fornire diversi livelli di protezione contro i microrganismi (butilidrossianisolo, tocoferolo, urea, ecc.) e ingredienti naturali con attività antimicrobica, che rientrano in un’altra classificazione come emollienti, umettanti, ecc. Basti pensare che se si volessero rendere i cosmetici completamente privi di conservanti, la loro durata, anche se conservati in frigo, sarebbe limitata ad alcuni giorni, tenendo in considerazione il fatto che, poiché la maggior parte di essi contiene acqua ed estratti di fiori o frutta, sono vulnerabili alla crescita microbica. Anche se il prodotto cosmetico non contiene acqua nella sua formulazione, nel momento in cui lo si usa con le mani bagnate inizia il processo di contaminazione microbica, perché le nostre mani, non sono sterili ma contengono microrganismi. Quindi, ogni volta che si mettono le dita nel barattolo di un cosmetico, introduciamo nuovi microrganismi che ne causano il deterioramento. Il concetto “senza conservanti” spesso è solo una tecnica di marketing, che genera confusione e paura nei consumatori, ma in linea di fondo i conservanti sono sempre una buona opzione per proteggere il cosmetico dalla contaminazione microbica.

Meglio conservanti sintetici o naturali?

Vantaggi e gli svantaggi dei conservanti naturali e sintetici.

I conservanti sintetici comunemente usati sono parabeni (metilparabene, etilparabene, propilparabene, butilparabene, isobutilparabene), aldeidi (formaldeide, idantoina DMDM, imadozolidinil urea, diazolidinil urea), eteri glicoli- ci (fenossietanolo e glicole caprilico), isotiazolinoni e acidi organici (acido benzoico, acido sorbico, acido levulinico e acido anisico). Vantaggi: ampio spettro di attività contro batteri, lieviti e muffe; i loro profili di sicurezza e tossicità sono noti, bastano basse concentrazioni per esplicare la loro funzione in modo efficace, non interferiscono con la fragranza, il colore o altri aspetti della formulazione. Svantaggi: alcuni consumatori mostrano sensibilità alla loro presenza nelle formulazioni.

I conservanti naturali com-

prendono alcoli (alcol benzilico dalla rosa di borgogna e olio essenziale dalla rosa di da- masco, farnesolo, R-tuiaplicina), fenoli con attività antiossidante (acido ferulico, acido caffeico, acido p-cumarico, timolo), acidi grassi a catena media (glicole caprilico da cocco o trigliceridi dell’olio di palma), oli essenziali ed estratti vegetali. Vantaggi: preferiti dai consumatori, alcuni riescono a fornire una fragranza naturale ai cosmetici. Svantaggi: spesso non inibiscono la crescita microbica come fanno quelli sintetici; non hanno attività ad ampio spettro; per poter funzionare è necessario utilizzarli in alte concentrazioni che risultano causare sensibilizzazione e allergie cutanee.

Avendo adesso un quadro più chiaro sia che si preferisca un conservante sintetico o uno naturale, questi composti sono indispensabili per migliaia di cosmetici essendo essenziali nella loro formulazione per mantenerle inalterate. “Naturale” non vuol dire “senza conservanti”, poiché molti composti naturali nascono proprio con lo scopo di essere “conservanti” e per questo utilizzati adeguatamente nelle formulazioni cosmetiche.

Se un prodotto non riporta elencati nella sua etichetta i conservanti, bisogna stare attenti!

Questi composti sono indispensabili per migliaia di cosmetici essendo essenziali nella loro formulazione per mantenerle inalterate. “Naturale” non vuol dire “senza conservanti”, poiché molti composti naturali nascono proprio con lo scopo di essere “conservanti” e per questo utilizzati adeguatamente nelle formulazioni cosmetiche.

© Chokniti-Studio/shutterstock.com

Giornale dei Biologi | Feb 2024 47
Salute
© Iryna Mylinska/shutterstock.com

CRESCE IL FATTURATO DELLA COSMETICA

Il dato italiano comunicato alla 55ª edizione di Cosmoprof Worldwide Bologna. Fatturato di 15 miliardi di euro

Dal 21 al 24 marzo, si terrà la 55ª edizione di Cosmoprof Worldwide Bologna. Durante la conferenza stampa di presentazione della kermesse dedicata alla cosmetica, ospitata nel palinsesto di Milano Beauty Week 2023, è stato comunicato l’andamento positivo dell’industria cosmetica in Italia e le iniziative della Fiera.

Cosmoprof Worldwide Bologna rimane l’appuntamento fieristico di riferimento per la cosmetica, un’occasione per incontrare operatori e professionisti e per mettere in evidenza quanto sia importante, da un punto di vista eco-

nomico, scientifico e sociale, l’industria cosmetica nazionale.

«I dati preconsuntivi sul 2023 segnalano il raggiungimento dei 15 miliardi di euro per il fatturato totale dell’industria cosmetica in Italia. Questo valore è trainato dall’export, 7 miliardi, che rispetto al 2022 è cresciuto del 19,5%: un trend positivo che ci pone al primo posto nel confronto con altri settori del Made in Italy», ha commentato Benedetto Lavino, presidente di Cosmetica Italia, associazione nazionale delle imprese del settore.

«I numeri presentati oggi testimoniano la rilevanza del nostro comparto e

Salute

la sua capacità di creare valore per l’intero Sistema Paese- ha continuato -Numeri che consentono al nostro Paese di classificarsi come terzo in Europa per fatturato, dopo Germania e Francia».

Secondo i dati del Centro Studi, il fatturato delle imprese cosmetiche italiane è di circa 14,8 miliardi di euro, ovvero il 10,9% in più rispetto al 2022. Inoltre si prospetta un fatturato di più di 16 miliardi miliardi di euro nel 2024.

Durante la fiera, Cosmetica Italia avrà un’apposita area per cosmetica Italia servizi, che offrirà supporto professionale, formazione e attività di testing per le aziende. Ci sarà poi un’area destinata a ospitare una serie di incontri riguardanti temi di approfondimento del settore della cosmetica.

Questi incontri si terranno per tutti e quattro i giorni dell’evento. Ad esempio giovedì 21 marzo alle ore 13:00 ci sarà un convegno che presenterà i numeri della Cosmetica e l’andamento del settore cosmetico nazionale. Inoltre il 22 marzo alle ore 10:00 in Sala Italia del Bologna Congress Center si terrà un convegno internazionale che discuterà sui cosmetici Green, questo col fine di contribuire alla sensibilizzazione della sostenibilità. Sempre il 21 marzo, in occasione della Giornata Nazionale del Profumo, verrà allestita la mostra Bergamotto di Reggio Calabria, grazie alla quale sarà possibile immergersi nei profumi made in Italy. Infatti usando gli odori dei vari oli essenziali si potrà vivere il Bergamotto con la sua storia e le sue tecniche di coltivazione ed estrazione. Sempre il 21 marzo alle ore 12:30 molti esperti interverranno per esaltare e valorizzare il tesoro olfattivo della Calabria.

Domenica 24 marzo alle ore 11:00 ci sarà un convegno chiamato l’evoluzione della professione acconciatore: dalla formazione alla sostenibilità. Lo stesso giorno alle ore 14:30 verranno presentati 15 talenti giovanissimi e molto esperti nell’ambito delle acconciature. Un’occasione dunque interessante e innovativa per entrare e approfondire un mondo che si sta allargando sempre di più.

48 Giornale dei Biologi | Feb 2024
© Irina Kvyatkovskaya/shutterstock.com di Eleonora Caruso
Giornale dei Biologi | Feb 2024 49

STAMBECCHI SEMPRE PIÙ ATTIVI DI NOTTE E FARFALLE CHE PERDONO LE MACCHIE SULLE ALI

Sono sempre di più, anche in Italia, le specie animali costrette a cambiare le proprie abitudini o perfino il proprio aspetto fisico a causa del riscaldamento del clima

50 Giornale dei Biologi | Feb 2024 Ambiente

Il cambiamento del clima sempre più caldo, influisce sulle abitudini degli animali e arriva anche a modificare le loro caratteristiche fisiche. Lo confermano due studi su due specie presenti in Italia: gli stambecchi delle Alpi e le farfalle della specie Maniola jurtina.

Secondo un recente studio dell’Università di Ferrara realizzato con il contributo dell’Università di Sassari, del Parco Nazionale del Gran Paradiso e del Parco Nazionale Svizzero, gli stambecchi per sottrarsi al caldo, aumentano l’attività notturna nonostante il maggior rischio di essere predati dai lupi. I risultati della ricerca si possono leggere sulla rivista Proceedings of the Royal Society B.

Gli autori dello studio hanno analizzato un ampio set di dati sull’attività di 47 stambecchi (Capra ibex) presenti nel Parco Nazionale del Gran Paradiso e nel Parco Nazionale Svizzero, due aree protette comprese tra 1500 e 3300 metri e caratterizzate da simili condizioni climatiche e diversi livelli di rischio di predazione (presenza e assenza

Giornale dei Biologi | Feb 2024 51 Ambiente © John_Silver/shutterstock.com

Ambiente

del lupo). Dall’analisi è emerso che gli stambecchi aumentano l’attività notturna nelle giornate più calde e durante le notti più luminose. Nonostante il notevole dimorfismo sessuale e la conseguente diversa percezione del rischio di predazione, i maschi e le femmine hanno dimostrato le stesse risposte al calore sia in aree con presenza di predatori sia in aree con assenza di predatori. Il comportamento degli stambecchi prova che il loro bisogno di vivere in condizioni ideali da un punto di vista termico è più importante del rischio di essere predati. Secondo gli autori ciò supporta l’ipotesi che lo spostamento dell’attività verso le ore notturne più fresche possa essere una strategia comune adottata dai grandi mammiferi per mitigare gli effetti del riscaldamento globale.

«In questo momento - si legge nello studio - varie pressioni stanno spingendo i mammiferi verso la notturnità. Un numero crescente di ricerche scientifiche suggerisce che i disturbi umani come lo sviluppo urbano, l’agricoltura, l’escursionismo, la caccia, stanno determinando un aumento globale dell’attività notturna in numerose specie di mammiferi. Questo spostamento verso la notturnità può portare conseguenze negative perché i mammiferi, adattati alle ore diurne, possono soffrire di una ridotta efficienza di foraggiamento, di un indebolimento dei comportamenti anti predatori, di una limitata capacità di movimento e, in ultima analisi, di una riduzione dei tassi di riproduzione e di sopravvivenza». Sulla base dei risultati dello studio, gli autori rilevano che sarà necessario rivedere le attività di gestione

Il comportamento degli stambecchi prova che il loro bisogno di vivere in condizioni ideali da un punto di vista termico è più importante del rischio di essere predati.

della fauna, ad esempio i censimenti, e ridurre altre sorgenti di stress diurno, come la presenza di turisti o il sorvolo di elicotteri.

Non solo gli stambecchi, anche le farfalle colpite dal riscaldamento globale stanno reagendo alle nuove condizioni climatiche, con cambiamenti nel loro aspetto. Uno studio dell’Università britannica di Exeter, pubblicato sulla rivista Ecology and Evolution, ha scoperto che le femmine di farfalla bruna (Maniola jurtina) che si sviluppano a temperature più elevate hanno meno macchie, probabilmente per mimetizzarsi meglio nell’erba secca e tendente al marrone, più comune negli ambienti caldi.

«Le Maniola jurtina hanno grandi macchie dette ‘ocelli’ sulle ali anteriori, probabilmente per spaventare i predatori» ha dichiarato Richard ffrench-Constant autore dello studio e ricercatore del Centre for Ecology and Conservation di Exeter. «Hanno anche macchie più piccole sulle ali posteriori – ha proseguito lo scienziato - probabilmente utili per mimetizzarsi quando sono a riposo». «Nel nuovo studio – precisa ffrench-Constant - abbiamo esaminato le attuali popolazioni della Cornovaglia - raccogliendo maschi e femmine dallo stesso campo ogni giorno per tutta la stagione di volo - e le collezioni storiche di Eton e Buckingham». «I nostri risultati - spiega il ricercatore - mostrano che un numero minore di queste macchie sulle ali posteriori compare quando le femmine sperimentano temperature più elevate nella crisalide durante lo stadio di pupa». Gli scienziati, infatti, hanno scoperto che le femmine sviluppatesi a 11°C avevano in media sei macchie, mentre quelle cresciute a 15°C ne avevano solo tre. «Questo suggerisce – commenta l’autore - la capacità delle farfalle di reagire ai cambiamenti di temperatura adattando il loro aspetto alle nuove condizioni. «Non abbiamo osservato un effetto così forte nei maschi – aggiunge ffrench-Constant - forse perché le loro macchie sono molto importanti per attirare le femmine nella selezione sessuale».

I ricercatori prevedono che gli ocelli diminuiranno di anno in anno, man mano che il clima continua a riscaldarsi. ffrench-Constant ha concluso: «Questa è una conseguenza inaspettata del cambiamento climatico: tendiamo a pensare alle specie che si spostano verso nord per cercare climi più freschi, piuttosto che a quelle che cambiano aspetto per adattarsi all’aumento delle temperature».

52 Giornale dei Biologi | Feb 2024
©
© Ondrej Prosicky/shutterstock.com
Ake13bk/shutterstock.com

Grazie all’analisi dei dati presentati dall’Istituto di ricerca sull’agricoltura biologica FiBL in collaborazione con IFOAM a Biofach 2024 “The World of Organic Agriculture 2024”, riferiti al 2022, si può notare come lo sviluppo del biologico in Europa stia aumentando. Infatti nel 2022 la superficie dei terreni biologici è cresciuta, tanto da registrare un incremento del 5,1% nei Paesi dell’Unione Europea. Sono stati riconosciuti globalmente ormai 16,9 milioni di ettari bio.

La SAU (Superficie agricola utilizzata) biologica invece è aumentata del 10%, con una estensione di più di 18,5 milioni di ettari, tenendo conto dell’intero perimetro europeo.

Tra i paesi europei, l’Italia risulta essere tra quelli più biologici, considerando i suoi 2,3 milioni di ettari. Prima spiccano la Francia con 2,9 milioni di ettari e la Spagna con 2,7 milioni di ettari. Dal 2021 l’Italia ha registrato un forte sviluppo di più di 0,2 milioni di ettari, subito dopo la Grecia.

E ancora il nostro paese si conferma uno tra i migliori con una SAU bio del 18,7% circa il doppio della media europea.

Sui 480.000 produttori bio in Europa, l’Italia ne registra oltre 82.593, e anche per quanto riguarda i trasformatori sale sul podio avendone circa 24.000.

L’Europa fa dunque molti progressi in questo campo: dopo gli Stati Uniti, che ha registrato vendite biologiche per 58,6 miliardi di euro, troviamo l’Europa che registra 53,1 miliardi di euro di vendite, e dopo o paesi dell’Unione Europea con 45,1 miliardi di euro.

Moltissimi passi in avanti dunque, anche se per quanto riguarda i consumi di alimenti bio, nel 2022 si registra un decremento del 2,2% nel mercato europeo e del 2,8% nei paesi dell’Ue.

La presidente Maria Grazia Mammuccini ha ribadito con molta precisione che: «Da Biofach è emerso con chiarezza che la transizione verso il

CRESCE DEL 5,1% LA SUPERFICIE BIO IN UE

Incremento della superficie agricola coltivata a biologico nel vecchio continente

biologico, fondato sull’agroecologia, è in grado di affrontare le criticità che sta vivendo il sistema agroalimentare. Risponde alla domanda di cibo salutare e sostenibile garantendo la preservazione della fertilità del suolo, la tutela dell’ambiente e il contrasto ai cambiamenti climatici e capace, al tempo stesso, di mettere al centro gli agricoltori e le comunità locali puntando sui distretti biologici e su filiere etiche basate sul giusto prezzo per produttori e consumatori»

Ha aggiunto inoltre sempre la presidente: «Il bio, inoltre, favorisce l’occupazione agricola, in particolare di giova-

ni e donne, le quali, come riconosciuto nel corso della manifestazione, stanno assumendo un ruolo di particolare rilievo nell’affermazione del modello agroecologico. Il sempre maggior coinvolgimento delle donne nei processi decisionali è fondamentale, perché la loro creatività e determinazione, unite a elevate competenze, contribuiscono a imprimere la spinta propulsiva necessaria per affrontare le sfide dei sistemi alimentari verso la sostenibilità. È essenziale, però, continuare ad investire in ricerca e innovazione per la transizione ecologica sostenendo gli agricoltori nel cambiamento». (E. C.)

Giornale dei Biologi | Feb 2024 53
Ambiente
Fotokostic/shutterstock.com
©

Immaginate una nazione dove ogni angolo è un tesoro da scoprire, dove memorie, cultura e natura si fondono in un’armonia perfetta. Parliamo dell’Italia con le Bandiere arancioni, un viaggio tra i colori di un Paese che ha fatto del turismo sostenibile il proprio stendardo. Tutto era partito un quarto di secolo fa quando il Touring Club Italiano, rispondendo ad una richiesta di un primo cittadino ligure, aveva avviato un’innovativa iniziativa, per valorizzare il potenziale dei piccoli centri nell’entroterra. Quella certificazione, pensata per migliorare l’esperienza del viaggiatore, ha stimolato un continuo cambiamento nei posti premiati, portando benefici tangibili. Durante la giornata inaugurale della Borsa Internazionale del Turismo (BIT), alla presenza del Ministro, Daniela Santanchè le 281 località riconosciute per il triennio 2024-2026, sono la testimonianza dell’importante passo avanti nella promozione dei viaggi responsabili.

Il 50% dei Comuni vincenti ha potenziato il sistema di accoglienza e ristorazione, mentre il 75% ha valorizzato la sostenibilità ambientale, un elemento distintivo dei borghi certificati. Tra questi, il 54% si è distinto per una gestione virtuosa dei rifiuti, raggiungendo i primi posti nella classifica generale italiana. Sorprendentemente, il 90% ha sviluppato un forte orientamento green, confermato dall’in-

stallazione di oltre 700 colonnine di ricarica per veicoli elettrici su tutto il territorio. Un risultato notevole, considerando che più della metà delle amministrazioni locali (58%) non ha punti per la ricarica di accesso pubblico. Molti si sono distinti anche per il coinvolgimento delle comunità nella risoluzione di problemi diffusi e per la spinta all’inclusività sociale. I riconoscimenti rappresentano l’8% delle oltre 3.500 candidature analizzate negli ultimi 25 anni. Di queste, il 18% è riuscito a conquistare la certificazione, dopo aver seguito un percorso di crescita e sviluppo della qualità legata all’offerta.

