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Malattie cerebrovascolari: prevenzione e fattori di rischio

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Malattie cerebrovascolari: prevenzione e fattori di rischio

Ogni fascia di età può contrastare l’insorgenza della patologia attraverso diagnosi adeguate e comportamenti consapevoli

di Sara Lorusso

Le malattie cerebrovascolari sono la seconda causa di morte e la terza causa di disabilità a livello mondiale 1 . E questo è il dato in premessa. Ma è ciò che ne consegue direttamente a costringere la comunità scientifica e quella istituzionale a trasformare questo dato in una serie di strategie di azione e politiche di prevenzione, per contrastare il rischio della patologia.

Le malattie cerebrovascolari sono, infatti, responsabili del “taglio” di un decimo dell’aspettativa di vita, per morte prematura o disabilità, e, soprattutto, di un considerevole carico sociale per il paziente e la sua famiglia. E con il crescente invecchiamento della popolazione è facile prevedere un collegato aumento dell’incidenza dell’ictus, che rappresenta la manifestazione clinica più frequente, e del carico sociale generato di conseguenza.

Il Ministero della Salute ha pubblicato uno studio completo sulle malattie cerebrovascolari e sulle azioni di prevenzione da mettere in pratica, lungo tutto il corso della vita, sia sul fronte della cura farmacologica sia sul versante delle abitudini quotidiane. Il report dello studio, aggiornato al settembre 2019, è stato redatto dal gruppo di lavoro sulle malattie cerebrovascolari dell’Alleanza Italiana per le malattie cardio-cerebrovascolari, e affronta incidenza e prevenzione della patologia, incrociando molteplici fattori di rischio con l’età dell’individuo. La statistica dice che tra il 1970 e il 2008, nei Paesi ad alto reddito, l’incidenza dell’ictus cerebrale si è ridotta di oltre il

40%, passando da 163 a 94 casi per 100.000 abitanti all’anno. È invece raddoppiata nei Paesi a reddito medio o basso, arrivando a toccare i 117 casi all’anno ogni 100.000 abitanti. Nello stesso arco di tempo, invece, la mortalità precoce per ictus è diminuita in maniera trasversale. Dato, quest’ultimo, che, tuttavia, rivela l’altra faccia della medaglia: l’incremento della patologia in termini di disabilità e perdita di produttività, soprattutto nella fascia di popolazione più giovane, con conseguente ricaduta sociale 2 . In Italia l’incidenza dell’ictus cerebrale si è ridotta negli ultimi venti anni da 293 a 143 casi per 100.000 abitanti ogni anno, con una maggiore incidenza tra le donne (147 casi) 3 e con un incremento dal 35,7% al 47,8% negli ultraottantenni. La mortalità è del 20-30% a 30 giorni dall’evento e aumenta a 40-50% a distanza di un anno. L’attacco ischemico transitorio (TIA) ha, invece, un’incidenza pari a 35 casi per 100.000 abitanti all’anno con il 10% circa di recidive a 5 anni 4 . La lettura incrociata di questi dati mostra un’apparente contraddizione. Ci si aspetterebbe che all’aumento dell’età media della popolazione, soprattutto nei paesi più sviluppati, corrispondesse statisticamente un aumento dell’incidenza dell’ictus. Ma il ruolo chiave giocato dall’efficace controllo di alcuni fattori di rischio ha determinato un andamento diverso della tendenza.

