Il Giornale dei Biologi - N.2 - Febbraio 2022

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Edizione mensile di AgONB, Agenzia di stampa dell’Ordine Nazionale dei Biologi. Registrazione n. 52/2016 al Tribunale di Roma. Direttore responsabile: Claudia Tancioni. ISSN 2704-9132

Giornale dei Biologi Febbraio 2022 Anno V - N. 2

POLMONITI DA COVID

La linea di difesa degli interferoni Intervista al prof. Giuseppe Novelli

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DELEGAZIONE REGIONALE CAMPANIA E MOLISE DELEGAZIONE REGIONALE LAZIO E ABRUZZO DELEGAZIONE REGIONALE LOMBARDIA DELEGAZIONE REGIONALE TOSCANA E UMBRIA DELEGAZIONE REGIONALE VENETO FRIULI-VENEZIA GIULIA E TRENTINO-ALTO ALDIGE

Corso teorico-pratico

Acquisizione e gestione dei campioni biologici e delle attività preanalitiche per finalità diagnostiche Parte teorica in modalità FAD dal 21 marzo 2022 all’11 aprile 2022 Parte pratica a cura delle Delegazioni organizzatrici

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Sommario

Sommario EDITORIALE 3

Nuove mete per i Biologi di Vincenzo D’Anna

PRIMO PIANO 6

Pandemia, scenario in miglioramento di Rino Dazzo

20 18

Le proteine del sangue chiave per una vita lunga e sana di Sara Bovio

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Il sovrappeso modifica il cuore dei bambini di Sara Bovio

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Le molecole per la comunicazione feromonale di Pasquale Santilio

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Contatti tra cellule: il ruolo della e-caderina di Pasquale Santilio

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Maculopatie: da pomodoro e lievito molecole antiossidanti di Pasquale Santilio

25

Nel latte materno spie del tumore al seno di Domenico Esposito

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Gravidanza: marcatori della depressione nel sangue di Domenico Esposito

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Il regista dei falsi ricordi di Domenico Esposito

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Da un alimento secolare la medicina per le patologie moderne di Giuseppe Palma

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Capelli ricci o lisci? Dipende dal microbiota cutaneo di Biancamaria Mancini

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La cosmetica nell’antichità greca e romana di Barbara Ciardullo

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I funghi contro l’invecchiamento cutaneo di Carla Cimmino

23 INTERVISTE 8

Polmoniti gravi da Covid-19. Una scoperta chiama in causa gli interferoni di Chiara Di Martino

12

Vasi sanguigni più forti contro diabete e arterosclerosi di Ester Trevisan

14

Bronco pneumopatia cronica ostruttiva. La cura del Don Gnocchi di Ester Trevisan

SALUTE 16

Pancreas artificiale per pazienti con diabete di tipo 2 di Domenico Esposito


Sommario AMBIENTE 40

Koala a rischio di estinzione di Giacomo Talignani

42

Animali in città. Il rapporto Legambiente di Gianpaolo Palazzo

44

Il ritorno della biodiversità di Gianpaolo Palazzo

46

Il guardiano del Mediterraneo di Gianpaolo Palazzo

62 SPORT

48

Più estrazioni di gas sul territorio italiano di Michelangelo Ottaviano

58

49

Perdita della biodiversità e conseguenze sul clima di Sara Bovio

Fontana infinita. Curling da copertina: il bilancio dei giochi invernali di Antonino Palumbo

61

Atleta solitario sui pedali per 29mila chilometri di Antonino Palumbo

62

Il miracolo d’argento di Goggia e la medicina rigenerativa di Antonino Palumbo

65

Ravasi, il riscatto in sella parte… dalla tavola di Antonino Palumbo

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BREVI

INNOVAZIONE 50 53

Il recettore che fa crescere gli embrioni, ma anche i tumori di Elisabetta Gramolini Come il Dna si protegge dalla luce solare di Pasquale Santilio

LAVORO 68

Concorsi pubblici per Biologi

SCIENZE 72

Alterazioni degli equilibri ambientali di Giuliano Russini

76

Il cambiamento climatico. Un tema al centro della politica internazionale di Antonella Pannocchia

82

Sla e atrofia muscolare spinale: nuovi studi di Cinzia Boschiero

44 BENI CULTURALI 54

L’Abbazia di Santa Maria di Cerrate. Architettura Romanica, arte Bizantina di Rino Dazzo

57

Villa Buonaccorsi diventa patrimonio dello Stato di Pietro Sapia

ECM 86

Sars-cov-2 e sicurezza alimentare: il rischio di infezione attraverso gli alimenti di Giovanni Antonini


Editoriale

Nuove mete per i Biologi di Vincenzo D’Anna Presidente dell’Ordine Nazionale dei Biologi

C

i avviamo verso la fase operativa Lazio che ha riformato in alcune parti il regodel processo elettorale. Nell’ulti- lamento elettorale adottato lo scorso anno ed ma seduta di febbraio, il Consiglio impugnato da tre componenti del Consiglio dell’Ordine ha deliberato su tutta dell’Ordine. La sentenza statuisce che c’era

una serie di argomenti che daranno il via libera piena legittimità da parte dello stesso Consiglio ai commissari straordinari di procedere all’organizzazione delle votazioni, previste entro la fine dell’anno, per la scelta e l’indicazione dei consigli direttivi, dei presidenti degli undici Ordini regionali dei Biologi e

ad adottare un regolamento Il Consiglio dell’Onb ha deliberato una serie di argomenti che daranno il via libera ai commissari di procedere all’organizzazione delle votazioni

elettorale, eccependo su tre questioni: il rispetto della parità di genere nella composizione delle liste, l’obbligo in capo al Consiglio dell’Ordine - e non ai commissari straor-

di tutti gli organi previsti dalla legge 3 febbra- dinari - di elaborare gli elenchi degli aventi diio 2018 sulla riorganizzazione territoriale del ritto al voto; la ultronea possibilità di istituire nostro ente.

seggi elettorali decentrati. Tutti gli altri articoli

In uno con queste decisioni sono venute an- regolamentari sono stati lasciati inalterati. Per che altre deliberazioni che riguardano ulterio- quanto riguarda il regolamento riformato seri novità a vantaggio della categoria. La prima condo la sentenza del Tar (che sarà impugnata riguarda la presa d’atto della sentenza del Tar innanzi al Consiglio di Stato, per un eventuaGdB | Febbraio 2022

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Editoriale

le riforma della sentenza stessa), va detto che dare realizzazione al crono programma definientro il prossimo mese di aprile il Ministero to nel protocollo d’intesa con l’ONB. pubblicherà il proprio regolamento elettorale

Un’ulteriore notizia ci proviene dalla ap-

e probabilmente porrà termine anche alla dia- provazione nel Decreto Milleproroghe pretriba giudiziaria.

disposto dal Governo, all’ultimo esame del

Ancora. Giova comunicare che sono stati Parlamento, di un emendamento che conassegnati appositi fondi in dotazione esclusi- sentirà di riempire taluni vuoti legislativi preva dei commissari straordinari per il mante- senti nella legge che ci ha portati nel novero nimento delle sedi in loro possesso (ex dele- delle professioni sanitarie. In breve, il corretgazioni regionali) e sono state approntate le spese necessarie a predisporre l’organizzazione della macchina elettorale. Infine, la nomina dei coadiutori dei commissari medesimi per il regolare svolgimento delle operazioni ai seggi e gli

tivo approvato chiarisce che I siti internet delle ex delegazioni saranno oscurati e saranno sostituiti da quelli dei nascenti ordini regionali, nella disponibilità dei commissari medesimi

l’Ordine ed il suo Consiglio resteranno in carica fino al 31.12.2022 allorquando il tutto passerà nelle mani di un commissario di governo che traghetterà i presidenti eletti in ciascuna regione a

ausili tecnici e giuridici che dovessero eviden- riunirsi per eleggere gli organi previsti nella ziarsi come necessari. A breve, i siti internet futura Federazione degli Ordini Regionali delle ex delegazioni saranno oscurati e saran- dei Biologi, trasferendo alla medesima tutte no sostituiti da quelli dei nascenti ordini regio- le competenze che prima appartenevano al nali nell’esclusiva disponibilità dei commissari disciolto Ordine Nazionale dei Biologi. Una medesimi. Si conclude in tal modo il passaggio precisazione, questa, resasi necessaria perché di consegne a coloro che sono stati designati non esplicitata nella legge 3 febbraio 2018 e dal Ministero quali arbitri e controllori della che avrebbe lasciato la Federazione senza la fase elettorale, nei tempi e nei modi di legge e facoltà di subentrare in tutto all’Onb. Ritordi buon senso. Ai commissari toccherà anche nando al Consiglio dell’Ordine, c’è da rimar4

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Editoriale

care la deliberazione con la quale si accettano private, sedi di scuole di specializzazione: altri le proposte del Commissario liquidatore del- posti per corsi di specializzazione riservati anla Fondazione Biologi Italiani che ritornerà che ai biologi, dunque, che andrebbero a somquindi ad una funzionalità propria dopo le marsi a quelli banditi già dai medesimi atenei. controversie del passato, ovviamente con un Un incremento che coprirà le carenze di posti nuovo regolamento, di stampo democratico, e nella genetica ad indirizzo embrionale e nell’inuove e più ampie funzioni ed attività. Dopo giene ambientale che porterà ai professionisti la Società Scientifica di Biologia ed Alimenta- di quel ramo una nuova opportunità. Fermo zione (SIBA) ed il Coordinamento Naziona- restando le specializzazioni già note per l’acle dei Biologi Ambientali, la Fondazione completa dunque il novero delle forme organizzative che saranno abilitate a svolgere importanti funzioni ed a raggiungere precipui scopi per tutti i Biologi. Nota di

cesso dei Biologi. Insomma, La Fondazione Biologi Italiani ritornerà ad una funzionalità propria dopo le controversie del passato, con un nuovo regolamento, di stampo democratico

cronaca: la Fondazione avrà

tutto il Consiglio, in uno con il suo presidente, porterà al pieno completamento quel lungo elenco di cose necessarie al rilancio della categoria ed all’aumento delle opportunità per i biologi. Una bella

nel suo seno anche prestigiosi partners come notizia per chiudere: il Ministero della Salute Enpab, Ministero della Salute, Ministero del ha proposto l’Ordine dei Biologi per il confeLavoro ed altre Fondazioni IRCCS oppure rimento della medaglia al merito sanitario per Università in grado di ampliare la gamma del- l’opera svolta da tutti i biologi nel corso della le opportunità formative e professionali offer- crisi pandemica da Covid-19. Un bell’attestate ai Biologi.

to che va ad unirsi ai vari provvedimenti legi-

In ultimo, è opportuno sottolineare il man- slativi attenuti in questi due anni a vantaggio dato che il Consiglio ha attribuito al presiden- della nostra categoria. Nuove mete raggiunte te di esperire tutti i tentativi possibili per isti- dalle quali prenderanno il via quelle ancora tuire presso le sedi universitarie pubbliche e da conquistare. GdB | Febbraio 2022

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Primo piano

PANDEMIA, SCENARIO IN MIGLIORAMENTO STOP ALLO STATO D’EMERGENZA DAL 31/3 I dati sulle ospedalizzazioni milgiorano, ma il numero dei decessi è ancora elevato Quarta dose di vaccino per chi ha fragilità. Per gli altri, si deciderà in vista dell’autunno di Rino Dazzo

L

a bufera non è passata del tutto, ma all’orizzonte si stanno materializzando finalmente ampi squarci di sereno. Dopo due anni di sacrifici e sofferenze, gli italiani intravedono la sospirata uscita dal tunnel dell’emergenza. I nuovi casi giornalieri sono in netta diminuzione (si è passati dai 150mila di media dell’ultima settimana di gennaio ai 45mila di fine febbraio), così come le ospedalizzazioni: in tutto il Paese, secondo quanto rilevato da Agenas, il tasso di occupazione delle terapie intensive dei pazienti alle prese con complicazioni legate al Covid è inferiore al 10%. Anche la mortalità è in flessione, seppur più lentamente. Insomma, si può guardare al futuro con maggiore serenità e fiducia, con la consapevolezza, tuttavia, che la partita non è ancora vinta e che la guardia va tenuta alta, almeno per le fasce più fragili della popolazione.

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Scrive il Ministero della Salute nel suo ultimo monitoraggio settimanale: «L’epidemia, caratterizzata dalla assoluta predominanza della variante Omicron, conferma un trend in decrescita nell’incidenza, nella trasmissibilità e anche nel numero dei ricoveri». Merito, essenzialmente, dell’efficacia della campagna vaccinale che ha consentito di immunizzare con ciclo completo oltre il 90% della popolazione over 12: «L’elevata copertura vaccinale, in tutte le fasce di età, anche quella 5-11 anni, il completamento dei cicli di vaccinazione e il mantenimento di una elevata risposta immunitaria attraverso la dose di richiamo, con particolare riguardo alle categorie indicate dalle disposizioni ministeriali, rappresentano – sottolinea il Ministero – strumenti necessari a mitigare l’impatto soprattutto clinico dell’epidemia». Il dibattito, anche tra gli esperti, è sempre aperto: quanto il miglioramento della situazione è merito dei vaccini e quanto della minor le-


Primo piano

talità di Omicron? O piuttosto, si può pensare a una combinazione di entrambi i fattori? In attesa che gli studi diano chiare risposte, rimane prioritario il monitoraggio di eventuali nuove varianti del virus, che potrebbero presentare margini di maggiore pericolosità. L’ultima mutazione data in aumento in varie parti del mondo, anche se ancora poco presente in Italia, è una sorella minore di Omicron: BA.2, subito ribattezzata Omicron 2. Per l’Organizzazione Mondiale della Sanità si tratta di una variante da tenere d’occhio, avendo un certo vantaggio in termini di velocità di propagazione rispetto alla Omicron originale, da cui si differenzia per alcuni cambiamenti della sequenza genetica degli amminoacidi nella proteina Spike e nelle altre proteine che la compongono. È più pericolosa? Stando alla casistica registrata in Sudafrica, nel Regno Unito e in Danimarca, no: almeno per i vaccinati a ciclo completo o per chi è guarito dall’infezione, sviluppando difese anticorpali. Un’altra domanda che si pone la comunità scientifica è la seguente: perché in Italia muoiono ancora così tante persone a causa della malattia? Rispetto ai 375 al giorno del 31 gennaio si è scesi in meno di quattro settimane a circa 250, un numero comunque molto alto. Per Fabrizio Pregliasco, docente della Statale di Milano, bisogna scindere i decessi «per» e «con» Covid: «Il 60% di positivi nei reparti ordinari muore per Covid, il 40% con Covid. In terapia intensiva è solo il 23% con Covid, quindi il grosso è per Covid». Per Massimo Galli, ex responsabile del reparto malattie infettive del Sacco di Milano, potrebbe trattarsi di colpo di coda della variante Delta: «Una delle cose che vorrei sapere è quanti decessi tra quelli registrati sono Omicron». Il virologo Andrea Crisanti tira in ballo i no vax: «La maggior parte dei ricoverati in terapia intensiva, circa il 72%, sono non vaccinati. I

L’ultima mutazione data in aumento in varie parti del mondo, anche se ancora poco presente in Italia, è una sorella minore di Omicron: BA.2, subito ribattezzata Omicron 2.

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decessi sono legati soprattutto a persone molto anziane, che sono affette da diverse patologie». Mentre per Matteo Bassetti, del San Martino di Genova, presto si arriverà a cifre meno traumatiche: «Spero che nelle prossime settimane si arrivi sotto la soglia dei cento al giorno, sempre altissimo come numero, ma più accettabile e anche più in linea con altri paesi». Intanto, come annunciato dal premier Mario Draghi, lo stato di emergenza si chiuderà ufficialmente il prossimo 31 marzo. Cosa cambierà? Le scuole resteranno sempre aperte per tutti, con l’eliminazione delle quarantene da contatto. Cesseranno l’obbligo delle mascherine FFP2 in classe e quello delle mascherine all’aperto, mentre rimarrà in vigore l’obbligo vaccinale per gli over 50, il cui termine è fissato per il 15 giugno. Addio anche ai colori diversi delle regioni, ai cui servizi sanitari sarà delegata l’organizzazione in proprio del proseguimento della campagna vaccinale. Che va avanti, visto che sono arrivate le dosi di Novavax, destinate a chi è ancora sprovvisto di copertura vaccinale, ed è iniziata la somministrazione della quarta dose Pfizer o Moderna, raccomandata a chi ha dai 12 anni in su e presenti marcata compromissione della risposta immunitaria. È il caso, ad esempio, dei pazienti in attesa di trapianto o di quelli con patologia oncologica trattata con farmaci immunosoppressivi. Per chi rientra in questa categoria è prevista la somministrazione di una dose ulteriore di richiamo di vaccino a mRna a distanza di almeno 120 giorni dalla terza. Per il momento non si parla di quarta dose anche per gli altri, anche se il direttore dell’Agenzia italiana del farmaco, Nicola Magrini, ha prefigurato uno scenario: «In autunno probabilmente quarta dose per over 50 o 60. Dipenderà dalla circolazione del virus e dall’arrivo di nuove varianti». GdB | Febbraio 2022

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Intervista

POLMONITI GRAVI DA COVID-19 UNA SCOPERTA CHIAMA IN CAUSA GLI INTERFERONI Un gruppo di geni distrugge le molecole che fanno da barriera contro l’infezione da SarsCoV2 Come? Lo spiega Giuseppe Novelli, nome di punta del team internazionale dietro la scoperta

di Chiara Di Martino

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orta anche la firma di ricercatori italiani la scoperta che rivela il meccanismo all’origine delle forme gravi di Covid-19: a confermare gli indizi che puntavano il dito verso un gruppo di geni è una ricerca partita nel 2020 grazie a un gruppo internazionale coordinato da Jean-Laurent Casanova della Rockefeller University con il consorzio Internazionale di genetica “Covid Human Genetic Effort”, Università di Roma Tor Vergata, Istituto San Raffaele di Milano, Università di Brescia e Ospedale Bambino Gesù di Roma. Pubblicata sulla rivista Nature, la scoperta svela la chiave per comprendere perché in alcuni soggetti la malattia scatena polmoniti aggressive e in altri no. In sintesi, la differenza sembra farla “l’ospite”: buona parte dei malati gravi, infatti, ha un “difetto di interferone”, non riesce cioè a produrre o addirittura distrugge la molecola che gioca un ruolo chiave contro la tempesta di citochine tipica delle forme severe di Covid-19. A spiegarlo nel dettaglio è Giuseppe Novelli, Ordinario di Genetica Medica all’Università di Roma Tor Vergata e Professore Aggiunto all’Università del Nevada. Alla scoperta si è arrivati in modo mirato o, come spesso accade nella ricerca, ci si è “inciampati” per caso?

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Vede, la serendipità si riscontra spesso nella ricerca, ma si verifica tuttavia soltanto quando esiste un razionale scientifico. Se i mammiferi non avessero la capacità di produrre o riconoscere gli interferoni, soccomberebbero rapidamente durante un’infezione virale. Pertanto, con i colleghi appartenenti al Consorzio Internazionale COVID-19 Human Genetic Effort abbiamo pensato di approfondire la genetica, l’immunologia e la biochimica degli interferoni nel COVID-19. Qual è il ruolo dell’interferone? Sarebbe meglio parlare di interferoni al plurale, perché ne esistono diversi. Si tratta di mediatori indispensabili delle prime difese cellulari intrinseche contro agenti patogeni invasori come i virus. I tre tipi principali sono: IFN-I), IFN-II e IFN-III, e sono diversi per caratteristiche genetiche, strutturali e funzionali, nonché per l’utilizzo dei recettori. Gli interferoni costituiscono quindi la linea di difesa verso le infezioni virali favorendo e stimolando l’immunità innata e orchestrando l’immunità adattativa. Promuovono diverse attività antivirali, antiproliferative, immunomodulatorie e regolatorie. Di conseguenza, la loro carenza ha effetti devastanti sulle infezioni virali. Ci spiega in modo semplice cos’è l’immunità innata? Il sistema immunitario innato funziona come


Intervista

la prima linea di difesa dell’ospite contro gli agenti patogeni, compreso SARS-CoV-2. Le risposte immunitarie innate limitano l’ingresso, la traduzione, la replicazione e l’assemblaggio virale, e aiutano a identificare e rimuovere le cellule infette coordinando e accelerando lo sviluppo dell’immunità adattativa. L’immunità innata è attivata da recettori tipo sensori specifici che riconoscono “invasori” che a loro volta attivano pattern di geni diversi che innescano risposte infiammatorie e la morte cellulare programmata delle cellule infette, limitando l’infezione virale e promuovendo l’eliminazione. Tuttavia, un’eccessiva attivazione immunitaria può portare a infiammazioni sistemiche e malattie gravi. I coronavirus hanno sviluppato strategie di evasione per contenere l’immunità innata e limitare il controllo dell’ospite sulla loro replicazione e trasmissione. Qual è stata l’evidenza più importante dello studio? Quello di aver scoperto che nelle forme gravi di COVID-19, rari errori congeniti dell’immunità ovvero mutazioni in geni nel 5% dei pazienti (ad esempio TLR3, TLR7, IRF7, IRF9) del circuito dell’interferone che interrompono la produzione o l’utilizzo degli interferoni di tipo I e III. Abbiamo trovato evidenza dell’esistenza, nel 15% dei pazienti, di autoanticorpi preesistenti che neu-

Buona parte dei malati gravi ha un “difetto di interferone”, non riesce cioè a produrre o addirittura distrugge la molecola che gioca un ruolo chiave contro la tempesta di citochine tipica delle forme severe di Covid-19.

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Giuseppe Novelli.

tralizzano 15 dei 17 interferoni di tipo I. Quindi possiamo affermare che nel 20% dei pazienti con polmonite COVID-19 pericolosa per la vita esiste un difetto di interferone. Una percentuale così elevata non ha precedenti per le malattie infettive comuni. Quali implicazioni ha per le cure? Diverse, perché consente di identificare soggetti particolarmente a rischio e trattarli in modo differenziato, ad esempio con l’IFN-β, con anticorpi monoclonali che neutralizzano SARSCoV-2 o mediante plasmaferesi per eliminare gli autoanticorpi anti-IFN e quindi sviluppare protocolli di medicina personalizzata anche per il COVID-19. Sarà possibile individuare preventivamente chi potrebbe sviluppare una forma grave di Covid-19? Certamente sì. Lo screening degli auto-anticorpi anti-IFN è un test semplice e poco costoso, ma anche la ricerca di mutazioni dei geni del circuito di interferoni è possibile attraverso pannelli multigenici con tecnologia NGS, ne abbiamo progettati alcuni che saranno pronti nei prossimi mesi. Quali sono i prossimi step? Intanto, scoprire quali altri geni dell’ospite sono coinvolti nella suscettibilità e nella resistenGdB | Febbraio 2022

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Intervista

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Il team

Sono molti i virus respiratori che emergono continuamente. Le manifestazioni cliniche di tutte le infezioni virali respiratorie sono immensamente eterogenee e vanno dall’infezione silenziosa alla malattia letale.

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za all’infezione. Infatti, è noto che nel COVID-19 esistono gli asintomatici, i pazienti con sintomi lievi, quelli con sintomi gravi da finire in terapia intensiva. Cosa c’è alla base di queste differenze fenotipiche? Quali sono le interazioni con altri fattori? Sono le domande a cui vogliamo rispondere. La scoperta ha implicazioni anche per altri tipi di infezione? Certamente. Sono molti i virus respiratori che emergono continuamente. Le manifestazioni cliniche di tutte le infezioni virali respiratorie sono immensamente eterogenee e vanno dall’infezione silenziosa alla malattia letale. Le nostre ricerche hanno aperto la strada allo studio dei determinanti molecolari, cellulari e immunologici di queste patologie indotte da virus respiratori.

D

ietro la scoperta che modifica radicalmente le conoscenze sulle polmoniti da Covid-19 c’è un gruppo di amici e colleghi nel campo degli Errori Congeniti dell’Immunità, appartenenti a Università e Ospedali di molti Paesi. “Ogni lunedì ci incontriamo su piattaforma Web per discutere di queste problematiche con entusiasmo, a beneficio dell’umanità – spiega Giuseppe Novelli -. Desidero soltanto qui citare il nostro coordinatore, Prof. Jean Laurent Casanova della Rockfeller University di New York e i colleghi e amici del laboratorio di Genetica Medica del Bambino Gesù di Roma che lavorano strettamente con noi in questo progetto”.


Eventi tecnico-divulgativi

RETE NATURA 2000 SISTEMI AGRO-ZOOTECNICI E BIODIVERSITÀ Gennaio-aprile 2022

Per registrarsi e visionare il calendario completo e i dettagli dei singoli eventi accedere a: https://eventplatform.poloaa.it/home

www.onb.it GdB | Febbraio 2022

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Intervista

VASI SANGUIGNI PIÙ FORTI CONTRO DIABETE E ARTERIOSCLEROSI L’Università di Padova fa luce su un particolare meccanismo metabolico. Ne parliamo con Massimo Santoro, autore dello studio pubblicato sulla rivista Nature Metabolism

di Ester Trevisan

U

n’arma cruciale per vincere la battaglia contro il diabete, passato in pochi anni in Italia da una incidenza nella popolazione del 3,8% al 5,8%, e l’arteriosclerosi, una delle più importanti cause di morte e di disabilità in Europa e nel mondo, è rappresentata dalla regolazione della forza elastica dei vasi sanguigni. Ma come è possibile controllarne la forza nelle persone affette da queste due patologie? La risposta arriva dallo studio Oxidative pentose phosphate pathway controls vascular mural cell coverage by regulating extracellular matrix composition, condotto dall’Università di Padova e pubblicato sulla rivista Nature Metabolism, che ha fatto luce su un particolare meccanismo metabolico. Per capire in cosa consiste questo nuovo studio e qual è la sua portata in termini di possibili terapie, abbiamo intervistato il professor Massimo Santoro, direttore del Laboratorio di Angiogenesi e metabolismo dei tumori dell’Università di Padova e autore dello studio. Professore, come funziona il processo metabolico oggetto della vostra ricerca? Per comprendere come funziona il processo metabolico oggetto della nostra ricerca, bisogna avere ben chiara la struttura dei vasi

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sanguigni. Dobbiamo immaginarli come tubi dove circola il sangue e composti da tre strati: il primo formato da cellule endoteliali, il secondo composto da una matrice extracellulare e il terzo da cellule muscolari lisce. Questa struttura complessa consente di trasmettere il sangue dal cuore fino agli organi più periferici. Grazie al nostro studio, abbiamo scoperto che le cellule endoteliali utilizzano il glucosio per produrre matrici proteiche importanti per la formazione e stabilizzazione dei vasi sanguigni che devono essere elastici per consentire al cuore di pompare sangue, ma allo stesso tempo devono essere anche rigidi. Quali effetti provoca questo meccanismo sul glucosio e sui vasi sanguigni? Abbiamo scoperto che il glucosio viene convertito attraverso processi metabolici che favoriscono la produzione delle matrici extracellulari, in particolare dell’elastina, una molecola molto importante perché consente di mantenere elastici i vasi sanguigni. Il glucosio viene quindi utilizzato attraverso nuovi meccanismi metabolici per produrre parete vascolare. Qual è l’impatto terapeutico che la vostra scoperta può avere sui pazienti diabetici? I diabetici hanno livelli alti di glucosio nel sangue e le pareti dei loro vasi sanguigni sono


Intervista

molto rigide. Il glucosio in eccesso viene utilizzato dal processo metabolico per produrre elastina che tende a stabilizzare e rafforzare i vasi. Il processo metabolico funziona grazie a degli enzimi che si possono inibire tramite farmaci specifici. In futuro vogliamo usare questi farmaci inibitoriprima su modelli animali diabetici e, in un secondo step, in trial clinici su pazienti umani. Oltre al diabete, quali altre patologie potrebbero trarre beneficio dalla vostra ricerca? L’arteriosclerosi, che è provocata dalla rigidità dei vasi sanguigni resi tali da un eccesso di cellule muscolari lisce. Grazie al rafforzamento dell’elastina attraverso il glucosio, il sistema venoso e arterioso riacquisisce tonicità. La nostra scoperta fornisce le conoscenze per decifrare ulteriormente le cause di malattie genetiche e metaboliche associate ai vasi sanguigni, tra cui, appunto, diabete e arteriosclerosi. Diabete e arteriosclerosi sono patologie riguardanti entrambe la comunicazione e le alterazioni metaboliche a carico delle cellule che compongono i vasi sanguigni. Quanto è durato lo studio e come è nato? Circa 5 anni. Come a volte accade, si tratta di una scoperta casuale. Siamo partiti pensando di scoprire altri meccanismi e di impattare sull’attività endoteliale nei tumori e, invece, lo studio ci ha portati a indagare le conseguenze su diabete e arteriosclerosi. Il carattere della nostra ricerca è di base, non applicativa, ma apre le porte allo screening di farmaci che mi-

I diabetici hanno livelli alti di glucosio nel sangue e le pareti dei loro vasi sanguigni sono molto rigide. Il glucosio in eccesso viene utilizzato dal processo metabolico per produrre elastina che tende a stabilizzare e rafforzare i vasi.

© Syda Productions/shutterstock.com

Massimo Santoro.

gliorino la fitness metabolica delle cellule endoteliali e murali sia in condizioni di salute che in caso di malattia. Oltre all’Università di Padova, quali altri enti hanno partecipato alla ricerca? L’Università Statale di Milano, che ha svolto l’analisi dei metaboliti derivanti dalla nuova via metabolica scoperta, e l’Università di Edimburgo, che si è occupata di una parte della caratterizzazione dei vasi sanguigni nei modelli animali usati. Fondamentali sono stati i finanziamenti ricevuti dall’European Research Council, dalla Fondazione Veronesi e dall’AIRC.

Chi è

M

assimo Santoro, laureato in Scienze Biologiche all’Università di Torino, dopo aver ottenuto il dottorato alla Open University di Londra, lavora come ricercatore all’Università della California, a San Francisco, dove si interessa allo sviluppo cardiovascolare e all’omeostasi endoteliale. Nel 2008 fonda il suo primo laboratorio indipendente all’Università di Torino, aprendo il Centro di Biotecnologie Molecolari, e nel 2013 diventa Group Leader presso il centro di ricerca Vesalius Research Center del VIB e professore ordinario nel Dipartimento di Oncologia dell’Università di Leuven, in Belgio. Arriva a Padova nel 2018 e dirige il Laboratorio di Angiogenesi e metabolismo dei tumori dell’Università patavina.