Le regioni più “arancioni” sono la Toscana, il Piemonte e le Marche, con rispettivamente 43, 39 e 28 Comuni certificati. Nella categoria nuove entrate ci sono: Apecchio (PU), Bagnone (MS), Roseto Valfortore (FG) e Sinalunga (SI), ognuna con le proprie peculiarità uniche.

Vediamole da vicino: Apecchio, situato tra Marche e Umbria, è noto per l’importante patrimonio storico-artistico e come capitale dell’Alogastronomia, un neologismo che indica le connessioni virtuose tra birra artigianale, prodotti di qualità (il tartufo) e circondario. Bagnone (MS), immerso tra i boschi della Lu-

54 Giornale dei Biologi | Feb 2024
© pixel creator/shutterstock.com

«Bandiere Arancioni è un esempio concreto dell’impegno della nostra Associazione nel prendersi cura dell’Italia come bene comuneafferma Franco Iseppi, Presidente del Touring Club Italiano - con l’obiettivo di diffondere la conoscenza dei territori, soprattutto quelli meno noti, educando alla bellezza del paesaggio e alla cura dell’ambiente». Sulla stessa lunghezza d’onda il ministro, Daniela Santanchè: «Quando parliamo di turismo in Italia, non possiamo trascurare l’importanza dei nostri borghi: dei veri e propri tesori nascosti che

Markopolo/shutterstock.com

©

offrono esperienze autentiche, permettendo ai visitatori d’immergersi nella ricca storia, cultura e tradizione della nostra Nazione. Attraverso questi piccoli centri, possiamo preservare e promuovere le nostre radici, garantendo che le generazioni future possano continuare a godere della meraviglia di queste gemme storiche, fiore all’occhiello della nostra Italia. Grazie al Touring Club Italiano, che seleziona e certifica con la Bandiera arancione l’eccellenza dei piccoli borghi dell’entroterra, supportandoli così nella loro valorizzazione».

Che cosa può indicare, quindi, veder sventolare sul municipio il vessillo del Touring club? Significa offrire ai visitatori un’esperienza autentica, fatta di sapori genuini, panorami incontaminati e vicende antiche. Significa accogliere il turista in un luogo dove l’ambiente è un bene prezioso da proteggere e valorizzare. Ogni strada, ogni cittadina sono un’opportunità per scoprire angoli meno noti dell’Italia, un invito a muoversi responsabilmente, con il cuore, perché ogni bandiera è una relazione d’amore tra un luogo e le persone che lo abitano. In quelle storie c’è tutto il fascino di un’Italia che sa ancora stupire.

Giornale dei Biologi | Feb 2024 55
IN ARANCIONE
Il 50% dei Comuni vincenti ha potenziato il sistema di accoglienza e ristorazione, mentre il 75% ha valorizzato la sostenibilità ambientale, un elemento distintivo dei borghi certificati. Tra questi, il 54% si è distinto per una gestione virtuosa dei rifiuti. Sorprendentemente, il 90% ha sviluppato un forte orientamento green, confermato dall’installazione di oltre 700 colonnine di ricarica per veicoli elettrici su tutto il territorio. LOCALITÀ VINCITRICI PER IL TURISMO SOSTENIBILE Sono stati premiati durante la Bit di Milano i paesi con alti standard qualitativi La Toscana tra le regioni più virtuose di Gianpaolo Palazzo
ITALIA
281
nigiana e solcato dall’omonimo torrente, ha due insediamenti (Castello e borgo di strada mercatale) oltre ad ospitare il MAM - Museo Archivio della Memoria che racconta il passato di quelle zone, perfetto da scoprire in bici. Roseto Valfortore (FG), in una valle dei Monti Dauni settentrionali, vanta un centro storico ricco di monumenti e luoghi legati alle antiche tradizioni contadine e artigianali, come i due mulini ad acqua che ora hanno una funzione didattica e ricreativa. Infine, Sinalunga (SI), in Val di Chiana, offre un borgo diviso nella parte medievale e tardo-rinascimentale, uno spazio museale che raccoglie reperti etruschi e una serie di prodotti tipici (l’aglione, la carne chianina, l’olio d’oliva).

Attualmente le tre versioni principali sono HTTP/1.1, HTTP/2 e il più recente HTTP/3, differenti in modo sostanziale tra loro, anche nelle prestazioni elettriche. Sorprendentemente, il protocollo più recente, può consumare fino al 30% in più di energia in alcuni scenari quando i “pacchetti” da trasferire sono molti, mentre “pesa” meno degli altri nel caso in cui siano pochi.

Nell’era digitale, la rapidità, spesso, è fondamentale, ma a che prezzo? Uno studio dell’Università di Pisa e dell’Istituto d’informatica e telematica del Cnr (Consiglio Nazionale delle Ricerche), pubblicato sulla rivista “Pervasive and Mobile Computing” ci offre una prospettiva diversa. I protocolli HTTP, pilastri della trasmissione dati sul Web, sono in continua evoluzione e torna una nuova domanda: l’innovazione porta sempre benefici? Non necessariamente, secondo gli studiosi che hanno valutato il consumo energetico di smartphone e dispositivi Internet of Things (IoT). Alessio Vecchio, autore dell’articolo e docente al Dipartimento d’Ingegneria dell’Informazione nell’Ateneo pisano, spiega: «Generalmente quando si parla delle differenti versioni del protocollo HTTP l’attenzione è focalizzata sulle “prestazioni” intese come il tempo necessario a scaricare risorse mediante la Rete. Il nostro studio, invece, si è concentrato sul consumo energetico che è particolarmente rilevante nel contesto dell’Internet delle cose, dove molti dispositivi sono alimentati a batteria. In questo ambito risparmiare energia consente di allungare significativamente il tempo di vita del dispositivo, evitando la sostituzione o la ricarica delle batterie con conseguenze positive in termini di sostenibilità e usabilità».

Attualmente le tre versioni principali sono HTTP/1.1, HTTP/2 e il più recente HTTP/3, differenti in modo sostanziale tra loro, anche nelle prestazioni elettriche. Sorprendentemente, il protocollo più recente, può consumare fino al 30% in più di energia in alcuni scenari quando i “pacchetti” da trasferire sono molti, mentre “pesa” meno degli altri nel caso in cui siano pochi. Un risultato che potrebbe avere implicazioni significative per il lavoro o per altri scopi legati a interessi sociali ed economici. La ricerca, alla quale hanno dato un proprio contributo anche Chiara Caiazza (dottore di ricerca in Smart Computing, programma congiunto erogato dalle Università di Firenze, Pisa e Siena) e Valerio Luconi (ricercatore presso il Cnr-Iit), è stata portata avanti sfruttando “Future-Oriented REsearch LABoratory” (FoReLab), un progetto del Dipartimento d’ingegneria dell’informazione dell’ateneo pisano, finanziato dal Ministero dell’Università e della Ricerca (MUR) con il programma Dipartimen-

ti di eccellenza.

«Il nostro studio - sottolinea il ricercatoreè importante per due motivi, uno di carattere pratico e uno di carattere scientifico. Dal punto di vista pratico, grazie ai risultati ottenuti, è possibile, per chi sia interessato a costruire sistemi che facciano uso di smartphone e dispositivi IoT, fare delle scelte che tengano conto degli aspetti di natura energetica. Dal punto di vista scientifico, si aprono nuovi scenari di ricerca. Ad esempio, lo studio di algoritmi intelligenti che siano in grado di scegliere dinamicamente la versione del protocollo HTTP più efficiente dal punto di vista energetico a seconda dello schema di comunicazione, della quantità di dati da trasferire e delle condizioni della Rete».

Che cosa significa tutto questo per il nostro domani? Con l’aumento del traffico e dei dispositivi connessi, saremo sempre più bisognosi di risorse. Secondo l’Agenzia internazionale dell’energia (International Energy Agency, IEA https://www.iea.org/reports/electricity-2024) il consumo elettrico di data center, intelligenza artificiale (AI) e settore criptovalute potrebbe raddoppiare entro il 2026. I primi, inoltre, sono fattori significativi di crescita della domanda. Dopo aver usato a livello globale circa 460 terawattora (TWh) nel 2022, la stima è che potrebbero superare i 1.000 TWh nel 2026. La domanda è pressoché equivalente al consumo del Giappone. L’aggiornamento delle normative e i miglioramenti tecnologici, soprattutto in termini di efficienza, saranno fondamentali per moderare “la sete”. L’IoT utilizza molti sensori e microprocessori, quindi, si stanno perfezionando le nanotecnologie per progettare apparecchi su scala nanometrica con dimensioni ridotte, che svolgano molti più compiti gestendosi in maniera sostenibile.

Anche l’utente può mettere in atto diverse strategie: le apparecchiature possono sprecare molto meno quando sono inattive, scegliendo fra le tre modalità di alimentazione che i moderni processori permettono (la sospensione leggera o profonda); evitare notifiche push eccessive, cioè quei messaggi che vengono inviati da un’applicazione o da un servizio a un dispositivo mobile; selezionare il protocollo wireless più appropriato; comprendere come alcune funzionalità condizionino la durata della batteria. Ecco perché è fondamentale considerare il

Ambiente
56 Giornale dei Biologi | Feb 2024

©

risparmio in ogni aspetto. La corsa alla velocità sul Web ha un costo nascosto: l’energia. È giunto il momento di riflettere e valutare attentamente l’impatto delle proprie scelte tecnologiche sulla salute del Pianeta. Dobbiamo chiederci: un Web più veloce è davvero una vittoria se il costo da sostenere può essere il nostro stesso futuro? (G. P.).

LA CORSA ALLA MAGGIORE VELOCITÀ SUL WEB

HA UN COSTO NASCOSTO

Uno

Ambiente Giornale dei Biologi | Feb 2024 57
Università di Pisa e Cnr-Iit rivela che i protocolli più recenti per
non sono sempre i più efficienti dal punto di vista energetico
studio di
la trasmissione dati
KanawatTH/shutterstock.com

INNOVAZIONE O STALLO?

LE SEDI SCOLASTICHE TRA BUONE PRATICHE E FONDI BLOCCATI

Il report “Ecosistema Scuola” di Legambiente rivela un allarmante quadro, evidenziando ritardi strutturali e mancanza di servizi essenziali

58 Giornale dei Biologi | Feb 2024
© GUNDAM_Ai/shutterstock.com

Sfide irrisolte, ritardi persistenti, ma anche casi virtuosi. Il ventitreesimo rapporto “Ecosistema Scuo-la” di Legambiente, pubblicato in occasione della Giornata Internazionale per l’Educazione, mette in luce una situazione preoccupante, con strutture che faticano a tenere il passo insieme alle esigenze di riqualificazione edilizia e ai servizi adeguati. I divari tra le regioni perdurano, con il Mezzogiorno e il Centro Italia a fronteggiare prove ancora più pressanti. Sicurezza, efficienza energetica e manuten-zione risultano, spesso, inadeguate, mentre il PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) stenta a tradursi in decisioni efficaci. I dati del 2022 confermano chiaramente gli ostacoli predominanti nei territori meridionali e soprattutto centrali, ancora alle prese con le conseguenze del sisma 2016. Gli obiettivi sono tuttora lontani, poiché la necessità d’interventi urgenti coinvolge mediamente il 50% degli edifici scolastici, contrapponendosi al Nord, dove solo il 21,2% presenta tale necessità. In Sicilia e Calabria, uno su tre ha bisogno di risanamenti e nelle città capoluogo, non è stato costruito alcuna nuova sede negli ulti-mi cinque anni. La priorità governativa per il Ponte sullo stretto di Messina ha sottratto attenzione alla salute degli istituti e alla mobilità sostenibile, aspetti che richiedono, per gli ambientalisti, inizia-tive concrete. Molti studenti siciliani e calabresi attendono una verifica di vulnerabilità tellurica sul luogo dove si recano quotidianamente, mentre nelle zone colpite dal terremoto di otto anni fa, tra Abruzzo, Lazio, Marche e Umbria, solamente il 3,4% degli stabili ha beneficiato di azioni per l’adeguamento sismico negli ultimi cinque anni.

Un’altra critica importante riguarda la carenza di prestazioni nelle aree più a Sud della Penisola. Sebbene molte siano cruciali per crescita, socializzazione e inclusione, sono scarsamente garantite. Nonostante le risorse del PNRR, che dovrebbero rappresentare una condizione favorevole per migliorare la qualità in tutta Italia, i lavori sono ostaco-lati da problemi burocratici, con oltre il 40% bloccato nella fase iniziale di progettazione.

L’associazione del cigno verde propone al Governo Meloni e al Ministro dell’Istruzione, Giu-seppe Valditara, in primis, di dare priorità «alla messa in sicurezza e adeguamento sismico delle scuole in area sismica 1 e 2 e all’efficienta-

Il tempo pieno, ad esempio, è offerto solamente nel 20% delle istituzioni educative, rispetto al 35% del Centro-Nord. Inoltre, mancano palestre e impianti sportivi: il 50% non ne dispone affatto, e tra quelli funzionanti, solo il 40% (Sud) e 33% (Isole) è aperto al di fuori dell’orario di lavoro.

mento energetico degli edifici» per poter avere una dimi-nuzione dei consumi vicina al 50%; di costituire un organismo per facilitare l’accesso e la gestione dei fondi da parte degli Enti Locali e semplificare la consultazione dell’anagrafe scolare. «La transizione ecologica - dichiara Claudia Cappelletti, responsabile nazionale scuola di Le-gambiente - passa anche per l’edilizia scolastica e i relativi servizi, ma oggi questo percorso è fin troppo timido e fatica a decollare come raccontano i dati del nostro Rapporto Ecosistema Scuola. Occorre accelerare il passo per evitare che la scuola rimanga indietro e che aumentino ancor di più le disuguaglianze. Le risorse del PNRR rappresentano un’opportunità importante e preziosa che non deve essere assolutamente sprecata. Quello che ci auguriamo è che l’infrastruttura scolastica e tutto ciò che attiene all’istruzione venga considerato asse strategico per la crescita del Paese, con un co-stante e ampio investimento in una programmazione che assicuri la capacità di intervento ordinario e straordinario. Non dimenticando, in un Paese in cui persistono molti divari, che l’autonomia diffe-renziata non è la risposta ad una tale esigenza di perequazione».

A livello nazionale, quanto costruito rispettando i principi di bioedilizia è fermo al 1,3% del totale. L’ottimizzazione della gestione energetica, pur voluta da alcune amministrazioni, tocca solo il 12,7 % del totale fra quello costruito o riorganizzato nell’ultimo quinquennio, ed è distribuita in mo-do piuttosto disomogeneo. Fra tutti, solo il 5,4 % si trova in classe A, mentre ben il 73% in E, F e G. Nota positiva riguarda, invece, l’interesse (90%) a realizzare comunità energetiche. Molto bassi e raggruppati al Nord i servizi pedibus (4,1%) e bicibus (0,2%), che potrebbero essere il punto di par-tenza per una mobilità non solo sostenibile, ma anche benefica e formativa. Le sedi all’interno di iso-le pedonali sono l’1,9%, in ZTL il 4%, in Zone 30 il 13,6%, in strade dedicate il 6,9%.

Continuando a guardare le buone pratiche, si va dalle scuole di Trento e Bolzano protagoni-ste nel dare mense scolastiche a km zero, al servizio “Nidi comunali gratuiti per tutti” avviato a Man-tova nel biennio 2021 - 2022, dalla secondaria “IV Novembre” di Arezzo per il progetto di rigenera-zione urbana, a Roma con il primo laboratorio delle CER (Comunità Energetiche Rinnovabili). (G. P.).

Ambiente
Giornale dei Biologi | Feb 2024 59

RIVESTIMENTI IN MATERIALE TERMOCROMICO

Lo studio, pubblicato sulla rivista Advanced Materials, è un grande risultato nel campo dei rivestimenti intelligenti

di Pasquale Santilio

Un team di ricercatori dell’Istituto di nanotecnologia del Consiglio nazionale delle ricerche di Lecce, in collaborazione con colleghi dell’Istituto di cristallografia del Cnr di Bari e dell’Università del Salento, hanno sviluppato un nuovo materiale composito avente proprietà termocromiche, in grado di variare proprietà ottiche quali colore, trasparenza e riflettanza se soggetto a variazioni di temperatura.

I componenti di questo innovativo materiale sono il polimero e la perovskite, quest’ultimo, è un composto cristallino il cui nome deriva

dal collezionista di minerali, il russo Perovskij. La perovskite è un minerale costituito da titanato di calcio e venne attribuito a cristalli opachi di forma cubica trovati dal mineralogista tedesco Gustav Rose nel 1839 ad Achmatovskaja, nei monti Urali russi. Questo minerale presenta un’alta variabilità chimica, potendo ospitare una moltitudine di elementi, formando ossidi con struttura generale ABO3. Tutte queste strutture sono racchiuse nel gruppo della perovskite. Esistono anche perovskiti sintetiche, di ampio interesse tecnologico. Le perovskiti metallo-alogeno

sono, infatti, tra i materiali più promettenti per applicazioni optoelettroniche grazie alle eccezionali proprietà fotofisiche di cui sono dotate e a un processo di produzione semplice, economico e facilmente scalabile.

Vincenzo Maiorano, primo tecnologo al Cnr-Nanotec e coordinatore dello studio, ha spiegato: «Il materiale termocromico è dotato di caratteristiche estremamente interessanti come il passaggio reversibile da uno stato trasparente (trasmittanza >80%) a temperatura ambiente ad uno stato colorato (trasmittanza <10%) ad alta temperatura; la cinetica di colorazione molto rapida, nel senso che il processo di colorazione/decolorazione impiega molti secondi; la possibilità di variare il colore assunto dal materiale e la temperatura di transizione variano la tipologia di perovkite utilizzata e, non ultimo, la compatibilità con diverse tipologie di substrati, anche flessibili per dispositivi portatili ed indossabili, nonché tecniche di deposizione tra cui anche la stampa».

Nei laboratori dell’Istituto di nanotecnologia del Cnr, è stato dimostrato il meccanismo di funzionamento del processo termocromico che si basa sull’interazione reversibile tra polimero e perovskite che, a sua volta, induce la composizione e separazione della perovskite con conseguente transizione cromatica da uno stato colorato ad uno trasparente e viceversa.

