Il Giornale dei Biologi - N.1 - Gennaio 2022

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Giornale dei Biologi

Edizione mensile di AgONB, Agenzia di stampa dell’Ordine Nazionale dei Biologi. Registrazione n. 52/2016 al Tribunale di Roma. Direttore responsabile: Claudia Tancioni. ISSN 2704-9132

Gennaio 2022 Anno V - N. 1

IMPENNATA DA OMICRON

Variante più contagiosa ma meno “violenta” grazie anche alla protezione vaccinale Pesa però il numero dei decessi

www.onb.it



Sommario

Sommario EDITORIALE 3

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Un tramonto dorato di Vincenzo D’Anna

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PRIMO PIANO

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Con Omicron contagi alle stelle, ma meno rischi grazie anche ai vaccini di Rino Dazzo

Tumori infantili e terapie mirate di Domenico Esposito

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Sla: individuato un nuovo bersaglio terapeutico di Pasquale Santilio

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Ricambio neuronale. Decifrato il “software” di Pasquale Santilio

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Distrofie muscolari: una molecola terapeutica di Domenico Esposito

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Il processo con il quale si “impacchetta” il Dna di Sara Bovio

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Nuovi antibiotici contro la resistenza antimicrobica di Sara Bovio

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Tumore al polmone: sperimentazione con Enherture di Domenico Esposito

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Da geni e ambienti risposte ai tumori ormonosensibili di Elisabetta Gramolini

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Mangiare veloce raddoppia il rischio di colesterolo alto di Domenico Esposito

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L’allenamento HIIT di Gian Mario Migliaccio et al.

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Alopecia permanente post chemioterapia di Biancamaria Mancini

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Attività antiossidanti della rosa fermentata di Carla Cimmino

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Il ruolo dei biologi nel sistema sanitario nazionale di Francescopaolo Antonucci

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La medicina nella Roma imperiale di Barbara Ciardullo

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La medicina nel mondo arabo del primo millennio di Barbara Ciardullo

6 INTERVISTE 8

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Francesca Portincasa. Una biologa alla guida dell’acquedotto pugliese di Ester Trevisan Osteoporosi nello spazio. Conclusa (con successo) la prima fase di Chiara Di Martino

SALUTE 14

Screening neonatale: l’arma in più di Elisabetta Gramolini


Sommario AMBIENTE 42

Cosa succederà dopo l’eruzione del vulcano di Tonga di Giacomo Talignani

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Un tesoro a portata di mano di Gianpaolo Palazzo

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Migliorano le prestazioni energetiche nelle case di Gianpaolo Palazzo

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Cibo fresco e spaziale di Gianpaolo Palazzo

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Parco Bio.Tec.nologico di Giovanni Misasi e Teresa Pandolfi

60 SPORT

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I cani molecolari contro la Xylella fastidiosa di Pasquale Santilio

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Un sensore laser contro i cambiamenti climatici di Pasquale Santilio

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Dalle Olimpiadi invernali ai mondiali di calcio: il 2022 dello sport di Antonino Palumbo

67

Omicron e lo sport: rinvii e nuovo protocollo di Antonino Palumbo

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Insigne e i suoi bros: fratelli d’America di Antonino Palumbo

INNOVAZIONE 56

Ossa, la molecola che regola la rigenerazione di Elisabetta Gramolini

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Velocità e sostenibilità. Al via la Formula E di Antonino Palumbo

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La clonazione per la salvaguardia delle specie di Michelangelo Ottaviano

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BREVI

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Gas nucleare e naturale tra le economie sostenibili di Michelangelo Ottaviano

LAVORO 74

Concorsi pubblici per Biologi

SCIENZE

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Bronchioliti da Virus Respiratorio Sinciziale in pazienti pediatrici: la tempesta dopo la quiete di Vincenza Scanzano et al.

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Nuovi studi sul Mieloma multiplo pluritrattato di Cinzia Boschiero

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L1CAM come driver nelle cellule staminali del carcinoma ovarico e potenziale target terapeutico di Marco Giordano e Ugo Cavallaro

BENI CULTURALI 60

Villa del Balbianello, set per Star Wars e James Bond di Rino Dazzo

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L’arte del Belpaese torna esposta nei musei di Pietro Sapia

ECM 90

Zoonosi a trasmissione alimentare e politiche europee di Alessandra Mazzeo


Editoriale

Un tramonto dorato di Vincenzo D’Anna Presidente dell’Ordine Nazionale dei Biologi

C

i avviamo con passo celere verso che il Direttivo Nazionale e, tra i membri di la data entro la quale i commissari quest’ultimo, sarà quindi individuato il presistraordinari, indicati con decreto dente della Federazione. Insomma: un mecministeriale, ci porteranno a vota- canismo democratico che conferirà a ciascun

re. Nel prossimo autunno, infatti, ben undici presidente il valore dell’incidenza sulle scelte Ordini Regionali andranno a costituirsi per eleggere le cariche sociali ed i loro presidenti. Questi ultimi saranno, poi, chiamati a comporre l’Assemblea Nazionale della Federazione degli Ordini Regionali

a farsi. Non appena il TribuNel prossimo autunno, 11 Ordini Regionali andranno a costituirsi per eleggere i loro presidenti, che comporranno la Federazione Nazionale

nale Amministrativo si sarà espresso sul ricorso avverso al regolamento elettorale approvato dal Consiglio dell’Ordine, ogni iscritto sarà edotto sulle regole e sui meccanismi

nella quale esprimeranno un “voto pesato” del voto e dell’elezione dei dirigenti sia a livelovvero rapportato al numero degli iscritti che lo regionale sia nazionale. essi rappresentano nella regione di apparte-

Occorre che ciascuno iscritto si faccia carico

nenza. Un voto pesato nel senso che dispor- di informarsi, avendone l’opportunità, tramite ranno di una preferenza ogni cinquecento una capillare opera di informazione, affinché iscritti. Con queste “scelte” di peso differente possa esprimere con consapevolezza il proprio e proporzionate, i presidenti eleggeranno an- voto. Quindi, in sintesi: saranno due i livelli GdB | Gennaio 2022

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Editoriale

elettivi. Il primo su base regionale servirà ad dinari, esclusivamente dedicati alla vicenda eleggere i consigli direttivi ed il presidente re- elettorale, ma dare vita e continuità alle attivigionale. Il secondo sarà riservato ai presidenti tà proprie dell’ONB. Per evitare confusioni o eletti che indicheranno “l’esecutivo” nazionale sovrapposizioni di ruolo, l’Ordine ha definito e quest’ultimo, a sua volta, il Presidente della con i commissari straordinari un protocollo Federazione degli Ordini regionali dei Biologi. d’intesa che fungerà da crono programma e da Per quanto impegnativa sarà la fase di pre- indice per le diverse attività di loro competenparazione e di svolgimento delle elezioni, za. Bisognerà lavorare distintamente, ciascuno quest’anno non risulterà, in ogni caso, meno nell’ambito delle proprie specifiche funzioni, fruttuoso dei quattro precedenti. Continueranno, infatti, a funzionare tutti i servizi e le attività formative gratuite, gli eventi scientifici, i master, le summer school e l’alta formazione sul campo nei principali

in piena autonomia decisioPer quanto impegnativa sarà la fase di preparazione e di svolgimento delle elezioni, quest’anno non risulterà meno fruttuoso dei quattro precedenti

ambiti di interesse profes-

nale e finanziaria, con oneri a carico del bilancio dell’ONB. Uno sforzo finanziario di non poco conto, in ragione delle spese straordinarie da sostenere per la gestione di tutte le fasi elettorali alle quali ag-

sionale dei Biologi. Le sedi regionali affidate, giungere le necessità di finanziare la normale per la custodia, ai commissari, continueranno, attività propria dell’Ordine. all’occorrenza, a poter essere frequentate ed

In verità, al di là dei molteplici servizi ed op-

utilizzate dai gruppi di studio (laddove co- portunità offerte agli iscritti, questi ultimi semstituiti), dai semplici iscritti e da tutti coloro pre in aumento di anno in anno, occorre porche, avendone ricevuta l’autorizzazione dalla tare a termine quello che si è già avviato, come sede nazionale, concorrano a svolgere attività la revisione delle regole di accesso all’ONB e formative, informative e scientifiche. L’inten- la tripartizione dell’Albo con l’adozione dei to del Consiglio dell’Ordine è quello di non previsti Decreti Ministeriali, attuativi della intralciare i compiti dei Commissari Straor- Legge sulle lauree abilitanti. Ancora. Occor4

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Editoriale

re definire l’aumento dei posti nelle scuole di abbinato ai nuovi LEA che andranno in vigore specializzazione, anche istituendone ulterior- dal gennaio 2023. Un ulteriore sforzo sarà demente, presso Università disponibili che siano dicato ai sussidi per gli specializzandi Biologi in grado di rilasciare titoli equipollenti a quelli da parte dello Stato e, nelle more, anche con conseguiti presso gli atenei statali. Un risultato fonti di finanziamento da parte del nostro ente parziale è già stato ottenuto ed in questi mesi di previdenza (Enpab). Sono questioni resisarà realizzato per i corsi di specializzazione in duali rispetto al vasto programma realizzato fiEmbriologia che gemmeranno da quelli di spe- nora dal Consiglio dell’Ordine con una serrata cializzazione in Genetica. Occorre dire che pur opera di risanamento e riqualificazione, per i con le difficoltà contingenti legate alla pandemia, sono stati registrati significativi aumenti occupazionali per i Biologi. Il tutto grazie alla revisione delle piante organiche presso le Aziende Sanitarie Locali ed all’impiego di diverse centina-

Biologi in tutti quegli ambiAumenta l’occupazione per i Biologi, grazie a revisione delle piante organiche nelle Asl e inserimento nella campagna di vaccinazione anti Covid-19

ti legislativi e rappresentativi ove risultavano assenti o poco considerati. In questa continua ricerca di una ulteriore qualificazione della categoria va incastonato il progetto del “Biologo di Co-

ia di Biologi nel ruolo di vaccinatori ed ese- munità”: un nuovo ambito di inserimento negli cutori di tamponi presso varie sedi, farmacie Enti locali per svolgere le molteplici funzioni che comprese. Per i precari assunti nel SSN oc- discendono dalle numerose competenze che la corre vigilare che, a scadenza, possano trovare legge istitutiva assegna ai medesimi anche (e non una stabilizzazione degli incarichi ricoperti. La solo) in ambito ambientale. Insomma, ancorché stessa vigilanza che stiamo riservando ai nuovi l’Ordine Nazionale si avvii a concludere la sua contratti che le Arpa e gli Istituti Zooprofilat- più che cinquantennale storia, sostituito dalla tici stanno trattando con le forze sindacali. Va Federazione degli Ordini Regionali, il tramonto parimenti seguita la vicenda del Nomenclato- non sarà un mesto incedere verso il crepuscolo. re Tariffario per i laboratori di analisi, che sarà Ma un cammino verso un epilogo dorato. GdB | Gennaio 2022

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Primo piano

CON OMICRON CONTAGI ALLE STELLE MA MENO RISCHI GRAZIE ANCHE AI VACCINI Pesa il numero dei decessi, anche se la letalità si è abbassata in rapporto all’elevato numero dei casi riscontrati di Rino Dazzo

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nnunciata e prevista, la tempesta Omicron si è abbattuta sull’Italia ma, come in altri Paesi, non ha provocato le temute devastazioni. I mesi di dicembre e gennaio sono stati quelli che hanno frantumato tutti i primati in fatto di contagi. Dalla media di 12mila casi giornalieri di fine novembre si è passati in poche settimane a punte di 200mila e più casi al giorno, a cui però non sono seguite impennate di ricoveri e di decessi che sarebbero state catastrofiche se rapportate ai numeri delle prime ondate. Il picco dei contagi per gli esperti è stato raggiunto a fine gennaio e la strada, secondo il commissario straordinario per l’emergenza, generale Francesco Paolo Figliuolo, adesso è in progressiva discesa. Ma non è certo il momento di allentare la tensione. Scrive il Ministero della Salute nel suo ultimo monitoraggio settimanale: «Dopo dodici settimane di cre-

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scita continua, si osservano ora dei segnali di stabilizzazione dell’incidenza, della trasmissibilità sui casi ricoverati in ospedale e dell’occupazione dei posti letto in terapia intensiva. Si confermano segnali plurimi di allerta a livello regionale nelle attività di sorveglianza e indagine dei contatti». Il tributo in termini di vite umane si è fatto nuovamente pesante: la media a fine gennaio è tornata superiore alle 350 vittime giornaliere, con punte oltre i 400 decessi. Eppure, in rapporto al numero di casi riscontrati, la letalità della malattia si è abbassata drasticamente. È vero, come sostengono in molti, che con Omicron si è imboccata l’ultima fase della pandemia? Hanno fatto discutere le dichiarazioni a riguardo del direttore dell’Oms Europa, Hans Kluge: «È plausibile che con Omicron il Vecchio Continente si stia avviando alla fine della pandemia». Questo perché, entro marzo, il 60% degli europei potrebbe risultare contagia-


Primo piano

© TAM99PH/shutterstock.com

A metà febbraio, intanto, è previsto l’arrivo in Italia delle prime dosi di Novavax, il quinto vaccino raccomandato da Ema, l’agenzia per i medicinali dell’Unione Europea. Il suo nome commerciale è Nuvaxovid e per ora ha ricevuto il via libera per la somministrazione agli over 18.

© Studio Roux/shutterstock.com

to dalla nuova e più aggressiva variante riscontrata per la prima volta in Africa meridionale. Lo stesso Kluge però ha poi corretto il tiro: «La pandemia è tutt’altro che finita, due anni dopo potremmo entrare in una nuova fase con una plausibile speranza di stabilizzazione, ma è troppo presto per abbassare la guardia». In effetti, a dispetto delle numerose mutazioni e dell’accertata capacità di eludere, almeno in parte, la risposta degli anticorpi neutralizzanti, Omicron sin qui ha causato circa un terzo delle ospedalizzazioni provocate dalla variante Delta. La minore severità, a giudizio degli studiosi, è in parte dovuta alle caratteristiche di Omicron, capace di replicarsi settanta volte più velocemente nei bronchi rispetto alle varianti precedenti, ma meno nei polmoni, grazie anche alla presenza dei vaccini che, soprattutto dopo la tripla dose, si sono dimostrati efficaci nel contrastare la progressione della malattia, la necessità di ospedalizzazione e la morte. Come certificato dai dati relativi ai ricoveri, la percentuale di non vaccinati in terapia intensiva è di gran lunga maggiore rispetto alle persone che hanno completato il ciclo vaccinale e ricevuto la dose booster. Ma quanto dura la protezione? Ci sarà bisogno di una quarta dose, seguendo la strada già seguita da Israele per tutti gli over 18? Gli studi a riguardo, tra cui uno recente realizzato dai ricercatori del Medical Branch dell’Università del Texas, concordano sul fatto che a distanza di quattro mesi dalla terza dose i livelli di anticorpi, nonostante un progressivo calo, siano ancora alti e in grado di garantire protezione dal contagio e, ancor più, da aggravamenti dell’infezione. Rimane da chiarire cosa succede dopo. Di certo c’è che anche due dosi di vaccino offrono una significativa protezione da pericolose evoluzioni della malattia. È iniziata, tra l’altro, la sperimentazione del nuovo siero specifico sviluppato da Pfizer contro la variante Omicron: a detta dei produttori, sarà in grado di offrire la stessa capacità difensiva contro tutte le versioni del virus. A metà febbraio, intanto, è previsto l’arrivo in Italia delle prime dosi di Novavax, il quinto vaccino raccomandato da Ema, l’agenzia per i medicinali dell’Unione Europea. Il suo nome commerciale è Nuvaxovid e per ora ha ricevuto il via libera per la somministrazione agli over 18. Il ciclo raccomandato è di due dosi a distanza di 21 giorni e la particolarità di questo vac-

cino è che è diverso sia da quelli a Rna messaggero (Pfizer e Moderna) che da quelli a vettore virale (AstraZeneca e Johnson & Johnson). Il vaccino sviluppato da Novavax è basato infatti sulla tecnologia delle proteine ricombinanti, usata da tempo per altri vaccini come quelli in uso contro il papilloma virus o l’epatite B: contiene una versione della proteina spike, che si trova sulla superficie del virus, e un adiuvante che consente al sistema immunitario di identificare la proteina come estranea e di produrre difese naturali, anticorpi e cellule T, in grado di contrastarla. Proprio la «naturalità» del siero, si spera, dovrebbe convincere gli ultimi scettici. Già, perché in Italia c’è ancora una fetta di popolazione non vaccinata. I numeri sono buoni, soprattutto se rapportati ad altri paesi. Più dell’80% della popolazione ha completato il ciclo vaccinale primario, più della metà ha ricevuto la terza dose. Considerando guariti e vaccinati con una sola dose, la percentuale di protetti sfiora l’85%. La spina nel fianco è rappresentata dal 13% di over 40 e dal 9% di over 50 ancora sprovvisto di protezione, insieme a percentuali residuali tra gli over 60 (7%), gli over 70 (5%) e gli over 80 (3%). Un paio di milioni di persone da convincere e anche da proteggere. GdB | Gennaio 2022

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Intervista

FRANCESCA PORTINCASA UNA BIOLOGA ALLA GUIDA DELL’ACQUEDOTTO PUGLIESE La neodirettrice generale dell’ente idrico è la prima donna a rivestire questo ruolo “La formazione di un biologo è assolutamente adatta alla gestione di organizzazioni complesse“

di Ester Trevisan

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n 100 anni di storia dell’Acquedotto Pugliese, c’è una prima volta per le donne. Donna (e biologa) è, infatti, Francesca Portincasa, direttrice generale fresca di nomina dell’ente idrico tra i più importanti d’Italia. A conferirle l’incarico è stata, a dicembre scorso, l’assemblea dei soci, dando seguito alla designazione disposta con delibera di Giunta regionale Dottoressa Portincasa, qual è il valore aggiunto che la professionalità di una biologa può portare in un ruolo così importante come quello di direttrice generale dell’Acquedotto Pugliese? La biologia studia gli esseri viventi, è scienza della complessità perché i sistemi viventi sono complessi. La biologia studia processi e relazioni con diverse scale spaziali e temporali. In biologia sono necessari modelli predittivi probabilistici, gerarchizzazione e approssimazioni successive. La struttura formativa di un biologo è assolutamente adatta alla gestione di organizzazioni complesse quali l’Acquedotto Pugliese. Quali sono le esperienze professionali che l’hanno condotta sin qui? Ho iniziato a lavorare in Acquedotto Pugliese come biologa nel giugno del 1989, dopo

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esperienze nei laboratori clinici e nell’insegnamento. In questi oltre 30 anni, ricoprendo ruoli sempre diversi e in vari settori dell’azienda (spesso tradizionalmente appannaggio di altre professionalità), formandomi in campo e seguendo corsi di formazione manageriale, ho imparato a conoscere le problematiche tipiche di una società che gestisce il servizio idrico integrato e mi sono appassionata sempre di più a questo settore e all’acqua. Il fatto di avere iniziato a lavorare dalla base, in un laboratorio di analisi, mi ha permesso di capire – e in modo metaforico – di attraversare tutto il ciclo integrato dell’acqua per prepararmi a questo incarico e ruolo di responsabilità. È, quindi, per me fonte di soddisfazione essere cresciuta in un’azienda così speciale e importante per il territorio come l’Acquedotto Pugliese. Sono la prima donna ad assumere la carica di Direttore Generale e si tratta di un passo avanti molto rilevante per colmare il gender gap e ispirare le ragazze che oggi si affacciano al mondo professionale. La vita lavorativa può e deve conciliarsi con quella privata e non vi è ragione per cui una donna debba limitare le sue aspettative di crescita. Prima ancora che biologa e Direttrice generale, sono donna, moglie e mamma.


Intervista

Francesca Portincasa.

Quali sono le principali sfide che il 2022 prospetta all’Acquedotto Pugliese? Il mio compito ora è di accompagnare l’azienda verso un modello sempre più sostenibile e innovativo e fornire rinnovato impulso agli investimenti, con particolare attenzione verso i fondi del PNRR. L’AQP sta portando avanti una manovra da oltre due miliardi di euro per il risanamento delle reti in tutti i comuni pugliesi. Si tratta di un’operazione di rilancio che coinvolge diversi attori anche locali e che auspicabilmente sarà potenzialmente una case history di successo anche per altre realtà del settore. Tra i principali investimenti che prevediamo, vi sono le iniziative per il potenziamento dell’interconnessione dei grandi schemi idrici, dei serbatoi e dei potabilizzatori per aumentare la resilienza del sistema (oltre 250 milioni); la realizzazione di nuovi dissalatori (oltre 40 milioni); un forte impulso alla depurazione (oltre 500 milioni) e alla digitalizzazione (oltre 90 milioni); la realizzazione e potenziamento di tronchi idrici e fognari e nuovi allacci (circa 220 milioni) e infine la manutenzioni straordinarie (circa 400 milioni). Efficienza nell’erogazione dei servizi idrici ai cittadini e sostenibilità ambientale: come si coniugano questi due obiettivi?

I due temi sono strettamente legati. Oggi non è più possibile immaginare un servizio ai cittadini che non sia in linea con la sempre maggior consapevolezza dell’impatto ambientale delle attività economiche. E questo in qualsiasi settore, non solo il nostro. A fine dicembre abbiamo approvato il Piano triennale di Sostenibilità dell’azienda. Si tratta di un passo importante nell’individuare le direttrici del lavoro dei prossimi mesi. Tramite questo Uno dei laboratori di Acquedotto Pugliese. “La biologia studia gli esseri viventi, è scienza della complessità perché i sistemi viventi sono complessi. La biologia studia processi e relazioni con diverse scale spaziali e temporali. In biologia sono necessari modelli predittivi probabilistici, gerarchizzazione e approssimazioni successive”.

Chi è

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rancesca Portincasa, biologa, ha mosso i primi passi in Acquedotto Pugliese nel giugno del 1989 quando ha iniziato a lavorare per l’ente idrico come biologa. Prima di arrivare alla direzione generale, ha rivestito diversi ruoli, tra cui quello di coordinatrice industriale di AQP per la definizione e la pianificazione delle linee tecnico-operative aziendali. Dal 2016 ha ricoperto anche la carica di direttrice reti e impianti. Premiata con il titolo di Innovation Manager. Fa parte di Community Innovation Manager hub, uno spazio dedicato allo studio e all’evoluzione dei modelli organizzativi, dei processi e della cultura dei cittadini.

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Intervista

Piano puntiamo a un nuovo modello di crescita che mira alla realizzazione degli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite (SDGs) e contribuisce a creare valore per i territori in cui opera. Quali sono le collaborazioni portate avanti finora da AQP e quelle in programma? Sono diverse le collaborazioni, anche a livello internazionale, che abbiamo seguito e stiamo portando avanti. Fra le tante mi piace ricordare che siamo stati la lead beneficiary del progetto denominato “RE-WATER”, relativo all’introduzione di tecnologie ecosostenibili per la gestione delle acque reflue e la riduzione dell’inquinamento marino nelle aree pugliesi e greche. Più recentemente abbiamo preso parte all’iniziativa transfrontalie-

Sede di Acquedotto Pugliese a Bari.

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“L’AQP sta portando avanti una manovra da oltre due miliardi di euro per il risanamento delle reti in tutti i comuni pugliesi”.

ra Cross Water, di cui Regione Puglia e AQP fanno parte con Regione Molise, Comune di Tirana, società Tirana Water and Wastewater Utility e Acquedotto Regionale Montenegrino. Lo scopo è la definizione di un sistema di gestione delle acque efficiente ed efficace attraverso lo sviluppo di un piano integrato transfrontaliero e un documento di politica comune. Il progetto prevede la realizzazione di quattro iniziative pilota, di cui una in Puglia, che riguarda il monitoraggio continuo della qualità dell’acqua presso l’impianto di depurazione Monopoli e di Sammichele di Bari per ottimizzare i processi di trattamento dei reflui. Tra i risultati attesi, la riduzione del consumo energetico globale e dell’impatto ambientale.


Master di I livello in

SOSTENIBILITÀ DEI SISTEMI ALIMENTARI E DELLA DIETA MEDITERRANEA

Master telematico asincrono marzo 2022 – luglio 2022 GdB | Gennaio 2022

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Intervista

OSTEOPOROSI NELLO SPAZIO CONCLUSA (CON SUCCESSO) LA PRIMA FASE L’esperimento ideato da Geppino Falco (Federico II) ha studiato la preservazione delle cellule staminali trattate con un antiossidante a base di collagene e molecole bioattive

di Chiara Di Martino

U

n nuovo tassello si è aggiunto al lungo lavoro che si nasconde dietro il progetto denominato, in sigla, ReADI FP, e cioè Reducing Arthritis Dependent Inflammation First Phase, ideato da Geppino Falco, professore di Biologia applicata all’Università degli Studi di Napoli Federico II insieme alle società aerospaziali ALI e Marscenter, che ha l’obiettivo di arrivare - a partire dall’impiego di una combinazione di collagene e molecole bioattive che si ritrovano nelle vinacce di Aglianico - alla prevenzione dell’osteoporosi, patologia invalidante molto diffusa nella popolazione anziana, soprattutto femminile, e negli astronauti che soggiornano a lungo nello spazio. Già, perché è proprio nello spazio che l’esperimento ha vissuto (e vivrà) parte del suo “corso”: il primo viaggio intrapreso risale a fine agosto sulla Stazione Spaziale Internazionale a bordo della 23esima missione di rifornimento, e ora sono finalmente disponibili i primi risultati. A illustrarli è Geppino Falco, che è anche capogruppo del Laboratorio di Biologia dello sviluppo e cellule staminali Biogem Scarl. Professore, ricostruiamo le tappe dell’esperimento?

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Il progetto prevede diverse fasi. La prima fase (First phase) è iniziata il 29 agosto dal Kennedy Space Center in Florida, a bordo del razzo Falcon 9, all’interno della cui capsula Dragon era presente il nostro laboratorio. L’esperimento in sé è durato 10 giorni, ma il laboratorio è rientrato a fine settembre. Da allora, gli step successivi sono andati un po’ più a rilento del previsto anche a causa della pandemia (tanto per dirne una, dagli Stati Uniti non riusciamo a ricevere da mesi i reagenti per completare l’analisi molecolare del progetto, ma per fortuna siamo ormai in dirittura di arrivo anche sotto questo aspetto). A maggio seguirà una seconda fase sempre a bordo della Stazione Spaziale Internazionale nell’ambito della nuova missione di Samantha Cristoforetti. Qual era l’idea di partenza? Il test si è svolto in una piccolo laboratorio utile a regolare i parametri fisici e chimici idonea alla crescita cellulare. La struttura portatile, da noi ideata e realizzata insieme alle aziende ALI e Marscenter (quest’ultima marchio storico del comparto aerospaziale campano) consente lo svolgimento dell’esperimento per almeno due settimane anche senza l’ausilio umano: richiede infatti solo ali-


Intervista

mentazione elettrica fornita a bordo della ISS. Una sfida ingegneristica tutt’altro che banale ma che è stata affrontata dal team di giovani ingegneri di ALI che hanno ideato, progettato e prodotto con la stampa 3d i componenti del MiniLab. Al suo interno, le cellule staminali sono state “coltivate” con la bio-formulazione a base di resveratrolo iniettata in modo controllato grazie all’ausilio di microinfusori. L’obiettivo è studiare l’effetto dello stress ossidativo sul differenziamento cellulare scheletrico in condizioni di microgravità. Quali risultati è già possibile descrivere? Il primo successo è stato “riprendere” il nostro laboratorio, a dispetto di tutti gli intoppi burocratici incontrati. Poi abbiamo scoperto che il device perfettamente funzionante dal punto di vista ingegneristico ha garantito la totale assenza di contaminazione. Le cellule sono apparse perfettamente integre nella loro morfologia e hanno mantenuto la loro capacità comunicativa. Il nostro antiossidante ha preservato la loro morfologia meglio di quelle senza antiossidante. Dal punto di vista molecolare, poi, gli RNA messaggeri – dove cioè sono scritte le informazioni che le cellule si sono scambiate – erano integri. La parte “a terra” invece quali step ha previsto? Abbiamo estratto il principio attivo in modo ecosostenbile ed ecocompatibile, insomma senza reagenti che avessero impatto sull’ambiente. Questa formulazione a base di resveratrolo – a partire dall’uva aglianico, dalle cui vinacce sono stati estratti metaboliti – ha dimostrato di preservare le cellule staminali, il che è una grande novità, visto che di solito ciò avviene nelle cellule differenziate. Il processo di produzione delle formulazioni è stato realizzato e supervisionato dai colleghi del Dipartimento di Biologia, Chimica e dai ricercatori del IPCB del CNR di Napoli. Come le è venuta l’idea di studiare questa patologia comune nello spazio? Gli equipaggi di missioni spaziali sono sottoposti a vari fattori che possono alterare la biologia di cellule ed organi. La permanenza nello spazio comporta un forte stress per alcuni tessuti, in particolare quello muscolo-scheletrico. È noto che la microgravità e la ridotta attività fisica sono responsabili dei processi di decalcificazione ossea in linea con quanto accade al corpo umano anche sulla Terra,

© Evgeniyqw/shutterstock.com

Geppino Falco. “Le cellule sono apparse perfettamente integre nella loro morfologia e hanno mantenuto la loro capacità comunicativa. Il nostro antiossidante ha preservato la loro morfologia meglio di quelle senza antiossidante.”.

quando si verificano condizioni di immobilità prolungata o in presenza di condizioni patologiche. Per riprodurre nei nostri laboratori le stesse condizioni ambientali abbiamo quindi deciso di far viaggiare il nostro laboratorio nello spazio. L’analisi cellulare e molecolare avanzata in condizioni di microgravità può rappresentare un innovativo modello di studio che ci consentirà di aprire nuovi scenari nella comprensione, nella prevenzione e nel trattamento dell’osteoporosi anche nei pazienti comuni.

I protagonisti del progetto

I

l progetto ReADI FP (Reducing Arthritis Dependent Inflammation First Phase), ingegnerizzato dalla società Marscenter, nasce dal contratto tra la società consortile ALI – Aerospace Laboratory for Innovative components – e la Nanoracks Europe, società europea del gruppo XO Markets Holdings Inc, insieme alla Nanoracks LLC (USA). Può infine contare sul contributo della Regione Campania e dell’azienda vinicola irpina Mastroberardino, quest’ultima come fornitrice delle vinacce di aglianico. ReADI FP rientra nelle attività previste dal progetto principale, anch’esso partenopeo, CA.DI.RA, Capsula DI Rientro Atmosferico, coordinato dalla società ALI e finanziato dalla Regione Campania.

