Biologi Il Giornale dei
Numero 1 Aprile 2018 www.onb.it
Allegato ad AgONB, Agenzia di stampa dell’Ordine Nazionale dei Biologi, registrazione n. 52/2016 al Tribunale di Roma. Direttore responsabile: Claudia Tancioni.
MENSILE DELL’ORDINE NAZIONALE DEI BIOLOGI
Le nuove frontiere della Biologia Resoconti e interviste all’indomani del convegno organizzato dall’ONB
BIOLOGIA DEL PALAZZO
SALUTE
INNOVAZIONE
La difficile ricerca di una maggiornanza politica nel Parlamento Italiano
Identikit del cancro con l’Atlante Globale dei tumori che ne ha mappati 11mila
Formula E. Un laboratorio di innovazione Green con le monoposto elettriche
Ordine Nazionale dei Biologi Una comunicazione nuova
È nato “Il Giornale dei Biologi” il web magazine dell’ONB scaricabile gratuitamente dal sito internet www.onb.it. Prossimamente sarà lanciato il nuovo sito internet. Dopo l’estate sarà pubblicata e inviata agli iscritti una nuova rivista cartacea dell’Ordine con grandi firme del mondo della scienza e della cultura. Intanto, è disponibile una nuova video library sul sito internet dell’ONB.
Sommario Attualità
Scienze
Contatti
Scena tratta dal film “La fonte meravigliosa” con Gary Cooper.
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EDITORIALE 3. Mai più figli di un Dio minore
SALUTE 17. Epatite C, mancano le strutture autorizzate di Daniele Ruscitti 18. Identikit del cancro con l’Atlante Globale dei tumori di Francesca Cicatelli 20. Osservare le api aiuta a comprendere l’uomo di Marco Modugno 21. Infezioni nei Sert. Nuove linee guida di Daniele Ruscitti 22. C’è “vita” nel cervello anche a 80 anni di Giacomo Talignani 24. Il neo artificiale “spia” del cancro di Francesca Cicatelli
di Vincenzo D’Anna
PRIMO PIANO 5. Le nuove frontiere della Biologia
di Gabriele Scarpa 8. D’Anna: “Non c’è ricerca senza libertà né libertà senza coraggio” 9. La fonte meravigliosa. Monologo sulla libertà di pensiero 10. L’OMS festeggia settant’anni di Carmen Paradiso L’INTERVISTA 12. Tarro: “Vaccini, scoperta importante ma vanno utilizzati con buon senso” di Carmine Gazzanni 13. Villani: “Vaccini sicuri ed efficaci ma non esistono certezze al 100%” di Carmine Gazzanni
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Atlante Globale dei tumori. Cellula tumorale riprodotta in 3D.
BIOLOGIA DEL PALAZZO 14. Partiti e nuovo Governo: Biologia di uno stallo di Riccardo Mazzoni 16. Il “volgare” latinorum delle leggi elettorali. Come si è arrivati al Rosatellum di Riccardo Mazzoni
Una monoposto elettrica durante il gran premio di Formula E di Roma.
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INNOVAZIONE 26. Dieci milioni per una start up anticancro di Francesca Cicatelli 28. Formula E. Un laboratorio di innovazione Green di Antonino Palumbo AMBIENTE 30. Indagine ad alta quota
di Giacomo Talignani
STORIA E RICERCA 33. Microscopio, la “chiave inglese” del biologo di Gabriele Scarpa SCIENZE 35. Arte e Biotecnologie di Valentina Rotolo, Enza Di Carlo, Rosa Chisesi, Mauro Sebastianelli, Franco Palla 40. Acidi Grassi e qualità spermatica di Alessandra Ferramosca, Mariangela Di Giacomo Vincenzo Zara 44. Epigenetica ed età nella Biologia Forense di Denise Albani, Sergio Maione, Emiliano Giardina CONTATTI 47. Informazioni per gli iscritti
Anno I - N. 1 Aprile 2018 Allegato on-line ad AgONB, Agenzia di stampa dell’Ordine Nazionale dei Biologi, registrazione n. 52/2016 al Tribunale di Roma, con pubblicazione sul sito internet www.onb.it.
Direttore responsabile: Claudia Tancioni In redazione: Luca Mennuni e Gabriele Scarpa
Hanno collaborato: Denise Albani, Rosa Chisesi, Francesca Cicatelli, Enza Di Carlo, Mariangela Di Giacomo, Alessandra Ferramosca, Carmine Gazzanni, Emiliano Giardina, Sergio Maione, Riccardo Mazzoni, Marco Modugno, Franco Palla, Antonino Palumbo, Carmen Paradiso, Valentina Rotolo, Daniele Ruscitti, Mauro Sebastianelli, Giacomo Talignani, Vincenzo Zara. Progetto grafico e impaginazione: Ufficio stampa dell’ONB. Questo magazine è scaricabile on-line dal sito internet www.onb.it ed è edito dall’Ordine Nazionale dei Biologi. Questo numero de “Il Giornale dei Biologi” è stato chiuso in redazione giovedì 19 aprile 2018. Contatti: +39 0657090205, +39 0657090225, ufficiostampa@onb.it. Per la pubblicità, scrivere all’indirizzo protocollo@peconb.it. Immagine di copertina: © Andrey Medvedev/www.shutterstock.com
EDITORIALE
Il Giornale dei Biologi | Aprile 2018
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Mai più figli di un Dio minore di Vincenzo D’Anna Presidente dell’Ordine Nazionale dei Biologi
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i presento il primo numero del mensile on-line “Il Giornale dei Biologi”, che ha già una folta comunità di lettori attraverso l’omonima pagina Facebook. Questo prodotto editoriale, scaricabile gratuitamente dal sito internet dell’Ordine, consentirà la divulgazione di notizie, articoli scientifici, rubriche di attualità e di scopo, editoriali di carattere politico, economico e sociale. A questa pubblicazione, sarà affiancata, dopo l’estate, una rivista cartacea che sarà spedita a tutti gli iscritti e avrà un respiro più ampio del perimetro di categoria. Ci saranno firme autorevoli, con la direzione editoriale di Ferdinando Adornato e quella scientifica di Stefano Dumontet. Il comitato di redazione vedrà la partecipazione di eccellenze del mondo scientifico, ognuna in rappresentanza di uno specifico settore di attività professionale. Scienziati che nell’ambito professionale trattato siano stati riconosciuti come l’unti di riferimento per della comunità scientifica nazionale e internazionale, ivi compresi Nobel laureate.
Come vedrete, nelle pagine che seguono, la nostra scelta sarà quella di mettere a fuoco non solo tematiche scientifiche, ma anche argomenti di interesse più generale per chi, come il biologo, deve confrontarsi con una società contemporanea ricca di interessi e dalle molteplici sollecitazioni culturali. È necessario che il biologo non si appiattisca su verità precostituite, non si affidi al sentito dire come fonte di apprendimento, ma si spinga verso le nuove frontiere del sapere. Senza aver timore di possibili inquisitori di Galileiana memoria, scegliendo, in scienza e coscienza, la libertà di apprendere in autonomia e non il conformismo culturale. Il combinato disposto del giornale on-line e di quello cartaceo, con le loro diverse impostazioni e peculiarità d’informazione, andrà a colmare tutti i ritardi finora accumulati dall’Ordine professionale nei confronti di coloro che hanno chiesto, giustamente, il ripristino di tali attività editoriali. Trattandosi di giornali, il giudizio ultimo sulla qualità e il valore delle specifiche iniziative spetterà al lettore, con la lusinga che i colleghi vogliano dedicarvi un minimo di tempo e di attenzione. Tra le tante urgenze a cui far fronte e lacune da colmare, ve n’è una particolare: quella di poter comunicare con tutti gli iscritti all’ONB, fornire notizie e informazioni, condividere e orientare preventivamente le intenzioni della classe dirigente. Circa la metà dei biologi iscritti non ha indicato il proprio indirizzo di posta elettronica e il recapito telefonico, né ha provveduto, nonostante le imposizioni di legge, a munirsi di indirizzo di posta elettronica certificata. In tal modo isolandosi da ogni contatto e impedendo ogni interazione con l’Ordine. Saremo impegnati quotidianamente per colmare queste lacune e le iniziative editoriali che abbiamo assunto sono un pezzo della strategia complessiva per avvicinare l’ONB ai propri iscritti, che rappresentano il vero patrimonio da tutelare. Alla fine, il programma di questa dirigenza è ambizioso e si sintetizza in un unica affermazione: i biologi sempre indomiti alla mediocrità e mai più figli di un Dio minore.
CONVEGNO
NUOVE FRONTIERE DELLA BIOLOGIA Roma, 2 marzo 2018
Disponibili on-line e gratuitamente, sul sito internet www.onb.it, i video integrali delle relazioni scientifiche.
PRIMO PIANO
Il Giornale dei Biologi | Aprile 2018
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Le nuove frontiere della Biologia Convegno dell’Ordine Nazionale dei Biologi organizzato lo scorso 2 marzo a Roma. Tra i relatori, il Premio Nobel Luc Montagnier di Gabriele Scarpa
(CC) Simone Mastrodomenico/ONB
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’era il tutto esaurito, lo scorso venerdì 2 marzo, all’Hotel Parco dei Principi, il prestigioso albergo ubicato nel cuore verde di Roma, a un tiro di schioppo da Villa Borghese, teatro del convegno “Le Nuove Frontiere della Biologia”, organizzato dall’Ordine Nazionale dei Biologi per festeggiare il 50esimo anniversario della sua fondazione. Almeno 400 i presenti, tra i quali non sono mancati – e non poteva essere diversamente – i biologi, ma anche gli appassionati di scienza, gli studenti e i semplici curiosi. Molti anche i giornalisti accreditati. Rigide le misure di sicurezza «prese – ha spiegato il presidente dell’Ordine, Vincenzo D’Anna - perché ci era stato chiesto accesso da parte di diverse centinaia di persone non qualificate, il cosiddetto popolo dei novax, fatto di casalinghe, impiegati, pensionati. Temevamo non una protesta contro di noi, ma il tentativo di rilanciare tematiche care a quanti sono contrari all’obbligo vaccinale. Non vogliamo prestarci a questo» ha precisato l’ex parlamentare. Inaugurando i lavori, D’Anna è partito proprio dal titolo del convegno, spiegando «anche per tamponare critiche pretestuose, “per sentito dire” e preconcette», che «chi si accinge ad andare alla frontiera trova anche degli eretici. Chi indaga su aspetti ancora poco noti o non definiti, dalla sua
non può avere la certezza o il consesso di tutta la comunità scientifica». Termine, quest’ultimo, ci ha tenuto a precisare l’ex parlamentare, «molto aleatorio e che in Italia è largamente abusato da soggetti che si ritengono espressione di questa comunità senza esserlo». D’Anna ha poi citato Pericle e la sua celebre lettera agli ateniesi scritta in occasione della prima guerra del Peleponneso, in particolare il passaggio che si può riassumere con lo slogan “Non c’è libertà senza coraggio”.
Una maniera altamente simbolica, quella individuata dal rappresentante dei Biologi, per sottolineare come effettivamente ci sia voluto “coraggio” per organizzare una kermesse che, fin dal primo momento, si è attirata addosso le critiche di certa stampa (e non solo di quella) per un non meglio identificato, quanto ingiustificato, accostamento al mondo dei “no vax” di cui, nel corso del convegno, non è emersa effettivamente traccia. «L’abbiamo chiamato “nuova frontiera”
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PRIMO PIANO
– ha precisato D’Anna nei minuti che hanno alth Service, lo scienziato Giulio Tarro, già preceduto l’inizio dei lavori – perché voglia- candidato al Nobel per aver scoperto nel vimo parlare anche di aspetti scientifici non rus sinciziale la causa della bronchiolite che ancora conclamati». così tante morti, in passato, ha mietuto tra Subito dopo aver citato i bambini (nel suo intervenla lettera di Pericle, con un to, lo studioso napoletano ha “La meta per autentico colpo di teatro, il parlato di vaccini e della neupresidente dell’ente di via rotossicità dei vaccini, intesa i biologi deve Icilio ha fatto parlare per però come fatto fisiologico essere quella sé… Gary Cooper, in una scee non come polemica) e chi di affermare la il premio Nobel lo ha vinto, na solenne tratta dal film “La fonte meravigliosa” in cui il come Luc Montagnier. verità divo hollywoodiano afferma«Oggi in alcuni Paescientifica” va il principio della “libertà si come in Francia vengono individuale” e dell’individuaraccomandati diversi vaccini lismo “positivo”. «La meta per i biologi deve come obbligatori entro i due anni di età. essere quella di affermare la verità scientifi- Questo è un errore medico e politico» ha ca, sempre e comunque. Il convegno di oggi detto lo scienziato francese. «Non sono non va considerato un traguardo, bensì un contro le vaccinazioni, sono un buon modo inizio» ha concluso D’Anna, tra gli applausi per prevenire le malattie, ma i tempi sono unanimi dei presenti. cambiati», ha sottolineato ancora lo scopriSi sono poi alternati sul banco dei re- tore del virus dell’HIV nella sua lectio malatori, coordinato dal prof. Livio Giuliani, gistralis. dirigente di ricerca all’Italian National He«Il mondo è molto diverso da qualche
tempo fa. C’è maggiore inquinamento chimico ed elettromagnetico e aumenta la frequenza di malattie neurodegenerative, artritiche, cancro, autismo”. Per questo, ha aggiunto Montagnier «dobbiamo essere cauti quando proviamo nuovi tipi di vaccini soprattutto quelli obbligatori. E la scienza deve includere tutti i fatti, anche quelli non in linea con teorie precedenti. Se parla solo degli aspetti positivi delle vaccinazioni, eludendo il resto, creiamo una pseudo scienza». Citando diversi esempi Montagnier ha ribadito che «il principio di precauzione andrebbe adottato quando si parla di problemi di salute. Il mio suggerimento è non fare vaccini senza prima effettuare controlli del caso» ha concluso. Dopo Montagnier è stata poi la volta del ricercatore della University of Denmark Nikolaj S. Blom, che ha affrontato il tema dell’acqua come “matrice della vita”. Blom ha fornito una serie di analisi e dati scientifici che aprono nuove prospettive alla ri-
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(CC) Simone Mastrodomenico/ONB
PRIMO PIANO
cerca scientifica sulla cosiddetta “memoria dell’acqua” e sui suoi sorprendenti comportamenti sotto gli effetti da trattamento con onde elettromagnetiche. Un settore, quello della interazione tra campi elettromagnetici e sistemi viventi, che è stato al centro anche dell’intervento del professor Giuliani. Dal canto suo, il dottor Vladimir Voeikov, professore alla Lomonosov University di Mosca, ha invece discusso di “biologia teoretica” e, dopo di lui, la ricercatrice Sonia Manzo, dell’Enea-Cnr di Portici, ha parlato in maniera approfondita di “ecotossicologia delle nanoparticelle”, in riferimento al tristemente noto problema della “Terra dei Fuochi”. Di nanoparticelle, con riferimento alla microscopia elettronica e alla nanodiagnostica, ha parlato anche la ricercatrice Antonietta Morena Gatti, mentre lo scabroso argomento legato al triste abbinamento che sempre più spesso viene fatto tra inquinamento ambientale e tumori, è stato al centro dell’intervento del professor Morando
Soffritti, che ha parlato anche di “nuova biologi a ragionare su queste cose». nanodiagnostica e diagnostica quantisti«Non siamo né visionari né stupidi – ha ca”. Nella parte conclusiva del convegno aggiunto D’Anna – la non scienza è rimadell’Ordine dei Biologi, quella dedicata alla sta fuori da questa stanza e si tratta di una sessione giuridica, si sono succedute le re- scienza stantìa. La scienza è fatta per gli uolazioni di Ivano Spano, premini non per i commercianti. sidente del National Institu“Quando il sole Chi è deputato a tenere lontani te of Deaf Mutes di Roma, i “prodotti” da queste nanopardella scienza del presidente emerito della ticelle che sono nemiche della è basso, le Corte Costituzionale Italiasalute, deve tirare fuori i soldi. na Paolo Maddalena e del ombre dei nani Uno Stato che si rispetti deve filosofo Diego Fusaro. Infisalvaguardare la salute del citsembrano più tadino. Laddove c’è un rischio ne le conclusioni, affidate al “padrone di casa”, il presinon può esservi un obbligo». lunghe” dente D’Anna. «Là fuori c’è una scienza «Ormai lo si è capito – ha sottolineato ufficiale che è fatta di giganti autoreferenl’ex senatore – non valgono, nella scienza ziali. Ebbene quando il sole della scienza delle nanoparticelle, le risposte fornite dal- è basso, le ombre dei nani sembrano più la tossicologia classica. Chi continua a chia- lunghe» ha tirato le somme il leader dei marci asini perché vuol dirci che laddove Biologi, salutando i presenti e ribadendo la ci sono tali nanoparticelle non può esserci possibilità e la libertà di poter si ascoltare tossicità perché la loro quantità è infinitesi- le opinioni altrui, ma di poter liberamente male, è stato smentito: il punto clou di que- anche sostenere le proprie senza essere sto convegno era proprio quello di portare i esposti al pubblico ludibrio.
