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BIOLOGIA DEL PALAZZO

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SCONTRO AL SENATO SUL DECRETO INTERCETTAZIONI “CITTADINI TUTELATI” “NO, DERIVA ILLIBERALE” Per la maggioranza garantita la segretezza delle indagini ma il centrodestra attacca: nuovo passo verso la democrazia giudiziaria

© stockphoto-graf/www.shutterstock.com

di Riccardo Mazzoni

Il sistema delle intercettazioni va inquadrato prima di tutto a livello costituzionale, con l’articolo 15 che garantisce la segretezza delle conversazioni private. Una recentissima sentenza della Cassazione ha richiamato un pronunciamento della Consulta ricordando che ci sono due distinti interessi in materia di intercettazioni: quello, appunto, inerente la libertà e la segretezza delle comunicazioni, riconosciuto come connaturato ai diritti inviolabili della persona, e quello invece connesso all’esigenza di prevenire e reprimere i reati, anche questo di rilievo costituzionale. Secondo quella sentenza, i diritti della persona inducono la giurisprudenza costituzionale a ritenere che lo spazio vitale che circonda la persona è un aspetto assolutamente primario, ed è per questo che l’interesse pubblico di contrastare i reati è sì inderogabile, ma sempre nel rispetto dell’inviolabile diritto alla libertà e alla segretezza delle comunicazioni.

Questo per dire che la materia delle intercettazioni è molto delicata e com

Il Giornale dei Biologi | Febbraio 2020 plessa e fonte perenne di scontri politici, e il decreto legge approvato dal Senato non è sfuggito alla regola.

Iniziamo dall’interpretazione della maggioranza: con la riforma si sono introdotte regole chiare che tutelano insieme i cittadini e la ricerca della giustizia raggiungendo così due obiettivi fondamentali, ossia regolare l’utilizzo delle intercettazioni e dei captatori e impedire che le intercettazioni registrate ma estranee alle indagini diventino pubbliche. Ora, dunque, i pm avranno la responsabilità di distinguere le intercettazioni funzionali alle indagini da quelle che non lo sono e che dunque rimarranno segrete. Non cambiano inoltre i reati per cui è permesso l’uso dello strumento invasivo dei trojan: mafia, terrorismo e reati contro la Pubblica amministrazione. Si consente

Bisogna tutelare la la segretezza delle comunicazioni e prevenire e reprimere i reati

poi la possibilità di utilizzare intercettazioni che prefigurano un reato diverso da quello indagato, a patto che preveda una pena superiore ai cinque anni. La ratio è: se durante le intercettazioni si incappa in altre notizie di reato, non si può fare finta di niente. Il centrodestra invece legge la riforma come un ulteriore passo verso la democrazia giudiziaria dopo l’abolizione della prescrizione. Prima di tutto, la riservatezza delle intercettazioni non è un principio solido nel nostro sistema giustizia, anche sotto il profilo tecnico, e l’accordo raggiunto dalla maggioranza finisce per calpestare il diritto alla libertà e alla segretezza: un emendamento del relatore, approvato in Commissione, ha infatti esteso in modo improprio, illegittimo e inopportuno l’uso delle intercettazioni. Trojan ovunque, potere assoluto alle procure, licenza di gossip sui media, inchieste con la pesca a strascico: non si indaga più su una notizia di reato, ma prima si stabilisce un presunto colpevole, e solo dopo si cerca di provare che ha commesso un reato.

Per l’opposizione, insomma, siamo vicini a una deriva autoritaria, dimostrata anche da un ulteriore elemento significa-

tivo: il completamento della parificazione dei reati dei pubblici ufficiali (e ora anche degli incaricati di pubblico servizio) contro la pubblica amministrazione con i reati di criminalità organizzata sia con riferimento ai presupposti, sia in relazione alle intercettazioni, ai provvedimenti d’urgenza e ai luoghi in cui è consentito l’uso del captatore informatico.