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Intervista

BRONCO PNEUMOPATIA CRONICA OSTRUTTIVA LA CURA DEL DON GNOCCHI Intervista a Marzia Bedoni, coordinatrice del Laboratorio di Nanomedicina e Biofotonica Clinica (LABION) della Fondazione dove si effettuerà uno studio triennale

L

o studio, in partenza a febbraio e in pista per 3 anni, mira a implementare la spettroscopia Raman, già impiegata per la diagnosi e monitoraggio di malattie neurologiche e respiratorie come nel controllo del trattamento terapeutico della Bronco Pneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO). Ne parliamo con Marzia Bedoni, biologa, coordinatrice del Laboratorio di Nanomedicina e Biofotonica Clinica (LABION) della Fondazione Don Gnocchi. Dottoressa Bedoni, per un ricercatore ottenere un Grant europeo rappresenta un onore ed è fonte di grande soddisfazione. Ci illustri il progetto che ha portato lei e la sua squadra di lavoro a conquistare questo finanziamento. Si tratta di un progetto che risponde alla call 2021 EraPerMed, finanziata dall’Unione Europea (nell’ambito delle Call Eranet), indirizzata ai ricercatori impegnati nella ricerca clinica che si occupano di medicina personalizzata. Il progetto partirà il prossimo 1° febbraio, durerà tre anni e sono stati assegnati poco meno di 1 milione di euro in totale al consorzio, formato, oltre che dal mio laboratorio, anche dall’Unità di Riabilitazione Respiratoria coordinata dal dottor Banfi della Don Gnocchi, da un ospedale di Barcellona e un altro in Lettonia. Al nostro fianco opereranno anche un’azienda tedesca esperta in prodotti elettromedicali per analisi apparato

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respiratorio e un gruppo di ricerca dell’Università statale di Milano Bicocca specializzato in intelligenza artificiale. Quale ruolo svolge l’intelligenza artificiale nel progetto? Il nostro obiettivo è creare una piattaforma di analisi molecolare della saliva basata su una strumentazione portatile, low cost e altamente sensibile come la spettroscopia Raman, e sull’utilizzo di modelli matematici di intelligenza artificiale ad essa associati, al fine di monitorare il trattamento dei pazienti affetti da patologie polmonari croniche, quali la BPCO. Come funziona questa metodica? La spettroscopia Raman è una metodica ottica vibrazionale che, mediante dei laser che colpiscono il campione biologico, restituisce uno spettro molecolare contenente il fingerprint chimico di tutte le molecole contenute all’interno del campione. Viene analizzato un prelievo di saliva dei malati che, senza sottoporsi ad alcun intervento invasivo, devono semplicemente masticare un tamponcino di cotone che viene poi analizzato in pochi minuti per verificare se il farmaco assunto è più o meno efficace e consentire, in base ai risultati ottenuti, di personalizzare il trattamento terapeutico. Oltre a definire se il paziente sta seguendo una terapia efficace, con questo sistema siamo in grado anche di prevedere se avrà riacutizzazioni e quale sarà l’andamento


Intervista

Marzia Bedoni.

terapeutico. Inoltre, è possibile classificare i pazienti e procedere alla fenotipizzazione. È la prima volta che viene impiegata la spettroscopia Raman in ambito clinico? A livello internazionale sono pochi i laboratori che utilizzano questa metodica in ambito biologico e clinico, nel nostro laboratorio viene studiata e utilizzata da 15 anni, cioè da quando è nato il Laboratorio di Nanomedicina e Biofotonica Clinica (Labion) dell’IRCCS Fondazione Don Gnocchi di Milano di cui sono responsabile scientifico. Prima questa metodica trovava applicazione soltanto nei campi delle scienze dei materiali inorganici e nella fisica. La sperimentazione sulla BPCO è iniziata da circa un anno. Quindi è da queste basi che è nato il vostro progetto vincitore del Grant? Il progetto che prende il via a febbraio affonda le radici in un lavoro, già pubblicato, riguardante l’applicazione della spettroscopia Raman proprio sulla BPCO e anche su patologie neurodegenerative come Parkinson, Alzheimer, Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA) e anche sul Covid. La SLA è una patologia rara e difficile da diagnosticare e attraverso l’esame della saliva è possibile verificare se il paziente si realmente affetto da SLA, come riportato in una nostra recente pubblicazione. Impiegando la spettroscopia Raman, siamo riusciti a individuare un intero spettro Raman come marcatore di pazienti affetti dalla SLA, distinguendoli da pazienti che non hanno questa malattia ma altre patologie degenerative. È proprio grazie a

Marzia Bedoni si è laureata in Scienze Biologiche all’Università Statale di Milano e ha conseguito un dottorato di ricerca in Anatomia umana nello stesso ateneo. Ha scelto di compiere il percorso del post dottorato alla Fondazione Don Gnocchi perché voleva impegnarsi nella ricerca applicata in ambito clinico. Ha iniziato con contratti a progetto e borse di studio, dopo 3 anni ha vinto un posto a tempo indeterminato alla Don Gnocchi. Dal 2018 è coordinatrice del Labion. Madre di due gemelle di 7 anni.

tutti i dati preliminari raccolti in questi lavori precedenti che abbiamo ottenuto il riconoscimento per il progetto. Il maggiore punto di forza del progetto? La collaborazione tra l’équipe dei clinici guidata dal dottor Paolo Banfi, primario di Pneumologia della Fondazione Don Gnocchi, e ricercatori, assicura il legame tra il piano teorico e quello pratico. Lo scopo del progetto, infatti, è che la ricerca parta dal banco del laboratorio per arrivare al letto del paziente. In questo senso, il ruolo che svolgiamo noi biologi ricercatori è molto importante perché rappresentiamo un ponte tra l’attività di laboratorio e la sua applicazione clinica. I medici sono in prima linea e noi dobbiamo porci in ascolto del bisogno espresso dall’ospedale. La soluzione vincente per rispondere all’esigenza di cura si trova soltanto instaurando collaborazione e dialogo all’interno del team dove ognuno è interconnesso con gli altri. Molto impegnata professionalmente, con un ruolo di responsabilità, e madre di due gemelle di 7 anni. Il suo segreto? Nessun segreto o formula magica, ma soltanto tanta passione e tanto lavoro a testa bassa. Studio e dedizione sono la chiave per aprire qualunque porta. Si può essere donne realizzate in ambito lavorativo, ricoprendo anche incarichi di rilievo, e contemporaneamente occuparsi della famiglia. Anche in questo caso si tratta di un lavoro di squadra, basta sapersi organizzare. (E. T.) GdB | Febbraio 2022

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Salute

PANCREAS ARTIFICIALE PER PAZIENTI CON DIABETE DI TIPO 2 Uno studio italiano ha messo a punto una tecnica basata sull’utilizzo dei cosiddetti modelli simbolici

di Domenico Esposito

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n team di ricercatori dell’Istituto di Analisi dei sistemi e informatica «Antonio Ruberti» del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr) ha messo a punto, con la collaborazione dei colleghi dell’Università degli Studi e dell’Aquila e dell’Università di Milano-Bicocca, una tecnica utile per la progettazione di un pancreas artificiale destinato a pazienti affetti da diabete di tipo 2. Questa tipologia rappresenta circa il 90% dei casi di diabete ed è determinata o da un’insufficiente produzione di insulina (l’ormone regolatore del glucosio) da parte del pancreas o dall’incapacità dell’ormone secreto di agire in maniera normale (insulino-resistenza). Il pancreas artificiale rappresenta allo stato attuale la tecnologia all’avanguardia per la regolazione automatica della glicemia nei pazienti con diabete. Alessandro Borri, ricercatore del Cnr-Aiasi, in

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questo senso ha chiarito come l’approccio messo a punto nello studio si basi sui cosiddetti «modelli simbolici», ovvero «approssimazioni finite di sistemi dinamici complessi». Nel caso specifico, il modello - ha aggiunto l’esperto - «tiene conto della dinamica della concentrazione di glucosio nel sangue, della somministrazione di insuli-


na dall’esterno per via sottocutanea, e dell’assunzione di pasti». La metodologia è stata validata in silico (ovvero attraverso simulazione numerica), su un modello di paziente virtuale approvato dalla Fda (Food and Drug Administration) - l’ente governativo statunitense che si occupa della regolamentazione dei prodotti alimentari e farmaceuti-

Gli autori tengono a sottolineare «l’efficacia e la solidità» del loro approccio. Bisogna sempre ricordare, infatti, che il diabete è una malattia caratterizzata da iperglicemia cronica, per cui i soggetti che ne soffrono di solito richiedono la somministrazione di insulina esogena per sopravvivere.

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Il lavoro è stato pubblicato sulla rivista IEEE Transactions on Control Systems Technology. Gli autori sono Alessandro Borri del Cnr da Giordano Pola, Pierdomenico Pepe e Maria Domenica Di Benedetto del Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione, Informatica e Matematica dell’Università dell’Aquila, e Pasquale Palumbo del Dipartimento di Biotecnologie e Bioscienze, Università degli Studi di Milano-Bicocca.

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ci - come sostituto della sperimentazione animale nei test preclinici di strategie di controllo della glicemia ad anello chiuso. Secondo Borri, «considerando una popolazione di 10mila pazienti virtuali, si evidenzia che il controllore simbolico è in grado di compensare il comportamento iperglicemico e congiuntamente di evitare pericolosi episodi di ipoglicemia, fornendo, rispetto a tecniche standard, significativi miglioramenti delle prestazioni, valutate secondo indici di efficacia definiti a livello internazionale». Inoltre, ha chiosato lo studioso, l’approccio simbolico è capace di adattarsi in modo robusto a variazioni casuali «nella quantità e nella composizione dei pasti e alla eterogeneità della popolazione considerata». A dover combattere con questa malattia metabolica, secondo i dati dell’Italian Barometer Diabetes Observatory (IBDO) Foundation in collaborazione con Istat e Coresearch, sono nella Penisola oltre tre milioni e mezzo di persone, dato in crescita del 60% se si prende in esame il periodo che va dal 2000 al 2019. In questo arco di tempo, infatti, i pazienti diabetici sono dal r 3,8% della popolazione al 5,8%. La tendenza trova conferma anche a livello europeo: tra il 2008 e il 2014, il numero di cittadini europei con diabete è aumentato di 4,6 milioni (28%). L’aumento della popolazione con diabete è stato riscontrato in tutta Italia, ma non è stato omogeneo su tutto il territorio nazionale. I dati del 2019 segnalano un incremento maggiore nelle regioni del Nord e del Centro (ad eccezione del Lazio), che partivano da livelli più bassi. Allarmanti le differenze tra regioni quando si considera l’incidenza del diabete nella popolazione anziana; si pensi che è di oltre 15 punti percentuale la differenza che intercorre fra la Provincia Autonomia di Bolzano e la Calabria: in quest’ultima la quota di pazienti anziani affetti da diabete supera il 25% e il tasso di mortalità associato alla malattia è superiore alla media nazionale. L’aumento delle diagnosi di diabete di tipo 2 si può spiegare con l’invecchiamento progressivo della popolazione, ma il fatto che la malattia sia sempre più diffusa anche tra i giovani conferma l’impatto dello stile di vita nei Paesi più industrializzati, caratterizzato da una dieta scorretta e da un aumento di sovrappeso e obesità. Altri fattori di rischio che possono portare a sviluppare diabete sono, oltre al naturale invecchiamento, una vita sedentaria, una familiarità per la patologia o nelle donne una storia di diabete gestazionale. GdB | Febbraio 2022

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LE PROTEINE DEL SANGUE CHIAVE PER UNA VITA LUNGA E SANA Studio internazionale pubblicato sulla rivista Nature Aging. Si punta a sviluppare farmaci per rallentare il processo di invecchiamento

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oter vivere a lungo e senza malattie croniche è un obiettivo molto importante per l’uomo. Dopo aver raggiunto l’età adulta, il nostro corpo va incontro all’invecchiamento, un progressivo decadimento che si traduce con l’aumento del rischio di incorrere in malattie legate all’età e nella morte. L’invecchiamento colpisce tutti noi sia dal punto di vista dalla perdita personale e progressiva della salute sia per il peso collettivo sulla società delle malattie croniche legate all’età e alla fragilità. Molti fattori complessi e correlati determinano il ritmo con cui invecchiamo e moriamo, e questi includono la genetica, lo stile di vita, l’ambiente e il caso. Secondo un nuovo studio, pubblicato da un team internazionale di ricercatori sulla rivista Nature Aging, nel processo di invecchiamento avrebbero un ruolo importante anche due proteine del sangue capaci di influenzare la durata e la salute della nostra vita. Alcune persone hanno naturalmente livelli più alti o più bassi di alcune proteine in conseguenza del DNA che hanno ereditato dai loro genitori. Questi livelli di proteine possono, a loro volta, influire sulla nostra salute. Gli autori dello studio hanno combinato i risultati di sei grandi studi genetici sull’invecchiamento umano, ognuno contenente informazioni genetiche su centinaia di migliaia di persone. Tra 857 proteine studiate, i ricercatori ne hanno identificate due che avevano effetti negativi significativi su vari aspetti dell’invecchiamento. Le persone che avevano ereditato il DNA che genera elevati livelli di queste proteine erano più fragili, avevano una salute più scadente e avevano meno probabilità di vivere una vita

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eccezionalmente lunga rispetto a chi non aveva ereditato tali informazioni genetiche. La prima proteina, chiamata apolipoproteina A (LPA), è prodotta nel fegato e si pensa che abbia un ruolo nella coagulazione. Alti livelli di LPA possono aumentare il rischio di aterosclerosi - una condizione in cui le arterie si ostruiscono di sostanze grasse. Malattie cardiache e ictus sono una possibile conseguenza. La seconda proteina, la molecola di adesione delle cellule vascolari 1 (VCAM1), si trova principalmente sulla superficie delle cellule endoteliali, uno strato monocellulare che riveste i vasi sanguigni. La proteina controlla la vasodilatazione e la vasocostrizione dei vasi nella coagulazione del sangue e la risposta immunitaria. L’espressione di VCAM1 avviene in risposta a segnali infiammatori che mediano l’adesione e la trasduzione dei leucociti attraverso le pareti endoteliali. I livelli di VCAM1, infatti, aumentano quando il corpo invia segnali per indicare che ha rilevato un’infezione, VCAM1 permette in seguito alle cellule immunitarie di attraversare lo strato endoteliale, come osservato nelle persone che hanno naturalmente bassi livelli di queste proteine. Dato che le cellule endoteliali sono centrali sia per il sistema cardiovascolare sia per la barriera emato-encefalica e che la funzione endoteliale diminuisce con l’età, la progressiva disfunzione endoteliale può manifestarsi come una malattia legata all’età. Infatti, recenti risultati suggeriscono che gli effetti sull’invecchiamento umano sono mediati da una rottura accelerata della barriera emato-encefalica. Pertanto, i ricercatori hanno ipotizzato che le molecole coinvolte nel mantenimento o nella


Il fine ultimo dei ricercatori è condividere i risultati delle loro analisi statistiche sull’invecchiamento per incoraggiare ulteriori studi che prevedano l’utilizzo di altri biomarcatori.

fessore di genetica umana presso l’Istituto Usher dell’Università di Edimburgo - mostra il potere della genetica moderna di identificare due potenziali obiettivi per futuri farmaci per prolungare la durata della vita». Anche se è probabile, affermano i ricercatori, che ci siano proteine con effetti tessuto-specifici sull’invecchiamento, in particolare nel cer vello, i campioni necessari per rilevarli sono meno facilmente disponibili e quindi il loro studio su ampia scala risulta più difficile. Per questo il sangue è in questo momento uno dei tessuti più promettenti per rilevare le proteine legate all’invecchiamento. Il fine ultimo dei ricercatori è condividere i risultati delle loro analisi statistiche sull’invecchiamento per incoraggiare ulteriori studi che prevedano l’utilizzo di altri biomarcatori, e accelerare la scoperta di obiettivi farmacologici in grado di prolungare il benessere mentale e fisico per tutta la vita. (S. B.)

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riparazione dell’integrità endoteliale possano essere la chiave per evitare sia il danno cardiovascolare legato all’età che la neurodegenerazione, e raccomandano ulteriori ricerche in questo campo. Paul Timmers, primo autore dello studio e ricercatore presso l’Università di Edimburgo, afferma che l’identificazione di queste due proteine chiave potrebbe aiutare a vivere in salute più a lungo. Secondo i ricercatori sviluppare farmaci che hanno come obiettivo queste proteine potrebbe essere un modo per rallentare il processo di invecchiamento. Utilizzare per esempio farmaci che abbassano gli alti livelli di queste proteine nel sangue potrebbe permettere di vivere in salute e più a lungo. È già in atto una sperimentazione clinica che sta testando un farmaco per abbassare LPA come metodo per la riduzione del rischio di malattie cardiache. «Questo studio – afferma Jim Wilson, pro-

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IL SOVRAPPESO MODIFICA IL CUORE DEI BAMBINI I chili di troppo orientano diversamente il ventricolo sinistro. I risultati di uno studio del King’s College di Londra pubblicato sulla rivista European Heart Journal - Cardiovascular Imaging di Sara Bovio

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l cuore dei bambini in sovrappeso non è uguale a quello dei loro coetanei che sono in ottima forma. In particolare, le dimensioni, la forma e l’orientamento del ventricolo sinistro sono differenti e queste variazioni sono dovute ai chili di troppo. Lo hanno dimostrato per la prima volta i ricercatori del King’s College di Londra studiando come il cuore si adatta all’obesità e alla domanda extra che essa genera indipendentemente da altri fattori come la crescita e lo sviluppo naturale. Nello studio, pubblicato sulla rivista European Heart Journal - Cardiovascular Imaging, i ricercatori hanno descritto la variabilità nella forma 3D del cuore pediatrico e identificato caratteristiche anatomiche uniche legate all’obesità infantile che potrebbero aiutare nella previsione del rischio di andare incontro a malattie cardiovascolari in età adulta. Dai risultati è emerso nello specifico che il cuore dei bambini in sovrappeso è più arrotondato del normale e più inclinato rispetto all’asse verticale e alcune parti del ventricolo sinistro hanno un volume maggiore. Nel complesso le dimensioni del cuore di questi bambini sono maggiori di quelle dei bambini normopeso. I ricercatori hanno osservato che i chili di troppo cominciano a modificare l’anatomia del cuore intorno ai 10 anni di età già a partire da un indice di massa corporea (IMC) di 19, che corrisponde al valore di 25 negli adulti che indica la soglia del sovrappeso e non dell’obesità.

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L’indagine degli scienziati si è basata sull’analisi delle immagini tridimensionali della morfologia del cuore di 2631 bambini, con una distribuzione equilibrata tra femmine e maschi, dai primi mesi di vita fino ai 10 anni di età. Dai risultati della ricerca è emerso che il cuore dei bambini è plasmato dal grasso in eccesso così come accade negli adulti e per alcuni aspetti in modo simile a chi soffre di stenosi dell’aorta. Secondo i ricercatori, i loro risultati aiutano a comprendere e quantificare l’impatto dell’obesità sullo sviluppo. L’obesità rimane uno dei problemi più importanti nella salute globale. Quasi il 60 per cento degli adulti dell’UE e circa un terzo dei bambini di 11 anni sono in sovrappeso o obesi e, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, le condizioni legate all’obesità sono le principali cause di morte che possono essere ridotte con la prevenzione. «L’aumento del rischio di malattia cardiovascolare (CVD) associato all’obesità - spiegano i ricercatori - non è dovuto solo a ipertensione, diabete, apnea ostruttiva del sonno e malattia coronarica, ma anche a modifiche strutturali e funzionali cardiache». Secondo gli scienziati è molto probabile che le alterazioni dell’anatomia cardiaca in età infantile siano fattori di rischio per le malattie cardiovascolari in età adulta. Nello studio è stato ricostruito per la prima volta un modello statistico tridimensionale dell’anatomia cardiaca utilizzando immagini di risonanza magnetica cardiovascolare (CMR), un metodo che offre un nuovo approccio per


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OKkio alla SALUTE

un’accurata valutazione della geometria cardiaca, adatta a grandi studi di coorte. I ricercatori si sono proposti anche l’obiettivo di fornire uno standard di riferimento della morfologia del ventricolo sinistro pediatrico che fosse utile per lo screening, la prevenzione e la comprensione dell’aumentato rischio cardiovascolare nell’obesità. «In futuro, i nuovi parametri morfologici potrebbero essere utili anche per aumentare la consapevolezza dell’importanza di uno stile di vita più sano fin dall’infanzia», ha dichiarato Pablo Lamata, uno degli autori dello studio. «L’obesità nei bambini - spiega Maciej Marciniak, primo autore dello studio - è ovviamente una delle principali preoccupazioni, poiché può avere un impatto sulla salute nello sviluppo. Grazie a maggiori informazioni cliniche su questo impatto, i medici saranno in grado di consigliare meglio i pazienti suggerendo di seguire stili di vita più sani in età precoce. Inoltre – prosegue Marciniak - questo tipo di analisi potrebbe portare a individuare altri schemi di rimodellamento associati a scelte dello stile di vita, a fattori ambientali o ad altri parametri». Il contrasto all’obesità pediatrica è tra gli obiettivi prioritari anche nell’agenda sanitaria del Sistema Sanitario Nazionale italiano. Oltre all’alta prevalenza e persistenza dell’obesità pe-

Tra le raccomandazioni rivolte a bambini e adolescenti: trascorrere almeno 60 minuti al giorno in attività fisica moderata/intensa; ridurre tutti i comportamenti sedentari, e in particolare ridurre a meno di 2 ore al giorno il tempo trascorso davanti ad uno schermo (TV, videogiochi, cellulare, ecc.).

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La percezione delle madri. OKkio alla SALUTE è un sistema di sorveglianza nazionale che raccoglie informazioni sugli stili di vita dei bambini della scuola primaria. Dall’ultima indagine del 2019 sono emerse oltre a diverse cattive abitudini alimentari e a un’alta percentuale di sedentarietà, anche un’errata percezione da parte delle madri di diversi aspetti legati alla nutrizione al movimento dei bambini. Eccesso ponderale. Il 40,3% dei bambini in sovrappeso o obesi è percepito dalla madre come sotto-normopeso. Attività motoria. Il 59,1% delle madri di bambini fisicamente poco attivi ritiene che il proprio figlio svolga attività fisica adeguata. Quantità di cibo. Tra le madri di bambini in sovrappeso o obesi, il 69,9% pensa che la quantità di cibo assunta dal proprio figlio non sia eccessiva.

diatrica, robuste evidenze dimostrano che complicanze fisiche e psicosociali sono già presenti nei bambini obesi e peggiorano in età adulta. Pertanto, la Società Italiana di Endocrinologia e Diabetologia Pediatrica e la Società Italiana di Pediatria, con altre Società Pediatriche hanno fissato le linee guida su “Diagnosi, terapia e prevenzione dell’obesità nei bambini e negli adolescenti”, e fornito le migliori raccomandazioni con l’obiettivo di contrastare l’obesità pediatrica. Tra le raccomandazioni rivolte a bambini e adolescenti: trascorrere almeno 60 minuti al giorno in attività fisica moderata/intensa; ridurre tutti i comportamenti sedentari, e in particolare ridurre a meno di 2 ore al giorno il tempo trascorso davanti ad uno schermo (TV, videogiochi, cellulare, ecc.). I principali consigli dietetici per prevenire l’obesità infantile sono invece assumere regolarmente tre pasti principali e due merende, controllare l’introito calorico limitando le porzioni, evitare i fuori pasto. Fondamentali poi sono famiglia e scuola, le due istituzioni considerate ambienti sociali indispensabili per prevenire l’obesità in età pediatrica, poiché sono gli ambienti in cui i bambini trascorrono la quasi totalità del loro tempo e da cui apprendono i comportamenti da attuare. GdB | Febbraio 2022

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LE MOLECOLE PER LA COMUNICAZIONE FEROMONALE La rivista Molecular Biology and Evolution ha pubblicato una ricerca su un feromone in alcuni primati

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a comunicazione tra membri della stessa specie mediata dai feromoni, sostanze chimiche secrete da ghiandole specializzate, è molto diffusa tra gli organismi viventi. Tuttavia, nelle scimmie antropomorfe e nell’uomo non vi è attualmente una sufficiente evidenza di tale fenomeno. La comunicazione feromonale nell’uomo sarebbe impedita dalla mancanza di strutture anatomiche dedicate e/o dal malfunzionamento di relazionati meccanismi molecolari. Infatti, sono assenti l’organo vomeronasale, deputato in molti animali alla percezione dei feromoni, i relativi re22 GdB | Febbraio 2022

cettori, ed anche proteine trasportatrici di tali molecole, note come SAL o MUP, già identificate in mammiferi quali maiale e topo. Per chiarire quale sarebbe potuto essere un ipotetico feromone in alcuni primati e nell’uomo, Giovanni Renzone, Simona Arena ed Andrea Scaloni dell’Istituto per il Sistema Produzione Animale in Ambiente Mediterraneo del Cnr di Portici hanno collaborato con Valeriia Zaremska, Isabella Fischer, Paolo Pelosi e Wolfgang Knoll dell’Australian Institute of Technology di Tulln. Ha spiegato Scaloni: «Nell’uomo, l’unico gene codificante per una proteina del gruppo SAL contiene

una mutazione che impedisce la traduzione del corrispondente RNA, insorta a livello evolutivo e riscontrata già nel genoma dell’uomo di Neanderthal, nel quale quindi già mancava tale proteina. La mutazione di SAL non è invece avvenuta nel gorilla e nello scimpanzè. L’obiettivo del nostro studio è stato appunto quello di ricostruire il processo di percezione molecolare mediato dalla proteina SAL, nei primati e nell’uomo, laddove non fosse stato interrotto dall’evoluzione». A tale scopo, i ricercatori hanno prodotto in batteri la proteina di una specie rappresentativa dei lemuri nota per la presenza di feromoni, di una specie rappresentativa delle scimmie dove è osservata la comunicazione feromonale e dell’Homo sapiens. «In quest’ultimo caso, mediante approcci biotecnologici è stata rimossa la mutazione genetica che impedisce l’espressione della molecola in natura”, ha proseguito Scaloni. «Le proteine hanno evidenziato forti analogie strutturali ed hanno mostrato simili attività leganti verso molecole con potenziali attività feromonale». Gli esperimenti hanno identificato chetoni e lattoni macrociclici come i migliori ligandi delle proteine delle tre specie e candidato ciclopentadecanone, pentadecanolide, 5-cicloesadecenone e alcuni composti loro correlati come i migliori feromoni “potenziali”. Scaloni ha concluso: «I ligandi identificati sono risultati molto simili all’esadecenolide, un feromone già identificato nelle secrezioni ghiandolari di Mandrillus sphinix, una specie strettamente imparentata con il Cercocebus atys, la scimmia da noi studiata. I risultati ottenuti dimostrano che SAL e la sua funzione di trasportatore di feromoni non è cambiata molto durante l’evoluzione dai lemuri all’uomo, sebbene il suo ruolo fisiologico negli esseri umani sia stato del tutto compromesso dalla mutazione genetica». (P. S.).


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a formazione di contatti cellula- cellula risulta fondamentale per la genesi ed il mantenimento degli epiteli, vale a dire l’insieme di cellule che formano un’unica struttura, al fine di garantire l’equilibrio nelle funzioni dei tessuti e promuovere la trasmissione di segnali di crescita cellulare. Per la formazione di tali contatti è imprescindibile il corretto trasporto di alcune componenti strutturali, quali le E-caderine, proteine di membrana che mediano l’adesione tra cellule. Un deficit a carico dei geni responsabili dell’espressione della E-caderina determina la sua mancata produzione così come alterati meccanismi di trasporto intracellulare, ne compromettono la corretta collocazione e possono favorire una predisposizione all’insorgenza di neoplasie di origine epiteliale, facilitando l’insorgenza delle metastasi. Uno studio pubblicato sulla rivista scientifica PNAS, eseguito da Giovanna Grimaldi, ricercatrice dell’Istituto di endocrinologia e oncologia sperimentale “ G. Salvatore” del Consiglio nazionale delle ricerche e da Daniela Corda, Direttore del dipartimento di scienze biomediche del Cnr assieme ai loro collaboratori, ha identificato un nuovo meccanismo molecolare che regola il trasporto della E-caderina per la formazione di giunzioni aderenti tra cellule. Giovanna Grimaldi del Cnr-Ieos, primo autore del lavoro, ha spiegato: «I dati mostrano un nuovo meccanismo di modifica e regolazione della Golgina-97, una proteina coinvolta nei processi di trasporto intracellulari, operato da un enzima noto come PARP12 che finora non era stato mai associato a tale processo. Tramite questa modifica, tecnicamente nota come ADP-ribosilazione, PARP12 controlla le funzioni della Golgina-97, garantendo così il corretto trasporto della E-caderina verso la membrana plasmatica. Quando si

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CONTATTI TRA CELLULE: IL RUOLO DELLA E-CADERINA Pubblicato sulla rivista scientifica PNAS uno studio sull’alterazione della proteina responsabile del contatto tra cellule

di Pasquale Santilio alterano le attività di tali componenti, si assiste ad una forte riduzione dell’arrivo dell’E-caderina nella membrana, con conseguente perdita dei contatti cellula-cellula e dell’integrità dell’epitelio. Tutto questo si può tradurre in possibili effetti sulla trasformazione epitelio-mesenchima e sulla sopravvivenza cellulare». Ricordiamo che, l’ADP-ribosilazione è l’aggiunta di uno o più molecole di ADP ribosio ad una proteina. L’ADP r4ibosio proviene da una molecola di NAD+ che viene tagliata rilasciando una molecola di Nicotinamide ad opera di enzimi eucariotici della famiglia ADP-ri-

bosil-transferasi. La novità di questo lavoro riguarda, quindi, «l’aver dimostrato che una modifica della Golgina97, finora sconosciuta, è il punto di unione fra i segnali che determinano il trasporto alla membrana e la “consegna” del prodotto specifico, in questo caso la E-caderina. I dati ottenuti, inseriti all’interno di un contesto farmacologico, potranno permettere di agire su specifici bersagli molecolari al fine di controllare il giusto svolgimento di tale processo, che spesso risulta essere alterato in patologie oncologiche», ha concluso la ricercatrice Giovanna Grimaldi del Cnr. GdB | Febbraio 2022

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MACULOPATIE: DA POMODORO E LIEVITO MOLECOLE ANTIOSSIDANTI Il laboratorio di Biotecnologie dell’Enea ha brevettato un nuovo metodo per produrre farmaci contro le malattie della vista

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viluppato e brevettato nel Laboratorio di Biotecnologie dell’Enea un procedimento innovativo low cost per ottenere molecole antiossidanti e antiinfiammatorie da prodotti commestibili come il pomodoro ed il lievito. La finalità è la produzione di farmaci per combattere le malattie della vista, ma anche per altri usi in campo nutraceutico e cosmetico. Questa innovazione, con risultati qualitativamente certificati, permette di produrre un’importante classe di molecole bioattive come le crocine, capaci di migliorare alcune fun24 GdB | Febbraio 2022

zionalità del nostro organismo. In particolare, le crocine unitamente ai carotenoidi (classe di pigmenti organici che possono essere rinvenuti nelle piante o in altri organismi fotosintetici, come le alghe ed alcune specie di batteri) come la luteina e la zeaxantina, hanno rivelato una comprovata funzione protettiva contro la maculopatia, una patologia degenerativa della retina gravemente invalidante. Le maculopatie sono patologie che interessano la macula, cioè l’area della retina situata centralmente nella parte posteriore del globo oculare. Questa struttura è deputata alla percezione della visione

centrale, vale a dire quella più nitida e dettagliata. Il resto della retina serve, invece, alla percezione della parte periferica dell’immagine, quella meno definita. Pertanto, quando la macula è danneggiata da un processo patologico, l’occhio non vede più bene i particolari, mentre continua a percepire le parti periferiche. Sarah Frusciante, ricercatrice dell’Enea, inventrice del brevetto insieme ai colleghi Giovanni Giuliano, Olivia Demurtas e Giuseppe Aprea e coautrice dello studio pubblicato sulla rivista Plant Physiology, ha spiegato: «Per produrre tutte le crocine necessarie alla prevenzione della maculopatia, occorrerebbe raddoppiare la produzione mondiale di zafferano, spezia rara e costosa, e destinarla tutta a questo scopo. Il lavoro da noi svolto apre un nuovo scenario sulla produzione sicura e a basso costo di queste molecole, in quanto dimostra come attraverso la biotecnologia sia possibile ottenere crocine in organismi commestibili e generalmente riconosciuti sicuri come il lievito e il frutto del pomodoro». Ad oggi, la produzione biotecnologica delle crocine era stata ottenuta in sistemi come il batterio Escherichia coli o le foglie di tabacco che, contrariamente a pomodoro e lievito, non sono commestibili, rendendo necessaria la loro purificazione. «In questo lavoro, abbiamo individuato un nuovo enzima proveniente da Bixa orellana, capace di sintetizzare crocine a partire da carotenoidi ampiamente diffusi, come il beta-carotene della carota e il licopene del pomodoro, e si aggiunge ad una serie di altri enzimi che sono stati individuati dal nostro gruppo in studi precedenti, finanziati dalla Unione Europea e dalla Regione Lazio. Questa linea di ricerca ha già prodotto due brevetti e 8 pubblicazioni precedenti, aprendo la via alla produzione delle crocine in varie matrici commestibili», ha concluso la ricercatrice Frusciante. (P. S.).