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PRIMO PIANO
D’Anna: “Non c’è ricerca senza libertà né libertà senza coraggio” Intervento del presidente dell’ONB al convegno del 2 marzo
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d aprire i lavori del Convegno è stato il Presidente dell’Ordine Nazionale dei Biologi, il Senatore Vincenzo D’Anna, che ha spiegato come gli appuntamenti formativi che il Consiglio dell’ONB organizzerà nei prossimi mesi, saranno dedicati a tematiche nuove o finora poco discusse tra i Biologi. Davanti ad una platea di biologi, medici, bioingegneri, ricercatori, docenti universitari, agronomi, veterinari e farmacisti, D’Anna ha presentato e ringraziato le personalità scientifiche intervenute, ripercorrendo con loro le tappe che hanno rappresentato dei traguardi per le scienze biologiche e mediche. Grazie al progresso scientifico, oggi possiamo trattare argomenti come quelli delle nanoparticelle, delle onde elettromagnetiche o della biologia teoretica. «Come ho avuto modo di dire alla stampa - racconta D’Anna - chi si accinge ad andare alla frontiera trova anche degli eretici, chi indaga intorno ad aspetti che non sono ancora noti, definiti o conclamati, è chiaro che dalla sua non può avere la certezza e non può avere il consesso di tutta la comunità scientifica. Termine, quest’ultimo, che in Italia è largamente abusato da soggetti che si ritengono espressione, se non portavoce, di questa comunità senza averne il diritto». Richiamando il pensiero sulla felicità espresso da Pericle nella lettera scritta agli ateniesi, in occasione della prima guerra del Peloponneso, il Presidente dell’ONB espone un concetto che è alla base dell’etica e della deontologia umana e professionale, ossia che non c’è ricerca senza libertà e non c’è libertà senza coraggio. Entrare,
Vincenzo D’Anna, presidente dell’ONB.
quindi, in territori inesplorati e confrontarsi su temi delicati come quelli del Convegno, significa anche resistere all’urto di un apparato codino e conformista, che più che contraddire, è capace di contestare figure del calibro di Luc Montagnier, di Tarro e di altri illustri relatori. Come ulteriore chiarimento del pensiero di Vincenzo D’Anna sulla necessità di apertura al dialogo e al confronto scientifico, viene riprodotto in sala un estratto del film “La Fonte Meravigliosa”, che ha come protagonista l’attore Gary Cooper. La pellicola narra la storia di un architetto americano che fu emarginato dalla categoria perché osò superare le abitudini e le con-
venzioni artistiche dell’epoca, disegnando grattacieli in maniera completamente nuova e diversa. «È un po’ quello che hanno fatto alcuni dei relatori di oggi, come Maria Antonietta Gatti, che guardando attraverso un microscopio, ha sostenuto di “vedere cose che altri non hanno visto”. Così come quando Luc Montagnier scoprì il virus dell’HIV e dovette sottrarsi da un tentativo di rapina ai suoi danni, così come quando Giulio Tarro, a Napoli, identificò nel virus sinciziale la causa delle bronchioliti e della morte di decine di bambini». D’Anna prosegue spiegando come il film con Gary Cooper racconti quanto la libertà e il confronto tra diverse tesi e opinioni siano obiettivi indispensabili da raggiungere per favorire il progresso scientifico. Questi stessi obiettivi saranno perseguiti nella conduzione dell’Ordine Nazionale dei Biologi, perché la biologia è una scienza d’avanguardia. Ne sono un chiaro esempio la biologia predittiva, le terapie geniche per la cura delle malattie e tutto quanto oggi costituisce elemento di novità che può offrire agli esseri viventi una prospettiva di vita più lunga e migliore. «Credo che si sia compresa la ragione per la quale siamo qui stamattina – ha concluso il Presidente dell’Ordine -. Abbiamo un solo compito. Quello di imparare. Io ho un solo dovere. Quello di portare i biologi ai livelli di conoscenza, di dignità e di decoro professionale che competono a questa scienza e a questi scienziati. Poterlo fare stamattina, con questo viatico e queste persone, è motivo di orgoglio che segna non un traguardo, ma un punto di partenza».
PRIMO PIANO
La fonte meravigliosa Monologo sulla libertà di pensiero Ogni conquista, ogni bene che possediamo deriva dall’opera indipendente di una mente indipendente Testo tratto dal monologo di Gary Cooper nel film “La fonte meravigliosa” (1949).
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igliaia d’anni fa un uomo riuscì a scoprire il segreto del fuoco. Forse lo bruciarono con quel legno che egli aveva insegnato ad accendere, ma lasciò all’umanità un dono insperato e con esso liberò dal buio la Terra. Durante i secoli, altri uomini mossero i primi passi sulle vie nuove, animati soltanto dalla loro intuizione. I grandi creatori, i pensatori, gli artisti, gli scienziati, gli inventori, rimasero soli contro gli uomini del loro
tempo. Ogni nuova idea era ostacolata. Ogni invenzione bandita. Ma ciascuno di loro andò avanti, lottò, soffrì e pagò. Ma vinse. Non era mosso dal desiderio di piacere alla folla. La folla odiava il dono che le era offerto, ma lui cercava la verità. Suo scopo era solo la sua opera. La sua opera, non chi la usava, la sua creazione, non i benefici che gli altri ne traevano. La creazione che dava forma alla sua verità. Però la sua verità la metteva sopra e contro tutti gli altri.
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Andò avanti, sia che gli altri volessero seguirlo o no. Solo con la sua integrità per sola bandiera. Non servì niente e nessuno. Visse solo per sé. E solo vivendo per sé, poté realizzare le opere che formano la gloria dell’umanità. È così che è avvenuta ogni conquista. L’uomo è nato inerme, ha un’unica arma: la sua mente. Senza di essa, non potrebbe sopravvivere. Ma la mente è un attributo dell’individuo, non c’è e non si può concepire una specie di cervello collettivo. L’uomo che pensa, deve pensare e agire da sé. Come può lavorare se è sottoposto a costrizioni di ogni genere? È impossibile subordinarlo a bisogni, opinioni o desideri di altri. Nessuno ha il diritto di sacrificarlo. Chi crea si basa sul proprio giudizio. Il parassita segue l’opinione degli altri. Chi crea pensa. Il parassita copia. Chi crea produce. Il parassita ruba. Chi crea tende alla conquista della natura. Il parassita alla conquista degli uomini. A chi crea va data indipendenza. Egli non comanda e non serve nessuno. Fra lui e gli altri c’è un libero scambio, una libera scelta. Il parassita cerca il potere e tenta di livellare gli uomini in un’azione comune, una comune schiavitù. E pretende che l’uomo debba essere uno strumento ad uso degli altri, debba pensare come pensano gli altri, agire come gli altri, che debba annullarsi in una servitù senza gioia. Guardate la storia. Ogni conquista, ogni bene che possediamo deriva dall’opera indipendente di una mente indipendente. Ogni barbarie o decadenza nasce dal tentativo di fare degli uomini automi senz’anima, senza cervello, senza diritti personali, volontà, speranza, dignità. È un antico conflitto. Oggi ha un altro nome: individuale contro il collettivo. Il nostro Paese, che è fra i più nobili della storia degli uomini, si fondò sul principio dell’individualismo. Ossia dei diritti inalienabili dell’uomo. Era un Paese dove l’uomo era libero di cercare la sua felicità, di guadagnare e produrre non angustiato dalla rinunzia, di prosperare, non di languire. Libero di possedere un bene inestimabile... il senso del suo valore personale e la più alta delle virtù: il suo amor proprio. Questo è ciò che i collettivisti vi chiedono di distruggere, come già altrove è stato distrutto.
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PRIMO PIANO
L’OMS festeggia settant’anni La ricorrenza è stata celebrata in occasione della Giornata Mondiale della Salute lo scorso 7 aprile di Carmen Paradiso
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uest’anno, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) compie settant’anni. La ricorrenza è stata festeggiata lo scorso 7 aprile, in occasione della Giornata Mondiale della Salute. Nel corso degl’anni, l’OMS è stata impegnata in numerose battaglie di carattere sanitario, come la lotta alle malattie tropicali, all’Hiv, alla tubercolosi e alla malaria. Ha promosso e sostenuto numerose campagne di vaccinazione ed è stata parte attiva nelle gestione di diverse emergenze sanitarie, come quelle dell’Ebola o del virus Zika, salvando milioni di vite umane. Tra i suoi più importanti meriti c’è la riduzione dei casi di mortalità infantile. Nel 2015, infatti, è stata registrata una diminuzione del 50 per cento dei decessi rispetto al 1990, che sono passati da oltre dodici milioni all’anno a poco meno di sei. Ciò significa che oggi, ogni giorno, muoiono circa 19mila bambini in meno. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha sede a Ginevra ed è diretta da Tedros Adhanom Ghebreyesus. Fu fondata il 22 luglio 1946, divenendo operativa il 7 aprile del 1948, ed è specializzata in questioni sanitarie. Vi aderiscono 194 Stati Membri di tutto il mondo, divisi in sei regioni (Europa, Americhe, Africa, Mediterraneo Orientale, Pacifico Occidentale e Sud-Est Asiatico). L’OMS, all’interno del sistema delle Na-
Sede dell’OMS di Ginevra.
zioni Unite, coordina tutte le questioni inerenti la sanità mondiale, finanzia la ricerca scientifica, fornisce delle linee guida, indirizzando la ricerca sanitaria e stabilendo, sulla base delle evidenze scientifiche, quelle che sono le norme e gli standard. L’obiettivo che si prefigge, nelle tante battaglie che conduce, è la difesa del principio dell’equità nell’accesso alle cure, promuovendo lo sviluppo e l’incremento della sicurezza sanitaria per garantire il più alto
livello di salute possibile. Oggi, purtroppo, i numeri sono ancora molto preoccupanti: più della metà della popolazione mondiale non ha accesso ai servizi sanitari di base. Non è un caso che quest’anno la Giornata Mondiale della Salute (World Health Day) avrà come tema la “Copertura sanitaria universale: per tutti e dovunque”, con l’obiettivo di garantire, a tutti gli esseri umani, equo acceso ai servizi sanitari in qualsiasi parte del mondo.
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L’INTERVISTA
Tarro: “Vaccini, scoperta importante ma vanno utilizzati con buon senso” Il virologo candidato al Nobel: “Nulla di più democratico della scienza” di Carmine Gazzanni
(CC) Simone Mastrodomenico/ONB
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l decreto Lorenzin? «È legato a una politica globale», mentre l’uso dei vaccini dovrebbe essere «libero e democratico». Non ha dubbi il professor Giulio Tarro. Il virologo, candidato in passato anche al premio Nobel, nel suo libro “Dieci cose da sapere sui vaccini” (Newton Compton Editori, 2018) prova ad andare al di là di un dibattito talmente infuocato da diventare, in molti casi, sterile. Però su un punto è chiaro: l’obbligo vaccinale è da «manovra da Big Pharma». In che senso, professore? «Guardi, l’Italia è un Paese che è stato scelto come pacemaker di una nuova politica vaccinale globale, decisa a Davos, per venire incontro alla produzione vaccinale delle case farmaceutiche. E questo è un fatto. Non è un caso che dopo di noi anche la Francia abbia deciso per l’obbligo di undici vaccini all’inizio di quest’anno». Questo ha portato all’esplosione del fenomeno no-vax. Nel suo libro, però, lei sottolinea che in realtà gli anti-vaccinatori ci sono sempre stati… «Esattamente: gli oppositori ai vaccini esistono dalla campagna di vaccinazione antivaiolosa dell’800, come sappiamo dai decreti inglesi sull’argomento dopo le epidemie di vaiolo in diverse città, dove prevalevano gli antagonisti delle vaccinazioni». E allora perché il fenomeno esplode ora? «Per principio nessuno vuole sottostare ad imposizioni che dovrebbero invece lasciare il posto alla politica della persuasione».
Giulio Tarro, virologo.
Imposizioni, appunto. Non a caso altro aspetto su cui insiste nel libro è che l’obbligo vaccinale non porta ad un aumento della copertura. «È molto dibattuto il fatto che l’obbligo vaccinale porti al cosiddetto effetto gregge. Il decreto non nasce da questa ragione…». E allora qual è il punto? «Torniamo a quanto le dicevo prima: la legge è strettamente collegata all’effetto attuativo di una politica globale ben precisa». Secondo lei è sbagliato l’obbligo in sé oppure c’è un problema a monte, di impostazione del problema, una sorta di “caccia alle streghe”? «Secondo me la scelta deve essere libera e consapevole, pertanto sono ovviamente contrario all’obbligo, che però è giustificato nel nostro Paese da una estesa ignoranza
culturale e soprattutto scientifica. Non ci possiamo certo paragonare ai Paesi anglosassoni e tanto meno scandinavi». C’è, però, un diverso modo di concepire la scienza, per chi se ne occupa da vicino. Per alcuni la scienza non può essere “democratica”. Per lei il confronto invece non solo è doveroso, ma essenziale. Chi ha ragione? «Credo che non ci sia niente di più democratico della scienza, che ovviamente necessita di essere approfondita e quindi non lasciata a personaggi con chiari interessi farmaceutici». E sui vaccini? Quale consiglio si sente di dare al singolo cittadino? «I vaccini rappresentano fra le scoperte più importanti della medicina, ma vanno utilizzati con il buon senso e soprattutto tenendo presente che sono sempre farmaci, soggetti ad effetti collaterali, a seconda degli organismi».
Copertina del libro di Giulio Tarro “10 cose da sapere sui vaccini” (Newton Compton Editori, 2018).
L’INTERVISTA
Il Giornale dei Biologi | Aprile 2018
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Villani: “Vaccini sicuri ed efficaci ma non esistono certezze al 100%” Il presidente dei Pediatri: “Obbligo necessario, spero presto un diritto”
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a necessità dell’obbligo sui vaccini è maturata nel tempo. Ora è auspicabile che in pochi anni si possa arrivare alla vaccinazione come rivendicazione di un diritto». Per il professor Alberto Villani, presidente della Società Italiana Pediatria, siamo dunque sulla strada giusta. Che non può prescindere da maggiore informazione e confronto. Perché, secondo lei, sul tema c’è stata tanta mistificazione? «Tra coloro che hanno dubbi o sono contrari ai vaccini ci sono situazioni e posizioni molto diverse. I “no-vax” sono in realtà pochissimi, anche se molto attivi. Con tutti è doveroso confrontarsi, a tutti devono essere offerte le corrette e documentate informazioni». In che modo? «Credo che la corretta informazione e l’educazione sanitaria, sin dai primissimi anni del percorso scolastico, possano contribuire in maniera determinante nel ridare fiducia nella scienza. È importante anche rafforzare la cultura infettivologica, immunologica e vaccinale nella classe medica e in tutto il mondo sanitario». Ci sono, in effetti, anche all’interno del mondo scientifico posizioni contrastanti. «Per quanto riguarda le vaccinazioni, sono stati fatti significativi progressi e si è arrivati oggi a disporre di vaccini che sono sicuri ed efficaci. Purtroppo le certezze al cento per cento non esistono. Nel mondo scientifico è possibile il confronto in occasione di Congressi, sulle riviste scientifiche, nel contesto delle Istituzioni nelle quali si lavora.