Luisa De Marco, primo ricercatore del Cnr-Nanotec che ha collaborato allo studio, ha aggiunto: «Il risultato conseguito rappresenta un importante traguardo in fatto di innovazione tecnologica e scientifica dai possibili risvolti in diversi ambiti applicativi quali smart textiles, finestre intelligenti, nel campo della sensoristica avanzata e dei sistemi anticontraffazione».

Per il nuovo materiale prodotto è stata richiesta e già ottenuta la copertura brevettuale in Italia mentre è in fase di valutazione quella europea.

60 Giornale dei Biologi | Feb 2024
moomin201/shutterstock.com
©
Innovazione

Con il termine glicemia si intende la concentrazione di glucosio nel sangue. Il glucosio è fondamentale per il nostro organismo, poiché rappresenta il nutriente essenziale per tutte le cellule che lo prelevano direttamente dal sangue. La principale fonte di glucosio sono gli alimenti, ma in misura minore, esso può anche essere sintetizzato ex novo a partire da protidi e lipidi all’interno dell’organismo stesso. Il corpo umano ha un sistema di regolazione intrinseco che consente di mantenere relativamente costante la glicemia durante l’arco della giornata. La regolazione della glicemia avviene ad opera di specifici ormoni, cioè gli ipoglicemizzanti, che abbassano la glicemia, e gli iperglicemizzanti, che la innalzano. Il principale ormone ipoglicemizzante è l’insulina, prodotta dal pancreas ed indispensabile per il metabolismo degli zuccheri. I ricercatori Enea, nell’ambito del progetto Med-Matrix-3, stanno mettendo a punto nuove formulazioni nutraceutiche a base di estratti di arancia, limone e vite rossa per abbassare la glicemia alta.

I risultati preliminari hanno rivelato che il trattamento delle cellule epatiche con alcune molecole bioattive di agrumi e vite rossa è in grado di stimolare la loro capacità di rispondere ai livelli di glucosio circolante.

Barbara Benassi, responsabile del Laboratorio Enea Salute e Ambiente e coautrice dello studio insieme alla collega Maria Pierdomenico e a Costanza Riccioni, responsabile di Esserre, azienda che ha finanziato il progetto, per le attività di ricerca e sviluppo, ha spiegato: «Nello specifico le diverse matrici vegetali sembrano favorire la captazione intracellulare del glucosio determinando un significativo aumento del contenuto di glicogeno e un miglioramento dell’insulino-resistenza». Il team di ricerca ha studiato l’insulino-resistenza utilizzando cellule di fegato umano trattate con gli estratti

AGRUMI E VITE ROSSA CONTRO LA GLICEMIA

Nuove formulazioni nutraceutiche a base di estratti di arancia, limone e vite rossa per abbassare la glicemia alta

natura per verificare l’effetto ipoglicemizzante di antocianine e flavanoni, molecole benefiche di cui vite rossa e agrumi sono molto ricchi.

L’insulino-resistenza è uno stato patologico in cui le cellule bersaglio, in particolare fegato, muscolo e tessuto adiposo, non rispondono ai normali livelli di insulina circolante, con conseguente alterazione dell’equilibrio glucidico e lipidico.

La ricercatrice Enea ha così concluso: «In termini di meccanismo di azione, è spesso causata dal mal funzionamento del recettore insulinico IRS-1; pertanto, agire su questa mo-

lecola attraverso un’innovativa formulazione nutraceutica potrebbe contribuire sensibilmente al miglioramento dell’insulino-resistenza».

Se fossero ulteriormente validati, questi risultati sperimentali aprirebbero la strada all’utilizzo di formulazioni a base di flavonoidi ottenuti da estratti di limone, arancia e vite rossa come nutraceutici per il controllo della glicemia e per il trattamento dell’insulino-resistenza in soggetti a rischio o che manifestano gravi effetti collaterali associati all’assunzione di farmaci ipoglicemizzanti convenzionali. (P. S.).

Giornale dei Biologi | Feb 2024 61
Maria_Usp/shutterstock.com
©
Innovazione

UN MICRO POMODORO PER GLI ASTRONAUTI

Un pomodoro nano arricchito di molecole antiossidanti utili per la dieta nelle missioni di lunga durata nello spazio

Per i viaggi su Luna e Marte, Enea ha pensato di realizzare un pomodoro che sarà in grado di resistere alle radiazioni dell’ambiente spaziale. Le attività sono state condotte nell’ambito dei progetti HORTSPACE e BIOxTREME, finanziati dall’Agenzia Spaziale Italiana, e i risultati sono stati pubblicati sulle riviste scientifiche Frontiers in Astronomy and Space Sciences e Frontiers in Plant Sciences.

Silvia Massa del Laboratorio Enea Biotecnologie, ha spiegato: «Nella roadmap di esplorazione umana dello spazio profondo in cui la Luna sarà

tappa fondamentale verso Marte, gli astronauti dovranno autosostenersi con le risorse a disposizione. Queste piante forniranno cibo fresco e salutare senza necessità di rifornimenti dalla Terra e rappresenteranno la principale fonte di molecole ad alto valore aggiunto, come antiossidanti e biofarmaci, supporto della vita nei futuri avamposti spaziali».

In questo scenario, infatti, l’ambiente confinato, le differenti condizioni di gravità rispetto alla Terra e le radiazioni ionizzanti condizioneranno non solo la salute dell’uomo, ma anche la produttività delle piante e la qualità

del cibo, potendo generare stress ossidativo e danni al DNA.

Sin dal 2014 nell’ambito del progetto BIOxTREME, Enea ha studiato come le piante alimentari possono crescere in modo adeguato in un ambiente extraterrestre, arrivando a sviluppare un vero e proprio modello. In seguito, nell’ambito del progetto HORTSPACE, i ricercatori hanno valutato i requisiti di produttività e di qualità anche nello spazio, studiando come le radiazioni influenzino la fisiologia di queste piante, sottoposte alla simulazione di un ambiente spaziale. Rispetto alle piante non ingegnerizzate, il pomodoro sviluppato da Enea, ha dimensioni più compatte e un maggior contenuto di antocianine, con trascurabili variazioni di crescita e fotosintesi.

Silvia Massa ha sottolineato: «Ad oggi, gli esperimenti della NASA sulle piante al di fuori dell’ambiente terrestre hanno consentito valutazioni microbiologiche su specie edibili ma non studi sulle performance delle piante e degli alimenti derivati. Grazie al nostro modello realizzato in collaborazione con l’Università di Amsterdam siamo riusciti a “riaccendere” nel pomodoro la biosintesi delle antocianine che è dormiente nelle specie attualmente coltivate, ottenendo così il pomodoro biofortificato e, per la prima volta al mondo così sistematico, abbiamo studiato gli effetti delle radiazioni ionizzanti durante l’intero ciclo vitale, oltre che sui principali indici del metabolismo primario e secondario».

Alessia Cemmi, responsabile del Laboratorio Enea di Sistemi nucleari innovativi, ha dichiarato: «Si tratta di una facility di irraggiamento dalle caratteristiche uniche nel panorama italiano ed europeo, in grado di simulare alcune delle condizioni presenti nello Spazio e utile per conoscere e prevenire gli effetti che l’ambiente spaziale, le radiazioni di cui è ricco, possono provocare sull’uomo e sui dispositivi tecnologici». (P. S.).

62 Giornale dei Biologi | Feb 2024
© goffkein.pro/shutterstock.com
Innovazione

*Calabria Campania-Molise

Emilia Romagna-Marche

Lazio-Abruzzo

Lombardia

Piemonte-Liguria-Valle D’Aosta

Puglia-Basilicata

Sardegna

Sicilia

Toscana-Umbria

Veneto-Friuli

Giornale dei Biologi | Feb 2024 63 L’ONB si è trasformato Sono stati costituiti la FNOB e gli Ordini Regionali dei Biologi* Tutte le informazioni su www.fnob.it
Venezia Giulia-Trentino Alto Adige

IL COLOSSO DI COSTANTINO RICOSTRUITO AI MUSEI CAPITOLINI

L’imponente riproduzione della statua è il frutto di un accurato lavoro archeologico È alta 13 metri ed è dedicata all’imperatore he governò l’Occidente nel IV secolo

64 Giornale dei Biologi | Feb 2024 Beni culturali

Un sistema fortificato complesso, con una struttura antemurale a fungere da primo sbarramento difensivo e un muraglione piuttosto lungo, non meno di 250 metri e alto tra i quattro e i cinque metri, che circondava l’abitato, caratterizzato da decine di capanne sistemate ordinatamente ai margini di strade e stradine. Strano ma vero: quella che sembra la descrizione di una piccola fortezza medievale, o comunque di età relativamente recente, è invece la fotografia di una fortezza vecchia di 32003400 anni. Una fotografia realizzata attraverso sofisticati strumenti tecnologici e accurate indagini geofisiche, che hanno fatto nuova luce sulle tecniche di costruzione e sulla stessa conformazione del Villaggio dei Faraglioni, uno degli insediamenti preistorici meglio conservati del Mediterraneo, che ancora oggi si può ammirare in una delle perle del Tirreno: la meravigliosa Ustica. Un insediamento dell’Età del Bronzo Medio, ubicato in un tratto di costa aggettato sul mare nella parte nord dell’isola, che ebbe il suo periodo di massima prosperità,

Giornale dei Biologi | Feb 2024 65
culturali
Beni
© REPORT/shutterstock.com

appunto, tra il 1400 e il 1200 avanti Cristo. È in questo arco temporale che si può collocare la realizzazione delle imponenti fortificazioni del Villaggio dei Faraglioni, oggetto di un interessante studio che ha visto coinvolti ricercatori di numerosi enti e atenei, provenienti da ambiti profondamente diversi: l’INGV (Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia), l’Università degli Studi di Siena, il dipartimento di Matematica e geoscienze dell’Università di Trieste, l’Università degli Studi Suor Orsola Benincasa di Napoli, e ancora il Parco archeologico di Himera, Solunto e Iato della Regione Siciliana, l’Associazione Villaggio Letterario di Ustica, il Labmust (Laboratorio Museo di Scienze della Terra di Ustica) e il ministero della Cultura. I risultati della ricerca sono stati pubblicati sul Journal of Applied Geophysics, autorevole rivista internazionale del settore, in un articolo intitolato: «Unveiling a hidden fortification system at Faraglioni Middle Bronze Age Village of Ustica Island (Palermo, Italy) through ERT and GPR prospections».

Ustica. «La tecnologia geofisica ci ha permesso di svelare stratificazioni nascoste della storia, aprendo la strada a ulteriori indagini senza l’uso invasivo degli scavi».

In effetti le ricerche, eseguite grazie a strumenti di precisione e non invasivi quali il georadar e la tomografia elettrica, che hanno consentito di esplorare con accuratezza le profondità del terreno prospiciente ad alcuni tratti di strutture semi-sepolte, hanno messo in luce l’esistenza di un doppio sbarramento difensivo. Prima dell’imponente muraglione, appunto, è stato possibile localizzare una struttura antemurale che faceva da primo sbarramento contro eventuali incursioni dall’esterno. Insomma, il Villaggio dei Faraglioni si è rivelato una vera e propria fortezza dotata di un doppio ordine di mura, frutto di una pianificazione urbana insospettabile per un periodo così remoto nel tempo. «La nostra scoperta apre una nuova finestra sulla comprensione di questo antico villaggio, suggerendo una complessità difensiva che va oltre le aspettative», spiega Franco Foresta Martin, direttore del Laboratorio Museo di Scienze della Terra di

La statua colossale di Costantino è uno dei massimi esempi di scultura romana tardo-antica, i cui frammenti, emersi nel XV secolo in prossimità della Basilica di Massenzo, sono ospitati nel cortile di Palazzo dei Conservatori, ai Musei Capitolini: si tratta di testa, braccio, polso e mano destra, ginocchio e stinco destro, più i due piedi.

Dyankova/shutterstock.com

Lo studio, infatti, è il frutto – come anticipato – di un lavoro sinergico che ha coinvolto studiosi di discipline diverse: geofisici, geologi, archeologi e architetti. Un lavoro che ha ottenuto risultati addirittura inimmaginabili. «Abbiamo portato a Ustica degli strumenti scientifici utilizzati dai ricercatori dell’INGV per l’esecuzione di prospezioni geofisiche. Grazie ad essi, è stato possibile localizzare con accuratezza e in maniera totalmente non invasiva le fondazioni profonde della struttura antemurale lunga quanto il muraglione, che svolgeva le funzioni di primo sbarramento difensivo», sottolinea Vincenzo Sapia, ricercatore dell’INGV. Quella stabilitasi nel Villaggio dei Faraglioni di Ustica, dunque, era una comunità particolarmente avanzata, in grado di progettare e proteggere con efficienza una vasta area. Attraverso quali tecniche di costruzione? Questa è la domanda a cui ulteriori studi proveranno a dare risposte esaurienti.

Le metodologie di ricerca che hanno riguardato l’insediamento preistorico dell’isola siciliana, inoltre, promettono di fare da apripista per analoghi studi e indagini presso altri importanti siti archeologici. Basta scavi indiscriminati, sì a interventi mirati grazie all’utilizzo di strumenti capaci di individuare con precisione le aree dove approfondire le ispezioni. «Questo studio – evidenzia il ricercatore dell’INGV Sandro de Vita – dal carattere fortemente multidisciplinare dimostra come l’applicazione di metodi di indagine non invasiva, combinata con le osservazioni geologiche, geomorfologiche e archeologiche di superficie, possa indicare in maniera dettagliata e puntuale le aree su cui approfondire le indagini dirette, evitando saggi e campagne di scavo dispendiose in termini economici e temporali».

66 Giornale dei Biologi | Feb 2024
Beni culturali
© Tsvetelina

Il secentesco Palazzo Moroni, dopo un intervento di restauro durato più di tre anni, a novembre 2023 ha riaperto le sue porte al pubblico. Ci troviamo tra le mura storiche di Bergamo, riconosciute patrimonio dell’umanità dall’Unesco. Il FAI, che ha acquisito il Palazzo nel 2019, durante l’operazione di restauro, ha deciso di coinvolgere in una collaborazione Haltadefinizione. Il progetto consiste nella digitalizzazione in gigapixel di una selezione di dipinti di Palazzo Moroni, tra i quali dei capolavori di Giovan Battista Moroni. L’obiettivo del progetto è quello di supportare il Fondo per l’Ambiente Italiano che sta lavorando per la costruzione di un archivio digitale di tutte le collezioni.

I dipinti digitalizzati ad altissima risoluzione di Palazzo Moroni arricchiscono così l’Image Bank di Haltadefinizione, insieme ai capolavori della Galleria degli Uffizi, della Pinacoteca di Brera, del Museo del Cenacolo Vinciano, della Galleria Nazionale dell’Umbria e di altre prestigiose sedi culturali. Haltadefinizione ha sviluppato delle tecnologie che permettono di ottenere immagini digitali ad altissima risoluzione dei dipinti, tramite l’unione e l’elaborazione di una grande quantità di singoli scatti fotografici a porzioni del medesimo soggetto, poi ricomposti grazie ad algoritmi appositamente studiati. In questo modo tutti ognuno di noi può osservare i quadri con occhi diversi: le immagini frutto di questi processi di digitalizzazione infatti possono essere ingrandite decine di volte senza perdere definizione, permettendo di esplorare dettagli praticamente invisibili a occhio nudo, come le sottili pennellate sui volti dei personaggi ritratti e di vivere un’esperienza del tutto innovativa. Soprattutto per gli studiosi e gli appassionati d’arte questa nuova modalità di osservazione permette di entrare nel profondo di un’opera e di cogliere a pieno la bellezza e ogni minima sfumatura.

Tra le opere digitalizzate riconosciamo tre capolavori di Giovan Battista

ACQUISIRE L’ARTE IN GIGAPIXEL

Collaborazione tra FAI e Haltadefinizione per “scansionare” in altissima risoluzione i dipinti di Palazzo Moroni di Bergamo

di Eleonora Caruso

Moroni, uno dei più importanti pittori del Cinquecento italiano, che ha contribuito in modo significativo allo sviluppo della ritrattistica rinascimentale.

Stiamo parlando dei ritratti di Gian Gerolamo Grumelli, di Isotta Brembati e di un’anziana donna vestita di nero. Grazie all’osservazione dei ritratti digitalizzati, si può cogliere un’evidente intenzione da parte del pittore di dare una caratterizzazione individuale e maggiore umanità ai suoi personaggi.

Le tecnologie che hanno permesso la digitalizzazione sono state certificate dall’Istituto Centrale del Restauro e si rivelano fondamentali sia per monitora-

re lo stato di conservazione delle opere sia per valorizzare le collezioni del FAI attraverso attività di studio, ricerca e analisi comparativa.

Oltre all’acquisizione delle immagini in gigapixel, Haltadefinizione ha realizzato tre repliche dei ritratti di Giovan Battista Moroni. Queste sono attualmente esposte nella Sala dell’Età dell’Oro di Palazzo Moroni, sostituendo per poco figli originali.

Le opere digitalizzate e le repliche fanno parte della mostra “Moroni (1521 – 1580). Il ritratto del suo tempo” organizzata dalle Gallerie d’Italia di Milano, accessibile fino al primo aprile 2024.

Giornale dei Biologi | Feb 2024 67
Palazzo Moroni, Bergamo (Fonte: Fai)
Beni culturali

TUTTI PAZZI PER SINNER MA NON SOLO: 6 AZZURRI

NELLA TOP 100 MONDIALE

Come l’altoatesino, trionfatore all’Australian Open e a Rotterdam, anche Musetti, Arnaldi, Cobolli e Darderi sono Under 23. Completa il “roster” il 28enne Sonego

Tutti pazzi per Jannik. E ci mancherebbe. Alle spalle di un Sinner sempre più proiettato verso il vertice del tennis mondiale, che grazie al successo dell’Australian Open e dell’Atp 500 di Rotterdam è diventato numero 3 al mondo, c’è però tutta una nuova generazione di atleti che sta scalando le classifiche e dando lustro al tennis italiano. Da Lorenzo Musetti, numero 26, al suo coetaneo Luciano Darderi, 22 anni appena compiuti, che vincendo il torneo di Cordoba è entrato per la prima volta nella Top 100 del ranking Atp, collocandosi in 76esima posizione. Sono sei, attualmente, gli italiani fra i migliori 100 al mondo, compresi Matteo Arnaldi, Lorenzo Sonego e Flavio Cobolli. Scopriamoli. Partendo da Darderi, italo-argentino nato a Villa Gesell, 400 km a sud di Buenos Aires, nel giorno di San Valentino. Nel Paese del nonno, Luciano è tornato a vivere con tutta la famiglia a dieci anni, nel 2012. Darderi ha conquistato il suo primo punto Atp quattro anni e mezzo fa, vincendo due partite nell’Itf di Santa Margherita di Pula. Quasi un anno più tardi, il 14 settembre 2020, è entrato fra i migliori 1000 al mondo aggiudicandosi un match nel challenger di Cordenons. Dodici mesi più tardi era in Top 500,

grazie ai quarti raggiunti a Siviglia. Poi la scalata è proseguita. Prima di giocare e vincere la finale dell’Atp 500 di Lisbona, Darderi era arrivato in quattro occasioni al match decisivo di tornei challenger, imponendosi lo scorso anno a Todi e Lima e perdendo, in precedenza, a San Paolo (2021) e Buenos Aires (2023).