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lcune cellule vitali presenti nel latte materno sono in grado di rivelare non soltanto i mutamenti che si verificano nel tessuto mammario nel corso del periodo di allattamento, ma anche potenziali «spie» del rischio di sviluppare un tumore del seno. Lo si evince da uno studio condotto dai ricercatori del Wellcome-Mrc Cambridge Stem Cell Institute (Csci) e da quelli del dipartimento di farmacologia dell’Università di Cambridge, i cui esiti sono stati pubblicati sulla rivista Nature Communications. Per arrivare a proporre la propria tesi, i ricercatori hanno raccolto campioni di latte materno donato da nove neo-mamme e campioni di tessuto mammario donato da sette donne che si erano sottoposte in maniera volontaria ad un intervento di riduzione del seno per ragioni di natura estetica. In questo modo è stato possibile isolare oltre 110mila cellule vitali, identificandole una ad una, grazie alla tecnica del sequenziamento delle molecole di Rna che successivamente ha consentito ai ricercatori di scoprire le differenze riguardanti le ghiandole durante la lattazione. Secondo quanto dichiarato a commento dello studio da Alecia-Jane Twigger, ricercatrice del Wellcome-MRC Cambridge Stem Cell Institute e prima firma del lavoro di ricerca, l’analisi delle cellule del latte umano consentirà in futuro di rispondere ad «alcune domande fondamentali sulla funzione delle ghiandole mammarie». Tra queste, per esempio: «Come viene prodotto il latte?». E ancora: «Perché alcune donne faticano a produrlo? E quali strategie possono essere impiegate per migliorare gli esiti dell’allattamento per le donne?». Sulla base di quanto scoperto, gli studiosi hanno affermato in conclusione del loro lavoro che i dati individuati «offrono una mappa di riferimento, aprono una finestra sulle

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NEL LATTE MATERNO SPIE DEL TUMORE AL SENO Lo studio: alcune cellule vitali non si limitano a rivelare solo i cambiamenti che avvengono nel tessuto mammario durante il periodo dell’allattamento

dinamiche cellulari che hanno luogo durante l’allattamento e potrebbero fornire ulteriori indizi sul rapporto tra gravidanza, allattamento e tumore del seno». Aspetto fondamentale che bisogna tenere presente nell’analizzare il lavoro degli scienziati di Cambridge è che prelevare le cellule contenute nel latte materno è relativamente semplice. Ciò significa che i risultati di questa ricerca potrebbero spalancare la strada a nuovi studi sulla salute femminile, in particolare sulle prime fasi di sviluppo del tumore del seno. Ad oggi il carcinoma mammario rappresenta la neoplasia più diagno-

sticata nelle donne. Secondo “I numeri del cancro in Italia 2020”, quasi un tumore maligno ogni tre (30%) è un tumore mammario. Il report del 2021 evidenzia come in Italia siano stimate circa 55mila nuove diagnosi di carcinoma della mammella femminile nel 2020 a fronte di una stima nel 2021 di 12.500 decessi. La sopravvivenza netta a cinque anni dalla diagnosi si attesta all’88%. Altri numeri confermano l’importanza della ricerca su questo fronte: secondo i dati Istat, nel 2018 il tumore del seno ha rappresentato la prima causa di morte per cancro nelle donne con 13.076 decessi. (D. E.). GdB | Febbraio 2022

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GRAVIDANZA: MARCATORI DELLA DEPRESSIONE NEL SANGUE Identificate 15 molecole plasmatiche infiammatorie altamente predittive del disturbo: basterà un semplice esame del sangue

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n nuovo studio statunitense ha identificato 15 marcatori biologici presenti nel sangue che sarebbero capaci di predire «in modo affidabile» una grave depressione nel corso della gravidanza. Attraverso un semplice esame del sangue, dunque, potrebbe essere possibile prevedere il disturbo con una precisione molto elevata, pari all’83%. Questa intrigante promessa scientifica è frutto del lavoro di un team di ricercatori del Van Andel Institute e del Pine Rest Christian Mental Health Services della Michigan State University. 26 GdB | Febbraio 2022

Per realizzare lo studio, che è stato pubblicato sulle pagine della rivista specializzata “Translational Psychiatry”, gli studiosi hanno arruolato e monitorato 114 donne volontarie delle cliniche di ostetricia e ginecologia di Spectrum Health per l’intera durata delle loro gravidanze. Le partecipanti sono state periodicamente sottoposte a prelievi di sangue e a questionari per verificare l’eventuale presenza o comparsa di disturbi depressivi nel corso della gestazione. Dai risultati è venuto a galla che quasi una mamma su cinque soffre di una grave depressione durante o dopo la gravidanza e si stima che il 14% ab-

bia sperimentato pensieri suicidi. I 15 marcatori identificati altro non sono che molecole plasmatiche infiammatorie altamente predittive del rischio di andare incontro a disturbi depressivi in gravidanza e nel post-parto. Secondo Eric Achtyes, scienziato del Pine Rest e coordinatore dello studio, disporre di un metodo «obiettivo e facile» come un esame del sangue per stabilire il rischio di depressione in gravidanza fornisce «uno strumento unico per aiutare a identificare le donne che potrebbero soffrire di disturbi depressivi durante i nove mesi e dopo la nascita del bebè». Dello stesso avviso anche la sua collega Lena Brundin, co-autrice senior dello studio, secondo cui «i nostri risultati rappresentano un importante primo passo» verso l’utilizzo di questa metodologia anche «nella pratica clinica». Ma quale sarà il prossimo step? La ricercatrice ha spiegato che si tratterà di replicare gli esiti della ricerca anche su «un campione più cospicuo di donne e verificare le diverse soglie di rischio depressione con le molecole del sangue». Si può dire che ad ispirare il lavoro degli scienziati sia stato di fatto un cambio di paradigma, quello secondo cui come ha spiegato la stessa dottoressa Brundin - la depressione «non è solo qualcosa che colpisce il cervello: le sue impronte digitali sono ovunque nel corpo, incluso il nostro sangue». La scienziata ha aggiunto che «la capacità di prevedere la depressione correlata alla gravidanza e la sua gravità» rappresenta «un punto di svolta per proteggere la salute delle madri e dei loro bambini». Lo studio è a maggior ragione importante perché promette di aiutare i medici ad identificare in maniera precoce gli stati depressivi nella futura mamma e, di conseguenza, ad adottare per tempo le dovute contromisure. Si è così ampiamente all’interno della nuova frontiera della sanità, quella della cosiddetta «medicina personalizzata». (D. E.).


Master di I livello in

SOSTENIBILITÀ DEI SISTEMI ALIMENTARI E DELLA DIETA MEDITERRANEA

Master telematico asincrono marzo 2022 – luglio 2022 GdB | Febbraio 2022

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Salute

E

ssere convinti di aver assistito a un determinato evento, descriverlo nel dettaglio, fornire i particolari, salvo apprendere – in maniera incontrovertibile - che quanto appena descritto è avvenuto solamente nella propria immaginazione. Com’è possibile? Tutta colpa dei falsi ricordi, fenomeno che consiste nella rievocazione distorta di un ricordo preesistente o addirittura di un avvenimento mai realmente accaduto. La mente tratta in inganno, il falso ricordo sedimentato al punto da apparire così vivido da ritenere impossibile che esso non sia autentico. Adesso però, dopo tante ipotesi, si è arrivati a scoprire il possibile regista dei falsi ricordi. Merito di un nuovo studio italiano, coordinato dall’Università di Bologna con la collaborazione della Ausl di Bologna e dell’Università di Glasgow, in Scozia. La ricerca, che ha visto la sua pubblicazione sulle pagine della rivista specializzata “Current Biology”, con i suoi risultati ha dimostrato che a determinare la dissociazione fra ciò che realmente si vede e ciò che invece si pensa di osservare sarebbero le onde cerebrali alfa, ovvero le onde cerebrali la cui presenza è evidente in particolare nella parte posteriore del cervello e si associa alla chiusura degli occhi, agli stati di attenzione, concentrazione, calma, rilassatezza e sogno ad occhi aperti (anche se in condizione di veglia). Con la loro analisi, gli autori dello studio sono stati in grado di dimostrare per la prima volta che la percezione oggettiva delle informazioni visive e la loro interpretazione soggettiva sono strettamente correlate alla frequenza e all’ampiezza di queste onde. I ricercatori sono convinti che la loro scoperta abbia il potenziale per spalancare la strada allo sviluppo di nuovi trattamenti destinati a pazienti neurologici e psichiatrici affetti da alterazioni della coscienza. A parlare dettagliatamente del senso e della portata dello studio è stato il suo coordinatore,

il professor Vincenzo Romei, del dipartimento di Psicologia dell’Università di Bologna. Il docente ha spiegato come diverse alterazioni della coscienza, quali false memorie e confabulazioni, possano essere spiegate mediante una «ridotta integrazione tra componenti soggettive ed oggettive dell’esperienza»; allo stesso modo, ha continuato Romei, la «dissociazione tra rappresentazione interna e realtà esterna» che è tipica dei pazienti schizofrenici potrebbe trovare la sua origine nella «mancata comunicazione tra questi processi di base». Lo studioso ha poi sottolineato come la ricerca rappresenti un passo importante per capire le alterazioni della coscienza in pazienti neurologici e psichiatrici, e sviluppare dunque «nuovi trattamenti di precisione» che possano incrementare l’integrazione di questi processi. Nello studio sui falsi ricordi sono state coinvolte 92 persone. Ai partecipanti è stato chiesto di svolgere un compito di attenzione visiva mentre i ricercatori, mediante elettroencefalografia ad alta intensità, registravano le oscillazioni delle loro onde cerebrali. In questo modo il team di ricerca è stato in grado di isolare i due processi che si verificano quando si osserva qualcosa: uno, legato al campionamento oggettivo del mondo esterno, è connesso alla velocità delle onde cerebrali alfa; più queste risultavano veloci, più i partecipanti all’esperimento rispondevano con sicurezza alle domande degli scienziati. A questo proposito Francesco Di Gregorio, ricercatore psicologo dell’Ausl Bologna, tra gli autori principali della ricerca, ha confermato come le oscillazioni in banda alfa siano da tempo considerate «indici rilevanti della percezione umana». L’esperto ha voluto sottolineare come questi risultati siano la prova che la percezione non è «un fenomeno continuo, ma discreto: ogni ciclo delle onde alfa rappresenta un ciclo di campionamento dell’informazione sensoriale, per cui più è veloce l’oscillazione, maggiori in-

IL REGISTA DEI FALSI RICORD Il ruolo delle onde cerebrali alfa, tra ciò che si vede realmente e ciò che si pensa di vedere 28 GdB | Febbraio 2022


Salute

formazioni possono essere accumulate, aumentando l’accuratezza». Quanto al secondo processo in gioco, legato alla rappresentazione soggettiva del mondo esterno, gli studiosi hanno dimostrato come sia l’ampiezza delle oscillazioni cerebrali alfa a fare la differenza. Nel corso dell’esperimento, infatti, tanto più era la forza del segnale, quanto più era inferiore il livello di sicurezza soggettiva con cui i partecipanti rispondevano. In relazione a questo aspetto è stata Jelena Trajkovic, dottoranda dell’Università di Bologna, tra i principali autori dello studio, a spiegare come l’ampiezza delle onde alfa sia stata spesso associata a processi di tipo inibitorio. I dati raccolti hanno permesso di associare questo tipo di processo in particolare «alla nostra esperienza soggettiva e non alla nostra capacità oggettiva di essere accurati». Per trovare conferma alle loro ipotesi sul ruolo di questi due elementi - la velocità, da una parte, e l’ampiezza, dall’altra, delle onde alfa - nell’influenzare i fenomeni percettivi, gli scienziati hanno così realizzato un secondo esperimento, utilizzando questa volta la Stimolazione Magnetica Transcranica (Tms). Si tratta di una tecnica grazie alla quale è possibile manipolare direttamente le oscillazioni cerebrali. Aumentando o riducendo in maniera indipendente prima la velocità delle oscillazioni alfa, poi la loro

ampiezza, è stato così possibile dimostrare che a questi mutamenti corrispondono effettivamente modulazioni dell’accuratezza o del grado di sicurezza con cui una persona percepisce un’immagine. (D. E.).

DI GdB | Febbraio 2022

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Salute

DA UN ALIMENTO SECOLARE LA MEDICINA PER LE PATOLOGIE MODERNE Il rapporto tra olio d’oliva, dieta mediterranea e sani stili di vita di Giuseppe Palma

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D

a secoli la dieta mediterranea, associata ad una sufficiente attività fisica, viene celebrata come uno degli stili di vita che garantisce una migliore qualità di vita con una minore incidenza di patologie cardiovascolari, metaboliche ed oncologiche. Nell’era della “evidence-based medicine”, la dieta mediterranea rappresenta l’optimum nella medicina preventiva, probabilmente per l’armonica combinazione di molti elementi con proprietà antiossidanti e antinfiammatorie, che coinvolgono ogni singolo nutriente o alimento. Questa osservazione, confermata da molti studi pre-clinici, clinici ed epidemiologici pone una relazione stretta tra dieta mediterranea e varie patologie; ma in questo contesto va sicuramente celebrato il più antico degli alimenti, l’Olio Extravergine d’ Oliva (EVOO); il cui ruolo è da considerarsi fondamentale come alimento assoluto e non solo come un condimento. L’olio extravergine di oliva contiene principalmente acidi grassi monoinsaturi (98% ≈), come l’acido oleico che rappresenta tra il 55% e l’83% degli acidi grassi totali. Altri componenti minori, ma preziosi, come i fitosteroli, i tocoferoli, lo squalene e i gruppi fenolici, che costituiscono la componente residua (2% ≈) dell’olio extravergine di oliva. Ci sono circa più di 100 diversi composti fenolici nell’olivo, tra cui i fenoli semplici, come l’idrossitirosolo e tirosolo, i secoiridoidi, l’oleuropeina, l’oleocantale e ligstroside, che possiedono tutti una potente attività antiossidante che ne prolunga la durata di conservazione. L’olio extravergine di oliva è ottenuto dalla frangitura e dalla lavorazione manuale delle olive, preservando così il contenuto di componenti minori che si perdono irreversibilmente nell’olio di oliva raffinato, estratto con procedimenti sia chimici che fisici. Più di 5500 anni fa, la varietà di olivo Olea europea L. fu probabilmente uno dei primi alberi addomesticati che seguirono la migrazione delle

popolazioni nell’area mediterranea. Recenti evidenze scientifiche mostrano come la tipologia di cultivar influenzi la presenza di acidi grassi e delle principali composizioni fenoliche nelle varietà di olive selezionate utilizzate nell’olio extravergine di oliva (Tabelle 1 e 2). Le cultivar di olive italiane come Coratina e Leccino hanno quantità moderate di acido oleico (78,8%±3,9% e 76,7%-±4,1%, rispettivamente), nonché la concentrazione fenolica totale (116 mg/ kg e 125 mg/kg, rispettivamente). È interessante notare che le cultivar spagnole Picual e greche Koroneiki possiedono maggiori quantità di acido oleico rispetto ad altre varietà spagnole come Arbequina e Kalamata. Al contrario, le olive di Kalamata contengono maggiori quantità di composti fenolici così come la concentrazione totale di fenoli (371,0 mg/kg) rispetto a varietà come la Arbequina (85,0 mg/kg). Recentemente, attraverso la spettroscopia NMR, la cultivar Coratina è stata caratterizzata per rilevare particolari polifenoli. Questa cultivar è la varietà di olivo più diffusa della regione Puglia ed è qualificata per gusot come amaro e piccante. La cultivar Coratina presenta un’elevata concentrazione di polifenoli (oleuropeina e ligstroside) che sono direttamente legati al suo caratteristico gusto. Inoltre, altre cultivar pugliesi Picoline e Peranzana hanno mostrato un contenuto simile di polifenoli. I composti fenolici esercitano effetti benefici e preventivi sui radicali liberi, sull’infiammazione, sul microbiota intestinale e sulla cancerogenesi. L’interazione tra microbiota intestinale e consumo di olio d’oliva potrebbe modulare la composizione o l’attività microbica del colon, con un possibile ruolo nella prevenzione del cancro. Considerata la stretta relazione tra polifenoli e microbiota, gli olio extravergine di oliva con concentrazioni più elevate di composti fenolici eserciterebbero probabilmente gli effetti più sorprendenti sul microbiota intestinale. Infatti, il microbiota intestinale è in grado di degradare alcune sostanze presenti nell’olio extravergine di oliva, producendo metaboliti attivi ad azione chemio-preventiva. Le proprietà nutrizionali e antiossidanti dell’olio extravergine di oliva sono legate alla presenza e concentrazione di altri polifenoli quali i tocoferoli, i carotenoidi e composti fenolici che sono di grande importanza per la salute umana. Le evidenze scientifiche supportano l’efficacia benefica dei polifenoli EVOO sul microbiota

La qualità e le proprietà organolettiche dell’olio extravergine di oliva dipendono da diversi fattori come l’origine del cultivar, l’origine geografica, le condizioni climatiche, le tecniche agronomiche e di lavorazione che sono in grado di modificare la composizione degli acidi grassi e la concentrazione dei composti bioattivi. Il tipo di procedura di estrazione dell’olio è il processo che maggiormente influenza la concentrazione dei composti fenolici.

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OLIVE CULTIVAR CONCENTRAZIONE* (mg/Kg)

ARBEQUINA

PICUAL

CORATINA

LECCINO

KALAMATA

FENOLI SEMPLICI

62.0

64.0

62.2

42.8

102.6

OLEOUPERINA & LIGOSTRIDI

8.5

156.4

40.0

66.5

216.7

LIGNANI

0.0

5.9

6.9

3.1

14.4

FLAVONOIDI

14.1

13.4

5.06

12.8

32.1

FENOLI TOTALI

85

240.0

116.0

125.0

371.0

**mediante medianteHPLC HPLC

Tabella 1: Concentrazioni di Fenoli nelle Cultivar.

OLIVE CULTIVAR COMPOSIZIONE DI ESTERI METILICI DI ACIDI GRASSI (%)

CORATINA

LECCINO

ACIDO PALMITICO (C16:1)

13.60 ± 0.6

13.7 ± 0.7

15.3 ± 1.4

11.6 ± 1.2

15.6 ± 0.1

ACIDO PALMITOLEICO (C18:0)

1.2 ± 0.3

1.3 ± 0.2

1.6 ± 0.2

1.0 ± 0.2

2.2 ± 0.1

ACIDO OLEICO (C18:1)

78.8 ±

1.7 ± 0.2

1.3 ± 0.5

2.0 ± 0.9

2.2 ± 0.1

ACIDO LINOLEICO (C18:2)

4.8 ± 0.3

6.0 ± 0.4

12.7 ± 2.6

3.1 ± 0.5

10.0 ± 0.1

ACIDO α-LINOLEICO (C18:3)

0.6 ± 0.1

0.7 ± 0.1

0.6 ± 0.1

0.7 ± 0.1

0.10 ± 0.1

ARBEQUINA

PICUAL

KALAMATA

* mediante HPLC

Tabella 2: CComposizione degli acidi grassi principali.

intestinale e sull’immunità intestinale. I polifenoli EVOO presentano proprietà antibatteriche e effetti batteriostatici contro la microflora intestinale patogena, migliorando la crescita di ceppi batterici benefici e aumentando indirettamente la produzione di prodotti microbici acidi grassi a catena corta (SCFA), che esibiscono effetti antinfiammatori e modulano l’espressione genica attraverso meccanismi epigenetici. Diverse evidenze scientifiche hanno dimostrato che le proprietà benefiche dell’olio extravergine di oliva sono dovute soprattutto alle componenti polifenoliche, come l’idrossitirosolo che ha proprietà di scavenger dei ROS, riduce le LDL ossidate e le aggregazioni piastriniche; i due fenoli tirosolo e idrossitirosolo, sono dotati di azione antiossidante, antimicrobica, antinfiammatoria e proprietà cardioprotettiva; esse 32 GdB | Febbraio 2022

sono bio-trasformate nell’uomo dai citocromi CYP2A6 e CYP2D6; il tirosolo viene convertito in idrosKORONEIKI sitirosolo e questo può portare a un effettivo vantaggio, in quanto l’ 97.0 idrossitirosolo sembrerebbe più attivo del tirosolo. Lo stesso effetto 87.0 positivo dato da questi polifenoli si ha a seguito delle trasformazioni 9.1 che si possono ottenere con il vino rosso e la birra scura. Le attività dei 16.6 citocromi CYP2A6 e CYP2D6 differiscono nei maschi e nelle femmi210.0 ne, indicando così che non tutti gli individui metabolizzano i fenoli allo stesso modo ed evidenziando anche le differenze tra i due sessi. L’oleuropeina è il principale polifenolo presente nelle foglie e nei frutti dell’olivo; essa si ritrova KORONEIKI nell’olio extra vergine di oliva sia nella forma legata a una molecola 10.6 ± 0.0 di glucosio (glicata) che nella forma non glicata. Da tempo i polifenoli 0.6 ± 0.0 naturali hanno attratto crescente interesse per le loro proprietà bene2.5 ± 0.0 fiche nei confronti di numerose malattie. I risultati dei trial clinici con79.2 ± 0.1 dotti, insieme ai dati epidemiologici e sperimentali disponibili supportaN.D. no in modo consistente l’effetto di protezione che si associa all’assunzione giornaliera di oleuropeina attraverso l’uso di preparati nutraceutici consistenti in estratti di foglie di olivo arricchiti della sostanza. I dati forniti dalla ricerca scientifica sono particolarmente significativi per quanto riguarda gli effetti anti-neurodegenerativi e anti-diabetici dell’oleuropeina. I primi sono stati riportati grazie a una serie di studi effettuati sia su cellule neuronali in coltura che su modelli animali; in particolare, in topi geneticamente modificati al fine di mimare una situazione cerebrale simile a quella presente nel morbo di Alzheimer, la principale forma di demenza associata all’invecchiamento nell’uomo. In questi topi la somministrazione di oleuropeina con il normale pasto in dosi equivalenti a circa 200-300 mg nell’uomo ha effetti chiaramente benefici in termini di prestazioni cognitive, che si mantengono a livelli comparabili con quelli di topi normali della stessa età. Altri studi hanno dimostrato che nei topi l’oleuropeina attenua la


steatosi epatica e riduce l’obesità indotte da una dieta ricca di grassi. L’effetto anti-obesità e di modulazione dell’omeostasi del glucosio era stata precedentemente riportata anche per altri polifenoli vegetali. L’efficacia dell’oleuropeina nel contrastare sia l’insorgenza del diabete di tipo 2 che alcune delle sue conseguenze può essere inquadrato in un effetto più vasto di protezione nei confronti della sindrome metabolica. Altro polifenolo vegetale degno di nota è l’oleocantale, che esercita proprietà antinfiammatorie in maniera dose dipendente inducendo l’inibizione di COX1 e COX2 più efficientemente dell’Ibrupofene. Questi polifenoli sono in grado di ridurre le ammine eterocicliche e plasmatiche, i livelli di proteina C-reattiva e migliorare il metabolismo lipidico e le funzioni piastriniche, come così come la glicemia e la sensibilità all’insulina. Il consumo di EVOO ricco di composti fenolici è stato collegato alla promozione di risposte antiossidanti e antinfiammatorie che attenuano la progressione delle malattia croniche. L’EFSA (European Food Safety Authority) ha recentemente approvato un assunto secondo cui i polifenoli proteggono dalla perossidazione lipidica a una dose minima di 5 mg/kg/giorno, equivalente al consumo di 23 g di EVOO. Nello specifico, i composti fenolici si legano alle particelle di LDL e le proteggono dall’ossidazione. L’alto livello di LDL ossidato nel plasma è considerato un forte predittore di malattie cardiovascolari ed è stato ampiamente associato a malattie metaboliche, come l’obesità, la sindrome metabolica e il diabete di tipo 2. L’assunto dell’EFSA trova lapalissiana evidenza in dati di espressione genica che correlano come l’assunzione di EVVO del cultivar Coratina siano in grado di modulare geni legati al metabolismo lipidico ed all’infiammazione. Nel contesto del grande progresso delle tecnologie omiche, lo studio degli RNA non codificanti prende una nuova luce sugli studi trascrittomici, grazie alla capacità di queste molecole di controllare molti processi biologici. I MicroRNAs (miRNAs) sono una classe emergente di noncoding RNAs capace di regolare l’espressione genica in tessuti e fluidi biologici sia in contesti fisiologici che in contesti patologici. I miRNA potrebbero essere molto utili nell’ambito delle scienze nutrizionali per testare i percorsi modulati dai trattamenti dietetici della popolazione in salute e/o malata. Recenti evidenze sperimentali determinate dall’ uso della tecnologia dei micro-

Diverse evidenze scientifiche hanno dimostrato che le proprietà benefiche dell’olio extravergine di oliva sono dovute soprattutto alle componenti polifenoliche, come l’idrossitirosolo che ha proprietà di scavenger dei ROS, riduce le LDL ossidate e le aggregazioni piastriniche; i due fenoli tirosolo e idrossitirosolo, sono dotati di azione antiossidante, antimicrobica, antinfiammatoria e proprietà cardioprotettiva; esse sono bio-trasformate nell’uomo dai citocromi CYP2A6 e CYP2D6; il tirosolo viene convertito in idrossitirosolo e questo può portare a un effettivo vantaggio, in quanto l’ idrossitirosolo sembrerebbe più attivo del tirosolo.

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Salute

array applicata alla profilazione del miRNome in cellule da soggetti sani e pazienti con malattie metaboliche dopo un’assunzione acuta di EVOO arricchito con polifenoli, pongono in risalto che i miRNA coinvolti nell’infiammazione (miR-146b-5p, miR-181b-5p e miR-192-5p) e nei disturbi legati al metabolismo del glucosio (miR-107) sono stati down-modulati dopo una singola dose di EVOO ricco in polifenoli. Gli unici due miRNA che sono stati sovra-regolati erano coinvolti nell’azione antinfiammatoria e processi di soppressione oncogenica (rispettivamente miR-23b-3p e miR-519b-3p). Al contrario, l’analisi dei dati dei miRNome di cellule ematiche di popolazione di pazienti con malattie metaboliche ha mostrato un numero elevato di miRNA che modulano la regolazione delle risposte immunitarie innate e adattative rispetto ai soggetti sani. Tutti gli studi nutrigenomici presenti in bibliografia scientifica hanno dimostrato la capacità dei polifenoli dell’olio extravergine di oliva di agire sul trascrittoma e sul miRNome, promuovendo la salute umana grazie alle sue proprietà antinfiammatorie, antitumorali e antiossidanti, e alla sua modulazione del metabolismo glucidico/lipidico. L’insieme di queste evidenze scientifiche hanno dato vita ad un grande fermento da parte della comunità scientifica verso questo alimento generando un grande numero di Trial Clinici in diverse patologie e con innumerevoli soluzioni con l’intento di validare e consolidare la sua applicazione come una medicina. Non sottovalutiamo i molteplici utilizzi dell’ulivo pianta; infatti durante la raccolta delle olive e la produzione di olio d’oliva, enormi quantità di sottoprodotti dell’oliva sono generati per molteplici applicazioni pratiche, che sono stati studiati nell’industria cosmetica, farmaceutica e alimentare. Ad esempio, le foglie di ulivo che rappresentano il 10% del peso delle olive prima della lavorazione. Inoltre, questa parte dell’albero è il sede principale del metabolismo vegetale. Per questo, le foglie di olivo possono essere considerate potenziali fonti di composti bioattivi, come l’oleuropeina o l’idrossitirosolo. Dobbiamo ricordare come erano in uso presso le popolazioni dell’Italia meridionali decotti o infusi proprio con le foglie dell’ulivo con interessanti risvolti benefici cardiaci. È da dare risalto come da un secolare alimento otteniamo soluzioni farmacologiche per le moderne patologie. GdB | Febbraio 2022

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C

Bibliografia Timmis K. Et al.: “Microbiome yarns: microbiomology of curly and straight hair” Microb Biotechnol. 2017 Mar; 10(2): 231-237.

hi li vuole ricci, chi li vuole lisci! La curvatura dei capelli è stata da sempre fonte di attenzione estetica. Ma qual è il motivo per cui alcuni capelli sono ricci, altri ondulati ed altri ancora sono lisci? Fino a non molto tempo fa, si asseriva che la curvatura dei capelli fosse determinata dalla forma e dall’inclinazione del follicolo pilifero nel derma. Si pensava infatti, che i follicoli dritti producessero capelli lisci, mentre i follicoli molto ricurvi rispetto all’asse del derma, producessero capelli ricci spesso a sezione ellittica. Una teoria questa che oggi sembra del tutto sorpassata, anche perché sono molte ormai le evidenze empiriche che non vi trovano più riscontro. La teoria dell’inclinazione follicolare come causa del riccio non spiega infatti, come l’arricciatura del capello possa cambiare nella stessa persona in momenti diversi della propria vita; questo fenomeno può avvenire sia relativamente all’età, ma anche allo stato ormonale, ai farmaci che si prendono o a causa di fattori ambientali. Inoltre, è recente uno studio sul microbiota della porzione cuoio capelluto-follicolo pilifero, che ha rivelato un’informazione illuminate sulla questione e che sembrerebbe attribuire allo stesso un ruolo chiave nella determinazione della tipologia del capello. Sappiamo bene che la funzione di barriera del nostro cuoio capelluto non termina con lo strato corneo dell’epidermide come saremmo portati a pensare, ma su quest’ultimo è presente uno strato idrolipidico e un insieme di migliaia di microrganismi che compongono il microbiota

cutaneo. Tale insieme è composto da microrganismi commensali e alcuni patogeni il cui equilibrio determina la nostra salute cutanea e anche le caratteristiche di cute e capelli. Sembrerebbe infatti che alcuni tipi di batteri, chiamati enterobatteri (EB), sono presente in quantità diverse nelle persone con i capelli ricci e in quelle con i capelli lisci. Uno studio guidato dal dott. Timmis ha portato alla luce che gli EB identificati sui soggetti con capelli ricci, avevano la capacità di produrre un “curli film”, ovvero un film che ricopre i capelli provocandone l’arricciamento.

di Biancamaria Mancini

CAPELLI RICCI O LISCI? DIPENDE DAL MICROBIOTA Il ruolo degli enterobatteri (EB) e la loro quantità influisce sul tipo di chioma delle persone 34 GdB | Febbraio 2022


La stessa cosa può accadere sui peli del corpo più o meno ricci. Quindi le proteine curly, contenute nel film prodotto dagli EB, influenzerebbero proprio l’arricciatura dei capelli per la loro capacità di formare fibre collose che si legano alla cheratina dei fusti capillari. Tali legami sono così forti da riuscire a curvare il fusto del capello e favorirne l’arricciamento. Uno studio successivo a quello di Timmis ha approfondito questa intuizione e ha confrontato il microbiota appartenente a 2 gruppi di persone: gruppo capelli ricci e gruppo capelli lisci. Sono stati prele-

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La teoria dell’inclinazione follicolare come causa del riccio non spiega infatti, come l’arricciatura del capello possa cambiare nella stessa persona in momenti diversi della propria vita; questo fenomeno può avvenire sia relativamente all’età, ma anche allo stato ormonale, ai farmaci che si prendono o a causa di fattori ambientali. Inoltre, è recente uno studio sul microbiota della porzione cuoio capelluto-follicolo pilifero, che ha rivelato un’informazione illuminate sulla questione e che sembrerebbe attribuire allo stesso un ruolo chiave nella determinazione della tipologia del capello.

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vati dei campioni di microbiota cutaneo nei due diversi gruppi. L’analisi dei risultati del prelievo effettuato ha confermato che le persone con i capelli ricci hanno una maggiore concentrazione di EB a livello cutaneo e infundibolare del follicolo. Alla luce di queste evidenze, si è provato a fare un trapianto di microbiota cutaneo/follicolare in uno studio randomizzato in doppio cieco. Il trapianto è stato eseguito prelevando un campione di microbiota cute/follicolo dagli scalpi dei donatori ricci per trapiantarlo sugli scalpi dei riceventi con capello liscio. Allo stesso tempo è stato eseguito un trapianto inverso, ovvero prelevando un campione di microbiota dagli scalpi dei donatori lisci per trapiantarlo sugli scalpi dei riceventi con capello riccio. In seguito ad un periodo di monitoraggio di 6 settimane, il risultato è stato sorprendente: nel 73% dei casi, i capelli lisci diventavano ricci se avevano ricevuto un trapianto da microbiota “riccio”, e i capelli ricci diventavano lisci se avevano ricevuto un trapianto da capello “liscio”. L’analisi quali-quantitativa del microbiota risultante dopo 6 settimane ha mostrato che l’arricciamento o allisciamento dei capelli dipendeva proporzionalmente proprio dalle variazioni del livello di EB nelle aree del follicolo. Ulteriori approfondimenti successivi hanno constatato che per aumentare la percentuale di successo del cambiamento riccio/liscio (dal 73% al 91%) occorreva causare nei riceventi una grave perturbazione del microbiota prima del trapianto, come ad esempio quella che avviene durante il processo di decolorazione dei capelli. La cute perturbata si è mostrata infatti più ricettiva verso il nuovo stato di microbiota. Questa notizia apre aggiunge preziose informazioni scientifiche nel mondo tricologico e apre sicuramente nuovi scenari commerciali che coinvolgono anche i saloni dei parrucchieri. Considerato che il trapianto di microbiota non è affatto invasivo e può essere ottenuto anche solo massaggiando il cuoio capelluto con una preparazione topica specifica, probabilmente sotto forma di prodotto in gel, potremo in futuro decidere la nostra pettinatura senza ricorrere a pratiche chimiche più nocive per i capelli. Chiaramente bisognerà approfondire tali studi prima di rendere disponibile un tale servizio, ma la via non appare così lunga e la richiesta è davvero considerevole considerando tutte le persone che senza usare sostanze chimiche potrebbero cambiare natura e acconciatura ai propri capelli. GdB | Febbraio 2022

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LA COSMETICA NELL’ANTICHITÀ GRECA E ROMANA Olio profumato e biacca, cioè carbonato di piombo, per rispettare i canoni di bellezza femminile allora vigenti

di Barbara Ciardullo

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o scrittore latino che dette ampio spazio alla medicina del corpo è sicuramente Ovidio, che era nato a Sulmona il 30 marzo del 13 a.C. da una famiglia appartenente al ceto equestre. Studiò a Roma, frequentando le scuole dei retori per avviarsi alla carriera politica e forense. Ma alla fine, dopo aver conosciuto tutto il fervore intellettuale che pervadeva il circolo letterario di Messalla Corvino, preferì dedicarsi all’attività poetica. Fu un poeta di successo e grande fu la sua fama per le sue opere, come le tragedie “Medea” ed “Heroides” e, poi, la raccolta di elegie “Amores”, il poemetto didascalico “Ars amatoria” in tre libri e altri poemetti come “Remedia amoris” e “Medicamina faciei feminae” (I cosmetici delle donne) e, in seguito, due poemi che vengono considerati i maggiori, come le Metamorfosi e Fasti. L’8 sec. d.C. Augusto, ritenendo l’Ars amatoria un’opera immorale, lo condannò all’esilio e lo relegò a Tomi, città oggi situata in Russia, dove vi morì nel 17-18 sec. d.C. La nostra at-

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tenzione si rivolge, soprattutto, al poemetto “Medicamina faciei feminae” da tradurre in “I cosmetici delle donne”, che è ubicato tra il secondo ed il terzo libro dell’Ars amatoria: questi medicamenti forniscono istruzione per la preparazione dei cosmetici e ricette di bellezza; a tal proposito questo tema discusso e sviscerato da Ovidio è un tema delicato, in quanto la morale tradizionale era ostile all’abbellimento artificiale. Di questo poemetto restano solo due frammenti di 50 versi ciascuno: il primo contenente parte del proemio, il secondo alcune ricette da utilizzare per la cura del volto e del corpo. Il poemetto di Ovidio dimostra quanto fosse frequente nelle donne della Roma imperiale, almeno per le donne appartenenti alle classi aristocratiche, ricorrere a preparati cosmetici per esaltare la bellezza naturale del viso e celare le imperfezioni. Ai tempi di Ovidio, quindi, le donne agiate facevano ricorso a medici studiosi di cosmesi per apparire più seducenti: la cosmesi proprio allora conosce un successo clamoroso tanto da essere consi-


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derata una vera arte. Anche nella Grecia antica, come si legge in Omero, le donne facevano uso di cosmetici ed altri artifici derivati da piante, sostanze di animali dissezionati o elementi di origine minerale. La scienza medica, insomma, attraverso la cosmesi fa sentire la sua presenza perché la donna possa esercitare il proprio fascino e curare la propria femminilità. Alcuni cosmetici li ritroviamo assai usati dalle donne e dagli uomini nella Roma imperiale e nella Grecia antica. Un composto, ad esempio secondo quanto afferma Ovidio nel suo poemetto erotico-didascalico, già citato, è quello dove sono presenti orzo, veccia, corna di cervo, bulbi di narciso, farina di frumento toscano, miele, gomma, che era una miscela derivante dal larice di alcune piante: questi componenti, mescolandosi, dopo essere stati tritati e filtrati, danno origine ad una crema, che è in grado di rendere qualsiasi pelle assai liscia e splendente. Nella Grecia antica, accanto agli oli profumati, le donne utilizzavano di frequente un trucco costituito dalla biacca, cioè carbonato

Il poemetto di Ovidio dimostra quanto fosse frequente nelle donne della Roma imperiale, almeno per le donne appartenenti alle classi aristocratiche, ricorrere a preparati cosmetici per esaltare la bellezza naturale del viso e celare le imperfezioni. Ai tempi di Ovidio, quindi, le donne agiate facevano ricorso a medici studiosi di cosmesi per apparire più seducenti.