Alberto Villani, presidente della Società Italiana di Pediatria.
Molte delle persone a cui lei fa riferimento, forse tutte, sono in quiescenza, lavorano “privatamente”, non hanno attualmente ruoli in cui possa essere “controllata” la loro attività: tutte queste situazioni rendono debolissime le loro posizioni, spesso autoreferenziali». È vero, però, che le controindicazioni ai vaccini esistono. Quanto incidono? «Le controindicazioni ai vaccini esistono e sono riportate in un documento facilmente consultabile sul sito del Ministero della Salute e dell’Istituto Superiore di Sanità: “Guida alle controindicazioni alle vaccinazioni”. Tutto ciò che non è riportato nella Guida non risponde a verità e non deve essere considerato». In passato lei ha parlato di “interessi economici” dietro i “no-vax”... «Le famiglie in cui sono presenti bambini con problemi non trovano spesso risposte
adeguate nel nostro Sistema Sanitario per i motivi più svariati. Chi ha problemi cerca risposte e purtroppo, talvolta, le risposte arrivano da chi, sul dolore e sulla sofferenza, con grande cinismo, cerca di guadagnare». Non pensa che l’accusa di interessi economici sia un po’ come quella che gli stessi “no-vax” rivolgono ai “vaccinisti”? Perché una ha senso e l’altra no? «Le Aziende farmaceutiche non sono delle opere di beneficenza e vivono dei loro guadagni. Guadagnano anche quando producono antibiotici, farmaci biologici, farmaci antineoplastici. Quello che è auspicabile è che possano offrire vaccini sicuri, efficaci e a costi corretti. Tutto ciò è garantito da sistemi di controllo aziendali, nazionali (AIFA, Ministero Salute, ISS) e sovranazionali (Agenzia Europea). Di certo i costi di un paziente non vaccinato che contrae una malattia prevenibile da vaccinazione, sono spaventosamente elevati. Le Aziende farmaceutiche guadagnano molto di più per “curare” che non per “prevenire”». Tornando al decreto vaccini: manca qualcosa alla legge ora in vigore? «Il nostro sistema legislativo è garantista. A pochi mesi dall’applicazione della legge, i risultati sono positivi. Il fatto che la Francia abbia imitato l’Italia e che molti Paesi stiano osservando con attenzione l’esperienza italiana per riprodurla, credo possa essere considerato con orgoglio un merito della Sanità Pubblica italiana. Ho il privilegio di far parte dello Standing Committee Regione Europa dell’OMS e l’Italia è considerata un paese esemplare in campo sanitario». (C. G.)
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BIOLOGIA DEL PALAZZO
Partiti e nuovo Governo: Biologia di uno stallo
La difficile ricerca dei “numeri” con il nuovo sistema elettorale
di Riccardo Mazzoni
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o stallo è una fase che nel gioco degli scacchi porta alla cosiddetta “patta” in cui, pur trovandosi sotto scacco, il giocatore non ha più mosse consentite e dunque la partita finisce senza che nessuno vinca. Nella biologia molecolare questa fase inizia invece a diventare processiva e viene progressivamente superata, cosa che si spera accada
anche nella politica italiana di questi giorni, dopo elezioni in cui nessuno ha vinto davvero e tutti rischiano di perdere, insieme al Paese. Siccome in politica la colpa morì sempre fanciulla, quando le cose non vanno la responsabilità si scarica sempre sugli altri, in questo caso nel mirino c’è la legge elettorale in vigore, il cosiddetto Rosatellum - dal
nome dell’ex capogruppo del Pd alla Camera Rosato che vi appose la prima firma. Ma questa volta la politica, ebbene sì, ha colpe solo parziali, perché l’analisi del Rosatellum non può che partire dalla situazione in cui si è trovato a operare il Parlamento, quadro che è frutto di due sentenze della Corte Costituzionale e della bocciatura via referendum, il 4 dicembre 2016, delle ri-
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Il Rosatellum non ha retto alla prova del voto, determinando un Parlamento senza maggioranza
A sinistra la Camera dei Deputati. In basso, i leader politici italiani Luigi Di Maio (M5S) e Matteo Salvini (Lega).
forme costituzionali. Per effetto di queste due cause l’Italia non disponeva di una legge elettorale coerente per i due rami del Parlamento, e dunque era necessario porvi rimedio con una riforma che in primo luogo rispettasse il volere della Corte e che mettesse inoltre d’accordo una maggioranza parlamentare più ampia possibile. Anche perché sarebbe stato almeno sconveniente, dal punto di vista istituzionale, non tentare di rispondere ai ripetuti appelli del Capo dello Stato perché si varasse una legge elettorale condivisa. In democrazia, le leggi è fisiologico che le faccia il Parlamento, e non la Cor-
te Costituzionale con tortuosi taglia e cuci. Questo lo ha fortunatamente riconosciuto la stessa Consulta, anche se i nostri giudici costituzionali sembrano molto più affezionati al criterio della rappresentanza invece che a quello della governabilità, che è invece il tratto distintivo di tutte le democrazie funzionanti. Non c’è da sorprendesi quindi se il Rosatellum - un mix di collegi maggioritari e di listini proporzionali - non ha retto alla prova del voto, determinando un Parlamento senza maggioranza. Ma chi l’ha criticato per la reintroduzione delle coalizioni dimentica che la legge elettorale precedente - l’Italicum - era stato definito dagli stessi censori come una legge eversiva, perché avrebbe favorito l’avvento dell’uomo solo al comando, in quanto introduceva il premio ad un unico partito anziché a una coalizione di partiti. La verità è che le coalizioni sono la risposta italiana al problema della governabilità e della incidenza effettiva del voto dell’elettore sui governi futuri, ma questa volta neppure il centrodestra - Lega, Forza Italia, Fratelli d’Italia e Noi per l’Italia - che pure coalizzandosi ha raccolto il 37 per cento dei consensi, è riuscito a raggiungere la maggioranza dei seggi di Camera e Senato. Il vero problema è che il Rosatellum ha un correttivo maggioritario modesto, visto che solo il 37 per cento dei seggi viene attribuito in collegi uninominali, ma non si poteva fare sinceramente di più, visti i paletti rigidi posti dalla Consulta sul problema della rappresentanza, cioè dalla puntuale corrispondenza tra i voti espressi dagli elettori e la copertura dei seggi in Parlamento. In altre grandi democrazie, come ad
esempio la Francia, il presidente Macron governa il Paese avendo conquistato al primo turno appena il 24 per cento. Eppure nessuno ha mai gridato allo scandalo. Insomma: senza un congruo premio di maggioranza - che l’attuale legge non prevede essendo ampiamente proporzionalista - e senza ballottaggio, in un sistema ormai tripolare come è divenuto il nostro dopo la rapida ascesa del Movimento Cinque Stelle, per raggiungere una solida maggioranza parlamentare c’è la necessità assoluta di raggiungere accordi tra forze diverse in Parlamento. Per questo è abbastanza surreale la disputa che va avanti da mesi fra i presunti candidati premier Di Maio e Salvini. Disputa che avrebbe avuto un senso se fossero sopravvissuti ballottaggio maggioritario e monocameralismo, che invece sono stati spazzati via per volontà del popolo italiano, e ora è inutile recriminare. Oggi viviamo in una realtà che esclude in linea di principio l’elezione maggioritaria del capo del governo la sera stessa delle elezioni, a cui ci eravamo abituati dagli anni Novanta in poi, con il Mattarellum e con il Porcellum. L’incantesimo si è rotto con Bersani, che nel 2013 si impantanò nel vano tentativo di formare un governo con i grillini. Ora le coalizioni si costruiscono in Parlamento, e non ha davvero senso per i leader degli schieramenti in campo rivendicare una premiership che va invece faticosamente conquistata, come nella Prima Repubblica, facendo negoziati - e compromessi - in cui certo deve contare il peso dei voti popolari, ma anche e soprattutto la capacità di coalizzare una maggioranza parlamentare intorno a un nome, a una formula e a un programma. Come finirà? In Spagna hanno votato tre volte in poco più di un anno, e ancora adesso il Governo di minoranza si regge su una specie di patto di non belligeranza. Qui dipenderà molto dalla capacità maieutica del presidente Mattarella di far ragionare i partiti e gli aspiranti premier sulla necessità di un Governo, almeno prima del cruciale vertice europeo di giugno.
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iù si ingarbuglia la politica italiana, più si coniano neologismi che tendono in tutta evidenza a coprire la sostanza con la forma. Se la Prima Repubblica era stata una palude praticamente immutabile, in cui vigeva la conventio ad excludendum superata poi, negli anni delle grandi intese, dal compromesso storico, e si potevano teorizzare al massimo le convergenze parallele, geniale ossimoro della politologia democristiana, nella cosiddetta Seconda e nel suo caos creativo il vocabolario politico si è talmente arricchito (o impoverito?) da mettere in difficoltà gli stessi accademici della Crusca. Qualche esempio? La parola ribaltone ha sostituito in termini più grevi l’antico trasformismo italico di sapore ottocentesco, aggiornando i passaggi di campo alla statura dei suoi protagonisti: da Agostino Depretis a Clemente Mastella. E poi inciucio, falchi e colombe, rottamatori e pitonesse. Per non parlare dei termini mutuati dall’economia (spread, deficit, derivati, patto di stabilità e via dicendo). Ma il massimo del minimo si è raggiunto nel definire le leggi elettorali che si sono susseguite con una continuità inversamente proporzionale alla loro efficacia in termini di stabilità. Fino ai primi anni Novanta il problema non si era mai posto, vigendo un’unica legge elettorale, quella proporzionale che rappresentava lo specchio esatto della rappresentanza politica, a cui nessuno si era mai neppure sognato di dare un nome, tanto meno latinizzato. Nemmeno quando, nel lontano 1953 fu molto provvisoriamente introdotta una nuova legge elettorale, questa venne criticamente definita “legge truffa”. In effetti, fraus electoralis avrebbe troppo ingentilito la pur ingiusta accezione spregiativa conferita a una legge che qualche merito lo avrebbe avuto se fosse stata
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Il “volgare” latinorum delle leggi elettorali. Come si è arrivati al Rosatellum davvero applicata. Ma allora da quando e perché i nomi delle leggi elettorali finiscono in -um? La prima legge elettorale a venire soprannominata con un nuovo nome che finisse per – um fu il Mattarellum. In un articolo del 1993 il politologo Giovanni Sartori, critico verso la legge, scrisse “habemus Mattarellum”, riferendosi al relatore della legge, nonché attuale Presidente della
Repubblica, Sergio Mattarella. Il termine ebbe un tale successo che quando venne approvata anche la legge per le elezioni regionali, proposta da Pinuccio Tatarella, essa fu rapidamente soprannominata Tatarellum. Da allora è iniziata una deriva praticamente inarrestabile nel segno del latino maccheronico, alias latinorum. La vittima successiva fu la legge ideata dal genio di Calderoli, che in realtà ebbe molti patrigni perché faceva comodo a tutti, quella dei listoni bloccati. Col sarcasmo che gli è congeniale, Calderoli battezzò la sua legge come una porcata e quindi, dopo il Mattarellum e il Tatarellum, ecco comparire nel gergo politichese il leggendario Porcellum. Al quale sarebbero seguiti, nei vari tentativi abortiti di riforma elettorale, il Verdinellum, il Toscanellum, il (sic) Democratellum, lo Speranzellum, il Grechellum, il Provincellum, il Legalicum e l’Italicum. Fino al Consultellum e all’ultimo nato, il Rosatellum. Che quasi tutti vogliono già abrogare, avendo alla sua prima prova prodotto un Casinum (non si offenda l’ex presidente della Camera!). (R. M.)
Epatite C, mancano le strutture autorizzatefa
(CC0) Luis Melendes/www.unsplash.com
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SALUTE
Lontani gli obiettivi Aifa. Nel 2017, cure per meno di un malato su due
di Daniele Ruscitti
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n Italia meno di un malato su due è stato avviato alle cure, il fondo per i farmaci innovativi non viene utilizzato a sufficienza dalle Regioni, non c’è un Pdta (Percorso diagnostico terapeutico assistenziale) condiviso e mancano all’appello decine di strutture autorizzate alla prescrizione e distribuzione degli antivirali. Per questo appare ancora lontano l’obiettivo eliminazione dell’infezione da virus HCV, curando 80mila pazienti l’anno nel triennio 2017-2019. È la fotografia, segnata da evidenti differenze regionali, che emerge dal dossier “Epatite C - Indagine conoscitiva sull’accesso ai farmaci nelle regioni italiane”, realizzato da EpaC Onlus. Una rivoluzione epocale, avvenuta negli ultimi anni, ha riguardato le persone affette da epatite C, prima con l’arrivo di diversi nuovi farmaci antivirali, i cosiddetti Daas (Direct antiviral agents), efficaci per quasi tutti i pazienti, poi a marzo 2017 con i nuovi criteri di trattamento per l’epatite C cronica, che hanno consentito l’accesso universale alle nuove terapie in regime di rimborsabilità da parte del Servizio Sanitario Nazionale. Questa storica decisione è stata possibile anche grazie alla riduzione del prezzo
degli antivirali e l’allocazione di 1,5 miliardi di euro nel triennio 2017-2019 per i farmaci innovativi e, parallelamente, Aifa ha annunciato importanti e ambiziosi obiettivi: eliminazione dell’infezione da virus Hcv dall’Italia entro il 2020, trattamento di almeno 80mila pazienti l’anno e aumento del numero dei centri autorizzati di 50 unità. Nonostante il numero di pazienti avviati al trattamento sia in aumento, ad oggi questi obiettivi appaiono difficili da raggiungere anche perché le Regioni - eccetto Sicilia e Veneto - non hanno predisposto strategie adeguate per la presa in carico di tutti i pazienti già diagnosticati, attraverso il coinvolgimento degli stakeholder. Il 52% delle Regioni, nel passaggio da Daas di prima generazione a quelli di seconda generazione, ha incrementato il numero di reparti prescrittori (Veneto +22, Puglia e Sicilia +7, Toscana +10), il 28% lo ha lasciato invariato mentre il 20% ha operato tagli anche drastici (Lazio -8, Campania -53). Da marzo 2017 poche Regioni hanno ampliato il numero dei centri prescrittori: Veneto +4, Piemonte +3, Molise +3, Puglia +1, Friuli Venezia Giulia +1, e altrettanto esigue sono le Regioni che hanno incre-
mentato il numero dei reparti: Toscana +1, Lazio +1, Calabria +1. Nel complesso il numero delle strutture autorizzate è cresciuto di 15 unità da parte di 8 Regioni (meno di un terzo di quanto annunciato). Il numero dei pazienti avviati alle cure è in aumento, ma troppo lentamente: dai 30.874 pazienti trattati nel 2015 si è arrivati ai 44.795 pazienti trattati nel corso del 2017, con un incremento apprezzabile negli ultimi mesi dell’anno (da gennaio 2017 al 31 luglio 2017 erano stati trattati 20.474 pazienti, ancora meno rispetto allo stesso periodo del 2016). Un incremento che però è ancora distante dal target mensile di 6.667 pazienti da avviare al trattamento per raggiungere gli 80mila pazienti l’anno. Non va meglio nell’organizzazione dei percorsi di presa in carico. Solo il 24% delle Regioni ha realizzato un Pdta (Lombardia, Umbria, Campania, Basilicata, Sicilia), un altro 24% ha redatto documenti d’indirizzo, nulla di fatto nelle restanti Regioni. Tuttavia, solo la Sicilia ha predisposto percorsi di presa in carico che coinvolgono sistematicamente i medici di famiglia e prossimamente anche carceri e SerD, e anche il Veneto si sta organizzando allo stesso modo.