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Salute

SCREENING NEONATALE L’ARMA IN PIÙ Da sei anni la legge permette di individuare in età precoce diverse patologie potenzialmente mortali e invalidanti. Il panel italiano è il più grande in Europa ma si potrebbe allargare

B

asta una goccia di sangue a cambiare la vita. Lo sanno le famiglie che ad oggi hanno ricevuto una diagnosi precoce di malattia e sono potute intervenire con una terapia efficace per il loro bambino. In Italia, la legge 167 del 2016 ha introdotto un percorso di screening neonatale che garantisce l’identificazione tempestiva nei neonati di circa 40 patologie metaboliche ereditarie tramite un prelievo di sangue dal tallone. Negli anni, sono state inserite nuove classi da ricercare fra le quali alcune malattie neuromuscolari genetiche, immunodeficienze congenite severe e da accumulo lisosomiale. Fra il 2020 e il 2021, il gruppo di lavoro sullo screening, istituito dal ministero della Salute per rivedere l’elenco, ha concluso un lungo esame sui dati scientifici riguardanti le terapie e i test, ritenendo di poter inserire anche la diagnosi dell’atrofia muscolare spinale (Sma). Nel Lazio e nella Toscana, infatti, si è svolta con successo una sperimentazione che ha portato all’inserimento dello screening della Sma fra i Livelli essenziali di assistenza (Lea) regionali. Anche altre Regioni hanno seguito l’esempio: a cominciare dalla Puglia, che ha emanato una legge analoga per offrire il test, e ad altre che hanno iniziato un progetto pilota (Liguria) o sono in procinto di cominciare (Piemonte e Campania). Vista la documentazione, il parere favorevole del gruppo di lavoro e anche il via libera dell’Agenas che ha compiuto una analisi sul piano della health technology assessment (una valutazione che prende in esame il costo beneficio dell’innovazione), c’è da sperare che il ministero emet-

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ta un decreto per aggiungere la malattia nel programma nazionale. Un elenco di cinquanta patologie può sembrare poca cosa rispetto alle circa 8000 di malattie rare finora scoperte e individuate. Ma è anche vero che, dopo quello statunitense, il panel italiano di screening è il più grande al mondo. L’allargamento non è solo un affare burocratico: servono le terapie efficaci, i test di facile applicazione, la possibilità di aggiornare i Lea e seguire i bambini nei percorsi di cura. «Non solo la Sma potrebbe essere inserita – spiega Giancarlo la Marca, responsabile del laboratorio Screening neonatale allargato dell’Azienda ospedaliera universitaria Meyer di Firenze e presidente uscente della Società italiana per lo studio delle malattie metaboliche ereditarie e lo screening (Simmesn) -. Anche lo screening per identificare la malattia di Duchenne potrebbe in futuro entrare nell’elenco delle patologie da valutare. Questa ultima, non è ancora raccomandata nella maggior parte dei pannelli del mondo perché non rispetta tutti i criteri, come ad esempio il test che risulta complesso o il trattamento terapeutico risolutivo che non ad oggi non ancora esiste ma è una di quelle patologie di cui si discute da anni. Per ottimizzare l’inserimento occorre un test efficiente, applicabile alla popolazione di tutte le Regioni e, cosa importante, la garanzia che il bambino sia preso in carico e trattato in maniera efficiente. La legge del 2016 – continua la Marca - incoraggia il sistema nazionale ad allargare il pannello di screening anche a quelle patologie per cui non esiste la terapia risolutiva ma l’identificazione precoce potrebbe permettere al neona-


Salute

mentazione della terapia genica. È uscito da poco sul New England Journal of Medicine uno studio del San Raffaele con cui abbiamo collaborato che effettivamente ha dimostrato dei risultati entusiasmanti. Il farmaco non è ancora disponibile in commercio ma siamo in una fase avanzata. La terapia genica si fa entro il primo anno di vita ma la cosa meravigliosa è che se funziona è risolutiva». Se rapportate alle migliaia di test, la quantità di diagnosi può sembrare irrilevante ma non lo sono per le famiglie e i loro bambini. Proprio per la mucopolisaccaridosi tipo I, nei primi cinque anni di sperimentazione al laboratorio dell’Unità operativa complessa di Malattie Metaboliche Ereditarie dell’Azienda ospedale università di Padova dal professor Alberto Burlina, su 160.011 neonati sono stati rilevati due casi. «L’incidenza – dice Burlina - è risultata quindi di un caso su 80.005. Tutti e due i bambini con Mps I avevano una malattia grave, in particolare il primo, che ha affrontato un trapianto di midollo osseo a sei mesi di vita. Non era mai avvenuto in una famiglia ignara, ovvero dove non ci fosse già un paziente affetto. Il secondo, invece, ha iniziato la terapia enzimatica sostitutiva, e oggi sono entrambi perfettamente sani. Se consideriamo che di solito i bambini affetti da Mps I vengono diagnosticati fra i 2 e i 5 anni di età, è facile capire l’importanza della diagnosi precoce tramite lo screening neonatale e del trattamento tempestivo per migliorare l’esito di questi pazienti». (E. G.) to di essere arruolato in fasi avanzate di sperimentazioni cliniche. Allo stesso tempo però per poter inserire una nuova patologia devono essere rispettati dei criteri imprescindibili. Serve ovviamente un test di facile applicazione e poi una terapia che una volta iniziata in fase pre-sintomatica è capace di cambiare la storia del paziente». Per ora il cammino compiuto e il lavoro che sta svolgendo il gruppo di esperti, fa dire al presidente della Simmesn che nel nostro Paese si stia compiendo un’attività all’avanguardia, anche grazie alla collaborazione fra le istituzioni. Una delle altre patologie su cui la commissione sta lavorando è la mucopolisaccaridosi tipo I (Mps I). «Per la malattia – ricorda il dottor la Marca - è in fase avanzata la speri-

Un elenco di cinquanta patologie può sembrare poca cosa rispetto alle circa 8000 di malattie rare finora scoperte e individuate. Ma è anche vero che, dopo quello statunitense, il panel italiano di screening è il più grande al mondo.

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Al via il progetto pilota

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er la leucodistrofia metacromatica, una malattia d’accumulo lisosomiale, oggi assente in tutti i pannelli nel mondo, fra poco sarà disponibile una terapia genica per cui si attende l’approvazione e lo studio sul rimborso economico. «In Italia – commenta la Marca - abbiamo lavorato in questi mesi allo sviluppo per un test di screening neonatale che prima non esisteva. In Toscana e nella mia unità, siamo pronti per partire con un progetto pilota triennale che è il passo fondamentale per discutere a livello nazionale dei risultati. Abbiamo completato l’iter del comitato etico della regione Toscana e ricevuto la copertura dei costi della quasi totalità del progetto»

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TUMORI INFANTILI E TERAPIE MIRATE In Australia il programma Zero Childhood Cancer ha testato le cellule tumorali contro oltre cento farmaci differenti

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n programma per comprendere come affrontare in maniera più efficace i tumori infantili, per identificare la precisa composizione di ogni cancro che può colpire i bambini attraverso test genomici avanzati e adottare con successo le terapie farmacologiche più incisive, migliorando sostanzialmente i tassi di sopravvivenza per quelli letali. Questo l’obiettivo di Zero Childhood Cancer, il programma messo a punto da un gruppo di specialisti australiani guidati da Glenn Marshall, ricercatore del Centro dei tumori infantili dell’ospedale pediatrico di Randwick

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a Sydney. I risultati ottenuti, correlati ai risultati clinici di 56 pazienti che hanno preso parte all’innovativo protocollo, sono stati pubblicati sulla rivista EMBO Molecular Medicine. Per svolgere lo studio, gli scienziati hanno estratto delle cellule cancerose dai tumori dei bambini partecipanti. Queste sono state coltivate in laboratorio e poi testate contro più di cento farmaci differenti. Una procedura che ha consentito di individuare dei nuovi trattamenti per il 70% dei pazienti e di cambiare terapia, in base all’analisi genetica individuale, al 53% dei soggetti coinvolti. Impiegando dei modelli animali basati

sul tumore di un singolo paziente, i ricercatori sono stati infatti capaci di selezionare potenziali trattamenti farmaceutici, riuscendo a raccomandare o scartare specifiche terapie. Glenn Marshall, coordinatore dello studio, ha spiegato: «Il cancro ha un’abilità infinita di mutare e di superare le barriere alla sua crescita, che si presentano quando si somministra la chemioterapia convenzionale. Dopo aver selezionato un piccolo gruppo di una dozzina di pazienti di età fino a 14 anni, che avevano una mutazione genetica, abbiamo potuto testare se il trattamento era efficace contro quelle specifiche cellule cancerose, oppure suggerire altri trattamenti personalizzati». Negli ultimi sei anni, il programma Zero Childhood Cancer ha consentito alla comunità scientifica australiana di fare registrare importanti passi avanti nel trattamento dei tumori infantili. Il progetto sta adesso venendo esteso in maniera progressiva a tutti i giovani australiani che hanno ricevuto una diagnosi di tumore. Oltre 600 bambini con tumori rari e ad alto rischio sono stati arruolati in tutto il Paese da quando la sperimentazione clinica ha preso il via nel 2017. Entro la fine del 2023, l’obiettivo dei ricercatori “aussie” è che tutti i bambini con diagnosi di cancro in Australia abbiano accesso a Zero Childhood Cancer. Coinvolgendo tutte le unità di oncologia pediatrica in tutta l’Australia, così come 23 partner di ricerca nazionali e internazionali, Zero Childhood Cancer sta dando speranza ai bambini con i tumori più aggressivi che hanno poche o nessuna opzione di trattamento. Ogni anno in Australia, a più di mille bambini e adolescenti viene diagnosticato il cancro. Ogni settimana, tre preziose giovani vite vengono perse a causa del cancro - più di qualsiasi altra malattia. Il programma Zero Childhood Cancer sta cambiando questa situazione. (D. E.).


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a Sla è una malattia neurodegenerativa grave dell’età adulta, progressivamente invalidante, dovuta alla compressione dei motoneuroni (le cellule responsabili della contrazione dei muscoli volontari) spinali, bulbari e corticali, che conduce alla paralisi dei muscoli volontari fino a coinvolgere anche quelli respiratori. Una parte rilevante dei pazienti affetti da Sla mostra un dispendio energetico aumentato, ovvero una condizione in cui viene utilizzata più energia di quella necessaria. Tale alterazione, detta ipermetabolismo, insieme ad una diminuzione dell’indice di massa corporea è in genere correlata con una prognosi peggiore della malattia. Uno studio italiano ha individuato un nuovo potenziale bersaglio terapeutico, evidenziando l’efficacia di un farmaco in un modello preclinico di Sla in grado di rallentare la progressione della neurodegenerazione e nell’aumentare la sopravvivenza dei modelli murini. Il gruppo di ricerca, coordinato da Alberto Ferri e Cristiana Valle della Fondazione Santa Lucia IRCCS di Roma e dell’Istituto di farmacologia traslazionale del Cnr, ha dimostrato che i meccanismi molecolari alla base delle disfunzioni metaboliche correlate con la Sla possono essere normalizzati da un farmaco, la Trimetazidina, suggerendo che questo approccio possa contribuire a rallentare il decorso della malattia. Il farmaco, già utilizzato per altre patologie, è stato sperimentato su un modello murino di Sla dove è intervenuto ripristinando il corretto bilancio energetico cellulare e ostacolando lo sviluppo di processi infiammatori e neurodegenerativi, sia nel midollo spinale che nel nervo periferico. Questa azione neuroprotettiva si è manifestata rallentando la degenerazione dei motoneuroni e della giunzione neuromuscolare e incrementando la forza muscolare.

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SLA: INDIVIDUATO UN NUOVO BERSAGLIO TERAPEUTICO Evidenziata l’efficacia di un farmaco già in uso per altre patologie. Il lavoro è stato pubblicato su British Journal of Pharmacology

Alberto Ferri, ricercatore del Consiglio nazionale delle ricerche-Ift e responsabile del Laboratorio di neurochimica della Fondazione Santa Lucia IRCCS di Roma dove è stato condotto lo studio, ha inteso spiegare: «Il nostro laboratorio si occupa da anni della comprensione dei meccanismi molecolari che sono alla base delle disfunzioni metaboliche precoci nella Sla. L’obiettivo che ci siamo posti è identificare nuovi potenziali approcci terapeutici promuovendo sia lo sviluppo di nuovi farmaci che l’utilizzo di farmaci già approvati, come la Trimetazidina, oggetto di questo studio. L’utilizzo

di questo farmaco, che agisce come modulatore metabolico e già utilizzato nella terapia delle disfunzioni coronariche, ha permesso di normalizzare la spesa energetica in un modello preclinico, migliorando le performance motorie e prolungando in modo significativo la sopravvivenza degli animali. Siamo soddisfatti di questi risultati, che hanno contribuito a disegnare uno studio clinico pilota condotto dal gruppo di ricerca australiano dell’Università di Queensland, con cui abbiamo collaborato, per verificare innanzitutto la sicurezza di questo farmaco in pazienti fragili come quelli affetti da Sla». (P. S.). GdB | Gennaio 2022

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RICAMBIO NEURONALE DECIFRATO IL “SOFTWARE” Decifrato l’insieme delle istruzioni che controllano questi processi I risultati dello studio sono stati pubblicati sulla rivista Cells

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l ricambio neuronale riveste un ruolo di fondamentale importanza per lo sviluppo, la conservazione e il rinnovamento del nostro sistema nervoso. Esso è minuziosamente regolato da stimoli contrapposti, che possono sostenere la sopravvivenza dei neuroni o indurne l’apoptosi, un suicidio cellulare geneticamente programmato. La disfunzione dei meccanismi molecolari coinvolti nel ricambio neuronale è in grado di determinare condizioni patologiche e può causare difetti dello sviluppo, patologie tumorali o malattie neurodegenerative. 18 GdB | Gennaio 2022

Un team di ricercatori degli istituti del Consiglio nazionale delle ricerche per la Ricerca e l’innovazione biomedica e di Biochimica e biologia cellulare, insieme ai colleghi dell’European brain research institute e dell’Università di Catania, ha decifrato il “software”, vale a dire l’insieme delle istruzioni, che regola il ricambio neuronale. Sebastiano Cavallaro, dirigente di ricerca dell’Istituto per la ricerca e l’innovazione biomedica (Cnr-Irib), responsabile del laboratorio di genomica a Catania e coordinatore della ricerca pubblicata sulla rivista Cells, ha dichiarato: «È da tempo che siamo

sulle tracce dei meccanismi che governano la vita e la morte dei neuroni. Abbiamo, per la prima volta, decifrato l’insieme delle istruzioni che controllano questi importantissimi processi e gli effetti che la loro perturbazione potrebbe avere in patologie umane. Come accade nei computer, dove il guasto spesso deriva da un software difettoso, l’alterato ricambio neuronale potrebbe dipendere da un programma malfunzionante». L’analisi del trascrittoma, cioè l’insieme degli RNA messaggeri, ha dapprima permesso di caratterizzare il programma trascrizionale, vale a dire i geni coinvolti nelle fasi in cui il neurone decide di intraprendere o meno l’apoptosi. Tale programma sembra essere condiviso da altre cellule, essendo coinvolto in malattie non solo neurologiche, ma anche psichiatriche e oncologiche. Inoltre, farmaci già utilizzati per il trattamento di queste patologie sono in grado di ripristinare questo programma trascrizionale, evidenziandone ulteriormente le implicazioni cliniche. Al fine di riuscire a decifrare il software, ovvero l’insieme delle istruzioni, che regola il ricambio neuronale è stato utilizzato un processo di ingegneria inversa con l’obiettivo di identificare i fattori di trascrizione che, con un’organizzazione gerarchica, istruiscono il programma trascrizionale. Attraverso la regolazione di questi fattori di trascrizione mediante composti farmacologici già esistenti, si potrebbero ottenere nuovi e certamente validi spunti terapeutici. «Essere in grado di decifrare il codice delle vita o della morte cellulare può certamente aiutare a identificare il guasto e il rimedio in diverse patologie attraverso una farmacologia innovativa indirizzata non solo su bersagli a valle, ma orientata al software che li controlla», ha così concluso Sebastiano Cavallaro del Consiglio nazionale delle ricerche Irib della città etnea. (P. S.).


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no studio italiano ha individuato una molecola che potrebbe rivelarsi utile per il trattamento della fibrosi cistica e per le sarcoglicanopatie, malattie genetiche rare appartenenti al gruppo delle distrofie muscolari dei cingoli (LGMDR3), per le quali ad oggi non è disponibile alcuna terapia specifica. A suggerire la possibile svolta sono i risultati di un nuovo modello della malattia realizzato sui topi dal gruppo di ricerca guidato da Dorianna Sandonà, del Dipartimento di Scienze Biomediche dell’Università di Padova. La ricercatrice, parlando del lavoro fresco di pubblicazione sulla rivista scientifica Human Molecolar Genetic, ha spiegato che «una delle grosse difficoltà nello studio delle sarcoglicanopatie è la mancanza di modelli animali adatti, che tuttavia sono fondamentali per valutare l’effetto di potenziali nuovi farmaci. Una parte fondamentale di questo lavoro è stata proprio quella di sviluppare un nuovo modello di una di queste malattie, la distrofia dei cingoli indicata come LGMD3, più vicino alla realtà rispetto alle tradizionali colture di cellule. Grazie a questo nuovo modello animale – un topo geneticamente modificato – abbiamo potuto testare per la prima volta in un organismo vivente una piccola molecola già sperimentata con successo nel caso della fibrosi cistica: il correttore CFTR C17». Il modello è costituito da topi privi del gene corrispondente a quello che, nell’essere umano, codifica la proteina coinvolta nelle distrofie LGMDR3. I ricercatori hanno introdotto negli animali alla nascita il gene umano, con la mutazione responsabile della malattia. Una volta cresciuti, i roditori hanno mostrato effetti analoghi a quelli della distrofia nell’uomo, come ad esempio l’assenza di una particolare proteina denominata sarcoglicano, il cui ruolo è cruciale per il corretto funzionamento dei muscoli e, a livello di sintomi, una chiara

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DISTROFIE MUSCOLARI: UNA MOLECOLA TERAPEUTICA Da un nuovo modello per lo studio della malattia, la scoperta che potrebbe rivelarsi utile anche nella fibrosi cistica

diminuzione della forza muscolare. «In molti casi di LGMDR3 - ha spiegato la professoressa Sandonà la proteina mutata viene prodotta, ma con una forma diversa da quella fisiologica. Per questo motivo, anche se potrebbe comunque svolgere la sua funzione, viene riconosciuta come difettosa dai sistemi di controllo di qualità della cellula ed eliminata prima ancora che possa raggiungere la sua collocazione». Qualcosa di simile accade nella fibrosi cistica, dove il correttore CFTR C17 si è mostrato in grado di recuperare le proteine dalla forma «sbagliata», consentendo loro di arrivare al sito di destinazione e

ripristinando una situazione simile a quella fisiologica. Da qui l’idea di valutare l’effetto pure nelle sarcoglicanopatie. «Il dato più promettente di questo studio - ha detto Sandonà - è che il trattamento con il correttore dei topi modello di malattia che abbiamo sviluppato permette il recupero completo della forza muscolare, che torna ad essere uguale a quella degli animali sani. Questi dati - ha concluso - rafforzano l’idea che i correttori CFTR C17 possano rappresentare una valida opzione terapeutica per diverse malattie genetiche, muovendo così un altro importante passo verso la sperimentazione clinica». (D. E.). GdB | Gennaio 2022

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IL PROCESSO CON IL QUALE SI “IMPACCHETTA” IL DNA Nuove osservazioni della condensazione dei cromosomi Le ricerche di uno studio in Corea del Sud, pubblicato su PNAS di Sara Bovio

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cromosomi, gli organuli cellulari responsabili della trasmissione dei caratteri ereditari, possiedono una delle strutture più intriganti sia dal punto di vista fisico che biologico. I cromosomi sono corpuscoli a forma di bastoncino contenuti nel nucleo della cellula, visibili solo durante le fasi della divisione cellulare. Sono costituiti da una lunga molecola di DNA associato a proteine e sono presenti in numero costante per ogni specie. Nell’uomo sono 46. Quando arriva il momento della divisione della cellula, il DNA che è lungo quasi due metri subisce un processo di condensazione, impacchettandosi in cromosomi grandi un milionesimo rispetto a quelle che sono le sue dimensioni. Questo meccanismo accade perché se la divisione cellulare avvenisse con un DNA così lungo, ci sarebbe un elevato rischio di danni o perdita di informazioni genetiche. Pertanto, la condensazione dei cromosomi è essenziale per trasmettere accuratamente le informazioni ereditarie. Il processo di impacchettamento del DNA cellulare in cromosomi senza alcun groviglio e la struttura 3D che permette questo hanno lasciato perplessi i ricercatori per oltre mezzo secolo. Di recente un team di ricerca guidato dal professor Changyong Song e dal dottor Daeho Sung del Dipartimento di Fisica della Pohang University of Science and Technology (POSTECH) in Corea del Sud, insieme al professor Do Young Noh del Gwangju Institute of Science and Technology, (GIST) ha usato i raggi X di

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un impianto di sincrotrone di terza generazione per analizzare i cromosomi umani mitotici nel loro stato condensato. I risultati osservati sono stati pubblicati sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS). Nello studio sono emerse alcune difficoltà e in particolare è stato difficile osservare i cromosomi nella loro condizione nativa. I ricercatori hanno potuto rilevare solo alcuni componenti dei cromosomi o dedurre il loro stato condensato guardando il loro stato non avvolto. Attraverso lo studio, il team di ricerca ha stabilito che i cromosomi erano condensati in una struttura frattale piuttosto che nella struttura gerarchica nota da studi precedenti. Inoltre, è stato presentato un modello fisico che mostra il processo di impacchettamento dei cromosomi. «Utilizzando i raggi X coerenti di sincrotrone, abbiamo identificato la struttura 3D dei cromosomi attraverso immagini ad alta risoluzione su scala nanometrica», ha spiegato il professor Changyong Song. «La tecnica sviluppata nello studio non solo fornisce la chiave per comprendere la genetica – l’essenza di tutti gli esseri viventi - ma anche per scoprire le strutture 3D di altri materiali, come i virus, la cui struttura dettagliata è di notevole importanza». Ma com’è nato lo studio? La scoperta della struttura a doppia elica del DNA, probabilmente una delle più importanti scoperte scientifiche del XX secolo, ha aperto la strada alla comprensione di vari fenomeni biologici su base molecolare. Questo ha motivato la ricer-


Questo meccanismo accade perché se la divisione cellulare avvenisse con un DNA così lungo, ci sarebbe un elevato rischio di danni o perdita di informazioni genetiche.

canismi di formazione della struttura». Le immagini 3D ricostruite hanno mostrato le strutture interne dei cromosomi. Le regioni ad alta densità di elettroni possono essere intese come spazi locali ben impacchettati con cromatina e proteine correlate. Nello studio i ricercatori hanno utilizzato la luce di sincrotrone, cioè la radiazione elettromagnetica emessa da un pacchetto di elettroni in moto a velocità relativistiche (cioè velocità prossime a quella della luce) che viene deflesso dalla sua traiettoria rettilinea grazie a un campo elettromagnetico esterno. La deviazione dalla traiettoria rettilinea implica un’accelerazione non nulla degli elettroni, i quali emettono così radiazione elettromagnetica. Il processo di produzione di questo tipo di luce avviene in appositi acceleratori circolari chiamati generalmente sincrotroni. In questi anelli, gli elettroni vengono portati alle velocità desiderate utilizzando delle cavità acceleratrici che, dopo una certa porzione dell’orbita circolare, riforniscono gli elettroni dell’energia persa durante il processo di emissione di radiazione di sincrotrone. Anche se tali acceleratori hanno grandi dimensioni e comportano costi elevati, nel mondo ne sono operativi diversi, quasi tutti al solo scopo di produrre radiazione elettromagnetica utilizzata per fini di ricerca scientifica.

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ca sull’intervento umano dei geni per regolare le funzioni cellulari. Nonostante i notevoli risultati, sono emersi vari ostacoli anche a causa della conoscenza incompleta delle strutture tridimensionali su scala nanometrica del cromosoma, compreso lo straordinario meccanismo di compattazione da una molecola di DNA a un cromosoma e il suo disimballaggio senza errori di nuovo nel nucleo. I ricercatori hanno quindi deciso di indagare le strutture ad alta risoluzione dei cromosomi capaci di rivelare, secondo le loro attese, i meccanismi sottostanti l’impacchettamento della cromatina, specialmente in metafase, il secondo stadio della mitosi cellulare. «Eseguendo esperimenti di diffrazione coerente criogenica (cryo-CDI) – spiegano gli autori dello studio - abbiamo ottenuto una distribuzione di densità 3D su scala nanometrica di cromosomi umani isolati in fase mitotica». I campioni sono stati congelati rapidamente in condizioni idratate per preservare al meglio la struttura nativa. L’imaging a raggi X a temperatura criogenica, rispetto alla temperatura ambiente, aiuta ad acquisire una struttura a più alta risoluzione permettendo una dose di raggi X di qualche decina di volte superiore. «Abbiamo eseguito l’analisi geometrica delle strutture 3D – proseguono i ricercatori – attraverso un modello statistico che fornisce intuizioni fisiche e biologiche nei mec-

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NUOVI ANTIBIOTICI CONTRO LA RESISTENZA ANTIMICROBICA Sono stati viluppati tramite editing genetico da un team di scienziati dell’Università di Manchester che ha individuato una nuova via per produrre farmaci complessi sfruttando l’editing genetico

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a resistenza agli antibiotici costituisce una costante minaccia per la salute in tutto il mondo e pertanto impone continue ricerche volte a sviluppare nuovi e migliori prodotti antinfettivi. In questo contesto si inserisce la scoperta di un team di scienziati dell’Università di Manchester, nel Regno Unito, relativa a un nuovo metodo di manipolazione degli enzimi chiave della catena di montaggio nei batteri che potrebbe aprire la strada a una nuova generazione di trattamenti antibiotici. Gli scienziati hanno individuato una nuova via per produrre antibiotici complessi sfruttando l’editing genetico per riprogrammare i percorsi dei futuri farmaci urgentemente necessari per combattere la resistenza antimicrobica, trattare malattie trascurate e prevenire future pandemie. L’idea è quella di utilizzare la tecnica CRISPR-cas9 per alterare alcuni enzimi presenti nei batteri - come l’enzima peptide sintetasi nonribosomiale (NPRS) - per produrre antibiotici clinicamente importanti. Questi enzimi sono coinvolti nella sintesi di molti antibiotici naturali, come la penicillina, ma fino ad ora, non è stato possibile manipolarli per produrre antibiotici più efficaci. Secondo il governo britannico le infezioni da resistenza antimicrobica sono stimate causare 700.000 morti ogni anno a livello globale e si prevede che saliranno a 10 milioni, costando all’economia globale 100 trilioni di dollari, entro il 2050. La resistenza antimicrobica minaccia anche molti degli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite, con 28 milioni di persone in più che potreb-

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bero essere costrette in condizioni di estrema povertà entro il 2050 a meno che il problema non sarà contenuto. Gli autori dello studio che è stato pubblicato su Nature Communications, ritengono che il metodo CRISPR-cas9 potrebbe essere la soluzione per produrre antibiotici migliori e potenzialmente portare allo sviluppo di nuovi trattamenti per combattere gli agenti patogeni resistenti ai farmaci. «L’emergere di patogeni resistenti agli antibiotici è una delle più grandi minacce che affrontiamo oggi», ha detto Jason Micklefield, uno degli autori della ricerca e professore di biologia chimica presso l’Istituto di biotecnologia di Manchester, Regno Unito. «L’approccio di editing genetico che abbiamo sviluppato è un modo molto efficiente e rapido per ingegnerizzare enzimi complessi della catena di montaggio che possono produrre nuove strutture antibiotiche con proprietà potenzialmente migliorate». Alcuni microrganismi che fanno parte del nostro ambiente, come i batteri del suolo, hanno evoluto enzimi peptide sintetasi nonribosomiale (NRPS) che assemblano gli aminoacidi in prodotti peptidici che spesso hanno un’attività antibiotica molto potente. Molti degli antibiotici più importanti dal punto di vista terapeutico, usati oggi in clinica, sono derivati da questi enzimi NRPS (ad esempio penicillina, vancomicina e daptomicina). Sfortunatamente, stanno emergendo patogeni mortali che sono resistenti a tutti questi farmaci antibiotici esistenti. Una soluzione potrebbe essere quella di creare nuovi antibiotici con proprietà migliorate che possano eludere i meccanismi di re-


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sistenza degli agenti patogeni. Tuttavia, gli antibiotici peptidi nonribosomiali sono strutture molto complesse che sono difficili e costose da produrre con i normali metodi chimici. Per risolvere questo problema, il team di Manchester ha deciso di utilizzare l’editing genetico per ingegnerizzare gli enzimi NRPS, scambiando i domini che riconoscono diversi amminoacidi, portando a nuove linee di assemblaggio che possono fornire nuovi prodotti peptidici. La potente tecnica CRISPR-Cas9 (Clustered Regularly Interspaced Short Palindromic Repeats - CRISPR Associated protein 9) utilizzata nello studio consente di modificare con una sorta di “taglia e cuci» le sequenze di Dna di un genoma ed è valsa il Premio Nobel per la Chimica nel 2020 a Emmanuelle Charpentier e Jennifer Doudna, le due biologhe molecolari che l’hanno messa a punto. Le due scienziate derivarono la loro scoperta partendo dalla comprensione di come i batteri si difendono dall’attacco dei virus batteriofagi che si replicano grazie ad essi (uccidendoli). Ogni qual volta un virus assale i batteri, questi ultimi sono in grado di trattenere un piccolo frammento dell’acido nucleico virale così da utilizzarlo come memoria genetica dell’infe-

L’idea è quella di utilizzare la tecnica CRISPR-cas9 per alterare alcuni enzimi presenti nei batteri come l’enzima peptide sintetasi nonribosomiale (NPRS) - per produrre antibiotici clinicamente importanti.

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zione virale subita cosicché in presenza di una nuova infezione riconoscono il virus invasore e attivano un enzima capace di tagliarne e degradarne il genoma. Prendendo spunto da questo processo che avviene in natura, i biologi che utilizzano la tecnica CRISPR-Cas9 sintetizzano in laboratorio piccoli frammenti di Rna per impiegarli come guide così da trascinare l’enzima (Cas9, capace di tagliare) su un bersaglio (target) desiderato di Dna di qualsivoglia vivente, vegetale o animale, e in questo modo modificare a piacimento qualunque sequenza genomica di qualunque organismo. La tecnica è di facile attuazione e poco costosa: poche decine di euro contro le migliaia del costo delle altre in uso da più anni. Micklefield ha aggiunto: «Siamo ora in grado di utilizzare l’editing genetico per introdurre modifiche mirate agli enzimi NRPS complessi, introducendo precursori alternativi di aminoacidi in strutture peptidiche. Siamo ottimisti sul fatto che il nostro nuovo approccio potrebbe portare a nuove metodologie di sviluppo di antibiotici migliorati che sono urgentemente necessari per combattere gli agenti patogeni emergenti resistenti ai farmaci». (S. B.) GdB | Gennaio 2022

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TUMORE AL POLMONE SPERIMENTAZIONE CON ENHERTURE Nei pazienti affetti da carcinoma polmonare non a piccole cellule non resecabile, con mutazione HER2, parte la studio DESTINY-LUNG04

di Domenico Esposito

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a ricerca di una cura contro il tumore al polmone prosegue. Dopo la risposta robusta e duratura ottenuta nello studio DESTINY -LUNG01 da trastuzumab deruxtecan, Daiichi Sankyo e Astrazeneca hanno dato il via alla sperimentazione del farmaco Enhertu nei pazienti affetti da carcinoma polmonare non a piccole cellule (NSCLC) non resecabile, localmente avanzato o metastatico, con mutazione HER2. Con la somministrazione al primo paziente ha avuto così inizio lo studio globale di fase 3 DESTINY-Lung04, trial chiamato a valutare l’efficacia e la sicurezza dell’anticorpo monoclonale coniugato Enhertu (trastuzumab deruxtecan). Quest’ultimo è in sperimentazione per il trattamento di varie tipologie di tumori che esprimono HER2, il gene la cui aumentata espressione è stata associata ad un aumento della tumorigenicità e del potenziale di formare angiogenesi e metastasi da parte delle cellule tumorali. L’amplificazione di HER2 è stata identificata nel 20-30% dei tumori della mammella, nel 22% dei carcinomi gastrici in fase

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avanzata, nei tumori dell’ovaio e in quello colorettale. Attualmente lo standard di cura nel trattamento di prima linea dei pazienti con carcinoma polmonare non a piccole cellule e mutazione HER2 è l’immunoterapia con farmaci anti-PD-1 o PD-L1 con o senza chemioterapia a base di platino. Si tratta di inibitori del checkpoint immunitario, molecole capaci di interferire con un meccanismo che impedisce alle cellule delle nostre difese di attivarsi contro quelle tumorali. A giustificare la grande attenzione che ruota attorno a DESTINY-Lung04 il fatto che questo sia il primo studio di confronto testa a testa nel NSCLC che valuta trastuzumab deruxtecan come trattamento di prima linea mettendolo a confronto con lo standard di cura (chemioterapia con platino-pemetrexed in combinazione con pembrolizumab) in pazienti con carcinoma polmonare non a piccole cellule non-squamoso non resecabile, local-


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mente avanzato o metastatico, caratterizzato da mutazione di HER2 nell’esone 19 o 20. Enhertu è stato indicato nel rapporto Clinical Cancer Advances 2021 come uno dei due progressi significativi nel “ASCO Clinical Advance of the Year: Molecular Profiling Driving Progress in GI Cancers”, basato sui dati di entrambi gli studi DESTINY-CRC01 e DESTINY-Gastric01, nonché come uno dei successi dell’anno per quel che concerne la terapia mirata nel cancro del polmone

non a piccole cellule, sulla base dei risultati provvisori della coorte HER2 mutata all’interno dello studio DESTINY-Lung01. A settembre 2021, ENHERTU ha poi ricevuto la sua quarta Breakthrough Therapy Designation negli Stati Uniti per il trattamento di pazienti adulti con cancro al seno HER2 positivo non resecabile o metastatico che hanno ricevuto uno o più regimi precedenti a base di anti-HER2. Gilles Gallant, vice presidente senior e capo globale della divisione di Sviluppo Oncologico del dipartimento R&D in Oncologia di Daiichi Sankyo, ha spiegato che «i risultati visti nello studio DESTINY-Lung01 hanno mostrato una risposta tumorale robusta e durevole in pazienti precedentemente trattati per carcinoma polmonare metastatico non a piccole cellule con mutazione HER2». Gallant ha proseguito aggiungendo che «stiamo conducendo il trial DESTINY-Lung04 per valutare il potenziale di Enhertu come prima linea di terapia in questa popolazione di pazienti». Nello studio globale di fase 3, chiamato a valutare l’efficacia e la sicurezza di Enhertu (5,4 mg/kg) rispetto allo standard di cura, i pazienti saranno randomizzati 1:1 per ricevere Enhertu o chemioterapia di platino-pemetrexed in combinazione con pembrolizumab. L’obiettivo primario di DESTINY-Lung04 è la sopravvivenza libera da progressione (PFS) valutata da una revisione centrale indipendente in cieco (BICR). Gli obiettivi secondari includono la sopravvivenza globale, la PFS valutata dallo sperimentatore, il tasso e la durata della risposta globale valutati dal BICR e dallo sperimentatore, la farmacocinetica, la tollerabilità riferita dal paziente, l’immunogenicità e la sicurezza. Nello studio saranno coinvolti 264 pazienti provenienti da Europa, Asia e Sud America. Il cancro del polmone rappresenta la principale causa di morte per tumore. A questa patologia si deve circa un quinto di tutti i decessi per cancro a livello globale, con l’80%-85% classificato come carcinoma polmonare non a piccole cellule. Secondo le stime AIRTUM (Associazione italiana registri tumori) nel 2020 sono state effettuate in Italia 40.800 nuove diagnosi di tumore del polmone (27.500 negli uomini e 13.300 nelle donne), pari al 14,1% di tutte le diagnosi di tumore negli uomini e al 7,3% nelle donne. In particolare, nel nostro Paese, questa neoplasia è la prima causa di morte per tumore negli uomini e la seconda nelle donne, con quasi 34.000 morti in un anno. GdB | Gennaio 2022

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Salute

DA GENI E AMBIENTE RISPOSTE AI TUMORI ORMONOSENSIBILI Cinque gruppi di ricerca italiani collaborano al progetto Asteroid che indaga le correlazioni tra lo stile di vita e gli aspetti genetici del cancro al seno e alla tiroide

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n asteroide colpirà il cancro al seno e alla tiroide. No, non è l’ultima previsione di Nostradamus. Ma è il progetto Asteroid, finanziato dal ministero dell’Università e della Ricerca (Mur), nell’ambito del bando Prin 2020, e giunto primo in classifica nel settore ERC LS3, che ha l’obiettivo di analizzare la complessa interazione tra geni e ambiente in questi due tumori. Lo studio, intitolato “Gene/environment interactions in breast and thyroid cancers: defining the biological role of and actioning endocrine disruptors and lifestyle to develop rational therapeutic/preventive interventions (Asteroid)”, vede cinque università italiane impegnate a collaborare, insieme alla Fondazione del policlinico romano Gemelli. Il punto di partenza di Asteroid è rappresentato dai recenti studi che hanno documentato una frequente associazione tra l’insorgenza e l’aggressività dei tumori ormonosensibili, quali il tumore al seno e il tumore alla tiroide, e i contaminanti ambientali. Dunque la ricerca partirà con un’analisi retrospettiva e prospettica in pazienti affette da tali tumori nelle quali saranno messe in evidenza le correlazioni tra gli aspetti genetici di ciascun tumore e lo stile di vita. Inoltre, saranno definiti i meccanismi molecolari di azione degli inquinanti ambientali in modelli preclinici dei diversi tipi di tumore. Sulla base dei risultati ottenuti saranno testati i cambiamenti biologici indotti da un intervento strutturato sullo stile di vita incentrato sulla consulenza nutrizionale e sull’esercizio fisico adattato per le persone affette da questi tumori.