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di piombo, che dà alla pelle un evidente colore bianco, colore che era richiesto dai canoni di bellezza femminile allora vigenti. Per dare colorito alle labbra e alle gote, che significava buono stato di salute, le donne ricorrono ad una specie di rossetto derivato da ocra, originata da minerali come ematite (ocra rossa) e limonite (ocra gialla). Questo è il maquillage quotidiano delle donne, che venivano considerate di costumi seri, mentre le cortigiane hanno un atteggiamento più audace e spigliato nell’uso dei cosmetici, utilizzando anche matite nere o brune per dare evidenza agli occhi e alle sopracciglia. Nel mondo romano dal I secolo d.C., l’uso dei cosmetici diviene abituale per le donne, che hanno a disposizione maschere di bellezza, rossetti, profumi e balsami, che traggono origine da piante mescolate con oli vegetali o sostanze di grassi animali. Anche gli uomini, per far risaltare la bellezza corporea, ricorrono a questi prodotti, sempre che le condizioni economiche permettano loro di dedicare una parte della giornata alle cure estetiche. Queste cure spesso sono portate avanti dai “tonsores” cioè i barbieri i quali, durante l’acconciatura dei capelli, fanno uso di tinture di profumi e, inoltre, spalmano belletti o cosmetici sulle guance dei clienti più vanitosi per nascondere difetti ed irregolarità del viso. Le donne romane, secondo quanto afferma il naturalista latino del I secolo d.C. Plinio il Vecchio, fanno anche uso di preparati a base di sterco di coccodrilli, che aveva un effetto chiaro e sbiancante sull’epidermide, mentre il rosso delle gote e delle labbra viene evidenziato con l’ocra o con la feccia di vino e intorno agli occhi e alle sopracciglia applicano polvere di antimonio o nero fuliggine. Quindi, donne e uomini della Roma imperiale e della Grecia antica si prendono cura del loro aspetto e del loro corpo: tra i prodotti utilizzati troviamo l’olio d’oliva, latte e miele, erbe, fiori, ortaggi vari, gelsi, camomilla, pigmenti naturali, radici di piante, vino rosso, barbabietola. Analizzando la storia della cosmetica antica, ci accorgiamo che molti prodotti o sostanze in largo uso nella Roma imperiale e nella Grecia antica li troviamo anche nella cosmetica moderna: infatti, miele, olio di oliva ma anche oli vegetali, lavanda, rosa, calendula figurano nella composizione di molti profumi, specialmente quelli più rinomati. GdB | Febbraio 2022

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I FUNGHI CONTRO L’INVECCHIAMENTO CUTANEO Micoterapici in medicina estetica sistemica di Carla Cimmino

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Tratto da “Micoterapici per la medicina estetica sistemica: i funghi contro l’invecchiamento cutaneo”, di Paola Angelini, Carolina Elena Girometta, Roberto Venanzoni, Gianluigi Bertuzzi. 38 GdB | Febbraio 2022

funghi sono conosciuti da secoli per il valore nutrizionale. Negli ultimi anni, sulle proprietà medicinali dei funghi sono state fatte numerose ricerche, proprio per le loro diverse attività biologiche: immunomodulatoria, antiossidante, antinfiammatoria, antidiabetica, antibatterica, antimicotica, antivirale, antitumorale, epatoprotettiva, ipoglicemica e ipocolesterolemizzante. Alcuni dei loro principi attivi, o dei loro estratti hanno attività anti-tirosinasi, anti-ialuronidasi, anti-collagenasi e anti-elastasi. La ricerca di prodotti cosmetici che contengano ingredienti biologici e/o naturali da parte dei consumatori, permette al mercato della cosmetica di prestare attenzione a varie sostanze estratte da macrofunghi, come per esempio ceramidi, lentinano, schizofillano, omega 3, 6 e 9, carotenoidi e altri. L’interesse è dato soprattutto dall’attività anti-aging, tra cui l’invecchiamento cutaneo, che è al centro della Medicina Estetica Sistemica , che applica, le norme per la diagnosi e per la terapia sempre, però, accanto a un costante rispetto per l’estetica intesa nel significato di “salute = bellezza” Invecchiamento cutaneo L’invecchiamento cutaneo è causato da un meccanismo intrinseco (età) e da un meccanismo estrinseco (sole, vento, stress, ecc.). La produzione di radicali liberi (ROS) dovuti alle radiazioni solari, sulle membrane cellulari, proteine e DNA, causa l’invecchiamento, prevalentemente con la degradazione delle fibre elastiche e collagene a opera delle metalloproteasi, tutto associato alla ridotta sintesi di collagene e fibre elastiche a opera dei fibroblasti. Ecco perché gli inibitori di elastasi, ialuronidasi, tirosinasi ed enzimi MMP-1 possono essere considerati ingredienti da in-

serire nei cosmetici, per contrastare l’invecchiamento cutaneo ripristinando l’elasticità della pelle, aumentandone l’umidità, stimolando la sintesi del collagene e l’effetto schiarente. Estratti fungini e loro principi attivi come ingredienti di cosmetici Estratti o principi attivi di funghi sono presenti come ingredienti in creme, lozioni, unguenti, sieri e preparati per il viso. Tra questi: lo Shiitake (Lentinula edodes), il Maitake (Grifola frondosa), il Reishi o Lingzhi (Ganoderma lucidum e specie affini), Fu Ling (Wolfiporia extensa), Yartsa Gunbu (Ophio- cordyceps sinensis), il fungo cavolfiore (Sparassis latifolia) e il fungo di gelatina (Tremella spp., prevalentemente T. fuciformis),soprattutto in oriente; il fungo Portobello o champignon (Agaricus bisporus), il fungo Ostrica (Pleurotus ostreatus), il fungo Ostrica dell’olmo (Hypsizygus ulmarius) e il fungo esca (Fomes fomentarius), sporattutto in occidente. Altri funghi popolari includono Agaricus subrufescens, Coprinus comatus, Hericium erinaceus, Mycoleptodonoides aitchisonii, Tropicoporus linteus, Schizophyllum commune e Volvariella volvacea. Gli estratti e i preparati fungini si possono ottenere dal micelio, dalle spore in polvere e dai corpi fruttiferi, si tratta di miscele di metaboliti, allo stato liquido o semisolido, oppure sotto forma di polvere secca, destinati all’uso esterno (nei cosmetici) o orale (nei nutricosmetici) Principi attivi dei funghi Da studi specifici ed approfonditi si è scoperto che i funghi contengono una serie di metaboliti bioattivi: lectine, polisaccaridi, fenoli, polifenoli, terpenoidi, ergosteroli e vari composti organici. Tra i polisaccaridi il lentiano, lo schizofillano, il polisaccaride


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Kerstin (PSK) e il polisaccaride peptide (PSP), sono contemplati nel mercato farmaceutico. Quasi tutti i macro- funghi del phylum Basidiomycota hanno polisaccaridi biologicamente attivi nei corpi fruttiferi, e nei miceli. In cosmetologia: il chitosano dei funghi è utilizzato come emulsionante, gelificante, protettivo e antibatterico; la chitinaglucano (copolimero)è utilizzato nelle formulazioni idratanti e antietà per le sue proprietà idratanti; gli estratti di Tremella spp. sono utilizzati nel trattamento della neurodermite e della sclerodermite; alcuni funghi sono utilizzati nella biotrasformazione per ottenere acido lattico e ceramidi. L’acido lattico, prodotto da muffe del genere Rhizopus è un alfa idrossiacido utilizzato per idratare e levigare la pelle secca e desquamata. Alcuni estratti di funghi sono anche in grado di aumentare il turnover cellulare e riparare eventuali danni molecolari del derma, che forniscono struttura ed elasticità alla pelle (Bowe, 2013). Composti fenolici e polifenolici I composti fenolici e polifenolici sono composti idrossilati aromatici, che si trovano in molti funghi mostrano una varietà di effetti biologici, grazie all’attività antiossidante e all’eliminazione dei radicali liberi. L’acido cogico, è uno schiarente naturale della pelle ed è stato aggiunto a creme, lozioni e sieri per prevenire e migliorare le macchie senili, infatti si presume che inibisca la produzione di melanina sulla superficie della pelle trattata, schiarendo così le nuove cellule della pelle che prenderanno il posto di quelle esfoliate. Terpenoidi I terpenoidi più noti nei funghi sono stati trovati in Ganoderma spp., contenente un’ampia gamma di terpeni e derivati terpenici: acidi ganodermici e ga-

L’industria cosmetica è alla ricerca di composti naturali, integratori o estratti con la capacità di ritardare il processo di invecchiamento. I funghi, ricchi di composti bioattivi naturali sono utilizzati o brevettati come ingredienti cosmetici perché mostrano elevate proprietài antiossidanti, antietà, antirughe, sbiancanti e idratanti. Con la combinazione della genomica, proteomica, metabolomica e farmacologia dei sistemi, si potrà risalire a quelli che sono i meccanismi molecolari dei funghi nell’uomo, così che l’impiego questi possa trovare strada nella Medicina Estetica Sistemica

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noderici, ganoderale, ganoderolo A e B, ganodermanontriolo, lanostane, lucidone e ganodermanondiolo, che hanno attività immumomodulanti e antinfettive. I carotenoidi dei funghi sono usati soprattutto nei prodotti solari. Selenio Il selenio (Se) è un oligoelemento essenziale, rafforza capelli e unghie, è utilizzato in prodotti destinati al cuoio capelluto come gli shampoo. Polisaccaridi I polisaccaridi: il R-(1-3)-d- glucano, ritrovati in molti funghi (es. Pleurotus spp.) hanno proprietà antitumorali e sono usati anche nei cosmetici; il R-(1-3)d-glucano con struttura a tripla elica è stato isolato per la prima volta dal corpo fruttifero di Lentinula edodes in Giappone.; lo schizofillano di Schizophyllum commune, il lentinano di Lentinus edodes, il PSK legato alle proteine di Coriolus versicolor e il R-(1-6)-d-glucano di Agaricus subrufescens sono stati isolati dalle differenti specie. Lentinano è un composto attivo, che aggiunto come ingrediente nelle creme è in grado di stimolare il sistema immunitario, rafforzando la risposta immunitaria (Bisen et al., 2010). Cosmeceutici e nutricosmetici Negli ultimi anni sono state definite due “categorie” di cosmetici, che secondo il Reg. (CE) n. 1223/2009 sui prodotti cosmetici, questi prodotti si applicano esclusivamente sulla superficie esterna del corpo, non devono avere un’azione curativa come i farmaci, e non possono essere ingeriti. Cosmeceutici I cosmeceutici sono ibridi “cosmeticofarmaceutici”, utilizzati per migliorare la bellezza attraverso ingredienti che forniscono ulteriori benefici correlati alla salute. A livello topico, si utilizzano come cosmetici, nonostante contengano ingredienti che influenzano le normali funzioni biologiche della pelle. In medicina veterinaria le linee di prodotti cosmeceutici sono gli shampoo e gli anti-ectoparassitari. Le principali linee di prodotti di cosmeceutici per l’uomo sono anti-aging, antiacne o idratanti e quasi tutti contengono prodotti correlati a funghi ed estratti fungini Nutricosmetici I nutricosmetici sono integratori alimentari che aiutano a mantanere la bellezza della pelle attraverso un’integrazione orale di sostanze nutritive, con combinazione di: carotenoidi, polifenoli, diverse vitamine, estratti di funghi (tra cui isoflavoni polifenolici), micronutrienti, glicopoliglicani, amminoacidi, e altri elementi a base di funghi e acidi grassi polinsaturi. Sono nutricosmetici: estratti del corpo fruttifero di Grifola frondosa che mostrano avere effetto benefico sulla pelle. GdB | Febbraio 2022

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Le stime dei koala rimasti al mondo in natura finora sono incerte. In Australia potrebbero ancora esserci soltanto 300.000 koala rispetto ai milioni di esemplari del passato, che in alcuni periodi furono anche cacciati per le loro pelli. Cifre che per l’ Australian Koala Foundation in realtà sono addirittura minori, stimando una popolazione fra i 50.000 e 85.000 esemplari. Alcuni studi indicano che soltanto a seguito degli incendi del 2019 e 2020 potrebbe essersi verificata una riduzione del 72% del numero di koala in sei diverse aree della costa orientale, zona dove sarebbero rimasti appena 35000 di questi marsupiali.

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è una buona notizia in una cattiva notizia. Le popolazioni di koala nel mondo non se la passano affatto bene: sono sempre più a rischio a causa di deforestazione, incendi, crisi climatica e perdita di habitat dovute dalle attività dell’uomo. Da poche settimane però, sperando che questa mossa possa aiutare a proteggere davvero questi animali, l’Australia ha deciso di inserire ufficialmente i koala tra le specie in via di estinzione. Animali simbolo del paese, questi marsupiali finora erano considerati come “vulnerabili” nella famosa Lista Rossa Iucn (Unione internazionale per la conservazione della natura). Ora però - anche a causa dei devastanti incendi australiani che hanno distrutto milioni di ettari tra il 2019 e il 2021 - le popolazioni in declino dei koala senza un intervento strutturato rischiano di continuare a calare, tanto che alcuni studi parlano di estinzione entro il 2050 se non si invertirà la rotta. Per questo motivo il governo ha deciso - dopo anni di politiche in parte fallimentari per la salvaguardia della specie - di inserire i koala nella lista in via di estinzione e aumentare i fondi per la loro conservazione. Ad indicare la necessità di inserire i koala nell’elenco delle specie è stato il comitato scientifico che si occupa di migliorare lo stato delle popolazioni di koala del Queensland, del New South Wales e dell’Australian Capital Territory, alcuni dei territori dove i koala sono in estrema sofferenza. In altre zone, come nel sud-ovest di Victoria, le popolazioni di questi mammiferi per fortuna danno tiepidi segnali di ripresa, anche se ovunque in Australia - tra incendi, disboscamento, ondate di calore e siccità - i koala fanno fatica a trovare un luogo dove prosperare. Per gli scienziati, il cambiamento di lista è “triste” ma allo stesso tempo è un segnale importante dato che con il nuovo status “in via d’estinzione” sarà possibile promuovere politiche più efficaci nella protezione della specie. Nei mesi scorsi il governo Morrison aveva annunciato circa 50 milioni di dollari australiani per politiche di conservazione di alcuni animali, un finanziamento importante ma non sufficiente, secondo alcuni esperti ed ambientalisti, per riuscire ad affrontare davvero le cause più profonde del declino di molte specie. Per i koala con il nuovo status si spera che venga presto attuato un piano nazionale di protezione che funzioni. L’inserimento nell’elenco era una priorità che da tempo chiedevano organizzazioni come Humane

Society International (HSI), WWF Australia e International Fund for Animal Welfare le quali sostengono che “c’è ancora tempo per salvare questa specie iconica a livello globale se l’inserimento nell’elenco servirà da punto di svolta nella conservazione dei koala. Abbiamo bisogno di leggi più forti e incentivi per i proprietari terrieri per proteggere le foreste”. Come detto, a giocare un ruolo determinante nel calo delle popolazioni restano incendi, siccità e disboscamento, ma anche malattie e incidenti stradali sono alcune delle cause. In particolare uno dei problemi fondamentali è riuscire a ripristinare gli habitat dove vivono. “Per prima cosa dobbiamo salvare l’habitat dei koala” ribadisce Grant Hamilton, professore associato di ecologia presso la Queensland University of Technology. Il che include smettere di disboscare da una parte e contemporaneamente piantare nuovi alberi, per esempio quelli di eucalipto di cui sono ghiotti i marsupiali. Per gli esperti servirà però anche riuscire a capire i reali numeri della specie: per riuscirci si ipotizza l’aiuto dei citizen scientist, le segnalazioni dei cittadini appassionati di biologia e scienza, ma anche dell’intelligenza artificiale e le nuove tecnologie. “Trovare i koala e contarli è estremamente difficile” ricorda Hamilton. Uno dei metodi possibili, che oltre ai numeri può fornire indicazioni anche su stato di salute e genetica, è relativo alla raccolta delle feci. La Griffith University ha avviato un programma di ricerca, in cui coinvolge diversi studenti delle scuole come volontari, proprio per costruire un set di dati sul DNA partendo dagli escrementi di koala. Infine, un segnale importante potrebbe arrivare anche da una sentenza, attesa nei prossimi mesi. Nel 2020 infatti alcune azioni di disboscamento nella zona di Cape Bridgewater avevano portato alla morte di circa 70 koala. Ora sono stati formulati più di 250 capi d’accusa per il massacro dei koala, fra cui anche l’”aver causato dolore e sofferenze irragionevoli” e la “distruzione di habitat” . Accuse nei confronti di un proprietario terriero e una società privata responsabili del disboscamento in una piantagione di eucalipto: molti animali furono uccisi o feriti dal passaggio dei bulldozer e dei macchinari usati per l’operazione e in totale si stima che siano quasi 200 gli animali colpiti. Se si arriverà ad una condanna concreta, anche un primo caso del genere potrebbe servire - secondo gli ambientalisti - a mandare un messaggio decisivo per la protezione di questi mammiferi in difficoltà.


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di Giacomo Talignani

In Australia inseriti nella lista in “via di estinzione” Ecco perché le popolazioni dei marsupiali continuano a calare

KOALA A RISCHIO DI ESTINZIONE

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L Viene segnalata dal rapporto l’esperienza positiva dei cani liberi controllati, i cosiddetti amici a quattro zampe di quartiere, presenti in un Comune su venticinque. Per l’84,6% si trovano al Sud e nelle Isole, con Palermo al primo posto, 3.402 registrati, per il 15,4% al Centro, mentre nessun caso è stato comunicato al Nord. Nella parte sui ritrovamenti, ancora più consueti, di animali selvatici in difficoltà, feriti, deperiti o abbandonati, è sottolineato come in poco meno di una città su due (il 48,9%) si ricevano indicazioni precise per conoscere a chi rivolgersi. L’associazione ambientalista offre, quindi, un servizio gratuito e facilmente disponibile tramite app, “Ecosportello Animali”. © Krakenimages.com /shutterstock.com

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i conosciamo da sempre nella nostra vita, fino al punto d’inserirli nella letteratura, nei film, nei fumetti. Si chiamino Argo, il fedele compagno per Ulisse, Toto de “Il mago di Oz”, Lassie in “Torna a casa Lassie”, sino a Fang da “Harry Potter” o Ghost ne “Il trono di spade”. Ognuno di questi cani è stato immaginato con capacità umane, come amico del protagonista oppure come figura centrale attorno a cui si svolge la storia. Il cammino, però, nella vita reale è ancora lungo se nel 2020 l’attenzione e la cura della pubblica amministrazione per gli animali sono ancora incomplete e non all’altezza di assicurare la loro tranquillità nei centri urbani. L’urgenza di visione e strategia condivise viene segnalata dal decimo rapporto nazionale “Animali in città”, elaborato da Legambiente con il patrocinio di Ministero della Salute, Anci (Associazione nazionale comuni italiani), Conferenza delle regioni e delle province autonome, Enci (Ente nazionale cinofilia italiana), Fnovi (Federazione nazionale ordini veterinari italiani), Anmvi (Associazione nazionale medici veterinari italiani) e Società italiana di medicina veterinaria preventiva. Rimangono per ora disparità tra Nord e Sud con questioni che la crisi sanitaria e socio-economica possono aggravare: siamo indietro nelle sterilizzazioni di gatti e cani, scontiamo il non conoscere bene la biodiversità che, sempre più spesso, è presente nei centri abitati. Si registra, in positivo, un aumento considerevole nel numero delle adozioni per i mici. Sono state 42.081 nel 2020, contro le 12.495 del 2019. In calo, al contrario, quelle nei canili che diminuiscono del 20% rispetto all’anno precedente (dalle 19.383 nel 2019, alle 16.445 nel 2020). «Prendersi cura di persone e animali - dice Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente - è prendersi cura del pianeta e del benessere di tutti. Il nostro rapporto focalizza l’attenzione sui dati di Comuni e Aziende sanitarie relativi ai servizi e alle esigenze nel vivere la relazione con gli animali d’affezione e da compagnia che riguarda oltre trenta milioni di italiani». All’indagine hanno risposto in modo completo 656 amministrazioni comunali (l’8,3% del campione contattato), tra cui il 50% dei Comuni capoluogo, e cinquanta aziende sanitarie. Le macroaree di valutazione sono quattro: quadro delle regole (regolamenti comunali e/o ordinanze sindacali), utilizzabile soltanto per i Comuni; risorse impegnate e risultati ottenuti; organizzazione del-

le strutture e servizi al cittadino; controlli. Quasi la metà (il 47,4%) delle amministrazioni civiche assicura l’attivazione di un ufficio o un servizio per gli animali, il 76% delle aziende sanitarie di avere almeno un canile sanitario e/o un dipartimento d’igiene urbana veterinaria. Poco meno di un Municipio su tredici (il 7,8%), tuttavia, ha la sufficienza. Promosse per i servizi Prato, Verona e Modena, rispettivamente al primo, secondo e terzo posto della classifica riguardante gli enti comunali, l’Agenzia di tutela della salute Brescia, ATS della Montagna (Alto Lario, Provincia di Sondrio e Valle Camonica) e Asl Vercelli per le aziende sanitarie. La spesa pubblica sostenuta da entrambi per i servizi ai cittadini e i loro amici a quattro zampe, in calo rispetto al 2019, è stimabile in circa 193 milioni di euro. Quella media pro capite è, invece, a 2,4 euro per i primi e a 0,85 euro per le seconde. Gran parte dei costi va alla gestione dei cani presso i canili rifugio, per i quali le istituzioni cittadine spendono ben il 61,8% del bilancio destinato al settore. Meno della metà delle Aziende sanitarie (il 40% del campione) scrive di prevenire il randagismo: i 6.888 cani e 19.740 gatti sterilizzati, sono numeri «del tutto insufficienti per una seria politica di controllo demografico se confrontati con il numero dei cani dichiarati entrati nei canili sanitari (36.368), con i gatti presenti nelle colonie feline (313.288)». Milano è capofila, con appena un cane ogni 10.190 cittadini in canile, seguita da Bolzano (uno ogni 7.703) e da Verona (uno ogni 7.402). Ai primi posti ATS della Montagna (uno in canile ogni 296 mila abitanti); ATS Insubria (uno ogni 295 mila) e ATS Brescia (uno ogni 96 mila). Le richieste di Legambiente sono sei: approvare e far entrare in vigore l’anagrafe unica nazionale per tutti gli animali d’affezione o da compagnia; favorire la sottoscrizione, entro il 2025, di mille accordi o patti di comunità per costruire reti tra amministrazioni pubbliche e soggetti privati; arrivare, entro il 2030, a diecimila veterinari pubblici assunti a tempo indeterminato; inaugurare, entro il 2030, mille strutture veterinarie pubbliche, tra canili sanitari e gattili sanitari (uno ogni 50-100 mila cittadini) e ospedali veterinari (uno ogni 300-400 mila cittadini) ripartendoli equamente sul territorio; realizzare, entro il 2030, un’area cani ogni mille residenti e, infine, aumentare il rispetto delle regole grazie alla vigilanza entro il 2030. (G. P.).


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ANIMALI IN CITTÀ IL RAPPORTO LEGAMBIENTE Performance sufficienti per meno di un’amministrazione su 13. Meno della metà delle Asl previene il randagismo. Di contro, si registra in positivo un aumento significativo delle adozioni dei gatti

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a sera del 13 gennaio 2012 la nave da crociera “Costa Concordia” urtò le Scole, un gruppo di scogli al largo del Giglio. Un grosso squarcio nello scafo della nave causò il suo parziale affondamento. L’impatto prodotto sul fondale isolano dal relitto e da tutte le opere per la rimozione, ha richiesto molteplici interventi di recupero. Furono necessari due anni per l’allontanamento della nave, tre per la pulizia del fondo marino e cinque per gli interventi di restauro ambientale, attualmente in fase di realizzazione. Ora i risultati hanno premiato gli sforzi e le fatiche con un successo superiore alle attese. Eliminate le cause che avevano portato alla perdita di posidonia, i trapianti del 2016 hanno visto un raddoppio del numero di fasci spostati, così come quelli realizzati dal 2019, che sembrano avere un esito favorevole. Discorso analogo per le gorgonie: i tassi di sopravvivenza e guarigione sono in crescita, tanto che alcune pareti rocciose hanno riconquistato la propria tridimensionalità originale e procedono a grandi passi verso una condizione più naturale. L’allora ministero dell’Ambiente, adesso ministero della Transizione ecologica, intervenne da subito per contribuire alla gestione dell’emergenza e delle misure per prevenire l’inquinamento marittimo. Per controllare l’iter dei lavori è stato nominato un Osservatorio, presieduto dalla

dottoressa Maria Sargentini, con rappresentanti di organismi scientifici, come Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) e Arpat (Agenzia regionale per la protezione ambientale della Toscana), Ministero dell’Ambiente, Provincia di Grosseto ed enti locali tra cui il Comune dell’Isola del Giglio. Il lavoro tecnico scientifico è stato affidato a ricercatori e specialisti di ecologia marina presso l’Università di Roma “La Sapienza” e il Consorzio di Biologia Marina di Livorno (CIBM). Al di sotto della “Costa Concordia” c’erano praterie di posidonia oceanica che morirono rapidamente a causa dell’ombra proiettata dal relitto e dalle navi usate per i lavori il raddrizzamento, ma anche per i sedimenti sottili, prodotti dalle perforazioni, che consentirono la costruzione delle grandi piattaforme utilizzate per la rotazione. A maggiore profondità la biocenosi del coralligeno è stata anch’essa ricoperta, provocando la scomparsa degli organismi presenti. Al fine di non deteriorare il fondale, sono state trapiantate, in tre aree di circa 2.000 m2 a profondità comprese tra 10 e 23 metri, talee di Posidonia, tra i venti e i trenta centimetri, trattenute da picchetti di ferro dolce con una degradazione programmata fino

IL RITORNO DELLA BIODIVERSITÀ Gorgonie, posidonie e colonie di pesci tra i fondali davanti all’Isola del Giglio 44 GdB | Febbraio 2022


all’integrale radicazione della pianta. Dal secondo anno di osservazione c’è stata una crescita lenta, ma continua. Dopo cinque anni, le talee si sono rigenerate e hanno esteso il numero dei fasci di partenza, toccando, nelle aree sperimentali, un valore pari al 190% di quelli iniziali. Il successo ha confortato i cuori degli addetti ai lavori che nel 2021 hanno “colonizzato” con la posidonia 1500 m2, i quali hanno una densità di circa 27-31 fasci/m2. Le molteplici nuove radici favoriscono l’attecchimento delle talee e l’espansione di fasci fogliari, arrivata al 106% dopo tre anni. Valori positivi sono stati censiti pure nei trapianti di gorgonie e rocce vive. Dall’inizio nel 2019 dei reintegri sono state insediate 353 gorgonie, tra i 18 e i 36 metri di profondità, servendosi di resine epossidiche biocompatibili. Il ripristino degli habitat ha favorito anche i pesci aiutati, tra l’altro, dall’interdizione alle attività di pesca per l’intera durata del progetto. I subacquei si sono trovati sempre più frequentemente in compagnia di specie quali murene, corvine, scorfani e aragoste, rare da altre parti del Giglio, ma anche branchi di saraghi di grandi dimensioni. L’aver portato piccoli

La rinascita è stata possibile anche grazie all’utilizzo di tecniche innovative. Uno scooter subacqueo con videocamera è stato utilizzato per realizzare centinaia di fotografie ad alta risoluzione. Tali scatti, georeferenziati, hanno trovato posto in una istantanea d’insieme dell’area dedicata ai trapianti. In tal modo è diventato semplice controllare i cambiamenti.

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nuclei di rocce vive e le gorgonie ha accelerato il processo di ricolonizzazione dei concrezionamenti “sbiancati” emersi dalle attività di pulizia del fondale. Ora la grande incognita degli studiosi è sul futuro di quest’area dal momento che una mancata tutela, quando saranno terminate le azioni di ricostruzione, potrebbe rendere vani anni di lavoro. L’ancoraggio o l’azione di reti da pesca sui fondali arricchiti da nuove posidonie e gorgonie, innescherebbe, senza una regolamentazione, danni definitivi in pochi mesi, facendoci perdere soldi e l’occasione di creare una vera e propria zona di ripopolamento e fruizione ecocompatibile. (G. P.).

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IL GUARDIANO DEL MEDITERRANEO Lampedusa sentinella europea per il monitoraggio integrato del ciclo del carbonio in atmosfera e in mare di Gianpaolo Palazzo

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La rete europea di stazioni Icos opera su tre componenti distinte: atmosfera, oceano ed ecosistema. I tre centri tematici per coordinare la rete dei siti si trovano in Francia (aria), in Norvegia (mare) e in Italia (ecosistema). Sul nostro territorio le stazioni riconosciute o in corso di riconoscimento sono gestite anche da Cnr e Crea (Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria). L’Enea partecipa al progetto con il laboratorio esterno di Lampedusa che è la stazione più a Sud della rete. Grazie al Progetto Pro-Icos-Med, quella siciliana sarà l’unica in cui sono rilevate simultaneamente tutte e tre le componenti della rete: atmosfera, mare e biosistemi terrestri.