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© Nedelcu Paul Petru/www.shutterstock.com
SALUTE
Identikit del con l’Atlante
SALUTE
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Sono più di 11mila, finora, i casi “mappati” per la più vasta e completa opera sulla malattia mai realizzata
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er combattere il cancro si seguono le indicazioni militari. “Conosci il tuo nemico per vincerlo” suggeriva infatti il generale Sun Tzu. Ed è così che è partito il censimento dei tumori con il primo Atlante Globale del Cancro (Pan Cancer Atlas): un identikit del male per cure più precise. È come se la neoplasia da oggi lasciasse impronte digitali e fosse schedata in una banca dati pubblica. Da far inorgoglire Diderot e Le Rond d’Alembert se si pensa che l’atlante è un’enciclopedia che sviscera la malattia, non un semplice elenco, ma una rinnovata catalogazione delle forme più diffuse delle quali ora, grazie alla genetica, si conoscono le modalità di sviluppo, le interconnessioni e i geni coinvolti. Sono oltre 11mila, infatti, i tumori “mappati”, così da essere la più vasta e completa opera sul cancro mai realizzata. Una rivoluzione nella lotta contro il tumore. Il progetto è partito nel 2006 e grazie a questo “aggregatore” cambierà anche l’approccio terapeutico per molte neoplasie, proprio perché adesso se ne conosce l’esatta storia molecolare. Così si sa che un trattamento per un tipo di tumore può essere efficace anche per un altro che in passato sembrava avere diversa origine: si è compreso che i tumori che si sviluppano sullo stesso organo possono avere profili genetici estremamente diversi fra loro, mentre quelli che aggrediscono organi distanti potrebbero avere la stessa firma genetica. L’Atlante rappresenta il frutto di 10 anni di ricerche del progetto internazionale
Nella pagina accanto, una cellula tumorale riprodotta in 3D. Nella foto a destra, ricercatori scientifici al lavoro.
The Cancer genome Atlas (Tcga), guidato dai National Institutes of Health (Nih) statunitensi che hanno stanziato 300 milioni di dollari, in collaborazione con scienziati provenienti da 16 nazioni. Ma come si è arrivati a realizzare l’Atlante? I ricercatori hanno studiato i dati genetici di oltre 11mila tumori delle 33 forme più diffuse, e dopo averne fatto emergere legami e affinità molecolari, le hanno catalogate in 28 nuovi sottogruppi, basati sulle caratteristiche genetiche. L’Atlante sancisce anche un altro passo in avanti, evidenziando che l’origine anatomica dei tumori è meno importante rispetto alle informazioni genetiche e molecolari. Il tutto a vantaggio della medicina di precisione e dell’immunoterapia, che beneficeranno dei dati raccolti. Guardare queste mappe dei tumori per gli esperti è stato “come guardare la Terra dall’orbita per la prima volta: finalmente abbiamo il quadro completo del cancro e vediamo che la sua complessità non è infinita” ha dichiarato Josh Stuart, dell’Università della California a Santa
Cruz. L’Atlante ha permesso di identificare tre processi cruciali che portano allo sviluppo dei tumori: le mutazioni genetiche, sia ereditarie sia acquisite durante la vita; l’influenza dell’ambiente sull’attività dei geni (epigenetica); i “trucchi” che i tumori sfruttano per sfuggire ai posti di blocco del sistema immunitario. Inoltre è stato visto che oltre la metà dei tumori analizzati è dovuto a mutazioni genetiche che potrebbero essere colpite da farmaci già disponibili. Inoltre i ricercatori svedesi del Royal Institute of Technology hanno già lanciato ad agosto scorso l’upgrade dell’Atlante: un nuovo “catalogo” open source per collegare migliaia di geni oncologici specifici sia alla sopravvivenza dei pazienti sia a potenziali nuovi bersagli farmacologici. Per realizzarlo gli scienziati usano il sequenziamento dell’Rna invece del Dna. Lo scopo è quello di raccogliere informazioni pratiche, come ad esempio i marker tumorali, che possano essere impiegati per sviluppare test diagnostici e molecole anti-tumorali sempre più precisi. (F. C.)
cancro Globale dei tumori
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Osservare le api aiuta a comprendere l’uomo I meccanismi decisionali con cui gli insetti compiono le scelte sono simili a quelli dei neuroni umani di Marco Modugno
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na colonia di api paragonata ai neuroni del cervello. Sembra strano l’accostamento, ma secondo uno studio portato avanti dall’Università di Sheffield, in collaborazione con l’Istituto di scienze e tecnologie della cognizione del Consiglio nazionale delle ricerche (Istc-Cnr), potrebbe essere utile per capire i meccanismi alla base del comportamento umano. A spiegarlo è un ricercatore e coautore dello studio, Vito Trianni, secondo il quale «uno sciame di api può essere considerato un super-organismo composto da migliaia di insetti che rispondono all’unisono a stimoli esterni, come i neuroni del cervello reagiscono alle sollecitazioni che provengono dall’ambiente. Questa somiglianza permette di tracciare precise corrispondenze tra le interazioni delle api responsabili del comportamento del super-organismo e i meccanismi neurali alla base della cognizione, e quindi di identificare le micro interazioni che sono all’origine dei meccanismi generali del comportamento umano e non». Alla base di tutto c’è un modello matematico della sciamatura. Le api, per scegliere dove costruire il proprio alveare, decidono collettivamente e si servono di segnali complessi che attraggono i propri simili verso nidi di qualità migliore o inibiscono il reclutamento per alternative di bassa
(CC0) Massimiliano Latella/www.unsplash.com
qualità. Questo tipo di segnali complessi sono molto simili a quelli che i neuroni si scambiano durante i processi decisionali tra più alternative. Secondo i ricercatori, le api sono un modello utile per rivelare dinamiche neurali, poiché è molto più semplice studiare il loro comportamento durante la sciamatura che osservare quello dei neuroni durante un processo decisionale. La ricerca dimostra come nei super-organismi si possano riscontrare leggi di psicofisica fino ad oggi considerate una peculiarità esclusiva del cervello. Una analizzata durante lo studio è quella di Weber, che
spiega come si percepisce la differenza tra due stimoli. «Per capire tra due mele quale sia la più pesante, occorre che la differenza di peso sia superiore a 10g circa, la stessa differenza di 10g non è però sufficiente a distinguere il più pesante tra due meloni. La causa è che i meloni sono in generale 10 volte più pesanti delle mele, e quindi la differenza minima di peso per distinguere il frutto più pesante deve essere dieci volte maggiore», conclude Trianni. Durante lo studio è emerso che questo stesso tipo di relazioni si presenta nel modello decisionale di uno sciame di api.
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Infezioni nei Sert Nuove linee guidafa
(CC0) Malik Earnest/www.unsplash.com
Le disposizione dell’ISS contro le malattie infettive
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ndicazioni tecniche su come effettuare i test per le principali malattie trasmissibili, ma anche le procedure comunicative necessarie per una presa in carico corretta ed efficace del paziente. Sono state pubblicate nei giorni scorsi le “Nuove Linee di indirizzo per lo screening e la diagnosi delle principali patologie infettive correlate all’uso di sostanze nei Servizi per le Dipendenze”, risultato dello sforzo congiunto da parte degli esperti del settore (Centro Operativo Aids e Unità operativa Ricerca psico-socio-comportamentale, Comunicazione, Formazione) dell’Iss e del Gruppo tecnico interregionale dipendenze, indispensabili allo scopo di ridurre in maniera significativa la diffusione delle principali patologie infettive (Hiv, Epatite B, Epatite C e Sifilide) nella popolazione italiana con storia di assunzione di sostanze con effetti sul sistema nervoso centrale. L’incidenza delle malattie infettive nelle
persone che frequentano i SerD/SerT è in calo, ma rimane comunque significativa e in molti casi superiore a quella della popolazione generale. Da qui l’esigenza di nuove linee di indirizzo condivise, all’interno delle quali trovano sia indicazioni ‘pratiche’ per lo screening, che deve basarsi su un’adeguata valutazione clinica e su esami diagnostici standardizzati e validati a livello internazionale, sia indicazioni operative sugli aspetti comunicativo-relazionali. «In particolare, la capacità dell’operatore, opportunamente formato, di comunicare in modo efficace – si legge – risulta fondamentale per attivare una relazione professionale all’interno della quale la persona-utente possa essere messa in grado di fronteggiare le problematiche di dipendenza nelle quali è coinvolta e di effettuare, quindi, i necessari esami diagnostici». Spazio quindi anche a concetti, spiegati nelle nuove linee di indirizzo, come “Autoconsapevolezza”,
“Empatia” e “Ascolto attivo”, che possono essere assimilati solo con dei corsi specifici. «In sintesi, è opportuno sottolineare che, per una corretta applicazione sul campo di procedure comunicativo-relazionali standardizzate volte a favorire l’accesso ai test diagnostici, risulta indispensabile predisporre e organizzare a livello nazionale e locale specifici percorsi di formazione rivolti al personale socio-sanitario dei SerD/SerT – scrivono Anna Colucci e Anna Maria Luzi del Dipartimento Malattie Infettive dell’ISS -. Solo così, infatti, gli operatori, consapevoli del proprio ruolo e, al tempo stesso, costantemente aggiornati sulle conoscenze e sulle competenze necessarie per applicare in modo sistematico il Modello Operativo qui proposto, saranno facilitati nell’attivare relazioni professionali personalizzate e strutturate in modo efficace, sia nella fase del colloquio pre-test sia in quella del colloquio post-test». (D. R.)
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Il nuovo studio sulla neurogenesi va in controtendenza rispetto ad altre ricerche precedenti
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’è nuova vita sulla soglia degli 80 anni. Possibile? Sì, se si parla di cellule. Perché secondo alcuni neurobiologi, uomini e donne sani in età avanzata possono generare nuove cellule cerebrali proprio come i soggetti più giovani. Il tema delle cellule nervose da tempo appassiona e accende il dibattito fra neuroscienziati, ma adesso, in una ricerca che parla italiano e pubblicata su Cell Stem Cell, un team di ricercatori della Columbia University di New York, guidato dall’italiana Maura Boldrini, sostiene di aver trovato nuove prove della possibilità di generare, anche in un cervello decisamente adulto, nuove cellule, dimostrando così che gli anziani sani sarebbero cognitivamente ed emotivamente più integri di quanto si è pensato fino ad ora. Il nuovo studio sulla neurogenesi che si è focalizzato sull’ippocampo necessita di ulteriori verifiche e va in controtendenza rispetto ad altre ricerche che affermavano, invece, l’impossibilità di generare nuove cellule nervose dopo l’adolescenza. Per dimostrare la propria teoria il team di scienziati, finanziati dallo Stroud Center for Aging Studies at Columbia University, ha deciso di analizzare l’ippocampo di 28 cadaveri di persone decedute all’improvviso tra i 14 e i 79 anni d’età: tutte, in vita, erano sane e senza particolari patologie psichiatriche o neurologiche. Nei cervelli delle persone sulla soglia degli 80 anni sono state trovate migliaia di cellule nervose “nuove”, tanto da far affermare ai ricercatori che «le persone più anziane hanno la stessa abilità dei giovani di produrre migliaia di nuovi neuroni nell’ippocampo a partire da cellule progenitrici. Abbiamo anche riscontrato che l’ippocam-
po mantiene un volume equivalente a tutte le età. Tuttavia, gli individui più anziani hanno una minore vascolarizzazione e forse una minore abilità dei nuovi neuroni di formare connessioni». Tr a d o t t o : i risultati degli esami suggeriscono che molti anziani potrebbero rimanere decisamente più solidi sia cognitivamente sia emotivamente di quanto si possa pensare. «Abbiamo anche trovato volumi equivalenti dell’ippocampo (struttura del cervello utilizzata per emozioni e cognizione) nelle varie età. Tuttavia i soggetti più anziani avevano meno vascolarizzazione e forse meno capacità di creare connessioni con i nuovi neuroni» ribadisce Boldrini. In sostanza i ricercatori hanno fatto una sorta di fotografia dei neuroni appena formati e dello stato dei vasi san-
C’è “vita” nel cervello anche a 80 anni guini nell’ippocampo appena dopo la morte dimostrando come, in soggetti sani senza problemi, come ad esempio di depressione o disturbi cognitivi, ci siano chiari segnali di “vita”. In passato era già stato dimostrato che nei roditori e nei primati la capacità di ge-
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(CC0) Eberhard Grossgasteiger/www.unsplash.com
nerare nuove cellule ippocampali solitamente diminuisce con l’età, ma da quanto evidenziato dal team di New York, i cervelli umani più vecchi si comporterebbero diversamente anche se possiedono un pool più piccolo di cellule progenitrici, quelle discendenti delle staminali che sono più
limitate nella loro capacità di differenziarsi e auto rinnovarsi. Proprio per questo più piccolo pool di cellule staminali neurali, nonostante si possano generare nuove cellule neuronali, nella terza età solitamente si registra una ridotta capacità cognitiva. «È possibile che la continua neuroge-
nesi dell’ippocampo sostenga la funzione cognitiva umana specifica per tutta la vita e che il declino possa essere collegato a una resilienza cognitivo-emotiva compromessa» conclude la studiosa, ricordando che lassù, nel cervello, c’è vita anche dopo gli 80. (G. T.)
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© Image Point Fr/www.shutterstock.com
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pensare che nel Settecento Jeanne du Barry, famosa amante di Luigi XV, ne possedeva un kit ad uso e consumo personale a seconda delle situazioni e dell’umore del momento. I nei erano l’orgoglio delle dame che ne facevano un uso smodato, cospargendosi il corpo e il viso per inviare segnali.
Un linguaggio in codice con precisi significati. Il neo conserva questa funzione e infatti ora segnala, nel vero senso del termine, non più charme e civetteria, ma la presenza di tumori. Così dai nei di stoffa posticci posizionati in zone strategiche si passa a quelli “computerizzati”, cacciatori di neoplasie. Una sorta di nevologia moderna, dopo quella poco scientifica di
Girolamo Cardano nel Cinquecento, che associava la terra al cielo e il corpo alle stelle, ai pianeti, allo zodiaco di cui i nevi erano coordinate. Anche i Greci e i Romani c’erano andati vicino e studiavano i nei come spie del temperamento e del destino dell’uomo. I Cabbalisti medievali e gli Alchimisti ritenevano che i nei fossero segni divini.
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Il neo artificiale “spia” del cancro In effetti questi bottoncini sulla pelle, che altro non sono che un agglomerato di melanina, grazie alla biologia sintetica, diventano spie del male in grado di anticipare il futuro con diagnosi precoci. La sperimentazione è tutta svizzera, del Politecnico federale di Zurigo (Eth) a Basilea. Questi nei artificiali sono formati da cellule geneticamente modificate che,
impiantate sotto la cute, si scuriscono appena rilevano livelli anomali di calcio nel sangue, segnalando così l’evoluzione della malattia: se i livelli si mantengono troppo alti nel tempo, dando ipercalcemia, nelle cellule si scatena una cascata di segnali che porta alla produzione di un pigmento naturale, la melanina, che va a disegnare il neo.