Ma, al di là della polemica politica, c’è un dato di fatto oggettivo che deve far riflettere: secondo i dati del ministero della Giustizia ogni anno in Italia mille persone finiscono in carcere ingiustamente, e ogni anno queste ingiuste detenzioni costano almeno 30 milioni di euro. È in vigore una legge, da cinque anni, che impone al ministero di dare conto di queste cifre, ma le abbiamo solo grazie ad un’associazione privata, quella contro gli errori giudiziari. Questo perché la legge non è mai stata applicata. Ogni anno, in Italia, si pagano risarcimenti di 100 milioni di euro per processi troppo lunghi. Altre decine di milioni (parrebbe almeno 100) sono i risarcimenti per le carcerazioni in condizioni non conformi al diritto internazionale. matico. Una sorta di Grande Fratello, insomma.

Il decreto legge n. 161 del 2019, approvato in prima lettura al Senato, interviene in materia di intercettazioni e proroga al primo marzo il termine a partire dal quale la riforma Orlando troverà applicazione. La riforma si applicherà solo ai procedimenti penali iscritti dal primo marzo 2020: per tutti i procedimenti in corso dunque continuerà ad applicarsi la disciplina attuale. La proroga si è resa necessaria per l’esigenza di completare l’avviata opera di adeguamento strutturale ed organizzativo in tutte le procure della Repubblica alle nuove disposizioni. In particolare il rinvio è stato necessario per consentire agli uffici giudiziari una migliore predisposizione degli aspetti organizzativi connessi con l’avvio della digitalizzazione del sistema documentale e del software delle intercettazioni predisposto dal Ministero della giustizia. Il governo ha posto la questione di fiducia tra le proteste delle opposizioni che si sono concentrate soprattutto sull’uso dei trojan, che sono software pirati simili a un virus, nascosti in un programma apparentemente lecito e funzionale, contenenti istruzioni dannose che vengono eseguite, all’insaputa dell’utente, quando questi mette in funzione quel programma.

Il decreto infatti estende una serie di possibilità di intercettazione tecnologica a tutti coloro che esercitano un pubblico servizio, compresi, ad esempio, impiegati o bidelli. Tutte queste persone potranno essere assoggettate al captatore informatico: non solo i cosiddetti colletti bianchi, insomma, ma anche persone comuni, che possono essere controllate da un marchingegno nel cellulare che fa gli screenshot delle chat ogni tre minuti, che recupera le foto, i file, le conversazioni e i video, tutto ciò quindi che viene archiviato all’interno del telefonino. Gli stessi magistrati, nelle audizioni in commissione Giustizia, hanno avvertito che siamo di fronte a uno strumento altamente invasivo, e che le procure non sono ancora attrezzate per la gestione dei dati. Qui si entra direttamente nel campo dell’articolo 15 della Costituzione, per il quale “la libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili. La loro limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge. Ebbene, con questo decreto quelle garanzie inevitabilmente vacillano, anche perché si sarebbe potuto definire in modo più dettagliato il concetto dell’udienza stralcio, ossia l’udienza in cui un giudice e le parti decidono quale intercettazione è utilizzabile e quale no. E siccome sono pochi i giorni in cui un avvocato può ascoltare e verificare tutto ciò che registra un captatore informatico, si crea un’oggettiva disparità tra coloro che incappano nelle maglie della legge, perché si favorisce chi può permettersi di pagare un grande studio legale attrezzato.

C’è poi il problema, anch’esso non indifferente, della raccolta dei dati. Tutto il materiale finisce nelle stanze digitali, che in termini tecnologici sono definiti “cloud”. I procuratori auditi hanno ammesso che le intercettazioni acquisite di fatto non vengono mai distrutte, in quanto il principio per cui devono essere distrutte viene disatteso a causa della diffusa carenza di personale e di mezzi. In questa situazione, la proroga di due mesi non può certo essere sufficiente a risolvere questi problemi che hanno implicazioni gravi perché attengono alla privacy dei cittadini tutelata dalla Costituzione. Inoltre, la mancanza di strumenti informatici adeguati creerà sicuramente problemi agli avvocati, ai procuratori, agli imputati e al sistema giustizia nel suo complesso.

Viene, infine, riassegnato ai pubblici ministeri il controllo sulle intercettazioni, sulla loro rilevanza ai fini investigativi, sull’archivio, sui tempi del diritto della difesa di venire a conoscenza del loro contenuto e del diritto di copia sottraendolo così alla polizia giudiziaria, che dovrà limitarsi all’esecuzione delle attività di captazione e di ascolto (R. M.).

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