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isola di Lampedusa ha una posizione geografica molto favorevole per lo studio delle condizioni atmosferiche nel bacino del Mediterraneo, punto d’incontro per masse d’aria europee e africane. Spegnendo trenta candeline, la stazione isolana dell’Enea ha conquistato un nuovo traguardo: diventare il primo sito “guardiano” in Europa per il controllo integrato sul ciclo del carbonio, fornendo i dati alla rete di ricerca europea Icos (Integrated Carbon Observation System). Ad analizzare le informazioni ci sono centinaia di scienziati e ricercatori, che operano in oltre 150 stazioni di tredici Paesi. Nelle acque antistanti l’isola siciliana sono stati montati nuovi strumenti hi-tech che raccolgono e fotografano la concentrazione della CO2 e gli scambi tra atmosfera e mare. Le nuove attività di ricerca sono nate nell’ambito del progetto Pro-Icos-Med, coordinato dal Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) in collaborazione con Enea e Crea, finanziato con oltre tredici milioni di euro dal Ministero dell’Università e della Ricerca. Durante alcune campagne intensive sono utilizzati anche palloni meteorologici, lidar, radiometri e spettroradiometri in diverse bande spettrali per acquisire una caratterizzazione più particolareggiata della struttura e composizione atmosferica e dei flussi radiativi in superficie. «Il Mediterraneo - spiega Francesco Monteleone del Laboratorio Enea di osservazioni e misure per l’ambiente e il clima, oltre che responsabile scientifico del progetto - è tra le aree più soggette al cambiamento climatico in atto e l’isola di Lampedusa, con le sue dimensioni ridotte e la sua orografia, è considerata un luogo ideale per osservare l’atmosfera lontano dall’influenza diretta delle attività umane e da particolari condizioni atmosferiche. I nuovi strumenti si affiancano all’insieme di servizi e infrastrutture della Stazione, dove da anni vengono condotti progetti di ricerca e campagne di misura, nel contesto di collaborazioni a livello nazionale, europeo e internazionale». A disposizione degli studiosi ci sono rilevazioni sulla CO2, sensori per misurare pH, radiazione, clorofilla e materia organica disciolta, temperatura, pressione, conducibilità e ossigeno, per il controllo in continuo degli scambi con l’atmosfera. Contemporaneamente, grazie alla all’appoggio dell’Area marina protetta delle Isole Pelagie, il Comune di Lampedusa e l’Università di Firenze, è stato collegato, su una boa costiera, un sistema per tenere sott’occhio l’ambiente e gli ecosistemi

marini litoranei, con un’attenzione particolare su indicatori essenziali come la posidonia oceanica, la quale ha un importante ruolo nel contrastare il cambiamento climatico. Tali innovazioni sono finanziate dal progetto Es Pa (Energia e Sostenibilità per la Pubblica Amministrazione Pon Governance 2014-2020), che supporta le istituzioni regionali e locali riguardo i temi dell’energia e della sostenibilità. «Nell’ambito del Progetto Icos è, inoltre, in fase di realizzazione un “sito ecosistemico” che permetterà di quantificare gli scambi di CO2 tra atmosfera e macchia mediterranea. L’obiettivo sottolinea Giandomenico Pace, responsabile del laboratorio Enea di osservazioni e misure per l’ambiente e il clima - è rendere Lampedusa un osservatorio unico della rete, in grado di fornire informazioni integrate sui comparti marino, terrestre e atmosferico, e un quadro complessivo del ciclo del carbonio in una regione particolarmente critica del Mediterraneo. Lampedusa è in grado di offrire alla comunità scientifica informazioni integrate sull’evoluzione e sugli scambi di CO2 tra i differenti comparti, fondamentali per comprendere cause ed effetti del cambiamento climatico». La stazione lampedusana (https://www.lampedusa.enea.it) è una infrastruttura di ricerca che comprende l’osservatorio atmosferico, dedicato alla ricerca dei cambiamenti nella struttura e composizione dell’atmosfera e dei loro effetti sulla radiazione superficiale, e quello oceanografico, in mare aperto, composto da una boa “impreziosita” con vari sensori per l’analisi delle interazioni aria-mare e la validazione delle osservazioni satellitari. Analizzandola più da vicino, possiamo dire che nella sezione atmosferica abbiamo: una stazione meteorologica con anemometro sonico, radiometri solare ed infrarosso, sensore di radiazione fotosinteticamente attiva (PAR), radiometro a 7 bande (CNR-ISMAR). Nella parte sommersa vi sono: sensori di pressione e temperatura a 1 e 2 metri, sensore di pressione, temperatura, salinità, ossigeno disciolto a 18 m, radiometri a 7 bande a 2.5 e 6 m, sensore di clorofilla, CDOM (Colored dissolved organic matter) e backscattering (CNR-ISMAR). La gran mole d’informazioni è particolarmente importante per comprendere il ruolo svolto da vegetazione e mari nell’assorbire parte della CO2 emessa dall’uomo in una regione fondamentale del Mediterraneo, sorvegliata speciale in quanto zona di transizione compresa tra la fascia temperata e quella tropicale. GdB | Febbraio 2022

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Ambiente

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PIÙ ESTRAZIONI DI GAS SUL TERRITORIO ITALIANO Il conto energetico italiano di quest’anno rischia di essere il doppio di quello pagato lo scorso anno, ovvero 37 miliardi di euro contro i 21 miliardi del 2021

di MIchelangelo Ottaviano

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a crisi energetica è nel pieno della sua azione logoratrice e i paesi europei sono alla disperata ricerca di soluzioni per contenere spese ormai alle stelle. L’elemento che più di tutti si è ritagliato il ruolo di protagonista in questo momento di inquietudine generale è senza dubbio il gas naturale, e la situazione sempre più tesa tra Russia e Ucraina sta ovviamente facendo crescere il suo valore. Nel mese di gennaio i sovietici hanno ridotto del 40% i movimenti di gas verso l’Europa, e il rischio che Mo48 GdB | Febbraio 2022

sca possa chiudere il rubinetto da un momento all’altro è particolarmente concreto. Nel 1969 fu l’Italia il primo paese dell’Europa Occidentale ad importare il gas russo, e ora è anche il paese da cui più ne dipende. Il conto energetico italiano di quest’anno rischia di essere il doppio di quello pagato lo scorso anno, ovvero 37 miliardi di euro contro i 21 miliardi del 2021; il dato è scioccante se si pensa che nel 2019 erano “solo” 8 miliardi. La soluzione del Governo per contrastare il caro bollette, fortemente voluta dal Ministro della Tran-

sizione Ecologica Roberto Cingolani, è quella offerta dal PiTESAI (Piano della Transizione Energetica sostenibile delle aree idonee) la cui messa in atto mira ad incrementare la produzione del gas sul territorio nazionale. La ricerca di nuovi giacimenti era stata interrotta a partire dal 2019, quando il Governo aveva stabilito la sospensione delle attività di prospezione ed esplorazione di idrocarburi a terra e a mare con una moratoria di 18-24 mesi, in attesa di individuare le aree idonee all’estrazione. Il via libera per la ripresa delle estrazioni, sia su terraferma che in mare, è stato concesso esclusivamente ai giacimenti di gas e non a quelli di petrolio: il piano per diminuire il costo delle bollette è quello di portare la produzione nazionale del gas da 3,5 miliardi di metri cubi anno a 7 su 70 miliardi di fabbisogno annuo. La mappa delle aree idonee è stata redatta con la collaborazione di enti di ricerca specializzati come l’ISPRA (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale), e dai dati si evince che il 42% del territorio italiano è idoneo all’estrazione. Sono escluse dall’attività di ricerca e coltivazione la Valle D’Aosta, il Trentino Alto Adige, la Liguria, l’Umbria, quasi tutta la Toscana e la Sardegna. La aree marine considerate idonee sono invece l’11,5% del totale nazionale, con lo sguardo rivolto in particolar modo all’offshore del Mare Adriatico, che in questo momento rappresenta una sorta di El Dorado dei giacimenti. Secondo il Ministero, il Piano fornirebbe regole certe agli operatori e accompagnerebbe la transizione del sistema energetico nazionale, definendo le priorità sia in un’ottica di decarbonizzazione che del fabbisogno energetico. Il PiTESAI arriva però dopo anni di polemiche, cambi di governo e di idee, e ora è stato messo sotto accusa anche dagli ambientalisti, scagliatisi contro la ripresa delle attività delle aziende fossili il cui operato è tra le cause principali del riscaldamento globale.


Ambiente

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iù della metà delle specie di piante dipendono dagli animali per disperdere i loro semi. In un recente studio pubblicato su Science, ricercatori statunitensi e danesi hanno stimato come la perdita di biodiversità di uccelli e mammiferi avrà un impatto sulle possibilità di adattamento delle piante al riscaldamento climatico indotto dall’uomo. Dallo studio, uno dei primi di questo tipo, è emerso che la capacità delle piante a diffusione animale di tenere il passo con il cambiamento climatico è stata ridotta del 60% a causa della perdita di mammiferi e uccelli che aiutano tali piante ad adattarsi al cambiamento ambientale. I ricercatori della Rice University, della University of Maryland, della Iowa State University e della Aarhus University hanno usato un modello di apprendimento automatico e i dati provenienti da oltre 400 studi condotti sul campo in tutto il mondo. Per capire la gravità del declino, i ricercatori hanno confrontato le mappe della dispersione attuale dei semi con le mappe che mostrano come sarebbe la dispersione senza le estinzioni o le riduzioni dell’areale delle specie causate dall’uomo. «Alcune piante vivono centinaia di anni, e la loro unica possibilità di muoversi è durante il breve periodo in cui sono un seme che si muove attraverso il paesaggio», ha detto l’ecologista Evan Fricke, primo autore dello studio. Quando il clima cambia, molte specie di piante devono spostarsi in un ambiente più adatto. Alcune piante possono evitare l’estinzione grazie agli animali che disperdono i loro semi abbastanza lontani da tenere il passo con il cambiamento delle condizioni. Lo studio è riuscito a stimare l’effetto della perdita della dispersione dei semi a livello globale e a identificare le regioni più colpite. Gli autori hanno usato i dati internazionali per addestrare un modello di apprendimento automatico per la dispersione dei semi e hanno usato il modello addestrato per stimare la

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PERDITA DELLA BIODIVERSITÀ E CONSEGUENZE SUL CLIMA Con una minor variabilità delle specie di ucceli e mammiferi le piante avranno più difficoltà ad adattarsi riscaldamento globale

perdita di piante legata ai cambiamenti climatici e dipendente dal declino degli animali. Lo studio ha mostrato che le perdite di semi sono state particolarmente gravi nelle regioni temperate del Nord America, Europa, Sud America e Australia. Se le specie in pericolo si estinguessero, le regioni tropicali in Sud America, Africa e Sud-Est asiatico sarebbero le più colpite. «I grandi mammiferi e gli uccelli sono particolarmente importanti come dispersori di semi a lunga distanza e sono stati ampiamente persi dagli ecosistemi naturali», ha detto Jens-Christian Svenning, autore senior dello studio. «La ricerca evidenzia la necessità di

ripristinare le faune per garantire una dispersione efficace di fronte al rapido cambiamento climatico». «La biodiversità degli animali che disperdono i semi - spiega Fricke - è fondamentale per la resilienza climatica delle piante, che include la loro capacità di continuare a immagazzinare carbonio e nutrire le persone. Quando perdiamo mammiferi e uccelli dagli ecosistemi, non perdiamo solo le specie animali. Questo studio mostra che il declino degli animali può interrompere le reti ecologiche in modi che minacciano la resilienza climatica di interi ecosistemi su cui le persone fanno affidamento». (S. B.) GdB | Febbraio 2022

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IL RECETTORE CHE FA CRESCERE GLI EMBRIONI MA ANCHE I TUMORI Uno studio dell’Università di Pisa osserva il recettore adrenergico beta3, che gioca un ruolo fondamentale nella crescita del feto nel grembo materno, ma che il cancro sfrutta per crescere di Elisabetta Gramolini

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n Giano bifronte o, per gli amanti dei fumetti, un Harvey Dent, il nemico di Batman con metà faccia deturpata, della biologia umana. È il recettore adrenergico (beta3) che gioca un ruolo fondamentale nello sviluppo dell’embrione nel grembo materno, ma anche nella crescita di alcuni tumori. Uno studio condotto dall’Università di Pisa ha osservato il meccanismo dalle valenze opposte del recettore. La ricerca, pubblicata sulla rivista Medical Research Review, rivela come questo recettore, particolarmente espresso quando è presente una condizione contraddistinta da bassi livelli di ossigeno tipica del grembo materno, induce processi di intensa vascolarizzazione e quindi favorisce la crescita dell’embrione. Ma il funzionamento dello stesso recettore viene sfruttato anche da alcuni tumori che proprio grazie ai minori livelli di ossigeno si vascolarizzano intensamente e aumentano di volume. Il cancro, pertanto, si comporta come un malevolo imitatore dei meccanismi fisiologici e biologici che permettono la nascita e la crescita di una vita. «È noto da decenni che il tumore riattiva competenze embrionali. Quello che non era

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noto è che questo recettore svolgesse tali funzioni», spiega Luca Filippi, docente del dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale e direttore dell’unità operativa di Neonatologia dell’Azienda ospedaliero-universitaria pisana. «In particolare – continua – il recettore svolge una funzione molto importante nella crescita e nello sviluppo dell’embrione ma al tempo stesso diventa molto cattivo a livello tumorale. Nella nostra legge biologica è prevista la possibilità che alcune cellule a noi estranee possano crescere, essere tollerate, imporsi, e piegare l’ospitante alle proprie necessità; questo è ciò che usualmente succede nel grembo materno. Il nostro gruppo di ricerca ha dimostrato che il recettore adrenergico beta3 consente all’ospite del grembo materno di promuovere la propria vascolarizzazione, la immuno-tolleranza, la chemio-resistenza, la capacità di sviluppare un metabolismo capace di vivere benissimo in un ambiente povero di ossigeno. Tutte caratteristiche che il recettore beta3 promuove, però, anche nel cancro. L’articolo – commenta - è l’esito di un percorso che abbiamo seguito negli ultimi dieci anni, un vero e proprio viaggio con andata e ritorno, partito dallo studio della retinopatia della prematurità (e che continua, con un nuovo trial clinico finanziato dall’Azienda


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ospedaliero-universitaria pisana), dove per la prima volta abbiamo intuito il ruolo del recettore beta3, esteso successivamente al cancro, ed ora di nuovo focalizzato su una interpretazione delle principali malattie del prematuro e sulle nuove prospettive di cura». Per gli autori, lo studio apre adesso due importanti filoni: uno in campo oncologico e un altro per il trattamento dei bambini prematuri. Nel primo caso, «Se è vero che il tumore – illustra Filippi - sfrutta il recettore per diventare cattivo, cioè più aggressivo, abbiamo tutto l’interesse a bloccarlo. Purtroppo, al momento, non esistono farmaci che blocchino questo recettore perché nessuna casa farmaceutica ha trovato sinora conveniente sviluppare farmaci capaci di bloccare il recettore beta3. Negli animali abbiamo usato delle molecole di laboratorio, e per ora è difficile immaginare una sperimentazione nell’uomo in tempi rapidi». Il secondo filone è orientato a trovare una strada per il bene di quei bambini che nascono fortemente prematuri. «Questi neonati – riprende l’esperto - beneficiano solo parzialmente dell’attività del recettore durante la vita intrauterina e nascono pertanto con una vascolarizzazione immatura. In più, la nascita comporta una brusca e precoce esposizione a concentrazioni di ossigeno molto più alte rispetto a quelle intrauterine, e questo blocca ulteriormente la vascolarizzazione di alcuni distretti anatomici, aumentando il rischio di insorgenza

Il secondo filone è orientato a trovare una strada per il bene di quei bambini che nascono fortemente prematuri che beneficiano solo parzialmente dell’attività del recettore durante la vita intrauterina e nascono con una vascolarizzazione immatura.

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di malattie importanti. La nostra idea è che la precoce esposizione a concentrazioni di ossigeno troppo elevate blocchi la vascolarizzazione di alcuni organi perché si riduce l’espressione del recettore, e che questa possa essere ripristinata dalla loro stimolazione farmacologica. Per verificare se l’ipotesi è giusta, prendiamo degli animali neonati e li esponiamo a concentrazioni di ossigeno molto alte perché sappiamo che questa condizione induce una regressione dei vasi sanguigni in molti distretti, mimando così l’innesco di molte malattie del neonato prematuro. Il nostro obiettivo è verificare se in questi animali, somministrando delle molecole che stimolano i recettori beta3, si riesca a prevenire la regressione vascolare, prevendo così le condizioni per l’innesco di molte patologie correlate alla prematurità. Questo è possibile farlo solo con incubatrici molto costose che fanno arrivare il valore di ossigeno al 90-95 per cento». Gli esperimenti sono già iniziati, grazie alla donazione della speciale incubatrice da parte dei benefattori Cristina e Jean-Luc Baroni. «Se riusciremo a dimostrare nel modello animale che la nostra ipotesi è giusta – sostiene Filippi -, il passaggio alla sperimentazione nei neonati prematuri sarà possibile in tempi relativamente rapidi, considerato che il farmaco capace di attivare questo recettore è già disponibile, anche se attualmente utilizzato con altra indicazione». GdB | Febbraio 2022

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Innovazione

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no studio, condotto da un team di ricercatori dell’Istituto di fotonica e nanotecnologie del Consiglio nazionale delle ricerche, dal Politecnico di Milano, dall’Università di Bologna, dall’Università della Tuscia e dall’Heinrich Heine Universitat Dusseldorf, spiega come il DNA si protegge dalle mutazioni causate dalla luce ultravioletta attraverso i suoi elementi costitutivi, cioè i nucleosidi. I risultati, conseguiti mediante l’utilizzo di impulsi di luce di durata estremamente breve, potranno avere importanti applicazioni nelle nanotecnologie e in farmacologia, come la lotta al tumore della pelle. Infatti, il laser permette di generare impulsi di luce incredibilmente brevi con una durata di pochi milionesimi di miliardesimo di un secondo e consente di osservare fenomeni rapidissimi, come i processi fondamentali che avvengono quando la luce interagisce con gli organismi viventi, fra cui la visione o la fotosintesi. Il DNA, vale a dire la molecola che codifica le informazioni necessarie per la costruzione delle proteine, assorbe con grande efficienza la componente UV della luce solare, una proprietà comune a moltissime biomolecole. A causa dell’elevata energia della radiazione UV, il suo assorbimento potrebbe innescare una catena di reazioni chimiche, con conseguente corruzione delle informazioni codificate nella sequenza di basi (foto-danneggiamento) causando gravi conseguenze come il tumore della pelle. Fortunatamente, nella maggior parte dei casi le molecole di DNA sono in grado di dissipare molto efficacemente l’energia della luce UV, grazie al processo di fotoprotezione, che ne impedisce il danneggiamento. Nei nucleosidi questi processi sono particolarmente efficienti in virtù della velocità con cui viene dissipata l’energia assorbita, ma proprio la velocità ne rende particolarmente difficile lo studio: da qui l’idea di utilizzare im-

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COME IL DNA SI PROTEGGE DALLA LUCE SOLARE Pubblicato su Nature Communications uno studio sui risultati ottenuti con l’impiego del laser

pulsi di luce ultrabrevi, per generare questi processi e poi seguire tutte le fasi della loro evoluzione. La tecnica è stata applicata allo studio di due nucleosidi: l’uridina e la metiluridina. Rocio Borrego- Varillas, ricercatrice del Cnr- Ifn e del Politecnico di Milano, ha spiegato: «La difficoltà di studiare processi molecolari così veloci è simile a quella di scattare una fotografia di un’auto in corsa a piena velocità: per evitare che la fotografia risulti mossa, si sceglie un tempo di esposizione sufficientemente corto. Se vogliamo scattare istantanee di un processo molecolare che dura meno

di un miliardesimo di secondo, abbiamo bisogno di lampi di luce UV molto brevi per catturarlo. Studiare come i nucleosidi interagiscono, con la luce su queste scale temporali molto brevi è fondamentale per comprendere i complessi processi fisici che portano al foto- danneggiamento del DNA». «L’interpretazione dei dati sperimentali è stata resa possibile grazie ad avanzate simulazioni teoriche, che hanno portato alla comprensione del fenomeno», ha così concluso il primo co- autore Artur Nenov dell’Università di Bologna. (P. S.). GdB | Febbraio 2022

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Beni culturali

L’ABBAZIA DI SANTA MARIA DI CERRATE. ARCHITETTURA ROMANICA, ARTE BIZANTINA Un complesso unico nel cuore del Salento, esempio di centro di produzione agricola, con mulino, forno, pozzo e antichi frantoi di Rino Dazzo

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li splendidi affreschi riscoperti e valorizzati nel corso dell’ultimo restauro ne fanno un unicum nel mondo dell’arte bizantina, un esempio di architettura romanica pugliese con caratteristiche assolutamente peculiari. L’Abbazia di Santa Maria di Cerrate è uno dei tesori del Salento, un luogo di culto di notevole interesse – nel monastero, infat-

ti, si praticava il rito bizantino – e un perfetto esempio di masseria storica che l’affidamento in concessione trentennale dalla Provincia di Lecce al Fondo Ambiente Italiano, avvenuto nel 2012, sta consentendo di apprezzare in tutta la sua bellezza. Già, perché l’Abbazia situata tra Lecce e Brindisi, tra gli uliveti e le placide aree coltivate che costeggiano la provinciale tra Squinzano e il mar Adriatico, racchiude una doppia anima: religiosa e contadina. Un’antica leggenda racconta che a ispirare la costruzione dell’Abbazia sia stata un’apparizione mariana. L’immagine della Vergine sarebbe apparsa a Tancredi d’Altavilla, re di Sicilia e conte di Lecce, all’interno di una grotta dove il sovrano normanno era entrato per inseguire una cerbiatta. In realtà la presenza di un monastero nel luogo è attestata già alla fine dell’XI secolo, quasi cento anni prima della leggenda mistica. Fu un altro rappresentante della famiglia degli Altavilla, Boe-

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Beni culturali


mondo, figlio di Roberto il Guiscardo, a consentire l’insediamento nei suoi domini pugliesi di una comunità di monaci greci, seguaci della regola di San Basilio Magno, offrendo loro riparo dalla furia iconoclasta di Bisanzio. E in breve l’Abbazia, che comprendeva scriptorium e biblioteca, divenne uno dei più importanti poli monastici dell’Italia meridionale. Edificata lungo l’antica strada romana che collegava Brindisi a Lecce e a Otranto, luogo di passaggio e di transito tra Occidente e Oriente, nonché di proficui scambi di natura commerciale e culturale, Santa Maria di Cerrate consolidò nei secoli la sua importanza anche sotto il profilo della produzione agricola. Nel 1531, quando è passata sotto il controllo dell’Ospedale degli Incurabili di Napoli, nel complesso erano presenti, oltre alla chiesa, vari alloggi per i contadini, diverse stalle, un pozzo, un mulino e due frantoi ipogei. Oggi è possibile apprezzare quello che il devastante saccheggio dei pirati turchi, avvenuto nel 1711, ha risparmiato. Dopo quella data, infatti, l’Abbazia è caduta in uno stato di totale abbandono, interrotto solo da un primo restauro promosso dalla Provincia di Lecce nel 1965 e affidato all’architetto Franco Minissi e poi, in tempi recenti, dalla preziosa opera di restyling portata a termine dal FAI. Il pezzo forte del complesso è rappresentato dalla bellissima chiesa romanica realizzata in pietra bianca leccese, la cui facciata presenta un rosone centrale e un portale alla cui sommità è posta un’arcata con rilievi raffiguranti scene del Nuovo Testamento e un monaco racchiuso in preghiera. Molto significative anche le colonne laterali, dai capitelli zoomorfi, che sul lato sinistro danno vita a un porticato. Dell’interno, dopo il restauro, si possono ammirare il ciborio duecentesco e, soprattutto, il ciclo dei meravigliosi affreschi bizantini, la cui rilettura è stata resa possibile dal complesso lavoro di recupero degli ultimi anni. Affreschi che sono diventati anche un gioco: un touch-screen interattivo, infatti, consente di ricomporre quelli della navata destra, come se fossero pedine di un puzzle scomposto. Altri affreschi sono conservati all’interno del Museo delle Tradizioni Popolari Salentine, che si trova nell’area del vecchio frantoio della masseria e dove sono custoditi arredi, oggetti, antichi telai e strumenti di lavoro della tradizione contadina. Particolarmente interessanti sono il mulino per la macinazione del grano e il forno per la 56 GdB | Febbraio 2022

Nel 1531, quando è passata sotto il controllo dell’Ospedale degli Incurabili di Napoli, nel complesso erano presenti, oltre alla chiesa, vari alloggi per i contadini, diverse stalle, un pozzo, un mulino e due frantoi ipogei.

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produzione del pane: durante gli scavi archeologici è stato rinvenuto lo stampo eucaristico usato nel rito bizantino per la timbratura del pane dell’eucarestia, di cui è presente una riproduzione nel museo. Imperdibili i due frantoi ipogei, dotati di vasche per la macina delle olive e testimonianza più che millenaria dell’ingegneria agricola salentina. Molto bello, poi, è il pozzo ornamentale del XVI secolo, così come la loggia al piano superiore, che si affaccia sulla corte e che costituisce una sorta di area ristoro, dove rilassarsi o consumare i prodotti tipici in vendita. Il tutto all’interno di una magnifica cornice naturale, con un uliveto e un agrumeto a far da contorno a tutto il complesso. Lo splendido paesaggio circostante e la suggestiva architettura della chiesa e degli edifici rurali, non a caso, fanno dell’Abbazia di Santa Maria di Cerrate uno dei luoghi più ricercati di tutta la Puglia per nozze e altri eventi. Inoltre, l’antico monastero rappresenta una cornice più che indicata per set cinematografici ambientati nel basso Medioevo. Senza dimenticare la spiritualità del luogo, tornato a essere autentico centro di funzioni religiose: dal 2018, infatti, nella chiesa sono riprese le celebrazioni della messa.

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Beni culturali

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a maceratese Villa Buonaccorsi diventa patrimonio dello Stato italiano. Dario Franceschini, ministro della Cultura, ha infatti autorizzato l’acquisizione della dimora settecentesca situata a Potenza Picena, in provincia di Macerata. Il passaggio rientra nel Piano Strategico “Grandi Progetti Beni Culturali”, varato dallo stesso Ministro, e che ha ricevuto il parere favorevole della Conferenza Unificata Stato-Regioni e del Consiglio Superiore dei beni Culturali. L’acquisto della villa consentirà delle opere di valorizzazione ambientale, storica e culturale dell’edificio e dell’area in cui si trova, affinché la zona e la struttura possano diventare un nuovo polo di attrazione turistica. Villa Buonaccorsi sarà infatti aperta al pubblico, che potrà godere della bellezza dei suoi spazi interni ed esterni, dove si estende il famoso “giardino all’italiana”, già noto a livello internazionale. «Oggi è ufficiale - commenta il presidente della Regione Marche Francesco Acquaroli - Villa Buonaccorsi, meravigliosa dimora settecentesca a Potenza Picena, entra a far parte del patrimonio dello Stato. Un grande risultato per il quale la Regione, insieme al Comune e al Ministero, hanno lavorato negli scorsi mesi, affinché si esercitasse il diritto di prelazione e divenisse, in questo modo, patrimonio culturale italiano. I fondi per l’acquisizione sono stati inseriti nel piano strategico dei Cantieri della Cultura del Ministero, che ha investito anche per il restauro conservativo del Santuario di Loreto e per il recupero di Rocca Costanza a Pesaro, per un totale di 12 milioni di euro per le Marche». L’assessore alla Cultura della Regione Marche, Giorgia Latini, spiega come questa sia «una notizia che mi riempie di gioia e soddisfazione: vede così la

Consigliere tesoriere dell’Onb, delegato nazionale per le regioni Emilia Romagna-Marche e Piemonte-Liguria-Valle D’Aosta.

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© Foto Flaviano Pagnanini Pro Loco Porto Potenza

VILLA BUONACCORSI DIVENTA PATRIMONIO DELLO STATO Il Ministero della Cultura procederà alla riqualificazione degli spazi e dell’area in cui sorge la Villa di Potenza Picena (Macerata)

di Pietro Sapia*

luce un percorso intrapreso nella scorsa estate insieme al presidente Francesco Acquaroli. Dopo la vendita del complesso ad un’asta fallimentare ci siamo mossi per evitare che la villa andasse in mano a privati. All’epoca mi sono messa in contatto con il sottosegretario alla Cultura, Lucia Borgonzoni: da parte sua c’è stato subito un intervento e un forte impulso al decreto di prelazione. Oggi finalmente è realtà: Villa Buonaccorsi con il suo prestigioso giardino tornerà a splendere». Ma il piano di investimenti per il rilancio dell’arte marchigiana non termina qui. Ulteriori finanziamenti saranno destinati al recupero della ma-

estosa Rocca Costanza a Pesaro, che consentirà la creazione di un hub archivistico, museale e scenico di rilevanza internazionale nel quale sarà ospitato il museo della Fondazione Dario Fo e Franca Rame. Il Ministero della Cultura, inoltre, sovvenzionerà le opere di riqualificazione del Santuario della Santa Casa di Loreto. Saranno infatti restaurati il Museo Pontificio e l’Antica Spezieria con lavori coinvolgeranno anche il Palazzo Apostolico, compresi gli spazi già aperti al pubblico, la pavimentazione e delle sale affrescate, la rivisitazione degli allestimenti e una nuova organizzazione degli spazi di accesso. GdB | Febbraio 2022

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Sport

FONTANA INFINITA CURLING DA COPERTINA: IL BILANCIO DEI GIOCHI INVERNALI Due soli successi per l’Italia, nel complesso di un medagliere ricco ma con qualche rimpianto di troppo. Nello sci alpino si poteva fare leggermente meglio, ma il “dramma” della Shiffrin insegna che nulla nello sport è scontato

di Antonino Palumbo

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echino 2022 è alle spalle e per gli azzurri degli sport invernali è tempo di bilanci. Quelle cinesi sono stati i Giochi della neve artificiale e delle sveglie notturne, dei nervi tesi e dei sorrisi liberatori, delle sorprese e delle delusioni. Sono state le Olimpiadi invernali del tedesco Francesco Friedrich, capace di vincere per la seconda olimpiade consecutiva la medaglia d’oro sia nel bob a 2, sia nel bob a 4. E sono stati i giochi della norvegese Therese Johaug che, dopo aver festeggiato il suo terzo successo a Pechino 2022, ha aspettato la “collega” Dinigeer Yilamujiang, ultima a tagliare il traguardo della 30 km di fondo. Pagine memorabili, come il doppio oro della statunitense Lindsey Jacobellis, che ha rotto la maledizione iniziata nel 2006, quando buttò via un successo ormai sicuro per un’acrobazia sull’ultimo dosso, e proseguita fra squalifiche e podi solo sfiorati. E pagine “drammatiche” come i clamorosi flop di Mikaela Shiffrin, che voleva quattro podi ed è tornata negli States a mani vuote, e del connazionale Shaun White,

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tre volte olimpionico nello snowboard halfpipe, cascato mentre cercava il bronzo. Oscar della sfortuna, però, va al norvegese Jarl Magnus Riiber, più volte iridato e argento a Pyeongyang 2018 nella combinata nordica: guarito dal Covid in tempo per la gara (senza provare la pista), lanciato comunque verso la gloria, ha sbagliato strada nella prova di sci di fondo scivolando all’ottavo posto. E l’Italia? Si è affidata alle sue certezze e ha finito con l’aggrapparsi a qualche sorprese e, in chiave futura, a giovani speranze che hanno bisogno di essere coltivate. In un medagliere vinto dalla Norvegia, sia per podi totali sia per numero di ori, gli azzurri hanno chiuso con 17 medaglie - numero secondo solo alle 20 di Lillehammer 1994 - ma al contempo con la sensazione che si sarebbe potuto fare di più. Per carità, non è mai facile arrivare a un simile bottino, eppure quelle due sole medaglie d’oro lasciano l’amaro in bocca, soprattutto a chi ha la sensazione che siano i trionfi olimpici a dare visibilità a discipline spesso praticate lontano dai riflettori. Il curling, ad esempio. L’impresa di Stefania Costantini e Amos Mosaner, che hanno vinto a Pechino il torneo di doppio misto con 11 vittorie in 11 partite, ha provocato una vera e propria mania durante e immediatamente dopo le giornate del torneo olimpico. I cento iscritti ai corsi di avviamento nella sola Milano fanno “rumore” se paragonati ai 330 tesserati totali in tutta Italia, alla vigilia dell’evento cinese. Il secondo e ultimo successo dell’Italia è stato quello della fuoriclasse dello short track, Arianna Fontana, ai ferri corti con la federazione e al centro di una polemica che lasciamo ad altri salotti. Parlando di risultati, prima e dopo l’oro nei 500 metri, la 31enne valtellinese si è aggiudicata l’argento sia nella staffetta mista con Martina Valcepina, Pietro Sighel e Andrea Cassinelli sia nella gara individuale dei 1500 metri. Arianna è diventata l’atleta italiana più vincente ai Giochi invernali con 11 medaglie, una in più di Stefania Belmondo. Nello short track è arrivato anche il bronzo al fotofinish della staffetta maschile composta da Pietro Sighel, Yuri Confortola, Tommaso Dotti e Andrea Cassinelli Ad aprire e chiudere la sfilata degli azzurri sui podi di Pechino 2022 è stata la romana Francesca Lollobrigida, un cognome e una parentela che suonano familiari agli amanti GdB | Febbraio 2022

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del cinema, argento nei 3000 metri al debutto olimpico e bronzo nella gara mass start del pattinaggio di velocità, prima di sorridere come portabandiera italiana nella cerimonia di chiusura. Nella stessa disciplina, Davide Ghiotto è stato medaglia di bronzo nei 10.000 metri con il nuovo record italiano. Si puntava molto sullo sci alpino, in considerazione dei grandi risultati ottenuti in Coppa del Mondo. Al netto di un Super G - il “suo” Super G - disegnato in maniera elementare, tanto da penalizzare le atlete più tecniche come lei, e mal digerito tanto da chiudere lontana dalle prime, Federica Brignone ha vinto comunque due medaglie, un argento in slalom gigante e un bronzo in combinata. Un autentico “miracolo” è stato quello di Sofia Goggia che, a 23 giorni dalla lesione del crociato, è andata ad appena 16 centesimi dal successo in discesa libera: si è presa comunque un immenso

Nel curling, mpresa di Stefania Costantini e Amos Mosaner, che hanno vinto il torneo di doppio misto con 11 vittorie in 11 partite.

Arianna Fontana, 11 medaglie olimpiche in carriera nello short track, con un oro e un argento a Pechino 2022.