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L’ipercalcemia è provocata dalle metastasi che demoliscono l’osso liberando calcio nel sangue. Grazie al tattoo biomedicale potremmo finalmente riconoscerlo e trattarlo prima che compaiano gravi sintomi, come aritmie cardiache, insufficienza renale e coma. Sugli animali almeno ha funzionato, individuando quattro forme di tumore: colon, polmone, prostata e mammella. I risultati, pubblicati sulla rivista Science Translational Medicine, potrebbero aprire la strada ad una nuova generazione di sensori da impiantare nell’organismo per monitorare molecole spia di altre malattie, come quelle neurodegenerative. O aiutare a scoprire le fluttuazioni di calcio legate all’insufficienza renale. Oppure rilevare anomalie del sangue associate a malattie neurodegenerative o a disordini ormonali. Ma ci vorranno almeno dieci anni perché questa sorta di tatuaggio biotecnologico dia risultati sull’uomo. Il pericolo è che si creino allarmismi. Quindi l’analisi visiva sarà appannaggio del medico. Per questo la colorazione sarà visibile solo se esposta alla luce rossa. «Il neo non significa che la persona sta per morire rassicurano gli esperti - ma soltanto che deve fare degli approfondimenti e, se necessario, delle cure». Il passo avanti sarà quello di “ingegnerizzare” le cellule in modo da rilasciare al bisogno molecole terapeutiche al posto della melanina. Per ora intanto il prototipo ha ancora il limite di durare un solo anno. (F. C.)
La sperimentazione è svizzera del Politecnico federale di Zurigo (Eth) di Basilea e durerà alcuni anni
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INNOVAZIONE
Dieci milioni per una start up anticancro L’impresa universitaria si chiama CheckMab ed è nata dall’iniziativa di un gruppo di professori, istituti di ricerca ed esperti di strategie di investimento di Francesca Cicatelli
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a provetta a prodotto. Mai connubio fu più produttivo di menti e fondi in compartecipazione. Se si crede in un progetto non resta altro che realizzarlo. Non è un caso che un economista come Benjamin Graham diceva che l’investitore è colui che crede in un domani migliore perché “la speranza è un rischio da correre”, e su cui evidentemente
puntare denaro. Deve averla pensata così il team accademico che ha dato vita ad uno spin-off: niente altro che il passo successivo ad una buona idea. Così scienziati e accademici diventano imprenditori e “fanno società” nel nome della ricerca puntando sul proprio lavoro. Dieci milioni di euro la cifra raccolta dal pool accademico (al punto da risultare lo spin-off universitario ca-
pace di ottenere più finanziamenti privati in Italia) su un brevetto anticancro dell’Università di Milano e dell’Istituto nazionale di genetica molecolare “Romeo ed Enrica Invernizzi”. L’impresa universitaria si chiama CheckMab ed è nata infatti dall’iniziativa di un gruppo di professori, istituti di ricerca ed esperti di strategie di investimento. Soci
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INNOVAZIONE
(CC0) Pablo Heimplatz/www.unsplash.com
dello spin-off sono l’UniMi, l’Ingm e i professori della Statale Sergio Abrignani, ordinario di Patologia generale, e Massimiliano Pagani, associato di Biologia molecolare, con la partecipazione di Principia Sgr, leader italiano nel venture e growth capital. Tutti uniti per sviluppare nuove cure anticancro basate sull’immunoterapia partendo da un brevetto depositato a novembre 2016 da UniMi e Ingm e frutto del lavoro di ricerca di Abrignani e Pagani. Il brevetto sta perfezionando molecole che prevengano gli effetti collaterali dell’immunoterapia oncologica, superando così i limiti attuali. In tre anni si mira a produrre «un batch clinico (un campione, ndr) di almeno un anticorpo monoclonale umanizzato specifico per molecole coperte dal brevetto - spiegano - e uno studio clinico di fase I di immunoterapia di tumori solidi con uno degli anticorpi selezionati». Ma perché è così importante migliorare il metodo per l’ottenimento di anticorpi monoclonali? Cosa sono e come funzionano? Gli anticorpi sono proteine prodotte dai linfociti B dopo uno stimolo antigenico, ossia non appena il nostro sistema immunitario riconosce la presenza di un elemento estraneo all’organismo. Appartengono alle proteine “immunoglobuline”, di cui esistono 5 classi distinte. Quelli monoclonali sono anticorpi prodotti da un singolo “clone”, cioè da cellule geneticamente identiche perché derivate da un’unica cel-
lula madre e riconoscono un singolo corpo estraneo nell’organismo. Inizialmente le terapie utilizzavano gli anticorpi monoclonali murini, derivati dai topi (con scarsi effetti perché gli anticorpi umani riconoscevano estranei quelli animali), poi si è passati a quelli umanizzati. Gli anticorpi monoclonali sono utili alla diagnosi tumorale in quanto sostanza-vettore in grado di localizzare il “male”: grazie alla selettività di legame antigene-anticorpo, vengono utilizzati per la ricerca e la misurazione delle concentrazioni ematiche di numerose sostanze di rilevanza fisiologica o patologica così da capire dai valori del sangue se qualcosa non va. Gli anticorpi monoclonali sono abitualmente utilizzati anche per la determinazione di antigeni relativi alla presenza di infezioni, per l’individuazione di tessuti tumorali solidi e per lo studio di leucemie e linfomi, nonché per la
Sergio Abrignani e Massimiliano Pagani.
diagnosi di patologie autoimmuni, nel diabete, nelle collagenopatie e nelle miopatie. Tuttavia, anche se utili alla diagnosi, non lo sono ancora altrettanto in terapia, pur essendo i farmaci più cresciuti numericamente negli ultimi 5 anni. L’idea è per esempio quella di progettare un anticorpo e utilizzarlo per trasportare un farmaco. Ma i monoclonali hanno dei limiti legati anche agli alti costi di produzione di questa classe di farmaci, oltre alla già accennata insorgenza di forme immunogeniche con facile insorgenza di resistenza. Altro problema, poi, è la dimensione degli anticorpi monoclonali, specie in relazione alla via di somministrazione. È spesso necessaria l’iniezione o l’infusione e la dimensione limita anche la penetrazione nella massa tumorale. Per questo appare fondamentale lo studio di CheckMab, che mira proprio ad evitare l’autoimmunità.
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INNOVAZIONE
Formula E Un laboratorio di innovazione Green Le monoposto elettriche in gara a Roma lo scorso 14 aprile su un circuito cittadino
E
lettrizzante. Oltre i pregiudizi, le critiche e il rombo dei conservatori. Il primo ePrix di Roma, settima prova del Mondiale di Formula E riservato alle monoposto elettriche, ha fatto registrare il tutto esaurito, il plauso dei piloti che hanno giudicato il tracciato dell’Eur fra i migliori del circus e la diffusa curiosità verso il mondo della velocità
di Antonino Palumbo eco-friendly. A vincere la gara è stato Sam Bird su DS Virgin Racing, davanti a un Lucas Di Grassi protagonista di una grande
rimonta con Audi Abt e ad Andre Lotterer (Techeetah). Fra tribune, prato e collinette, sono stati circa 30mila gli spettatori che hanno assistito alle prove e alla gara. Una cornice di pubblico di matrice varia, tra fan della Formula 1, amanti del motociclismo e dei motori in generale, semplici curiosi con la voglia di divertirsi in maniera diversa, fra
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INNOVAZIONE
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“olè” e standing ovation, al passaggio di queste vetture dalla forma fantasiosa, che richiama il mondo dei fumetti e dei supereroi. La gara “silenziosa”, disputata su un tracciato di 2,85 km con start e finish su via Cristoforo Colombo è stata ricca di colpi di scena, fra il Palazzo della Scienza Universale e la Nuvola di Fuksas, il Palazzo dei Congressi e il Palazzo della Civiltà del Lavoro. Nella prima parte il poleman Felix Rosenqvist è riuscito a conservare il comando della gara, mentre il leader del campionato Vergne sbuffava appena entro i margini della Top 10. Fra contatti multipli e rischi di crash sulle barriere (anche un brivido per Bird), si è giunti al pit stop cambio di vettura, in Formula E - dove Rosenqvist ha mantenuto il comando. Al 23° giro, però, lo svedese ha perso il posteriore dopo il passaggio su un cordolo e ha buttato via la vittoria. Dalle retrovie, intanto, Di Grassi ha strappato il secondo posto a Evans, beffato poi anche da Lotterer. Il leader del mondiale Vergne ha difeso l’onore e la vetta piazzandosi quinto. Alla fine applausi e standing ovation per tutti, dai piloti all’organizzazione, tanto che il CEO del circus Alejandro Agag e il sindaco di Roma, Virginia Raggi, avrebbero già un accordo per far sì che la Città Eterna diventi tappa fissa del campionato automobilistico 100 per 100 elettrico. Una “stretta di mano” che presto potrebbe diventare un nero su bianco.
Il mercato delle vetture ibride ed elettriche è in forte espansione, soprattutto nel Nord Europa. Nel 2017, in Norvegia, hanno superato il 50 per cento delle immatricolazioni, grazie a importanti agevolazioni, secondo i dati della Norwegian Road Federation. Sul podio globale anche Islanda e Paesi Bassi, seguite da Austria, dalla Svezia e dalla Svizzera: anche qui i programmi di incentivazione statale sono stati abbinati alla realizzazione di infrastrutture. Cresce anche la Cina, più avanti rispetto a Usa e Germania. In Italia la cultura delle propulsioni alternative e della mobilità sostenibile deve ancora rafforzarsi, ma nel 2017 l’aumento delle vendite di auto ibride ed elettriche è stato notevole: le prime sono passate da 39.041 a 66.760 (+71 per cento), le seconde da 1.403 a 1.879 (+38,6 per cento). Come ha scritto Gianpaolo Dallara, presidente della Dallara, fornitore unico di vetture anche per la Formula E, per “La Repubblica”, la Formula potrebbe diventare una palestra per i grandi marchi – da Renault a Jaguar, da Audi a Mahindra, da Mercedes a Porsche - che vogliono presentare e promuovere nuove soluzioni tecniche di propulsori. E Roma una vetrina senza eguali.
Nella foto grande, una monoposto elettrica sul circuito romano, nei pressi dell’Eur. A sinistra, una fase della gara. In alto, il vincitore della gara, Sam Bird alla guida di una DS Virgin Racing.
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AMBIENTE
INDAGINE AD ALTA QUOTA di Giacomo Talignani
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AMBIENTE
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l filosofo tedesco Arthur Schopenhauer diceva che lassù, sulle vette, non si può che essere soli. Un tempo forse, perché adesso il cambiamento climatico non ce lo permette più: sulle cime delle montagne c’è sempre più vita dato che le piante hanno cominciato a “scalare” a ritmi esponenziali. Con
due ricerche, una pubblicata su Nature (e portata avanti da un team internazionale di 11 diversi Paesi) e un’altra realizzata dal Cnr italiano, in questi giorni è stato riassunto il grande cambiamento delle cime europee, quei picchi un tempo dipinti da roccia e neve e oggi sempre più verdi.
AMBIENTE (CC0) Annie Spratt/www.unsplash.com
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Negli anni Sessanta le specie vegetali aumentavano di 1,1. Nel decennio 2007-2016 la media è passata a 5,5 Quando Sonja Wipf, ricercatrice svizzera ed etologa, si è messa a sfogliare i diari di Wilhelm Schibler, medico e botanico di Davos che aveva appuntato centinaia di specie presenti sulle montagne svizzere, il tarlo le è subito partito. Voleva vedere se oggi, quelle piante elencate, fossero ancora presenti lassù. Così davanti a un caffè con altri colleghi - come racconta nel suo blog è iniziata una sfida che ha portato centinaia fra botanici, biologi e ricercatori, oltre che volontari, sulle cime di 302 picchi europei. Gli studiosi hanno scoperto che rispetto ai dati raccolti nel periodo 1957-1966, le specie di piante sulle cime delle montagne europee sono quintuplicate. L’accelerazione, avvenuta tra il 2007 e il 2016, secondo i ricercatori è chiaramente legata al surriscaldamento globale. Grazie a inverni più miti, quelle cime un tempo riservate soltanto alle specie più resistenti sono infatti diventate un habitat contemplato anche da altre specie, seppure se non si sappia per quanto tempo. Così le più diverse piante, fra cui il Larix decidua, larice presente prima solo ad altitudini minori, oppure le Caryophyllaceae, oggi si possono osservare anche a ridosso delle cime. Analizzando documenti che risalgono anche a 150 anni fa e confrontandoli con temperature e precipitazioni, i ricercatori hanno notato come le specie vegetali siano cresciute a ritmo costante, trasformando habitat e colori delle vette. Per esempio, sul Pizzo Linard, monte di oltre 3400 metri sulle Alpi svizzere, nel 1835 fu avvistata una sola specie di pianta. Nel 1937 erano già 10, per diventare 16 nel 2011. La flora tiene dunque il passo. In media, nel periodo degli anni Sessanta certificato, le specie aumentavano di 1,1: da allora nel decennio 2007-2016 si è passati a una media di 5,5 specie in più. Lo studio, coordinato dall’Università di Aarhu e condotto solo sulle piante che reagendo
al cambiamento climatico si sono spostate verso l’alto, non si sbilancia però nel prevedere gli scenari futuri, ma mette comunque in guardia sull’importante ruolo di sentinelle che hanno le piante e su possibili modifiche degli ecosistemi dovute a specie invasive. Anche in Italia, su Alpi e Appennini, le piante scalano senza sosta, soprattutto negli ultimi due decenni: la copertura vegetale è aumentata nelle zone montane, così come la presenza di specie termofile, ovvero legate a climi più miti. A certificarlo questa volta è il Cnr, che con i dati delle ricerche di Lter Italia e della rete mondiale di studi
ecologici, ha osservato come il riscaldamento globale stia modificando i nostri amati panorami, laghi alpini compresi. Da altri dati è emerso, per esempio, che nelle acque d’alta quota studiate ci sia stato “un aumento della temperatura delle acque superficiali stimata nei laghi subalpini in +0,2 °C per decade dagli anni ’70”. Un effetto che, oltre alle piante, ha prodotto l’allargamento della diffusione di specie di plancton legate a climi miti, ma anche, per esempio, una “riduzione dei nutrienti e della clorofilla fino al 50 per cento in due decenni”. Anche le immobili vette cambiano dunque, e le piante sono lì a ricordarcelo.
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STORIA E RICERCA
Microscopio la “chiave inglese” del biologo L’evoluzione dello strumento ottico per eccellenza dei ricercatori Un antico modello di microscopio. Nel riquadro, Zacaria Jannsen, a cui ne viene attribuita l’invenzione.