Davanti a Darderi, numero 77 al mondo nella classifica aggiornata al 19 febbraio, c’è Flavio Cobolli, al 69esimo posto. Anche per il 21enne fiorentino, che a ottobre aveva vinto il suo secondo titolo Challenger a Lisbona, l’inizio del nuovo anno è stato positivo. Cobolli si è infatti spinto fino al terzo turno degli

68 Giornale dei Biologi | Feb 2024 Sport
Giornale dei Biologi | Feb 2024 69
© Marco Iacobucci Epp/shutterstock.com
Sport
Jannik Sinner.

Australian Open, per poi raggiungere i quarti nell’Atp 250 di Montpellier, grazie anche a un prestigioso successo sulla testa di serie numero 8, Gael Monfils..

Unico azzurro over 23 degli splendidi sei in Top 100, Lorenzo “Sonny” Sonego stazione attualmente al 49esimo posto del ranking Atp. Parliamo, però, di un tennista eclettico capace di aggiudicarsi tre titoli Atp su tre diverse superfici, in cinque finali di singolare giocate, e di arrivare a occupare la posizione numero 21 della classifica di singolare. Due volte agli ottavi finale in prove di Grande Slam, al Roland Garros e a Wimbledon, è stato il tennista che ha rifilato a sua maestà Novak Djokovic la peggiore sconfitta in carriera in un match Atp giocato al meglio dei tre set (6-2, 6-1). Anche il 28enne bolognese è stato protagonista del trionfo dell’Italia in

© Victor Velter/shutterstock.com Lorenzo Sonego.

Unico azzurro over 23 degli splendidi sei in Top 100, Lorenzo “Sonny” Sonego stazione attualmente al 49esimo posto del ranking Atp.

Coppa Davis, sia in singolare, sia nel doppio: assieme a Sinner, ha deciso la semifinale con la Serbia, imponendosi 6-3, 6-4 nel decisivo ‘due contro due’ con Djokovic e Kecmanovic.

Cresciuto fra Sanremo, Tirrenia e la Milano Tennis Academy, arriva dalla Città dei fiori il 23enne Matteo Arnaldi, numero 41 Atp al 19 febbraio dopo aver baciato la 38esima posizione a gennaio. Anche per il tennista sanremese l’ultimo è stato un anno decisamente memorabile, concluso con l’Insalatiera della Coppa Davis tra le mani. Nel 2023, infatti, Arnaldi ha incamerato tre titoli Challenger, dopo il primo in assoluto ‘marcato’ a Francavilla al Mare l’anno precedente: Tenerife a febbraio, Murcia ad aprile, Heilbronn a giugno. Ma anche raggiunto per la prima volta una semifinale Atp (a Umago, in Croazia) e gli ottavi degli Us Open, impresa riuscita prima di lui solo ad altri otto italiani.

Ventiseiesimo nel ranking Atp, ma salito al n. 15 lo scorso giugno, il carrarino Lorenzo Musetti ha iniziato a far parlare di sé sin da quando era juniores, stazionando al primo posto delle classifiche mondiali e timbrando l’Australian Open, più giovane italiano di sempre a vincere uno Slam U18. Musetti, 22 anni il 3 marzo, ha fatto parte anche del quartetto azzurro nella memorabile cavalcata verso la Davis. Può vantare due titoli Atp, vinti in altrettante finali (ad Amburgo su terra rossa con Carlos Alcaraz, a Napoli su cemento con Matteo Berrettini) nel 2022 e anche due qualificazioni agli ottavi di finale del Roland Garros di Parigi.

Di Sinner, è praticamente impossibile non aver sentito parlare, a meno che non si sia alieni appena sbarcati sulla Terra. E forse anche lassù è arrivata l’eco delle imprese del 22enne altoatesino, che ha concluso il 2023 sfiorando la vittoria alle Atp Finals (sconfitto da Novak Djokovic in finale) e poi trascinando l’Italia al trionfo in Coppa Davis, grazie a un epico successo sulla Serbia dello stesso Djokovic in semifinale e alla vittoria sull’Australia nella finale. Il 2024 è iniziato invece con il timbro sul suo primo Slam, l’Australian Open, dopo un’estenuante ed esaltante finale con Medvedev, e sull’Atp 500 di Rotterdam, che lo ha proiettato al numero 3 del ranking Atp. E sulle copertine di tutto il mondo, per le sue capacità tennistiche, ma anche per le sue doti umane che lo rendono simpatico anche a chi, sempre più spesso, deve arrendersi al suo strapotere.

70 Giornale dei Biologi | Feb 2024
Sport
Lorenzo Musetti. © Christian Bertrand/shutterstock.com

Dire biathlon, per il pubblico generalista di amanti dello sport, vuol dire soprattutto Dorothea Wierer e il suo doppio oro ai Mondiali di Anterselva. Nell’ultima rassegna iridata di Nove Mesto Na Morave, in Repubblica Ceca, c’è stata però un’altra azzurra che ha scritto il proprio nome in stampatello nella storia di questa disciplina sportiva invernale: Lisa Vittozzi. La 29enne carabiniera di Sappada ha concluso i Mondiali con quattro medaglie al collo: oro nell’individuale, l’argento nell’inseguimento, nella partenza in linea e nella staffetta mista individuale.

Storicamente Vittozzi, 29 anni, ha costruito la sua ascesa su impressionanti percentuali al tiro. E in Repubblica Ceca non ha fatto eccezione. Tra gare individuali e staffetta, la campionessa di Sappada ha sparato con una percentuale di successo del 94,78 per cento, centrando 109 volte il bersaglio su 115 tentativi. Numeri ancora più notevoli quelli relativi alle prove individuali con un solo errore su 70 tiri con la carabina e un inappuntabile 35/35 da terra. A Nove Mesto na Morave, però, Vittozzi ha pennellato la sua definitiva consacrazione grazie a un’importante conferma, quella di un passo gara da prima della classe.

Il primo oro mondiale a livello individuale, dopo quello in staffetta a Oberhof 2023, Lisa lo ha ottenuto nell’Individuale femminile, davanti alla tedesca Hettich-Walz, staccata di 20”5, e alla francese Simon, giunta a 29”6, dopo un errore al tiro nella decisiva serie in piedi. Nello stesso format, quattro anni fa, si era imposta “Doro” Wierer. Vittozzi ha rimontato e vinto malgrado un problema alla carabina al primo poligono, che le ha fatto perdere una quindicina di secondi. Grazie a un’esemplare forma fisica e a sci veloci e affidabili, però, l’altoatesina è riuscita ad accorciare le distanze da Simon, per superarla grazie a un errore della favorita francese nell’ultima

VITTOZZI IRIDATA

DI BIATHLON

La sappadina ha emulato la Wierer conquistando il titolo mondiale nell’Individuale femminile in Repubblica Ceca

serie di cinque tiri. «E’ stato meraviglioso - il commento di Vittozzi dopo l’impresa - e credo che forse ho disputato la mia gara migliore di sempre, al posto giusto nel momento giusto. Tutto è andato perfettamente, sono fiera di me stessa».

I Mondiali di Lisa erano iniziati con il settimo posto nella gara Sprint ma, soprattutto, con l’argento nell’Inseguimento grazie a un esaltante rimonta, conclusa tra le francesi Julia Simon e Justin Braisaz-Bouchet. Quinta dopo il primo poligono, Vittozzi è risalita al quarto posto dopo la seconda serie di tiri e nella piazza d’onore dopo la pri-

ma delle due sessioni in piedi. Veniale l’errore all’ultimo poligono.

La terza medaglia della sappadina è stata l’argento nella staffetta singola mista co Tommaso Giacomel, dietro alla fortissima Francia e in rimonta sulla Norvegia di Boe e Tandrevolt, che aveva condotto gara in testa, prima dei tre errori nel finale. Dulcis (anche) in fundo, il secondo posto nel format Mass start, ovvero la partenza in linea, alle spalle di Braisaz-Bouchet. «Quando ho detto “Voglio migliorare il Mondiale di Oberhof” sono stata un po’ ambiziosa –ha chiosato Vittozzi - però a conti fatti ho avuto ragione». (A. P.)

Giornale dei Biologi | Feb 2024 71
Sport
Lisa Vittozzi.
© Vitalii Vitleo/shutterstock.com

YULE, DA ULTIMO A PRIMO

NELLO SCI: LE ALTRE GRANDI RIMONTE DELLO SPORT

L’impresa dello svizzero in Coppa del Mondo ha fatto rispolverare analoghe imprese del passato, dall’iconico e fortunoso oro di Bradbury alle risalite di Pantani, Mennea e Senna

Da ultimo a primo, dai bassifondi alla gloria. A prescindere dai colori della maglia, della bandiera, del casco, le rimonte impossibile nello sport hanno sempre esercitato un fascino incredibile. L’ultima impresa in ordine di tempo, all’inizio di febbraio, è quella messa a segno da Daniel Yule, sciatore elvetico, nello slalom di Chamonix. Non è inusuale assistere a recuperi importanti nelle seconde manche, specie se chi di deve rimontare ha mezzi tecnici considerevoli, se la pista peggiora in maniera significativa lungole trenta discese e se i distacchi sono relativamente misurati. Risalire dal trentesimo al primo posto, però, era oltre ogni previsione e speranza anche per il 31enne di Martigny, condizionato nella frazione inaugurale da un errore nel finale. “Avevo già fatto la borsa per tornare in hotel dopo la prima manche - ha commentato dopo la storica impresa - non pensando di qualificarmi. Era già successo di rimontare e magari si poteva combattere per la top ten, mai però avrei pensato alla vittoria”. Ad applaudire Yule, loro malgrado, sul podio, il connazionale Loic Meillard e il francese Clément Noel. Assieme a quella di Yule, riviviamo altre incredibili rimonte sui grandi palcoscenici sportivi.

Alzi la mano chi non ha pensato, immediatamente, a Steven Bradbury, il primo atleta dell’emisfero australe a ottenere un titolo olimpico invernale, nel pattinaggio short track. I Giochi sono quelli del 2002 a Salt

Lake City, il suo oro arrivò per una serie di fortuite coincidenze - squalifica di Gagnon prima, tre avversari a terra in semifinale, addirittura quattro all’ultima curva della finale per un incredibile effetto domino - ma rappresenta anche la favola di un’atleta che pochi anni prima aveva rischiato di morire per una ferita all’arteria femorale.

Tra i recuperi più sensazionali nella storia dello sport, non in gara singola ma in una serie finale, non si può non ricordare quello di Oracle nella sfida decisiva per la 34esima Coppa America di vela contro New Zealand. Vincendo la regata finale, l’imbarcazione statunitense completò un recupero senza precedenti, da 1-8 a 9-8, grazie a otto successi consecutivi contro i neozelandesi che avevano già messo le bollicine in fresco per un successo apparentemente fuori discussione.

Dal mare ai motori e alla rimonta di Pecco Bagnaia, 91 punti rosicchiati a Fabio Quartararo, per andare a vincere il primo dei suoi due titoli di Moto Gp, nel 2022. Prima di Pecco, era stato Valentino Rossi a far sognare gli italiani, con i suoi titoli mondiali in serie e con risalite clamorose dalle retrovie come quelle di Donington (2001), Assen (2007) e Sepang (2010). L’anno scorso, invece, ha strappato applausi il colombiano David Alonso, da ultimo a primo in una gara di Moto 3. Due ruote, ma anche quattro ruote. Come dimenticare il capolavoro di Ayrton Senna nel Gp di Suzuka 1988? Il brasiliano, scivolato al tredicesimo

72 Giornale dei Biologi | Feb 2024 Sport

posto per un problema in partenza, rimontò fino alla vittoria e al titolo iridato, davanti al compagno di squadra e rivale Alain Prost. Sette anni più tardi, un guasto al cambio spedì Michael Schumacher e la sua Benetton in ottava fila: nessun problema, 15 posizioni recuperate e successo davanti a Damon Hill, antagonista diretto in quel Mondiale.

E Marco Pantani, il fuoriclasse del ciclismo andato via, troppo presto, vent’anni fa? Capita spesso che, nelle tappe di montagna, i big vincano in rimonta, sgranando come un rosario i reduci della cosiddetta “fuga di giornata”. Quello che capitò invece al Santuario di Oropa, il 30 maggio del 1999, è però tutt’altro. Il giorno prima, a Borgo San Dalmazzo, il Pirata si era preso la maglia rosa del Giro d’Italia, per diversi giorni sulla maglia di Laurent Jalabert. Sull’ascesa verso Oropa, però, un problema alla catena gli fece perdere una quarantina di secondi. Con l’aiuto dei compagni prima, del suo talento poi, superò 49 corridori fra cui Ivan Basso, Gilberto Simoni, Paolo Savoldelli (secondo a 53” in classifica generale) e Laurent Jalabert, tagliando il traguardo

Francobollo celebrativo a 40 anni dall’impresa olimpica di Mennea.

Pietro Mennea, nei 200 metri piani alle Olimpiadi di Mosca 1980, era settimo a metà gara, ma sul rettilineo conclusivo riuscì a mettersi tutti alle spalle e vincere la medaglia d’oro, per due centesimi sullo scozzese Allan Wells.

davanti a tutti. Senza esultare: neppure a lui sembrava possibile averli ripresi e staccati tutti. Del resto, il ciclismo ha sempre regalato gesta indimenticabili, come quelle di Gino Bartali al Tour de France 1948. Staccato di 21 minuti dal leader della corsa, Louison Bobet, “Ginettaccio” domò da par suo le iconiche salite dell’Izoard, del Porte e del Galibier, per arrivare a Parigi in maglia gialla.

Molto più istantanea la risalita d’oro di Pietro Mennea, nei 200 metri piani alle Olimpiadi di Mosca 1980. La “Freccia del sud” era settimo a metà gara, ma sul rettilineo conclusivo riuscì a mettersi tutti alle spalle e vincere la medaglia d’oro, per due centesimi sullo scozzese Allan Wells.

Nel calcio, infine, si ricordano le rimonte del Manchester United sul Bayern Monaco e del Liverpool sul Milan nelle finali di Champions League. Milan che, però, nella stagione 2006/2007 è stata l’unica squadra capace di vincere il massimo trofeo continentale partendo dai preliminari. Non a caso, in Italia, i colori abbinati alla “Coppa dei Campioni” sono il rosso e il nero. (A. P.)

Giornale dei Biologi | Feb 2024 73
© cristiano barni/shutterstock.com Daniel Yule.
© spatuletail/shutterstock.com

RENNA, “STELLA” AZZURRA DELLA VELA VERSO PARIGI

Il velista gardesano ha bissato il trionfo europeo andando a vincere il Mondiale a Lanzarote

Chi segue la vela e ha buona memoria (oltre a qualche capello bianco in testa), ricorderà Vasco Renna e la scuola di windsurf sul Garda, oggi tra le più famose al mondo, gestita assieme alla moglie Gabriella e ai due figli maggiori. È lì al Circolo Surf Torbole che è nata e si è alimentata la passione di Nicolò Renna, nuovo campione mondiale di IQ foil, tavola a vela olimpica volante designata dopo l’addio della RS:X a Tokyo 2021. Ed è ai Giochi di Parigi che il 23enne nato a Rovereto (compirà gli anni il prossimo 1° maggio) guarda

ora con grandissima fiducia, dopo la recente impresa di Lanzarote. Sull’isola delle Canarie, infatti, il campione europeo in carica si è preso anche il titolo mondiale, davanti alla sua famiglia accorsa a sostenerlo. «Sono davvero felicissimo. Dopo il bronzo mondiale conquistato a Den Haag lo scorso anno, sono arrivato a Lanzarote e volevo ancora di più, è stata dura ma ce l’ho fatta!» le prime parole da iridato della specialità del classe 2001 gardesano.

Non sono certo mancate le emozioni, al Mondiale. Alla semifinale a quattro, Nicolò si è qualificato come

secondo, ma ha dominato la gara chiudendo davanti a tutti. E assicurandosi una medaglia certa, vista il format a tre della finalissima. Ma, come detto, il velista delle Fiamme Oro voleva di più e l’ha dimostrato con i fatti, andando a rimontare e a precedere il polacco Pawel Tarnowski, (argento) e il campione uscente l’olandese Luuc van Opzeeland (bronzo). «Sono riuscito a superare la semifinale - ha aggiunto Renna - e da quel momento in poi, direi che è stato un piacere perché una volta superata questa fase, hai la garanzia di una medaglia e questo ti permette di gareggiare con maggiore serenità e dare il massimo».

Argento alle olimpiadi giovanili di Buenos Aires, Nicolò si è imposto subito come uno dei maggiori talenti dell’IQ foil, ma il successo non era poi così scontato. E i sacrifici ci sono stati, a partire dal peso: Renna ha ammesso di aver dovuto fare molta palestra per passare dai 70 chili della RS:X ai 90, quanti e servono per essere competitivo nell’IQ foil. «Non è stato facile ma ne è valsa la pena» il pensiero del campione trentino, d’argento agli Europei 2022 disputati nelle acque del Lago di Garda e campione continentale a Patras l’anno scorso.

A Marsiglia, dove la prossima estate si disputeranno le regate olimpiche di Parigi 2024, Nicolò è atteso dal ruolo di protagonista, lui che è “principe” d’Europa e del mondo. Dopo un periodo di meritato riposo, Renna ha programmato la ripresa degli allenamenti in vista delle regate della Coppa del Mondo di Palma di Maiorca, a fine marzo. Poi via, a Marsiglia, con il compagno di training Luca Di Tomaso e il tecnico federale Adriano Stella. Entrambi saranno preziosi riferimenti nella preparazione, nello studio del campo di regata e nel lavoro sulla velocità, la tattica e le partenze. «Non si può tralasciare nulla» ha commentato Nicolò, con umile consapevolezza. Anche i rivali, comunque, avranno il loro bel daffare. (A. P.)