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Lo studio è condotto da un team di ricercatrici e ricercatori di diverse università con competenze complementari ed interdisciplinari. Il coordinatore è Michele Milella, responsabile della sezione di Oncologia Medica del dipartimento di Medicina dell’ateneo di Verona, che metterà a disposizione le sue competenze negli studi clinici e traslazionali nel carcinoma mammario, in collaborazione con la Fondazione policlinico Gemelli. «Il progetto è di estremo interesse sia scientifico che clinico e applicativo e consentirà di definire nuove strategie di intervento oncologico ‘di precisione’ nei tumori della mammella e della tiroide – spiega il professor Milella - La proposta progettuale è frutto di una collaborazione già esistente tra ricercatrici e ricercatori di diversi atenei e trae vantaggio dalla costituzione nell’ateneo veronese di un team di ricerca multidisciplinare afferente ai dipartimenti di Medicina e di Neuroscienze, Biomedicina e Movimento (Team Force: Focus on research and care) dedicato a studiare l’impatto di nutrizione, benessere psicologico ed esercizio fisico nelle patologie oncologiche. Il finanziamento ricevuto dal ministero sosterrà questa importante ricerca, condotta in collaborazione con la breast unit e la Usd di Chirurgia Endocrina dell’Azienda ospedaliera universitaria integrata (Aoui) di Verona, contribuendo a fornire una solida base razionale per azioni di cura e di prevenzione in questi tumori». Gli altri atenei coinvolti sono: l’università di Siena, con Maria Grazia Castagna del dipartimento di Scienze mediche, chirurgiche e neuroscienze che contribuirà allo studio clinico dei carcinomi della tiroide, l’università di Roma Tor Vergata, con Roberto Bei del dipar-


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Interesse nazionale

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Il punto di partenza di Asteroid è rappresentato dai recenti studi che hanno documentato una frequente associazione tra l’insorgenza e l’aggressività dei tumori ormonosensibili, quali il tumore al seno e il tumore alla tiroide, e i contaminanti ambientali.

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timento di Scienze cliniche e medicina traslazionale che svilupperà e caratterizzerà modelli preclinici dei due tumori per l’analisi degli effetti dei contaminanti ambientali e dei loro target molecolari per definire nuove strategie terapeutiche, l’università Roma Foro Italico, con Silvia Migliaccio del dipartimento di Scienze motorie umane e della salute che si occuperà dell’impatto dell’ambiente e degli stili di vita, con particolare riguardo agli aspetti nutrizionali e dell’attività fisica, la Sapienza Università di Roma con Elisabetta Ferretti del dipartimento di Medicina sperimentale (dipartimento beneficiario di altri sei finanziamenti nell’ambito dello stesso bando) che coordinerà l’analisi di nuovi biomarcatori circolanti e la caratterizzazione molecolare e cellulare sia dei modelli preclinici che dei campioni clinici. Il progetto avrà delle importanti ricadute in quanto fornirà diverse innovazioni, collegando l’esposizione a sostanze inquinanti ambientali a biomarcatori, nuovi bersagli molecolari, stili di vita in due patologie ad elevata incidenza (tumore del seno e della tiroide). I risultati dello studio potranno essere utilizzati in diagnostica, applicazioni terapeutiche, preventive ed economico-sanitarie con ricadute sul Servizio sanitario nazionale (Ssn). «Oggi – commenta la professoressa Ferretti - nell’era della medicina di precisione, siamo chiamati a sviluppare trattamenti

l programma di finanziamento dei Progetti di rilevante interesse nazionale (Prin) ha lo scopo di sostenere la ricerca di base delle università e degli enti vigilati dal ministero competente. I progetti per complessità e natura possono richiedere la collaborazione di più unità di ricerca stabilite sul territorio nazionale. Il settore S3 in cui Asteroid è risultato il primo, ricevendo il punteggio massimo di 100, è stato finanziato da oltre 4,8 milioni di euro (https://prin.miur.it/ index.php).

personalizzati nelle patologie oncologiche che vedono al loro interno gruppi eterogenei di pazienti. In questo contesto il mio laboratorio ha studiato l’uso di Rna non codificanti circolanti, in particolare microRna, come biomarcatori non invasivi in diversi tipi di tumori. L’implicazione traslazionale del completamento con successo del progetto risiede nell’identificazione di nuovi bersagli patogenetici, diagnostici, terapeutici ed anche di nuovi biomarcatori, quali ad esempio i microRna, derivati da biopsia liquida che rappresentano uno strumento fondamentale per la stratificazione di pazienti costituendo così la base per un approccio terapeutico personalizzato». (E. G.) GdB | Gennaio 2022

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iete seduti a tavola? Bene, godetevi l’esperienza e procedete lentamente: ne va della vostra salute. Mangiare lentamente è infatti un ottimo metodo per diminuire il rischio di vedere schizzare alle stelle i livelli di colesterolo. A sostenerlo, dati alla mano, è uno studio in corso di pubblicazione sul Journal of Translational Medicine coordinato da Annamaria Colao, presidente della Società Italiana di Endocrinologia. A detta dei ricercatori, ritagliarsi il giusto tempo per

consumare i pasti, impiegando almeno 20 minuti, riduce il rischio di colesterolo alto anche in quei soggetti che presentano dei fattori di rischio, su tutti l’obesità. Masticare pian piano, del resto, aiuta anche a mangiare

MANGIARE VELOCE RADDOPPIA IL RISCHIO DI COLESTEROLO ALTO Lo studio dell’Università Federico II di Napoli: almeno 20 minuti a tavola per prevenire le malattie del metabolismo 28 GdB | Gennaio 2022


meno poiché concede al cervello il tempo necessario a recepire il segnale di sazietà inviato dallo stomaco. Il risultato è quello di riuscire anche a controllare l’introito calorico. La coordinatrice dello studio, Annamaria Colao, professore ordinario al dipartimento di endocrinologia e oncologia molecolare e clinica dell’Università Federico II, ha spiegato come il colesterolo rappresenti «un fattore di rischio

noto per malattie cardiovascolari come infarto e ictus, ma non è il solo elemento metabolico che peggiora con un pasto troppo frettoloso». La ricercatrice ha infatti sottolineato come studi precedenti abbiano mostrato che «mangiare troppo rapidamente si associa a un aumento del consumo di cibo e anche il nostro lavoro lo conferma, aggiungendo che chi pasteggia in pochi minuti consuma più spesso un pasto completo con primo, secondo, contorno e frutta. Inoltre fra i cibi che possono essere mangiati più velocemente ci sono quelli ultra-processati (come alcuni insaccati) che, oltre a essere molto calorici e poco sani, ci rendono anche meno capaci di controllare l’introito calorico». Basta questa premessa per comprendere che ingurgitare cibo alla velocità della luce si associ ad un rischio maggiore non soltanto di colesterolo alto, ma anche di sovrappeso e obesità. Ciò non significa, ovviamente, che per dimagrire e aggiustare le proprie analisi sia sufficiente masticare più lentamente e godere maggiormente della

A condurre lo studio in questione è stata Giovanna Muscogiuri, ricercatrice in endocrinologia, insieme a Luigi Barrea, professore di Scienze e Tecniche Dietetiche Applicate, e al gruppo di ricerca del Centro Italiano per la cura e il benessere dei pazienti con obesità del Dipartimento di Medicina Clinica e Chirurgia – Unità di Endocrinologia dell’Università Federico II di Napoli, diretto da Annamaria Colao. La ricerca ha coinvolto 187 persone con obesità delle quali sono state indagate le abitudini a tavola, inclusa la durata dei pasti. Così facendo sono stati messi a confronto i dati di chi pranza e cena in meno 20 minuti rispetto a quelli di coloro che prolungano oltre questa soglia la propria permanenza a tavola. Dai risultati è emerso in maniera chiara che consumare i pasti con grande velocità produce un rischio raddoppiato di sviluppare il colesterolo alto, in particolare nelle persone che sono ultra-rapide a divorare la cena.

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compagnia dei propri commensali. Ma di certo lo studio condotto dall’ateneo napoletano rappresenta un game-changer nella percezione che il tempo trascorso seduti a tavola non sia un dato superfluo. A tal proposito la presidente della Società Italiana di Endocrinologia ha sottolineato come «l’obesità si sconfigge a tavola, concedendoci il tempo di acquisire la consapevolezza di quello che stiamo mangiando. I nostri tempi - ha spiegato - ci ‘obbligano’ ad una grande frenesia e velocità d’azione che travolgono anche uno dei momenti fondamentali della vita quotidiana, l’alimentazione». Modificare le proprie abitudini, «mangiare in modo diverso, rispettando ritmi più lenti ci aiuterebbe molto a prevenire le malattie del metabolismo: è perciò necessario riappropriarci del tempo e vivere il momento del pasto come una coccola quotidiana». Nozioni, queste, che aiutano a vivere con minore senso di colpa le abbuffate natalizie da cui siamo reduci: «Trascorrere qualche minuto in più a tavola per maturare la consapevolezza del cibo – ha concluso Colao – potrebbe giocare un ruolo chiave nella prevenzione dell’obesità e delle malattie metaboliche ad essa correlate». Si tratta evidentemente di uno studio che promette di rivelarsi cruciale, anche considerando che attualmente nel nostro Paese, come testimoniato dall’ultima edizione del Rapporto sull’obesità in Italia presentato dall’IRCCS Istituto Auxologico Italiano (un volume di oltre 400 pagine con più di 40 autori), oltre un milione di persone - pari al 2,3% della popolazione adulta - soffre di grave obesità, definita da un indice di massa corporea pari o superiore a 35. Numeri che peggiorano ulteriormente se si prende in considerazione la popolazione in sovrappeso: più colpito il sesso maschile (sei uomini su dieci) rispetto a quello femminile (quattro donne su dieco), con un picco di prevalenza tra i 65 e i 74 anni, dove l’eccesso di peso raggiunge il 53% delle donne e circa il 68% degli uomini. Intervenire sulla prevenzione è urgente, a maggior ragione considerando che l’Italia, insieme ad altri Paesi mediterranei quali Cipro, Grecia, Malta e Spagna, si colloca tra le nazioni con i più alti tassi di obesità infantile d’Europa. In particolare, nel Belpaese la prevalenza in è pari al 18%, dato che raggiunge il 19% negli adolescenti. Lo studio condotto dall’Università Federico II di Napoli fornisce una nuova e importante chiave per agire fin dalla giovanissima età. (D. E.). GdB | Gennaio 2022

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di Gian Mario Migliaccio, Federica Pesce e Alberto Bazzu

L’ALLENAMENTO HIIT Quali sono le caratteristiche di uno sport intervallato ad alta intesità 30 GdB | Gennaio 2022


Salute

L’HIIT è definito un protocollo a basso volume, e ciò significa non stabilire più il proprio allenamento in ore o chilometri ma focalizzarsi sull’intensità, per esempio lavorare 10 minuti ad alte intensità, in 15 minuti nella red-zone (sforzo ad alta intensità), oppure arrivare a bruciare 600 kcal.

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er un Biologo Nutrizionista impegnato in programmi per atleti e per persone impegnate in allenamenti amatoriali può essere frequente entrare a contatto con l’allenamento HIIT, vediamo insieme cosa è. L’allenamento intervallato ad alta intensità (high intensity interval training HIIT) alterna periodi di intenso esercizio fisico a periodi di recupero, completo o parziale. Per gli effetti che comporta alle prestazioni e agli adattamenti fisiologici viene spesso confrontato con l’allenamento continuo ad intensità moderata (moderate-intensity continuous training: MICT). L’HIIT è definito un protocollo a basso volume, e ciò significa non stabilire più il proprio allenamento in ore o chilometri ma focalizzarsi sull’intensità, per esempio lavorare 10 minuti ad alte intensità, in 15 minuti nella red-zone (sforzo ad alta intensità), oppure arrivare a bruciare 600 kcal. L’HIIT è un allenamento molto intenso. Serve tanta energia subito disponibile, quindi una grande quantità di glicogeno muscolare, che a sua volta proviene dal glucosio, ovvero dai carboidrati, ovvero dal pasto. L’HIIT è quindi fortemente influenzato dalla nutrizione, per questo motivo il ruolo del biologo nutrizionista assume un aspetto rilevante anche nella performance. La nutrizione è un elemento fondamentale, che deve essere definito considerando il dispendio energetico dell’allenamento, quello del post esercizio, lo stress neuromuscolare e il carico interno. Solo sulla base di queste valutazioni si dovrà quindi programmare una strategia nutrizionale che fornisca il corretto apporto di energia, e che contribuisca al recupero, al sonno e alla supercompensazione. I metabolismi energetici nell’HIIT Il metabolismo, in linea generale, consiste in una serie di reazioni che si verificano all’interno delle cellule di organismi viventi per sostenere la vita. Il processo metabolico coinvolge molte vie cellulari (cataboliche e anaboliche) interconnesse per fornire alle cellule l’energia necessaria per svolgere la loro funzione. I sistemi energetici attivati durante l’allenamento HIIT, chiamati anche metabolismi energetici, sono componenti basilari per la contrazione muscolare e l’utilizzo dei macronutrienti a scopo energetico. Il muscolo affinché possa contrarsi

ha bisogno di energia. (Judge & Dodd, 2020) Anche nell’HIIT sono implicati i sistemi energetici di base: • Aerobico. Tipico di una prestazione sportiva di resistenza e ricava ATP a partire da grassi e carboidrati tramite il ciclo di Krebs. • Anaerobico alattacido. Tipico degli sport di potenza e produce ATP a partire dalla fosfocreatina utilizzando anche l’ATP già presente nei muscoli. • Anaerobico lattacido . Usato in quelle attività di durata media e ricava ATP trasformando il glucosio in acido piruvico e acido lattico. Con l’HIIT il metabolismo anaerobico può essere particolarmente attivato, a differenza di quello aerobico più sollecitato in attività di bassa intensità e lunga percorrenza con moto costante. Il ruolo della nutrizione nei metabolismi energetici L’allenamento HIIT è genericamente applicato da allenatori con atleti agonisti. Tuttavia, è frequente vedere atleti amatori che si cimentano in autonomia con “tabelle” di HIIT. Per un Biologo Nutrizionista è importante conoscere se l’allenamento del suo cliente è HIIT poiché il dispendio calorico, il substrato energetico e l’idratazione possono assumere diverse connotazioni se messi a confronto con un secondo atleta dedito ad effettuare allenamenti più “tradizionali”, ovvero a bassa intensità, continui e prolungati. In successivi articoli indagheremo le caratteristiche più importanti dei metabolismi energetici impegnati nell’HIIT, evidenziando già ora che la contribuzione dei carboidrati è particolarmente rilevante in tutti gli allenamenti intervallati ad alta intensità.

Gli autori Gian Mario Migliaccio è Dottore di ricerca e Biologo. Opera a livello nazionale e internazionale con atleti di livello olimpico nella bioenergetica della performance. E’ un divulgatore scientifico con oltre 200 mila followers. Federica Pesce è Biologa. Opera a Latina come nutrizionista con un approccio evidence-based verso le tipologie di popolazione sane ed in terapia medica. Alberto Bazzu è Biologo e Chinesiologo. Opera a Sassari soprattutto con atleti agonisti ed amatori. Ha seguito squadre olimpiche internazionali fino alle Olimpiadi di RIO 2016.

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ALOPECIA PERMANENTE POST CHEMIOTERAPIA L’alopecia chemioterapica permanente, o pCIA, potrebbe dipendere dall’esaurimento delle cellule staminali (HFSC) del follicolo pilifero (HF) di Biancamaria Mancini

I Bibliografia • Biancamaria Mancini “Perdita dei capelli in oncologia. Il ruolo dei cosmetici biologici.” Giornale dei Biologi 2020 anno III n.4 pag.48-49. • Piccini I et al.: “PPARγ signaling protects hair follicle stem cells from chemotherapy-induced apoptosis and epithelial-mesenchymal transition.” Br J Dermatol. 2021 Sep 8.

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n seguito a molti trattamenti chemioterapici si assiste alla caduta totale dei capelli, conosciuta come alopecia da chemioterapia (CIA). I capelli cadono perché i farmaci antineoplastici provocano la distruzione di tutte le cellule in veloce replicazione, tra queste ci sono le cellule tumorali ma anche molte cellule sane in veloce mitosi come quelle di peli e dei capelli. Tutto ciò avviene perché, durante la fase di Anagen, i cheratinociti della matrice epiteliale del bulbo follicolare sono in rapida proliferazione durante la crescita del capello, di conseguenza sono proprio queste cellule che vanno incontro ad apoptosi indotta dal farmaco citotossico. La gravità della perdita dei capelli e la tempistica in cui questo avviene, dipendono da molte variabili, tra cui il chemioterapico utilizzato, la sua emivita, la dose, la frequenza di somministrazione e se questo viene somministrato da solo o con altri chemioterapici. Alla sospensione dei farmaci, i capelli ricrescono perché le cellule staminali del bulge (silenti) vengono risparmiate dagli effetti della chemioterapia, presumibilmente proprio perché hanno una bassissima frequenza di replicazione. Le cellule del bulge rimaste vitali quindi, migrano verso la papilla dermica e qui ricominceranno le molteplici divisioni mitotiche riattivando il ciclo vitale di peli e capelli dopo la sospensione del chemiotera-

pico. La CIA in alcuni casi però non mostra reversibilità, i capelli non ricrescono più totalmente o in parte, e si parla di alopecia permanente indotta da chemioterapia (pCIA). Sebbene i meccanismi patogenetici alla base della pCIA non siano ancora chiari, è probabile che sia proprio l’esaurimento delle cellule staminali (HFSC) del follicolo pilifero (HF) alla base del danno


permanente. Nonostante le persone che si sottopongono a chemioterapia stanno portando avanti dure lotte contro patologie neoplastiche che mettono a rischio la loro stessa vita, l’evento della perdita dei capelli è spesso vissuto come uno dei momenti di maggiore scoraggiamento psicologico ed è per questo che è importante continuare a parlarne e a studiare il fenomeno. La perdita della propria identità estetica, anche temporanea, rende palese la malattia agli oc-

Nonostante le persone che si sottopongono a chemioterapia stanno portando avanti dure lotte contro patologie neoplastiche che mettono a rischio la loro stessa vita, l’evento della perdita dei capelli è spesso vissuto come uno dei momenti di maggiore scoraggiamento psicologico ed è per questo che è importante continuare a parlarne e a studiare il fenomeno.

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chi altrui e anche ai propri ogni volta che ci si guarda allo specchio, si osserva nel concreto come la malattia stia portando via parti di se stessi anche se a livello estetico. L’evento poi della pCIA è ancora più grave, ed è vissuto ancora peggio a livello psicologico per la irreversibilità del danno. La cute affetta da pCIA subisce un vero processo di cicatrizzazione dei tessuti in quanto si ipotizza che si attui una transizione epitelio-mesenchimale patologica (EMT), ovvero un processo cellulare durante il quale le cellule tumorali epiteliali perdono la loro organizzazione polarizzata e le normali giunzioni cellula-cellula. Mentre per la CIA si stanno studiando dei metodi per limitarne la manifestazione, attualmente rimangono molto limitati gli interventi preventivi per la pCIA. Uno studio condotto dal gruppo dei dottori Piccini e Bertolini e pubblicato da poco sul Britisch Journal of Dermatology, si è voluta indagare meglio l’ipotesi che nella pCIA, le HFSC subiscano una EMT oltre all’apoptosi, spiegando così il fenotipo cicatriziale. Inoltre, nello studio è stato testato se un modulatore della famiglia PPAR gamma (recettori attivati da proliferatori perossisomiali) potesse essere la chiave di svolta per prevenire i meccanismi associati all’innesco patologico di pCIA. Nello studio, la coltura di HF del cuoio capelluto umano è stata esposta ai chemioterapici ciclofosfamide e 4-idroperossiciclofosfamide (4-HC) dopo però essere stata trattata con il modulatore PPAR gamma N-Acetyl-GED0507-34-Levo (NAGED) capace di proteggere le HFSC dall’EMT e di promuovere l’espressione della cheratina associata alle cellule staminali. I risultati di tale studio mostrano chiaramente che il pre-trattamento delle HFSC con NAGED ha protetto dalla citotossicità e dalla distrofia del bulbo pilifero indotta da 4-HC e ha arrestato l’apoptosi, l’up-regolazione di p53 e l’EMT nel bulge, prevenendo così in modo significativo l’esaurimento delle HFSC ex vivo. Le conclusioni di tale studio incoraggiano a introdurre la stimolazione della segnalazione PPAR gamma in modo preventivo, come una nuova strategia di intervento per impedire la pCIA e apre la strada ad ulteriori approfondimenti nella comprensione della patogenesi delle alopecie cicatriziali da post chemioterapia. GdB | Gennaio 2022

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ATTIVITÀ ANTIOSSIDANTI DELLA ROSA FERMENTATA Le proprietà mediche di un alimento che nutre il corpo e mantiene la pelle liscia Un patrimonio bioculturale nelle comunità di Dali Bai situate nel nord-ovest dello Yunnan, in Cina di Carla Cimmino

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Lo studio spiega che un aumento del contenuto di fenoli e flavonoidi totale prodotto dall’aumento del tempo di fermentazione, migliora il tasso di scavenging dei radicali liberi DPPH e l’attività di inibizione della tirosinasi dell’FSR. Secondo Vinokur et al., l’attività di scavenging dei radicali nei petali di rosa è dovuta all’alto contenuto di composti fenolici, in particolare di acido gallico libero. Anche l’acido protocatechuico , l’acido siringico, l’antocianina, l’acido 4-idrossibenzoico, l’acido clorogenico e l’idrato di catechina sono fenoli predominanti nei petali di rosa.

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a fermentazione migliora l’attività antiossidante e l’attività inibitoria della tirosinasi dei fenoli e dei flavonoidi. Nei processi di fermentazione tradizionali le fonti microbiche sono interne alle piante o derivano dalle superfici esterne e dall’ambiente circostante (es. Brassica oleracea L., Oryza sativa L. e Glycine max (Linn.) La rosa fermentata (TFR) è un alimento con proprietà mediche che nutre il corpo e mantiene la pelle liscia, è un patrimonio bioculturale nelle comunità di Dali Bai situate nel nord-ovest dello Yunnan, in Cina, dove esistono 15 specie di Rosa:10 utilizzate per la medicina, 7 per il cibo e 2 per le fragranze ( es.l’olio essenziale della rosa damascena). Esaminando l’attività di scavenging dei radicali liberi della FSR dopo diversi periodi di fermentazione. A bassa concentrazione (cioè 0,025 mg/ml, 0,05 mg/ml e 0,1 mg/ml), campioni FSR-3, FSR-7, FSR-14, FSR-21 e FSR- 30 hanno mostrato migliori attività di scavenging libere da DPPH rispetto a FSR-0. Ad una concentrazione di 0,05 mg/ml, questa differenza è apparsa significativa (P < 0,05). FSR-21 ha avuto la più alta attività di scavenging DPPH, raggiungendo il 44,60%. Con l’aumento della concentrazione di FSR, è aumentata anche l’attività di inibizione della tirosinasi, aumentata con l’aumentare del tempo di fermentazione. Una maggiore durata della fermentazione ha aumentato il contenuto fenolico totale di FSR. Tuttavia, nessuna delle differenze tra gli intervalli di fermentazione, FSR-7, FSR-14, FSR-21 e FSR-30 hanno mostrato una differenza significativa nel contenuto totale di flavonoidi (P < 0,01) rispetto a FSR-0. I valori per il contenuto totale di flavonoidi di FSR-7, FSR-21 e FSR-30 sono apparsi significativamente diversi da quelli al punto temporale precedente (P < 0,05). Si è dedotto, che la durata della fermentazione gioca un ruolo importante nell’aumento del contenuto totale di flavonoidi nella FSR. I risultati hanno rivelato che un aumento del contenuto di fenoli e flavonoidi totale prodotto dall’aumento del tempo di fermentazione, migliora il tasso di scavenging dei radicali liberi DPPH e l’attività di inibizione della tirosinasi dell’FSR. Secondo Vinokur et al., l’attività di scavenging dei radicali nei petali di rosa è dovuta all’alto contenuto di composti fenolici, in particolare di acido gal-

lico libero. Anche l’acido protocatechuico , l’acido siringico, l’antocianina, l’acido 4-idrossibenzoico, l’acido clorogenico e l’idrato di catechina sono fenoli predominanti nei petali di rosa. I flavonoidi possiedono un estere galloile nell’anello C, importante per la chelazione degli ioni metallici, la formazione di complessi con ioni metallici e l’inibizione dell’ossidazione lipidica iniziata dal metallo. La concentrazione di flavonoidi in Rosa deriva dalla presenza di una grande quantità di naringenina, con quercitrina, esperidina , quercextina , luteolina, apigenina e kaempferolo, che insieme ai principali composti flavonoidi efficaci nei petali di rosa; contribuiscono alle capacità antiossidanti della rosa. I flavonoidi rallentano anche le attività della tirosinasi interagendo con gli ioni rame essenziali per il sito attivo della tirosinasi. La tirosinasi, un enzima chiave nella pigmentazione della pelle, catalizza l’idrossilazione dei monofenoli in o-difenoli e l’ossidazione degli o-difenoli in o-chinoni, che genera melanina. Un’eccessiva tirosinasi può causare lentiggini, melasma, cancro della pelle e macchie dell’età. Pertanto, i flavonoidi sono considerati inibitori naturali della tirosinasi. Gli antiossidanti svolgono un ruolo nella prevenzione del cancro e molti tipi di ricerca sono stati condotti su queste sostanze. I bulbi di Apium nodiflorum, Humulus lupulus, Silene vulgaris, Nasturtium officinale e Leopoldia comosa hanno tutti forti capacità antiossidanti. Questo studio ha mostrato che nei villaggi di Dali Bai nel nord-ovest dello Yunnan, in Cina, i petali di Rosa “Dianhong” sono comunemente impiegati nei pasti tradizionali di queste comunità, come salsa classica e i loro componenti fenolici e flavonoidi sono stati collegati a benefici per la salute; la fermentazione modifica la composizione chimica degli alimenti, aumentandone potenzialmente l’attività biologica. L’obiettivo di questo studio è stato quello di determinare i principali ceppi microbici e le relative bioattività del TFR, nonché chiarire le risorse vegetali e i metodi di lavorazione convenzionali impiegati nel TFR. Questa ricerca contribuisce alla conservazione bioculturale, e fornisce informazioni critiche per il futuro sviluppo di farmaci a base di TFR e potenziali nutraceutici. Estratto da “Antioxidant and tyrosinase inhibitory activities of traditional fermented Rosa from Dali Bai communities, Northwest Yunnan, China”, di Bayi Lang, Yanqiang Zhao, Rong Yang, Aizhong Liu, Sailesh Ranjitkar & Lixin Yang. GdB | Gennaio 2022

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n Italia si osserva una continua evoluzione della pandemia del virus SARSCoV-2, che si riflette spesso in un maggiore carico sui servizi sanitari e sugli ingressi dei pazienti nelle terapie intensive e nei reparti ordinari degli ospedali. Il rischio, come è già successo in passato, è che la rapidità di diffusione del Covid-19 renda sempre più difficile la gestione e l’assistenza della gran parte dei contagiati. In un recente studio pubblicato su Infectious Diseases, l’incremento dell’incidenza dei casi a cui abbiamo assistito nelle scorse settimane può essere spiegato, parzialmente, con la presenza di soggetti asintomatici non vaccinati, i quali contribuiscono fortemente alla diffusione del virus. Oltre alla presenza dei non vaccinati, altri fattori, virologici e non, contribuiscono all’aumentata trasmissibilità del virus, come ad esempio l’insorgenza di mutazioni in nuove varianti virali, come la Omicron (Lignaggio B1.1.529 o la recentissima Omicron 2, e la diminuita applicazione degli Interventi Non Farmacologici (INF) (es. uso della mascherina, social-distancing). Come reagisce a tutto ciò il Sistema Sanitario Nazionale (SSN)? Nei circa due anni di pandemia, il SSN ha gestito l’emergenza Covid-19 con sistemi applicativi clinici/diagnostici e strategie di tracciamento disponibili al momento. Tuttavia, molte di queste non erano sufficienti e ancora non lo sono. Infatti, ad oggi, ci sono ancora carenze nel SSN che riguardano il personale sanitario a tempo indeterminato, tra cui i biologi, lo scarso impiego di fondi per la ricerca, l’inesistente sistema di monitoraggio delle malattie nosocomiali e, dulcis in fundo, l’assenza di una Antimicrobial Stewardship, ossia di un Sistema di cooperazione tra la Medicina di Laboratorio e i vari Reparti. Possiamo dire, quindi, che la pandemia ha scoperchiato il Vaso di Pandora della Sanità, mostrando problemi già


Salute

IL RUOLO DEI BIOLOGI NEL SISTEMA SANITARIO NAZIONALE Una figura professionale utile allo starting-point per affrontare le emergenze sanitarie

preesistenti e aggiungendone degli altri. Come si possono risolvere questi problemi? In tal senso, come menzionato nell’art. 833 del 1978, occorre sviluppare un programma sanitario che sia in grado di anteporre la tutela della salute dei cittadini compatibilmente alle risorse disponibili. Occorre, quindi, migliorare tale programma iniziando ad implementare delle strategie e dei sistemi applicativi a basso impatto economico, come menzionato anche all’ultimo congresso europeo della microbiologia clinica e delle malattie infettive (ECCMID 2021). Uno degli starting-point a basso impatto economico per la sanità è l’ottimizzazione dei sistemi sanitari già in uso: per ottimizzare l’uso di un sistema automatizzato, l’interpretazione dei parametri biologici, l’anamnesi del paziente, la gestione del paziente, la diagnosi della patologia e la cura, occorre creare un percorso di Empowerment sul Training del Personale sanitario (ETP). Questo è possibile attraverso alti percorsi di specialità del personale sanitario, inclusi i biologi, per una conoscenza a 360° in tema sanitario, spaziando dalla clinica di base alla diagnostica di laboratorio avanzata, costruendo un programma utile per Monitorare, Ricoverare, Diagnosticare e Curare (Sistema MRDC) i casi più complessi; ossia quei casi con fasi di comorbidità importanti, non solo Covid-19 relate, ma anche tumori, epatiti virali e non, HIV, malattie sessualmente trasmissibili e molte altre complessità che mettono a dura prova tutti gli operatori sanitari.