Da questo ragionamento restano esclusi i casi di premorienza rispetto alla possibile insorgenza dell’ictus cerebrale per altre patologie competitive fatali, quali le neoplasie, le sepsi e la broncopneumopatia cronica ostruttiva 5 . Per quanto riguarda l’età evolutiva, il Registro Italiano Trombosi Infantili (RITI) dal 2007 al 2012 ha registrato 79 casi (di cui 49 maschi e 30 femmine) di ictus cerebrale ischemico in bambini di età media di 4,5 anni, e 91 casi (di cui 65 maschi e 26 femmine) di trombosi dei seni venosi cerebrali in bambini con un’età media pari a 7,1 anni 6 . Se, dunque, l’ictus cerebrale è una patologia il cui peso sociale sta diminuendo, lo si deve da un lato all’identificazione - e al relativo trattamento - dei fattori di rischio, dall’altro alle terapie sempre più mirate ed efficaci sui diversi target. Lo studio pubblicato dall’Alleanza Italiana per le malattie cardio-cerebrovascolari utilizza proprio questo schema, incrociando caratteristiche dell’individuo e fattori di rischio a cui lo stesso è sottoposto.

Tra i fattori di rischio non modificabili, subito vanno individuati quello genetico (la familiarità dunque con le patologie cardio-cerebrovascolari) e l’età, la quale, quando si somma ai fattori di rischio modificabili, ne accresce il ruolo 7 . L’età è, del resto, il fattore di rischio più importante riconosciuto da tutti gli algoritmi impiegati per la previsione del rischio cardiovascolare globale.

Tra i fattori modificabili, quelli su cui è possibile agire nella quotidianità, ci sono la scarsa attività fisica (dall’indagine multiscopo dell’ISTAT è emerso che in Italia nel 2017 il 38,1% della popolazione dai 3 anni in su non ha praticato sport né attività fisica), il fumo (sia l’abitudine al fumo sia, seppur in misura minore, quello passivo), l’uso di droghe, l’eccessivo consumo di alcol (le linee guida SPREAD segnalano che l’assunzione giornaliera di 60 grammi di alcol è correlata a un aumento significativo del rischio di emorragia cerebrale 8 ), un’alimentazione eccessivamente ricca di grassi saturi e sodio, un contesto di stress psicosociale.

L’intero elenco di fattori di rischio modificabili è disponibile nel report pubblicato dal Ministero della Salute e ne costituisce un’importante premessa. Ma è sulle strategie di prevenzione che si dipana gran parte del lavoro, che mette in relazione alcune specifiche tipologie di individuo (focalizzandosi su genere, età, abitudini) e le azioni da mettere in pratica. Ne deriva, dunque, un ventaglio di possibili azioni, più o meno accessibili e praticabili da tutti, molto vasto.

È soprattutto su bambini e adolescenti che è importante disegnare alcune strategie di prevenzione particolarmente efficaci nel contrastare gli effetti di cattive abitudini. Secondo un’indagine del 2016 dell’OMS, circa 41 milioni di bambini in età prescolare e 124 milioni di bambini con più di 5 anni e adolescenti sono sovrappeso o obesi. Attività fisica quasi nulla (secondo la rilevazione 2016 di “Okkio alla salute” del programma “COSI” dell’OMS, il 23,5% dei bambini fa giochi di movimento non più di una volta settimana), eccessivo consumo di bevande zuccherate, poca frutta e verdura, merende troppo abbondanti, molto tempo trascorso tra schermi di smartphone e TV (quasi il 41% gioca con i videogiochi per più di due ore al giorno).

Preoccupanti sono i dati sui comportamenti degli adolescenti rispetto al consumo di tabacco. Secondo alcune rilevazioni 9 della HBSC (Health Behaviour in School-aged Children) e della GYTS (Global Youth Tobacco Survey) la percentuale degli studenti 15enni che dichiara di aver fumato almeno una volta nella vita è pari al 42,1% tra i maschi e sfiora il 50% tra le femmine.