74 Giornale dei Biologi | Feb 2024
Sport Sport
© COLOMBO NICOLA/shutterstock.com

Consulta gli eventi della Fnob che erogano i crediti formativi

www.fnob.it
CORSI ECM PER BIOLOGI

QUANDO IL DISTURBO DEL COMPORTAMENTO DIVENTA IDENTITÀ

Rachel Avivracconta il suo percorso con l’anoressia, fin dalla diagnosi avvenuta negli anni Ottanta, quando questo male era ancora poco approfondito

Rachel Aviv

“Stranieri a noi stessi”

Iperborea, 2024 – 19,00 euro

Nel Medioevo giovani religiose si astenevano dal cibo per liberare corpo e spirito e quando ci riuscivano si gridava al miracolo. Un forte senso di volontà manifestato sotto segni di fede e purezza serviva loro a diventare un tutt’uno con la sofferenza di Cristo.

Nel 1988, una bambina di nome Rachel (Aviv, autrice di questo memoir) a soli sei anni smette di mangiare e viene ricoverata in ospedale per anoressia. Sarà definita dalle cronache come l’anoressica più giovane d’America. Anche se l’anoressia, da quella mirabilis a quella nervosa, porta prepotentemente la sua condizione sul corpo, s’incastra e procede spedita tra i labirinti della mente.

In questo crudo ma delicato saggio, l’autrice e pluripremiata giornalista del New Yorker, indaga la geografia della mente umana passando attraverso cinque vite. Qui il disturbo del comportamento, la malattia diventa identità scavalcando completamente la persona che ne soffre. Eccessi di diagnosi e tentativi terapeutici possono scatenare una strana reazione nel malato. L’Io si ingolfa su nomi e termini specifici

che non fanno che aumentare l’annullamento di sé stessi e portano alla perdita di quello che si è.

In effetti, c’è sempre una certa discrepanza tra le esperienze di disagio mentale e i modi in cui vengono classificati e definiti dagli altri, dai familiari che stanno intorno ai medici stessi.

Partendo da un episodio personale, cammina tra le corsie psichiatriche analizzando gli approcci di cura e la gestione di determinate patologie. Riflette sul modo in cui le condizioni della salute mentale e le loro “classificazioni” agiscono sui pazienti. Il modo in cui vengono manovrate possono o meno modificarti la vita. Talvolta anche salvartela. Ed anche in modo totalmente invasivo, come testimonia lei stessa in prima persona.

D’altra parte è doveroso considerare che per alcuni il momento della diagnosi è un meraviglioso momento chiarificatore. Scoprono che non sono soli nella sofferenza e che quelle informazioni cambiano il modo in cui comprendono sé stessi, ad un livello nuovo e fondamentale. Ci sono storie che salvano e storie che intrappolano e nel mezzo di una malattia si fa fatica a distinguere quale sia la prima e quale la seconda.

76 Giornale dei Biologi | Feb 2024
Libri

Quando sei completamente sopraffatta dalla vita (o dal razzismo) come avviene a Naomi Gaines, nera e povera ragazza madre in America, succede che sperimenti esperienze psicotiche ed in preda alla malattia mentale finisci per far male e ferire i tuoi figli, certo i medici riconoscono in te la bipolarità ma non ciò che davvero ti sta causando il dolore straziante che alla fine ti plasmerà totalmente l’identità. La sua storia è quella di generazioni di donne e uomini che a causa del razzismo sistemico e della discriminazione non ricevono cure che altri invece ottengono.

La malattia della mente non è sempre una questione biologica del cervello, sono anche le circostanze che fanno ammalare e causano patimenti; non si può fingere che sia tutto nel corpo e non sentire invece quello che si sta attraversando. Ma si cura la rottura arrecata dalla malattia mentale e si ritorna come prima? O come suggerisce la psicologa Degaan, si guarisce solo quando c’è un’accettazione sempre più profonda dei propri limiti?

Aviv lo dice fin da subito, la salute mentale è una terra straniera e siamo noi gli estranei che vivono nel nostro corpo.

Libri

Sacha Naspini

“Errore 404”

Edizioni E/O, 2024 – 18 euro

I recettori sensoriali che percepiscono il gusto delle cose che mangiamo sono altamente specializzati e si trovano sulla lingua, sul palato, nella faringe e nella laringe. Per Andrea, il protagonista di questo spericolato ed originale romanzo, il senso del gusto è invece un superpotere, riesce a modificare il flusso degli eventi. (A. L.)

Riccardo Rao

“Il tempo dei lupi”

Utet, 2024 – 16 euro

I lupi stanno tornando nei nostri paesi, nei centri abitati di tutta Europa. Documenti storici, leggende e miti s’intrecciano con la biologia in questo racconto che parla di ambiente ma anche di cultura. È ora di fare i conti con la nostra paura ancestrale per questo animale favoloso. È il caso di dire: in bocca al lupo! (A. L.)

Willy Guasti

“Dinosauri eccellenti”

Gribaudo, 2024 – 16,90 euro

Ci sono delle star che oltrepassano luoghi, spazi ed ere geologiche. Queste sono i dinosauri ma non tutti, solo quelli che fanno parte della cosiddetta “Dinomania”. Tanto famosi da avere un soprannome tutto loro. I loro resti ci parlano ancora e lo fanno attraverso il testo del naturalista e divulgatore scientifico che riporta tutte le loro storie. (A. L.)

Giornale dei Biologi | Feb 2024 77

Concorsi

CONCORSI PUBBLICI PER BIOLOGI

UNIVERSITÀ SAINT CAMILLUS INTERNATIONAL UNIVERSITY OF HEALTH SCIENCES DI ROMA

Scadenza, 7 marzo 2024

Procedura di selezione per la copertura di un posto di ricercatore, a tempo determinato, settore concorsuale 05/F1 - Biologia applicata, per la facoltà dipartimentale di medicina, in lingua inglese. Gazzetta Ufficiale n. 11 del 06-02-2024.

ISTITUTO NAZIONALE TUMORI IRCCS - FONDAZIONE G. PASCALE DI NAPOLI

Scadenza, 7 marzo 2024

Concorso pubblico, per titoli ed esami, per la copertura di un posto di ricercatore sanitario, categoria DS - Biologo, a tempo determinato. Gazzetta Ufficiale n. 11 del 06-02-2024.

AZIENDA UNITÀ LOCALE SOCIO-SANITARIA N. 3 SERENISSIMA DI VENEZIA MESTRE

Scadenza, 14 marzo 2024

Conferimento dell’incarico quinquennale e con rapporto esclusivo di dirigente medico, ovvero dirigente biologo direttore di struttura complessa UOC microbiologia del Presidio ospedaliero di Mestre, area della medicina diagnostica e dei servizi, disciplina di microbiologia e virologia. Gazzetta Ufficiale n. 13 del 13-02-2024.

UNIVERSITÀ DI BOLOGNA “ALMA MATER STUDIORUM”

Scadenza, 15 marzo 2024

Procedura di selezione per la copertura di un posto di ricercatore a tempo determinato in tenure track della durata di settantadue mesi e pieno, settore concorsuale 05/E2 - Biologia molecolare, per il

Dipartimento di farmacia e biotecnologie. Gazzetta Ufficiale n. 14 del 16-02-2024.

UNIVERSITÀ DI BOLOGNA “ALMA MATER STUDIORUM”

Scadenza, 19 marzo 2024

Procedura di selezione per la copertura di un posto di ricercatore a tempo determinato della durata di trentasei mesi e pieno, settore concorsuale 05/C1 - Ecologia, per il Dipartimento di scienze biologiche, geologiche e ambientali. Gazzetta Ufficiale n. 15 del 20-02-2024.

CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE - ISTITUTO DI GENETICA MOLECOLARE “LUIGI LUCA CAVALLI SFORZA” DI PAVIA

Scadenza, 12 marzo 2024

È indetta una selezione pubblica, per titoli e colloquio, per il conferimento di n. 1 Assegno di Ricerca tipologia A) “Assegni Professionalizzanti per lo svolgimento di attività di ricerca inerenti l’Area Scientifica “Medicina Molecolare” da svolgersi presso l’Istituto di Genetica Molecolare “Luigi Luca Cavalli Sforza” del CNR che effettua ricerca nell’ambito del programma di ricerca PRR.PN008.001 PRIN 2022 PNRR 2022S5JWB Dissecting the role of the alternative splicing factor NOVA2 in tumor angiogenesis GAE 580 CUP B53D23033180001 per la seguente tematica: “Ruolo dello splicing alternativo nello sviluppo dei vasi tumorali”. Il bando è stato pubblicato sul sito internet www. cnr.it, sezione “concorsi”.

CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE - ISTITUTO PER LA PROTEZIONE SOSTENIBILE DELLE PIANTE DI BARI

Scadenza, 14 marzo 2024

È indetta una selezione pubblica, per titoli e colloquio, per il conferimento di n. 1 Assegno di ricerca “Professionalizzante” per lo svolgimento di attività di ricerca inerenti alle Aree Scientifiche 07 “Scienze agrarie e veterinarie” e 05 “Scienze biologiche” da svolgersi presso l’Istituto per la Produzione Sostenibile delle Piante del CNR, sede secondaria di Bari, che effettua ricerca nell’ambito del programma di ricerca “Research and Innovation Networking On Food and Nutrition Sustainability , Safety and Security – Working ONFOODS” (ON FOODS)”, per la seguente tematica: “Nuove tecnologie per sistemi alimentari intelligenti e circolari basati sul consumo di piante” (New Technologies for Smart and Circular Plant-based Food Systems). Il bando è stato pubblicato sul sito internet www.cnr. it, sezione “concorsi”.

CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE - ISTITUTO DI RICERCA SULLE ACQUE DI BARI Scadenza, 30 marzo 2024

È indetta una selezione pubblica, per titoli e colloquio, per il conferimento di n. 1 Assegno di Ricerca Professionalizzante per lo svolgimento di attività di ricerca inerenti l’Area Scientifica “Scienze del Sistema Terra e Tecnologie per l’ambiente” da svolgersi presso l’Istituto di Ricerca Sulle Acque (S.S. di Bari) del CNR che effettua ricerca nell’ambito del programma di ricerca “REACH-XY” per la seguente tematica: “Trattamento e recupero dei reflui municipali per scopi irrigui mediante processi avanzati”. Il bando è stato pubblicato sul sito internet www.cnr.it, sezione “concorsi”.

78 Giornale dei Biologi | Feb 2024

NUOVE OPPORTUNITÀ PROFESSIONALI?

Segui la sezione Bandi e Concorsi sul sito della FNOB Troverai gli avvisi pubblici dedicati ai Biologi

www.fnob.it

SABBIAMO ANCORA BISOGNO DI PARLARE DI FOSSILI VIVENTI?

Un concetto che porterebbe con sé delle interpretazioni fuorvianti riguardanti l’evoluzione, se non addirittura errate

commetto che la maggior parte delle persone che sta leggendo questo articolo ha visto almeno una volta nella loro vita il film Jurassic Park del 1993, diretto da Steven Spielberg. Pilastro del cinema postmoderno, il film è ispirato all’omonimo romanzo di Michael Crichton del 1990 e narra delle sorti di un parco divertimenti a tema dinosauri, dove però i dinosauri sono animali vivi creati grazie alle conquiste dell’ingegneria genetica. Nel Jurassic Park, insomma, si possono letteralmente ammirare dei veri fossili viventi, ossia creature del passato in carne e ossa.

L’espressione “fossile vivente” non può sembrare più che azzeccata in questo contesto. E di fatto lo è! Ma in realtà essa nasce più di un secolo prima in racconti popolari di dubbia origine, per poi fare il suo ingresso ufficiale nella biologia evolutiva con Darwin (naturalmente… non c’è cosa che Darwin non abbia nominato almeno una volta). L’espressione persiste ancora oggi nelle pubblicazioni scientifiche odierne e il suo utilizzo è spesso il punto di partenza per numerose ricerche. Tuttavia, chi si occupa di biologia evolutiva è spesso restio ad affibbiare l’appellativo di “fossile vivente” a qualsiasi organismo attualmente presente sulla Terra, in quanto porterebbe con sé delle interpretazioni fuorvianti riguardanti l’evoluzione, se non addirittura errate.

Storia di un concetto: dai rospi delle miniere ai pescherecci sudafricani

Come già accennato, le prime attestazioni dell’utilizzo di “fossile vivente” risalgono a degli scritti pubblicati a cavallo tra Settecento e Ottocento. In quel periodo, in Europa, giravano delle storie riguardanti dei rospi che si credevano essere rimasti sepolti per millenni nel suolo e nella roccia, ma che venivano ritrovati vivi e vegeti dai minatori. Queste creature quasi mitologiche vennero ben presto chiamate proprio “fossili viventi”, data la loro supposta origine antidiluviana [1]. Attualmente, comunque, è piuttosto risaputo che tutta la faccenda sia probabilmente stata il frutto di una qualche suggestione condivisa e che quindi non vi siano eventi concreti alla base del fenomeno [2].

Da quel momento, per risalire al successivo utilizzo degno di nota dell’espressione “fossile vivente”, dovremo aspettare la pubblicazione de L’origine delle specie (The Origin of Species) di Charles Darwin. Nel capitolo IV, dedicato niente di meno che alla selezione naturale, il Naturalista scrive che gli animali d’acqua dolce come gli ornitorinchi (Ornithorhynchus anatinus) e i pesci polmonati del Sud America (Lepidosiren paradoxa) possono essere a buona ragione chiamati fossili viventi. Queste specie, infatti, popolando ambienti molto circoscritti e con competizione assai ridotta, sarebbero sopravvissute nel corso delle ere geologiche fino ai giorni nostri. Di conseguenza, così come si osserva in varie forme fossili, esse avrebbero mantenuto una morfologia intermedia tra quelle di altri gruppi di animali, con l’ornitorinco che sarebbe «a metà» tra un mammifero e un rettile e Lepidosiren “a metà” tra un pesce e un tetrapode ([3], p. 118-119). Darwin sottintende insomma una sorta di reti-

80 Giornale dei Biologi | Feb 2024
Scienze
* Studente di dottorato in genomica comparata, responsabile della sezione Ambiente e Natura su BioPills.
di Filippo Nicolini *

cenza al cambiamento evolutivo da parte di queste «forme anomale» e intermedie, che quindi sarebbero rimaste pressoché immutate rispetto ai loro antenati. Come vedremo più avanti, però, questo concetto contiene alcune inesattezze dal punto di vista evolutivo. Aldilà di questa menzione, però, Darwin utilizza nuovamente l’espressione “fossili viventi” solo un’altra volta nel corso del volume (p. 526), senza tuttavia dedicarle troppo spazio.

Da Darwin fino ai giorni nostri, numerosissime altre specie sono state soprannominate fossili viventi: ad esempio, il genere di insetti Grylloblatta e il genere di vermi di velluto Peripatus sono due tra i più vecchi gruppi di animali a essere stati chiamati in questo modo e le cui rispettive pubblicazioni sono recuperabili in banca dati ([4, 5]; consultate il 01/10/2023 su Google Scholar). Tra tutti gli organismi che però hanno meritato l’appellativo nel corso degli anni, alcuni sembrano essere decisamente “più fossili viventi” di altri: è il caso dei ginkgo (Gingko biloba), dei celacanti (Latimeria spp.), dei nautili (Nautilus spp.) e dei limuli (Limulus spp.), ciascuno dei quali è associato all’espressione “fossile vivente” in più di 1000 pubblicazioni (Fig. 1)! Tra questi, il celacanto vanta una storia paragonabile a quella dei rospi intombati nelle pietre, sebbene questa volta sia del tutto vera.

sognerà poi aspettare il 1998 per la scoperta in Indonesia dell’unica altra specie vivente (e conosciuta) di celacanto, Latimeria menadoensis

I celacanti sono infatti un gruppo di pesci noti abbondantemente nel record fossile del Mesozoico e che si credevano estinti dal Tardo Cretaceo. Dunque, nessuno zoologo si sarebbe mai sognato di vederne un esemplare vivo. Fino al 1938. In quell’anno, il 23 dicembre, un peschereccio di ritorno da una campagna di pesca a largo delle coste di East London, in Sudafrica, segnalò uno strano pesce dall’aspetto inconsueto e mai visto prima (in realtà le popolazioni locali lo conoscevano già). L’esemplare fu subito portato al museo locale, dove venne ben presto identificato come un esemplare di celacanto e venne attribuito alla nuova specie Latimeria chalumnae [6]. Il mondo era esterrefatto. Era appena stato scoperto un fossile venuto direttamente dal Mesozoico! Bi-

Definizione di un concetto: come diventare un fossile vivente?

A parte qualche menzione d’onore, il numero di taxa che a oggi sono stati definiti dei fossili viventi è veramente elevato! Tuttavia, la cosa sorprendente è che, consultando la letteratura sul tema, si ha quasi l’impressione che non vi sia un consenso generale su quali organismi debbano essere chiamati a buona ragione fossili viventi.

Ad esempio, Kin & Błażejowski (2014) ritengono che proprio i celacanti e i nautili non vadano considerati fossili viventi, in quanto non rispetterebbero i criteri da loro stabiliti per definirli tali [7]. I due autori ritengono infatti che un organismo possa rientrare nel gruppo dei fossili viventi (o più correttamente, degli “stabilomorfi”) solo laddove esso

Giornale dei Biologi | Feb 2024 81
Scienze
Figura 1. Grafico a barre in cui viene riportato il numero di pubblicazioni contenente l’espressione “fossile vivente” per ogni gruppo tassonomico.

mostri una morfologia relativamente conservata nel tempo e nello spazio, ma entro i soli confini del genere tassonomico di appartenenza. I celacanti e i nautili, i cui rispettivi generi si sono originati nel Cenozoico, non rispetterebbero dunque questi criteri, in quanto la loro stasi morfologica si manterrebbe solo estendendo il confronto con organismi fossili appartenenti ad altri generi tassonomici. I ginkgo e i limuli mostrerebbero al contrario le caratteristiche necessarie per poter essere definiti fossili viventi (o “stabilomorfi”), in quanto la loro stasi morfologica rimane tale anche dentro i rispettivi generi, originatisi nel Mesozoico [7].