Oltre alla presenza di individui non vaccinati, altri fattori, virologici e non, contribuiscono all’aumentata trasmissibilità del virus, come ad esempio l’insorgenza di mutazioni in nuove varianti virali, come la Omicron (Lignaggio B1.1.529), e la diminuita applicazione degli Interventi Non Farmacologici (INF) (es. uso della mascherina, social-distancing).

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di Francescopaolo Antonucci*

Di recente è stato specificato nel ddL n. 2372 “Modifiche al decreto legislativo 17 agosto 1999, n.368, e altre disposizioni in materia di formazione medica”, presentato dalla Senatrice Paola Boldrini, che occorre creare dei percorsi formativi per i giovani medici specializzandi e aumentare future assunzioni per tali medici, così da contribuire ad un progetto riformatore. Nonostante l’iniziativa presentata dalla senatrice, è fondamentale ottimizzare tale disegno, per 2 motivi: il primo è che la formazione di alta settorialità con tutoraggi mirati non deve riguardare solo gli specializzandi, ma anche i dipendenti sanitari pubblici e privati; la seconda è che non deve essere rivolta solo ai medici, ma anche ai biologi, e non solo. Programmi procedurali della diagnostica avanzata di laboratorio ai tempi della Covid-19, procedure applicative delle misure anticontagio negli ambienti sanitari per la minimizzazione delle infezioni nosocomiali, percorsi di ottimizzazione dei laboratori e delle analisi di laboratorio, sono solo alcuni delle armi che noi biologi dobbiamo applicare in tal senso. Gli operatori sanitari, dal Biologo al Medico, sono i pilastri su cui si fonda la risposta del SSN a tale pandemia e non solo; è quindi fondamentale investire quanto più possibile e potenziare le abilità di noi HEROES (HEalth caRe wOrkErS). *

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Salute

LA MEDICINA NELLA ROMA IMPERIALE Come sono nate e si sono sviluppate discipline come la chirurgia e l’odontoiatria

di Barbara Ciardullo

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a medicina pervenne a Roma quando la Grecia, sconfitta con le armi, divenne provincia romana. Roma a quei tempi non aveva una grande considerazione per la professione di medico, giudicata sconveniente perché impregnata di retoricità e priva di reali conoscenze; secondo quanto scrivevano storici studiosi di allora, questa professione doveva essere esercitata solo da chi proveniva da paesi dove la scienza medica era in fase avanzata. Dopo la conquista romana, dalla Grecia divenuta oramai poverissima per le guerre sostenute, molti medici preferirono emigrare verso Roma e talora offrirsi come schiavi per poter esercitare la propria arte. E molti di costoro, grazie ai loro impegni della professione di medico, raggiunsero la fama e per questo motivo, riacquistata la libertà, divennero liberti. Addirittura Roma i rappresentanti più famosi della scienza medica, liberti e non, aderirono alla setta metodica, i cui maggiori esponenti furono Asclepiade e Temisone, che influenzarono molto la cultura medica romana. Nel I secolo d.C. un trattatista, Dioscure Pedauro, pubblicò un testo dal titolo “De materia medica”, che rimase sino al primo ‘800 la base della farmacologia, ma anche importante è la figura di Sorano di Efeso (I –II sec. d.C.) un medico ellenista, che pubblicò un trattato di ginecologia. Il primo studioso latino di scienza medica è Aulo Cornelio Celso (14 a.C. -37 d.C.), che con il “De medicina” originò un’enciclopedia medica, dove discusse su argomenti di chirurgia e di me-

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dicina di base, rivelando però di essere un erudito ma non profondo conoscitore “de visu” degli argomenti esaminati. Attraverso queste notizie tramandate possiamo fare le nostre considerazioni sullo sviluppo della chirurgia e, soprattutto, dell’odontoiatria. Sorsero tanti ospedali, costruiti secondo rigide norme igieniche, quali lo smaltimento dei rifiuti, il sistema idrico, la libera circolazione dell’aria e di essi permangono ancora oggi edifici funzionanti o in disuso. Ma il medico più importante dell’età imperiale, che lasciò tracce nella cultura scientifica occidentale è stato Galeno (129 d.C.- 200 d.C.), che era venuto a Roma dalla città di Pergamo. Apparteneva ad una famiglia di ricca borghesia, fece tirocinio medico ad Alessandria e arrivò a Roma per fare il medico dei gladiatori. Conosceva bene l’anatomia, soprattutto per avere fatto esperienza facendo la dissezione degli animali (maiali e scimmie). Attraverso questa fase esperienziale Galeno comprese l’importanza fondamentale degli organi e del loro ruolo; inoltre, ricorrendo alle sue approfondite conoscenze sulle piante mediche medicinali creò farmaci di grande utilità onde contribuire alla pronta guarigione dell’ammalato. Per questo suo talento personale divenne medico personale dell’imperatore Marco Aurelio e dopo un ritorno temporaneo a Pergamo non si allontanerà più da Roma, dove avrà la funzione di medico di corte fino alla sua morte. La trattatistica prodotta da Galeno riguarda soprattutto argomenti medici, come anatomia, patologia e diagno-


Salute

Dal Rinascimento alla rivoluzione della scienza e della medicina

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stica e in essa troviamo commenti utili per la letteratura medico-scientifica. Insieme all’argomento medico, vi sono trattati di interesse filosofico, come “De placitis Hippocratis et Platonis”, tra le opere più famose ricordiamo “Sulle scuole”, un’introduzione allo studio della medicina per i principianti e “L’arte medica”, un compendio del sapere medico, che è stato utilizzato per molti secoli. Il metodo medico-scientifico di Galeno rappresenta una sintesi di tutta la tradizione medica precedente e un processo di fusione tra le tante tradizioni culturali. La base da cui Galeno parte è quella ippocratea, ma il suo merito è stato quello di aver accolto anche i contributi provenienti dalle tante scuole di pensiero nate in età ellenistica e di avere tenuto presenti le piccole dottrine filosofiche (platonismo, aristotelismo, stoicismo). A tutto, poi, aggiunge la sua esperienza medica acquisita attraverso una pratica professionale di tanti anni. Con Galeno il medico non è più visto solo come un operatore tecnico, ma un intellettuale dotato di conoscenze multiformi. La fortuna di Galeno fu immensa in Oriente e in Occidente e nei paesi arabi per tutto il Medioevo, ma soprattutto la sua fama prosperò in Oriente dopo il trasferimento del potere politico da Roma a Bisanzio.

Sorsero tanti ospedali, costruiti secondo rigide norme igieniche, quali lo smaltimento dei rifiuti, il sistema idrico, la libera circolazione dell’aria e di essi permangono ancora oggi edifici funzionanti o in disuso. Ma il medico più importante dell’età imperiale, che lasciò tracce nella cultura scientifica occidentale è stato Galeno (129 d.C.- 200 d.C.), che era venuto a Roma dalla città di Pergamo. Apparteneva ad una famiglia di ricca borghesia, fece tirocinio medico ad Alessandria e arrivò a Roma per fare il medico dei gladiatori.

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li studiosi di storia della scienza sono di parere conforme sull’importanza del fenomeno solo recentemente definito “rivoluzione scientifica”, che ha come interesse il cambiamento del modo di concepire la natura e, soprattutto, dell’agire dell’uomo su di essa. Cosa avevano lasciato in eredità Umanesimo e Rinascimento nel campo delle scienze? Prima di tutto la polemica contro i modelli culturali del Medioevo, considerati troppo nebulosi, contro l’aristotelismo portato all’estrema negatività e contro la sistemazione strumentale delle arti. Rivoluzione scientifica, infatti, significa profondo cambiamento per cui, pur partendo dalla conoscenza del passato greco, considerato come esemplare nei contenuti di tutte le categorie culturali, si tendeva alla conquista di un nuovo “habitus” scientifico, che doveva mostrare l’idea della superiorità dei moderni sugli antichi: lo scienziato a metà del ‘600 era considerato un tipo nuovo di intellettuale dotato di una buona cultura tecnico-scientifica, capace di raggiungere risultati esaltanti. Un contributo fondamentale alla nuova scienza e alla crisi del modello aristotelico è venuto dalla medicina, che era impegnata ad approfondire le ricerche anatomiche, così come attestava lo studioso belga Andrea Vesalio nella sua opera “Humani corporis fabrica” del 1543. Per la critica di quel tempo quest’opera rappresentava un momento rivoluzionario e lo si poteva intravvedere anche in alcune iconografie di quel tempo a noi pervenute. Infatti, nei dipinti che descrivevano le lezioni di anatomia la figura centrale non era più il maestro che leggeva Aristotele, ma era il cadavere che subiva la dissezione dallo studioso in anatomia. Dietro questo cambiamento di modelli c’era anche una diversa presa di coscienza della categoria dei chirurghi rispetto ai medici tradizionali. Liberandosi dalla tradizione di un mestiere del tutto empirico, criticata spesso da uomini privi di cultura scientifica e medica e forse solo abili manualmente, la chirurgia desiderava ardentemente porsi come disciplina universitaria e, quindi, formativa, che rimaneva l’antico strumento per rimuovere la stessa medicina tradizionale. Sullo stesso parere concordano i farmacisti, che erano costretti a ricorrere in modo energico alle nuove nozioni di chimica per la produzione di rimedi onde andare incontro a coloro che lamentavano dolori temporanei, denotando, quindi, che erano animati da tensioni culturali innovative.

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Salute

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LA MEDICINA NEL MONDO ARABO DEL PRIMO MILLENNIO Grandi medici arabi furono Rhazes, Avicenna e il siriano Ibu-Al-Nafis, il quale raggiunse la notorietà descrivendo per la prima volta la circolazione polmonare

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impero romano conobbe una fase irreversibile di declino quando, a causa di una forte depressione economica, delle continue lotte intestine tra partiti e militari, della perdita di autorità del Senato, della pressione dei barbari e dei Mori ai confini e del tentativo del mondo arabo di affacciarsi in Europa, dovette subire dalla classe dirigente governante e dall’esercito la suddivisione in Impero romano d’Oriente e di Occidente con il trasferimento inglorioso del potere politico da Roma a Bisanzio. Dopo questo trasferimento la cultura medica ma anche l’attaccamento ai principi dell’igiene e della difesa delle Terme suscitarono un momento di grande entusiasmo: tanti sono i medici i quali raggiunsero la fama, tra cui Paolo di Egina, che aderì alla corrente realistico-metodica e alle tesi di Galeno. Egli fu l’artefice della fondazione di molti ospedali, costruiti secondo il mo40 GdB | Gennaio 2022

dello romano, ed anche della comparsa per la prima volta della medicina sociale che interessava, soprattutto, le categorie fragili e povere. Intanto, sul piano religioso ci fu uno scontro abbastanza forte tra i vescovi Cirillo e Nestorio, che disputavano con grande ardore sulla necessità di rimanere fedeli o non alle normative emanate dalla Chiesa di Roma e al primato di quest’ultima. Da questa disputa uscì sconfitto Nestorio, il quale per le sue idee di indipendenza fu espulso dalla Chiesa di Bisanzio o Costantinopoli e si rifugiò nel Medio Oriente, precisamente nella zona dell’Iraq ed in Egitto. Nestorio, sebbene fosse un profugo, era un profondo conoscitore di scienza medica; pose le basi perché venisse a svilupparsi il concetto di medicina, similare a quello presente nell’antica Roma. Grazie alla sua tenacia e alla sua spinta ideologica, Nestorio si adoperò molto perché fossero costruiti ospedali a Baghdad ed in altre città dell’Iraq ma anche al Cairo, con

un’architettura uguale a quelli degli ospedali situati a Roma. Durante questa epoca araba non si dava importanza all’anatomia, perché la religione praticata prevedeva che non bisognasse intervenire in alcun modo sul corpo umano onde evitare che uscisse il sangue, in quanto con questo sarebbe uscita pure l’anima. Perciò la medicina araba vietava la possibilità di fare dissezioni nelle 24 ore successive alla morte per il timore che l’anima andasse perduta. Per ovviare a tale trattamento gli scienziati arabi inventarono il termocauterio, ancora oggi in uso, che è simile ad un bisturi elettrico, per bloccare i vasi sanguigni durante l’operazione chirurgica. Agli arabi va il merito di avere tramandato scritti in lingua greca antica, soprattutto quelli che si rifacevano a Nestorio, traducendoli nella loro lingua ma lasciando anche la versione greca a fronte. Grandi medici arabi furono Rhazes (804-925), Avicenna (980-1037); verso la metà del 1200 ci fu un medico siriano Ibu-Al-Nafis (1213-1288), il quale raggiunse la notorietà, descrivendo per la prima volta la circolazione polmonare: non sappiamo, però, se questa scoperta di cui abbiamo avuto notizie solo nel 1924, abbia influenzato la cultura medica occidentale. La civiltà araba si diffuse in Europa con l’invasione della Spagna da parte dei Mori. Cordoba fu un grosso centro di riferimento arabo di medicina e tra i medici di quel periodo grande fama ebbe Averroè (11261198), che allo stesso modo di Avicenna commentò la parte scientifica e medica di Aristotele. Con la disfatta, in seguito, dei Mori e dei Califfati islamici, l’impero arabo crollò ma i risultati delle esperienze scientifiche e mediche portati avanti dagli studiosi della Spagna musulmana rimasero in Europa, perché alcuni scienziati arabi si rifugiarono in Francia a Montpellier, in Italia a Salerno, dove addirittura si sviluppò la scuola Salernitana, che procedette nel suo percorso didattico allo studio di una moltitudine di manoscritti greci e arabi, contenenti suggerimenti mirati per vivere bene (come ad esempio il ricorso alla metodologia dietetica ed alla sobrietà nel bere vino ed alle insalate), lontani da ogni problematica di natura gastro-uro-intestinale e mentale. (B. C.).


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COSA SUCCEDERÀ DOPO DEL VULCANO DI TONGA Dalle popolazioni del Pacifico agli ecosistemi marini, scenari incerti per il futuro di Giacomo Talignani

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n possibile dramma dopo il dramma. La potentissima eruzione vulcanica del vulcano sottomarino Hunga Tonga-Hunga Ha’apai, avvenuta a circa settanta chilometri dalla capitale di Tonga, avrà futuri impatti nel Pacifico ancora complessi da calcolare. Finora sappiamo quanto è stata pesante, questa eruzione che è stimata essere la più potente degli ultimi 30 anni, sulla popolazione: lo tsunami generato dall’esplosione, con onde di oltre dieci metri che hanno impattato sulle coste, ha portato morte e distruzione. La cenere vulcanica ha ricoperto diverse delle circa 170 isole che compongono l’arcipelago di Tonga e se alcune, come Mango Island, sono state completamente spazzate via e tutte le case sono state distrutte, per altre è ancora in corso la lunga lista dei danni. I problemi principali per la popolazione, dopo che avverrà il ripristino di tutte le linee di comunicazione, saranno dettati dalla contaminazione dell’acqua da parte delle ceneri, ma anche dai possibili effetti legati alla anidride solforosa rilasciata nell’esplosione e ai danni che onde e cenere possono aver portato all’aria, l’acqua potabile, le strutture, i campi e le coltivazioni e i preziosi ecosistemi marini simbolo di grande biodiversità. La si potrebbe definire “un’onda lunga” del conto che Tonga, in

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ginocchio dopo l’eruzione del 15 gennaio, sarà costretta a pagare. Fra gli scienziati che stanno analizzando le possibili ripercussioni dell’eruzione c’è Shane Cronin, professore di Scienze della Terra dell’Università di Auckland. Esaminando i depositi geologici delle precedenti eruzioni del vulcano stima che le popolazioni locali potrebbero «essere coinvolte per diverse settimane o addirittura anni dai grandi disordini vulcanici dell’area». Secondo Jim Salinger, scienziato che si occupa degli impatti delle eruzioni climatiche, la nuova esplosione potrebbe anche avere effetti sul clima: quando un vulcano erutta, rilascia enormi quantità di anidride solforosa (SO2) nell’aria che fa rimbalzare parte della ra-


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L’ERUZIONE

diazione solare e per questo, fra alcuni mesi, si potrebbe verificare un raffreddamento di circa 0.5 gradi a livello locale. A preoccupare sono poi le possibili piogge acide, dato che anidride solforosa e ossido di azoto interagendo con acqua e ossigeno possono contribuire a questo fenomeno. «È probabile che ci saranno piogge acide intorno a Tonga per un po’» ha ricordato Cronin. Le piogge avrebbero un impatto negativo sulle colture dei tongani

Se per fortuna da tutto il mondo - in primis Nuova Zelanda e Australia stanno arrivando aiuti umanitari, acqua potabile e un sostegno per la popolazione dell’arcipelago, dall’altra però è ancora poco chiaro quali ripercussioni l’esplosione potrebbe avere sugli ecosistemi. © Ryan Janssens /shutterstock.com

- dal mais sino alle banane - che oggi appaiono già compromesse a causa della cenere vulcanica. C’è la possibilità che avvenga una moria di pesci: l’acqua torbida e piena di cenere priverà infatti diverse specie di cibo contribuendo alla perdita anche delle uova. Inoltre, ricordano i biologi, la cenere caduta rischia di soffocare le barriere coralline, simbolo sia degli ecosistemi marini di Tonga sia del turismo dato che, in quest’isola oggi ancora Covid-free, prima della pandemia le barriere e la bellezza del mare attiravano turisti per 5 milioni di dollari l’anno. Le barriere coralline di quest’area del Pacifico oltretutto, tra sbiancamento dei coralli e fenomeni meteo sempre più intensi collegati alla crisi climatica e l’innalzamento delle temperature del mare, già prima non se la passavano benissimo. «Vaste aree delle barriere coralline nell’area di impatto di Hunga Tonga sono probabilmente sepolte e soffocate da grandi depositi di cenere vulcanica» ha ricordato Tom Schils, biologo marino dell’Università di Guam. Collegato ai possibili danni alle barriere c’è poi anche il problema dell’innalzamento delle acque: senza difese e senza praterie di piante o alghe marine l’erosione costiera già alimentata da un livello del mare sempre più alto tenderebbe a peggiorare e, come sostiene Cronin, «le difese costiere e le terre bonificate potrebbero essere fortemente influenzate dalle onde dello tsunami, lasciando le isole più vulnerabili». Se a livello generale il primo ministro di Tonga ha parlato di «disastro senza precedenti», per tutte gli ipotetici scenari di impatto ambientale ed economico da parte dell’eruzione è comunque ancora presto per avere certezze. Quello che sarà necessario, ricordano anche gli scienziati, sarà studiare e monitorare a fondo la situazione nel Pacifico per poter permettere la ripresa della vita nel tempo laddove è stata influenzata dall’esplosione. Del resto, dopo l’eruzione del Monte Pinatubo nel 1991 che provocò 1450 morti, non ci sono più stati fenomeni di tale portata nel mondo. Quello avvenuto alle Tonga è un evento di tale portata da essere stato avvertito in tutto il globo, dall’Alaska sino al Perù, dove ci sono state due vittime per le ripercussioni legate alle onde generate dall’esplosione. Le onde acustiche si sono registrate persino a 18mila chilometri di distanza, sull’Etna e, come ricordano infine i ricercatori della Nasa, l’eruzione ha avuto una «forza esplosiva che è stata 500 volte più potente della bomba atomica sganciata su Hiroshima alla fine della Seconda Guerra Mondiale». GdB | Gennaio 2022

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UN TESORO A PORTATA

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ro, argento, rame e poi anche terre rare come neodimio, praseodimio, cerio, lantanio, samario, terbio, disprosio. In ogni smartphone è racchiusa una piccola, ma preziosa “miniera” che non possiamo dimenticare in cassetti, armadi e cantine. Il progetto “Portent”, co-finanziato dalla Regione Lazio con circa 140 mila euro attraverso il Fondo Europeo di Sviluppo Regionale e coordinato dal laboratorio Enea “Tecnologie per il Riuso, il Riciclo, il Recupero e la valorizzazione di Rifiuti e Materiali” ci aiuterà a fare passi in avanti. L’idea è di portare avanti un nuovo processo per il recupero di materiali e metalli dall’elevato valore presenti nei telefoni cellulari a fine vita promuovendo l’economia circolare. «È in crescita - spiega Danilo Fontana, ricercatore Enea e responsabile del progetto “Portent” - la quantità di rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche, soprattutto a causa di tempi di obsolescenza tecnica sempre più ridotti. Questo fenomeno potrebbe generare seri problemi di gestione legati alla presenza di metalli e sostanze nocive che rappresentano un rischio reale per la salute dell’uomo e dell’ambiente». Se il 2020 ha portato, tra le buone notizie, la crescita nella raccolta degli apparecchi con schermi, i dati ancora parziali del 2021 per i Raee, rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche, (https://www.cdcraee.it/) ci mostrano un ulteriore balzo in avanti passando da 62.272 a 68.134.031 tonnellate. C’è chi, invece, s’ingegna facendo diventare il vecchio smartphone una cornice digitale, una telecamera di sorveglianza, un telecomando per la tv, un navigatore gps o un centro multimediale per l’auto etc. Tutto, insomma, per donare una seconda vita a vecchi amici che ci hanno fatto piangere, ridere, emozionare e che ancora possono esserci d’aiuto: «La tendenza dell’imprenditoria italiana che si occupa di riciclo è quella di fermarsi alle fasi di trattamento e di riciclo più semplici,

I risultati della ricerca saranno affidati poi al mondo imprenditoriale sia per l’innovazione tecnologica dei processi industriali sia per sviluppare competenze professionali qualificate e pronte a rispondere alle sfide del futuro: «L’obiettivo - conclude Fontana - è quello di contribuire alla crescita dell’economica locale e nazionale e alla riduzione dell’impatto ambientale di questa tipologia di rifiuti che, grazie al recupero dei materiali in essi contenuti, diventeranno fonte di materie prime seconde per nuovi prodotti tecnologici». © antos777 /shutterstock.com

Dai nostri vecchi cellulari una miniera di materie prime

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ma meno remunerative, come la triturazione e la separazione di plastiche e di metalli, lasciando agli operatori esteri - sottolinea Fontana - il vantaggio di recuperare la parte “nobile” del rifiuto, in particolare le schede elettroniche ricche di metalli come oro, argento, palladio e rame. Partendo dalle nostre competenze in questo settore, in sinergia con la Sapienza Università di Roma, vogliamo sviluppare un processo innovativo per il recupero di materiali da telefoni cellulari dismessi per il completamento della filiera, che adesso si ferma al commercio verso l’estero degli stock dei materiali separati». Secondo le elaborazioni dei ricercatori Enea, una tonnellata di schede elettroniche da telefoni non più utilizzabili possiede, in media, 276 g di oro, 345 di argento, 132 kg di rame; se si tiene conto, inoltre, di altri componenti, come magneti e antenne integrate per esempio, occorre aggiungere più righe all’elenco con le già citate terre rare, che possono raggiungere 2,7 kg per tonnellata. «Grazie alle tecnologie attuali - prosegue Fontana - è possibile riciclare oltre il 96% di questi dispositivi elettronici, recuperando quantità significative di metalli preziosi con gradi di purezza elevati. I Raee rappresentano una fonte di materie prime che potrebbe affrancare il nostro Paese e l’Europa dalle importazioni provenienti da Cina, Africa e Sud America. Questo permetterebbe di evitare il depauperamento delle risorse naturali e l’approvvigionamento di alcune di queste materie prime critiche presenti prevalentemente in Paesi politicamente instabili». Il lavoro, dunque, non manca presso il Centro ricerche Casaccia, a Nord di Roma, dove c’è Romeo (Recovery Of MEtals by hydrOmetallurgy) il primo impianto pilota in Italia per il recupero di materiali preziosi da vecchi computer e cellulari attraverso un processo a “temperatura ambiente” e senza pretrattamento delle schede elettroniche con ridotte emissioni, modularità degli impianti e flessibilità d’impiego. Tutte conquiste che possono essere agevolmente replicabili a livello industriale, senza pesare troppo sull’Ambiente: «l’idrometallurgia - aggiunge Fontana - è una tecnica particolarmente indicata nella separazione e nella purificazione selettiva degli elementi a elevato valore aggiunto anche in matrici con basse concentrazioni di metalli. Mentre la pirometallurgia, per essere sostenibile, deve lavorare enormi quantità di materiale spesso non disponibili in un solo ambito nazionale, ma da reperire in aree geografiche molto distanti dagli impianti stessi». (G. P.). GdB | Gennaio 2022

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ale massimo dieci anni a partire dalla data del suo rilascio e dev’essere aggiornato a ogni intervento di ristrutturazione che modifichi la classe energetica dell’immobile. Parliamo dell’Ape, l’Attestato di prestazione energetica, un documento che indica la classe di energia per un immobile e anche gli interventi migliorativi più appropriati. Guardando l’istantanea del 2020, scattata dal Rapporto annuale sulla Certificazione Energetica degli Edifici realizzato da Enea e Comitato Termotecnico Italiano (CTI), sono diminuiti, nel residenziale, gli Ape con le classi intermedie e più basse (-1,2% rispetto al 2019), mentre aumentano quelli che riguardano le più elevate. Nel non residenziale, viceversa, si conferma l’incremento nelle classi meno efficienti (+3,5%), già registrato lo scorso anno, pur se il settore ha una quota

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maggiore di certificati nelle classi energetiche migliori e intermedie (circa il 55% contro il 40% del residenziale). Nelle costruzioni prima del 1991 si conferma la presenza di prestazioni inferiori (60-70%), con pochi casi nelle classi energetiche migliori (A4 - B all’incirca il 3-4%). La tendenza al miglioramento dell’efficienza, dovuta alla crescente applicazione di normative più rigorose, è visibile nei dati degli Ape emessi durante il 2020. Gli edifici di recente costruzione (2016 - 2020) hanno miglioramenti considerevoli rispetto ai dati riportati nel Rapporto 2020, con un aumento, sempre tra A4 a B, del 4%, arrivando quasi all’80% del campione analizzato. «I risultati del Rapporto 2021 dimostrano che rafforzando la collaborazione con Regioni e Province Autonome è possibile intraprendere nuovi percorsi per aumentare l’efficacia e le potenzialità degli Ape. I progressi nella raccolta e nell’elaborazione dei dati - commenta il Presidente di Enea Gilberto Dialuce - favoriscono il potenziamento del “Siape”, il Sistema Informativo sugli Attestati di Prestazione Energetica, che, gradualmente, potrà rappresentare la principale fonte di dati sulle caratteristiche energetiche degli immobili sul territorio nazionale. I ri-


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MIGLIORANO LE PRESTAZIONI ENERGETICHE NELLE CASE I risultati dimostrano che rafforzando la collaborazione tra Regioni e Province Autonome è possibile intraprendere nuovi percorsi per aumentare l’efficacia e le potenzialità degli APE

sultati ottenuti sono molto interessanti in un contesto nel quale l’aggiornamento della metodologia per la classificazione degli edifici e l’armonizzazione a livello europeo sono di grande attualità». Due anni fa Enea ha lanciato il portale “Siape” consentendo a cittadini, professionisti, imprese e amministrazioni pubbliche di esaminare gli attestati presenti nel sistema nazionale e capire a che punto sia la riqualificazione energetica del nostro parco edilizio. Con il collegamento di Emilia-Romagna e Molise nel corso dell’anno 2020 è salito il numero delle Regioni che contribuiscono a fornire informazioni. Altre tre, Valle d’Aosta, Marche e Sicilia, hanno iniziato il trasferimento dei dati nel corso del 2021. Soffermandosi sulla distribuzione per classe e zona climatica, si nota lo stesso andamento già rilevato nel quadriennio 2016 - 2019, con una crescita della percentuale sia delle classi energetiche migliori (A4 - B) sia di quelle peggiori (F - G), all’aumentare dei gradi giorno invernali. La zona climatica E (Aosta, Torino, Milano, Bologna l’Aquila) rimane ancora un’eccezione poiché,

Dei circa 950 mila Ape analizzati, tre quarti interessano abitazioni costruite prima del 1991 e quasi il 6% quelle più “giovani” (2016 - 2020); circa l’85% degli attestati è legato a passaggi di proprietà e locazioni, poco più del 3% a nuove costruzioni, quasi il 4% alle riqualificazioni energetiche e meno del 2,5% alle ristrutturazioni importanti. Nella proprietà pubblica (circa 5.000 Ape) abbiamo prestazioni simili in media a quelle del campione totale nel settore residenziale e più efficienti in quello non residenziale (18% dei casi nelle classi energetiche A4 - B). © Kishivan /shutterstock.com

oltre ad avere molti dati a disposizione, possiede la percentuale più cospicua di stabili con prestazioni energetiche migliori (oltre il 10% da A4 a B) e la minore, dopo la zona climatica B (Agrigento, Reggio Calabria, Messina, Trapani), di appartamenti con modeste prestazioni energetiche (54% F e G). È ovvio, però, che il dato sia parziale, perché molte costruzioni in tutta Italia non hanno mai avuto una certificazione energetica. Per quanto riguarda i controlli, la maggioranza di coloro che hanno risposto al questionario sulla percezione della certificazione energetica a livello locale e nazionale, somministrato a Regioni e Province autonome, è favorevole alla definizione di una procedura unica nazionale. Ci sarebbe, difatti, una maggiore uniformità di trattamento dei certificatori energetici, come pure nelle modalità di verifica, consentendo un paragone dei risultati su tutta l’Italia. «Questa edizione del Rapporto - conclude il Presidente del CTI, Cesare Boffa - evidenzia come siano migliorati i dati di riferimento, potenziata l’analisi degli stessi per fornire informazioni sempre più calate sull’interesse del mercato, consolidato il rapporto con Regioni e Province Autonome e come si è diffusa la consapevolezza tra gli operatori circa la disponibilità di uno strumento che sarà sempre più importante per il settore immobiliare. Stiamo parlando di un vero e proprio manuale che spiega come leggere in modo aggregato le informazioni raccolte nel “Siape”. Un lavoro importante che potrà migliorare grazie al nostro impegno e alla collaborazione di tutti gli attori coinvolti». (G. P.). GdB | Gennaio 2022

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ome creare pasti sani, nutrienti, semplici da preparare e che, allo stesso tempo, resistano in condizioni diverse da quelle terrestri? Il cibo degli astronauti è il chiodo fisso di alcuni ingegneri che lavorano agli Space Food System Laboratories della Nasa, l’ente spaziale americano. Alcuni nostri italiani in orbita Luca Parmitano, Paolo Nespoli, Samantha Cristoforetti avevano a disposizione anche piatti della cucina mediterranea, precotti e disidratati, ovviamente, ma in futuro l’Italia potrebbe contare ancora di più nell’ambito alimentare. Enea, Agenzia Spaziale Italiana (ASI) e l’azienda G&A Engineering, con un finanziamento della Regione Lazio nell’ambito del bando “LAerospaZIO” (sovvenzione 360.626 euro - spesa 540.186,91), vogliono provare a sparigliare i piatti in orbita. Come? Sviluppando sistemi d’illuminazione led ad alta tecnologia da impiegare all’interno di alcuni “orti spaziali”. Vedremo la nascita di micro-ortaggi capaci di rinforzare la dieta degli astronauti con sostanze dal notevole potere nutriz i o -

© Sergey Nivens /shutterstock.com

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nale. Il progetto ha un nome che la dice lunga: Sole (“Sistema Ottico di illuminamento LED e controllo iperspettrale per la coltivazione di piante finalizzato ad applicazioni spaziali”), che si propone la realizzazione di un dimostratore per la coltivazione fuori suolo di piante, basato su illuminazione artificiale a stato solido. L’aspetto innovativo pone le proprie fondamenta sulla ricerca e il perfezionamento delle più vantaggiose “ricette di luce”, ossia le combinazioni di led a diverse lunghezze d’onda più efficienti nell’invogliare la pianta a produrre sostanze bioattive dentro un sistema automatizzato e sorvegliato. L’obiettivo è far in modo che l’uomo possa intervenire il meno possibile, schivando accidentali contaminazioni da manipolazione e permettendo di rilevare i vari stadi nella crescita delle piante, anche da remoto. Il sistema permetterà di determinare accuratamente le risorse essenziali per produrre le opportune quantità di cibo fresco. Potrà essere utilizzato per studi sulla reazione delle piante alla crescita e all’evoluzione in condizioni di lanci sperimentali su piattaforme come mini e micro satelliti o sulla Stazione Spaziale Internazionale. Oltre a precisare i parametri d’illuminazione per una produzione ideale sotto l’aspetto quantitativo e qualitativo, il Laboratorio Biotecnologie del Centro Ricerche Enea Casaccia si occuperà della risposta alle condizioni ambientali artificiali e della selezione per le specie vegetali, guardando al fabbisogno nutrizionale e alla capacità di adattamento con le condizioni idroponiche. Chi volesse mettere un piede nel futuro potrà guardare le “camere lunari” all’indirizzo https://www. youtube.com/watch?v=r73eeS4YpB4 o ammirare dal vivo quanto esposto nella mostra “La Scienza di Roma. Passato, presente, futuro di una città”, aperta sino al 27 febbraio 2022 presso il Palazzo delle Esposizioni della Capitale. Si tratta di tre elementi: la riproduzione di Greencube, il micro-orto per comprendere il comportamento delle piante nella media orbita terrestre e del mi-

Quando gli astronauti mangiano aggiungono ai piatti acqua calda o fredda per riportarli allo stato normale. L’assenza di gravità incide sul senso dell’olfatto e su gran parte del gusto: tutti i cibi devono essere conditi con salse adatte ad esaltarne i sapori. Il confezionamento sulla Terra è particolarmente accurato per resistere nello spazio. Ogni cosa è sotto vuoto, poiché una minima quantità di ossigeno all’interno della confezione danneggerebbe per sempre il contenuto rendendolo immangiabile. La disidratazione degli alimenti e la loro sterilizzazione a freddo li priva di molte tra vitamine e proteine. I cosmonauti devono, quindi, integrare la dieta con varie pastiglie che garantiscono loro l’apporto regolare di tutti i nutritivi. © Alexander Raths /shutterstock.com

nisatellite che lo contiene; un simulacro di serra idroponica, che rappresenta la coltivazione di piccole verdure fuori suolo con un attento uso di acqua e nutrienti insieme al mantenimento di condizioni di temperatura e luminosità ottimali; un video sulle tecnologie e soluzioni innovative utili alla vita dell’uomo nello spazio, per lunghe missioni su Luna e Marte. L’Asi determinerà i requisiti per la progettazione dell’impianto dimostratore, facendo in modo che possano avere una migliore visibilità e un rinnovato interesse nei prossimi programmi di esplorazione umana dello Spazio. G&A Engineering metterà le sue risorse umane nell’ambito ingegneristico e nello sviluppo dell’impianto legato alla coltivazione in ambiente controllato. «L’esplorazione dello Spazio oltre la bassa orbita terrestre dipende dalla possibilità di produrre e riciclare risorse primarie in loco, - sottolinea Luca Nardi, responsabile per Enea del progetto Sole - svincolandosi il più possibile dai rifornimenti da Terra; questa esigenza è particolarmente rilevante quando si parla di cibo fresco, necessario al benessere psico-fisico degli astronauti. Da qui l’importanza di poter coltivare le specie vegetali nelle missioni». Oltre agli obiettivi collegati allo spazio, gli esiti programmati dal progetto saranno influenti anche per chi resta sulla Terra. È, difatti, sempre più indilazionabile l’opportunità di scoprire e suggerire alternative alle tecniche di coltivazione tradizionali: «I risultati previsti dal progetto saranno di sicuro interesse anche per successive applicazioni terrestri, - conclude Angiola Desiderio, ricercatrice Enea del Laboratorio Biotecnologie - infatti è sempre più pressante la necessità d’individuare alternative alle tecniche di coltivazione tradizionali, che possano spostare le produzioni vegetali anche in ambienti estremi, come ad esempio le aree urbane, ma anche zone aride, contaminate o climaticamente avverse, al fine di supportare le crescenti richieste di alimenti freschi e qualitativamente garantiti». (G. P.).