È
lo strumento ottico per eccellenza, la “chiave inglese” del biologo provetto. Stiamo parlando di sua maestà il “microscopio”, dal greco mikron “piccino” e skopein “guardare”, l’abecedario dei ricercatori, l’oggetto che proprio non può mancare sui banchi dei laboratori di analisi e che forse, più di tutti, ha contribuito a rivoluzionare il mondo della scienza. Ma ve lo siete mai chiesti? Come avrebbe fatto Alexander Fleming, senza microscopio, a scoprire la penicillina? E l’americano Willard Libby, inventore del metodo di datazione con il carbonio radioattivo? Fin dalla notte dei tempi la curiosità e il desiderio di conoscenza dell’uomo hanno spinto i nostri antenati a scrutare in profondità il creato. Uno sguardo rivolto verso l’alto, con gli occhi puntati sugli astri lumi-
di Gabriele Scarpa nescenti. L’altro verso il basso, nel tentativo di afferrare l’infinitamente piccolo. Si può dire che nasca da qui, da questo afflato vitale, l’idea stessa di realizzare uno strumento che fosse in grado di spalancare una visuale “privilegiata” sul mondo infinitesimale. Uno strumento, insomma, capace di “ravvivare” gli oggetti, ingrandendoli fino a renderli osservabili quasi fossero lì, a portata di mano. Non solo la luna e i pianeti, ma anche le pieghe nascoste delle cose, come quelle cavità separate da pareti che l’inglese Robert Hooke (1635-1703) scoprì nel sughero
ed in altri tessuti vegetali, e che lui stesso battezzò “cells”, piccole stanze, le nostre cellule. Hooke fu uno dei primi a migliorare il microscopio, dotandolo di un innovativo sistema di illuminazione che gli consentì, tra l’altro, tutta una serie di scoperte - tra cui alcuni particolari legati all’anatomia degli insetti – che poi espose nel libro “Micrographia”. Ben prima di lui, però, altri si erano cimentati nell’osservazione del “piccolo”. Non che fosse una novità, chiariamoci. Nei secoli della Grecia antica, era infatti risaputo che osservando un oggetto attraverso una lente di cristallo - antenate dei nostri occhiali da vista - lo si poteva ingrandire anche fino a dieci volte. Non a caso il primo rudimentale microscopio era composto da una semplice lente, un tubo e
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STORIA E RICERCA
(CC0) Lucas Vasques/www.unsplash.com
Un moderno esemplare di microscopio.
un piattino messo sul fondo. Questo sistema, con il trascorrere dei secoli, fu progressivamente potenziato con l’inserimento di più lenti sovrapposte, tra le quali si metteva un po’ d’acqua o del quarzo. Meccanismi artigianali se vogliamo, ma decisamente efficienti per quei tempi. Tuttavia, per trovare i primi e più efficaci strumenti per l’osservazione miniaturizzata delle cose, bisogna arrivare alla fine del XVI secolo, anche se l’invenzione vera e propria del microscopio, così come lo conosciamo noi oggi, resta tuttora avvolta nel mistero. Questo perché la sua storia coincide con quella della lente di ingrandimento e degli strumenti ottici da essa derivati, come il cannocchiale. Ebbene, dal momento che l’invenzione del “tubo” che osserva le stelle viene attribuita a Galileo Galilei (1564-1642), ecco che allora il famoso scienziato pisano si vede annoverare anche tra i padri nobili del microscopio. Ma c’è dell’altro. Galilei,
infatti, nel 1624, ne aveva addirittura inviato uno di sua costruzione, composto da una lente convessa e una concava, al principe Federico Cesi, fondatore dell’Accademia dei Lincei, che lui stesso aveva definito un “occhialino per vedere le cose minime”. Quell’occhialino, un anno più tardi, fu denominato “microscopio” dal tedesco Giovanni Faber (1574-1629), botanico, medico e collezionista d’arte trapiantato a Roma e a sua volta membro dell’Accademia dei Lincei. La parola voleva essere infatti analoga con il termine “telescopio”, nel frattempo coniato dai linceani per indicare, guarda caso, il cannocchiale di Galilei. Ora, concesso all’orgoglio tricolore ciò che gli è dovuto, è bene riferire anche ciò che altri studiosi sostengono sull’argomento. Secondo altri, infatti, il merito dell’invenzione spetterebbe più che al grande scienziato pisano alla bottega olandese di Hans e Zacaria Jannsen, fabbricanti di occhiali, che nel 1595, trent’anni prima dun-
que del grande pisano, costruirono uno strumento lungo poco più di 40 centimetri, composto da tre tubi che scorrevano uno dentro l’altro, regolando i quali era possibile ingrandire fino a trenta volte gli oggetti osservati. Un esemplare, probabilmente non autentico, di quel modello è oggi conservato al museo di Middelburg in Zelanda, nei Paesi Bassi. Altri ricercatori utilizzarono l’innovativo microscopio messo a punto dagli Jannsen, diffondendone sempre più l’impiego e poi migliorandolo. Tra questi - detto dell’inglese Hooke - va annoverato senz’altro Antoni van Leeuwenhoek (1632-1723), considerato un po’ il reale inventore del moderno strumento. Olandese come i suoi predecessori, ottico eccezionale, costui scoprì infatti che curvando le lenti inserite in una montature metallica, era possibile ottenere fino a circa 300 ingrandimenti. In tal modo lo studioso delle Fiandre riuscì a vedere, per primo, i batteri, in una goccia d’acqua di palude. Al fianco di van Leeuwenhoek meritano senz’altro una citazione anche i “nostri” Felice Fontana (1730-1805), microscopista tra i più grandi del XVIII secolo e Bartolomeo Panizza (1785-1867), cui si deve il merito di aver istituito il primo corso di anatomia microscopica all’università di Pavia. È invece molto più recente (e decisamente più potente!) il microscopio elettronico, inventato nel 1931 dai tedeschi Ernst Ruska e Manfred von Ardenne, i quali scoprirono che esaminando l’oggetto con un fascio di elettroni anziché con i normali fotoni (la luce visibile), era possibile ingrandire un particolare anche fino a più di 100mila volte. Un numero impressionante se si pensa alle vecchie “visualizzazioni” di un tempo. Eppure anche questa cifra sembra ormai consegnata alla... preistoria. Da allora, infatti, la ricerca ha fatto passi da giganti, così come la moderna tecnologia. E la produzione stessa di apparecchi ne ha risentito. In bene ovviamente. Dal 1950 un ulteriore decisivo passo in avanti lo si è avuto con l’introduzione del metodo di formazione delle immagini per scansione. Un meccanismo che ha via via ulteriormente potenziato il microscopio, andando incontro a sostanziali e sempre più sofisticati miglioramenti che hanno portato ad ottenere ingrandimenti fino a più di un milione di volte degli oggetti osservati. Il resto, con l’avvento del computer e la multimedialità, è storia recente. Tutta o in parte ancora da scrivere...
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SCIENZE
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Arte e Biotecnologie Conservazione preventiva di manufatti storico-artistici e tutela della salute di operatori/fruitori attraverso l’uso delle biotecnologie: un caso studio di Valentina Rotolo1, Enza Di Carlo1, Rosa Chisesi1, Mauro Sebastianelli2, Franco Palla1
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l biodeterioramento delle opere d’arte è un complesso processo imputabile a un elevato numero di macro-micro sistemi biologici. In particolare, funghi e batteri possono essere presenti e concentrarsi in ambienti confinati, come archivi, biblioteche, ambienti ipogei, musei e depositarsi sulla superficie dei manufatti artistici. Il loro sviluppo è in stretta relazione sia con i parametri ambientali (temperatura, umidità, illuminamento) sia con le caratteristiche fisico-chimiche dei substrati. Alcune specie batteriche e fungine sono in grado di rilasciare sui manufatti i prodotti delle loro attività metaboliche, inducendone il deterioramento e risultando potenzialmente pericolose per la salute di operatori/fruitori, perché in grado di liberare frammenti cellulari, pro-tossine nell’aerosol di ambienti confinati. Gli ambienti confinati sono caratterizzati da scambi ridotti con l’ambiente esterno e presentano numerose problematiche legate alle caratteristiche strutturali, alla posizione geografica, ubicazione e destinazione d’uso, alle tipologie di manufatti presenti [1, 2, 3]. Per poter garantire la sicurezza del patrimonio culturale presente in un ambiente confinato, è necessario valutare la vasta gamma di rischi ai quali può essere esposto [4, 5, 6], basandosi su una mirata diagnosi, fondamentale per la valutazione e la gestione del rischio biologico. La messa a punto di un protocollo interdisciplinare, che mette insieme osservazioni microscopiche, colture in vitro e analisi molecolari per la valutazione della contaminazione microbica di aria e superfici in ambienti confinati, permette la definizione degli Indici di “Attenzione” o “Rischio”. Le indagini microscopiche, così come le colture in vitro, possono permettere la caratterizzazione morfologica delle specie microbiche, il cui riconoscimento è senz’altro completato dalle biotecnologie, basate sull’analisi della molecola del DNA genomico microbico, che hanno fornito in questi ultimi anni procedure innovative, rapide e specifiche, che
completano la diagnostica del biodeterioramento dei beni culturali, permettendo l’identificazione microbica sia a livello di genere sia di specie. La possibilità di identificare i sistemi biologici mediante indagini molecolari si basa sulla possibilità di amplificare in laboratorio e sequenziare specifiche porzioni del DNA genomico, permettendo quindi di distinguere singoli individui microbici anche in consorzi complessi [7, 8].
Materiali e metodi Lo scopo di questo lavoro è stato quello di mettere a punto un protocollo standard per la valutazione della contaminazione biologica di aria e superfici in ambienti confinati, attribuendo alle specie biodeteriogene ritrovate nell’ambiente e sulle superfici un Indice di Attenzione o Rischio, con riferimento al potenziale danno esercitabile sia sui manufatti sia sulla salute dell’uomo. Il controllo microbiologico è stato affiancato da quello microclimatico; monitorare le condizioni ambientali è di fondamentale importanza perché le fluttuazioni di temperatura e umidità relativa influenzano la crescita microbica [8]. Il monitoraggio dei parametri ambientali si è articolato in due fasi: i) prima fase, definita come monitoraggio di breve periodo ed eseguita mediante apparecchiatura portatile, per la misura della temperatura, umidità relativa e illuminamento della sala, basan1) Università di Palermo, Laboratorio di Biologia e Biotecnologie per i Beni Culturali, Dipartimento di Scienze e Tecnologie Biologiche, Chimiche e Farmaceutiche (STEBICEF) – Sez. di Botanica ed Ecologia vegetale. 2) Museo Diocesano di Palermo.
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SCIENZE
dosi su una griglia di punti, al fine di conseguire una prima conoscenza dei valori locali di tali grandezze e rivelare eventuali gradienti, di temperatura e umidità, spaziali e temporali. Il rilievo dell’ambiente è stato eseguito in un intervallo di tempo non superiore ad un’ora e nelle ore centrali della giornata (dalle 12:00 alle 13:00 - dalle 13:00 alle 14:00); ii) seconda fase, l’analisi dei dati rilevati nella prima fase di monitoraggio, ha permesso di identificare i punti per le misure in continuo, cioè il monitoraggio di lungo periodo (annuale). La misurazione della temperatura, dell’umidità relativa e l’illuminamento in ambienti confinati è stata eseguita utilizzando i dispositivi HOBO U-12 006 e UX 100 della onset HOBO Data Loggers, con frequenza di misurazione oraria. In questo studio, sono riportati i risultati del monitoraggio dei parametri ambientali (da maggio 2014 a giugno 2015) e stagionalmente quello microbiologico (nei mesi di luglio e ottobre 2014, gennaio e aprile 2015), in una delle sale espositive presenti al primo piano del Museo Diocesano di Interno del Museo Diocesano di Palermo. Palermo, sulle cui pareti sono presenti affreschi del XVII/XVIII secolo. Il campionamento microbiologico è stato eseguito con metodi non invasivi sulle superfici dei manufatti (Fig.1 a, b), utilizzando tamponi sterili e frammenti, circa 2 cm2, di membrane sterili di Nylon (Hybond N+, Amersham) oltre che per l’aerosol mediante membrane sterili in gelatina (gelatine disposable membrane - 80 mm di diametro), ricorrendo al campio-
natore portatile AirportMD 80-Sartorius. Queste membrane presentano elevata efficienza anche per particelle sino a 1 micron-millimetro di diametro; per il campionamento è stato scelto un flusso pari a 2 metri cubi/h per 15 minuti (circa 0,5 m3 di aria). Tutti i campioni prelevati sono stati predisposti per l’analisi colturale, per le osservazioni al microscopio e per l’indagine molecolare. Per l’analisi colturale, i tamponi sterili, i frammenti di membrana di Nylon (superfici) e i filtri di gelatina (aerosol) sono stati utilizzati per inoculare il terreno di coltura Nutrien agar (Fig. 2, 3) contenuto in capsule Petri. I filtri in gelatina sono stati lasciati dissolvere nella componente acquosa dell’agar per 30 min. Tutte le piastre sono state incubate per 24-36 ore in stufa a 30°C. Inoltre, sono state inoculate anche capsule Petri contenenti terreno agarizzato Sabouraud, selettivo per funghi (composto da 1.5% di agar, 4% di destrosio, 1% peptomicolo e 16 μg/ml cloramfenicolo). Le piastre sono state incubate a 30 °C, sino a © Mauro Sebastianelli 7 giorni. Il profilo morfologico delle colonie isolate (Fig. 4, 5) è stato osservato ricorrendo al Microscopio Ottico (MO), direttamente per campioni batterici o dopo colorazione con reattivo di Lugol per i funghi (Fig. 6). Successivamente i campioni sono stati utilizzati per l’indagine molecolare, al fine di completare l’identificazione delle specie microbiche, basata sull’analisi di specifiche sequenze del DNA genomico microbico. In particolare, per l’estrazione del DNA genomico (batterico e fungino) sono stati utilizzati i kit della Fermentas, Genomic DNA purification e
© Giovanna Barresi © Giovanna Barresi
© Giovanna Barresi
Fig. 2. Filtri di gelatina usati per inoculare terreni di coltura. Fig. 3. Frammenti di membrana di Nylon usati per inoculare terreni di coltura.
© Giovanna Barresi
Fig. 4. Subcoltura di Bacillus subtilis su Nutrient agar. Fig. 5. Subcoltura di Penicillium sp. su Sabouraud agar.
SCIENZE Gene JET Genomic DNA purification, che hanno permesso una rapida ed efficiente purificazione del DNA genomico. I protocolli utilizzati hanno permesso di estrarre DNA da minime quantità (0.2-0.5 mg) di campione o da colonie microbiche isolate in coltura, in quantità e qualità ottimali per le successive reazioni di amplificazione in vitro, mediante la tecnica della Reazione a Catena della Polimerasi (PCR). Con la metodologia PCR è stato possibile amplificare specifiche sequenze bersaglio con elevata specificità e in tempi molto brevi. In relazione alla tipologia cellulare procarioti/eucarioti, i geni del DNA ribosomale 16S/18S e/o le rispettive porzioni intergeniche 16S-23S/18S-28S (ITS, Intergenic Transcribed Spacer), hanno costituito il target di queste reazioni. Specifiche sequenze del genoma batterico è stato amplificato utilizzando gli oligonucleotidi ITS1= 5’-GTCGTAACAAGGTAGCCGTA-3’ e ITS2= 5’-GCCAAGGCATCCACC-3’, come primer. Per l’identificazione del genoma fungino sono stati utilizzati i primer ITS4=5’-TCCTCCGCTTATTGATATGC-3’ e ITS1= 5’-CTTGGTCATTTAGAGGAAGTAA-3’ [9-11]. I prodotti delle reazioni di amplificazione (PCR) sono stati risolti mediante elettroforesi su gel di agarosio al 2%. Successivamente, determinata la composizione in basi dei singoli frammenti amplificati (Eurofin MWG operon service) e ricorrendo all’uso di software dedicati, è stato possibile eseguire l’analisi delle omologie tra queste sequenze e quelle dei genomi batterici e fungini depositate nelle Banche dati internazionali, identificando genere/specie microbica di appartenenza. La possibilità di caratterizzare diverse e specifiche porzioni Tab. 1 Specie batteriche e fungine identificate nell’aerosol.
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1a
1b Fig.1 a, b. Affreschi presenti sulle pareti della sala del museo oggetto di studio e le relative zone di campionamento di superficie.
namento di superficie, sono stati utilizzati per inoculare piastre Sabouraud, le colonie cresciute dopo incubazione a 30°C sono state caratterizzate mediante indagini di biologia molecolare. Le specie identificate sono riportate in tabella 2.
del DNA batterico/fungino ha fornito ulteriori informazioni sulla diversità genomica dei componenti il consorzio microbico, rivelando anche nuove specie microbiche.