In base ad altre definizioni, però, i celacanti sarebbero da considerare a tutti gli effetti dei fossili viventi. Secondo Cavin & Guinot (2014) e Mertens et al. (2014), ad esempio, un fossile vivente è un organismo creduto estinto ma di cui sono stati scoperti degli esemplari viventi [8, 9]. Al contrario, secondo Nagalingum et al. (2011) e Mathers et al. (2013), un fossile vivente è un organismo appartenente a un gruppo le cui specie fossili erano molto più abbondanti e numerose di quelle attuali [10, 11]. E ancora, Turner (2019) tenta di fornire una definizione più ampia, introducendo il concetto di fossile vivente filogenetico, ossia un taxon con (1) una stasi morfologica che persiste da lungo tempo, (2) poche specie viventi e (3) un’elevata diversità filogenetica delle specie fossili [1]. Come abbiamo brevemente accennato in precedenza, effettivamente, le caratteristiche appena elencate sono tutte proprie anche dei celacanti e del gruppo

di pesci a cui appartengono (quello dei crossopterigi), rendendoli a pieno titolo dei fossili viventi.

Ma allora, i celacanti sono o no dei fossili viventi? E come possiamo definire un fossile vivente? In realtà, al momento, non esiste alcuna definizione condivisa del concetto, né tantomeno una definizione che sia chiara e concisa. Tutte quelle recuperabili in letteratura hanno infatti una caratteristica in comune, cioè quella di essere vaghe e a volte confuse: quale deve essere il grado di conservazione della morfologia tra i fossili viventi e i relativi antenati estinti? E il grado di diversità specifica di un clade nel passato rispetto ai tempi odierni? Quanto deve essere antico un taxon per poter essere considerato un fossile vivente? E a che livello tassonomico dobbiamo riferirci?

Come è evidente, nessuna definizione di fossile vivente attualmente disponibile stabilisce dei criteri quantificabili. Piuttosto, i vari autori e autrici forniscono delle definizioni generiche e che potenzialmente potrebbero adattarsi a qualsiasi organismo oggi presente sulla Terra (non è forse vero che anche l’uomo appartiene a un gruppo, gli ominini, le cui specie fossili sono molto più abbondanti e numerose di quelle attuali?). Dunque, la mancanza di un consenso condiviso su quali taxa siano fossili viventi, e quali no, deriva verosimilmente da una simile mancanza di una definizione univoca e rigorosa del concetto [12].

L’unico tentativo a me noto di quantificare il concetto di “fossile vivente” è stato formalizzato da Bennet et al. (2018) [12]. In questo lavoro, viene teorizzato l’indice di performance evolutiva (evolutionary performance index, EPI), che promette di definire in maniera oggettiva quali taxa possano essere definiti fossili viventi. L’indice utilizza in particolare tre misurazioni, ognuna calcolata per il gruppo in esame: (1) il «successo», ossia il numero di specie attualmente esistenti; (2) il «tempo», ossia l’età di origine; (3) il «cambiamento», ossia il numero di modificazioni morfologiche ed ecologiche che si sono registrate dall’origine del gruppo. Se l’EPI che ne deriva sarà basso, il taxon in esame può essere ragionevol-

82 Giornale dei Biologi | Feb 2024
© Antares_NS/shutterstock.com Ginkgo biloba.

mente considerato un fossile vivente; viceversa, per un taxon con EPI alto.

Effettivamente, l’indice è in grado di confermare alcuni tra i fossili viventi citati in precedenza, tra cui i ginkgo, i celacanti, i limuli e i pesci polmonati, che mostrano alcuni dei valori più bassi . Tuttavia, la definizione dell’indice può essere considerata piuttosto semplicistica in alcuni suoi punti e manca di alcune considerazioni fondamentali nel suo impianto teorico. Ad esempio, calcolare il successo di un gruppo di organismi solamente in termini del numero di specie può risultare decisamente riduttivo da una prospettiva evolutiva: infatti, è sicuramente vero che gli insetti sono un gruppo di estremo successo, contando da soli circa la metà di tutte le specie viventi; ma non si può negare che anche le piante siano un gruppo di estremo successo, considerando che esse costituiscono più dell’80% della biomassa organica presente sul Pianeta [13]; allo stesso modo, chi mai negherebbe che Homo sapiens sia un gruppo di strabiliante successo, visto che esso possiede verosimilmente la più elevata capacità di costruzione di nicchia [14]? Inoltre, l’EPI calcola il grado di cambiamento di un gruppo solamente come il numero di cambiamenti ecologici e morfologici registrati dalla sua comparsa: perché non includere anche i cambiamenti al livello molecolare? E come avere accesso in maniera accurata a queste informazioni, considerando la frammentarietà del record fossile?

Insomma, nonostante degno di nota come unico tentativo di misurare quantitativamente il concetto di “fossile vivente”, anche in questo caso si hanno purtroppo una serie di lacune teoriche e operative che saranno difficilmente colmate, a causa di difficoltà intrinseche nella loro definizione.

Fossili viventi ed equivoci evolutivi

A questo punto viene da chiedersi se la comunità scientifica abbia davvero bisogno di parlare di fossili viventi. Se

non si è in grado di fornire una definizione univoca e accettata del concetto, infatti, si può lecitamente pensare che esso vada solo a complicare ulteriormente le cose e a creare attrito tra gruppi di ricerca. Non a caso, come discusso in precedenza, l’eterogeneità delle trattazioni relative a questo tema è molto alta.

Tuttavia, a queste osservazioni si può obiettare che l’espressione “fossile vivente” possa avere un qualche ruolo di tipo comunicativo, sia all’interno degli ambienti accademici che al di fuori di essi, e che vada quindi utilizzata almeno per questi scopi. Essa è infatti indiscutibilmente accattivante per il pubblico generalista, nonché evocativa e piena di significato. Designare una specie come un “fossile vivente” fa subito balzare alla mente una serie di caratteristiche: si tratterà probabilmente di un organismo dall’aria placida ma solenne, molto simile (se non uguale) ai suoi antenati estinti, proveniente da un passato remoto estraneo all’essere umano e che è stato in grado di superare le difficoltà imposte dall’ambiente. Effettivamente, molte di queste caratteristiche sono proprio quelle utilizzate in letteratura scientifica per definire quando un gruppo di organismi può essere definito “fossile vivente” (vedi sezioni precedenti).

A ben pensarci, però, anche in queste occasioni il concetto porta con sé delle problematiche rilevanti. Ad esempio,

Giornale dei Biologi | Feb 2024 83
© bluehand/shutterstock.com
Specie fossile di celacanto.

qualificare una specie come “fossile vivente” sulla base della notevole somiglianza con i suoi antenati implica che il cambiamento evolutivo di quella specie abbia in qualche modo rallentato il suo corso, determinando una irreparabile condizione di stasi. I fossili viventi si farebbero quindi portatori di tratti arcaici e primitivi, propri di organismi del passato. Se ne deduce insomma che la specie in questione abbia smesso di evolversi e possa essere considerata una forma intermedia tra due taxa moderni. Questi sono tuttavia due degli equivoci più grandi relativi all’evoluzione biologica, che in questo modo non vengono però che alimentati.

L’evoluzione è infatti un processo continuo, che agisce costantemente e a ogni livello di organizzazione dei viventi. Noi stessi esseri umani siamo soggetti ai processi evolutivi, anche se magari non ce ne accorgiamo direttamente. Inoltre, laddove possa sembrare che esista effettivamente una certa somiglianza con antenati fossili, nella maggior parte dei casi un’attenta analisi dei dati disponibili è in grado di dimostrare come in realtà esistano numerose differenze. È ciò che ad esempio è stato fatto proprio per i celacanti [15 e referenze citate], dove l’analisi dello scheletro di specie odierne e fossili può facilmente far emergere numerose differenze sia al livello della porzione assile che della porzione appendicolare. Non a caso, per i celacanti odierni è stato necessario erigere un genere tassonomico dedicato (Latimeria, appunto) piuttosto che inserirli nei generi delle specie fossili già esistenti, tanto le differenze morfologiche erano evidenti. Lo stesso tipo di ragionamento può essere esteso ad altre specie (inclusi pesci polmonati e ginkgo), nonché all’evoluzione

molecolare, che risulta a sua volta tutt’altro che statica [ad esempio, 1519].

È inoltre curioso (e forse un po’ allarmante) notare come l’utilizzo incondizionato di “fossile vivente” in riferimento a certi organismi sembra aver guidato l’interpretazione dei dati di certe pubblicazioni (in quello che viene chiamato bias di conferma), mettendo in luce solo quei risultati che confermavano l’attributo di “fossile vivente” e non anche quelli che invece lo smentivano [15]. Ne è di nuovo un esempio il celacanto, il cui genoma è stato largamente studiato in cerca di una qualche stasi molecolare che sottintendesse la (presunta) stasi morfologica. È infatti vero che alcuni loci nucleari e mitocondriali dei celacanti mostrano un tasso di evoluzione ridotto rispetto ad altri vertebrati (vedere ad esempio [20] e [21], rispettivamente), ma lo stesso non si può dire per numerosi altri loci o per la porzione di genoma mobile (vedere ad esempio [22] e [23], rispettivamente).

Nel complesso emerge quindi come i cosiddetti fossili viventi siano tutt’altro che simili ai loro antenati, in quanto mostrano ciascuno una lunga serie di tratti moderni e derivati, che poco hanno a che fare con quelli osservabili nei fossili. Di conseguenza, non ha nemmeno senso pensare ai fossili viventi come a forme di transizione o anelli mancanti di linee evolutive (qui, Darwin ha purtroppo preso un abbaglio), senza considerare tra l’altro che questi concetti sono di per sé evolutivamente errati quando attribuiti a qualsiasi organismo oggi vivente.

I fossili viventi, insomma, sono organismi che «evolvono così come evolviamo tutti noi» [24].

Conclusioni: è possibile salvare i fossili viventi?

Lidgard e Love (2018) hanno tentato di rivalutare l’importanza del concetto di “fossile vivente” [25], sebbene consci delle problematiche a esso connesse. I due autori propongono infatti di utilizzarlo non tanto per il suo valore teorico o normativo, ma piuttosto per il suo valore prati-

84 Giornale dei Biologi | Feb 2024 Scienze
© Jarous/shutterstock.com Limulo.

co: utilizzare lo status di fossile vivente per descrivere certi taxa permetterebbe alla comunità scientifica di sottolineare una serie di problematiche biologiche che sono in attesa di spiegazioni più dettagliate (come ridotti tassi di evoluzioni morfologica o molecolare). Tuttavia, l’insieme delle altre limitazioni e controversie legate al concetto rischia di oscurare i vantaggi di quest’unico risvolto profittevole.

Con così tanta fama, risulta infatti sorprendente che a oggi non esista ancora una definizione condivisa di “fossile vivente” e che anzi, al contrario, gruppi di ricerca differenti abbiano ognuno il proprio repertorio di fossili viventi. È noto che in biologia le classificazioni operate dall’essere umano risultano il più delle volte artificiose e vadano spesso emendate per adattarsi via via alle nuove scoperte. Nel caso dei fossili viventi, però, il tentativo sembra essere molto più insidioso, in quanto pare non adattarsi alla biologia degli organismi e, anzi, porterebbe con sé anche una serie di malintesi che ostacolano la corretta narrazione e divulgazione della biologia evolutiva. Non solo, secondo alcune pubblicazioni, la convinzione che certi taxa siano dei fossili viventi inficerebbe anche l’interpretazione dei risultati delle ricerche.

Insomma, non esiste ancora una risposta perentoria alla domanda se sia oggi ancora necessario parlare di fossili viventi. L’unica cosa di cui però non abbiamo sicuramente bisogno è un Jurassic Park (ahimé): il mondo è quanto pare già pieno di fossili viventi. Dai ginkgo ai celacanti, passando per i nautilus, i pesci polmonati, le cicadi, i notostraci, i tuatara e i limuli, gli organismi che popolano il parco sono già tra noi.

Bibliografia

1. Turner, D. D. (2019). In defense of living fossils. Biology & Philosophy, 34(2), 23.

2. Bressan, D. (2014). The (Zombie-)Toad-in-the-Hole. Scientific America (consultato il 04/10/2022).

3. Darwin, C. (1859). The Origin of Species. Literary Classics, Inc. (ed.). New York.

4. Walker, E. M. (1937). Grylloblatta, a living fossil. Trans. R. Soc. Canada, 26, 1-10.

5. Wenzel, R. L. (1950). Peripatus— ‘living fossil’ and ‘missing link’. Tuatara, 3, 98-99.

6. Smith, J. L. B. (1939). A Living Fish of Mesozoic Type. Nature, 143, 455–456.

7. Kin, A., & Błażejowski, B. (2014). The horseshoe crab of the genus Limulus: living fossil or stabilomorph?. PLoS One, 9(10), e108036.

8. Cavin, L., & Guinot, G. (2014). Coelacanths as “almost living fossils”. Frontiers in Ecology and Evolution, 2, 49.

9. Mertens, K. N., Takano, Y., Head, M. J., & Matsuoka, K. (2014). Living fossils in the Indo-Pacific warm pool: A refuge for thermophilic dinoflagellates during glaciations. Geology, 42(6), 531-534.

10. Nagalingum, N. S., Marshall, C. R., Quental, T. B., Rai, H. S., Little, D. P., & Mathews, S. (2011). Recent synchronous radiation of a living fossil. Science, 334(6057), 796-799.

11. Mathers, T. C., Hammond, R. L., Jenner, R. A., Hänfling, B., & Gomez, A. (2013). Multiple global radiations in tadpole shrimps challenge the concept of ‘living fossils’. PeerJ, 1, e62.

12. Bennett, D. J., Sutton, M. D., & Turvey, S. T. (2018). Quantifying the living fossil concept. Palaeontologia Electronica, 21(1), 14A.

13. Bar-On, Y. M., Phillips, R., & Milo, R. (2018). The biomass distribution on Earth. Proceedings of the National Academy of Sciences, 115(25), 6506-6511.

14. Laland, K., Matthews, B., & Feldman, M. W. (2016). An introduction to niche construction theory. Evolutionary ecology, 30, 191-202.

15. Casane, D., & Laurenti, P. (2013). Why coelacanths are not ‘living fossils’ A review of molecular and morphological data. Bioessays, 35(4), 332-338.

16. Grandcolas, P., Nattier, R., & Trewick, S. (2014). Relict species: a relict concept? Trends in ecology & evolution, 29(12), 655-663.

17. Lloyd, G. T., Wang, S. C., & Brusatte, S. L. (2012). Identifying heterogeneity in rates of morphological evolution: discrete character change in the evolution of lungfish (Sarcopterygii; Dipnoi). Evolution, 66(2), 330-348.

18. Metcalfe, C. J., Filée, J., Germon, I., Joss, J., & Casane, D. (2012). Evolution of the Australian lungfish (Neoceratodus forsteri) genome: a major role for CR1 and L2 LINE elements. Molecular Biology and Evolution, 29(11), 3529-3539.

19. Nicolini, F., Martelossi, J., Forni, G., Savojardo, C., Mantovani, B., & Luchetti, A. (2023). Comparative genomics of Hox and ParaHox genes among major lineages of Branchiopoda with emphasis on tadpole shrimps. Frontiers in Ecology and Evolution, 11, 23.

20. Amemiya, C. T., Alföldi, J., Lee, A. P., Fan, S., Philippe, H., MacCallum, I., ... & Lindblad-Toh, K. (2013). The African coelacanth genome provides insights into tetrapod evolution. Nature, 496(7445), 311-316. Sudarto, Lalu, X. C., Kosen, J. D., Tjakrawidjaja, A. H., Kusumah, R. V., Sadhotomo, B., ... & Paradis, E. (2010). Mitochondrial genomic divergence in coelacanths (Latimeria): slow rate of evolution or recent speciation? Marine biology, 157, 2253-2262.

21. Sudarto, Lalu, X. C., Kosen, J. D., Tjakrawidjaja, A. H., Kusumah, R. V., Sadhotomo, B., ... & Paradis, E. (2010). Mitochondrial genomic divergence in coelacanths (Latimeria): slow rate of evolution or recent speciation? Marine biology, 157, 2253-2262.

22. Takezaki, N., Figueroa, F., Zaleska-Rutczynska, Z., Takahata, N., & Klein, J. (2004). The phylogenetic relationship of tetrapod, coelacanth, and lungfish revealed by the sequences of forty-four nuclear genes. Molecular Biology and Evolution, 21(8), 1512-1524.

23. Naville, M., Chalopin, D., Casane, D., Laurenti, P., & Volff, J. N. (2015). The coelacanth: Can a “living fossil” have active transposable elements in its genome?. Mobile genetic elements, 5(4), 55-59.

24. Brouwers, L. (2012). Coelacanths are not living fossils. Like the rest of us, they evolve. Scientific American (consultato il 22/10/2021).

25. Lidgard, S., & Love, A. C. (2018). Rethinking living fossils. Bioscience, 68(10), 760-770.

Giornale dei Biologi | Feb 2024 85
Scienze

IL TRAPIANTO FECALE DEL MICROBIOTA TRA RISCHI E BENEFICI TERAPEUTICI

Ripristinare la flora batterica sana attraverso il trapianto di feci può essere una nuova frontiera terapeutica anche per le malattie extra-intestinali

Il trapianto fecale consiste nel trasferire feci prelevate da un donatore sano nell’intestino del ricevente affetto da patologie causate da uno squilibrio del microbiota intestinale. I benefici terapeutici del trapianto fecale dipendono dalla composizione delle feci che, in condizioni sane, hanno un pH pari a 6.6, per il 75% sono formate da acqua mentre il rimanente 25% è una parte solida che comprende carboidrati non digeriti, fibre, proteine e grassi le cui quantità variano a seconda della dieta. La componente maggiore della frazione organica è la massa batterica che svolge numerose funzioni come quella di favorire la digestione, facilitare la formazione dell’epitelio del colon e proteggere dai patogeni. Ogni individuo ha un suo microbiota intestinale che può essere alterato da fattori ambientali come la dieta, i probiotici, i prebiotici, i virus e i farmaci, in particolare gli antibiotici. Queste alterazioni del microbiota possono causare diverse malattie, comprese quelle infettive (gastroenterite infettiva, infezione da Clostridioides difficile), le malattie autoimmuni (malattie allergiche, diabete, malattia infiammatoria intestinale), alcune condizioni generali di sovrappeso o disturbi gastrointestinali funzionali e, infine, i disturbi del comportamento. Attualmente, tra le tante strategie terapeutiche messe in campo per correggere la disbiosi intestinale solo il trapianto fecale presenta effetti clinici soddisfacenti.