CIBO FRESCO E SPAZIALE Un progetto per arricchire la dieta degli astronauti

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PARCO BIO.TEC.NOLOGICO Sviluppo sostenibile, innovazione e salute nel territorio di Falerna (Catanzaro) di Giovanni Misasi* e Teresa Pandolfi**

Presidente ASBSF e supporto al Project coordinator URBACT (LP). ** Biologa CTS Asbsf e group local URBACT (ULG). *, ** Comitato tecnico-scientifico della Associazione Scientifica Biologi Senza Frontiere (ASBSF), Cosenza. *

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Associazione Scientifica Biologi senza Frontiere (ASBSF) ha raggiunto un altro importante traguardo quale parte attiva con l’incarico di supporto al Project Coordinator nel progetto europeo URBACT Healthy Cities per la città di Falerna (CZ). Ormai da due anni stiamo lavorando sulla fattibilità, con grande soddisfazione e ottimi risultati, per rendere Falerna, Borgo del Benessere, una “Città Sana” a livello europeo. Il piano strategico consiste nella costituzione di un Parco BioTecnologico che farà capo a tutte le iniziative di salute e di sviluppo urbanistico della città. Il progetto “Borghi del Benessere” dell’Associazione Scientifica Biologi senza Frontiere rientra appieno nella progettualità URBACT Healthy Cities, in quanto mira a ripristinare l’i-

dentità del borgo calabrese, poi italiano e infine europeo recuperandone la storia, le tradizioni, la cultura, la produzione, i paesaggi, le bellezze architettoniche e urbane e, ovviamente, la biodiversità, sempre nel rispetto della natura, delle persone e dell’ambiente. La necessità della rinascita del “borgo” parte dalla condivisione del concetto di sviluppo ecosostenibile, dalla consapevolezza del grande patrimonio della nostra civiltà, dall’apprezzamento dei valori intrinseci delle diverse culture del nostro territorio e dalla condivisione del concetto di rispetto e di umanità. restituendo alle persone una vita ‘a misura d’uomo’ con la possibilità di andare, a piedi o in bicicletta, in luoghi con meno rumore, meno aria inquinata, dove siano tra loro ben collegate le zone residenziali, le scuole, i luoghi verdi e le piazze,


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dove si possano coltivare relazioni sociali e aumentare la convivialità e il rispetto reciproco. Il “borgo del Benessere” si configura come un modello di applicazione della nuova eco ed equo sostenibilità, nel rispetto della cultura fondata su un’idea di città, di spazi, mobilità e di servizi, attuabile attraverso l’attenzione ai bisogni umani ricordando che le risorse storiche e naturalistiche, devono essere valutate secondo un approccio multidimensionale con una visione di progetti ad alto contenuto d’innovazione. Attraverso l’Healthy Cities Lifestyle Deep Dive e l’Associazione Scientifica Biologi senza Frontiere, Falerna, come Borgo del Benessere e Healthy City svilupperà interventi urbani efficaci e mirati localmente per la salute dei cittadini e si impegnerà a consentire i compor-

tamenti e gli stili di vita per fsvorire una popolazione sana. Il ruolo del Parco BioTecnologico La mission del Parco BioTecnologico consiste nel promuovere e sviluppare ricerche nel campo delle Scienze della Vita, con particolare attenzione alla salute umana, al disagio sociale e alla attività fisica. Fungerà anche da anello di congiunzione tra il mondo delle imprese e la ricerca universitaria, favorendo la nascita e la crescita di imprese innovative (start-up e spinoff). La mission si basa sull’idea che le tecnologie legate alle Scienze della Vita siano strategiche per lo sviluppo socio-economico locale e internazionale. Caratterizzato da ricerca e sviluppo, trasferimento tecnologico, educazione ambientale e formazione sulle biotecnoloGdB | Gennaio 2022

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dini tra i cittadini. Per gli over 65 l’obiettivo è quello di favorire alimentazione sana e attività fisica, mentre negli under 65 l’attenzione è rivolta alla prevenzione delle malattie croniche non trasmissibili, come il diabete, e alla riduzione dell’obesità. Promuovere la salute nella pianificazione urbana per il bene comune Nel contesto urbanistico è necessario riconoscere e tutelare il bene comune della città, proteggendo l’ambiente nella città e nel territorio, dando priorità al bene comune per il giovamento individuale e per le generazioni future. Si punta pertanto ad una nuova consapevolezza, a una nuova responsabilità, a una nuova cultura urbana: un nuovo modo di progettare il territorio in difesa del bene comune. In primo luogo, ciò significa preservare il patrimonio storico e culturale attraverso una conoscenza sistematica dei fenomeni urbani e territoriali. In secondo luogo, garantire la giustizia distributiva dei diritti applicata nei confronti dei proprietari dei suoli chiamati ad usi urbani e la formazione di un patrimonio pubblico di aree al servizio della collettività. In terzo luogo, valutare le conseguenze e prevenire gli interventi sul territorio attraverso l’applicazione di tecniche di valutazione multicritero e l’applicazione di Valutazioni Ambientali Strategiche (VAS e VIS) nel processo di pianificazione. Da qui la necessità di elaborare un’idea del contemporaneo, di come vogliamo costruire (e difendere) le nostre città del futuro e proteggere i paesaggi e di come una nuova cultura del design - urbanisticamente parlando - possa diventare la strada e il motore di questa visione.

gie, il parco biotecnolgico collegherà la ricerca al business innovativo, comprenderà anche laboratori e offrirà spazi e servizi per attività finalizzate alla salute, al benessere e alla tutela ambientale, agricola e agroalimentare. Con la salute e le scienze della vita inestricabilmente legate, il Parco BioTecnologico svolgerà un ruolo centrale nei piani per consentire stili di vita sani promuovendo corrette abitu52 GdB | Gennaio 2022

Stili di vita attivi, cittadini sani L’obiettivo è migliorare la salute dei cittadini attraverso l’accesso allo sport e una migliore integrazione sociale. La città si impegnerà pertanto a rendere le infrastrutture e i servizi della città più adatti a questo scopo. Ciò significa migliorare le aree di accesso tra i centri urbani e alle aree verdi urbane e agli impianti sportivi, saranno rinnovati anche gli impianti sportivi esistenti per renderli più attraenti e incoraggiarne l’uso regolare, anche le aree pedonali saranno ristrutturate nel rispetto del contesto naturale al fine di preservare la vegetazione esistente. L’obiettivo principale, infatti, è quello di migliorare la possibilità di andare a piedi o in bicicletta,


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offrendo diversi modi di “vivere” la città e, per renderlo concreto, verrà creata una rete di spostamento rivolta ai bambini e agli anziani. La rete avrà meno rumore, aria più pulita e collegherà scuole, luoghi verdi e percorsi pedonali e ciclabili esistenti, inoltre, saranno messe a disposizione biciclette condivise. Spazi verdi e migliore accesso per la salute Per sviluppare questa strategia si sfrutterà la posizione strategica del Parco, situato a pochi passi dal centro del paese, immerso nel verde e vicino al mare. Gli spazi verdi che circondano il Parco saranno ristrutturati per creare luoghi dove rilassarsi e collegheranno il Parco al resto della città. Il Parco BioTecnologico è dotato, inoltre, di un punto di ristoro immerso nel verde, dove le persone potranno fermarsi liberamente per respirare aria pulita e coltivare sane relazioni sociali, il prato circostante sarà rinnovato per creare uno spazio dove si potrà camminare a piedi nudi, al fine di alleviare lo stress. I luoghi verdi saranno legati a varie attività, diverse modalità di utilizzo e diversi tipi di siti, dai terreni agricoli ai paesaggi urbani e naturali, includeranno la fornitura di aree verdi attrezzate e aree picnic, nonché di sistemi di videosorveglianza per la sicurezza della comunità. In linea d’aria, il Parco BioTecnologico è vicino al mare, ma non essendo attualmente raggiungibile a piedi, si creerà una strada che sarà percorribile a piedi o in bicicletta, sarà inoltre ristrutturato, sempre nel rispetto del contesto naturale, il percorso pedonale per raggiungere il parco e la nostra idea è di sfruttare anche il potere terapeutico e curativo degli alberi già presenti in tale area. Il contatto con la natura abbassa i livelli di ansia e stress, aiuta la respirazione e favorisce il rilassamento: le persone potranno abbracciare gli alberi per immergersi nella “Forest therapy”, l’abbraccio verde che rilassa sia il corpo che la mente. Salute da una prospettiva integrata Il nostro obiettivo è di guardare oltre gli indicatori esclusivamente economici del benessere come espressione della salute delle persone, il benessere è sempre più misurato dall’esistenza di un ambiente sano, dal movimento corretto, da una vita sana (con una quantità adeguata di sonno, luce solare e idratazione) e attraverso aspetti di salute mentale come l’ottimismo e

gli affetti. Concentrandosi su interventi urbani che migliorino lo stile di vita dei cittadini, si intende salvaguardare il bene comune degli spazi naturali, piacevoli, anche per le generazioni a venire. Siamo ormai nella fase finale dello studio di fattibilità e l’auspicio di ASBSF è che presto Falerna diventerà un modello di “Borgo del Benessere” e “Città sana” a livello italiano ed europeo. GdB | Gennaio 2022

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© felipe caparros/shutterstock.com

I CANI MOLECOLARI CONTRO LA XYLELLA FASTIDIOSA È nata la prima “task force cinofila anti Xylella” composta da cani specializzati nell’individuazione precoce del batterio

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stata presentata a dicembre, presso la masseria San Martino a Fasano in provincia di Brindisi, la squadra speciale a quattro zampe costituita da cani addestrati nell’individuazione precoce del batterio della Xylella attraverso l’olfatto. Il progetto vede coinvolti l’Ente nazionale della cinofilia italiana (Enci), l’Istituto per la protezione sostenibile delle piante del Cnr-Ipsp, Unaprol e Coldiretti. Considerati i danni enormi provocati dal batterio, che ha già sterminato migliaia di ulivi in Pu54 GdB | Gennaio 2022

glia e sta avanzando pericolosamente anche in altre regioni, la velocità nell’individuare i focolai rappresenta un fattore strategico determinante per eliminare subito i nuovi centri di diffusione della malattia. Infatti, la capacità di identificare precocemente piante infette da Xylella fastidiosa è una delle condizioni essenziali sia per prevenire l’arrivo del batterio in territori ancora indenni, che per contrastarne con estrema efficacia l’avanzata laddove già presente. In questo contesto, il progetto denominato “Addestramento ed impiego di unità

cinofile nel rilevamento precoce della Xylella fastidiosa” è un percorso sperimentale finalizzato allo studio delle capacità dei cani nel rilevamento e nella discriminazione della Xylella fastidiosa. Le attività di addestramento, iniziate a giugno 2021con 8 unità cinofile già esperte nel rinvenimento e nella segnalazione odori target, confermano l’enorme potenzialità dei recettori olfattivi dei cani, da sempre impiegati con successo nell’individuazione di droghe, esplosivi e organismi patogeni. La fase iniziale di addestramento è stata effettuata nel Salento, testando la capacità delle unità cinofile di riconoscere la Xylella sia in piastre artificiali di coltura che in piante di olivo infette. I protocolli di addestramento selettivo, che prevedono per ciascun grado di avanzamento delle prove il raggiungimento di un livello di accuratezza pari al 100%, hanno dimostrato che gli XDD, ovvero, Xylella Detection Dogs, sono in grado di identificare il patogeno individuando “l’odore specifico” rispetto all’insieme degli odori emessi dai campioni utilizzati. Ora, la sperimentazione prosegue su due direttrici parallele. La prima, riguarda il passaggio dalle prove sperimentali e dalle esercitazioni svolte in condizioni controllate a quelle effettuate in ambiente reale, dove le capacità dei cani saranno affinate nel medesimo contesto operativo nel quale le unità XDD saranno chiamate ad intervenire. La seconda, concerne l’identificazione e la caratterizzazione dei componenti volatili organici rilevati dall’olfatto dei cani. Squadre di cani in grado di identificare piante infette da Xylella ancor prima della comparsa di sintomi riconoscibili, potranno essere di enorme utilità nei controlli all’interno dei vivai e dei punti di entrata delle importazioni di piante dall’estero (porti, aeroporti, punti di confine) e sarebbero inoltre un valido supporto alle campagne di monitoraggio territoriale dei servizi fitosanitari. (P. S.).


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a precisione con cui misurare la frazione di origine fossile e la quota biologica di carbonio nei materiali, dalle plastiche ai biocarburanti, o in oggetti più complessi come abiti e accessori, ha rappresentato una delle chiavi per limitare l’utilizzo del petrolio e degli altri combustibili fossili e provare così a mitigare il cambiamento climatico. Proprio la rivelazione ultrasensibile del radiocarbonio-14C nei materiali permette un tracciamento della loro origine biologica o fossile. Queste misurazioni, che finora necessitavano di strumentazioni molto grandi ed onerose, come gli acceleratori per spettrometria di massa, ora si possono effettuare attraverso sensori laser trasportabili e con sensibilità di misura impensabili sino a qualche tempo fa. Recentemente, lo spin-off del Consiglio nazionale delle ricerche ppqSense Srl ha consegnato il primo strumento completo commerciale per procedere ad analisi di questo genere al RISE, l’Istituto di metrologia svedese di Goteborg. Saverio Bartalini, presidente della società fondata nel 2016 e primo ricercatore dell’Istituto nazionale di ottica del Cnr, ha spiegato: «Utilizzando un bagaglio di molti anni di risultati scientifici, brevetti e sviluppo tecnologico, nato all’interno del Cnr e poi trasferito nello spin-off, abbiamo creato un sensore unico al mondo per prestazioni nella misurazione della rarissima anidride carbonica con radiocarbonio-14C. Lo strumento, divenuto commerciale e completamente trasportabile, apre scenari inediti per il controllo delle emissioni da fossili e per il mercato delle quote di anidride carbonica nel mondo. È necessario creare consapevolezza nei ricercatori riguardo all’opportunità e all’esigenza di trasferire i risultati delle ricerche più importanti per dare slancio all’innovazione, dando così maggiori pro-

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UN SENSORE LASER CONTRO I CAMBIAMENTI CLIMATICI Un nuovo strumento per la rivelazione ultrasensibile del radiocarbonio nei materiali

di Pasquale Santilio spettive ai giovani e creando valore per il Paese». Il Cnr uscirà a breve dalla partecipazione allo spin-off, come previsto dal regolamento, ma con risultati di valorizzazione di grande rilevanza per il Paese. A tal proposito, Cristina Battaglia, responsabile dell’Unità valorizzazione della ricerca, ha precisato che «Con ppqSense si conferma il ruolo del Cnr nel sostenere la creazione ed il consolidamento di imprese innovative, che valorizzano i risultati dei team di ricerca e sono capaci di generare valore e ricadute sociali positive in un settore strategico e ad alto impatto per lo sviluppo

sostenibile». Paolo De Natale, cofondatore dello spin-off e dirigente di ricerca di Cnr-Ino, ha concluso: «È una grande soddisfazione dare un contributo concreto e significativo ad un settore così importante per il futuro come quello delle tecnologie per l’ambiente e la transizione ecologica. In una fase in cui l’Italia beneficerà di ingenti risorse per il rilancio della Ricerca e dell’Innovazione, attraverso il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza sarà possibile non solo fare ricerca di eccellenza, ma anche sviluppare nuove tecnologie per affrontare le grandi sfide globali». GdB | Gennaio 2022

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OSSA, LA MOLECOLA CHE REGOLA LA RIGENERAZIONE Le Università di Torino e del Piemonte Orientale portano avanti gli studi per l’applicazione di ICOS-Fc capace di inibire gli osteoclasti di Elisabetta Gramolini

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n progetto di eccellenza, con potenziali ricadute per migliaia di pazienti nella cura dell’osteoporosi e nell’immunoterapia contro i tumori solidi, ha come focus ICOS-Fc, cioè il primo trattamento biologico in grado di regolare tutti i meccanismi che stanno alla base dell’erosione e della rigenerazione delle ossa. Il lavoro, dal titolo “Role of the ICOS/ICOSL system in Fragility Sindrome” (ICOS-Fc), è partito già da alcuni anni e vede la collaborazione fra l’Università di Torino e un team dell’Università del Piemonte Orientale del Dipartimento di Scienze della Salute di Novara, composto dai professori Umberto Dianzani (responsabile scientifico del progetto), Emanuele Albano, Flavia Prodam e Annalisa Chiochetti. «ICOS-Fc – ha spiegato il professor Dianzani – è una molecola biotecnologica biocompatibile che inibisce l’attività degli osteoclasti, che sono cellule coinvolte nel continuo rimaneggiamento fisiologico del tessuto osseo. Questa azione può essere sfruttata nella cura di malattie caratterizzate da un eccessivo riassorbimento osseo, come l’osteoporosi, le fratture patologiche e i tumori osteolitici. Agisce inoltre sulla risposta immunitaria e può avere applicazioni nella immunoterapia dei tumori solidi e nella sindrome metabolica». Le applicazioni che sembrano più immediate sono quelle che sono state coperte dalla protezione di un brevetto e che sfruttano la capaci-

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tà di inibire il riassorbimento osseo e la crescita neoplastica da parte di un “ICOS sintetico”, costruito in laboratorio. Sono state infatti osservate una serie di azioni che influenzano la crescita della cellula neoplastica e il microambiente in cui quest’ultima si sviluppa, inibendo lo sviluppo dei vasi sanguigni che nutrono il tumore e potenziando la risposta immunitaria anti-tumorale. Altra strada percorsa per applicare la scoperta è lo sfruttamento dell’effetto di inibizione del riassorbimento osseo che può essere utilizzato per far regredire l’osteoporosi. Il doppio effetto di inibizione del riassorbimento osseo e della crescita neoplastica può essere impiegato nella terapia dei tumori a localizzazione ossea: «A questo proposito – continua Dianzani - abbiamo appena pubblicato un lavoro che indica che un buon bersaglio per il nostro ICOS sintetico può essere il mieloma multiplo, un tumore immunitario letale che si sviluppa nell’osso, danneggiandolo gravemente». Già partito è poi il progetto europeo “Giotto”, che ha per capofila il Politecnico di Torino. Il lavoro coinvolge 14 gruppi di ricerca accademici e privati con l’obiettivo di inserire ICOS in biomateriali “intelligenti” da utilizzare localmente per favorire la riparazione di fratture ossee in soggetti fragili. «Gli studi preclinici – spiega il professore - che dimostrano l’efficacia del nostro ICOS sintetico in vitro e in modelli sperimentali in vivo sono in gran parte conclusi. Rimane da


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fare il grande salto del passaggio sull’uomo, che richiede notevoli investimenti, tempi lunghi e il coinvolgimento di una grande industria farmaceutica. Potrebbe essere invece più rapida l’applicazione sui biomateriali intelligenti per la riparazione delle fratture ossee patologiche». L’identificazione di ICOS nasce da un progetto di ricerca avviato dal professor Dianzani, nel corso del suo soggiorno presso l’Università di Yale, alla fine degli anni ’80, sotto la guida di Charles Janeway. «In particolare – ricorda - avevo analizzato una library composta da un migliaio di anticorpi monoclonali, ricercando anticorpi in grado di co-stimolare i linfociti T; avevo selezionato una decina di anticorpi, che mi parevano particolarmente interessanti. Avevo poi sospeso questo lavoro, dovendo privilegiare i miei progetti di ricerca principali. Al mio ritorno in Italia, ho ripreso a lavorare su questo progetto, arrivando a selezionare un anticorpo che riconosceva un nuovo recettore, da me chiamato H4, espresso dai linfociti T attivati. Questo recettore è stato da me descritto in due articoli scientifici sul topo (1996) e sull’uomo (1999). Nel 1999, autori tedeschi descrivevano un “nuovo” recettore co-stimolatorio dei linfociti T, chiamandolo ICOS, che abbiamo subito dimostrato coincidere con la molecola H4. Il progetto H4/ICOS mi ha poi accompagnato

Il lavoro coinvolge 14 gruppi di ricerca accademici e privati con l’obiettivo di inserire ICOS in biomateriali “intelligenti” da utilizzare localmente per favorire la riparazione di fratture ossee in soggetti fragili.

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per tutta la mia vita scientifica grazie all’aiuto di vari collaboratori che si sono succeduti al mio fianco, tra cui Valter Redoglia, Donatella Buonfiglio e Riccardo Mesturini, e alla collaborazione di alcuni cari amici dei tempi di Yale, come Josè Rojo (Madrid) e Junjo Yagi (Tokio), affiancandosi a vari altri progetti che sono invece cambiati nel tempo. Questa nostra ricerca ha contribuito alla caratterizzazione dell’attività di ICOS sui linfociti T e successivamente all’identificazione della sua capacità di influenzare l’attività delle cellule che esprimono il suo ligando ICOSL».

La scoperta e una nuova start-up

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a scoperta di ICOS è già stata messa a frutto con la creazione di due brevetti, un passaggio necessario per incentivare l’industria farmaceutica a investire nello sviluppo di un farmaco. Il passo successivo è stata la fondazione di una impresa innovativa, la Novaicos Srl, ospitata dall’Università del Piemonte Orientale, che ha l’obiettivo di sviluppare l’applicazione clinica dei due brevetti. La nuova società ha assunto un biologo e paga un dottorando di ricerca industriale. Per questa fase, è stato fondamentale il contributo dell’ufficio di ricerca dell’ateneo e dell’incubatore di impresa Enne3, che hanno accompagnato nel percorso.

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LA CLONAZIONE PER LA SALVAGUARDIA DELLE SPECIE Nel 2013 gli scienziati hanno pensato di usare le cellule congelate di esemplari defunti per la clonazione con la tecnica del trasferimento nucleare di cellule somatiche

di MIchelangelo Ottaviano

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lizabeth Ann è una femmina di Mustela negripes, anche chiamato furetto dai piedi neri, una specie proveniente dalle pianure americane. Fino agli anni ’70 si pensava fosse estinta, e fu salvata dopo la casuale scoperta di una colonia superstite tra gli anni ’80 e ’90 grazie al programma coordinato dall’organizzazione statunitense Fish and Wildlife Service. Ad oggi rimangono poche migliaia di esemplari di Mustela negripes, tutti strettamente imparentati tra loro. La consanguineità è però un fenomeno genetico partico-

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larmente problematico. È stato osservato che i furetti viventi, discendendo da pochissimi esemplari, hanno accumulato mutazioni pericolose per cui diversi esemplari nascono con difetti fisici significativi e sono minacciati da alcune malattie particolari. Questa femmina di furetto potrebbe però contribuire a salvare tutti i suoi simili dall’eccessiva consanguineità: Elizabeth Ann è il clone di una femmina morta trentacinque anni fa. Nel 2013 gli scienziati dell’organizzazione americana hanno pensato di usare le cellule congelate di esemplari defunti

per un tentativo di clonazione con la tecnica del trasferimento nucleare di cellule somatiche, la stessa utilizzata dalla pecora Dolly in poi per la clonazione di diverse specie animali domestiche. In sintesi, il nucleo di una cellula somatica dell’animale che si vuole clonare viene prelevato e inserito in un ovocita di un animale donatore a cui è stato tolto il suo nucleo. Con gli opportuni stimoli l’ovocita e il nucleo della cellula somatica si integrano, e comincia a svilupparsi un embrione che avrà il patrimonio genetico identico a quello della cellula somatica: un clone, appunto. L’embrione si trasferisce infine nell’utero di una madre surrogata per gli stadi successivi dello sviluppo. Se dall’accoppiamento di Elizabeth Ann dovessero nascere cuccioli sani la clonazione diventerebbe una nuova strada percorribile per la salvaguardia di alcune specie a rischio. Purtroppo è necessario sottolineare quel “alcune”, poiché non sembra possibile applicare questo sistema con tutti gli animali. Ogni specie è un universo a sé e, sebbene i motivi non sono ancora chiari, in alcune specie di mammiferi è più complicato che in altre, mentre animali come gli uccelli vedono precludersi del tutto questa possibilità di salvezza. Inoltre, la clonazione per trasferimento nucleare è applicabile solo alle specie di mammiferi con un parente stretto non in pericolo, e che è in grado donare cellule uovo e portare avanti una gravidanza. Un altro problema potrebbe essere dato anche dalla gestione della riproduzione e dell’allevamento in cattività, che ha esigenze diverse da specie a specie e che potrebbe non essere possibile soddisfare. Ci sono poi scienziati che non sono d’accordo sulla validità di questo strumento e sostengono che i cloni generati non siano copie esatte degli esemplari originari e che si rischia di inquinare la specie. Il motivo è che a differenza degli animali domestici, le cellule uovo utilizzate per le specie a rischio sono quelle di specie differenti da cui i cloni ereditano il DNA mitocondriale.