Colonizzazione batterica su pareti affrescate (Fig.1 a,b) I frammenti di membrana di Nylon H+ sono stati utilizzati per inoculare piastre di Nutrient agar. Dopo incubazione a 30°C per 24h, sono state osservate numerose colonie batteriche, diversamente pigmentate, la cui identificazione è riportata in tabella 3. Tab. 3 Specie batteriche identificate sulle pareti affrescate (Fig 1a, b).
Risultati Tab. 2 Specie fungine identificate sulle pareti affrescate (Fig 1a, b).
Colonizzazione microbica dell’aerosol L’analisi dell’aerosol ha rivelato principalmente la presenza di funghi e in minor misura batteri appartenenti alle specie riportate in tabella 1. Colonizzazione fungina su pareti affrescate (Fig.1 a, b) I frammenti di membrana Nylon H+, utilizzati per il campio-
Parametri termo-igrometrici ambientali In Tab. 4 sono riassunti i dati del monitoraggio eseguito durante un anno solare (maggio 2014-aprile 2015) suddivisi in periodi (autunnale, invernale, primaverile, estivo) riconducibili alle quattro stagioni. La rivelazione di eventuali variazioni dei valori microclimatici e di illuminamento, che si distanziano da quelli ottimali per la conservazione e la esposizione di manufatti, rappresenta un’informazione fondamentale per una corretta conservazione preventiva.
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SCIENZE
Tab. 4 Valori di Temperatura (T), Umidità Relativa (UR) e Illuminamento (Lux) riferiti al periodo di campionamento.
Discussione e conclusioni Microrganismi come batteri e funghi sono presenti in tutti gli habitat della terra, con una duttilità metabolica che permette loro di colonizzare sia l’aerosol di ambienti indoor sia substrati di diversa natura. In particolare, in ambienti confinati come musei, archivi, biblioteche, ipogei, depositi, possono concentrarsi diverse unità microbiche e, se in tali aree sono presenti dei beni culturali, le loro superfici possono essere colonizzate da un ampio repertorio di microrganismi. In letteratura sono riportate diverse specie batteriche appartenenti a Bacillus, Micrococcus, Streptomyces, Actinomyces e fungine come Penicillum, Cladosporium, Aspergillus, Alternaria, Trichoderma, Rhizopus, che oltre sulla superficie dei manufatti sono presenti in ambienti confinati utilizzati per la conservazione/ fruizione [13, 14]. Come già osservato, il loro sviluppo è in stretta relazione sia con i parametri ambientali (temperatura, umidità, illuminazione) sia con le caratteristiche fisico-chimiche dei substrati. Particolare attenzione deve essere rivolta ai prodotti del loro metabolismo che, oltre ad indurre il deterioramento del manufatto, possono costituire un rischio per la salute di operatori e/o fruitori dei beni culturali esposti in ambienti confinati [13]. In questo studio è stato utilizzato un approccio multidisciplinare per definire la struttura e la composizione della microflora in ambienti confinati, il suo ruolo di deterioramento sul manufatto e i potenziali effetti sulla salute di visitatori/operatori [9]. I risultati hanno fornito informazioni utili sulla composizione e l’organizzazione dei consorzi microbici e, in particolare, in una delle sale espositive le condizioni ambientali hanno permesso principalmente lo sviluppo di specie mesofile e xerofile. Sono stati isolati gruppi fungini appartenenti prevalentemente a Cladosporium sp., Penicillium sp., Aspergillus sp., con una distribuzione simile durante le quattro stagioni di campionamento, sia nell’aria sia sulla superficie dei manufatti. Inoltre sono state identificate specie conosciute come potenziali allergeni,
come Arthrinium sp., Cladosporium herbarum; produttori di micotossine come Penicillium brevicompactum; agenti responsabili di varie infezioni (endoftalmiti, cheratiti, infezioni polmonari in soggetti immuno-compromessi) come Scopulariopsis brevicaulis; agenti di aspergillosi, onicomicosi come Aspergillus versicolor, patogeno opportunista, veicolato dalla polvere, spesso presente su manufatti in legno e su tessuti; ascomiceti come Chaetomium globosum che attacca il legno generando “carie soffice”. Tra le specie batteriche, meno frequenti rispetto alle fungine, sono state identificate: Kocuria rosea, Micrococcus luteus, Bacillus sp., Nocardiopsis dassonville, Bacillus cereus, Bacillus simplex, Pseudomonas rhizosphaerae, Corynebacterioides, Staphylococcus sp; oltre ad attinomiceti (Streptomyces sp., Nocardiopsis dassonvillei), microrganismi con alto potenziale biodeteriogeno e ottima capacità di adattamento ambientale. La carica microbica sia di funghi sia di batteri è risultata sempre ridotta e comunque inferiore ai limiti di tollerabilità. Una maggiore concentrazione e variabilità microbica è stata riscontrata nel periodo autunnale (Ottobre-Novembre 2014), in cui si è registrato un aumento dell’umidità relativa (62,5%), confermando che tale fattore condiziona lo sviluppo microbico. Funghi e batteri sporigeni, provenienti principalmente dall’ambiente esterno, sono veicolati e diffusi nell’ambiente museo attraverso i movimenti d’aria e i loro potenziali effetti nocivi, sui manufatti e sull’uomo, possono essere amplificati dalla presenza di composti volatili organici (COV) e strutture vegetali (pollini) [15]. I dati ottenuti suggeriscono, comunque, che la carica microbica e la qualità dell’aria è da considerarsi, dal punto di vista della salute, compatibile sia con la conservazione di manufatti storico-artistici sia con il tipo di attività svolta. Per quanto riguarda il monitoraggio microclimatico, i valori orari della temperatura [°C], rilevati dai sensori, sono compresi nei range previsti dalla norma soltanto per i mesi di maggio –
Fig.6. Aspergillus versicolor osservato al Microscopio Ottico dopo colorazione Lugol.
SCIENZE novembre, per cui si ha un indice di rischio molto basso; mentre sono ritenuti accettabili le condizioni nei mesi di aprile e di dicembre, per cui si può affermare che l’indice di rischio per i manufatti conservati nella sala è medio. Infine per i mesi di gennaio, febbraio, marzo, luglio, agosto, settembre, ottobre si ha un valore molto alto dell’indice di rischio. I valori orari dell’umidità relativa [%], come anche quelli di illuminamento sono compresi, quasi completamente, nei range previsti dalla norma. L’aspetto comunque più interessante è che dall’analisi complessiva dei dati risulta che si è vero che si hanno valori “critici” per l’ambiente da conservare, ma è pur vero che si è notato che su scala mensile i dati di temperatura hanno una stabilità enorme su scala giornaliera – settimanale e infine mensile; nell’arco di un mese l’escursione massima registrata è di circa 4°C. Di conseguenza, si suggerisce ai fini di una corretta conservazione di cercare di predisporre la sala con un sistema di condizionamento tale da mantenere le condizioni termo igrometriche uniformi durante tutto l’arco dell’anno. Le informazioni ottenute in questo studio hanno permesso di definire strategie multidisciplinari per la conservazione preventiva, per il monitoraggio dei parametri microbiologici e climatici di ambienti museali, al fine di realizzare azioni sia dirette sia indirette, volte a bloccare/ritardare il processo di biodeterioramento dei manufatti (modifiche del colore, formazione di macchie, fratture, distacco di frammenti ecc.). La possibilità di eseguire un intervento tempestivo, attuando le misure correttive appropriate, definendo modelli che considerino i rischi conseguenti all’esposizione a sistemi microbici ambientali, permette di intervenire in modo adeguato sia in circostanze di routine sia in eventuali emergenze. Quindi le indagini aerobiologiche assumono una particolare valenza nella determinazione delle vie di propagazione delle infezioni e nella definizione di un’appropriata strategia di conservazione preventiva.
Ringraziamenti Questo studio rientra nel progetto “Conservazione preventiva di manufatti storico-artistici e la tutela della salute di operatori/fruitori: monitoraggio e caratterizzazione delle specie microbiche presenti sulla superficie e nell’aerosol di ambienti confinati”, responsabile scientifico prof. F. Palla. V. Rotolo è stata recipiente di borsa di studio dell’Ordine Nazionale dei Biologi (2014-15), “Patologia clinica, microbiologia, biochimica clinica”. Si ringraziano i colleghi del Laboratorio di Biologia e Biotecnologia per i Beni Culturali, Dipartimento STEBICEF, Università degli Studi di Palermo.
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SCIENZE
Acidi grassi e qualità spermatica L’infertilità maschile legata all’obesità potrebbe essere il risultato di alterazioni che coinvolgono metabolismo lipidico ed energetico mitocondriale di Alessandra Ferramosca1, Mariangela Di Giacomo1 e Vincenzo Zara1 Introduzione
N
ei Paesi Occidentali, l’obesità rappresenta un importante fattore di rischio legato all’insorgenza di condizioni patologiche quali ipertensione, diabete, malattie cardiovascolari e alterazioni epatiche [1-5]. Inoltre, negli ultimi anni, numerosi studi hanno suggerito che l’obesità addominale può avere un impatto negativo sulla qualità del liquido seminale e sulla fertilità maschile [6]. Ciò si traduce sia in alterazioni ormonali [7-9], sia in cambiamenti che coinvolgono direttamente la funzionalità, il metabolismo e la composizione biochimica degli stessi spermatozoi. Allo stesso tempo, i depositi di tessuto adiposo possono rivestire un ruolo importante nell’insorgenza di uno stato pro-infiammatorio che coinvolge il microambiente testicolare e/o il sistema duttale. Questa condizione rappresenta il presupposto per l’aumento dei livelli di specie reattive dell’ossigeno (ROS), che possono alterare i normali pathway riproduttivi e la funzionalità degli spermatozoi [10,11]. Infatti, è noto che alti livelli di ROS sono associati al problema dell’infertilità maschile e alla scarsa motilità degli spermatozoi, in quanto le specie radicaliche sono in grado di arrecare danni alla maggior parte delle biomolecole (proteine, lipidi e DNA) [12], compromettendo al tempo stesso la funzionalità mitocondriale spermatica [13-15]. Pertanto, l’infertilità maschile legata all’obesità potrebbe essere il risultato di alterazioni che coinvolgono sia il metabolismo lipidico che il metabolismo energetico mitocondriale. In questo contesto, tutti quei supplementi alimentari in grado di modulare il metabolismo lipidico ed energetico mitocondriale potrebbero costituire un nuovo approccio nella prevenzione dell’infertilità. Tra questi, sono degni di nota gli acidi grassi, noti modulatori del metabolismo lipidico [1]. In particolare, gli acidi grassi
monoinsaturi (MUFA), e soprattutto l’acido oleico (n-9), aumentano il processo di ossidazione dei lipidi [16,17]; gli acidi grassi polinsaturi (PUFA) delle serie n-3 e n-6, invece, inibiscono la sintesi de novo degli acidi grassi a livello epatico [1]. Pertanto, l’acquisizione di maggiori conoscenze sui meccanismi biochimici e molecolari alla base dell’azione esercitata dagli acidi grassi introdotti con la dieta sulla qualità spermatica, potrebbe essere utile al fine di sviluppare nuovi approcci terapeutici volti alla prevenzione e/o trattamento dell’infertilità maschile correlata ad alterazioni del metabolismo lipidico.
Profili lipidici degli spermatozoi e qualità spermatica Nelle complesse relazioni tra nutrizione e fertilità maschile, due sono gli aspetti che suscitano particolare interesse: il confronto tra i profili lipidici spermatici di uomini fertili e non fertili e l’effetto esercitato dalla supplementazione della dieta con acidi grassi sui profili lipidici degli spermatozoi e, di conseguenza, sulla qualità spermatica. Nel bilayer fosfolipidico delle cellule spermatiche è presente soprattutto l’acido docosaesaenoico (DHA, C22:6 n-3), che si trova in percentuali maggiore rispetto alle altre cellule. In particolare, questo PUFA è localizzato a livello della testa dei gameti umani [18], dove sembra svolgere un ruolo critico nella reazione acrosomiale, come dimostrato in topi alimentati con una dieta povera di acidi grassi della serie n-3, in cui non è stata osservata alcuna reazione acrosomiale [19]. Adeguati livelli di DHA, inoltre, 1) Dipartimento di Scienze e Tecnologie Biologiche e Ambientali, Università del Salento, Lecce.
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SCIENZE sono correlati ad alcuni parametri della qualità spermatica: numero, concentrazione, vitalità, motilità progressiva e morfologia; al contrario, bassi livelli di DHA sono associati ad un aumento del tasso di frammentazione del DNA [20]. Un altro importante acido grasso con funzione strutturale negli spermatozoi è rappresentato dall’acido palmitico (C16:0), il più abbondante acido grasso saturo (SFA). Tuttavia, il ruolo di questo acido grasso nella determinazione della qualità spermatica appare abbastanza controverso. Alcuni studi, infatti, hanno evidenziato che un aumento dei livelli di acido palmitico, correlato ad un decremento del contenuto in PUFA, è associato a una riduzione della motilità spermatica; altri studi, invece, hanno mostrato la presenza di una correlazione positiva tra il contenuto di acido palmitico negli spermatozoi e la motilità o il numero di spermatozoi [20-23]. Per quanto concerne i MUFA, il più abbondante negli spermatozoi è l’acido oleico (C18:1 n-9), ma un aumento dei livelli di questo acido grasso è stato associato a una riduzione della motilità spermatica [22]. Recenti evidenze suggeriscono che gli acidi grassi introdotti con la dieta influenzino i profili lipidici degli spermatozoi e, a loro volta, la qualità del liquido seminale [24-26]. In particolare, mentre un aumento di SFA assunto con la dieta riduce la qualità spermatica, un aumento in PUFA ne determina un miglioramento [24, 26]. Inoltre, è noto anche che il rapporto tra PUFA n-6/n-3 riveste un ruolo chiave nel mantenimento sia dell’integrità della membrana degli spermatozoi che sia della funzionalità dei gameti. Un aumento di questo rapporto, infatti, è stato associato a una riduzione della qualità spermatica, in termini di numero dei gameti e di motilità [23].
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Gli acidi grassi e il metabolismo degli spermatozoi Il metabolismo ossidativo degli acidi grassi potrebbe essere particolarmente attivo nell’epididimo in seguito all’elevata concentrazione di carnitina e acetil-carnitina, che facilitano il passaggio degli acidi grassi all’interno dei mitocondri, sede della ß-ossidazione, processo mediante il quale i mitocondri sono in grado di ossidare sia gli acidi grassi saturi che quelli insaturi. La ß-ossidazione può quindi essere considerata uno dei pathway metabolici utilizzati dagli spermatozoi per sintetizzare ATP, in assenza di zuccheri esogeni. L’acil-carnitina o l’acil-CoA possono attraversare la membrana interna, contribuendo così al cataboli-
smo intra-mitocondriale degli acidi grassi [27-29]. Lo studio del proteoma del flagello degli spermatozoi umani ha recentemente suggerito che gli spermatozoi umani sono in grado di metabolizzare anche acidi grassi a lunghissima catena (più di 22 atomi di carbonio), utilizzando enzimi perossisomali [30]. È stato, infatti, ipotizzato che negli spermatozoi potrebbero essere attivi entrambi i pathway, quello mitocondriale e perossisomale, così che l’utilizzo degli acidi grassi come “combustibile” potrebbe essere più diffuso di quanto ritenuto in precedenza. Pertanto, in assenza di substrati esogeni, i gameti maschili potrebbero essere in grado di generare ATP, necessaria per la motilità degli spermatozoi, utilizzando pool endogeni di acidi grassi.