A differenza di quanto si possa pensare non si tratta di una tecnica moderna. Se facciamo un salto indietro nel tempo, infatti, il primo tentativo di trapianto fecale risale al IV secolo quando le feci umane venivano utilizzate in Cina per curare i

* Comunicatrice scientifica e Medical writer

casi gravi di diarrea fino alla dinastia Ming che nel XVI secolo continuava a utilizzare sia feci fresche che fermentate per curare costipazione e dolore addominale. Nel 1958, Eiseman e il suo gruppo di ricercatori impiegarono il trapianto fecale per curare i pazienti con colite pseudomembranosa. Ma il primo trapianto fecale applicato per il trattamento di una malattia non infettiva è stato reso pubblico nel 1989 quando il gastroenterologo Borody (Centro di malattie digestive di Sidney) lo eseguì su un maschio di 45 anni con colite ulcerosa refrattaria registrando un recupero clinico completo e duraturo. Nel 2013, il gruppo di ricerca guidato dal Dr. Els ha condotto, invece, il primo studio controllato randomizzato dimostrando che l’infusione nel duodeno di feci sane in pazienti con Clostridioides difficile ricorrente mostra un’efficacia maggiore nella risoluzione dei sintomi rispetto all’uso della sola terapia antibiotica. Da allora le applicazioni di trapianto fecale si sono estese rapidamente.

Clostridioides difficile

Il Clostridioides difficile (in precedenza nominato Clostridium) è un Gram positivo anaerobico capace di formare spore e di produrre tossine di tipo A e B. Sono proprio quest’ultime le responsabili dell’infiammazione che degrada gradualmente l’epitelio del colon aumentandone la permeabilità con conseguenti episodi di diarrea. La trasmissione avviene per via oro-fecale, quindi l’infezione ha origine dopo il contatto di mani, bocca e altre mucose (come quelle del naso o degli occhi) con oggetti o superfici contaminati da feci che contengono il batterio e che viene introdotto nell’organismo tramite il canale alimentare. Inizialmente, l’insorgenza delle infezioni causate da questo batterio erano associate ai cambiamenti del microbiota intestinale dovuti all’assunzione di antibiotici, ma negli ultimi decenni

86 Giornale dei Biologi | Feb 2024 Scienze

sono state riscontrate anche in soggetti a basso rischio e senza precedenti terapie antibiotiche. Inoltre, il Clostridioides difficile è presente nel 3% della popolazione sana ma circa il 20% dei pazienti ne diventa colonizzato proprio durante il ricovero.

In ospedale, le infezioni da Clostridioides difficile sono la principale causa di diarrea infettiva tanto che negli ultimi anni sono state incluse nelle infezioni emergenti a livello mondiale anche a causa dei ricorrenti casi di re-infezione. Un’infezione da Clostridioides difficile è definita ricorrente quando un nuovo episodio si verifica entro 8 settimane da quello precedente e può essere dovuta allo stesso ceppo oppure a un ceppo differente e il rischio di ulteriori recidive aumenta ogni volta. Per esempio, tra i pazienti guariti da una prima infezione è stato registrato un secondo tasso di recidiva del 40% mentre quello di una terza recidiva oscilla tra il 45% e il 65% con un forte impatto sull’aumento dei costi sanitari. Pertanto è necessario identificare i fattori di rischio e agire su di essi per intraprendere misure di diagnosi, trattamento e prevenzione. Oltre alla terapia antibiotica, il fattore di rischio più frequentemente riportato per le recidive è l’età avanzata a cui seguono la perdita di acidità gastrica causata da farmaci come le pompe protoniche che possono indebolire le difese contro il patogeno, malattie gravi, insufficienza renale, ricoveri prolungati e mancate risposte immunitarie alle tossine A e B.

Il trattamento antibiotico somministrato la prima volta può essere ripetuto nuovamente nel caso di una prima recidiva e, generalmente, si utilizza metronidazolo nei casi lievi e vancomicina in quelli gravi. Se l’infezione ricorre dopo una prima terapia a base di vancomicina, nella terapia alternativa viene considerato l’impiego di fidaxomicina. Infatti, il metronidazolo e la vancomicina sono batteriostatici, quindi interrompono la replicazione cellulare del Clostridioides difficile mentre la fidaxomicina è un battericida che ne determina la morte e ha anche un impatto inferiore sul cambiamento del microbiota intestinale rispetto alla vancomicina.

Oggi il trapianto fecale si presenta come una terapia efficace per contrastare questo tipo di infezione con un tasso di successo del 90% rispetto al 20-30% della terapia antibiotica.

I risultati attuali e le prospettive

L’esperienza clinica disponibile sul trapianto fecale proviene dal trattamento di casi ricorrenti o refrattari di infezioni da Clostridioides difficile. Questi studi hanno dimostrato che

l’efficacia del trapianto è attribuibile al ripristino del microbiota sano. Risultati che hanno portato gli esperti a includere il trapianto fecale nelle linee guida di pratica clinica approvate dalla Food and Drug Administration (FDA) a partire dal 2013. Tuttavia, negli ultimi anni le applicazioni del trapianto fecale si sono moltiplicate rapidamente anche nel trattamento di altre condizioni patologiche. Ad esempio, è stato registrato un netto miglioramento del movimento intestinale nei pazienti con sindrome dell’intestino irritabile dopo il trapianto di feci. Sulla base di questi risultati è stata valutata la possibilità di alterare il microbioma dell’intestino come potenziale terapia per l’obesità e la sindrome metabolica. Proprio in relazione a quest’ultima, è stato osservato un aumento della sensibilità all’insulina nei pazienti sottoposti al trapianto. In modelli animali sono stati osservati anche potenziali effetti terapeutici in gravi casi di sclerosi multipla, autismo, infezioni causate da patogeni multi-resistenti e situazioni con disfunzione di più organi.

La ricerca in campo oncologico ha confermato il coinvolgimento del microbiota nella formazione di tumori. La disbiosi microbica così come i singoli batteri presenti nell’intestino possono favorire processi pro-infiammatori e produrre proteine che attivano il processo di carcinogenesi. Oltre a indurre l’infiammazione, molti batteri hanno anche la capacità di danneggiare il DNA rilasciando metaboliti specifici che, a loro volta, promuovono la progressione del cancro. Una conoscenza approfondita della relazione tra i batteri intestinali e la formazione di tumori può, quindi, consentire lo sviluppo di promettenti strategie terapeutiche e diagnostiche.

Nonostante i tanti benefici riportati in letteratura sono tante

Giornale dei Biologi | Feb 2024 87
Scienze © TopMicrobialStock/shutterstock.com

le difficoltà da superare. Prima di tutto non si è ancora arrivati a definire la procedura di trapianto ottimale e la totale sicurezza del trasferimento. Questa difficoltà è dovuta principalmente alla composizione del microbiota intestinale che varia da individuo a individuo e non è possibile standardizzare quella di una persona sana perché è soggetta a tanti fattori che ne modificano l’equilibrio in tempi brevi. Si potrebbe tentare di superare i problemi di sicurezza trasferendo allo stesso individuo le feci “rese sane” in laboratorio ma questo richiederebbe notevoli costi di deposito dei campioni in biobanche per lunghi periodi. Così come il trapianto fecale tra individui diversi limita i costi e rende più immediata la disponibilità di campioni, ma aumenta il rischio di trasmissione di patogeni. Al momento solo la possibilità di ricorrere a quelli che vengono definiti “consorzi batterici”, delle vere e proprie sospensioni sintetiche di microrganismi ben definiti, consentirebbe di ottenere grandi quantità di materiale fecale di qualità, testate sull’uomo e con costi ottimizzati. Inoltre, l’infusione di batteri opportunamente selezionati sarebbe un trattamento innovativo anche per il ripopolamento batterico dell’intestino.

L’aspetto normativo

Il microbiota fecale umano non rientra nell’ambito normativo dei medicinali o di quello del trapianto di cellule e tessuti sia per la peculiarità della composizione che per le sue applicazioni nell’uomo. Secondo la Commissione Europea della Salute e Sicurezza Alimentare (SANTE), infatti, il trapianto fecale dev’essere considerato come flora batterica che non esercita un’azione terapeutica primaria. Ma il fatto che possa determinare la trasmissione di patogeni al ricevente rende necessaria l’applicazione di requisiti che ne garantiscano qualità e sicurezza. Per tale ragione, la Direttiva europea 2004/23/CE che disciplina i trapianti di cellule e tessuti è ritenuta adeguata anche per il trapianto di feci.

In Italia, il Consiglio Superiore di Sanità e l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) hanno approvato la proposta di inquadramento della procedura facendo riferimento ai principali requisiti di qualità e sicurezza previsti dal d.lgs. 191/2007 e dal d.lgs. 16/2010. Secondo quanto previsto, la preparazione e la conservazione del trapianto fecale devono essere effettuate in una “banca delle feci” autorizzata e accreditata che, periodicamente, effettua i controlli ispettivi previsti al fine di verificare il possesso dei principi e requisiti necessari.

La selezione dei donatori di feci

Il trapianto di feci deve essere eseguito nel rispetto delle linee guida emanate per garantire l’efficacia terapeutica e prevenire o ridurre il verificarsi di eventi avversi. Prima di tutto, i potenziali donatori di feci devono “superare” un attento processo di selezione che prevede un’intervista medica iniziale volta a escludere eventuali fattori di rischio.

I criteri di esclusione per la donazione delle feci sono i se-

guenti:

• precedenti casi di infezione da HIV, HBV o HCV, sifilide, virus linfotropici delle cellule umane (virus della leucemia a cellule T), malaria, tripanosomiasi, tubercolosi e infezione sistemica al momento della donazione;

© TPepermpron/shutterstock.com

• uso di droghe e comportamenti sessuali a rischio;

• precedenti trapianti di tessuti e/o organi e trasfusioni di sangue nei 12 mesi precedenti;

• punture accidentali con aghi infetti, tatuaggi, piercing, buchi alle orecchie e agopuntura nei 6 mesi precedenti;

• trattamenti medici recenti in condizioni di scarsa igiene;

• rischio di trasmissione di malattie causate da prioni;

• parassitosi o infezione da patogeni responsabili di malattie gastrointestinali;

• viaggi nei 6 mesi precedenti in paesi tropicali, ad alto rischio di malattie trasmissibili o diarrea da viaggiatore;

• vaccinazione con virus vivo attenuato nei 6 mesi precedenti;

• persone che lavorano con animali per escludere il rischio di trasmissione di zoonosi e operatori sanitari per escludere il rischio di trasmissione di patogeni resistenti agli antibiotici;

• disturbi gastrointestinali, neurologici, malattie autoimmuni;

• anamnesi o rischio elevato di cancro o poliposi;

• sovrappeso e obesità;

• composizione del microbiota intestinale;

• assunzione di antibiotici, immunosoppressori, chemioterapia nei 3 mesi precedenti.

La preparazione del campione

Oltre al campione di feci fresco è possibile utilizzare anche quello congelato e questo consente di creare una vera e propria banca delle feci di cui disporre all’occorrenza.

Il campione fresco deve essere:

• usato entro 6 ore dalla defecazione;

• preparato e conservato in tempi brevi per salvaguardare i batteri anaerobici;

88 Giornale dei Biologi | Feb 2024 Scienze

Scienze

• conservato a temperatura ambiente (2030°C);

• di quantità non inferiore ai 30 g;

• trattato con soluzione fisiologica e lavorato in modo da favorirne il trasferimento;

• manipolato con guanti e mascherine protettive.

Il campione congelato deve essere:

• composto da almeno 30 g di feci e 150 mL di soluzione fisiologica;

• congelato previa l’aggiunta del 10% di glicerolo che consente di preservare i batteri a alla temperatura di -80°C;

• scongelato a 37°C e trapiantato entro 6 ore.

Il trasferimento delle feci

Prima del trapianto il ricevente segue, per almeno tre giorni, un trattamento antibiotico a base di vancomicina o fidaxomicina fino a 12-48 ore dal trasferimento. Questo trattamento è necessario per evitare la copiosa presenza di C. difficile nell’intestino oppure in caso di trapianto tramite colonscopia, i riceventi vengono sottoposti a un lavaggio del colon con opportune soluzioni di glicole polietilenico (un lassativo largamente usato nei casi di stipsi) per lo stesso scopo. Dopo il lavaggio del colon, un’aliquota di 200-500 mL di campione fecale viene infusa nell’intestino.

Lo studio recente di un gruppo di ricercatori della University of Minnesota Medical School ha valutato i livelli di efficacia e sicurezza del trapianto eseguito tramite compresse che contengono i batteri normalmente presenti nelle feci di una persona sana. Il trattamento tramite l’assunzione di queste compresse ha favorito la riparazione dei danni causati dagli antibiotici con un impatto positivo nel trattamento delle infezioni da Clostridioides difficile con il grande vantaggio di evitare le complicazioni della colonscopia.

Invece, per il trapianto tramite clistere non sono state ancora elaborate delle indicazioni di preparazione del paziente. Il trasferimento tramite clistere è suggerito per pazienti di età pediatrica o con condizioni critiche che non consentono altre vie di trapianto e si raccomanda di rimanere in posizione supina e di non defecare nei 30 minuti successivi.

In aggiunta alla colonscopia e al clistere, il trapianto fecale (25-50 mL) può essere eseguito anche attraverso il canale gastroscopico o nasogastrico. I pazienti restano in posizione eretta per 4 ore dopo l’infusione per favorire l’inserimento.

Dopo il trapianto le condizioni del paziente vengono monitorate per un periodo più o meno lungo a seconda delle eventuali complicanze osservate. Il successo del trapianto è determinato dal netto miglioramento delle condizioni cliniche del ricevente, dalla ridotta frequenza di defecazione, dalla consistenza delle feci visibilmente migliorata e dai parametri ricercati tramite test di laboratorio che rientrano nel range di normalità.

Conclusioni

Il trapianto di feci registra un buon livello di successo nel trattamento delle infezioni da Clostridioides difficile, soprattutto nei casi in cui si manifesta resistenza al trattamento antibiotico. Ma il trapianto di feci è una nuova strategia terapeutica che non riguarda solo la gastroenterologia. Sono numerosi gli studi in corso in altre aree terapeutiche come l’oncologia, l’ematologia e la neurologia con risultati preliminari promettenti e sempre più studi clinici si stanno facendo strada per rispondere alle diverse incognite sull’argomento.

Bibliografia

1. Programma Nazionale Sul Trapianto Di Microbiota Fecale Umano ( FMT ) –. 2020.

2. Wang, J.W.; Kuo, C.H.; Kuo, F.C.; Wang, Y.K.; Hsu, W.H.; Yu, F.J.; Hu, H.M.; Hsu, P.I.; Wang, J.Y.; Wu, D.C. Fecal Microbiota Transplantation: Review and Update. J. Formos. Med. Assoc. 2019, 118, S23–S31, doi:10.1016/j. jfma.2018.08.011.

3. Jarmo, O.; Veli-Jukka, A.; Eero, M. Treatment of Clostridioides (Clostridium) Difficile Infection. Ann. Med. 2020, 52, 12–20, doi:10.1080/07853890.2019.1701703.

4. Song, J.H.; Kim, Y.S. Recurrent Clostridium Difficile Infection: Risk Factors, Treatment, and Prevention. Gut Liver 2019, 13, 16–24, doi:10.5009/gnl18071.

5. FDA Enforcement Policy Regarding Investigational New Drug Requirements for Use of Fecal Microbiota for Transplantation to Treat Clostridium Difficile Infection Not Responsive to Standard Therapies. U.S. Food and Drug Administration. Fed. Regist. 2016, 78, 42965–42966.

6. Chen, D.; Wu, J.; Jin, D.; Wang, B.; Cao, H. Fecal Microbiota Transplantation in Cancer Management: Current Status and Perspectives. Int. J. Cancer 2019, 145, 2021–2031, doi:10.1002/ijc.32003.

7. Cammarota, G.; Ianiro, G.; Tilg, H.; Rajilić-Stojanović, M.; Kump, P.; Satokari, R.; Sokol, H.; Arkkila, P.; Pintus, C.; Hart, A.; et al. European Consensus Conference on Faecal Microbiota Transplantation in Clinical Practice. Gut 2017, 66, 569–580, doi:10.1136/gutjnl-2016-313017.

8. Vaughn, BP; Fischer, M; Kelly, CR; Allegretti, JR; Graiziger, C; Thomas, J; McClure E; Kabage, AJ; Khoruts, A; et al. Effectiveness and Safety of Colonic and Capsule Fecal Microbiota Transplantation for Recurrent Clostridioides difficile Infection. Clin Gastroenterol Hepatol. 2023, 21(5):1330-1337, doi: 10.1016/j. cgh.2022.09.008.

Giornale dei Biologi | Feb 2024 89

STUDI DI GENETICA SULLA MALATTIA DI HUNTINGTON

I risultati di una ricerca intitolata “Genome-wide screening in pluripotent cells identifies Mtf1 as a suppressor of mutant huntingtin toxicity” su «Nature Communications»

Di recente all’Università di Padova è stata individuata una nuova potenziale strategia terapeutica per la malattia di Huntington, grave patologia neurodegenerativa di origine genetica per la quale non esistono ad oggi terapie efficaci. Sono stati infatti pubblicati i risultati di una ricerca intitolata “Genome-wide screening in pluripotent cells identifies Mtf1 as a suppressor of mutant huntingtin toxicity” su «Nature Communications».

Lo studio è stato realizzato da un gruppo di ricerca guidato dal Professor Graziano Martello del Dipartimento di Biologia dell’Università di Padova, responsabile del Laboratorio di cellule staminali pluripotenti. La ricerca è stata finanziata dalle Fondazioni Telethon e Armenise-Harvard. Le cellule staminali pluripotenti (PSC) hanno la capacità di dare origine a tutti i tipi di cellule presenti nel corpo adulto, rendendole lo strumento perfetto per la medicina rigenerativa nonché un tipo di cellula intellettualmente affascinante, data la mancanza di qualsiasi restrizione dello sviluppo. Le PSC sono state inizialmente derivate da embrioni di mammiferi precoci, ma attualmente sono ottenute riprogrammando cellule adulte. Il laboratorio in cui è stata portata avanti questa ricerca studia la biologia delle PSC, come vengono mantenute, come si differenziano, come vengono generate tramite riprogrammazione e come utilizzarle per la modellizzazione della malattia. Per fare ciò il team di ricercatori esamina l’interazione tra fattori di trascrizione, metabolismo ed epigenetica, combinando biologia molecolare, cellulare e computazionale.