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a crisi energetica è una questione che in Europa si sta facendo sempre più premente ed annosa. Le conseguenze non riguardano solo il piano economico, ma anche tutto ciò che è legato all’inquinamento e all’equilibrio ambientale. In questo contesto sta infatti facendo discutere il fatto che la Commissione Europea abbia scelto di inserire il nucleare e il gas naturale tra le attività economiche sostenibili. Tale decisione, non ancora ufficiale, ha portato le organizzazioni ambientaliste alla protesta e ha generato polemiche nei paesi che, come la Germania, l’Austria e il Lussemburgo, hanno lavorato per smantellare gli impianti nucleari. Al contrario, la Francia e la Polonia sono paesi favorevoli a questa scelta, poiché utilizzano il nucleare per la produzione di energia elettrica: circa i due terzi dell’energia elettrica francese è generata dai cinquantotto reattori nucleari attivi sul territorio. Robert Habeck, vicecancelliere tedesco e ministro dell’Economia e della Protezione Climatica, ha attaccato duramente l’Europa parlando di greenwashing, cioè di ambientalismo di facciata. La Commissione Europea, d’altro canto, considera l’inserimento di queste attività nella tassonomia del Green Deal europeo come un provvedimento di transizione. È una scelta allo stesso tempo vista come necessaria per garantire il fabbisogno energetico della popolazione europea nei prossimi decenni, mentre le rinnovabili diventano via via più diffuse ed economiche. La Commissione ha comunque posto alcuni paletti da rispettare per la sostenibilità di nucleare e gas naturale, ma ovviamente la distanza tra i vari paesi si fa più ampia per quel che riguarda il nucleare. Generare energia elettrica nelle centrali nucleari non emette gas serra, ma produce tuttavia scorie nucleari difficili da gestire, e vi è una certa preoccupazione da parte dell’opinione pubblica sulla sicurezza delle centrali. Il nucleare sostenibile

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GAS NUCLEARE E NATURALE TRA LE ECONOMIE SOSTENIBILI La scelta della Commissione Europea ha portato le organizzazioni ambientaliste alla protesta e ha generato polemiche nei paesi che hanno smantellato gli impianti

è quindi fumo negli occhi o risorsa energetica del futuro? È difficile dare una risposta definitiva quando è l’andamento della crisi a dettare le regole del gioco. Quel che è certo è che si sarebbe potuto evitare di finire dinanzi a questo bivio, investendo prima e più seriamente sulle risorse sostenibili. Anche in Italia la discussione è accesa attorno al tema, e alcune fazioni politiche stanno spingendo per la riattivazione delle centrali. Il gas naturale rappresenta invece un combustibile fossile leggermente meno dannoso dal punto di vista ambientale, ma gli impianti a gas risul-

tano comunque problematici a causa delle perdite durante la produzione e il trasporto. Il dibattito rimane quindi aperto, ma i paesi contrari all’inserimento hanno pochi mezzi a disposizione per bloccare tale inserimento. Il documento sulla tassonomia non è ancora entrato in vigore e dovrà essere sottoposto al controllo del Parlamento e del Consiglio dell’Unione Europea: l’unico organo che avrebbe il potere di bloccare la tassonomia è proprio quest’ultimo, ma è necessaria una maggioranza di almeno 20 stati membri, ed è molto difficile da raggiungere. (M. O.). GdB | Gennaio 2022

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Beni culturali

VILLA DEL BALBIANELLO SET PER STAR WARS E JAMES BOND L’unica penisola del lago di Como ospita una dimora elegante, amata dai registi di Hollywood di Rino Dazzo

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talmente bella e suggestiva da essere richiestissima dai registi di Hollywood. George Lucas l’ha scelta come location per alcune scene de “L’attacco dei cloni”, episodio secondo della saga di “Star Wars”. Martin Campbell, invece, vi ha ambientato diversi spezzoni di “Casino Royale”, 21mo capitolo della serie di 007. Villa del Balbianello, in effetti, è un posto magico. La collocazione sulla punta dell’unica vera penisola del lago di Como, quella di Lavedo, fa sì che sia quasi interamente circondata dalle acque e consente di apprezzare un panorama meraviglioso. Ma non è solo la cornice a costituire la fortuna della villa, che racchiude al suo interno vari tesori. La sua è una storia particolare, capace di proiettare i visitatori fino al Polo Nord o alla cima dell’Everest. Già perché l’ultimo proprietario, Guido Monzino, che nel 1988 l’ha affidata al Fai perché ne conservasse intatta l’essenza, ha portato

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nella villa tracce e testimonianze delle sue spedizioni in giro per il mondo, rendendola un autentico scrigno di ricordi. È Marco Magnifico, vicepresidente del Fai, a tratteggiare la storia di Villa del Balbianello: «Nel ’300 la penisola fu luogo di un convento francescano, poi fu comperata alla fine del ’700 dal cardinale Angelo Maria Durini, grande porporato milanese che fu nunzio apostolico in molte parti del mondo e che radunava qui il suo cenacolo. Aveva una villa poco distante da qui, il Balbiano: ne fece un’altra per avere un luogo piccolo e meraviglioso dove medita-


re». Tra gli ospiti del cenacolo di Durini, a cui si deve la realizzazione del loggiato e dei due padiglioni, ci fu anche Giuseppe Parini. Ai successivi proprietari va invece attribuita la realizzazione dello spazio verde circostante: «Attorno alla villa fu fatto crescere un giardino caratterizzato da una manutenzione molto artificiosa. Tra le sue bellezze un Ficus repens di oltre 200 anni, un enorme leccio e una canfora potati a ombrello, oltre a festoni di edera

Cardinal Durini. Nel ’300 la penisola fu luogo di un convento francescano, poi fu comperata alla fine del ’700 dal cardinale Angelo Maria Durini, grande porporato milanese che fu nunzio apostolico in molte parti del mondo e che radunava qui il suo cenacolo.

che accompagnano i sentieri». Alla morte del cardinale la villa passò al nipote, il conte Luigi Porro Lambertenghi: «Un grande patriota che, come tutore delle figlie, aveva assoldato Silvio Pellico. Dallo Spielberg lo scrittore scrisse che avrebbe voluto trascorrere tutta la vita in quello che chiamava Balbianino», prosegue Magnifico. Successivamente la dimora fu acquistata da Giuseppe Arconati Visconti, altro mecenate che ospitò, tra gli altri, Giovanni Berchet, Giuseppe Giusti e Alessandro Manzoni. Il fico rampicante citato prima ricorda per la sua forma il serpente del grande stemma degli Arconati Visconti, che domina la loggia. Per la villa seguirono poi anni bui, fino all’avvento nel 1974 di Guido Monzino. «Un ricco milanese, la cui famiglia aveva creato la Standa, e un grande appassionato di montagna», racconta Magnifico. «Tra le sue spedizioni più celebri ci furono quella del 1971 al Polo Nord, 71 giorni tra i ghiacci senza motoslitte e coi mezzi trainati dai cani. Poi nel 1973 partì per l’Everest. Fu un’organizzazione grandiosa, di stampo ottocentesco. E riuscì anche in quell’impresa». Ovunque andasse Monzino piantava la bandiera italiana, come se lo spirito patriottico e GdB | Gennaio 2022

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Beni culturali


Beni culturali

romanzesco della villa fosse arrivato fino a lui. «Acquistò il Balbianello, lo rimise in piedi, ne fece il luogo che potesse meglio raccontare lo spirito e le idee di un grande italiano che identificò nel tricolore uno dei valori più importanti da consegnare ai posteri. Nel suo testamento – ricorda Magnifico – ha fatto scrivere: invito il Fai a mantenere sempre innalzato sul molo del Balbianello il nostro tricolore, a ricordo di quelle bandiere che le mie guide alpine fecero sventolare per puro di spirito di idealità, con modestia ma sempre con eroismo». E sono tante le cose da ammirare in questa villa dalle atmosfere uniche. Il giardino con le

Qui il regista Martin Campbell ha ambientato diversi spezzoni di “Casino Royale”, 21mo capitolo della serie di 007.

sue potature testimonia la maestria nell’arte topiaria dei giardinieri della Villa, che per i loro interventi si servono di imbragature e funi da alpinisti. Il Museo delle Spedizioni, invece, ricco di cimeli e attrezzi, racconta nel dettaglio le imprese di Monzino, a cui si devono anche le preziose collezioni di oggetti rari e di arte arcadica, egizia, precolombiana, africana e inuit, nonché di stampe ottocentesche con vedute del lago, carte geografiche, libri antichi, tappeti e dipinti rari su vetro del ’700. Molto significativa, infine, la stessa loggia Durini, con rosa dei venti intarsiata nel pavimento per orientare simbolicamente i ritorni di Monzino dalle sue intrepide avventure.

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Beni culturali

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ei prossimi mesi, un totale di cento opere conservate nei depositi tornerà nelle sale dei musei italiani per essere ammirate dal pubblico. È questo lo scopo del progetto denominato “100 opere tornato a casa”, promosso dal ministro della Cultura Dario Franceschini, che ha lo scopo di rilanciare il patrimonio storico, artistico e archeologico del Belpaese. «Questo progetto – spiega Franceschini - restituisce nuova vita a opere d’arte di fatto poco visibili, di artisti più o meno conosciuti, e promuove i musei più piccoli, periferici e meno frequentati. Solo una parte delle opere dei musei statali è attualmente esposta: il resto è custodito nei depositi, da cui proviene la totalità dei dipinti e dei reperti coinvolti in questa iniziativa. Queste cento opere sono soltanto le prime di un progetto a lungo termine che mira a valorizzare l’immenso patrimonio culturale di proprietà dello Stato. Un obiettivo che sarà raggiunto anche attraverso un forte investimento nella digitalizzazione e nella definizione di nuove modalità di fruizione, che ha anche il merito di rafforzare il legame tra il territorio e l’opera d’arte». Le opere sono state selezionate tra le oltre 3mila contenute nella banca dati della Direzione Generale Musei, conservate nei depositi di circa 90 musei statali. La scelta, curata dai direttori generali e dai direttori museali, ha tenuto conto delle richieste dei diversi territori e della possibilità che il loro rientro a casa potesse integrare le

Consigliere tesoriere dell’Onb, delegato nazionale per le regioni Emilia Romagna-Marche e Piemonte-Liguria-Valle D’Aosta.

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L’ARTE DEL BELPAESE TORNA ESPOSTA NEI MUSEI Dai grandi ai piccoli musei, cento opere d’arte lasciano i depositi per tornare visibili al pubblico

di Pietro Sapia*

collezioni del museo destinatario o favorire accostamenti interessanti che potessero rappresentare un’attrattiva per il pubblico. Nelle scorse settimane già diverse opere sono tornate ad abitare gli spazi museali italiani per i quali erano state concepite, come la tela di Giovanni Baglione intitolata “Immacolata concezione tra i santi Pietro e Paolo”, rientrata a Palazzo Altieri a Oriolo Romano (Viterbo), o come il gruppo scultoreo “Gladiatore che uccide un leone”, che dal Parco Archeologico di Ostia Antica è tornato negli spazi del-

la Villa di Vincenzo Giustiniani a Bassano Romano (Viterbo). Alla conferenza stampa di presentazione del progetto erano presenti, oltre al Ministro della Cultura Dario Franceschini, anche Massimo Osanna, Direttore generale Musei, Caterina Bon Valsassina, già Direttrice dell’Istituto Centrale per il restauro e Direttrice generale Archeologia belle arti e paesaggio del MiC, Flaminia Gennari Santori, Direttrice della Gallerie Nazionali Barberini Corsini, e Duilio Giammaria, Direttore Rai Documentari. GdB | Gennaio 2022

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Sport

DALLE OLIMPIADI INVERNALI AI MONDIALI DI CALCIO: IL 2022 DELLO SPORT Mentre l’Italia del pallone aspetta gli spareggi di marzo, gli amanti della neve e del ghiaccio si preparano ai Giochi di Pechino Quest’anno anche i Mondiali di nuoto, di atletica e quelli femminili di volley e gli Europei di basket e di calcio donne

di Antonino Palumbo

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Mondiali di calcio in Qatar non li vogliamo neppure nominare, perché la Nazionale di Mancini si è complicata la vita e si giocherà le residue chance di qualificazione agli spareggi di fine marzo. Un racconto dei grandi eventi sportivi del 2022, tuttavia, non può prescindere da quello che resta il sogno di ogni baby calciatore. E dunque: prima partita il 21 novembre, finale il 18 dicembre. A difendere il titolo è la Francia. L’Italia sfiderà il 24 marzo la Macedonia e, in caso di qualificazione, cinque giorni più tardi si giocherà il pass nel dentro/fuori con Portogallo o Turchia. “Ma non c’è solo il calcio”, obietterà qualcuno. Vero. Perciò, ricordando comunque che il nuovo anno è iniziato proprio con la Coppa d’Africa di calcio e con gli Australiani Open di tennis (senza il numero uno Novak Djokovic), scopriamo assieme il meglio degli appuntamenti sportivi del 2022, a partire dal mese di febbraio. FEBBRAIO: GIOCHI INVERNALI E SEI NAZIONI Tornano i cinque cerchi, tornano i Giochi

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Olimpici Invernali che si terranno a Pechino dal 4 al 20 febbraio. Con gli atleti in una bolla strettissima, ma animati dalla stessa voglia di sognare. Per l’Italia gli assi nella manica sono i soliti: Sofia Goggia (che tuttavia ha subito un brutto infortunio durante il SuperG di Cortina lo scorso 23 gennaio e non è ancora certo che partecipi ai Giochi) e le altre azzurre veloci dello sci, Miki Moioli, i fondisti, lo slittino, Arianna Fontana, Dorothea Wierer. A febbraio, domenica 6, inizia dallo Stade de France di Parigi, contro la Francia, l’avventura dell’Italia nel Sei Nazioni 2022 di rugby. Azzurri a caccia di un successo che manca ormai da sette anni. Evento di nicchia in Italia, ma di grande suggestione è il Super Bowl LVI, che si gioca il 13 febbraio al SoFi Stadium di Inglewood, California. MARZO: MOTO GP, F1 E L’ITALIA DI MANCINI Il countdown dei giorni che mancano ai playoff per i Mondiali in Qatar, a marzo, avrà per sottofondo il rombo dei motori. Il 6 inizia a Losail il Mondiale di Moto GP, il primo senza


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baix (il 17) e dalla Freccia Vallone (il 20), per arrivare alla Liegi-Bastogne-Liegi (il 24). Senza dimenticare quell’autentico parterre de roi che è diventato il Tour of the Alps (dal 18 al 22). Non solo tennis: fra gli altri spiccano gli Europei di judo, i tornei di tennis di Montecarlo e Madrid, la Coppa del mondo di tiro con l’arco e il GP d’Italia di Formula E (il 9).

Sofia Goggia, nella foto, ha subito un brutto infortunio durante il SuperG di Cortina lo scorso 23 gennaio e non è ancora certo che partecipi ai Giochi.

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MAGGIO: IL GIRO D’ITALIA E I MONDIALI DI NUOTO Partirà da Budapest il 6 maggio il Giro d’Italia di ciclismo, con ventuno tappe e arrivo finale a Verona il 29. Grande attesa per l’Italia ai Campionati mondiali di nuoto, in programma dal 13 al 29 maggio a Fukuoka (Giappone), salvo slittamenti causa Covid. A fine mese anche la finale di Champions League di calcio, anche se sarà dura vedere un’italiana. Prima ancora, l’ultimo atto dell’Europa League, della Conference League e della Serie A. GIUGNO: GRANDE TENNIS E BASKET NBA Il mese di giugno si apre il 2 con le Finals della NBA, il campionato di basket più famoso e spettacolare del mondo. Nel tennis, il 5 giugno si assegna il titolo del Roland Garros, mentre il 27 parte la bagarre sull’erba di Wimbledon.

Valentino Rossi, ma con Pecco Bagnaia e Franco Morbidelli pronti a raccoglierne l’eredità. Due settimane più tardi semaforo verde per il Mondiale di Formula 1, con i tifosi della Ferrari che sperano nella rivoluzione regolamentare e nel talento di Leclerc e Sainz, per poter vedere la “Rossa” inserirsi nella lotta per il titolo. APRILE: LE CLASSICHE DEL CICLISMO Aprile è un mese di grande ciclismo. Si parte il 3 con il Giro delle Fiandre e si passa dall’Amstel Gold Race (il 10), dalla Parigi-Rou-

LUGLIO: MONDIALI DI ATLETICA E EUROPEI FEMMINILI DI CALCIO Dal 6 tutti in poltrona, o magari in giardino, a tifare Italia agli Europei femminili di calcio in Inghilterra. Ci sarà tanto azzurro, magari sul podio, ai Mondiali di atletica leggera, dal 15 luglio a Eugene (Stati Uniti). Grandi aspettative per Marcell Jacobs, campione olimpico a Tokyo sui 100 metri, ma anche sulla staffetta 4x100, su Tamberi, Palmisano e gli altri protagonisti dei trionfi azzurri ai Giochi giapponesi. AGOSTO: EUROPEI DI NUOTO, ATLETICA PARALIMPICA, MTB IRIDATA Non saranno tutti in spiaggia, ad agosto. Dall’11 al 22 Roma ospita gli Europei di nuoto, mentre a Kobe (Giappone) partono i Mondiali di atletica leggera paralimpica e a Chengdu (Cina) va in scena la XXXI Universiade. Dal 24 al 28 i Mondiali di MTB a Les Gets, in Francia. GdB | Gennaio 2022

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Sport

SETTEMBRE: EUROBASKET E MONDIALI DI CICLISMO E VOLLEY In un mese ricco di appuntamenti, spiccano gli Europei di basket (1-18 settembre), con l’Italia di coach Meo Sacchetti che disputerà la prima fase sul parquet amico del Forum di Assago. Dal 18 al 25 riflettori sui Mondiali di ciclismo a Wollongong, in Australia. In calendario anche i Mondiali femminili di volley (dal 23) e i Mondiali di tiro a volo, la MotoGP a San Marino (il 4) e la F1 a Monza (l’11). OTTOBRE: IL LOMBARDIA E L’IRIDE NEL TIRO A SEGNO E NELLA GINNASTICA Il grande ciclismo domina il programma di ottobre: su tutto, il Giro di Lombardia (l’8) e i Mondiali su pista (dal 12 al 16). Poi i Mondiali Laser Radial di vela in Cina (10-17), quelli di formula kite a Cagliari (dall’8 al 16) e le rassegne iridate di tiro a segno, dal 12 al 25 in Egit-

to, e di ginnastica artistica, dal 29 ottobre-6 novembre a Liverpool.

Grande attesa per l’Italia ai Campionati mondiali di nuoto, in programma dal 13 al 29 maggio a Fukuoka (Giappone), salvo slittamenti causa Covid.

Il ct della Nazionale italiana di calcio, Roberto Mancini, e il centrocampista Matteo Pessina.

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NOVEMBRE: ATP FINALS DI TENNIS ED EUROPEI DI CICLOCROSS Dal 13 novembre, per il secondo anno di fila, il Pala AlpiTour di Torino ospita le ATP Finals di tennis che lo scorso anno hanno visto sfortunati protagonisti Berrettini e Sinner. Si assegnano anche i titoli europei del ciclocross e nella pallamano femminile nella pallamano e quello iridato di rugby, fra le donne. DICEMBRE: JUDO, BADMINTON E LA FINALE DEI SOGNI A dicembre i Masters di judo e le World Tour Finals di badminton. Ah, poi ci sarebbe - il 18 - la finale dei Mondiali di calcio. Quella che sogna ogni bambino, con un pallone al piede. Prima, però, dobbiamo qualificarci. Incrociamo le dita.

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Sport

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iscusse sui vaccini, partite in mascherina, rinvii e nuovi protocolli di sicurezza. L’arrivo di Omicron ha sconvolto fra la fine di dicembre e il mese di gennaio anche il mondo dello sport. La vicenda più calda è stata quella che ha avuto per protagonista il Novak Djokovic, numero uno al mondo. Ammesso agli Australian Open grazie a un’esenzione medica, il serbo è stato bloccato in aeroporto per accertamenti e poi portato in albergo. Mentre i fan e la Serbia ne hanno fatto un martire, il tribunale gli ha dato ragione una volta appurato che l’esenzione era dovuta alla positività al Covid dello scorso dicembre ma il ministro dell’Immigrazione australiano gli ha negato il visto, “per motivi di salute e ordine”. In tutto ciò, nei giorni del test incriminato, Djokovic avrebbe partecipato a un evento a Belgrado (prima o dopo?) e rilasciato un’intervista e un servizio fotografico per il quotidiano francese L’Equipe. L’Australia, del resto, non fa sconti a nessuno: neppure il campione di surf Kelly Slater, non vaccinato, è riuscito ad avere accesso nel Paese. La nuova e più contagiosa variante Omicron ha condizionato anche la ripresa a gennaio del campionato di Serie A. Quasi tutte le squadre hanno dovuto contare tesserati positivi. Nella prima domenica dell’anno sono saltate quattro partite (Bologna-Inter, Fiorentina-Udinese, Salernitana-Venezia e Atalanta-Torino) e si è innescata una vera e propria battaglia fra le ASL e la Lega Serie A. Dal 19 gennaio, con il nuovo protocollo per gli sport di squadra, con 9 positivi scatta lo stop a tutta la rosa considerato che il “gruppo atleti” delle squadre di Serie A, B e C è di 25 unità. Intanto, i club della massima serie avevano ripreso a giocare, così come quelli di B, mentre la Lega Pro è rimasta ferma per un mese, tornando in campo solo nel quarto weekend di gennaio. Oltre a limitare a cinquemila spettatori il pubblico dei match di Serie A, la “stretta” anti-Covid ha anche portato ad alcuni episodi curiosi legati a grandi

Novak Djokovic.

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OMICRON E LO SPORT: RINVII E NUOVO PROTOCOLLO Dal “no” dell’Australia al numero 1 del tennis Djokovic alle nuove disposizioni ministeriali per gli sport di squadra in Italia: cosa è successo fra dicembre e gennaio

nomi del calcio. Il portiere della Juventus, Wojciech Szczesny, ha saltato la Supercoppa con l’Inter, perché non aveva ancora il green pass e non ha potuto viaggiare né stare in ritiro con la squadra. I napoletani Zielinski, Rrhamani e Lobotka erano invece scesi in campo contro la Juventus malgrado fossero stati posti in quarantena dalla ASL. Per loro, si era affacciata anche l’ipotesi – impercorribile – di giocare con la mascherina, cosa realmente accaduta nell’incontro di Serie A1 di volley tra Vibo Valentia e Modena, recupero del turno dell’Epifania pesantemente condizionato dall’emergenza. Non l’unico: fra la terza e la quinta giornata di ritorno si sono giocate solo 8 par-

tite su 18. Nella A femminile, fra il 9 e il 16 gennaio, si sono disputati solo 2 dei 10 match in calendario. Il basket si è trovato a fare i conti con il nodo del “gruppo atleti” e al limite numerico che definisce un focolaio (9 nel calcio, 3 nel volley). A mandare in tilt il sistema, nei giorni successivi al nuovo protocollo, sono state la variabilità degli organici di Serie A - da 10 a 18 giocatori - e un mercato in continuo movimento. La quarta ondata della pandemia si è fatta sentire ha influenzato anche la Coppa del Mondo di sci, con la campionessa Mikaela Shiffrin, positiva al Covid, che ha dovuto saltare qualche gara tra fine dicembre e inizio gennaio. (A. P.) GdB | Gennaio 2022

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INSIGNE E I SUOI BROS: FRATELLI D’AMERICA Il fantasista napoletano ha firmato per il Toronto: è solo l’ultimo di un nutrito elenco di calciatori italiani, rinomati e non, che hanno concluso la carriera fra Stati Uniti e Canada

di Antonino Palumbo

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elè, David Beckham, Thierry Henry. Nella galassia della MLS (Major League Soccer), il maggiore campionato nordamericano di calcio, c’è una costellazione speciale che accoglie astri di livello mondiale, che hanno fatto la storia di questo sport. Perché l’America è sempre stata una tentazione, un desiderio di scoperta. Anche per i calciatori italiani. L’ultimo in ordine di tempo ad aver firmato un contratto con un club canadese è Lorenzo Insigne, 30enne napoletano, campione d’Europa con la nazionale italiana. Dal prossimo 1° luglio, il numero

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10 azzurro vestirà per quattro anni la maglia del Toronto FC. Un’avventura nata in maniera insolita, come candidamente rivelato da Bill Manning, presidente del sodalizio canadese: “La scorsa estate sono andato sul sito di Transfermarkt e ho consultato la pagina della Nazionale italiana che aveva appena vinto il titolo di campione d’Europa per vedere quali giocatori andavano a scadenza di contratto: Lorenzo era uno dei pochi in scadenza. Sarà un giocatore che la gente vorrà venire a vedere nel nostro stadio”. Viva la sincerità. Ad accogliere Insigne a To-


ronto ci sarà Sebastian Giovinco, che dopo l’esperienza nel TFC è rimasto a vivere nella città canadese. Con i Reds, la “Formica Atomica” ha vinto il titolo MLS e il Supporters’ Shield (primo posto in regular season) nel 2017 e per tre volte la Canadian Championship (coppa nazionale). E ha rinverdito la tradizione di grandi

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calciatori italiani volati oltre oceano a regalare magie. L’elenco è lungo e gli aneddoti non mancano, a partire dagli anni Quaranta. Se Giorgio Chinaglia è considerato, infatti, il pioniere italiano in MLS, prima di lui si era trasferito negli States il portiere Gino Gardassanich, italiano di Fiume. Dopo le esperienze con Fiorentina, Marsala e Reggina e dopo la Seconda guerra mondiale, giocò dal 1949 al 1959 nei Chicago Slovak, diventò cittadino americano e collezionò anche sei partite nella nazionale di calcio statunitense. Chinaglia è stato invece il primo fuoriclasse italiano a giocare nell’allora neonata NASL, accanti ai vari Pelè, Beckenbauer, Gerd Muller e altri simili “sconosciuti”. Due anni prima aveva vinto lo scudetto con la Lazio. Ai Cosmos di New York “regalerà” 243 gol in 256 partite fra campionato e playoff e diventerà in seguito presidente. Più breve l’esperienza di Roberto Vieri, padre di Christian, ai Toronto Metros-Croatia. Tre gol in nove partite nel ‘75, un provino fallito con i Cosmos di Pelè, poi il rientro in Italia e il futuro in Australia. Intanto i Metros-Croatia cambiarono nome in Blizzard e nel giugno del 1983 diedero il benvenuto a Roberto Bettega. Bobby Gol rimase in Canada due stagioni, raggiungendo in entrambi i casi la finale della NASL, il Soccer Bowl. Nel ‘97 è toccato all’Uomo Ragno, al secolo Walter Zenga, tentare l’avventura americana ai New England Revolution di Boston, prima come semplice portiere, poi come calciatore-allenatore. In effetti, a mettere assieme i migliori calciatori italiani approdati in MLS, vien fuori una “squadretta” niente male, decisamente rafforzata dai colpi dell’ultimo decennio. A reggere la difesa sarebbe uno dei migliori centrali di sempre, non solo in azzurro: Alessandro Nesta. Il difensore romano ha giocato nella stagione 2013-2014 nel Montréal Impact e lo ha allenato nel campionato successivo, per poi trasferirsi come manager al Miami FC. Con il Montreal Impact, tra il 2012 e il 70 GdB | Gennaio 2022

Nella foto, Sebastian Giovinco, calciatore italiano che ha militato nel Toronto, dal 2015 al 2019, la stessa squadra che accoglierà Lorenzo Insigne.

2014, ha giocato e segnato tanto – 40 reti in 88 incontri - anche Marco Di Vaio, due volte vincitore del Canadian Championship. Assieme a Di Vaio, a Nesta e Matteo Ferrari, ha lasciato la sua impronta per un breve periodo a Montreal anche Bernardo Corradi, attaccante: per lui 4 gol in 13 partite, prima di dirigersi verso la carriera di allenatore e commentatore sportivo. Con “Le Onze Montréalais” ha militato per quattro anni anche Marco Donadel, ex centrocampista della Fiorentina e campione d’Europa U21 nel 2004: per lui nessun nuovo alloro in palmares, ma 3 gol e tanta sostanza in 66 partite. Se Montreal, Toronto e il Canada hanno rappresentato mete privilegiate e piccoli eden per i calciatori italiani, New York è sempre stata una tentazione irresistibile, sin dai tempi di Vieri Senior. Nella Grande Mela arrivò nel 1995 Nicola Caricola, ex difensore di Bari, Juventus e Genoa. Fu lui ad accogliere, l’anno dopo, nientepopodimeno che Roberto Donadoni, campione di tutto con il Milan e vicecampione del mondo con l’Italia proprio negli Stati Uniti, due anni prima. Con i New York Metrostars ha collezionato poco più di cinquanta presenze, fra campionato e coppa, una serie di assist e sei gol. Pochi giorni dopo lo spagnolo David Villa e il britannico Frank Lampard, nell’estate del 2015 è giunto al New York City un “certo” Andrea Pirlo, pure lui con la bacheca piena di trofei conquistati a livello internazionale con il Milan e nazionale con la Juventus. Classe in ciabatte, per l’antidivo bresciano, che malgrado qualche acciacco ha dispensato pennellate d’autore e un gol. Naturalmente, su punizione. Dai big acclamati ai bomber di provincia: primo italiano dopo Chinaglia, nel 2013 si è trasferito ai Cosmos per una stagione Alessandro Noselli, 33enne ex Mantova e Sassuolo. Ha messo la sua firma sulla vittoria nella NASL, il secondo campionato nordamericano, prima di concludere la carriera in Italia fra i Dilettanti. La ciliegina sulla torta. Anzi, “the icing on the cake”.

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Sport

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ultima bandiera a scacchi ha fatto sorridere l’olandese Nyck De Vries e la scuderia Mercedes EQ Formula E Team, che hanno realizzato la doppietta di titoli iridati fra i piloti e i costruttori. La nuova stagione si è aperta all’insegna delle novità: nel regolamento, nel calendario e nei protagonisti, primo fra tutti l’italiano Antonio Giovinazzi, reduce da tre stagioni in F1 con l’Alfa Romeo Racing. Motivi di interesse non ne mancano, insomma, nell’ottava stagione del Campionato di Formula E, la serie automobilistica per monoposto spinte da motori elettrici, che dal 2021 vale come Mondiale L’inserimento di Giacarta, Vancouver e Seul e il ritorno di Città del Messico fra le sedi di gara sono fra le principali novità di un calendario inaugurato il 28 e 29 gennaio dai primi due round sul circuito cittadino di Dirʿiyya, in Arabia Saudita. Saranno in tutto 16 le gare, in dieci sedi. Appuntamento doppio confermato a Roma, il 9 e 10 aprile, per la quarta e quinta prova, così come a Berlino (14 e 15 maggio), New York (15 e 16 luglio) e Londra (30 e 31 luglio). In grande stile anche il debutto del circuito cittadino di Seul, dove il 13 e 14 agosto si decideranno con tutta probabilità i campioni del mondo piloti e costruttori. Sul fronte dei regolamenti, la potenza delle auto Gen2 è stata aumentata da 200 a 220 kW. A rendere ancora più spettacolari e incerte le vicende agonistiche del Mondiale di Formula E contribuirà anche l’introduzione di un nuovo format di qualifiche, con una sessione a gruppi e una a eliminazione diretta per consentire alle migliori squadre e ai migliori piloti di confrontarsi tra loro preservando le opportunità di ogni pilota e l’imprevedibilità della competizione. Grazie a questa nuova impostazione, i team e ai piloti di punta potranno mostrare tutte le loro capacità, ma allo stesso tempo viene data l’opportunità a chiunque di emergere, effettuando un giro veloce così da approdare alle prime posizioni della griglia di partenza.

Nyck De Vries, a bordo della sua Mercede Formula E, nel Gran Premio di Marrakesh a inizio 2020.

VELOCITÀ E SOSTENIBILITÀ AL VIA LA FORMULA E Il campionato riservato a monoposto elettriche farà nuovamente tappa a Roma il 9 e 10 aprile. Al via anche il pugliese Antonio Giovinazzi

Alla sua ultima stagione in Formula E, la Mercedes deve difendere entrambe le corone e punta ancora una volta su De Vries. Accanto a lui, numero 17, ci sarà con il “5” Stoffel Vandoorne. Dovrà guardarsi dai principali rivali della passata stagione, da Edoardo Mortara della Rokit Venturi Racing e Jake Dennis della Bmw Andretti Motorsport. Attenzione però anche alla Jaguar TCS Racing, al via con una nuova livrea e con una delle coppie di piloti più forti sulla griglia di partenza, composta da Mitch Evans e Sam Bird, rispettavamente quarto e sesto nel Mondiale 2021. I tifosi italiani seguiranno con particolare attenzione e affetto Antonio Giovinazzi,

pugliese di Martina Franca, che vuole “imparare” al più presto per contribuire a schiodare la Dragon Penske Autosport dal penultimo posto fra i costruttori. A rendere ancora più interessante l’ABB FIA Formula E World Championship è l’approccio alla sostenibilità. Gli organizzatori promuovono infatti attivamente la mobilità elettrica e soluzioni di energia alternativa per contribuire a ridurre l’inquinamento atmosferico e promuovere la lotta ai cambiamenti climatici. Il campionato è uno strumento per sensibilizzare l’opinione pubblica e ispirare cambiamenti nelle pratiche sostenibili. (A. P.) GdB | Gennaio 2022

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LA BIOLOGIA IN BREVE Novità e anticipazioni dal mondo scientifico

a cura di Rino Dazzo

NEUROLOGIA Ecco i neuroni che gestiscono il movimento

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li studiosi della Columbia University hanno scoperto quali cellule cerebrali sono coinvolte nel movimento degli arti nei topi e, con tutta probabilità, in altre specie. Si chiamano VSCT, neuroni del tratto spinocerebellare ventrale, e nel loro studio i ricercatori americani ne hanno compreso i meccanismi esaminando un modello murino e riscontrando come possano controllare il comportamento motorio tanto nello sviluppo quanto nell’età adulta. Questi neuroni sono noti sin dagli anni ‘40, ma a lungo si è pensato che la loro funzione fosse solo quella di trasmettere messaggi dal midollo spinale al cervelletto. In realtà i VSCT sono essenziali per l’attività locomotoria, scoperta che apre il campo a nuovi tipi di approcci per la terapia e la prevenzione di una numerosa schiera di malattie neurodegenerative.

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ONCOLOGIA Tumori: Car-t più efficaci senza scudo zuccherino

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imuovere lo scudo zuccherino creato dalle cellule tumorali aumenta l’efficacia di cure e terapie. È la conclusione a cui sono giunti gli studiosi del San Raffaele di Milano. L’analisi si è soffermata sulla ridotta efficacia delle terapie Car-t nei tumori solidi, causata dal particolare scudo provocato dall’accresciuta sintesi degli zuccheri attivata dalle cellule tumorali, meccanismo chiamato glicosilazione e che entra in gioco in una grande varietà di tumori: lo scudo zuccherino ricopre le cellule cancerose e impedisce ai linfociti Car-t di riconoscere le stesse cellule su cui intervenire. Nella loro ricerca gli studiosi del San Raffaele hanno descritto come bloccare la formazione dello scudo attraverso una particolare molecola, riscontrando come dopo il suo utilizzo l’efficacia delle terapie Car-t sia notevolmente aumentata.


Brevi

RICERCA La griglia sensoriale che legge i segnali del cervello

È

la più accurata piattaforma per leggere e registrare i segnali del cervello. Sviluppata dagli scienziati della San Diego Jacobs School of Engineering dell’Università della California, del Massachusetts General Hospital e della Oregon Health & Science University, è composta da ben 1.024 o 2.048 sensori ECoG. Un sistema accuratissimo, di eccezionale utilità in chirurgia per gli interventi di rimozione di tumori cerebrali o per il trattamento dell’epilessia.