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argento, davanti all’altra azzurra Nadia Delago. Nello snowboard c’erano grandi attese per Michela Moioli, oro in Corea quattro anni fa. La bergamasca, però, ha toppato la gara individuale “consolandosi” con l’argento nel doppio misto assieme a Omar Visintin, già bronzo pochi giorni prima nella gara maschile. Federico Pellegrino ha fatto il suo nello sprint a tecnica libera di sci di fondo, vincendo l’argento, così come Dominik Fischnaller medaglia di bronzo nella gara di singolo dello slittino. Nel biathlon, medaglia di bronzo di Dorotehea Wierer, ma anche tanti rimpianti per podi gettati via a causa di mira e materiali. Nessun podio, ma rosee prospettive per i giovani azzurri del freestyle, da Simone Deromedis quarto nello skicross a Leonardo Donaggio quindo nello slopestyle. Loro sono fra le grandi speranze sulla via ghiacciata delle Olimpiadi di casa, Milano-Cortina 2026.

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a pedalato con 50 gradi nel deserto del Sahara così come con 55 gradi sotto zero fra i ghiacci della Yakutia. Senza lamentarsi, anche perché l’ha deciso di sua volontà. Ma l’impresa che Lorenzo Barone ha appena intrapreso, dal punto più meridionale del Sudafrica a quello nordorientale dell’Asia, le batte tutte: 29mila chilometri in bicicletta sulla strada più lunga del mondo, peraltro “ritoccata” in eccesso. Ventiquattro anni, zero voglia di stare a casa a guardare serie TV, Barone è partito da Capo Agulhas (Sudafrica) e conta di raggiungere Capo Dezhnev, in Russia, entro il mese di aprile 2023. Il tutto, dopo un meticoloso studio dell’equipaggiamento, del meteo e dei periodi giusti per affrontare questa o quella parte dell’itinerario. Preparativi raccontati passo dopo passo sulle sue pagine Facebook e Instagram ad amici e follower. Tre continenti, 12 Paesi, 400 giorni. “Il viaggio più difficile che avrò mai anche solo tentato” l’ha definito Barone, che dopo aver raggiunto il Sudafrica in aereo ha iniziato a risalire in bici verso l’equatore. Attraverserà in bici l’uno dopo l’altro Namibia, Zambia, Tanzania, Uganda, Kenya, Etiopia, Sudan ed Egitto, pedalando più forte delle temperature estreme e dei rischi connessi a malattie tropicali, animali e passaggio in zone di conflitto. Dalla terra delle piramidi, probabilmente a giugno, muoverà via mare verso la Turchia e poi, attraversando la Georgia, arriverà in Russia dove lo aspetta la moglie Aygul conosciuta durante la traversata della Siberia nel 2020, in piena pandemia. Da lei Lorenzo recupererà tutto il suo equipaggiamento invernale, di cui avrà bisogno per raggiungere lo stretto di Bering, percorrendo le piste invernali sui fiumi ghiacciati in Yakutia e trainando la slitta con gli sci attraverso la Chukotka. La nuova avventura di Barone verrà finanziata dal suo canale Youtube e dalla vendita, tramite i social, delle foto scattate durante il viaggio.

Lorenzo Barone.

Fonte: Facebook

ATLETA SOLITARIO SUI PEDALI PER 29MILA CHILOMETRI Il 24enne umbro Lorenzo Barone partirà dal punto più meridionale del Sudafrica e raggiungerà Capo Dezhnev, in Russia, estremo orientale dell’Asia

Appassionato di ciclismo, Barone ha visto sbocciare la sua passione per le traversate memorabili a diciotto anni. Con pochi soldi in tasca, una bici di fortuna, qualche tanica di plastica, un carrellino e un equipaggiamento di fortuna ha attraversato Italia, Francia, Spagna e Portogallo, “macinando” quasi 8mila chilometri in 82 giorni. Le sue parole d’ordine sono forza di volontà, determinazione ed entusiasmo. Ha raggiunto luoghi unici, in condizioni ambientali e climatiche quanto mai differenti, dal Sahara alla Yakutia. Ogni zona, ogni fascia climatica sarà affrontata con l’assetto e l’equipaggiamento adatti, come spiegato da

Barone sui social network. Fra il Sudafrica e l’Egitto, per circa 12-13mila km, Lorenzo avrà un portapacchi anteriore con le borse per trasportare, quando necessario, significative provviste di acqua e cibo. Lungo i successivi 11mila km l’assetto sarà molto leggero per percorrere lunghe distanze in breve tempo. Sui fiumi ghiacciati fra la Yakutia e la Chukotka, la bici sarà più pesante perché oberata dall’equipaggiamento per sopravvivere in completa autonomia a 55-60 gradi sotto zero. Dulcis in fundo, si fa per dire, i mille chilometri con gli sci ai piedi e una slitta da trainare per giungere finalmente al traguardo, sullo Stretto di Bering. (A. P.) GdB | Febbraio 2022

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IL MIRACOLO D’ARGENTO DI GOGGIA E LA MEDICINA RIGENERATIVA Fra i “segreti” del recupero-lampo che l’ha portato sul podio alle Olimpiadi invernali c’è anche il trattamento con gel piastrinico effettuato all’ospedale di Negrar dal dottor Claudio Zorzi

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ome Franco Baresi ai mondiali di calcio di USA 94. In tutto e per tutto. Con l’unica differenza che il secondo posto di quella Nazionale “brucia” ancora oggi mentre la medaglia d’argento conquistata da Sofia Goggia in discesa libera, ai Giochi Invernali di Pechino 2022, ha acquisito un sapore dolce già pochi minuti dopo la prima smorfia di disappunto. Ventitré giorni prima della discesa olimpica, Sofia era caduta nel Super G di Coppa del Mondo a Cortina d’Ampezzo, procurandosi una “lesione parziale del legamento crociato e una mini-frattura al perone. Sembrava una maledizione, per lei che l’anno scorso aveva saltato il mondiale sulle Dolomiti per un infortunio rimediato a Garmisch. Il 15 febbraio, dopo aver rinunciato al Super G dei Giochi, la Goggia è riuscita invece nel “miracolo olimpico”. Quando ha tagliato il traguardo della discesa libera, era addirittura in testa davanti a Nadia Delago ed Elena Curtoni. Poi è arrivata quella “guastafeste” di Corinne Sutter a spezzare la magia: prima con appena 16 centesimi di vantaggio su Sofia, con le altre due azzurre rispettivamente

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terza e quinta nella classifica finale. L’oro non è arrivato, l’impresa sì. Comunque. A renderla possibile, oltre alla forza e alla determinazione che distingue i campioni dai comuni mortali, è stato anche l’aiuto della medicina rigenerativa, come spiegato nelle interviste post Olimpiadi dal chirurgo ortopedico Claudio Zorzi, direttore del dipartimento di Ortopedia e Traumatologia dell’Irccs di Negrar. È stato lui ad eseguire il trattamento con gel piastrinico al ginocchio sinistro lesionato di Sofia Goggia, due settimane prima della discesa d’argento a Pechino. A Zorzi si è rivolta l’olimpionica di Pyeongchang, per bruciare le tappe e presentarsi con ambizioni di podio (e di vittoria) al cancelletto di partenza dei Giochi invernali in terra cinese: «Siamo orgogliosi di aver contribuito, insieme al suo coraggio e volontà di ferro, e ai suoi preparatori atletici, all’incredibile recupero e straordinario risultato di Sofia» ha esultato il chirurgo dell’istituto veronese. Zorzi ha trattato la campionessa azzurra con infiltrazioni di PRP, ovvero plasma ricco di piastrine, «una procedura largamente applicata sulle articolazioni del ginocchio, dell’anca e del-


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Nel curling, mpresa di Stefania Costantini e Amos Mosaner, che hanno vinto il torneo di doppio misto con 11 vittorie in 11 partite.

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la spalla - ha spiegato il chirurgo ai media - soprattutto in presenza di artrosi, che all’Irccs di Negrar con oltre 6mila trattamenti l’anno registra una delle casistiche più ampie a livello internazionale. L’impiego sui legamenti crociati è invece più recente ed esistono ancora pochi i casi trattati». Nel dettaglio il PRP è un gel ottenuto da un normale prelievo di sangue venoso del paziente e che viene successivamente centrifugato con il risultato di un composto concentrato di plasma e piastrine. Il gel viene iniettato all’interno dell’articolazione con una semplice infiltrazione. «I fattori di crescita presenti nel preparato ematico – ha illustrato Zorzi - stimolano il processo riparativo del tessuto, trasformandosi in una potente medicina biologica ad alto ef-

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Primo piano di Sofia Goggia. Nella foto grande, l’atleta bergamasca durante una gara.

fetto antinfiammatorio. Il primo beneficio per il paziente è la scomparsa del dolore, come la stessa Goggia ha riferito». Questa metodica di medicina rigenerativa, semplice, mini-invasiva e ben tollerata, richiede un intervento di una decina minuti e permette di dimettere il paziente dopo poche ore di osservazione. Il resto, chiaramente, lo fai se sei Sofia Goggia, ovvero un concentrato di classe, coraggio e determinazione che non si ferma davanti a nulla, neanche quando i sogni sembrano fare “crack”. (A. P.) GdB | Febbraio 2022

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RAVASI, IL RISCATTO IN SELLA PARTE... DALLA TAVOLA Il ruolo dell’alimentazione e dell’integrazione nella vita di un ciclista, raccontate dallo scalatore del Team Eolo-Kometa e dal suo preparatore-nutrizionista Rudy Alexander Rossetto

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l desiderio di riscatto, la voglia di tornare a divertirsi lavorando, l’attenzione alla nutrizione e all’integrazione sia nei periodi di attività, sia in quelli di recupero dagli infortuni. Fra un allenamento e l’altro Edward Ravasi, 27enne ciclista lombardo del Team Eolo-Kometa, racconta le sue attese per la nuova stagione e il suo rapporto con le abitudini alimentari da professionista. «Sono a Gran Canaria da inizio febbraio, qui ho avuto la possibilità di allenarmi al caldo e pedalare per molte ore, facendo tanti metri di dislivello. Mi sento bene, dopo il problema al sottosella che mi ha costretto a star fermo per un mese, fino a fine dicembre», spiega Ravasi. Che nella squadra di Ivan Basso e Alberto Contador ha trovato «una gran serenità: mi sto preparando bene e l’idea è vivere al meglio il mio lavoro, andare alle corse e godermi il momento, cercando di rendere al massimo». Ne ha bisogno, Edward, dopo una serie di vicissitudini negative iniziate nel 2019 con la frattura del collo del femore della gamba sinistra e la successiva operazione. Fondamentale, in queste fasi, è l’aspetto nutrizionale come spiega il suo preparatore-nutrizionista, Rudy Alexander Rossetto, «Un buon modo per ripartire è eliminare tutti gli alimenti proinfiammatori, come per esempio le Solanacee, così chiamate per la presenza di solanina, presente in particolare nelle patate, nei pomodori crudi, così come nei peperoni, nelle melanzane e nel peperoncino, il cui consumo andrebbe limitato» spiega Rossetto. Aggiungendo: «Ciò che mangiamo interviene soprattutto nei processi di recupero a medio termine: quando il carico degli allenamenti va ad aumentare, l’eventua-

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le carenza di nutrienti o la loro scarsa qualità, concorrono a un aumento di casi d’infortunio soprattutto tra la fine del primo mese di ripresa e il secondo». Importante, per il recupero post attività, è anche l’integrazione e liquidi e l’assunzione di alimenti idonei per il ripristino del glicogeno Mentre getta le basi della sua preparazione («Tante ore in bici a ritmi non troppo elevati, lavori di medio e resistenza, oltre al lato forza in bici e in palestra»), Ravasi non perde d’occhio l’aspetto nutrizionale. «Cerco di stare in un range di peso e di integrare al massimo le ore in sella, in particolar modo con i carboidrati, che sono la nostra benzina», dice Edward. Ma a quanto ammonta il fabbisogno calorico quotidiano e che differenza c’è fra gara e allenamenti? «Si dissociano poco perché ultimamente si svolgono allenamenti che somigliano a gare. Il mio dispendio calorico può essere dalle 5.000 alle 6.000 calorie. Quello che può cambiare è l’assunzione di carboidrati in gara» spiega il 27enne varesino. Dipende poi dalla gara: se nelle tappe di montagna si assumono anche 90/100 grammi di carboidrati all’ora, in quelle pianeggianti – se non si entra nelle fughe e non si deve tirare il gruppo – ne bastano 40/50. L’alimentazione cambia prima di una cronometro, ma rimangono fondamentali le tempistiche. Come spiega bene il biologo nutrizionista Rossetto, molte volte in atleti di questo livello raggiungere le quote di macronutrienti senza affaticare organi e apparati diventa difficile: «Non sono un grande fan dell’integrazione, che a volte è consigliata con troppa semplicità, ma nel menu giornaliero di Edward, così


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Fonte: Wikipedia

come di altri professionisti che preparo, a volte consiglio integrazione di maltodestrine de19 (a lento rilascio) miscela di carboidrati di natura complessa, che favoriscono un più rapido ripristino delle riserve di glicogeno muscolare accorciando i tempi di recupero; la L-Glutamina, amminoacido fondamentale per prevenire il catabolismo muscolare e favorire la sintesi delle proteine, oltre ad agevolare il recupero; la Vitamina C Retard per proteggere l’organismo». Un esempio di menu proposto a Ravasi è questo, nel dettaglio. Colazione: tè con miele, cocco essiccato (40g), yogurt intero alla frutta (125g), uva secca (20g), crusca di frumento(30g). Spuntino 1: centrifugato mele, pere, arance; biscotti morbidi cioccolato proteici (25g). Pranzo: gnocchi all’olio, insalata di cetrioli e olive, ricotta vaccina (100g), Michetti (40g). Spuntino

Edward Ravasi.

Rudy Alexander Rossetto. Rossetto: “Ciò che mangiamo interviene nei processi di recupero a medio termine: quando il carico degli allenamenti va ad aumentare, l’eventuale carenza di nutrienti o la loro scarsa qualità, concorrono ad un aumento di casi d’infortunio.

2: pane di frumento (50g), clementine (120g), asiago (80g), acqua oligominerale (300g). Cena: ravioli di ricotta e spinaci al sugo, cetrioli, olive verdi (20g), speck (70g), Michetti (40g). Spuntino 3: proteine in polvere (30g), acqua oligominerale (150g), l-glutamina (2g). Ci sono poi dei miti da sfatare: pedalare a digiuno non fa bene, così come trascurare l’assunzione di proteine, fondamentali per la loro funzione plastica. Sbagliato anche non idratarsi a sufficienza prima e non integrare a sufficienza dopo, così come mangiare poco prima di salire in sella: va fatto almeno 2,5-3 ore prima della partenza, come spiega Rossetto. Per quanto riguarda le gare, all’attenzione dei singoli si è ormai aggiunta la cura scientifica dei team, per quanto riguarda gli aspetti nutrizionali: «Si è molto più consapevoli – dice Ravasi - ci sono persone che ci seguono e non dobbiamo pensarci molto a livello individuale. L’ambito scientifico ha fatto grandissimi passi e nel ciclismo si guarda molto di più al ‘marginal gain’ rispetto al passato: si cerca di essere al top attraverso ogni dettaglio, dalla preparazione all’alimentazione, passando per il riposo e i materiali». Edward, in tanto rigore scientifico ci può essere qualche strappo alla regola? «Se la sera senti necessità di un dolce, niente di esagerato, non c’è problema. Anche in un sistema scientifico, è la testa a fare la differenza». Ed è la testa che ti permette di rinunciare anche a qualche sfizio che poco si sposa con la vita da professionista? «Diciamo che il mio dispendio energetico mi permette di mangiare un po’ tutto, posso benissimo concedermi due-tre etti di pasta o una-due pizze a settimana, trattandosi comunque di cibi salutari. E a fine stagione, nelle settimane di libertà, qualche sfizio te lo concedi. Quanto ai fritti o allo junk food, col passare degli anni non ne sento quasi più il bisogno». (A. P.) GdB | Febbraio 2022

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LA BIOLOGIA IN BREVE Novità e anticipazioni dal mondo scientifico

a cura di Rino Dazzo

INNOVAZIONE Nasce il Grafene 3D per le tecnologie green

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n Grafene tridimensionale di alta qualità al servizio delle tecnologie green, in grado di aumentare la capacità di stoccaggio dell’idrogeno e la precisione dei sensori chimici: lo hanno realizzato gli studiosi del CNR-Nano con la collaborazione dei ricercatori dell’Università di Anversa. Il nuovo materiale è stato ottenuto prima trasformando un cristallo solido di Grafene in una nanostruttura porosa con l’ausilio di una speciale tecnica elettrochimica sviluppata all’Università di Vienna, poi portando la stessa a una temperatura di oltre 1300 gradi in condizioni di ultra-alto vuoto, infine facendola crescere su uno speciale scheletro cristallino in 3D. Grazie a questo complesso procedimento si è ottenuto un nuovo tipo di Grafene ad alta qualità in uno spazio ridotto.

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RICERCA Geni in comune per depressione e Alzheimer

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’è un filo sottile che lega depressione e morbo di Alzheimer, rappresentato da alcuni fattori genetici in comune. Lo certifica uno studio firmato dalla Emory University School of Medicine di Atlanta, che ha preso in esame l’intero genoma alla ricerca di aree di comunanza associate a particolari condizioni. La ricerca ha identificato 28 proteine cerebrali e 75 trascrizioni associate alla depressione e, tra questi, sette proteine e 46 trascrizioni associate a sintomi di Alzheimer. I risultati evidenziano l’esistenza di una base genetica condivisa per le due malattie, il che spiega come mai le persone affette da depressione grave sperimentino un declino più rapido della memoria. Il trattamento efficace dei disturbi depressivi, dunque, può rivelarsi utile a mitigare anche il rischio di demenza.


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AMBIENTE Amazzonia, dighe gestite da intelligenza artificiale

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’intelligenza artificiale a supporto del polmone verde del pianeta. Uno studio della Cornell University suggerisce una gestione internazionale, condivisa e sistemica delle dighe e dell’elettricità nel bacino del Rio delle Amazzoni. Secondo la ricerca, la pianificazione strategica è essenziale in un continente come il Sud America, dove la costruzione di grandi dighe è in forte espansione e dove le nuove installazioni minacciano l’equilibrio ambientale.

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ALIMENTAZIONE Il computer a Dna che valuta la qualità dell’acqua

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un dispositivo portatile, un computer a Dna, capace di valutare la qualità dell’acqua. Gli scienziati della Northwestern University lo hanno chiamato Rosalind in onore della chimica Rosalind Franklin e la sua funzione principale è quella di fornire indicazioni sulla potabilità e lo stato di salute dell’acqua attraverso l’utilizzo di reti genetiche programmabili, che imitano i circuiti elettronici per eseguire varie funzioni. A un ingresso analogico, l’esposizione all’acqua, segue infatti un’uscita digitale. Rosalind si illumina di verde quando una delle sue otto provette rileva la presenza di un contaminante: se si accendono più luci, è meglio non bere l’acqua testata. Il mini computer a Dna è in grado di percepire fino a 17 contaminanti diversi in una sola goccia d’acqua.

SALUTE Trapianti, un enzima rende gli organi compatibili

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rgani compatibili per tutti i donatori e con tutti i gruppi sanguigni: gli studiosi delle università di Toronto, British Columbia, Alberta e UHN hanno pubblicato una ricerca che dimostra come sia possibile convertire in sicurezza il gruppo sanguigno negli organi donatori destinati ai trapianti attraverso degli enzimi individuati nell’intestino e in grado di tagliare gli zuccheri dagli antigeni A e B sui globuli rossi, trasformandoli in cellule universali di tipo 0. L’esperimento oggetto della ricerca ha utilizzato il sistema di perfusione polmonare Ex Vivo, con organi forniti da un donatore di tipo A: un polmone è stato trattato con enzimi per eliminare gli antigeni, l’altro non ha subito trattamenti. L’organo trattato, a cui è stato aggiunto sangue di tipo 0, è stato ben tollerato dal ricevente, mentre l’altro ha dato segni di rigetto.

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Lavoro

CONCORSI PUBBLICI PER BIOLOGI AZIENDA SANITARIA LOCALE “VC” DI VERCELLI Scadenza, 3 marzo 2022 Concorso pubblico, per titoli ed esami, per la copertura di un posto di dirigente biologo di patologia clinica, a tempo indeterminato, per il laboratorio di analisi chimico-cliniche e microbiologia. Gazzetta Ufficiale n. 9 del 01-02-2022. ISTITUTO TUMORI IRCCS “GIOVANNI PAOLO II” DI BARI Scadenza, 5 marzo 2022 Conferimento, per titoli e colloquio, di una borsa di studio, livello B3, profilo biologo. Gazzetta Ufficiale n. 14 del 1802-2022. UNIVERSITÀ DI PAVIA Scadenza, 6 marzo 2022 Procedura di selezione per la copertura di un posto di ricercatore a tempo determinato, settore concorsuale 05/B1 - Zoologia e antropologia, per il Dipartimento di biologia e biotecnologie L. Spallanzani. Gazzetta Ufficiale n. 10 del 04-02-2022. AZIENDA SOCIO SANITARIA TERRITORIALE DI MANTOVA Scadenza, 10 marzo 2022 Conferimento dell’incarico quinquennale di dirigente medico, biologo o chimico, direttore della struttura complessa servizio medicina di laboratorio Mantova, disciplina di patologia clinica - laboratorio di analisi chimico cliniche e microbiologia. Gazzetta Ufficiale n. 11 del 08-02-2022. UNIVERSITÀ CATTOLICA DEL SACRO CUORE DI MILANO Scadenza, 17 marzo 2022 68 GdB | Febbraio 2022

Procedura di valutazione scientifico-didattica per la chiamata di un professore di prima fascia, settore concorsuale 05/E1 - Biochimica generale, per il Dipartimento di medicina e chirurgia A. Gemelli, sede di Roma. Gazzetta Ufficiale n. 13 del 15-02-2022. AZIENDA SANITARIA FRIULI OCCIDENTALE DI PORDENONE Scadenza, 17 marzo 2022 Concorso pubblico, per titoli ed esami, per la copertura di un posto di dirigente biologo, disciplina di laboratorio di genetica medica, a tempo indeterminato. Gazzetta Ufficiale n. 13 del 15-02-2022. UNIVERSITÀ DI ROMA “TOR VERGATA” Scadenza, 24 marzo 2022 Procedura comparativa per la chiamata di un professore di seconda fascia, settore concorsuale 05/C1 - Ecologia, per il Dipartimento di biologia. Gazzetta Ufficiale n. 15 del 22-02-2022. UNIVERSITÀ DI BOLOGNA “ALMA MATER STUDIORUM” Scadenza, 25 marzo 2022 Procedura di selezione per la copertura di un posto di ricercatore a tempo determinato della durata di trentasei mesi e pieno, settore concorsuale 05/E2 - Biologia molecolare, per il Dipartimento di farmacia e biotecnologie. Gazzetta Ufficiale n. 14 del 18-02-2022. UNIVERSITÀ DI BOLOGNA “ALMA MATER STUDIORUM” Scadenza, 29 marzo 2022 Procedura di selezione per la copertura di un posto di ricercatore a tempo determinato della durata di trentasei

mesi e pieno, settore concorsuale 05/A1 - Botanica, per il Dipartimento di scienze biologiche, geologiche e ambientali. Gazzetta Ufficiale n. 15 del 22-02-2022. CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE – ISTITUTO DI NEUROSCIENZE DI PISA Scadenza, 2 marzo 2022 È indetta una selezione pubblica, per titoli e colloquio, per il conferimento di n. 1 assegno professionalizzante per lo svolgimento di attività di ricerca inerenti l’Area Scientifica “Neuroscienze” da svolgersi presso l’Istituto di Neuroscienze del CNR sede di Pisa nell’ambito del programma di ricerca dal titolo : “Ruolo delle neurotrofine nella neurodegenerazione associata alla insufficienza renale cronica” nell’ambito del Progetto intitolato “Studio di pazienti dializzati afferenti ai centri Lucca/Versilia come modello predittivo del decadimento cognitivo precoce”. Per informazioni, www.cnr.it, sezione “concorsi”. CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE – ISTITUTO PER LE RISORSE BIOLOGICHE E LE BIOTECNOLOGIE MARINE DI MESSINA Scadenza, 3 marzo 2022 È indetta una pubblica selezione per titoli, eventualmente integrata da colloquio, per il conferimento di n. 1 borsa di studio per laureati, per ricerche inerenti l’Area scientifica “Scienze del Sistema Terra e Tecnologie per l’Ambiente” da usufruirsi presso l’Istituto per le Risorse Biologiche e le Biotecnologie Marine (IRBIM) - Sede di Messina nell’ambito del Progetto di Ricerca n. 08ME7219090182 “SI−MARE − Soluzioni Innovative per


Lavoro

Mezzi navali ad Alto Risparmio Energetico”. Per informazioni, www.cnr.it, sezione “concorsi”. CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE – ISTITUTO DI FISIOLOGIA CLINICA DI MASSA-CARRARA Scadenza, 3 marzo 2022 È indetta una selezione pubblica, per titoli e colloquio, per il conferimento di n. 1 Assegno Professionalizzante, assegni per lo svolgimento di attività di ricerca inerenti l’Area Scientifica “Biologia, Biotecnologie, Scienze biomediche, Chimica e Chimica farmaceutica” da svolgersi presso l’Istituto di Fisiologia Clinica del CNR - sede di Massa, che effettua ricerca scientifica nell’ambito del programma di ricerca “Sviluppo di matrici polimeriche composite, contenenti nanoparticelle meTalliche e/o Oli essenziali, con proprietà antivirale contro il VIRUS SarsCov-2” (acronimo STOPVIRUS) per la seguente tematica: “Sviluppo di matrici polimeriche contenenti nanoparticelle metalliche o sostanze naturali con attività virucida e valutazione della biocompatibilità in vitro”. Per informazioni, www. cnr.it, sezione “concorsi”. CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE – ISTITUTO PER LA PROTEZIONE SOSTENIBILE DELLE PIANTE DI TORINO Scadenza, 6 marzo 2022 È indetta una selezione pubblica, per titoli e colloquio, per il conferimento di n. 1 assegni A) “Assegni Professionalizzanti” per lo svolgimento di attività di ricerca inerenti l’Area Scientifica “Scienze Agrarie” “ da svolgersi presso l’Istituto per la Protezione Sostenibile delle Piante del CNR - Sede Istituzionale di Torino – Strada delle Cacce 73 che effettua ricerca nell’ambito del programma di ricerca, “Approcci molecolari per lo studio della tracciabilità genetica e delle risposte fisiologiche di viti affette da stress biotici ed abiotici”, per la seguente tematica: “Studio di un sistema atto a consentire la tracciabilità molecolare del vino e del materiale di propagazione della vite. Stu-

dio delle risposte fisiologiche e molecolari della vite a stress biotici ed abiotici”. Per informazioni, www.cnr.it, sezione “concorsi”. CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE – ISTITUTO DI SCIENZE DELLE PRODUZIONI ALIMENTARI DI LECCE SCADENZA, 7 MARZO 2022 È indetta una selezione pubblica, per titoli e colloquio, per il conferimento di n. 1 Assegno di Ricerca Tipologia A) “Assegni Professionalizzanti”, per lo svolgimento di attività di ricerca inerente l’Area Scientifica “Alimentazione”, da svolgersi presso l’Istituto di Scienze delle Produzioni Alimentari del CNR sede di Lecce che effettua ricerca nell’ambito del programma di ricerca: Development of new wheat-derived foods of the Mediterranean diet with improved nutritional and health value (MEDWHEALTH) Bando PRIMA - Section 1 Agro-Food Value chain 2020, per la seguente tematica: Estrazione e caratterizzazione di molecole bioattive da matrici agroalimentari. Per informazioni, www.cnr.it, sezione “concorsi”. CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE – ISTITUTO PER LA PROTEZIONE SOSTENIBILE DELLE PIANTE - LEGNARO (PADOVA) Scadenza, 7 marzo 2022 È indetta una selezione pubblica, per titoli e colloquio, per il conferimento di n. 2 Assegni tipologia A) “Assegni Professionalizzanti” per lo svolgimento di attività di ricerca inerenti l’Area Scientifica “Scienze Agrarie” da svolgersi presso l’Istituto IPSP del CNR, sede di Legnaro (PD) per la seguente tematica: “Sviluppo di erbicidi naturali, sviluppo di tecniche di diserbo fisico”. Per informazioni, www.cnr.it, sezione “concorsi”. CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE – ISTITUTO DI RICERCA SUGLI ECOSISTEMI TERRESTRI DI PISA Scadenza, 7 marzo 2022 É indetta una selezione pubblica, per

titoli e colloquio, per il conferimento di n. 1 assegno Post Dottorale per lo svolgimento di attività di ricerca inerenti l’Area Scientifica “Ambiente” da svolgersi presso l’Istituto di Ricerca sugli Ecosistemi Terrestri, Sede di Pisa del CNR che effettua ricerche per il recupero di sedimenti contaminati e il loro riutilizzo ambientale come matrice biologicamente attiva per il risanamento di suoli contaminati o degradati nell’ambito del programma “Riciclo ambientale dei sedimenti: strategie ecologiche e funzionali”, per la seguente tematica “Valutazione delle proprietà fisiche, chimiche e biologiche di suoli, sedimenti e substrati agronomici”. Per informazioni, www.cnr.it, sezione “concorsi”. CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE – ISTITUTO DI SCIENZA E TECNOLOGIE DELL’INFORMAZIONE “ALESSANDRO FAEDO” DI PISA Scadenza, 7 marzo 2022 È indetta una selezione pubblica, per titoli e colloquio, per il conferimento di n. 1 (uno) assegno “Professionalizzante” per lo svolgimento di attività di ricerca inerente all’Area Scientifica “Computer Science” da svolgersi presso l’Istituto di Scienza e Tecnologie dell’Informazione “A. Faedo” del CNR – Area della Ricerca CNR di Pisa – Via G. Moruzzi n. 1, 56124 Pisa, che effettua ricerca scientifica nell’ambito del programma di ricerca “EcoScope”, per la seguente tematica: “Tecniche di data mining applicate a dati multidimensionali”. Per informazioni, www.cnr.it, sezione “concorsi”. CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE – ISTITUTO NAZIONALE DI OTTICA DI FIRENZE Scadenza, 9 marzo 2022 È indetta una selezione pubblica, per titoli e colloquio, per il conferimento di n. 1 Assegno Senior per lo svolgimento di attività di ricerca inerenti l’Area Scientifica “Scienze fisiche” da svolgersi presso il CNR – Istituto Nazionale di Ottica, Sede secondaria di Sesto Fiorentino, che effettua ricerca scientifica nell’ambito dei Progetti PRECARVID GdB | Febbraio 2022

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Lavoro

- Studio clinico e modelli cellulari per la PREdizione e prevenzione del rischio CARdiovascolare in pazienti coVID-19, CUP B35F20002730007 e REPAIR Restoring cardiac mechanical function by polymeric artificial muscular tissue” G.A. 952166, finanziato dalla Unione Europea, CUP B59C20000740006, per la seguente tematica: “Implementazione di una piattaforma ottica per screening ad alto rendimento su preparati cellulari”. Per informazioni, www.cnr.it, sezione “concorsi”. CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE – Istituto per l’Endocrinologia e l’Oncologia “Gaetano Salvatore” di Napoli Scadenza, 9 marzo 2022 É indetta una selezione pubblica, per titoli e colloquio, per il conferimento di n. 2 Assegni post dottorali per lo svolgimento di attività di ricerca inerenti l’Area Scientifica di Scienze Biomediche da svolgersi presso l’Istituto per l’Endocrinologia e l’Oncologia Sperimentale “G. Salvatore” del CNR, nella sede secondaria di NAPOLI Via P. Castellino 111, che effettua ricerca in “Scienze Biologiche, Biochimiche e Farmacologiche” nell’ambito del PROGETTO CIR01_00023 - “IMPARA - IMAGING DALLE MOLECOLE ALLA PRECLINICA - RAFFORZAMENTO DEL CAPITALE UMANO, per la seguente tematica: “Potenziamento della piattaforma di microscopia ottica ed elettronica per lo studio di strutture subcellulari e localizzazione di molecole e complessi molecolari. Per informazioni, www.cnr.it, sezione “concorsi”. CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE – ISTITUTO DI FISIOLOGIA CLINICA DI PISA Scadenza, 10 marzo 2022 È indetta una selezione pubblica, per titoli e colloquio, per il conferimento di n. 1 Assegno Professionalizzante, assegno per lo svolgimento di attività di ricerca inerenti l’Area Scientifica “ G.1.4 Scienze epidemiologiche, biostatistiche, gestione sanitaria, salute pubblica” da svolgersi presso l’Istituto di Fisiologia 70 GdB | Febbraio 2022

Clinica del CNR che effettua ricerca Epidemiologica nell’ambito del programma di ricerca “OLIMPIA” per la seguente tematica: “Analisi statistica e gestione di database di dati clinici nell’ambito dello studio e valutazione delle performance motorie e di altre caratteristiche sia in pazienti affetti da malattia di Parkinson che in persone a rischio di sviluppare la patologia”. Per informazioni, www.cnr. it, sezione “concorsi”. CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE – ISTITUTO DI BIOCHIMICA E BIOLOGIA CELLULARE DI MONTEROTONDO (ROMA) Scadenza, 10 marzo 2022 È indetta una selezione pubblica, per titoli e colloquio, per il conferimento di n. 1 Assegno di Ricerca “Senior” per lo svolgimento di attività di ricerca inerenti l’Area Scientifica di Scienze Biomediche da svolgersi presso l’Istituto di Biochimica e Biologia Cellulare del CNR, nella sede di MONTEROTONDO, che effettua ricerca in “Scienze Biologiche, Biochimiche e Farmacologiche” nell’ambito del Progetto “DENTRO IL RUOLO DELL’EPARAN SOLFATO E DELLA DOPAMINA COME MODIFICATORI DELLA MALATTIA IN MUCOPOLISACCARIDOSI TIPO IIIA con scadenza il 30/06/2023” per la seguente tematica: “Studio dei meccanismi alla base delle alterazioni comportamentali nelle fasi precoci e tardive della malattia di Sanfilippo, con particolare attenzione all’utilizzo dei farmaci antipsicotici”. Per informazioni, www.cnr.it, sezione “concorsi”. CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE – ISTITUTO DI SCIENZE DELL’ALIMENTAZIONE DI AVELLINO Scadenza, 11 marzo 2022 È indetta una selezione pubblica, per titoli e colloquio, per il conferimento di n. 1 “Assegno Professionalizzante” per lo svolgimento di attività di ricerca inerente l’Area Scientifica “Biotecnologie” da svolgersi presso l’Istituto di Scienze dell’Alimentazione del CNR nell’ambito dei Progetti: DBA.AD005.202 PSR

CAMPANIA 2014-2020 “PANPRO” Valorizzazione della biodiversità delle leguminose locali per la produzione di pane a base di proteine vegetali, per la seguente tematica: “Caratterizzazione chimica, biochimica e funzionale di molecole con potenziale attività biologica presenti in matrici vegetali”. Per informazioni, www. cnr.it, sezione “concorsi”. CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE – ISTITUTO SULL’INQUINAMENTO ATMOSFERICO SEDE SECONDARIA DI ROMA Scadenza, 16 marzo 2022 É indetta una selezione pubblica, per titoli e colloquio, per il conferimento di n. 2 Assegni Professionalizzanti per lo svolgimento di attività di ricerca inerenti l’Area Scientifica “Terra e Ambiente” da svolgersi presso la Sede Secondaria di Roma dell’Istituto sull’Inquinamento Atmosferico del CNR c/o il Ministero della Transizione Ecologia per lo svolgimento della seguente attività: “Attuazione delle norme comunitarie e nazionali in materia di registrazione, valutazione, autorizzazione e restrizione delle sostanze chimiche, con particolare attenzione ai metalli inquinati oggetto di Accordi e Convenzioni internazionali”. Per informazioni, www.cnr.it, sezione “concorsi”. CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE – ISTITUTO DI SCIENZE APPLICATE E SISTEMI INTELLIGENTI “EDUARDO CAIANIELLO” DI NAPOLI Scadenza, 21 marzo 2022 È indetta una pubblica selezione per titoli, eventualmente integrata da colloquio, per il conferimento di n. 2 borse di studio per laureati, per ricerche inerenti l’Area scientifica “MICRO E NANO ELETTRONICA, SENSORISTICA, MICRO E NANO SISTEMI” da usufruirsi presso l’Istituto di Scienze Applicate e Sistemi Intelligenti “Eduardo Caianiello” – SEDE SECONDARIA DI NAPOLI, nell’ambito del PON: ARS01_01181 “PM3 –Piattaforma Modulare Multi Missione”. Per informazioni, www.cnr.it, sezione “concorsi”.