Alla base della malattia di Huntington c’è un difetto genetico che porta all’accumulo di una proteina chiamata huntingtina, che nel tempo si traduce nella morte progressiva delle cellule di specifiche zone del cervello. I sintomi iniziali possono

essere bruschi mutamenti dell’umore, apatia e depressione, a cui si aggiungono disturbi progressivi dell’equilibrio e del coordinamento motorio. Il difetto genetico responsabile è noto da oltre trent’anni e, grazie al lavoro di ricercatori di tutto il mondo, sono stati chiariti numerosi aspetti del processo neurodegenerativo che ne consegue. Tuttavia, ad oggi, non esiste ancora una terapia in grado di contrastarne i danni. La malattia di Huntington è una malattia genetica rara che colpisce principalmente il sistema nervoso centrale.

Originariamente è stata chiamata “corea” di Huntington, dal greco “χορεία” che significa “danza”, perché i movimenti involontari, bruschi e quasi a scatto, che possono verificarsi negli arti, nel viso e nel tronco, ricordano un ballo. La malattia di Huntington si manifesta, generalmente, in età adulta, fra i 35 ed i 50 anni di età e, più raramente, prima dei 20 anni (5-10% dei casi) o in tarda età. Colpisce con la stessa frequenza uomini e donne. Coloro che hanno familiari stretti già malati (storia familiare) possono ereditarla. La malattia peggiora nel corso di 10-25 anni dal momento in cui appaiono i primi disturbi (sintomi). Le fasi successive portano le persone colpite a perdere la propria autonomia e ad aver bisogno di cure infermieristiche a tempo pieno. Stando ai dati dell’Istituto Superiore di Sanità (rif. https://www.issalute.it/index.php) in Europa sono colpite circa 4-6 persone ogni 100mila individui; tuttavia, si ritiene che il numero di persone portatrici del gene Huntington, ma che non manifestano ancora i disturbi, possa essere il doppio.

In alcune aree extra-europee la malattia è più diffusa e in una regione del Venezuela sono 18mila le persone colpite, tutte discendenti, nel corso di dieci generazioni, da una sola donna malata. La morte è di solito dovuta a una causa secondaria, come l’insufficienza cardiaca, la polmonite o altre infezioni. «Volen-

90 Giornale dei Biologi | Feb 2024 Scienze
di Cinzia Boschiero

do usare un’analogia,” dice il professor Graziano Martello del Dipartimento di Biologia dell’Università di Padova, responsabile del Laboratorio di cellule staminali pluripotenti,” siamo come di fronte ai tornado: sappiamo come si formano e perché, ma non abbiamo gli strumenti per controllarne il comportamento ed evitare che causino distruzione. Traslando l’esempio su questa malattia ci siamo quindi concentrati sulla ricerca di nuovi bersagli terapeutici. Partendo dal concetto generale che tutte le nostre cellule hanno meccanismi di protezione contro diverse forme di stress, abbiamo polarizzato la nostra attenzione su alcuni geni per valutarne la funzione ‘protettiva’ nei confronti della malattia di Huntington”.

Utilizzando come modello della patologia cellule staminali cresciute in laboratorio, i ricercatori dell’Università di Padova hanno scandagliato l’intero patrimonio genetico umano alla ricerca di geni in grado di proteggere le cellule malate. «Ne abbiamo identificato uno, chiamato Mtf1, che ha dimostrato questa capacità protettiva in diversi modelli di malattia di Huntington, quali il pesce zebra o il topo, nei quali era stata introdotta la stessa mutazione genetica responsabile della patologia nell’uomo,” spiegano Giorgia Ferlazzo, che ha dedicato il suo dottorato in Medicina Molecolare a questo progetto, e Anna Gambetta, ricercatrice e collaboratrice del professor Martello,” In entrambi i casi abbiamo visto che fornendo questo gene alle cellule, tramite vettori virali o le ‘istruzioni’ genetiche sotto forma di RNA messaggero (mRNA), si otteneva un miglioramento o addirittura l’arresto dello sviluppo della malattia».

In questo caso è stato effettuato uno screening dell’intero genoma cellule staminali embrionali pluripotenti di topo (ESC) per identificare i soppressori di tossicità dell’mHTT. Si è evidenziato che l’espressione forzata di Mtf1 contrasta la morte cellulare e lo stress ossidativo causato da mHTT nelle cellule staminali embrionali del topo e nelle cellule precursori neuronali umane e che Mtf1 riduce le malformazioni e l’apoptosi indotte da mHTT. La strategia di screening consente una rapida identificazione in vitro di promettenti geni soppressori e la loro validazione in vivo e può essere applicato ad altre malattie monogeniche. I risultati positivi di questa ricerca sono stati evidenziati anche in un modello “umano”, cioè in cellule neuronali malate ottenute a partire da cellule staminali umane ricavate da

un campione donato da un paziente.

© Pepermpron/shutterstock.com

Anche in questo caso Mtf1 si è dimostrato in grado di ridurre alcuni dei difetti caratteristici della malattia di Huntington: un risultato incoraggiante, che motiva il team di ricerca a continuare su questa strada per sviluppare in futuro una nuova strategia terapeutica. La strada per arrivare ad una terapia nei pazienti è però ancora molto lunga. Innanzitutto, sarà necessario riuscire a migliorare la modalità di somministrazione di questi geni terapeutici nell’uomo. Nei modelli animali il team di ricerca ha utilizzato vettori virali o mRNA, ossia quegli strumenti diventati di uso comune per i vaccini contro il covid-19. Ora si sta approfondendo se siano adeguati anche per la cura di malattie neurodegenerative.

Il team di ricerca ha già brevettato la scoperta e ora con una loro start-up punta a trasformare queste scoperte scientifiche in un nuovo approccio terapeutico, colmando così il gap che esiste tra ricerca universitaria e sviluppo industriale. La ricerca ha coinvolto anche diverse università e centri di ricerca, italiani ed europei che hanno collaborato alacremente assieme. Il team di ricerca ringrazia Sirio Dupont, Marco Montagner, Maria Pennuto, Stefano Ciaco, Rachele Ghirardo e il laboratorio Martello per la lettura critica dello studio e le discussioni. Ringrazia il laboratorio di Elena Cattaneo per plasmidi e assistenza tecnica. Il Laboratorio di Neurogenetica (Neuromed) è sostenuto dai finanziamenti della Fondazione Telethon GJC21157-A e GGP20101, dal Ministero della Salute italiano (programma di finanziamento Ricerca Corrente) e dalla Fondazione Neuromed. Il laboratorio di G.M. è sostenuto da sovvenzioni della

Giornale dei Biologi | Feb 2024 91 Scienze

Fondazione Giovanni Armenise-Harvard, Microsoft Research, Fondazione Telethon (TCP13013 e GJC21157-A) e da un CER Avvio Concessione (MetEpiStem).

Questa patologia è la malattia neurodegenerativa monogenica più diffusa tra la popolazione caucasica (prevalenza di 7-11 individui su 100miila persone) e su di essa sono avviati diversi studi europei tra cui un progetto europeo che ha ricevuto 1.159 milioni di euro attraverso il meccanismo di finanziamento Starting Grant del Consiglio europeo della ricerca i cui risultati sono stati pubblicato sulla rivista Neuron. L’obiettivo della ricerca in questione era di determinare se la HTT fosse presente durante la mitosi. In effetti, gli scienziati hanno dimostrato che la HTT è essenziale per il controllo della mitosi e che la proteina è localizzata ai poli del fuso durante la divisione cellulare. La HTT è, infatti, necessaria per portare la dineina e la dinactina al fuso. La ricerca pubblicata e intitolata “Genome-wide screening in pluripotent cells identifies Mtf1 as a suppressor of mutant huntingtin toxicity” su «Nature Communications» ha tenuto presente come MTF1 sia esso stesso un fattore di trascrizione e un regolatore principale di omeostasi dei metalli. In caso di esposizione a metalli pesanti o altre condizioni di stress, come stress ossidativo o infezioni, MTF1 trasloca al nucleo, legandosi specificamente agli MRE (metal responsive elementi) e promuove la trascrizione dei trasportatori di metalli e di geni della metallotioneina, scavenger di metalli endogeni. La raccolta e l’analisi dei dati non sono state eseguite in cieco rispetto alle condizioni degli esperimenti, ma le analisi dei dati sono state eseguite con parametri e software identici. Le analisi dei comportamenti motori del topo sono state eseguite in cieco. I database utilizzati in questo studio sono HDNetDB (2017, http://hdnetdb.sysbiolab.eu), software Cytoscape (v3.8.2,

http://www.cytoscape.org/),Database Enrichr (v. 3.0,http:// amp.pharm.mssm.edu/Enrichr), GSEA software (v. 4.3.2, http://software.broadinstitute. org/gsea/), Jaspar database (9a versione, http://jaspar.genereg. net/), Clustal Omega software (v. 1.2.4, https://www.ebi. ac.uk/Tools/msa/clustalo/).

I ricercatori dell’Università di Padova nel loro studio affermano di essere consapevoli delle difficoltà nel tradurre i loro risultati su modelli animali alla clinica. Ad esempio, i vettori AAV che hanno utilizzato non consentono un’efficiente trasduzione cerebrale nei primati. È ipotizzabile che futuri interventi terapeutici, lavorando a diversi livelli della fisiopatologia della MH, avranno maggiori possibilità di avere successo. Tra i progetti europei CareHD è stato finanziato da Horizon 2020 RISE (Research and Innovation Staff Exchange) per studiare come l’uso delle tecnologie Connected Health possa supportare e migliorare la vita delle persone che vivono con questa patologia.

Si studiano dispositivi e servizi wireless, digitali, elettronici, mobili e di teleassistenza sanitaria progettati in base alle esigenze del paziente e utilizzati nella gestione sanitaria. Il progetto ha previsto la collaborazione europea di ricercatori e medici sanitari, organizzazioni di pazienti, mondo accademico e industria. Il progetto CareHD è stato guidato dall’UCD (Dublino) e sviluppato con la collaborazione di ricercatori accademici e sanitari delle università di EHDN, Università di ULM (Germania), UCL (Londra), Beaumont Hospital, Dublino, Maynooth e Reading (Regno Unito), oltre al contributo dell’Associazione Scozzese di Huntington e l’HDAI (rif. http://www.carehd. eu/). Ha ottenuto invece sino a ottobre 2024 un cofinanziamento di Marie Skłodowska-Curie Actions (MSCA) dell’importo di 181.152,96 uno studio sul “Contributo dei frammenti di tRNA nell’ETiopatogenesi della malattia di Huntington (tR-GET HD)” coordinato dall’Università di Barcellona. Molti meccanismi patogeni sono coinvolti nella malattia di Huntington (HD), la malattia neurologica monogenica più diffusa in Europa, per la quale attualmente non esiste una cura.

Il team ipotizza che i tRF correlati all’HD contribuiscano all’accumulo di SG, avviando l’aggregazione dell’huntingtina mutante (mtHTT) e portando alla patogenesi della malattia. I ricercatori esplorano l’interazione tra aggregati mtHTT, tRF e SG, come nuovi potenziali bersagli terapeutici. Si conclude invece a ottobre 2023 lo studio cofinanziato con i fondi europei

92 Giornale dei Biologi | Feb 2024 Scienze
© Julee Ashmead/shutterstock.com

Excellent Science - Marie Skłodowska-Curie Actions con un importo di 828 mila euro intitolato “Modello di assistenza sanitaria connessa e centrata sul paziente per la malattia di Huntington”. Sono stati effettuati molti passi avanti relativamente anche alle pratiche di cure palliative, compreso il miglioramento nella comunicazione sugli obiettivi di cura incentrati sul paziente e la pianificazione anticipata delle cure (ACP), Tutto questo punta a migliorare l’assistenza durante tutto il corso della malattia di Huntington (HD) e dei disturbi correlati. E’ stato pure sviluppato un programma pilota che integra le pratiche di cure palliative primarie con l’assistenza interdisciplinare per questa patologia con corsi di formazione ad hoc. Inoltre, la European Huntington Association, in collaborazione con il team Moving Forward, è stata recentemente selezionata come beneficiaria del premio #RAREisGlobalAdvocateGrant 2023 del programma Horizon Therapeutics RAREis. La European Huntington Association - EHA (https://eurohuntington.org/) intende utilizzare il #RAREis Global Advocate Grant 2023 per creare una campagna online sui consigli sullo stile di vita che può essere adottato dalle persone affette dalla malattia di Huntington per migliorarne la qualità della vita. Dal 19 al 22 ottobre è prevista la Conference 2023 in Belgio in cui pazienti e ricercatori si confronteranno sui passi presenti e futuri.

Bibliografia

. Reiner, A. et al. Differential loss of striatal projection neurons in Huntington disease. Proc. Natl. Acad. Sci. USA. 85, 5733–5737 (1988).

. Rosas, H. D. et al. Complexity and heterogeneity: what drives the ever-changing brain in Huntington’s disease? Ann. N. Y. Acad. Sci 1147, 196–205 (2008).

. Birolini, G. et al. Striatal infusion of cholesterol promotes dosedependent behavioral benefits and exerts disease-modifying effects in Huntington’s diseasemice. EMBO Mol. Med. e12519 (2020) https://doi.org/10.15252/emmm.202012519.

. Di Pardo, A. et al. FTY720 (fingolimod) is a neuroprotective and disease-modifying agent in cellular and mouse models of Huntington disease. Hum. Mol. Genet 23, 2251–2265 (2014).

. Miller, V. M. et al. CHIP Suppresses Polyglutamine Aggregation and Toxicity In Vitro and In Vivo. J. Neurosci. 25, 9152–9161 (2005).

. Vacher, C., Garcia-Oroz, L. & Rubinsztein, D. C. Overexpression of yeast hsp104 reduces polyglutamine aggregation and prolongs survival of a transgenic mouse model of Huntington’s disease. Hum. Mol. Genet 14, 3425–3433 (2005).

. Valenza, M. et al. Disruption of astrocyte-neuron cholesterol cross talk affects neuronal function in Huntington’s disease. Cell Death Differ 22, 690–702 (2015).

.Künig, G. et al. Benzodiazepine receptor binding in Huntington’s disease: [11C] flumazenil uptakemeasured using positron emission tomography. Ann. Neurol. 47, 644–648 (2000).

. Martin, D. D. O., Ladha, S., Ehrnhoefer, D. E. & Hayden, M. R. Autophagy

in Huntington disease and huntingtin in autophagy. Trends Neurosci 38, 26–35 (2015).

. Wellington, C. L. et al. Inhibiting Caspase Cleavage of Huntingtin Reduces Toxicity and Aggregate Formation in Neuronal and Nonneuronal Cells. J. Biol. Chem. 275, 19831–19838 (2000).

. Wyttenbach, A. et al. Effects of heat shock, heat shock protein 40 (HDJ-2), and proteasome inhibition on protein aggregation in cellular models of Huntington’s disease. Proc. Natl. Acad. Sci. USA. 97, 2898–2903 (2000).

. Guo, G. & Smith, A. A genome-wide screen in EpiSCs identifies Nr5a nuclear receptors as potent inducers of ground state pluripotency. Dev. Camb. Engl 137, 3185–3192 (2010).

. Leeb, M., Dietmann, S., Paramor, M., Niwa, H. & Smith, A. Genetic exploration of the exit from self-renewal using haploid embryonic stem cells. Cell Stem Cell 14, 385–393 (2014).

. Kalathur, R. K. R., Pedro Pinto, J., Sahoo, B., Chaurasia, G. & Futschik, M. E. HDNetDB: A molecular interaction database for network-oriented investigations into Huntington’s disease. Sci. Rep. 7, 5216 (2017).

.Günther, V., Lindert, U. & Schaffner,W. The taste of heavy metals: Gene regulation by MTF-1. Biochim. Biophys. Acta BBA - Mol. Cell Res. 1823, 1416–1425 (2012).

. Wimmer, U., Wang, Y., Georgiev, O. & Schaffner, W. Two major branches of anti-cadmium defense in the mouse: MTF-1/metallothioneins and glutathione. Nucleic Acids Res 33, 5715–5727 (2005).

. Ruttkay-Nedecky, B. et al. The Role ofMetallothionein in Oxidative Stress. Int. J. Mol. Sci. 14, 6044–6066 (2013).

. Günes, Ç. et al. Embryonic lethality and liver degeneration in mice lacking the metal-responsive transcriptional activator MTF-1. EMBO J 17, 2846–2854 (1998).

. Lichtlen, P. & Schaffner, W. Putting its fingers on stressful situations: the heavy metal-regulatory transcription factor MTF-1. BioEssays News Rev. Mol. Cell. Dev. Biol 23, 1010–1017 (2001).

. Giedroc, D. P., Chen, X. & Apuy, J. L. Metal response element (MRE)-binding transcription factor-1 (MTF-1): structure, function, and regulation. Antioxid. Redox Signal. 3, 577–596 (2001).

.Cha, J.-H. J. Transcriptional signatures in Huntington’s disease. Prog. Neurobiol. 83, 228–248 (2007). 99. Radtke, F. et al. Cloned transcription factor MTF-1 activates the mouse metallothionein I promoter. EMBO J 12, 1355–1362 (1993).

. Brugnera, E. et al. Cloning, chromosomal mapping and characterization of the human metal-regulatory transcription factor MTF-1. Nucleic Acids Res 22, 3167–3173 (1994).

. Chen, W.-Y., John, J. A. C., Lin, C.-H. & Chang, C.-Y. Molecular cloning and developmental expression of zinc finger transcription factor MTF-1 gene in zebrafish, Danio rerio. Biochem. Biophys. Res. Commun. 291, 798–805 (2002).

. Cheung, A. P.-L., Au, C. Y.-M., Chan, W. W.-L. & Chan, K. M. Characterization and localization of metal-responsive-elementbinding transcription factors from tilapia. Aquat. Toxicol. Amst. Neth. 99, 42–55 (2010).

. Zhang, B., Egli, D., Georgiev, O. & Schaffner, W. The Drosophila homolog of mammalian zinc finger factor MTF-1 activates transcription in response to heavymetals. Mol. Cell. Biol. 21, 4505–4514 (2001).

. Lee, S. Y. & Nam, Y. K. Molecular cloning of metal-responsive transcription factor-1 (MTF-1) and transcriptional responses to metal and heat stresses in Pacific abalone, Haliotis discus hannai. Fish. Aquat. Sci. 20, 9 (2017).

Giornale dei Biologi | Feb 2024 93
Scienze

Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.