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SALUTE La retina come indicatore dello stato di salute

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o stato di salute dei piccoli vasi sanguigni all’interno della retina è indicativo del funzionamento dell’intero sistema circolatorio. Lo sostiene una ricerca pubblicata sul British Journal of Ophtalmology, che ha preso in esame oltre 80mila immagini dei fondi oculari e si è soffermata su un indicatore definito «divario dell’età retinica»: lo scarto tra stato di salute della retina, valutato attraverso algoritmi di intelligenza artificiale, ed età anagrafica dei soggetti. In quelli in buona salute, oltre 11mila, la differenza tra età della retina e reale è rimasta contenuta entro i tre anni e mezzo. Negli altri 35mila partecipanti che negli 11 anni dello screening hanno palesato problemi di salute lo scarto è stato tra tre e dieci anni. Questo, secondo gli studiosi, dimostra la relazione tra retina, processi di invecchiamento e rischio di mortalità.

AMBIENTE Oceani, servono aree marine protette dinamiche

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e aree marine protette statiche non sono sufficienti a proteggere gli animali degli oceani dalla cattura accidentale: sarebbe più opportuno, a questo scopo, costituire aree marine dinamiche, dai confini non permanenti. È il suggerimento degli studiosi della Washington University, che hanno esaminato i rapporti di 15 attività di pesca in tutto il mondo per valutare l’efficacia delle riserve marine nella protezione di diversi animali. I ricercatori hanno effettuato una simulazione, ipotizzando la chiusura permanente del 30% delle zone di pesca. Dallo studio è emersa la relativa inefficacia delle attuali aree marine per la protezione della biodiversità marina. La gestione dinamica delle zone protette e alcuni dispositivi volti a tenere lontani tartarughe e uccelli da zone di pesca e reti farebbe diminuire fino al 57% la possibilità di cattura.

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Lavoro

CONCORSI PUBBLICI PER BIOLOGI AZIENDA OSPEDALIERO UNIVERSITARIA DI MODENA Scadenza, 3 febbraio 2022 Concorso pubblico, per titoli ed esami, per la copertura di un posto di dirigente biologo, disciplina di epidemiologia, per le attività di ricerca clinica del Servizio formazione ricerca e innovazione. Gazzetta Ufficiale n.1 del 04-01-2022.

LO BO” Scadenza, 27 febbraio 2022 Procedure di selezione per la chiamata di un professore di seconda fascia e per la copertura di un posto di ricercatore a tempo determinato della durata di tre anni, vari settori concorsuali, per il Dipartimento di scienze biomolecolari. Gazzetta Ufficiale n. 8 del 28-01-2022.

UNIVERSITÀ “LA SAPIENZA” DI ROMA Scadenza, 10 febbraio 2022 Procedura di selezione, per titoli ed esami, per la copertura di un posto di ricercatore a tempo determinato e pieno, settore concorsuale 05/A1, per il Dipartimento di biologia ambientale. Gazzetta Ufficiale n. 3 del 11-01-2022.

CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE – ISTITUTO DI BIOMEMBRANE, BIOENERGETICA E BIOTECNOLOGIE MOLECOLARI DI VITERBO Scadenza, 3 febbraio 2022 É indetta una selezione pubblica, per titoli e colloquio, per il conferimento di N. 1 assegno Tipologia A) “Assegni Professionalizzanti” per lo svolgimento di attività di ricerca inerenti l’Area Scientifica “Scienze Biomediche” conferito dall’Istituto di Biomembrane, Bioenergetica e Biotecnologie Molecolari CNR di Bari sotto la responsabilità scientifica del Prof. Giovanni Chillemi, nell’ambito dell’Accordo di collaborazione scientifica per la realizzazione del Progetto di ricerca dal titolo “Emergency genomics: an informative tool to guide advanced precision medicine in Intensive Care Units” Ministero della Salute, Bando di Ricerca Finalizzata 2018 CUP E84I19004190001 per la seguente tematica: “Sviluppo ed implementazione di pipeline bioinformatiche per l’analisi di dati di sequenziamento massiccio – integrazione di dati omici e clinici con metodiche machine learning / intelligenza artificiale” da svolgersi presso il Università degli Studi della Tuscia - Dipartimento per la Innovazione nei sistemi Biologici, Agroalimentari e Forestali - DIBAF, con sede in Viterbo. Per informazioni, www.cnr.it, sezione “concorsi”.

AZIENDA OSPEDALIERA “A. CARDARELLI” DI NAPOLIC Scadenza, 10 febbraio 2022 Concorso pubblico, per titoli ed esami, per la copertura di due posti di dirigente biologo, disciplina di genetica medica per l’UOC Genetica medica e di laboratorio, a tempo indeterminato. Gazzetta Ufficiale n. 3 del 11-01-2022. AZIENDA UNITÀ SANITARIA LOCALE DI REGGIO EMILIA Scadenza, 13 febbraio 2022 Conferimento dell’incarico quinquennale di dirigente medico, biologo, chimico - direttore della struttura operativa complessa SIAN - Igiene degli alimenti e della nutrizione, disciplina di igiene degli alimenti e nutrizione dell’Azienda USL IRCCS di Reggio Emilia. Gazzetta ufficiale n. 4 del 14-01-2022. UNIVERSITÀ DI URBINO “CAR-

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CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE – ISTITUTO DI BIOCHIMICA E BIOLOGIA CELLULARE DI MONTEROTONDO Scadenza, 9 febbraio 2022 È indetta una pubblica selezione per titoli, eventualmente integrata da colloquio, per il conferimento di n.1 borsa di studio per laureati, per ricerche inerenti l’Area scientifica “Scienze biologiche, biochimiche e farmacologiche” da usufruirsi presso l’Istituto di Biochimica e Biologia Cellulare del CNR presso la sede di Monterotondo (RM), nell’ambito del Progetto: Nuovi biomarker diagnostici e terapeutici delle malattie neurodegenerative. Per informazioni, www.cnr.it, sezione “concorsi”. CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE – ISTITUTO DI NEUROSCIENZE DI CAGLIARI Scadenza, 10 febbraio 2022 È indetta una pubblica selezione per titoli, eventualmente integrata da colloquio, per il conferimento di n. 1 borsa di studio per laureati, per ricerche inerenti l’Area scientifica “Medicina e Biologia” da usufruirsi presso l’Istituto di Neuroscienze del CNR, Sede secondaria di Cagliari, nell’ambito del Progetto dal titolo “Studio di nuovi farmaci (di sintesi e naturali) per la terapia delle dipendenze”. Per informazioni, www.cnr.it, sezione “concorsi”. CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE – ISTITUTO DI GENETICA MOLECOLARE DI PAVIA Scadenza, 10 febbraio 2022 È indetta una pubblica selezione per titoli, eventualmente integrata da colloquio, per il conferimento di n. 1 borsa di


Lavoro

studio per laureati, per ricerche inerenti l’Area scientifica “Medicina e Biologia” da usufruirsi presso l’Istituto di Genetica Molecolare Luigi Luca Cavalli Sforza del CNR di Pavia, nell’ambito del Progetto ricerca AIRC -IG 2018 Id. 21966 “Post-transcriptional regulation of cancer vasculature by Nova2” per la seguente tematica: “Studio della regolazione dello splicing alternativo operata dal fattore Nova2 durante lo sviluppo della vascolare tumorale”. Per informazioni, www.cnr.it, sezione “concorsi”. CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE – ISTITUTO DI BIOSTRUTTURE E BIOIMMAGINI DI NAPOLI Scadenza, 10 febbraio 2022 È indetta una pubblica selezione per titoli, eventualmente integrata da colloquio, per il conferimento di n.1 borsa di studio per laureati, per ricerche inerenti l’Area scientifica “Scienze Biomediche” da usufruirsi presso la Sede dell’Istituto di Biostrutture e Bioimmagini del CNR, nell’ambito del progetto CIR01_00023 - “Impara - Imaging dalle Molecole alla Preclinica - Rafforzamento del Capitale Umano”. Per informazioni, www.cnr.it, sezione “concorsi”. CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE – ISTITUTO DI BIOLOGIA E PATOLOGIA MOLECOLARI DI ROMA Scadenza, 11 febbraio 2022 È indetta una selezione pubblica, per titoli e colloquio, per il conferimento di n. 1 assegno di ricerca, tipologia “professionalizzante”, per lo svolgimento di attività di ricerca inerenti l’Area Scientifica “Scienze Biomediche”, ed in particolare l’attività “Sviluppo di metodologie di live imaging per l’identificazione di strategie terapeutiche innovative”, per partecipare alla seguente tematica di ricerca “Sviluppo di metodologie di imaging per lo sviluppo di strategie genetiche e farmacologiche di potenziale valore terapeutico”, codice incarico CIR01_00023_460743, nell’ambito del Progetto CIR01_00023 - “Impara - Imaging dalle Molecole alla

Preclinica - Rafforzamento del capitale umano”. Per informazioni, www.cnr.it, sezione “concorsi”. CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE – ISTITUTO PER LA PROTEZIONE SOSTENIBILE DELLE PIANTE DI LEGNARO (PADOVA) Scadenza, 14 febbraio 2022 È indetta una pubblica selezione per titoli, eventualmente integrata da colloquio, per il conferimento di n. 1 borsa di studio per laureati, per ricerche inerenti l’Area scientifica “Scienze Agrarie” da usufruirsi presso l’Istituto per la Protezione Sostenibile delle Piante del CNR, sede secondaria di Legnaro (PD), nell’ambito del progetto: “AmaVirALS (Amaranthus virus-induced ALS silencing)” Tematica “Indagini applicative di Virus-induced RNA Silencing dirette da analisi d’immagini per il controllo di Amarantus hybridus senza l’uso di erbicidi”. Per informazioni, www.cnr.it, sezione “concorsi”. CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE – ISTITUTO PER LO STUDIO DEGLI IMPATTI ANTROPICI E SOSTENIBILITÀ IN AMBIENTE MARINO DI PALERMO Scadenza, 14 febbraio 2022 È indetta una pubblica selezione per titoli, eventualmente integrata da colloquio, per il conferimento di n.1 borsa di studio per laureati, per ricerche inerenti l’Area scientifica “Risorse Naturali ed Ecosistemi” da usufruirsi presso l’Istituto per lo Studio degli Impatti Antropici e Sostenibilità in ambiente marino – Sede Secondaria di Palermo (PA) del CNR, nell’ambito del Progetto di Ricerca Interreg V-A Italia-Malta SenHAR “Campagne di sensibilizzazione per una armonizzazione Italo-Maltese per un buono stato dell’ambiente”. Per informazioni, www. cnr.it, sezione “concorsi”. CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE – ISTITUTO DI BIOLOGIA E BIOTECNOLOGIA AGRARIA DI ROMA Scadenza, 17 febbraio 2022 È indetta una pubblica selezione per

titoli, eventualmente integrata da colloquio, per il conferimento di una borsa di studio per laureati, per ricerche inerenti all’Area scientifica “Biologia Molecolare” da usufruirsi presso l’Istituto di Biologia e Biotecnologia Agraria del CNR sede di Roma, nell’ambito del Progetto di Ricerca “SMART-BREED POR FESR LAZIO 2014-2020”. Per informazioni, www.cnr. it, sezione “concorsi”. CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE – ISTITUTO DI SCIENZE POLARI DI BOLOGNA Scadenza, 18 febbraio 2022 È indetta una selezione pubblica, per titoli e colloquio, per il conferimento di n. 1 Assegno Professionalizzante per lo svolgimento di attività di ricerca inerenti l’Area Scientifica “Ambiente” da svolgersi presso la Sede secondaria dell’Istituto di Scienze Polari di Bologna, nell’ambito del Progetto “PRIN-PASS 2017” - The Po-Adriatic Source-To-Sink System: From Modern Sedimentary Processes To Millennial-Scale Stratigraphic Architecture” (CUP B34I17000090001), per lo svolgimento della seguente tematica di ricerca “Caratterizzazione del destino del carbonio organico terrestre lungo il margine adriatico tramite isotopi stabili del carbonio e marcatori organici”. Per informazioni, www.cnr.it, sezione “concorsi”. CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE – ISTITUTO DI RICERCA GENETICA E BIOMEDICA DI MONSERRATO (CAGLIARI) Scadenza, 24 febbraio 2022 È indetta una pubblica selezione per titoli, eventualmente integrata da colloquio, per il conferimento di n. 1 borsa di studio per laureati, per ricerche inerenti l’Area scientifica “Scienze Biomediche” da usufruirsi presso l’Istituto di Ricerca Genetica e Biomedica del CNR, Sede di Monserrato (CA), nell’ambito del Progetto DSB.AD005.102 “Contract n. 75N95021C00012: Genetic and epidemiological factors for age-related traits and diseases in the Sardinian population (SardiNIA5)”. Per informazioni, www. cnr.it, sezione “concorsi”. GdB | Gennaio 2022

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Bronchioliti da Virus Respiratorio Sinciziale in pazienti pediatrici: la tempesta dopo la quiete Come attestato dai tassi dei ricoveri presso i reparti pediatrici, in particolare nel nord Italia, anche presso l’ASL TO3 si è registrato un significativo aumento dei ricoveri di pazienti pediatrici a causa di infezioni severe da RSV

di Vincenza Scanzano1, Elvio Peyronel1, Luca Roasio2, Vittoria Camelli3, Giuseppina Amarù1, Paola Maria Fresi1, Silvia Betteto1, Claudio Paolicelli1, Maria Rita Cavallo1

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e misure di contenimento messe in atto anche in Italia al fine di limitare la diffusione di SARSCoV-2 hanno determinato variazioni significative nella dinamica di altre malattie infettive. Come attestato dai tassi dei ricoveri presso i reparti pediatrici, in particolare nel nord Italia, anche presso l’ASL TO3 si è registrato un significativo aumento dei ricoveri di pazienti pediatrici a causa di infezioni severe da Virus Respiratorio Sinciziale (RSV). Nella stagione invernale 2020-2021, presso i reparti pediatrici dell’ASLTO3, non si sono registrati ricoveri per infezioni dell’apparato respiratorio da RSV. Nel mese di novembre 2021 (in anticipo rispetto alla stagionalità registrata negli ultimi anni) si è verificato un picco di accessi al Pronto Soccorso di Pediatria da parte di bambini con importanti problemi respiratori e risultati positivi al test di laboratorio per RSV. Le misure attuate dal’ASLTO3 in conseguenza della pandemia da SARS-CoV-2 hanno consentito ai professionisti dell’Area Pediatrica l’acquisizione di competenze clinico-organizzative tali da garantire il rapido adattamento delle risorse di personale, degli spazi dedicati alla cura e dei percorsi diagnostico-terapeutici al fine di prendere in carico un flusso di pazienti non ordinario. L’epidemia da Virus Respiratorio Sinciziale ha comunque richiesto un incremento di personale e ha saturato la disponibilità di posti letto nei Reparti di Pediatria. Introduzione La pandemia da COVID-19 ha costretto molti stati ad 1 S.C. Laboratorio Analisi Unificato Rivoli – Pinerolo (TO), ASL TO3. 2 S.C. Pediatria - Ospedale di Pinerolo, ASLTO3. 3 Università degli Studi di Torino.

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adottare già nel 2020 (in Italia dal 9 marzo) una serie di misure di contenimento: in primo luogo il distanziamento sociale, associato all’utilizzo della mascherina e all’adozione delle opportune precauzioni di tipo igienico-sanitario (in particolare igienizzazione delle mani, delle superfici e degli ambienti). Questo ha determinato, come prevedibile, una contestuale marcata diminuzione di tutte le infezioni trasmissibili per via aerea, e in particolare quelle da Virus Respiratorio Sinciziale1,2 (RSV) che determina epidemie tipiche della stagione invernale, con una sintomatologia che varia da una forma lieve di infezione delle vie respiratorie superiori ad una bronchiolite severa. La bronchiolite risulta essere la causa più comune di ricovero nei bambini; RSV ne è l’agente patogeno principale3 e, negli Stati Uniti, causa annualmente 57.000 ricoveri e 500.000 accessi al dipartimento di emergenza da parte di pazienti di età inferiore a 5 anni4. Abbiamo focalizzato la nostra attenzione sulle peculiarità, rispetto alle stagioni precedenti, dell’andamento delle infezioni da RSV - e in particolare in quelle dei pazienti pediatrici - dal primo lockdown a oggi – nel territorio dell’ASLTO3, situata nel Piemonte Occidentale, a ridosso del confine con la Francia; gli assistiti erano 581.404 al 31 dicembre 2020, residenti in 109 diversi comuni. Metodi È stata condotta un’analisi dei risultati dei test per RSV in soggetti di età pediatrica, eseguiti dal Laboratorio Analisi dell’ASLTO3, dal 1 gennaio 2016 al 30 novembre 2021. La diagnosi di laboratorio delle infezioni da RSV viene generalmente eseguita evidenziando la presenza di antigeni virali in campioni biologici mediante tecniche di diagnostica rapida quali l’immunocromatografia, o ricorrendo a test di amplificazione degli acidi nucleici del tipo RT-PCR (reverse transcription PCR). Questi ultimi hanno maggior sensibilità


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diagnostica, ma - per le loro caratteristiche - non possono essere eseguiti da tutti laboratori “in urgenza”. Nel periodo analizzato, il Laboratorio Analisi dell’ASLTO3 ha utilizzato il sistema BD VeritorTM (Becton Dickinson), un immunodosaggio cromatografico rapido con lettura strumentale, finalizzato all’individuazione qualitativa diretta della proteina di fusione di RSV. Il campione è costituito da aspirati/lavaggi nasofaringei, con volumi di 1 – 3 mL. Per la raccolta si introduce delicatamente una piccola quantità di soluzione fisiologica nella cavità nasale dei pazienti e altrettanto delicatamente la si aspira; è anche possibile limitarsi a raccogliere il liquido in un contenitore sterile (e in questo caso si parlerà di “lavaggio”). L’analisi del campione è stata generalmente eseguita entro un’ora dalla raccolta; solo in rari casi il campione è stato conservato a 2 – 8° C, per un massimo di 24 ore, prima dell’analisi. Poiché un test negativo non permette di escludere in maniera assoluta l’infezione da RSV, in quanto nel campione la carica virale potrebbe non essere sufficientemente elevata da consentirne la rilevazione con il sistema in uso, nelle situazioni di negatività all’esame con clinica suggestiva e/o necessità di ricovero, è sempre opportuno ripetere il test utilizzando tecniche di biologia molecolare.

Risultati Prima dell’insorgenza della pandemia da SARS-CoV-2, le infezioni da RSV seguivano un tipico andamento stagionale, con un picco nel periodo invernale. Nello specifico dell’ASLTO3, nelle quattro stagioni invernali da quella 2016/2017 a quella 2019/2020 - a prescindere da due evenienze estemporanee (una ad aprile 2017, forse una “coda” del periodo infettivo, l’altra, caso isolato di incerta interpretazione, ad ottobre 2018) - i primi casi di positività al test per RSV si sono sempre manifestati a dicembre, gli ultimi a marzo. Completamente diversa la situazione nella stagione invernale 2020/2021, nella quale non è stato laboratoristicamente diagnosticato neanche un caso di bronchiolite da RSV. Al contrario, già nel mese di ottobre 2021 l’epidemia da RSV ha dato segni di avvio: si sono infatti riscontrate 3 positività. A seguire, nel mese di novembre 2021 si sono verificate ben 56 positività al test per RSV (tutte in bambini al di sotto di 5 anni, 43 al di sotto di un anno): un numero più elevato di quello rilevato nel complesso di una qualunque delle quattro “stagioni” precedenti. Per ulteriore confronto, abbiamo verificato che in nessuno dei mesi di novembre dal 2016 al 2020 è stato mai riscontrato un caso di positività al RSV.I nostri risultati sono riassunti nel grafico 1. GdB | Gennaio 2022

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A sinistra, grafico 1.

Discussione Uno studio australiano5 mostra nel 2020 l’assenza del picco di infezioni da RSV, nel periodo previsto sulla base della curva epidemica media degli otto anni precedenti, e corrispondente alla messa in atto delle restrizioni introdotte per far fronte al COVID-19, e un rapido e inusuale aumento in corrispondenza della fine delle medesime, prima ancora dell’apertura completa dei confini statali. Una ricerca belga1 volta ad esaminare il numero di test di laboratorio positivi per RSV nel 2020 riporta una riduzione del 99% circa, e l’assoluta assenza del picco (atteso per fine dicembre) anche a metà gennaio 2021. Gli autori concludono affermando che “It remains to be seen what will happen when hygiene/distance measures will be relaxed and pre-pandemic life will restart in Europe”. Ora abbiamo la risposta. Anche i dati provenienti dal Maimonides Children’s Hospital di Brooklyn, New York6, relativi alla positività per RSV al test di laboratorio nel periodo maggio 2016 – maggio 78 GdB | Gennaio 2022

2021 confermano quanto reperito nel nostro contesto locale. Nella stagione 2020-2021, nel periodo dell’anno tipico per infezione da RSV (da settembre a febbraio secondo la casistica del posto) manca il consueto picco di positività, che si è invece manifestata più avanti (aprile/maggio), conseguenza dell’allentamento delle misure di contenimento del SARSCoV-2. Altri ricercatori7 riprendono il concetto di debito immunologico8 (termine indicante la bassa protezione immunologica derivante da lunghi periodi di scarsa o nulla esposizione ad un determinato patogeno, col risultato di osservare poi una elevata percentuale di popolazione suscettibile alla malattia). Tale debito immunologico sarebbe all’origine del rapido e importante aumento di casi di infezione da RSV in Nuova Zelanda, successivo all’allentamento delle locali misure di contenimento. Gli autori riportano che l’impatto delle bronchioliti sul loro sistema sanitario è stato importante e temono che con l’arrivo dell’inverno nei paesi dell’emisfero nord si possa manifestare un’epidemia da RSV ancora più


Scienze

importante. Concludendo sottolineano l’importanza della preparazione delle strutture sanitarie “Planning for preventive measures is needed now”. Anche uno studio realizzato presso il Children’s Hospital of Wales3 riporta una marcata diminuzione dei pazienti con bronchiolite (senza nessun caso di RSV) nella stagione 20202021 e un rapido aumento dei casi riferibili a RSV in un periodo anomalo dell’anno – secondo l’esperienza del contesto locale - successivo anche qui all’allentamento delle misure di contenimento. Anche gli autori inglesi raccomandano l’importanza di poter essere pronti all’eventuale epidemia da RSV “Appropriate resource allocation and preparation is needed now”. I nostri dati ricalcano sostanzialmente quanto già osservato in diverse nazioni, ma hanno qualche elemento di novità rispetto alla tempistica del picco epidemico e suggeriscono alcune raccomandazioni, rispetto alla gestione locale del problema specifico, ma non solo. Nel caso della nostra ASL, l’epidemia si è manifestata in anticipo rispetto all’atteso e non esiste certezza che il picco sia già stato raggiunto a novembre 2021. Nella prima metà dicembre i test positivi per RSV sono stati 31, tutti bambini al di sotto di 5 anni di età, di cui ben 22 al di sotto di un anno. Quanto appreso durante il picco pandemico del 2020 ha reso i professionisti sanitari preparati ad affrontare adeguatamente richieste anche numerose di visite diagnostiche, e ad impostare percorsi terapeutici in regime di urgenza. L’impatto sui Reparti di Pediatria dell’epidemia da RSV tuttora in atto è stato comunque importante, soprattutto in termini assistenziali, in quanto l’82% dei bambini RSV positivi è stato ricoverato; di questi l’85 % ha richiesto ossigenoterapia o ventilazione non invasiva. Per il 28% dei bambini ricoverati è stato necessario il trasferimento presso il Centro di Riferimento Pediatrico di II° livello o una Rianimazione Neonatale, a causa del peggioramento del quadro respiratorio. Conclusioni È auspicabile che l’Italia, forte dell’esperienza derivante dall’impegno pluridecennale – peraltro con alterne fortune – nel contenimento del debito (pubblico), trovi rapidamente la progettualità e le risorse per affrontare anche i problemi derivanti dal debito “immunologico”, possibilmente senza pagare- anche in questo caso - interessi troppo elevati. Quello che è stato fatto per COVID-19 dovrebbe forse essere replicato (in scala per fortuna molto ridotta) anche per patologie come la bronchiolite da RSV dei bambini, allocando tempestivamente le risorse necessarie all’adeguamento/ampliamento dei reparti di degenza, alla formazione specifica degli operatori sanitari, all’eventuale acquisizione di nuova strumentazione clinica. Non è certo che l’epidemia in corso conceda il tempo ne-

cessario a provvedere adeguatamente in merito, ma questa considerazione non può giustificare immobilismo e rinvii. Allo stesso tempo non v’è certezza che una situazione simile non abbia a reiterarsi tra qualche tempo: in tal caso, arrivarci preparati sembra quantomeno doveroso. La speranza è che il Servizio Sanitario Nazionale riesca a fronteggiare i bisogni di salute futuri, correlati a situazioni emergenti di epidemie virali, al fine di garantire la tutela della salute di tutti i cittadini, in particolare i pazienti più piccoli e le persone più fragili.

Bibliografia 1 - Van Brusselen D, De Troeyer K, ter Haar E, et al. Bronchiolitis in COVID-19 times: a nearly absent disease? Eur J Pediatr 180 (6) 1969– 1973 (2021). 2 - Yeoh DK, Foley DA, Minney-Smith CA, et al. Impact of coronavirus disease 2019 public health measures on detections of influenza and respiratory syncytial virus in children during the 2020 Australian winter [published online ahead of print September 28, 2020] Clin Infect Dis doi:10.1093/cid/ciaa1475 3 - Hussain F, Khotecha S Edwards MO. RSV bronchiolitis season 2021 has arrived, so be prepared! (Letter) Arch Dis Child 2021; 106: e51. https://adc.bmj.com/content/106/12/e51 4 - Centers for Disease Control and Prevention Respiratory syncytial virus-associated mortality (RSV-associated mortality) 2019 case definition Available at: https://wwwn.cdc.gov/nndss/ conditions/respiratory-syncytial-virus-associated-mortality/case-definition/2019/. Accessed April 20, 2021 5 - Foley DA Yeoh DK Minney-Smith CA et al. The interseasonal resurgence of respiratory syncytial virus in Australian children following the reduction of coronavirus disease 2019–related public health measures [published online ahead of print February 17, 2021] Clin Infect Dis doi:10.1093/cid/ciaa1906 6 - Agha R, Avner JR. Delayed seasonal RSV surge observed during the COVID-19 pandemic. Pediatrics 2021; 148: e2021052089 7 - Hatter L, Eathorne A, Hills T et al Respiratory syncytial virus: paying the immunity debt with interest (correspondence) www.thelancet. com/child-adolescent Vol 5 December 2021e44 Published Online October 22, 2021 https://doi. org/10.1016/ S2352-4642(21)00333-3 8 - Cohen R, Ashman M, Taha MK, et al. Pediatric Infectious Disease Group (GPIP) position paper on the immune debt of the COVID-19 pandemic in childhood, how can we fill the immunity gap? Infect Dis Now 2021; 51: 418–23 GdB | Gennaio 2022

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Nuovi studi sul Mieloma multiplo pluritrattato Nuovi dati dagli studi MonumenTAL-1 su talquetamab e MajesTEC-1 su teclistamab, anticorpi bispecifici per il trattamento del mieloma multiplo, sono stati presentati al congresso ASH (American Society of Haematology) 2021

di Cinzia Boschiero

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alquetamab, anticorpo bispecifico primo della classe diretto contro l’antigene CD3 e contro il GPRC5D, non ha mostrato, secondo i nuovi risultati nello studio di fase 1 MonumenTAL-1 di definizione della dose, nuove segnalazioni di sicurezza. I pazienti con mieloma multiplo refrattario trattati con talquetamab con somministrazione sottocutanea (SC), secondo la dose raccomandata per la fase 2 dello studio (RP2D), settimanalmente (QW) o bisettimanalmente (Q2W), hanno raggiunto una risposta complessiva elevata, che è migliorata nel tempo.1 I dati aggiornati dello studio di fase 2 MajeSTEC-1 mostrano, dal canto loro, che il trattamento con teclistamab per via sottocutanea (SC), alla dose raccomandata per la fase 2 (RP2D) di 1,5 mg/kg, induce un tasso di risposta globale (ORR) pari al 62 per cento, ad un follow-up mediano di circa 8 mesi, in pazienti pluritrattati (n=150) e arruolati nella fase 1 e 2 dello studio, che hanno ricevuto precedentemente almeno tre linee di terapie e triplo-esposti.15 “Il mieloma multiplo è tuttora una malattia incurabile, con un tasso di mortalità elevato, specialmente nei pazienti con forme refrattarie o recidivate. Questi dati aggiornati sugli anticorpi bispecifici talquetamab e teclistamab supportano il loro potenziale come nuove terapie per rispondere ad un bisogno clinico finora non soddisfatto per quei pazienti che necessitano di nuove opzioni terapeutiche ha affermato Edmond Chan MBChB M.D. (Res), EMEA Therapeutic Area Lead Haematology, Janssen-Cilag Limited. Il mieloma multiplo è un tumore del sangue incurabile che riguarda una tipologia di globuli bianchi, le plasmacellule che si trovano nel midollo osseo.12 Quando queste cellule vengono danneggiate proliferano rapidamente e fanno sì che le normali cellule del midollo osseo vengano sostituite da quelle tumorali.8 In Europa, nel 2020 sono state diagnosticate oltre 50.900 persone con mieloma multiplo e sono morti oltre 32.500 pazienti.13 Mentre alcuni pazienti con mieloma multiplo non presentano alcun sintomo, la maggior parte viene diagnosticata proprio a causa dei sintomi che possono includere fratture o dolore alle ossa, riduzione dei globuli rossi, stanchezza, aumento dei livelli di calcio, problemi ai reni o infezioni.1

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Studio MonutenTAL-1: dati aggiornati sull’utilizzo di talquetamab in monoterapia Lo studio MonumenTAL-1 ha come obiettivi principali l’individuazione della dose sottocutanea di talquetamab per la fase 2 dello studio (parte 1) e la valutazione della sicurezza e tollerabilità alla dose raccomandata (parte 2).1 A partire da settembre 2021, 102 pazienti con mieloma multiplo refrattario o recidivato o resistente a terapie consolidate hanno ricevuto talquetamab per via sottocutanea.1 Nella parte 2 dello studio, 30 pazienti hanno ricevuto settimanalmente (QW) la dose raccomandata di fase due (RP2D), pari a 405 µg/kg, con incremento del dosaggio. Di questi, il 100 per cento era triplo-esposto, l’80 per cento era penta-esposto, il 77 per cento triplo-refrattario, il 20 per cento penta-refrattario ed infine il 27 per cento aveva precedentemente ricevuto una terapia anti-BCMA.1 Il 25 per cento dei pazienti ha ricevuto la dose bisettimanale (Q2W) raccomandata di fase 2 (RP2D) di talquetamab pari a 800 µg/kg. Di questi, il 92 per cento era triplo-esposto, il 68 per cento era penta-esposto, il 76 per cento era triplo-refrattario, il 24 per cento era penta-refrattario e il 16 per cento aveva precedentemente ricevuto una terapia anti-BCMA.1 Non sono state rilevate nuove segnalazioni di sicurezza.1 Gli eventi avversi (AE) più frequenti alla dose QW SC 405 µg/kg sono stati: sindrome da rilascio di citochine (CRS - 77 per cento; 3 per cento di grado 3), neutropenia (67 per cento; 60 per cento di grado 3/4) e disgeusia (60 per cento).1 La disgeusia riscontrata è stata di grado moderato ed ha richiesto generalmente solo qualche modifica della dose. Gli eventi avversi (AE) più frequenti alla dose Q2W SC 800 µg/kg sono stati CRS (72 per cento; tutti di grado 1/2), neutropenia (44 per cento; 36 per cento di grado 3/4) e xerostomia (40 per cento; tutti di grado 1/2).1 I casi di citopenia sono stati prevalentemente osservati durante l’incremento della dose, nei cicli 1 e 2, e sono risultati reversibili, inclusi i casi di neutropenia che si sono risolti in una settimana.1 Sono state osservate infezioni nel 33 per cento dei pazienti. Tuttavia, si è riscontrato un basso tasso di infezioni di alto grado (5 per cento di grado 3/4).1 Eventi avversi (AE)