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Alterazioni degli equilibri ambientali Un ambiente poggia sull’equilibrio tra le risorse naturali che lo caratterizzano (biotopo) e le sue comunità vegetali e animali (biocenosi), sensibili ai cambiamenti improvvisi causati dall’attività umana

di Giuliano Russini1

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oltissime cause naturali hanno modificato senza sosta l’equilibrio della Natura. I cambiamenti del clima che si sono sempre avuti come processo di assestamento delle dinamiche geologiche e geofisiche terrestri durante le varie ere planetarie, attualmente intensificati (dalla rivoluzione industriale in poi) ad opera dell’essere umano a condizioni insopportabili, come quelli dovuti all’estendersi e al ritirarsi ciclico dei ghiacciai polari, nell’era Quaternaria, la lenta e ancora attuale deriva dei continenti, l’arrivo in una regione di nuove specie di predatori, o concorrenti (specie aliene o alloctone), le malattie contagiose e l’epizoozie; tutti questi fattori hanno agito sulle specie vegetali e animali (e le popolazioni umane), di cui alcune si sono adattate mentre altre sono scomparse nel corso dei tempi. Anche le attività umane come la caccia, l’introduzione di nuovi predatori e concorrenti in aree geografiche che non li ospitavano fino a quel momento e soprattutto la distruzione degli ambienti mediante la deforestazione e per mezzo di fenomeni d’inquinamento, rompono in modo improvviso l’equilibrio di interi ecosistemi e quindi della Natura intesa anche come biosfera nella quale tutti viviamo. Gli uomini primitivi, sterminarono i grossi mammiferi dell’emisfero Boreale, come il rinoceronte lanoso e il Mammut. Ma con l’avvento dell’agricoltura e successivamente nei secoli, delle industrie, l’insidia degli uomini verso le piante, gli animali gli ecosistemi e loro stessi, si è fatta particolarmente grave. Distruzione degli ambienti Un ambiente poggia sull’equilibrio tra le risorse naturali che lo caratterizzano (biotopo) e le sue comunità vegetali e animali (biocenosi), sensibili ai cambiamenti improvvisi cau1

Biologo ambientale botanico applicato-fitopatologo.

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sati dall’attività umana. L’agricoltura (che senza ombra di dubbio è necessaria per sfamare l’essere umano) ha comunque nelle sue varianti intensive e spesso monocolturali (senza neanche il sostegno del sovescio, perché bisogna produrre e non c’è tempo), profondamente cambiato la vegetazione spontanea su immense superfici e alterato spesso in modo irreversibile l’ambiente di innumerevoli specie selvatiche. Il disboscamento, le colture intensive, l’estensione delle praterie e l’erosione del suolo, hanno degradato gli ambienti naturali. L’uso degli insetticidi nella storia post-industriale e neo-agricola ha perturbato, insieme alla caccia e alla pesca, numerose catene alimentari. All’inizio del secolo scorso, la costruzione delle linee ferroviarie, delle strade, delle città ha completamente soppresso interi habitat. I rifiuti di origine domestica e industriale hanno incominciato ad inquinare sempre più l’aria, il suolo, l’acqua (prendendo il sopravvento) elementi indispensabili alla vita di tutti. La trasformazione dell’ambiente naturale ad opera dell’uomo comunque, non è affatto cosa recente. In Africa settentrionale, il dissodamento delle foreste ad opera inizialmente degli indigeni e poi degli Antichi Romani fino ad arrivare ad oggi, ove il disboscamento atto a foraggiare la filiera del legno e le biomasse, ha sicuramente contribuito all’estensione del deserto sahariano, come per altri deserti in altre località geografiche. La colonizzazione dell’America del Nord e l’espansione verso ovest della società agricola e industriale, sono avvenute a detrimento degli habitat originali, come quello dei bisonti, per esempio. In Africa orientale (ad esempio in Somalia, Etiopia, Eritrea), il pascolo eccessivo ha ridotto vaste estensioni di savana in zone semidesertiche. L’isola del Madagascar era un tempo completamente ricoperta da foresta di vario tipo (pluviali, asciutte, tropicali etc.), ma durante gli ultimi 1.000 anni, i quattro quinti degli alberi sono stati abbattuti, o bruciati, per fare posto all’alle-


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vamento e all’agricoltura. A causa di ciò gli animali tipici di questa isola, come i lemuri, sono in pericolo d’estinzione. Nel corso dei suoi viaggi esplorativi, l’uomo nel tempo, ha trasportato varie specie animali, sia intenzionalmente, come anche per caso (lo stesso per le vegetali), introducendole in nuove aree geografiche, anche molto lontane. Uno dei casi più conosciuti di propagazione occidentale è quello del topo delle chiaviche, originario dell’Asia e diffuso ora nel mondo intero: tale animale è un flagello per l’essere umano e per i suoi raccolti, poiché granivoro e perché vettore di agenti patogeni (come il tifo e la peste); inoltre essendo anche predatore è stato responsabile dell’estinzione di almeno nove specie di uccelli inetti al volo, come lo scricciolo dell’Isola di Stephen (Xenicus lyalli), nella Nuova Zelanda. Tra le specie introdotte deliberatamente, invece, figurano: il cane, il gatto, il coniglio, lo scoiattolo, vari uccelli e la maggior parte degli animali domestici. I dinghi, introdotti dall’uomo durante le sue migrazioni, circa 8.000 anni fa in Australia, dall’Asia, come cani da caccia, poi ritornati allo stato selvatico (ferale), risultano probabilmente essere la causa principale del declino, fino all’estinzione, di numerose specie di marsupiali, come il lupo della Tasmania o “tilacino”. In altri paesi, le volpi, i maiali e i gatti (dove non esistevano, prima dell’avvento degli occidentali), tornati allo stato

selvatico, hanno egualmente decimato la fauna autoctona. La mangosta di Giava, introdotta nelle Antille per combattere i serpenti e i ratti, cominciò a predare vari animali indigeni fino a estirparli, mentre i ratti, continuarono a prosperare. Specialmente i solenodonti, mammiferi insettivori propri di Cuba e Haiti (Solenodonte cubano Solenodon cubanus e Solenodonte haitiano Solenodon paradoxus), hanno sofferto in misura grave. Degli animali domestici introdotti dall’essere umano, il più distruttivo sicuramente è la capra, che ha alterato radicalmente gli ecotipi mediterranei e quello di parecchie isole oceaniche, come le Galapagos, mangiandone tutta la vegetazione, lasciando il terreno nudo, brullo, coperto solo da arbusti; nelle Galapagos, questo è stato un fattore limitante per le popolazioni di tartarughe giganti endemiche dell’Arcipelago. Infine, per citare un ultimo esempio, i pesci dorati, introdotti nei fiumi del Madagascar per abbellirne la fauna ittica fluviale, hanno eliminato tutte le altre specie di pesci endemiche d’acqua dolce. Si può sentenziare, senza rischiare di essere lapidati, che il solo agente inquinante della Terra è “l’uomo”. Lo spazio e le risorse che il pianeta offre non sono più sufficienti a contenere la crescita esplosiva della popolazione umana; i GdB | Febbraio 2022

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residui industriali, gli insetticidi tossici e l’accumulo dei ri- fitofagi e fitopatogeni, migliorando la vita di intere comunifiuti urbani, stanno creando dei mutamenti irreversibili della tà, ma gli effetti collaterali sono stati devastanti nel tempo. biosfera. Il DDT sebbene poi proibito sin dagli anni ’80 del secolo Lo smog, un misto di fumo e nebbia, causa malattie polmonari e uccide esseri umani e animali, finanche le © Only_NewPhoto/shutterstock.com piante! Gli scarichi delle automobili hanno contenuto piombo fino agli anni ’80 del secolo scorso (nei paesi del terzo e quarto mondo, ancora si usa benzina arricchita in piombo), elemento che si fissa irreversibilmente nell’organismo, soprattutto dei bambini, in quello degli animali domestici, d’allevamento e dei loro prodotti alimentari, carne, latte, uova, ed è stato ritrovato perfino in campioni di neve e ghiaccio al Polo Nord! I fiumi e i corsi d’acqua sono inquinati dai detriti fognari, dagli scarichi delle fabbriche, ad esempio con sostanze emulsionanti dei detergenti che formano ammassi di schiuma: questi privano i pesci dell’ossigeno e, talora, apportano germi delle malattie; oppure dagli insetticidi e dai fertilizzanti, con cui vengono inondate le colture. Gli insetticidi hanno frenato in alcuni casi lo sviluppo di insetti nocivi 74 GdB | Febbraio 2022


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scorso, persiste nell’ambiente essendo stabile chimicamente e attraverso le catene alimentari lo si ritrova nei tessuti umani e animali, come ad esempio nel tessuto adiposo degli orsi polari! I biologi sospettano che possa rendere sterili animali come il falco pellegrino, così minacciandone la sopravvivenza. In mare i residui degli idrocarburi hanno conseguenze apocalittiche sulla complessa vita vegetale e animale sottomarina, dal livello monocellulare a quello pluricellulare, agendo anche sugli uccelli marini e quindi nell’ambiente subaereo e aereo; tutto soggetto a un effetto “domino”. Non è possibile trovare una soluzione immediata e generale per ogni cosa, ma si deve a tutti i costi approfondire e mettere in pratica le soluzioni migliori e immediatamente, o almeno il più velocemente possibile, perché non siamo quasi più in tempo per evitare di entrare in un tunnel senza più uscite. La conservazione delle risorse naturali (ecosistemi) e della gestione della fauna e flora in termini eco-sostenibili deve divenire un “obbligo” per ogni Nazione, senza se e senza ma e il trasgredirlo deve essere soggetto a livello giuridico, con lo stesso valore di un reato contro l’umanità, acquisendo lo status di reato contro la “biosfera”! Ma ciò non basta a salvare l’ambiente, perché se da un lato dobbiamo difendere la Natura, non possiamo certo farlo disinteressandoci degli esseri umani e dei suoi peccati continui! Per questo è necessario, senza limitazioni politiche, religiose, etniche, economiche costituire comitati mondiali in cui, a differenza di quello che accade ancora oggi, scienziati-tecnici,

politici, economisti, sociologi, antropologi, storici devono affrontare il più concretamente possibile tale immenso problema che pende sopra le nostre teste, come una spada di Damocle. Concludo con un motto inventato negli anni ’60 del secolo scorso da uno dei miei biologi preferiti Renè Dubos: “Pensa globalmente, agisci localmente!”, in quel periodo, tale frase era interpretata giustamente, nel senso di agire nelle proprie condizioni locali, nel modo migliore perché la risultante globale, somma delle singole realtà locali, fosse un mondo più pulito. Oggi la interpreterei, come accennato prima, che nel mondo si uniscano tutti, perché si trovi una soluzione locale (senza pensare sempre e solo al guadagno), per quella che è la casa di tutti noi, la Terra, evitando, come la biologa americana Rachel Carson scrisse su un suo celebre libro, nella prima metà del secolo XX, un’altra “Primavera Silenziosa”. Bibliografia - Encyclopedia of the Environment. The René Dubos Center for Human Environments-Ruth A. Eblen and William R. Eblen Editors, 1994, New York - Una Sola Terra”, Barbara Ward e René Dubos-Arnoldo Mondadori, 1972 - The Human Species-Oxford press”, 1985 - Enciclopedie di Cambridge- Scienze della Vita, 1985, La Terza GdB | Febbraio 2022

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Il cambiamento climatico Un tema al centro della politica internazionale Nel rapporto di valutazione scientifica (Assessment Reports - AR.), pubblicato nell’agosto 2021 (AR6), gli scienziati hanno segnalato la rilevazione di cambiamenti nel clima della Terra in ogni sua regione e in tutto il sistema climatico terrestre

di Antonella Pannocchia

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l premio Nobel per la chimica Paul Crutzen1 ha definito “Antropocene” (era dell’uomo) l’epoca geologica attuale: il tratto dominante di quest’epoca – che avrebbe inizio con i primi anni dell’Ottocento e la rivoluzione industriale – è infatti l’operato umano e con il suo enorme impatto sull’ambiente. Il cambiamento climatico si è senza dubbio imposto nell’ultimo decennio all’attenzione dei Governi dei principali paesi industrializzati, diventando uno dei temi più rilevanti ed urgenti dell’agenda politica internazionale. Le profonde trasformazioni strutturali oggi in atto a livello globale (crescita demografica, sviluppo economico accelerato di alcuni Paesi emergenti, aumento del consumo di energia su scala planetaria, ecc.) impongono una sempre più attenta valutazione della sostenibilità di medio lungo termine delle attuali dinamiche di sviluppo socio-economico perché la pressione esercitata sulle risorse naturali in varie regioni del mondo è ormai fortissima e le preoccupazioni legate al contenimento degli effetti maggiormente negativi dei processi di crescita economica sono crescenti. Nel VI e più recente rapporto dell’ IPCC2 (organo intergovernativo che lavora sotto l’egida dell’ O.N.U., aperto a tutti i Paesi membri della WMO e dell’ UNEP. L’attività principale dell’ IPCC consiste nel produrre periodicamente rapporti di valutazione scientifica (Assessment Reports AR.), pubblicato nell’agosto 2021 (AR6), gli scienziati hanno segnalato la rilevazione di cambiamenti nel clima della Terra in ogni sua regione e in tutto il sistema climatico terrestre. La superficie terrestre si sta riscaldando rapidamente e tale riscaldamento è dovuto all’enorme aumento delle concentrazioni di gas serra (principalmente CO2 e metano (CH4) derivanti dalle attività umane e da eventi naturali in grado di intrappolare la radiazione solare vicino alla superficie terrestre determinando il riscaldamento globale al quale sono attribuibili i fenomeni descritti di seguito. La CO2 in particolare si produce come risultato della combustione di prodotti naturali (principalmente il carbone) 76 GdB | Febbraio 2022

utilizzata per fornire energia ai vari settori di attività umana quali quelli industriali, di riscaldamento, di produzione, di trasporto di allevamento ed agricoltura. Molti dei cambiamenti descritti nel citato rapporto3 sono senza precedenti e saranno – come il continuo aumento del livello del mare – irreversibili per centinaia o migliaia di anni. Nonostante la gravità della situazione, grandi e costanti riduzioni di emissioni di anidride carbonica (CO2) e di altri gas serra potrebbero limitare i cambiamenti climatici. Se, da una parte, grazie a queste riduzioni, i benefici per la qualità dell’aria sarebbero rapidamente acquisiti, dall’altra, potrebbero essere necessari 20-30 anni per vedere le temperature globali stabilizzarsi. Il documento in oggetto3 è stato approvato il 6 agosto 2021 da 195 governi membri dell’IPPC nel corso di una sessione virtuale che si è tenuta per due settimane a partire dal 26 luglio. Il rapporto del Gruppo di Lavoro 1 è la prima parte del Sesto Rapporto di Valutazione (AR6) dell’ IPCC, che sarà completato nel 2022. “Questo rapporto riflette sforzi straordinari in circostanze eccezionali”, ha detto Hoesung Lee, presidente dell ’IPCC. “Le innovazioni contenute in questo rapporto e i progressi nella scienza del clima che esso riflette, forniscono un contributo inestimabile ai negoziati sul clima e ai processi decisionali”. Sebbene nell’ambiente scientifico si siano levate negli anni alcune voci contrarie alla responsabilità antropica delle variazioni climatiche alle quali assistiamo, negli ultimi cinque anni prove scientifiche ed evidenze tecniche inconfutabili si sono accumulate in favore di una relazione causale dell’intervento antropico nei cambiamenti climatici, il consenso scientifico internazionale attorno all’interpretazione antropogenica del cambiamento climatico è ora ampiamente diffuso. I sostenitori di tale relazione sono infatti tra i più autorevoli esperti a livello mondiale sul tema e basano le loro convinzioni su innumerevoli analisi approfondite e scientificamente testate.


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Il rapporto mostra che le emissioni di gas serra provenienti dalle attività umane sono responsabili del già avvenuto riscaldamento complessivo di circa 1,1°C che si è registrato dal 1850 ad oggi. Tale valutazione si basa sulle serie di dati osservati l’approfondimento dei quali e’ stato molto migliorato rispetto agli studi precedenti; la valutazione dello studio citato, ha infatti utilizzato i più recenti avanzamenti scientifici nella comprensione delle risposte del sistema climatico alle emissioni di gas serra prodotte dalle attività umane anche impiegando nuovi ed accurati modelli matematici per l’analisi degli senari futuri. L’analisi di tali scenari porta a concludere che, a meno che non ci siano riduzioni immediate, rapide e su larga scala delle emissioni di gas serra, anche l’obiettivo minimo di contenere il riscaldamento complessivo a circa 2°C o meglio a 1.5°C nei prossimi anni sarà assolutamente fuori da ogni portata. Come ha affermato la co-presidente del Gruppo di Lavoro 1 dell ’IPCC, la climatologa francese Valérie Masson-Delmott: “Questo rapporto è un riscontro oggettivo, ora abbiamo un quadro molto più chiaro del clima passato, presente e futuro, che è essenziale per capire dove siamo diretti, cosa si può fare e come ci possiamo preparare”. L’altro co-presidente del Gruppo di Lavoro 1 dell’ IPCC, Panmao Zhai (climatologo cinese) ha affermato che:“I cambiamenti climatici stanno già influenzando ogni regione della Terra, in molteplici modi. I cambiamenti che stiamo vivendo aumenteranno con un ulteriore incremento del riscaldamento”. Nei prossimi decenni un aumento dei cambiamenti climatici è atteso in tutte le regioni. Con 1,5°C di riscaldamento globale, ci si attende un incremento del numero di ondate di calore, stagioni calde più lunghe e stagioni fredde più brevi. Con un riscaldamento globale di 2°C, gli estremi di calore raggiungerebbero più spesso soglie di tolleranza critiche per l’agricoltura e la salute. LE BASI FISICO-SCIENTIFICHE DELL’AR6 Il messaggio principale del rapporto: ogni regione del pia-

neta affronta cambiamenti che stanno crescendo Rispetto al quinto rapporto di valutazione dell’ IPCC (AR5)4 sono migliorate le stime basate sulle osservazioni e le informazioni dagli archivi paleo-climatici, che forniscono una visione completa di ogni componente del sistema climatico e dei suoi cambiamenti fino ad oggi. Nuove simulazioni dei modelli climatici, nuove analisi e metodi che combinano numerose evidenze, portano ad una migliore comprensione dell’influenza umana su un’ampia gamma di variabili climatiche, compresi gli estremi meteo-climatici. Molte caratteristiche dei cambiamenti climatici dipendono direttamente dal livello di riscaldamento globale, ma ciò che le persone vivono in prima persona in diverse aree del pianeta è spesso molto diverso dalla media globale. Per esempio, il riscaldamento sulla superficie terrestre è più elevato rispetto alla media globale, e nella regione dell’Artico è più del doppio. I cambiamenti climatici stanno portando molte conseguenze in diverse regioni, e tutti aumenteranno con un ulteriore riscaldamento. Questi includono non solo aumenti dei valori medi della superficie terrestre ma anche cambiamenti nei valori dell’umidità, nei venti, nella neve e nel ghiaccio, nelle aree costiere e negli oceani. A. TEMPERATURA È inequivocabile che l’influenza umana ha riscaldato l’atmosfera, l’oceano e le terre emerse. Gli aumenti osservati nelle concentrazioni di gas serra (GHG) dal 1750 circa sono senza alcun dubbio causati da attività umane. È chiara l’evidenza scientifica che mostra che l’anidride carbonica (CO2) è il principale motore dei cambiamenti climatici, anche se altri gas serra e inquinanti atmosferici contribuiscono a influenzare il clima. “Stabilizzare il clima richiederà riduzioni forti, rapide e costanti delle emissioni di gas a effetto serra, e raggiungere emissioni nette di CO2 pari a zero, ha detto Zhai. Dal 2011 le concentrazioni in atmosfera hanno continuato ad aumentare, raggiungendo nel 2019 medie annuali di: 410 ppm per l’anidride carbonica (CO2), 1.866 ppb per il metano (CH4), 332 ppb per il protossido di azoto (NO2). La temperatura superficiale globale nel periodo 20012020 è stata di 0,99°C superiore a quella del periodo 18501900, ed è stata più alta di 1,1°C nel periodo 2011-2020 rispetto al periodo 1850-1900, con aumenti maggiori sulla terraferma (1,59°C) rispetto all’oceano (0,88°). Nel periodo 1970-2004, le emissioni globali dei gas serra (GHGs) sono cresciute del 70%. L’ammontare più significaGdB | Febbraio 2022

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tivo di gas serra è stato generato dalle attività relative a: approvvigionamento energetico (26%), industria (19%), deforestazione e utilizzo dei terreni (17,4%), agricoltura (14%) e trasporti (13%)5. B. CICLO DELL’ACQUA Si legge nel rapporto che i cambiamenti nell’oceano quali il riscaldamento, le più frequenti ondate di calore marino, l’acidificazione degli oceani e la riduzione dei livelli di ossigeno in mare sono stati chiaramente collegati all’influenza umana. Questi cambiamenti che influenzano sia gli ecosistemi marini che le persone che dipendono da essi continueranno almeno per il resto di questo secolo. Si sta intensificando il ciclo dell’acqua. Questo porta, in alcune regioni, piogge più intense e inondazioni ad esse associate, in molte altre regioni porta a siccità più intense. C’è una influenza sugli andamenti delle precipitazioni. Alle alte latitudini, è probabile che le precipitazioni aumentino, mentre ci si attende che diminuiscano in gran parte delle regioni subtropicali. Sono attesi cambiamenti nelle precipitazioni monsoniche, con variazioni nelle diverse regioni. Le precipitazioni globali medie sulla terraferma sono aumentate dal 1950, e più rapidamente a partire dagli anni ’80. L’influenza umana ha contribuito al pattern di cambiamento delle precipitazioni dalla metà del XX° secolo, 78 GdB | Febbraio 2022

e ha molto probabilmente contribuito al pattern di cambiamento della salinità dell’oceano superficiale così come al ritiro dei ghiacciai a livello globale dagli anni ’90, della diminuzione del ghiaccio. Questa diminuzione è di circa il 40% in Settembre (mese del minimo annuale). Inoltre, le attività umane hanno contribuito alla diminuzione della copertura nevosa primaverile dell’emisfero settentrionale dal 1950 e allo scioglimento superficiale osservato della calotta glaciale della Groenlandia negli ultimi due decenni. Le zone climatiche si sono spostate verso il polo in entrambi gli emisferi, ed il periodo vegetativo si è allungato in media fino a due giorni per decennio dagli anni ’50 alle medie latitudini in entrambi gli emisferi. L’influenza umana ha riscaldato il clima a un ritmo (velocità) senza precedenti negli ultimi 2000 anni. C. AUMENTO DEL LIVELLO DEI MARI Lo strato superficiale dell’oceano (0-700 m) si è riscaldato a partire dagli anni ’70 e le emissioni di CO2 causate dall’uomo sono la causa dell’attuale acidificazione globale dell’oceano superficiale. Il livello medio globale dei mari è cresciuto a un tasso medio di 1,8 mm all’anno, tra il 1961 e il 2003. Il tasso di crescita è stato maggiore durante il periodo 1993-2003:


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circa 3,1 mm all’anno. Secondo le osservazioni satellitari della NASA, tra il 1993 e il 2008 si è registrato un incremento medio del livello dei mari di 4-5 cm, la maggior parte dei quali concentrati sul Pacifico equatoriale orientale, Nord Atlantico e tra Nuova Zelanda e Mar di Tasmania. È da rilevare, inoltre, che l’incremento della concentrazione atmosferica di CO2 ha generato il progressivo aumento dell’acidificazione degli oceani e delle acque, con conseguenze negative sull’esistenza stessa degli ecosistemi marini4. Il livello medio del mare globale è aumentato di 0,20 m tra il 1901 e il 2018 e il tasso medio di innalzamento è stato di 1,3 mm yr-1 tra il 1901 e il 1971. Le attività umane sono la principale causa di questo innalzamento. Recentemente tra il 2006 e il 2018 il tasso di innalzamento ha raggiunto i 3,7 mm per anno. Ci si attende un continuo aumento del livello del mare per tutto il XXI secolo in tutte le aree costiere che contribuirebbe a inondazioni costiere più frequenti e gravi nelle aree basse rispetto al livello del mare e all’erosione delle coste. Eventi estremi riferiti al livello del mare che prima si verificavano una volta ogni 100 anni, entro la fine di questo secolo potrebbero verificarsi ogni anno. D. SCIOGLIMENTO DEL PERMAFROST Un ulteriore riscaldamento intensificherà lo scioglimento del permafrost, la perdita della copertura nevosa stagionale, lo scioglimento dei ghiacciai e della calotta polare, e la perdita del ghiaccio marino Artico estivo. Le osservazioni satellitari effettuate dal 1978 mostrano come l’estensione annuale media dei ghiacci marini artici si sia ridotta del 2,7% per decade, con maggiori diminuzioni durante i periodi estivi (7,4% per decade). Dal 1979 al 2007, la fusione della copertura glaciale della Groenlandia è aumentata del 30% nella parte occidentale, con scioglimenti record registrati negli anni 1987, 1991, 1988, 2002 e 2007. In particolare, dati

provenienti dal JPL Gravity Recovery and Climate Experiment6 mostrano che la Groenlandia ha perso circa 150-200 chilometri cubi di ghiaccio all’anno tra il 2002 e il 2005. Per quanto riguarda i ghiacciai europei, è stato stimato che dal 1850 (anno di maggiore estensione) al 1970 abbiano perso, in media, il 35% della loro superficie e circa il 50% del loro volume. L’estate eccezionalmente calda del 2005 ha portato, da sola, a una perdita del 10% della massa residua dei ghiacciai alpini. C. Innalzamento del livello dei mari Le analisi e le osservazioni delle variazioni che interessano il livello dei mari hanno assunto una rilevanza considerevole soprattutto per i potenziali impatti sulle popolazioni insediate nelle regioni costiere e sulle isole. Nelle città, alcuni aspetti dei cambiamenti climatici possono risultare amplificati. Tra questi, le ondate di calore (le aree urbane sono di solito più calde dei loro dintorni), le inondazioni dovute a forti precipitazioni e l’aumento del livello del mare nelle città costiere. POSSIBILI FUTURI CLIMATICI E CAMBIAMENTI IRREVERSIBILI Cinque nuovi scenari di emissioni sono stati usati per esplorare la risposta climatica a una gamma più ampia di

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GHG, usi del suolo e inquinanti atmosferici rispetto a quelli valutati nel precedente Rapporto di Valutazione dell’ IPCC (AR5). Questi scenari guidano le proiezioni dei modelli climatici e tengono conto dell’attività solare e vulcanica. È atteso che la temperatura superficiale globale continuerà ad aumentare almeno fino alla metà del secolo in tutti gli scenari di emissioni considerati. Il riscaldamento globale di 1,5°C e 2°C sarà superato durante il corso del XXI° secolo a meno che non si verifichino nei prossimi decenni profonde riduzioni delle emissioni di CO2 e di altri gas serra. È certo che la superficie terrestre continuerà a riscaldarsi più di quella oceanica (di 1,4/ 1,7 volte di più) e che l’Artico continuerà a riscaldarsi a una velocità due volte superiore rispetto a quella della temperatura superficiale globale. Con ogni ulteriore incremento del riscaldamento globale, i cambiamenti negli estremi continueranno ad aumentare. Ad esempio, ogni 0,5°C in più di riscaldamento globale provoca aumenti chiaramente percepibili dell’intensità e della frequenza degli estremi di caldo, comprese le ondate di calore e le forti precipitazioni, nonché siccità agricola ed ecologica in alcune regioni. Alcuni eventi estremi avranno aumenti senza precedenti anche con un ulteriore riscaldamento globale anche a 1,5°C rispetto al periodo pre-industriale. Si prevede che alcune regioni di alle medie latitudini e semi-aride e la regione del monsone sudamericano, vedranno il più alto aumento della temperatura media dei giorni più caldi (di circa 1,5/2 volte il tasso di riscaldamento della globale). L’Artico sperimenterà il più alto aumento della temperatura media dei giorni più freddi (di circa 3 volte il tasso di riscaldamento globale). È molto probabile che, con un ulteriore riscaldamento globale, eventi di forte precipitazione si intensifichino e diventino più frequenti nella maggior parte delle regioni. Su scala globale, si prevede che gli eventi estremi di precipitazione giornaliera si intensificheranno di circa il 7% per ogni 1°C di riscaldamento globale. La proporzione di cicloni tropicali intensi (categorie 4-5) e le velocità del vento di picco dei cicloni più intensi aumenteranno su scala globale. Si prevede che un ulteriore riscaldamento amplifichi ulteriormente lo scioglimento del permafrost, la perdita della copertura nevosa stagionale, del ghiaccio terrestre e del ghiaccio marino artico. È probabile che l’Artico sarà praticamente privo di ghiaccio marino a settembre almeno una volta prima del 2050, con occorrenze più frequenti per livelli di riscaldamento più elevati. Si prevede inoltre che un continuo riscaldamento globale intensifichi ulteriormente il ciclo dell’acqua su scala globale, compresa la sua variabilità, le precipitazioni monsoniche e la gravità degli eventi di precipitazione e siccitosi. Si prevede inoltre che le precipitazioni monsoniche aumentino nel medio-lungo termine su scala globale, in particolare nell’Asia meridionale e sudorientale, nell’Asia orientale e nell’Africa 80 GdB | Febbraio 2022