Ai fini preventivi, nella fascia di età compresa tra i 19 e i 29 anni l’eziologia da considerare è particolarmente specifi- © Tefi/www.shutterstock.com

ca. È importante valutare la dissezione delle arterie carotidi e vertebrali e alcune condizioni genetiche; vanno considerate, inoltre, condizioni quali le alterazioni dei globuli rossi come nell’anemia falciforme, i disordini piastrinici e la sindrome da anticorpi antifosfolipidi 10 . Per gli individui giovani sotto i trent’anni la prevalenza dei fattori di rischio classici (ipertensione arteriosa, diabete, dislipidemie) è bassa, ma, ricorda il report, si tratta di una fascia di popolazione da tenere sotto controllo perché è in questo periodo della vita che in genere si iniziano a strutturare comportamenti che possono determinare l’incidenza futura delle malattie cerebrovascolari (consumo rischioso e dannoso di alcol, il tabagismo, l’insufficiente attività fisica e il sovrappeso corporeo 11 . La fascia di età compresa tra i 30 e i 65 anni è quella in cui aumenta la prevalenza dei classici fattori di rischio, quali ipertensione arteriosa, dislipidemie e diabete mellito. Dovendo costruire strategie di prevenzione, il report guarda allo sforzo da dirigere alla diagnosi precoce, suggerendo il controllo periodico della pressione arteriosa, della glicemia e della lipidemia. Le donne in generale sono soggette a un minor rischio cardio-cerebrovascolare godendo, almeno fino alla menopausa, della protezione ormonale estro-progestinica. In caso di menopausa precoce, venendo meno questa protezione naturale, è più probabile che si manifestino alcuni elementi della sindrome metabolica, a sua volta uno dei fattori di rischio modificabili.

Nella donna in gravidanza l’ictus cerebrale si verifica con un’incidenza di 34 casi ogni 100.000 12 . E l’ipertensione in gravidanza è la causa principale di ictus, sia ischemico che emor

ragico. Poiché la gravidanza coincide con lo stato proinfiammatorio e protrombotico transitorio più importante nella vita di una donna in età fertile, è fondamentale – questa una delle raccomandazioni contenute nel report – prestare particolare attenzione alle donne ipertese.

E se è vero che, come ricorda l’Istituto Superiore di Sanità, tra i soggetti di età compresa tra i 35 e i 65 anni l’ipertensione arteriosa è presente per il 46% tra i maschi e solo per il 29,5% tra le femmine, il dato cambia molto quando le donne vanno incontro alla menopausa. Raggiunta questa condizione, la prevalenza di ipertensione emerge in maniera rilevante tra la fascia di età 45-54 (27%) e quella 55-64 (52%).

Anche l’etnia è un fattore utile da osservare. Anche se gli studi disponibili non coprono le specificità di tutte le aree geografiche, i dati della letteratura confermano il maggior rischio di ictus cerebrale negli afro-americani 13 e il maggior rischio di emorragia cerebrale nelle popolazioni asiatiche 14 . In generale, però, avere a disposizione dati sulla provenienza assume particolare importanza quando questa è correlata a una condizione di disagio e povertà, che aumenta in maniera indiretta l’esposizione ai fattori di rischio.

Nella lista dei fattori di rischio esaminati ci sono anche quelli relativi a patologie o condizioni cliniche particolari, quali aritmie (la fibrallazione atraiale è un fattore di rischio più diffuso per le donne), ipertensione arteriosa (in Italia ne soffre il 17,8% della popolazione), tachicardia, ipertrofia ventricolare sinistra, cardiopatie, diabete mellito, malattia renale, sindrome delle apnee ostruttive nel sonno (la OSAS è un disturbo che colpisce il 4% della popolazione, toccando punte del 20% negli ultrasessantenni) 17 . Tra le strategie possibili per il contrasto alle malattie cardio-cerebrovascolari, a seconda delle specificità dell’individuo e della prevalenza di uno o più fattori di rischio, modificabili e non, la prevenzione primaria resta lo strumento più efficace a disposizione. È quello che si chiama approccio life-course, l’intervento, cioè, lungo tutto il corso dell’esistenza, attraverso abitudini corrette e grazie a una gestione consapevole di condizioni patologiche che aumentano il rischio di ictus (ipertensione arteriosa, dislipidemie, diabete mellito, fibrillazione atriale), anche facendo ricorso ad adeguate terapie.