Intake di acidi grassi e qualità spermatica Utilizzando modelli animali nei quali è stato possibile indurre una condizione di obesità mediante la somministrazione di diete iperlipidiche, i ricercatori hanno dimostrato l’effetto negativo che l’obesità esercita sulla motilità e sul numero degli spermatozoi [31, 32]. I depositi di tessuto adiposo svolgono un importante ruolo anche nello sviluppo dello stress ossidativo, responsabile della compromissione dei normali processi riproduttivi e della funzionalità spermatica [10, 11]. A livello molecolare, questa condizione si traduce nell’ossidazione dei PUFA di membrana, nell’altera-
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SCIENZE
zione del potenziale di membrana mitocondriale, nella riduzione dell’efficienza della respirazione mitocondriale e nella frammentazione del DNA [33, 13]. L’aumento dei livelli di ROS, infatti, può causare un’alterazione della composizione in fosfolipidi delle membrane mitocondriali, compromettendo sia la selettività della membrana che il processo di fosforilazione ossidativa, con conseguente decremento della sintesi di ATP. Il ruolo chiave svolto dalla compromissione del metabolismo energetico nella determinazione della qualità spermatica è stato proposto utilizzando ratti alimentati con una dieta ad alto contenuto in grassi, ma povera di PUFA [32]. La somministrazione di questa dieta ha causato un significativo aumento della concentrazione di grassi e del peso corporeo e, allo stesso tempo, una significativa riduzione nella concentrazione e nella motilità degli spermatozoi. È stata, inoltre, osservata una corrispondenza tra l’eccesso di energia fornita dall’intake di grassi e lo scarso utilizzo tissutale di glucosio, con conseguente diminuzione della motilità spermatica [34-35]. La diminuzione del catabolismo del glucosio negli spermatozoi (suggerito da un decremento delle attività della lattato e della piruvato deidrogenasi) è stata associata a un decremento del ciclo di Krebs, con riduzione del flusso di equivalenti riducenti a livello mitocondriale. Parallelamente, sono stati riscontrati sia una significativa riduzione della funzionalità mitocondriale sia un decremento dei livelli di ATP nei gameti maschili.
Effetti dei MUFA sulla qualità e la funzionalità spermatiche Una delle fonti più note di MUFA è l’olio d’oliva (OO), che contiene sino all’83% di acido oleico. Il consumo di OO è stato promosso e consigliato, perché un’adeguata assunzione di questo olio è stata associata ad una ridotta prevalenza di alcune patologie, soprattutto croniche ed epatiche [36, 37]. Recenti studi condotti in modelli animali, infatti, hanno suggerito che l’aggiunta di OO ad una dieta iperlipidica è in grado di neutralizzarne gli effetti negativi esercitati da questa tipologia di dieta sulla qualità spermatica [38, 39]. In particolare, la supplementazione di OO ha determinato, negli animali obesi, un incremento significativo della motilità spermatica, associato a una riduzione dei livelli di stress ossidativo e a un aumento dell’efficienza respiratoria mitocondriale [39]. Il possibile ruolo svolto dai MUFA sul miglioramento della qualità spermatica è stato confermato anche da uno studio condotto in animali alimentati con estratti di avocado, ricca fonte di MUFA, dal momento che, in questo alimento, l’acido oleico costituisce circa il 60% del contenuto totale di acidi grassi. Quest’ultimo potrebbe essere responsabile della diminuzione degli spermatozoi anomali [40]. È possibile che la somministrazione di MUFA migliori la qualità spermatica, probabilmente modificando la composizione lipidica della membrana degli spermatozoi, riducendo i danni causati dallo stress ossidativo e ripristinando le attività degli enzimi mitocondriali coinvolti nel metabolismo energetico.
Effetti dei PUFA sulla qualità e la funzionalità spermatiche I PUFA influenzano i processi riproduttivi attraverso diversi meccanismi. Da un lato, questi acidi grassi possono promuovere
la perdita di grasso corporeo e la riduzione di peso, prevenendo così l’insorgenza dell’infertilità legata all’obesità; dall’altro, controllano aspetti specifici legati alla fertilità maschile [41, 42]. Infatti, questi acidi grassi, oltre ad essere componenti strutturali delle membrane cellulari, la cui fluidità è necessaria per promuovere eventi di fusione della membrana associati con la fecondazione, forniscono anche i precursori per la sintesi degli eicosanoidi, che sono in grado di modulare i pattern di espressione di molti enzimi chiave coinvolti nel metabolismo sia delle prostaglandine sia degli steroidi. Inoltre, alcune indagini hanno suggerito che questi acidi grassi sono in grado di migliorare l’attività antiossidante del liquido seminale e la qualità spermatica (numero, motilità e morfologia degli spermatozoi ed integrità del DNA) [43, 44]. In particolare, un miglioramento delle caratteristiche biochimiche dei gameti è stato osservato in seguito all’assunzione di olio di krill [39], di Nigella sativa e di estratti di noci [40]. A livello molecolare, è stato osservato che la supplementazione della dieta con PUFA della serie n-3 influenza anche il metabolismo degli spermatozoi, ripristinando l’attività di molti enzimi chiave, tra cui la isoforma della lattato deidrogenasi specifica degli spermatozoi (LDH-C4), e di alcuni enzimi del ciclo di Krebs (citrato sintasi, aconitasi e fumarasi). Allo stesso tempo, è stato osservato un parallelo aumento dei livelli cellulari di ATP ed una riduzione dei danni ossidativi [39]. È quindi possibile ipotizzare che una specifica composizione in acidi grassi della dieta sia in grado di contrastare gli effetti negativi esercitati, sui gameti maschili, da una dieta ad alto contenuto in grassi. In particolare, la somministrazione di PUFA della serie n-3, oltre a ridurre l’accumulo di grassi causato da una dieta che ne è ricca, riduce i danni ossidativi nelle cellule spermatiche e migliora il loro metabolismo energetico.
Conclusioni Negli ultimi anni, l’aumento della prevalenza dell’obesità è stato correlato a un decremento del potenziale riproduttivo nell’uomo. Sempre più evidenze scientifiche suggeriscono che la supplementazione della dieta con acidi grassi abbia un impatto sulla qualità e la funzionalità degli spermatozoi. In particolare, è stato osservato che diete ricche di SFA e povere di PUFA compromettono la qualità spermatica, mentre la supplementazione con PUFA ne determina un miglioramento. A tal proposito, utilizzando modelli animali nei quali è stato
SCIENZE possibile indurre una condizione di obesità mediante la somministrazione di diete iperlipidiche, recenti studi hanno dimostrato che la somministrazione di MUFA è in grado di contrastare gli effetti negativi indotti da una dieta ad alto contenuto in grassi, aumentando la motilità dei gameti, riducendo lo stress ossidativo e migliorando l’efficienza del processo di respirazione mitocondriale. La somministrazione di PUFA, soprattutto quelli della serie n-3, invece, ha determinato un miglioramento ancora più marcato della qualità spermatica, associato ad un aumento della concentrazione e della motilità degli spermatozoi, ad un incremento delle attività degli enzimi mitocondriali coinvolti nel metabolismo energetico degli spermatozoi e a una riduzione del danno ossidativo. Questi risultati contribuiscono, da un alto, a chiarire i meccanismi molecolari mediante i quali MUFA e PUFA agiscono su alterazioni metaboliche causate dalla somministrazione di una dieta ricca di grassi, che spesso caratterizza le abitudini alimentari delle popolazioni occidentali. D’altro canto, essi suggeriscono che gli acidi grassi introdotti con la dieta sono in grado di influenzare positivamente la qualità e la funzionalità degli spermatozoi, fornendo un nuovo e interessante approccio per il trattamento dell’infertilità maschile legata all’obesità. Questa ricerca, condotta nell’ambito del progetto “Obesità e infertilità maschile: ruolo degli acidi grassi nella modulazione del metabolismo energetico degli spermatozoi”, è stata finanziata dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Puglia.
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SCIENZE
Epigenetica ed età nella Biologia Forense Studio dei meccanismi di alterazione genica che variano nel corso della vita in risposta agli stimoli ambientali di Denise Albani1, Sergio Maione1, Emiliano Giardina1
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o studio dei caratteri visibili esterni (Forensic DNA phenotyping o FDP) negli ultimi tempi ha acquisito un ruolo rilevante nelle indagini forensi in quanto consente di dare informazioni investigative aggiuntive e preziose in assenza di soggetti di riferimento da confrontare con i profili genetici estrapolati da tracce biologiche rinvenute in situ. Sono stati condotti numerosi studi predittivi circa la possibilità di distinguere individui con occhi blu da individui con occhi marroni e la stessa accuratezza nei risultati è stata ottenuta da analisi sul colore dei capelli e sull’incarnato [1, 2, 3]. La determinazione dell’altezza e della morfologia del viso, inoltre, ancora in fase di sperimentazione vista la complessità dell’approccio metodologico, risulta essere un ulteriore tassello indicativo circa l’identificazione personale, ma come gran parte delle caratteristiche fenotipiche sopracitate risente dei cambiamenti indotti dall’avanzare dell’età. L’invecchiamento è un processo fisiologico influenzato da fattori genetici e ambientali che comporta una serie di modificazioni molecolari, tissutali e sistemiche con alterazioni nell’espressione genica [4]: la stima dell’età di una persona su base genetico-molecolare, dunque, può fornire un valido contributo alle indagini, riducendo il numero di potenziali sospettati coinvolti in episodi criminosi o dando informazioni utili in caso di resti cadaverici non identificati [5]. In ambito forense, l’età individuale è comunemente determinata attraverso analisi morfologiche su ossa e denti: metodiche di natura chimico-fisica, come la datazione del radiocarbonio e la racemizzazione dell’acido aspartico, consentono di stabilire con accuratezza l’età, ma sono vincolate alla disponibilità di componenti scheletriche. È stato utile, quindi, porre l’attenzione su tecniche molecolari che consentissero di ottenere informazioni circa l’età indivi-
duale a partire da campioni biologici facilmente riscontrabili su una scena criminis, quali sangue, saliva e liquido seminale. Nel caso di una violenza sessuale, infatti, predire l’età del presunto stupratore analizzando le tracce spermatiche presenti, consentirebbe di restringere notevolmente la cerchia dei possibili colpevoli, contribuendo a una risoluzione del caso in tempi più rapidi. Tra i primi approcci DNA-based utilizzati a tal proposito e non esenti da problematiche interpretative è possibile annoverare la quantificazione di riarrangiamenti nel DNA delle T-cell (sjTREC) [6], l’analisi di mutazioni a carico del DNA mitocondriale (es. 4977-bp deletion) [7] che tendono ad accumularsi con l’avanzare dell’età e lo studio della lunghezza dei telomeri leucocitari, che si riduce a ogni divisione cellulare. Negli ultimi anni, però, la comunità scientifica mondiale ha concentrato i propri sforzi e interessi sull’epigenetica e, in particolare, sulla metilazione del DNA, il cui studio ha consentito di rilevarne il valore altamente informativo se correlata all’età. L’epigenetica (dal greco επί, epì = “sopra” e γεννετικός, gennetikòs, gennetikòs = “relativo all’eredità familiare”) rappresenta l’insieme dei meccanismi ereditabili di alterazione nell’espressione genica che non inducono modificazioni nella sequenza del DNA e che variano nel corso della vita di un soggetto in risposta agli stimoli ambientali a cui esso è sottoposto. La metilazione del DNA, in particolare, è un processo biochimico necessario al corretto sviluppo del corpo umano che consiste nell’aggiunta di gruppi metile (-CH3) al carbonio in posizione 5’ dei residui di citosina presenti nei dinucleotidi CpG. Tra i diversi meccanismi epigenetici, la metilazione del DNA risulta essere responsabile del differenziamento cellulare e degli 1) Università Degli Studi di Roma “Tor Vergata”.
SCIENZE
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Polizia scientifica al lavoro.
effetti dell’età sull’organismo umano. Il pattern di metilazione o metiloma, infatti, si diversifica rapidamente nei primi mesi di vita e durante l’infanzia e tende a modificarsi con l’avanzare dell’età, subendo però un decremento quantitativo globale. Nei soggetti di sesso maschile i cambiamenti avvengono il 4% più velocemente che nelle donne e l’invecchiamento determina il verificarsi di eventi di ipo o ipermetilazione a carico di differenti regioni genomiche, complicando il quadro interpretativo generale. Studi recenti hanno avallato l’ipotesi secondo cui la metilazione funge da ponte tra la stabilità del genoma e il perenne dinamismo ambientale consentendo, ad esempio, di discriminare i gemelli monozigoti, aventi caratteristiche genotipiche identiche e non identificative, ma patterns di metilazione che, con il trascorrere del tempo, differiscono sempre più a livello quantitativo e qualitativo [8]. I lavori proposti finora dal panorama scientifico mondiale hanno effettuato una selezione dei markers di metilazione age-related (AR-CpGs) più adatti e dei saggi applicabili tenendo conto della tessuto-specificità dei patterns e dell’effettiva possibilità di lavorare in condizioni di low template e/o in presenza di DNA degradato, ottenendo risultati variegati e non sempre concordanti, dovuti anche alle differenze tra popolazioni [7]. Stabilire preliminarmente la natura della traccia da sottoporre ad analisi, infatti, non è sempre possibile: notevoli difficoltà
interpretative si possono incontrare, ad esempio, in caso di tracce miste in cui si ha la presenza simultanea di più fluidi biologici. In casi simili sarebbe risolutivo mettere a punto un saggio basato su markers universali che mostrino la medesima correlazione età-stato di metilazione in differenti matrici biologiche, sebbene questo sia complicato da realizzare [9]. La predizione dell’età di un soggetto che ha contribuito a una traccia biologica è da ritenersi corretta qualora lo scarto tra l’età predetta e l’età effettiva sia massimo di ± 5 anni: l’accuratezza nella predizione, in realtà, decresce con l’aumentare dell’età e raggiunge i livelli più bassi nella categoria tra i 60-75 anni [10]. Nei giovani il metiloma subisce cambiamenti estremamente rapidi associati a variazioni rilevanti nei caratteri visibili esterni: nelle prime fasce d’età, infatti, l’orologio epigenetico riflette l’età biologica che viaggia parallelamente all’età cronologica. Questo parallelismo, però, viene meno con l’avanzare dell’età a causa dello stile di vita e dell’insorgenza di patologie, tra cui i tumori, che determinano una deregolazione dei processi di metilazione del DNA. Da numerose ricerche il gene ELOVL2 (ELOVL fatty acid elongase 2, 6p24.2) è risultato il marker age-related maggiormente informativo ed è stato, pertanto, inserito in tutti i modelli predittivi ideati: tale locus è stato analizzato a partire da tracce ematiche datate, ma diversi studi hanno evidenziato la stretta
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correlazione tra il suo grado di metilazione ed età anche in altri tessuti umani [11]. Un modello ottimale applicabile in ambito forense, tecnicamente semplice e accurato, deve prevedere un numero relativamente limitato di CpGs analizzate, motivo per cui l’obiettivo da raggiungere è stato quello di selezionare marcatori con un grado di informatività pari o simile a ELOVL2 da affiancare tra loro per aumentare l’accuratezza nella predizione. Tra le diverse tecniche sperimentate per la valutazione dei livelli di metilazione del DNA, il pirosequenziamento è ritenuto, ad oggi, una delle metodiche più adatte in quanto è facilmente riproducibile in un laboratorio forense e necessita di un input di DNA ridotto. L’avvento della next-generation sequencing associata al sequenziamento dell’intero genoma con bisolfito, però, ha permesso di estendere lo studio di tutti i siti CpG presenti nel genoma umano al fine di facilitare la selezione dei marcatori age-related più efficienti. Il sequenziamento massivo parallelo, infine, ha consentito di analizzare simultaneamente i siti di metilazione del DNA e marcatori specifici dell’mRNA, dei quali è nota una stretta correlazione con l’età [12]: questo connubio tra informazioni, infatti, potrebbe rivelarsi utile per raggiungere una maggiore accuratezza e veridicità nella determinazione dell’età biologica di chi ha contribuito a depositare qualsiasi tipologia di traccia biologica.
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