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occidentale, tranne che nell’estremo ovest del Sahel. Molti cambiamenti dovuti alle emissioni di GHG passate e future SARANNO IRREVERSIBILI per secoli o millenni, in particolar modo i cambiamenti nell’oceano, nelle calotte glaciali e nel livello del mare. Le emissioni passate di GHG dal 1750 porteranno l’oceano globale ad un riscaldamento futuro. La stratificazione dell’oceano superiore, l’acidificazione e la de-ossigenazione degli oceani continueranno ad aumentare nel XXI secolo, a tassi variabili a seconda dalle emissioni future, e sono potenzialmente irreversibili per secoli e millenni. I ghiacciai montani e polari sono destinati a continuare a sciogliersi per decenni/secoli. La perdita di carbonio dal permafrost in seguito al suo disgelo è irreversibile su scale temporali centenarie. La continua perdita di ghiaccio nel corso del XXI secolo è virtualmente certa per la calotta glaciale della Groenlandia e probabile per la calotta glaciale antartica. Conseguenze a bassa probabilità e alto impatto (derivanti da processi di instabilità della calotta glaciale caratterizzati da profonda incertezza che in alcuni casi raggiungerebbero punti critici) potrebbero risultare in un forte aumento della perdita di ghiaccio dalla calotta antartica per secoli in scenari di emissioni elevate di GHG. Il livello medio globale del mare continuerà ad aumentare nel corso del XXI secolo. CHE FARE PER LIMITARE I CAMBIAMENTI CLIMATICI FUTURI Limitare il riscaldamento globale ad un livello specifico richiede una limitazione delle emissioni cumulative di CO2 che raggiunga emissioni zero nette, insieme a forti riduzioni delle emissioni degli altri gas serra. Forti riduzioni delle emissioni di metano (CH4) limiterebbero anche l’effetto di riscaldamento risultante dalla diminuzione dell’inquinamento da aerosol e migliorerebbero


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la qualità dell’aria. C’è una relazione quasi lineare tra le emissioni cumulative di CO2 antropiche e il riscaldamento globale: ogni 1000 Gt CO2 di emissioni cumulative di CO2 la temperatura superficiale globale aumenta di circa 0,45°C (ogni Gt equivale a un miliardo di tonnellate). Questa quantità è indicata come la risposta transitoria del clima alle emissioni cumulative di CO2 e implica che raggiungere emissioni antropiche di CO2 zero nette è un requisito necessario per stabilizzare l’aumento della temperatura globale indotta dall’uomo a qualsiasi livello, ma che limitare l’aumento della temperatura globale a un livello specifico implica limitare le emissioni cumulative di CO2 entro un budget di carbonio. Nel periodo 1850-2019, sono state emesse 2390 ± 240 Gt CO2 di origine antropica. Le azioni che verranno intraprese, in parte concordate in accordi multilaterali alla conferenza di Glasgow dell’ottobre scorso, devono necessariamente tenere conto dello stato di fatto attuale. Le emissioni di CO2 sono infatti legate alle combustioni di carburanti per ricavarne energia ed è principalmente il carbone fossile che produce CO2. Per politiche efficaci e’ inoltre necessario valutare la produzione di CO2 per settore produttivo e per area geografica. La rimozione antropica di CO2 (CDR) ha il potenziale di rimuovere la CO2 dall’atmosfera e di immagazzinarla in modo duraturo nei serbatoi. La CDR mira a compensare le emissioni residue per raggiungere emissioni zero nette di CO2 o GHG. I metodi di CDR possono avere effetti potenzialmente ad ampio raggio sui cicli bio - geochimici e sul clima, e possono avere effetti sulla disponibilità e la qualità dell’acqua, la produzione alimentare e la biodiversità. Se la rimozione antropica di CO2 (CDR) portasse a emissioni globali nette negative, si abbasserebbe la concentrazione atmosferica di CO2 e si invertirebbe l’acidificazione su-

perficiale degli oceani. Le rimozioni ed emissioni antropiche di CO2 sarebbero parzialmente compensate rispettivamente dal rilascio e dall’assorbimento di CO2 da e verso i bacini di carbonio terrestri e oceanici. Se si raggiungessero e mantenessero emissioni globali nette negative di CO2, l’aumento globale della temperatura superficiale indotto dalla CO2 sarebbe gradualmente invertito, ma altri cambiamenti climatici continuerebbero nella loro direzione attuale per decenni/ millenni. Per esempio, ci vorrebbero diversi secoli/millenni perché il livello medio globale del mare inverta la rotta anche con grandi emissioni nette negative di CO2. Cambiamenti simultanei nelle emissioni di CH4, aerosol e precursori dell’ozono, che contribuiscono anche all’inquinamento atmosferico, portano ad un riscaldamento netto della superficie globale nel breve e nel lungo periodo. Nel lungo termine, questo riscaldamento è inferiore negli scenari che assumono un controllo dell’inquinamento atmosferico combinato con forti e sostenute riduzioni delle emissioni di CH4. A causa del breve tempo di vita in atmosfera sia del CH4 che degli aerosol, questi effetti sul clima si compensano parzialmente a vicenda. Le riduzioni di CH4 contribuiscono anche a migliorare la qualità dell’aria riducendo l’ozono superficiale globale.Gli scenari con emissioni di GHG bassi portano in pochi anni ad effetti percepibili sulle concentrazioni di GHG e di aerosol, e sulla qualità dell’aria anche se nel breve termine (2021-2040), persino negli scenari con una forte riduzione dei GHG, questi miglioramenti non sarebbero sufficienti a raggiungere le linee guida sulla qualità dell’aria dell’OMS in molte regioni inquinate.

Bibliografia 1. Paul Crutzen (1933 - 2021). Metereologo, ingegnere e accademico olandese. Nobel per la Chimica nel 1995 per i suoi studi sulla chimica dell’atmosfera. Nel 2000 ha coniato il termine “antropocene” per definire la prima era geologica nella quale le attività umane hanno influenzato l’atmosfera alterandone l’equilibrio. 2. International Panel Climate Change . Ogni governo ha un Focal Point IPCC che coordina le attività relative all IPCC nel proprio Paese. L’attività principale dell’ IPCC consiste nel produrre periodicamente Assessment Reports - AR.- sullo stato delle conoscenze nel campo del clima e dei cambiamenti climatici I rapporti di valutazione, che riflettono le analisi e le valutazioni del consenso scientifico mondiale dei risultati riguardo i cambiamenti climatici, sono soggetti a revisioni di esperti. Il lavoro dell’ IPCC negli ultimi anni è stato approvato dalle più importanti accademie e organizzazioni scientifiche nel mondo. 3. AR6 - Climate Change 2021: The Physical Science Basis - IPPC 4.AR5 - Climate Change 2014 : Impacts, Adaptation and Vulnerability - IPPC 5. AR4 - Climate Change 2007: Synthesis Report. Summary for Policymakers”, IPCC 6. JPL Gravity Recovery and Climate Experiment (GRACE). Missione nello spazio lanciata da Nasa il 17.3.2002.

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Sclerosi laterale amiotrofica e atrofia muscolare spinale: nuovi studi Quali sono gli ultimi aggiornamenti scientifici per il trattamento di due importanti patologie come la Sla e la Sma

di Cinzia Boschiero

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ue rilevanti e molto recenti studi evidenziano avanzamenti della ricerca per la sclerosi laterale amiotrofica (SLA) e per la atrofia muscolare spinale (SMA). In particolare, lo studio “MiRNA muscolari nella SMA (autori Bonanno S, Marcuzzo S, et al., Circulating MyomiRs as Potential Biomarkers to Monitor Response to Nusinersen in Pediatric SMA Patients. Biomedicines 2020 Jan 26;8(2):21) “Negli ultimi anni l’implementazione di trattamenti in grado di modificare il decorso della malattia ha rivoluzionato l’approccio alla SMA, mostrando miglioramenti della funzione motoria e prolungando la sopravvivenza”, dice la ricercatrice dott.ssa Stefania Marcuzzo, del team e ricercatrice del team presso la Fondazione IRCCS Istituto Neurologico Carlo Besta del dott. Renato Mantegazza, presidente dell’associazione AIM (www. miastenia.it) che spiega:”Nusinersen è il primo farmaco modificante la malattia mai approvato per tutte le forme di SMA, agisce aumentando i livelli di proteina FL SMN. Biomarcatori non clinici di malattia, per monitorare la progressione e la risposta al trattamento nei pazienti SMA sono carenti, anche se la loro identificazione può essere ampiamente di supporto nella pratica clinica e negli studi clinici farmacologici. La scoperta che i myomiRs sono molecole rilevabili nel siero umano la cui alterata espressione riflette distinti stati patofisiologici, come quelli del muscolo atrofico dei pazienti affetti da SMA ha permesso di aprire un nuovo scenario nell’ambito della ricerca di questa patologia. In particolare, il team dei ricercatori in stretta e forte sinergia con i clinici, in particolare con la Dott.ssa Silvia Bonanno, ha dimostrato e identificato, per la prima volta, myomiRs come biomarcatori non invasivi per monitorare la progressione della malattia e la risposta terapeutica a nusinersen nei pazienti pe-

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diatrici clinicamente definiti come SMA di tipo II e III. Nel presente studio, i ricercatori hanno osservato una diminuzione significativa dei livelli di espressione di miR-133a, miR-133b e miR-1 dopo 6 mesi di terapia con nusinersen e una tendenza alla riduzione per miR-206, rispetto alla condizione pre-trattamento. “Abbiamo osservato per la prima volta che questi miRNA agiscono in modo sinergico in risposta al trattamento e la loro riduzione è correlata significativamente con un miglioramento della performance motoria osservata nei pazienti SMA mediante la valutazione con la scala motoria “Hammersmith Functional Motor Scale Expanded (HFMSE)”. In generale i risultati di questa indagine evidenziano la rilevanza di miR-133a, miR-133b, miR -206

e –miR-1 nei processi patogeni alla base dei disturbi neuromuscolari e supportano il loro potenziale come biomarcatori non invasivi utili per monitorare la progressione della malattia e misurare l’efficacia degli interventi terapeutici nella SMA” dicono la dott.ssa Stefania Marcuzzo e il dott. Renato Mantegazza. Questo lavoro è stato sostenuto da sovvenzioni del Ministero della Salute Ricordiamo che l’atrofia muscolare spinale (SMA) è una malattia autosomica recessiva causata da mutazioni in gene del motoneurone di sopravvivenza (SMN) 1, risultante in una proteina SMN troncata responsabile della degenerazione del tronco cerebrale e dei motoneuroni spinali. Oligonucleotide antisenso nusinersen (Spinraza®) migliora l’espressione del gene SMN2. SMN è coinvolto nel metabolismo dell’RNA e nella biogenesi dei microRNA (miRNA), modulatori chiave dell’espressione genica, la cui disregolazione contribuisce all’insorgere di malattie neuromuscolari. Si segnala anche un altro studio molto interessante intitolato “MicroRNA e atrofia muscolare nelle malattie del motoneurone” (autori - Malacarne et al. Dysregulation of Muscle-Specific MicroRNAs as Common Pathogenic Feature Associated with Muscle Atrophy in ALS, SMA and SBMA: Evidence from Animal Models and Human Patients. Int J Mol Sci. 2021 May 26;22 -11:5673). “Le malattie del motoneurone sono un gruppo eterogeneo di malattie rare caratterizzate dalla degenerazione dei motoneuroni,” spiega la dott.ssa Stefania Marcuzzo, del team e ricercatrice del team presso la Fondazione IRCCS Istituto Neurologico Carlo Besta del dott. Renato Mantegazza, presidente dell’associazione AIM (www. miastenia.it),”Occorre tenere presente lo spettro che comprende diversi fenotipi, a seconda del coinvolgimento dei motoneuroni superiori e/o inferiori [1,2]. Le malattie del motoneurone includono la sclerosi laterale amiotrofica (SLA), atrofia muscolare spinale (SMA) e atrofia spinale e bulbare (SBMA). La SLA è una malattia neurodegenerativa progressiva e fatale che colpisce i motoneuroni superiori ed inferiori della corteccia motoria, del tronco encefalico e © Freedom Studio/shutterstock.com

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del midollo spinale”. Lo studio dimostra il coinvolgimento dei myomiRs, microRNA muscolo specifici, nella degenerazione e rigenerazione muscolare, come meccanismo patogenetico comune nella SLA, della SMA e della SBMA. “In particolare,” spiega la dottoressa,”la sovraespressione di miR-206 rappresenta un cambiamento critico condiviso da queste condizioni, probabilmente legato al tentativo di promuovere i processi di rigenerazione muscolare in risposta al danno neuromuscolare, mentre miR-133a, miR-133b e miR-1 non supportano la miogenesi in condizioni patologiche, come osservato principalmente nei modelli animali di SLA e SBMA. Quindi la modulazione dell’espressione di tali molecole potrebbe rappresentare un promettente approccio terapeutico per le malattie del motoneurone ed è degno di ulteriore indagine. Inoltre, la sovraepressione del miR-206 osservata nel siero di pazienti con SLA, SMA e SBMA rafforza il ruolo di questa molecola come biomarcatore clinico non invasivo, riflettendo lo stato fisiopatologico del muscolo scheletrico in pazienti affetti da malattie del moto neurone”. 84 GdB | Febbraio 2022

Bibliografia Darras, B.T.; Chiriboga, C.A.; Iannaccone, S.T.; Swoboda, K.J.; Montes, J.; Mignon, L.; Xia, S.; Bennett, C.F.; Bishop, K.M.; Shefner, J.M.; et al. Nusinersen in later-onset spinal muscular atrophy: Long-term results from the phase 1/2 studies. Neurology 2019, 92, e2492– e2506. [CrossRef] Chen, J.F.; Mandel, E.M.; Thomson, J.M.; Wu, Q.; Callis, T.E.; Hammond, S.M.; Conlon, F.L.; Wang, D.Z. The role of microRNA-1 and microRNA-133 in skeletal muscle proliferation and di_erentiation. Nat Genet. 2006, 38, 228–233. [CrossRef] Setola, V.; Terao, M.; Locatelli, D.; Bassanini, S.; Garattini, E.; Battaglia, G. Axonal-SMN (a-SMN), a protein isoform of the survival motor neuron gene, is specifically involved in axonogenesis. Proc. Natl. Acad. Sci. USA 2007, 104, 1959–1964. [CrossRef] Fidzia ´ nska, A.; Goebel, H.H.;Warlo, I. Acute infantile spinal muscular atrophy. Muscle apoptosis as a proposed pathogenetic mechanism. Brain 1990, 113, 433–445.


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SARS-CoV-2 e sicurezza alimentare: il rischio di infezione attraverso gli alimenti Una review per esporre le evidenze scientifiche attualmente disponibili sulla possibilità di una trasmissione del SARS-CoV-2 attraverso l’ingestione di cibo o acqua contaminati o tramite il contatto con MOCA

di Giovanni Antonini

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Coronavirus, appartenenti alla famiglia dei Coronaviridae, sono un gruppo di virus respiratori in grado di infettare diverse specie animali e in alcuni casi provocare zoonosi. I sintomi ed il tropismo possono variare da specie a specie [1,2,3]. Nell’uomo possono comportare forme da asintomatiche a lievi, caratterizzare da febbre, tosse, difficoltà respiratorie e sintomi a carico dell’apparato gastrointestinale, o provocare gravi polmoniti interstiziali anche letali [4,5]. Ad oggi sono conosciuti nove Coronavirus in grado di infettare l’uomo, di cui sette isolati negli ultimi 20 anni. Tra questi, quattro (HCoV-229E, HCoV-OC43, HCoV-NL63e HCoV-HKU1) sono tra i più frequenti agenti eziologici del comune raffreddore. I rimanenti sono invece altamente infettivi e patogeni e sono responsabili delle gravi pandemie degli ultimi anni [6]. Il SARS-CoV-1, agente eziologico della SARS (Severe acute respiratory syndrome) o sindrome respiratoria acuta grave, fu isolato nel 2002 e provocò un’epidemia nel periodo da novembre 2002 al luglio 2003, determinando 8096 casi e 774 decessi in 17 paesi (per la maggior parte nella Cina continentale e a Hong Kong), per un tasso di letalità finale del 9,6% [7,8]; il MERS-CoV, identificato nel 2012 come la causa della sindrome respiratoria mediorientale (Middle East Respiratory Syndrome, MERS), fu responsabile di un epidemia che ha provocato globalmente 2562 casi, di cui l’85% solo nella penisola Arabica, e 881 decessi a livello mondiale con un tasso di letalità è pari a circa il 34% [9,10]. Il SARS-CoV-2 è un Coronavirus che condivide il 79% della sequenza genica con SARS-CoV e il 50% con MERSCoV. È stato identificato per la prima volta a Wuhan, in Cina, alla fine del 2019 come causa della sindrome da coronavirus 2019 (COVID-19) e si è rapidamente diffuso in tutto il mondo con un numero di casi confermati e una estensione geografica ampiamente maggiore di quelle di SARS e MERS con più di 300 milioni di casi confermati nel mondo dall’inizio della pandemia e più di 5 milioni di morti [11,12].

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Dopo aver dichiarato lo stato di emergenza globale a fine gennaio 2020 a marzo l’OMS ha riconosciuto la natura pandemica del COVID-19, che ad oggi rappresenta un pericolo di portata straordinaria e impatto eccezionale per la salute pubblica con ripercussioni gravissime sull’economia globale [13]. L’infezione viene generalmente trasmessa da persona a persona per mezzo di droplets emessi con tosse, starnuti o anche con il solo parlare (soprattutto a voce alta) [14]. Più raramente, sono stati documentati casi di trasmissione da animale all’uomo e dall’uomo all’animale, come nel caso di sedici focolai epidemici scoppiati in altrettanti allevamenti di visoni [15]. Studi sperimentali hanno dimostrato la possibilità di trasmettere l’infezione da SARS-CoV-2 in cani, gatti, furetti, criceti, macachi, conigli e pipistrelli [16,17]. Per quanto concerne, invece, la possibilità di una trasmissione del SARS-CoV-2 attraverso la via oro-fecale, i principali organismi regolatori internazionali sembrano concordi nell’escludere questa eventualità. Tuttavia le vie di trasmissione del virus non sono state ad oggi completamente determinate. Obiettivo di questa review è di esporre le evidenze scientifiche attualmente disponibili sulla possibilità di una trasmissione del SARS-CoV-2 attraverso l’ingestione di cibo o acqua contaminati o tramite il contatto con MOCA. Evidenze di infezione a livello intestinale La via di trasmissione oro-fecale è stata osservata in altri membri della famiglia Coronaviridae come per il coronavirus canino, equino e felino e virus sono stati isolati anche nel tratto intestinale. Sebbene solo nel 2% dei pazienti in esame Dergham et al [18] sono stati in grado di isolare particelle infettive di SARS-CoV-2 nelle feci e dai risultati ottenuti l’infezione gastrointestinale appare indipendente da quella respiratoria. La presenza di particelle infettive nelle feci appare rara mentre numerosi sono i casi di isolamento di RNA virale nelle feci [19,20,21].


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Wölfel et al. [22] riportano la presenza di cellule contenenti materiale sub genomico del virus suggerendo una replicazione virale attiva nel tratto gastrointestinale e l’evidenza di un’infezione diretta a carico del tratto gastrointestinale è supportata dal fatto che campioni di feci positivi al virus sono stati riscontrati in pazienti negativi al tampone orofaringeo. In una recente metanalisi il 17,6% dei pazienti affetti da COVID-19 presentava sintomi gastrointestinali tra cui vomito, diarrea, mancanza di appetito o dolori/discomfort addominale con 48% di pazienti con campioni fecali positivi di cui il 70% rimaneva positivo anche dopo clearance a livello polmonare [23]. Lamers et al [24] hanno inoltre dimostrato come il SARS-CoV-2 sia in grado di entrare e replicarsi attivamente in organoidi intestinali derivanti da cellule epiteliali intestinali umane, mentre Lee et al [25] hanno documentato una infezione persistente in linee cellulari di colon con orletto a spazzola. L’ingresso del virus nelle cellule epiteliali intestinali appare essere mediato dalla presenza del recettore ACE-2 e dalle proteine serin protreasi transmembrana (TMPRSS) [26]. Diversi studi confermano che le cellule che esprimono entrambi questi recettori sono infatti le pù colpite [27,28]. Zhang et al [29] hanno dimostrato come tali recettori siano coespressi non solo a livello polmonare ed esofageo ma anche a livello dell’intestino e del colon suggerendo come l’insorgenza dei sintomi intestinali possa essere dovuta all’invasione di enterociti ACE2+, TMPRSS2+. Per raggiungere l’intestino tuttavia il virus dovrebbe essere in grado di resistere al pH fortemente acido a livello gastrico.

In condizioni normali il pH gastrico è pari a 1,5-3,5. Il SARS-CoV-2 è stabile a pH compresi tra 3 e 10 mentre è inattivato a pH fortemente acidi (<3) o alcalini (>12) [30]. Particolari condizioni come l’ipocloridia possono portare ad un aumento del pH a livello gastrico intorno a 3-5. Tale condizione, che affligge circa il 4% di adulti sani e aumenta fino al 15% negli anziani, rende possibile la sopravvivenza del virus che è quindi in grado di raggiungere le cellule intestinali inalterato [31]. Inoltre, come verificato per altri virus, il muco potrebbe esercitare un’azione protettiva e permettere al virus di raggiungere l’intestino [32]. L’ipotesi che il virus possa infettare primariamente o secondariamente l’intestino non è quindi da sottovalutare. La trasmissione oro-fecale è stata riportata da Yuen et al [33] ed è stata ipotizzata nella ricostruzione della catena di contagi sulla Diamond Princess. La possibilità di questa tipologia di trasmissione è stata dimostrata in vivo in modelli animali di criceti siriani [34]. In particolare lo studio ha dimostrato come l’infezione per via orale possa indurre infezione a livello polmonare e gastrointestinale, sebbene con minore efficienza rispetto all’infezione per via respiratoria. Caratteristiche di resistenza del SARS-CoV-2 Il SARS-CoV-2 è in grado di sopravvivere su superficie inanimate, acqua e matrici alimentari. In particolare è in grado di sopravvivere rispettivamente per 4, 24 e 72 ore su superfici di rame, cartone e plastica o acciaio [35] e in acqua fino a 6 giorni [36]. Sebbene ancora nessun caso di infezione tramite alimenti sia stato attualmente documentato, Tale eventualità rimane plausibile anche considerando il comportamento e le caratteristiche di resistenza del SARS-CoV-2 che risultano simili GdB | Febbraio 2022

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a quelle di altri virus noti come agenti eziologici di infezioni alimentari [37]. Il virus è in grado di resister alle basse temperature e beneficia di elevati livelli di umidità relativa come della presenza di materiali organici. In generale temperature superiori a 70°C, anche per pochi minuti, sembrano sufficienti per inattivare il virus [38]. L’esposizione a 56°C per 30 minuti è in grado di ridurre significativamente la carica virale, tranne in presenza del 20% di proteine mentre per quanto concerne il pH il virus è maggiormente stabile a pH acidi (6-6,5) [39] tuttavia il virus inizia a destabilizzarsi a pH 5.0 e viene del tutto inattivato a pH<2.7 [30]. Persistenza del SARS-CoV-2 negli alimenti di origine animale Per quanto riguarda gli alimenti destinati al consumo umano, studi sperimentali condotti in ambienti controllati hanno dimostrato che il SARS-CoV- 2 è in grado di resistere, senza diminuzione della carica virale, per 3 settimane il pollo, maiale e salmone congelato a 4, -20 e -80°C (Fisher et al.2020, Harbourt et al. 2020). Il SARS-CoV-2 è stato rilevato per la prima volta su una partita di pollo congelato importato dal Brasile e da allora almeno in altri 9 casi in prodotti lattiero caseari congelati quali gelati, yogurt e dessert (Han et al., 2020). Latte e prodotti lattiero caseari, prodotti a partire da latte © Maridav/shutterstock.com

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pastorizzato, sono prodotti a basso rischio in quanto le temperature di pastorizzazione sono in grado di eliminare completamente il virus. Il consumo di latte crudo o prodotti derivanti è tuttavia una pratica ancora comune in alcune realtà. Yekta ed al (ref) raccomandano di evitare il consumo di latte e prodotti caseari non pastorizzati in quanto non è da escludere una cross contaminazione da parte del personale coinvolto nelle diverse fasi della lavorazione (dalla mungitura alla caseificazione). Alcuni prodotti come lo yogurt raggiungono un pH intorno a 4,5 creando un ambiente favorevole allo sviluppo del SARS-CoV-2. Anche i prodotti metabolici della fermentazione come acido lattico, perossido di idrogeno e batteriocine che creano un ambiente sfavorevole allo sviluppo di diversi microrganismi non sembrano avere un effetto significativo sul SARS-CoV-2 (ref). La conservazione in regime di refrigerazione potrebbe inoltre contribuire a prolungare nel tempo l’infettività del SARS-CoV-2.1 È da notare tuttavia che il latte è naturalmente ricco di alcune componenti come la lattoferrina, la lactaderina, e glicomacropeptide che sono potenti agenti antivirali naturali a largo spettro. Non è noto se queste componenti sono attive anche nei confronti del SARS-CoV-2 e questi aspetti meriterebbero un adeguato approfondimento sperimentale. Latte e prodotti lattiero caseari sono inoltre ricchi di lattobacilli, microrganismi con elevato potenziale probiotico, che sono in grado di superare la barriera gastrica e raggiungere l’intestino dove rappresentano parte della microflora ed esercitano numerose azioni benefiche, proteggendo dall’infezione di eventuali agenti patogeni e stimolando positivamente le difese immunitarie (ref…). Paparo et al (2021) hanno mostrato come il pretrattamento di cellule con un ceppo di L. paracasei possa esercitare un’azione protettiva verso l’infezione da SARS-CoV-2, suggerendo come l’assunzione di latte o prodotti caseari fermentati possano rappresentare una strategia difensiva nei confronti del virus. Sebbene nessun caso sia stato documentato è inoltre possibile ipotizzare una contaminazione dei prodotti ittici (pesci, molluschi e crostacei) da acqua contaminata come anche una contaminazione da MOCA


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© Alpha Tauri 3D Graphics/shutterstock.com

per diverse matrici alimentari (ref). Infine, sebbene vi sia una scarsa attenzione della comunità scientifica nei confronti della potenziale contaminazione della fauna selvatica con il SARS-CoV-2, tale eventualità non deve essere sottovalutata in quanto il virus potrebbe essere trasmesso dalla fauna selvatica agli animali domestici (ospiti intermedi) e da questi all’uomo, ed inoltre in alcuni paesi come la Cina il consumo a fini alimentari di fauna selvatica (pipistrelli, pangolini, serpenti, ecc.) rimane una pratica molto diffusa (ref). Persistenza del SARS-CoV-2 negli alimenti di origine vegetale Studi recenti eseguiti su un coronavirus molto simile al SARS-CoV-2 denominato HCoV-229E e mirati alla valutazione della persistenza su frutta e verdura, hanno mostrato come tale virus mantenga la sua infettività fino a 24 ore su pomodori e mele, raggiungendo le 96 ore su cetrioli e lattuga mentre non sopravvivono sulle fragole (ref). Tali risultati sono consistenti con le caratteristiche di resistenza del virus: pomodori e mele presentano sulla superficie un pH significativamente più acido (4,2 e 3,9 rispettivamente) rispetto a cetrioli e lattuga (pH di 5,7 e 5,8 rispettivamente) mentre le fragole possiedono un pH fortemente acidico (pH 3) che inattiva il virus (ref). Mullis et al (ref) hanno inoltre dimostrato come un coronavirus bovino fosse in grado di sopravvivere su lattughe

a temperature di refrigerazione senza perdere di infettività per 14 giorni. Per valutare la possibilità di una cross contaminazione di parte di personale infetto, Haddow et al (ref)hanno studiato la stabilità del SARS-CoV-2 applicato mediante aerosol su mele, pomodori e peperoni, concludendo che nelle condizioni sperimentali testate il rischio di trasmissione dell’infezione è basso. La persistenza del SARS-CoV-2 su frutta e verdura è un fattore da non sottovalutare in quanto, come precedentemente descritto, il virus è escreto attraverso le feci dei soggetti infetti. Il trasferimento del virus nelle feci è di tale entità che diversi gruppi hanno confermato la presenza del virus nelle acque fognarie (ref). In Italia La Rosa et al. hanno analizzato 12 campioni di acque fognarie raccolti tra febbraio e aprile del 2020 negli impianti per il trattamento delle acque fognarie a Milano e a Roma (ref). Complessivamente, 6 dei 12 campioni analizzati sono risultati positivi, portando gli autori a concludere che il monitoraggio delle acque fognarie possa rappresentare uno strumento utile per monitorare la diffusione e l’andamento nel tempo della pandemia. Questo dato suggerisce come l’irrigazione dei campi con acque contaminate dagli scarichi fognari potrebbe contaminare molti prodotti vegetali destinati al consumo umano. Per questo motivo è consigliabile sbucciare sempre la frutta e, ove non possibile, disinfettare i vegetali con disinfettanti a base di GdB | Febbraio 2022

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cloro attivo. Per quanto riguarda l’acqua potabile, utilizzata nelle preparazioni alimentari, numerosi studi confermano il basso rischio associato alla persistenza del virus SARSCoV-2. Sebbene vi siano stati isolamenti di SARS-CoV-2 in acque superficiali (ref) ad oggi non sono noti casi di isolamento del virus da acqua potabile. In generale i coronavirus sono molto sensibili ad agenti ossidanti come il cloro e si inattivano in acqua molto più velocemente dei virus privi di membrana responsabili di infezioni intestinali; anche la temperatura influenza significativamente la sopravvivenza dei coronavirus, che declina molto più velocemente a +25 °C rispetto a +4 °C. Persistenza del SARS-CoV-2 nel packaging La trasmissione del virus all’uomo da materiale a contatto con gli alimenti (MOCA) è stata ipotizzata in un focolaio che ha avuto luogo in un magazzino del porto di Qingdao dove per i contatti positivi non è stato possibile identificare alcun contatto pregresso con soggetti infetti. Liu et al. (ref) hanno rilevato la presenza del SARS-CoV-2 su 50 campioni di MOCA di merluzzo surgelato. I virus isolati avevano ritenuto l’infettività e da un sequenziamento dei genomi virali è stato possibile confermare una corrispondenza tra i genomi virali isolati dal packaging e quelli responsabili dell’infezione. Analogamente Pang et al. (ref) hanno dimostrato la possibilità di trasmissione da MOCA all’uomo in un focolaio originato nel mercato di Xinfadi, in Cina. In questo caso il cluster più consistente si registrò nella sezione del mercato dedicata ai prodotti ittici. Dal sequenziamento dei genomi virali emerse come il ceppo virale fosse diverso da quelli circolanti in Cina, mentre risultava compatibile con un ceppo circolato in Europa. Il ceppo venne successivamente isolato da campioni di salmone congelato e dal relativo packaging suggerendo come il focolaio possa essere originato dalla trasmissione all’uomo del virus contenuto in salmone importato dall’Europa. In entrambi i casi appare come il mantenimento della catena del freddo sembra essere un requisito fondamentale in quanto è ormai noto come il SARS-CoV-2 sia in grado di sopravvivere e ritenere l’infettività a −18 °C per più di 21 giorni. Conclusioni Dai dati emersi finora risulta chiaro come il rischio di trasmissione del SARS-CoV-2 dall’ingestione di alimenti contaminati sia molto basso e ad oggi non sono stati documentati casi compatibili con questa modalità. Il virus è tuttavia in grado di persistere sulle matrici alimentari di origine animale e vegetale e rimanere infettivo per lungo tempo in alimenti refrigerati e congelati; sembra inoltre essere in grado di superare la barriera gastrointestinale ed infettare l’uomo a livello intestinale. 90 GdB | Febbraio 2022

La cottura si dimostra comunque una misura efficace per inattivare il virus mentre per frutta e verdura, che vengono consumate crude, la disinfezione con cloro attivo è condizione sufficiente per l’eliminazione. Il packaging, soprattutto per i prodotti per i quali è necessario garantire la catena del freddo, rappresenta invece un potenziale veicolo di infezione ed è quindi da non sottovalutare il rischio associato. Il SARS-CoV-2 persiste e mantiene la sua infettività su MOCA per molto tempo soprattutto se l’alimento viene conservato a basse temperature. In questi casi, la manipolazione del packaging da parte degli operatori e il successivo contatto delle mani con le mucose della bocca, del naso e degli occhi sembra possa determinare la trasmissione del virus. Alla luce di queste considerazioni, sarebbe auspicabile eseguire di controlli a campione di prodotti congelati con particolare attenzione per i prodotti ittici che sembrano essere i più colpiti. In generale il rispetto delle norme igieniche di base come l’utilizzo della mascherina e la frequente igienizzazione delle mani da parte degli OSA sembra essere adeguato a ridurre il rischio ed evitare l’esposizione al virus.

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Anno V - N. 2 Febbraio 2022 Edizione mensile di AgONB (Agenzia di stampa dell’Ordine Nazionale dei Biologi) Testata registrata al n. 52/2016 del Tribunale di Roma Diffusione: www.onb.it

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