La lista dei suggerimenti che il ministero fornisce è lunga e in alcuni casi ribadisce conoscenze ormai acquisite: non fumare, evitare l’esposizione al fumo passi

vo, seguire un’alimentazione corretta ed equilibrata, svolgere attività fisica regolare. Nel report è possibile però individuare anche piccoli suggerimenti che rispondono a più o meno comuni consapevolezze alimentari. Per esempio, a proposito di abitudini a tavola utili ad abbattere il rischio cerebrovascolare, il report ricorda che «il consumo di cacao in piccolissima quantità (in forma di bevanda o cioccolatino, contenente almeno il 70% di cacao), e di tè, sia verde che nero, noci e mandorle è benefico, probabilmente in ragione dell’elevato contenuto in polifenoli 15 . Per quanto riguarda il caffè, se da una parte ne sono ben riconosciuti gli effetti pressori e aritmogenici acuti», alcuni studi hanno evidenziato nel lungo termine perfino effetti protettivi, anche di tipo metabolico 16 , a patto che non si ecceda in quantità e non si proceda con la «deleteria abitudine» di consumarlo aggiungendo zucchero. Tuttavia, meglio non generalizzare troppo, tenendo sempre in considerazione il corredo genetico individuale e la personale risposta metabolica alla caffeina.

In una valutazione complessiva, non si può evitare di tener conto del contesto ambientale. «Nell’ultimo decennio, un numero crescente di evidenze epidemiologiche e cliniche ha dimostrato il ruolo dei fattori climatici come fattore di rischio cardiovascolare di primaria importanza. Di particolare interesse – ricorda il report dell’Alleanza Italiana per le malattie cardio-cerebrovascolari – è il ruolo svolto dai diversi inquinanti ambientali che includono monossido di carbonio, ossido di azoto, anidride solforosa, ozono, piombo e il particolato, rappresentato dalle polveri totali sospese nell’aria che respiriamo». Diversi studi e ricerche hanno associato questi inquinanti a una maggiore ospedalizzazione e mortalità per malattie cardio-cerebrovascolari, soprattutto nelle persone con insufficienza cardiaca congestizia, aritmie frequenti o entrambe.

Per dar corso, invece, alla prevenzione secondaria e primaria – nel caso in cui, eventi cerebrovascolari si siano già presentati e sia necessario prevenire le recidive – l’efficacia delle azioni da adottare è «condizionata da un’attenta valutazione delle condizioni cliniche dalle quali dipendono i potenziali fattori responsabili dell’evento ictale». E in presenza di alcuni fattori di rischio identificabili con patologie che concorrono ad aumentare l’incidenza di ictus, «cruciale diventa l’analisi del rapporto rischio-beneficio e l’identificazione del setting più opportuno per gli approcci complessi».

Contano, prevedibilmente, anche la qualità e l’adeguatezza del controllo dei fattori di rischio e l’intensità dell’adesione del paziente. E poi c’è la comprensione. L’ictus determina cambiamenti rilevanti nella vita del paziente: «La spiegazione di quanto avvenuto, quali sono stati i fattori di rischio e quale è il rischio attuale, quali segni o sintomi sono da riconoscere precocemente, l’importanza dei farmaci e le modalità di assunzione sono aspetti che possono contribuire alla motivazione del paziente».

Ad evento accaduto, la prevenzione secondaria e terziaria coinvolge anche l’ambiente familiare. In questo caso sono proprio alcuni comportamenti “esterni” ad incidere positivamente sullo stato di salute dell’individuo. La valutazione delle barriere architettoniche all’interno della casa (tappeti, mobili ingombranti, servizi igienici inaccessibili) e al di fuori (per esempio l’assenza dell’ascensore) ne è, per esempio, un aspetto centrale.

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