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cutanei e alterazioni a carico delle unghie si sono verificati nel 75 per cento dei casi, tra questi l’esfoliazione (37 per cento, al dosaggio QW SC 405 µg/kg, 36 per cento al dosaggio bisettimanale Q2W 800 µg/kg, tutti di grado 1/2). Questi non hanno portato a modifiche nella terapia.1 Le reazioni a livello del sito di iniezione, tutte di grado 1/2, si sono verificate nel 16 per cento dei pazienti.1 È stato necessario l’impiego di farmaci di pretrattamento (tra cui glucocorticoidi, antistaminici e antipiretici) solo durante l’incremento della dose e alla somministrazione delle prime dosi piene. Non è risultata, invece, necessaria una terapia a base di steroidi dopo somministrazione della prima dose piena.1 “I pazienti affetti da mieloma multiplo necessitano di nuove opzioni terapeutiche,” ha affermato Amita Krishnan*, M.D., Chief, Division of Multiple Myeloma, Department of Haematology and Hematopietic Cell Transplantation, City of Hope Comprehensive Cancer Centre, Duarte, California e sperimentatrice principale dello studio. “Il profilo di sicurezza e le risposte durature presentati con questi nuovi dati ci suggeriscono che talquetamab, in entrambi i dosaggi valutati, potrebbe diventare una valida opzione terapeutica per pazienti pluritrattati.” Ad un follow-up mediano di nove mesi (range 0,9 – 17,1), il 70 per cento (21/30) dei pazienti valutabili trattati al dosaggio QW SC 405 µg/kg ha raggiunto una risposta, il 53 per cento ha raggiunto una risposta parziale molto buona (VGPR) o migliore, il 13 per cento una risposta completa (CR) o migliore e il 10 per cento ha raggiunto una risposta completa stringente (sCR). Ad un follow-up mediano di 4,8 mesi (range 0,4 – 11,1), il 67 per cento (14/21) dei pazienti valutabili trattati al dosaggio Q2W SC 800 µg/kg ha raggiunto una risposta, il 52 per cento

ha raggiunto una VGPR o migliore, il 19 per cento ha raggiunto una CR o migliore e il 10 per cento ha raggiunto una sCR.1 La durata mediana della risposta (DOR) non è stata raggiunta per alcuna dose.1 Tra i pazienti triplo-refrattari, il 65 per cento (15/23) di quelli trattati al dosaggio QW SC 405 µg/kg e il 67 per cento (12/18) di quelli trattati al dosaggio Q2W 800 µg/kg hanno raggiunto una risposta.1 Nei pazienti penta-refrattari, l’83 per cento (5/6) ha risposto in entrambi i gruppi di dosaggio.1 Questi nuovi dati forniscono uno sguardo sulle potenzialità di talquetamab in termini di sicurezza, efficacia e tollerabilità per i pazienti con mieloma multiplo refrattario o recidivato. Gli studi di questo nuovo anticorpo bispecifico, sia in monoterapia sia in combinazione con immunoterapici proseguono. Studio MajesTEC-1: dati aggiornati sull’utilizzo di teclistamab in monoterapia A partire da settembre 2021, nello studio MajesTEC-1 è stato somministrato teclistamab (dosaggio SC 1,5 mg/kg) a 165 pazienti.15 Gli obiettivi principali della fase 1 (NCT03145191) prevedono l’individuazione della dose raccomandata per la somministrazione sottocutanea (SC) per la fase 2 (RP2D) (parte 1) e la valutazione della sicurezza e della tollerabilità di teclistamab alla dose RP2D (parte 2).17 L’obiettivo della fase 2 dello studio (NCT04557098) è invece la valutazione dell’efficacia di teclistamab alla dose sottocutanea SC RP2D (1,5 mg/kg QW), valutata come tasso di risposta globale.15 A un follow-up mediano di circa 8 mesi, è stato osservato un tasso di risposta complessivo pari al 62 per cento (93/150, 95 per cento CI; 53,7 – 69,8). Il tasso di risposta complessivo è risultato costanGdB | Gennaio 2022

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te indipendentemente dal rischio citogenetico o dal grado di refrattarietà alla terapia precedente.15 Al cut-off clinico, non è stata raggiunta la durata mediana della risposta e l’88 per cento (82/93) dei pazienti era vivo e stava proseguendo il trattamento.15 I risultati dello studio suggeriscono che le risposte al trattamento con teclistamab sono state durature e sono migliorate nel tempo.15 Tra i partecipanti allo studio che hanno ottenuto una risposta, il tempo mediano alla prima risposta confermata è stato di 1,2 mesi (range 0,2 – 5,5 mesi).15 Il 58 per cento dei pazienti ai quali è stato somministrato teclistamab ha raggiunto una risposta parziale molto buona o migliore (VGPR), il 29 per cento ha raggiunto una risposta completa o migliore (CR) e il 21 per cento ha raggiunto una risposta completa stringente (sCR).15 All’analisi intention to treat, il 25 per cento dei pazienti (37/150) ha raggiunto la negatività della malattia minima residua (MRD) alla soglia di sensibilità di 10-5 (95 per cento CI; 18,0 – 32,4).15 Nei pazienti che hanno raggiunto una risposta completa o migliore, il tasso di negatività della MRD si è assestato al 42 per cento. Il tasso di sopravvivenza libera da progressione (PFS) a nove mesi è risultato pari al 59 per cento (95 per cento CI, 48,8 – 67,0). Non è stata raggiunta la sopravvivenza globale mediana (OS).15 “Nonostante siano state approvate nuove terapie mirate a pazienti con mieloma multiplo recidivato o refrattario triplo-esposti, i bisogni clinici ancora da soddisfare rimangono numerosi,” ha dichiarato Philippe Moreau+, M.D. Clinical Hematology, University Hospital Hôtel-Dieu, Nantes, in Francia e ricercatore dello studio. “Il tasso di risposta oggettivo osservato in questo studio suggerisce un beneficio potenziale del trattamento con teclistamab per i pazienti triplo-esposti, trattati con terapie standard.” Teclistamab ha mostrato un profilo di sicurezza gestibile. In nessun paziente è stata necessaria una riduzione del dosaggio.15 Gli eventi avversi non-ematologici più frequenti (AE) comprendono la sindrome da rilascio di citochine (CRS) (72 per cento; tutti di grado 1/2 fatta eccezione per un evento di grado 3, risolto completamente), eritema nel sito di iniezione (26 per cento, tutti di grado 1/2) e stanchezza (25 per cento, 2 per cento di grado 3/4).15 Gli eventi avversi ematologici (AE) più frequenti sono stati neutropenia (66 per cento, 57 per cento di grado 3/4), anemia (50 per cento, 35 per cento di grado 3/4) e trombocitopenia (38 per cento, 21 per cento di grado 3/4). Cinque pazienti (3 per cento, tutti di grado 1/2) hanno sviluppato una sindrome di neurotossicità (ICANS), che si è risolta in tutti i casi senza interruzione della terapia.15 Questi nuovi dati a lungo termine suggeriscono che i pazienti pluritrattati, che necessitano di nuove opzioni terapeutiche, possono raggiungere risposte durature e tassi di risposta globali elevati. Al congresso ASH 2021, inoltre, sono stati presentati ulteriori risultati, derivanti dallo studio TRIMM-2, sull’impiego di talquetamab e teclistamab in combinazione con la formulazione sottocutanea di daratumumab, anticorpo monoclonale anti-CD38 approvato nel trattamento di pazienti 82 GdB | Gennaio 2022

affetti da mieloma multiplo recidivato o refrattario. La combinazione teclistamab più daratumumab ha mostrato un profilo di sicurezza gestibile e un’efficacia preliminare in pazienti che hanno ricevuto in precedenza un minimo di tre linee di terapia. Analogamente, è stata osservata una adeguata tollerabilità per talquetamab più daratumumab nei pazienti che hanno ricevuto una media di sei linee di terapia.9 Talquetamab Talquetamab è un anticorpo bispecifico sperimentale primo della classe diretto contro GPRC5D, nuovo target del mieloma multiplo, e contro l’antigene CD3, coinvolto nell’attivazione dei linfociti T.1,3,4 I risultati di studi preclinici in modelli murini dimostrano che talquetamab induce la morte delle cellule di mieloma multiplo che esprimono GPRC5D mediata dalle cellule T attraverso il reclutamento e l’attivazione di cellule T CD3-positive, inibendo la formazione e la crescita del tumore5 Talquetamab è in corso di valutazione nella fase 1/2 per il trattamento del mieloma multiplo recidivato o refrattario (NCTO3399799) ed in studi combinati (NCT0458628).6,7 Teclistamab Teclistamab è un anticorpo bispecifico, in fase di sperimentazione, che reindirizza le cellule T e ha come bersaglio sia il BCMA che il CD3. Il BCMA (antigene di maturazione delle cellule B) è espresso ad alti livelli sulle cellule di mieloma multiplo. Teclistamab sembra reindirizzare le cellule T positive al CD3 verso le cellule di mieloma che esprimono il BCMA per indurre l’eliminazione delle cellule tumorali.18,19,20,21 I risultati degli studi pre-clinici dimostrano che teclistamab induce la morte di linee cellulari di mieloma e di cellule di mieloma provenienti da midollo osseo di pazienti con malattia pluritrattata. Teclistamab è in fase di sperimentazione sia come monoterapia (NCT04557080) sia in combinazione ((NCT04586426, NCT04108195, NCT04722146, NCT05083169).22,23,24,25 Nel 2020 la Commissione europea e la U.S. Food and Drug Administration (FDA) hanno concesso a teclistamab la designazione di farmaco orfano per il trattamento del mieloma multiplo. A gennaio 2021 e giugno 2021, teclistamab ha ottenuto la designazione PRIME (PRIority MEdicines), da parte dell’Agenzia Europea per i Medicinali (EMA) e la designazione Breakthrough Therapy (BTD) da parte della FDA. La designazione PRIME offre un’interazione potenziata, un dialogo anticipato per ottimizzare i progetti di sviluppo del farmaco e velocizza la valutazione di progressi scientifici avanzati che mirano a bisogni ancora insoddisfatti.26 La FDA conferisce la designazione BTD per velocizzare lo sviluppo e la revisione normativa di un farmaco sperimentale volto a trattare una condizione grave o mortale. Si basa su prove cliniche preliminari, le quali dimostrino che il farmaco può garantire un miglioramento sostanziale rispetto alla terapia standard in almeno un endpoint clinico significativo.27


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L1CAM come driver nelle cellule staminali del carcinoma ovarico e potenziale target terapeutico L1CAM è sia necessario che sufficiente per la genesi del carcinoma ovarico, sostiene la capacità delle OCSC di auto-rinnovarsi (self-renewal) creando un’esatta copia di se stesse, e promuove la chemioresistenza tumorale

di Marco Giordano* e Ugo Cavallaro*

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l carcinoma ovarico è caratterizzato da un alto tasso di mortalità. Con un tasso di sopravvivenza a 5 anni minore del 40%, è la quinta causa di morte per tumore tra le donne in Italia ed Europa (Sung et al., 2021) e il più letale tra le neoplasie femminili al mondo (https://www.cancer.org/cancer/ ovarian-cancer/about/key-statistics.html). Nonostante la risposta generalmente buona alla citoriduzione chirurgica del tumore primario seguita da chemioterapia adiuvante, nel 70% dei casi il carcinoma ovarico ricorre entro 3 anni dall’intervento e non risponde più alla chemioterapia standard, diventando così chemioresistente (Giornelli, 2016). Molti studi indicano le cellule staminali del carcinoma ovarico (ovarian cancer stem cells, OCSC) come le principali responsabili della disseminazione peritoneale e della recidiva del tumore. Tale ipotesi trova supporto nelle proprietà peculiari delle OCSC quali: basso ritmo proliferativo e conseguente resistenza ai chemioterapici che colpiscono selettivamente le cellule proliferanti; attivazione di pompe molecolari in grado di espellere i farmaci fuori dalla cellula; alto livello di adattamento (plasticità cellulare) a stadi fisiologici sfavorevoli quali flogosi e privazione di nutrimento; efficaci meccanismi di riparazione del danno al DNA causato dai farmaci; alterazioni dell’apparato apoptotico. Le OCSC, pur rappresentando una ridotta frazione della popolazione cellulare tumorale, sono pertanto un bersaglio terapeutico ottimale per il trattamento del tumore e per scongiurarne la recidiva. Tuttavia, data la conoscenza limitata della biologia di questa sottopolazione cellulare, non esiste a oggi una terapia efficace in grado di colpirle selettivamente. *

Istituto Europeo di Oncologia IRCCS, Milano.

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Su queste premesse, il nostro lavoro è partito dalla caratterizzazione molecolare delle OCSC con l’obiettivo principale di individuare fattori cruciali per la loro patofisiologia e utilizzarli come bersagli terapeutici per attaccare e eradicare il tumore. L1CAM è una proteina transmembrana per la quale il nostro gruppo ha dimostrato in precedenza un ruolo centrale nella proliferazione e tumorigenicità del tumore ovarico in aggiunta alla correlazione con una peggiore prognosi nelle pazienti (Zecchini et al., 2008). Dati di diversi laboratori, inoltre, hanno evidenziato l’associazione tra L1CAM e la chemioresistenza del carcinoma ovarico (Aktas et al., 2013; Roberts et al., 2016). Se considerate insieme al ruolo sopra descritto delle OCSC nel potenziale tumorigenico e nella resistenza alle terapie, queste osservazioni sollevano l’ipotesi di un legame causale tra L1CAM e il ruolo patogenetico delle OCSC. Nel nostro lavoro abbiamo riportato l’elevata espressione di L1CAM nelle OCSC e svelato il suo ruolo nelle proprietà specifiche di tali cellule. L1CAM è sia necessario che sufficiente per la genesi del carcinoma ovarico, sostiene la capacità delle OCSC di auto-rinnovarsi (self-renewal) creando un’esatta copia di se stesse, e promuove la chemioresistenza tumorale. Abbiamo inoltre chiarito il meccanismo d’azione che sottende alle sue funzioni, individuando una nuova via di segnalazione cellulare che si propone come poten-

Figura 1. Linea cellulare di carcinoma ovarico di alto grado sieroso Ov-90 coltivata in adesione (a) o in sospensione come sfere (b).


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ziale bersaglio farmacologico per la completa eradicazione delle OCSC. Il ruolo di L1CAM nelle OCSC Come modello sperimentale, abbiamo utilizzato la coltura delle cellule tumorali come sfere (Figura 1). Tale metodologia è ampiamente impiegata nell’ambito della ricerca sulle cellule staminali tumorali. Essa presenta due caratteristiche principali: i) coltivare le cellule in sospensione le induce a fronteggiare il cosiddetto fenomeno dell’anoikis (un segnale fortissimo di apoptosi cellulare indotto dall’assenza di ancoraggio ad un substrato), ii) coltivare le cellule in mezzi di coltura relativamente semplici nei quali solo le cellule più plastiche sono capaci di sopravvivere e proliferare. Dal momento che entrambe sono caratteristiche peculiari delle cellule staminali tumorali, queste hanno un vantaggio proliferativo e crescono come sfere in tali condizioni stringenti mentre le cellule più differenziate tendono a morire, con il risultato di arricchire la coltura di cellule staminali (Dontu et al., 2003; Ishiguro et al., 2017). Abbiamo pertanto applicato questo approccio alle colture derivate direttamente dalle pazienti (colture primarie) per studiare il ruolo di

L1CAM nelle OCSC. Il primo risultato ottenuto è stato l’aumento dell’espressione di L1CAM nelle OCSC rispetto al resto delle cellule non-staminali della popolazione, come peraltro già evidenziato per altri marcatori di OCSC tra i quali CD73 (Lupia et al., 2018). Per determinare se L1CAM fosse richiesto per le proprietà legate alla staminalità delle OCSC, abbiamo abrogato la sua espressione nella linea cellulare OVCAR3 mediante la tecnologia dell’RNA interference. Ciò ha causato una drastica riduzione della capacità di tali cellule di formare sfere (efficienza di formazione di sfere - SFE) rispetto alle cellule di controllo. Per verificare se L1CAM fosse anche sufficiente a conferire un fenotipo staminale alle cellule di carcinoma ovarico, abbiamo applicato un approccio complementare al silenziamento genico, inducendo l’espressione di L1CAM nella linea cellulare Ov90 che è endogenamente priva di L1CAM. L’espressione ectopica di L1CAM ha portato a un marcato aumento della formazione di sfere Ov90 rispetto alle cellule di controllo. In aggiunta, la maggiore clonogenicità indotta da L1CAM è mantenuta anche nel corso della propagazione delle sfere in generazioni successive. Questo risultato supporta ulteGdB | Gennaio 2022

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riormente il coinvolgimento di L1CAM nell’espansione e mantenimento del compartimento staminale delle cellule di carcinoma ovarico. La capacità di dare inizio al tumore (tumor initiation) è una proprietà delle cellule staminali cancerose che entra in gioco soprattutto quando esse devono innescare la crescita della recidiva. Abbiamo pertanto determinato l’impatto di L1CAM nella tumor initiation in vivo, inoculando cellule di tumore ovarico umane, manipolate per l’espressione o il silenziamento di L1CAM, in topi immunodeficienti. Il silenziamento di L1CAM ha quasi abolito la genesi tumorale, in quanto il tumore ha attecchito solo in un bassissimo numero di topi. Al contrario, i topi iniettati con le cellule che esprimevano L1CAM ectopicamente sviluppavano tumori. Nel complesso, i nostri test su modelli animali hanno indicato il ruolo causale di L1CAM nella capacità di tumor initiation delle cellule di carcinoma ovarico. I meccanismi che consentono di eludere i trattamenti chemioterapici e dare quindi origine alla recidiva tumorale sono estremamente rilevanti per l’azione patogenetica delle cellule staminali tumorali. Abbiamo osservato come le cellule staminali sovra-esprimenti L1CAM fossero più chemioresistenti al trattamento in vitro con paclitaxel. Essendo L1CAM una proteina di membrana, è un bersaglio terapeutico interessante in quanto più facile da aggredire farmacologicamente. Per verificare tale ipotesi, abbiamo trattato le cellule L1CAM-positive con un anticorpo monoclonale (CE7) che neutralizza la proteina (Arlt et al., 2006; Zecchini et al., 2008). La neutralizzazione di L1CAM endogeno comporta una significativa riduzione della formazione delle sfere sia in linee cellulari che in modelli derivati da paziente. Abbiamo inoltre osservato che l’inattivazione di L1CAM influenza la risposta delle OCSC alla chemioterapia, potenziando l’effetto citotossico del carboplatino sia su linee cellulari che su colture primarie, riducendo pertanto la loro chemioresistenza. Il meccanismo d’azione di L1CAM nelle OCSC Una volta evidenziato il ruolo cruciale della proteina L1CAM nel determinare le caratteristiche peculiari delle OCSC, abbiamo indagato in maniera più approfondita il meccanismo molecolare alla base di tale funzione. Abbiamo pertanto valutato l’impatto di L1CAM sul profilo trascrittomico delle OCSC. L’espressione ectopica di L1CAM ha portato alla regolazione differenziale di ben 1462 geni nelle colture staminali (Figura 2). La modulazione di un così alto numero di geni supporta l’ipotesi di un ruolo pleiotropico di L1CAM nella staminalità del tumore ovarico. Al fine di individuare percorsi molecolari (pathway) rilevanti per il tumore ovarico tra quelli alterati da L1CAM, i dati trascrittomici sono sta86 GdB | Gennaio 2022

ti analizzati mediante Ingenuity Pathway Analysis (IPA, https://www.qiagenbioinformatics.com/products/ingenuity-pathway-analysis), uno strumento bioinformatico che colloca i risultati sperimentali nel contesto dei sistemi biologici (Krämer et al., 2014). Tra le vie molecolari più fortemente regolate da L1CAM è emersa quella di della citochina interleuchina 6 (IL-6). La Gene Set Enrichment Analysis (GSEA) ha confermato l’arricchimento dei geni coinvolti nel pathway di STAT3 nelle OCSC che over-esprimevano L1CAM rispetto alle cellule di controllo. Pertanto, le analisi bioinformatiche hanno suggerito il coinvolgimento di STAT3 a valle di L1CAM. STAT3 è un fattore di trascrizione coinvolto in una miriade di processi tumorali (Liang et al., 2020) che per espletare le sue funzioni necessita di essere attivato mediante la fosforilazione (pSTAT3) del residuo di tirosina in posizione 705 (Tyr705). Di fatto, abbiamo osservato un aumento dell’attivazione di STAT3 nelle cellule che esprimevano L1CAM sia nella popolazione cellulare in adesione che nelle OCSC, confermando sperimentalmente le analisi in silico sopra riportate. Al contrario, il


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silenziamento di L1CAM nelle OCSC riduceva pSTAT3, implicando L1CAM come fattore sia sufficiente che necessario per l’attivazione di STAT3. In quanto fattore di trascrizione, l’attività di STAT3 è correlata anche alla sua localizzazione nucleare (Levy and Darnell, 2002). L1CAM aumentava anche la traslocazione della forma attiva di STAT3 nel nucleo sia in linee cellulari che in tessuti di tumore ovarico di alto grado sieroso. In questi ultimi abbiamo inoltre dimostrato la co-localizzazione di L1CAM e pSTAT3 (Figura 3). Nel complesso, queste osservazioni indicano che L1CAM stimola l’attivazione di STAT3 nelle OCSC e suggerisce che il cross-talk tra queste due proteine potrebbe contribuire all’evoluzione clinica della malattia. Guidati da queste evidenze, abbiamo verificato se l’attività di STAT3 fosse cruciale per la funzione di L1CAM nelle OCSC, trattando queste ultime con l’inibitore di STAT3 Napabucasin, (Li et al., 2015). La capacità sferogenica delle cellule che esprimevano L1CAM veniva drasticamente ridotta dopo trattamento con Napabucasin, mentre nessun effetto significativo è stato osservato

nelle cellule di controllo. In un altro set di esperimenti, Napabucasin aumentava notevolmente la sensibilità al chemioterapico paclitaxel nelle OCSC che esprimevano L1CAM, indicando il coinvolgimento di STAT3 nella chemioresistenza indotta da L1CAM. In aggiunta, la combinazione di paclitaxel e Napabucasin induceva apoptosi specificatamente nelle cellule L1CAM-positive, mostrando un effetto più forte di entrambi i farmaci da soli. Questi risultati suggeriscono che sia la formazione di sfere L1CAM-dipendente sia la chemioresistenza delle cellule staminali di carcinoma ovarico siano mediate dai segnali molecolari regolati da STAT3. Per determinare se STAT3 fosse richiesto anche per l’inizio del tumore indotto da L1CAM, abbiamo iniettato topi immunodeficienti con cellule di tumore ovarico e trattati con Napabucasin. La tumorigenicità delle cellule esprimenti L1CAM si riduceva marcatamente dopo l’inibizione di STAT3: il tumore ha attecchito solo nel 50% dei topi trattati con Napabucasin, al contrario del 100% di attecchimento nei topi di controllo. Oltre a ridurre la tumorigenesi, l’inibizione di STAT3 ha anGdB | Gennaio 2022

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Figura 2. L1CAM induce l’espressione differenziale di 1462 geni. La heatmap mostra i geni modulati da L1CAM nelle cellule adese o nelle sfere. Le gradazioni di colore indicano i geni indotti (in giallo) o ridotti (in blu) da L1CAM.

che causato un drammatico ritardo nella crescita dei tumori che esprimevano L1CAM, ma non nei controlli. Pertanto, l’inibizione farmacologica di STAT3 blocca sia l’attecchimento del tumore L1CAM-dipendente che la sua crescita. La fosforilazione di STAT3 avviene comunemente ad opera della chinasi JAK1/2 (Kaptein and Saunders, 1996). Avendo precedentemente dimostrato un asse L1CAM/JAK/STAT3 nelle cellule endoteliali (Magrini et al., 2014), abbiamo ipotizzato una situazione analoga anche nelle OCSC. Contrariamente alle aspettative, l’inibizione chimica di JAK1/2 non ha influito sulla capacità sferogenica di tali cellule, suggerendo un effetto indipendente da JAK. Nella ricerca di un meccanismo alternativo di attivazione di STAT3 a valle di L1CAM, ci siamo concentrati su SRC, che è stato identificato in precedenza come una chinasi non canonica di STAT3 che fosforila quest’ultimo a livello dello stesso residuo Tyr705 (Schreiner et al., 2002). Le OCSC sovraesprimenti L1CAM mostravano una maggiore attivazione costitutiva di SRC rispetto alle cellule di controllo mentre il silenziamento di L1CAM endogeno riduceva notevolmente il livello di attivazione di SRC. Inoltre, trattando le OCSC sovraesprimenti L1CAM con l’inibitore di SRC SU6656 (Blake et al., 2000), abbiamo inibito la fosforilazione costitutiva di STAT3, dimostrando per la prima

Figura 3. Sezione istologica di una biopsia di tumore ovarico di alto grado sieroso. Le frecce indicano le cellule tumorali nelle quali L1CAM, visibile nella membrana (rosso) viene co-espresso con il fattore di trascrizione STAT3 (marrone) visibile nel nucleo.

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volta che nelle OCSC SRC agisce da attivatore alternativo di STAT3. Inoltre, l’inibizione di SRC riduceva il potenziale sferogenico delle cellule tumorali che esprimono L1CAM portandolo al livello delle cellule di controllo. Nell’insieme, questi dati supportano la rilevanza funzionale del link tra SRC e STAT3 nella staminalità del tumore ovarico indotta da L1CAM. I risultati fin qui descritti non chiarivano tuttavia quale meccanismo molecolare leghi L1CAM e la via SRC/ STAT3. Nel tentativo di identificare tale meccanismo, abbiamo considerato il comportamento della molecola di adesione cellulare NCAM, una proteina che ha molti tratti strutturali e funzionali in comune con L1CAM (Cavallaro and Christofori, 2004). NCAM stimola la funzione del recettore 1 del fattore di crescita dei fibroblasti (FGFR1) che, avendo una funzione chinasica, attiva SRC mediante sua fosforilazione (Francavilla et al., 2009). Insieme alla capacità di L1CAM di stimolare la segnalazione di FGFR1 (Kulahin et al., 2008; Mohanan et al., 2013), queste osservazioni suggerivano che FGFR1 potesse rappresentare il legame molecolare mancante tra L1CAM e SRC/STAT3. In effetti, la sola espressione ectopica di L1CAM nelle OCSC è risultata sufficiente ad attivare FGFR1 potenziandone la propria autofosforilazione in risposta al suo ligando canonico FGF2. Questi dati implicano che la stimolazione di FGFR1 da parte di L1CAM potrebbe coinvolgere un’interazione fisica tra le due proteine. In linea con tale ipotesi, mediante co-immunoprecipitazione abbiamo dimostrato la formazione di un complesso tra L1CAM e FGFR1. Infine, in presenza di PD173074 (inibitore di FGFR) la capacità clonogenica delle OCSC sovraesprimenti L1CAM si è ridotta notevolmente, il che dimostra la rilevanza funzionale di questa interazione. Dopo aver implicato FGFR1 come effettore di L1CAM nelle OCSC, abbiamo verificato se la cascata di segnali a valle di L1CAM/FGFR1 coinvolgesse SRC e/o STAT3. L’inibizione di FGFR ha abolito la fosforilazione sia di SRC che di STAT3 nelle cellule che esprimono ectopicamente L1CAM, supportando così l’idea che questo evento sia mediato dalla segnalazione di FGFR1. Poiché L1CAM di per sé è sufficiente per promuovere formazione di sfere anche in assenza di EGF e FGF2, abbiamo verificato se la sua cascata di segnalazione molecolare fosse attivata anche in condizioni così stringenti. Abbiamo in effetti osservato l’attivazione costitutiva di FGFR1 così come di SRC e STAT3, confermando il ruolo di L1CAM come driver delle proprietà intrinseche delle OCSC anche in assenza di stimoli esogeni. Nel complesso, questi dati hanno svelato un nuovo asse L1CAM/FGFR1/SRC/STAT3 (Figura 4) che induce e promuove le proprietà legate alla staminalità del tumore ovarico e, di conseguenza, all’evoluzione spesso


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infausta di questa neoplasia. Un importante corollario di questo studio è che strategie terapeutiche che interferiscano con l’attività di L1CAM potrebbero aprire la strada a nuovi trattamenti finalizzati all’eliminazione delle OCSC. A loro volta, questi trattamenti si proporrebbero come terapie innovative per ottenere l’eradicazione del tumore ovarico, e in particolare della recidiva, contribuendo in modo determinante al miglioramento della prognosi e della qualità della vita delle pazienti affette da una patologia così devastante.

Figura 4. Rappresentazione grafica della nuova via molecolare L1CAM/FGFR1/SRC/ STAT3 individuato nelle OCSC.

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Zoonosi a trasmissione alimentare e politiche europee Il controllo delle zoonosi a trasmissione alimentare nelle politiche europee

di Alessandra Mazzeo*

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e zoonosi sono infezioni e infestazioni trasmesse dall’animale all’uomo. Gli agenti zoonotici, in quanto trasmissibili tra ospiti classificati in diversi taxa, sono patogeni con spettro d’ospite non ristretto, la cui sopravvivenza in natura è garantita dalla specie animale reservoir, che generalmente non presenta sintomatologia clinica e che, conseguentemente, può risultare difficilmente individuabile. La promiscuità tra animali d’allevamento e fauna selvatica aumenta il rischio di trasmissione di patogeni e di eventuali nuovi spillover, ovvero dell’adattamento di un patogeno a una nuova specie ospite, di cui quella umana è di prioritaria importanza; con la promiscuità, quindi, aumenta il rischio di emersione di nuove zoonosi. Tale promiscuità è favorita dalla deforestazione e dalla distruzione di aree naturali, che spingono le specie selvatiche a invadere nuovi areali e ad arrivare nell’ambiente antropico; si sottolinea che il 75% delle aree terrestri ha subito alterazioni indotte dalle azioni dell’uomo. Secondo la World Animal Health Organization (OIE), le zoonosi rappresentano il 60% delle patologie infettive/infestive umane e il 75% di quelle emergenti. L’80% dei patogeni di origine animale, inoltre, ha un forte potenziale come agente di bioterrorismo [1]. La trasmissione orizzontale delle zoonosi all’interno della singola specie ospite e tra ospiti di specie diverse può essere: - diretta, caratterizzata da uno stretto intervallo spaziale e/o temporale tra il soggetto escretore del microrganismo e il soggetto recettivo; - indiretta, caratterizzata da un ampio intervallo spaziale e/o temporale che dipende dalla resistenza del patogeno al di fuori dell’ospite; può instaurarsi tramite numerosi mezzi e veicoli di

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Biologo. Specialista in Microbiologia e Virologia

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trasmissione; - tramite vettori, che possono fungere da meri trasportatori meccanici di patogeni o esserne infettati e, in tale evenienza, la trasmissione avviene con propagazione, ovvero con aumento della carica infettante. All’interno di ciascuna specie ospite, si ha trasmissione verticale se la generazione parentale trasmette l’agente zoonotico alla generazione filiale per via spermatica, transovarica, transplacentare o trofogena. Le zoonosi a trasmissione alimentare (ZTA), attraverso la commercializzazione globale degli alimenti, possono raggiungere anche individui che non hanno mai avuto a che fare con gli animali infetti o con il loro ambiente. Esse sono trasmesse all’uomo per via indiretta, attraverso: - alimenti contaminati all’origine, perché ottenuti da animali infetti; - alimenti contaminati nelle varie fasi di produzione, commercializzazione e fino all’uso domestico. Il consumatore, una volta infettato, generalmente diviene egli stesso sorgente di infezione per animali e uomo, oltre che di contaminazione per alimenti e ambiente. È, quindi, palese che Uomo - Animali - Ambiente costituiscano un unico e inseparabile sistema, in cui la salute umana e


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quella animale sono interdipendenti e legate alla salute dell’ecosistema in cui vivono; esse, pertanto, vanno considerate come One Health [1]. L’approccio One Health è adottato nelle politiche mondiali da: • World Health Organization (WHO); • Food and Agriculture Organization of the United Nations (FAO); • World Animal Health Organisation (OIE); • European Union (EU); • USA, dove i Centers for Disease Control and Prevention (CDC – Atlanta, GA) hanno attivato The National Center for Emerging and Zoonotic Infectious Diseases che “si occupa di zoonosi dalla A alla Z, ovvero da Antrace A Zika, perché viviamo in mondo interconnesso in cui un focolaio di malattia infettiva è distante appena un volo d’aereo” [2]. La One Health è approdata, poi, al Vertice Mondiale sulla Salute / Global Health Summit, tenutosi a Roma nel maggio del 2021. Nella Dichiarazione di Roma, emessa a conclusione del Vertice, la necessità dell’adozione dell’approccio One Heal-

th è affermata più volte [3]. Nell’Unione Europea, la One Health si sovrappone all’European Green Deal, il piano della Commissione Europea (EC Green Deal Plan) per arrivare entro il 2050 all’obiettivo di «impatto ambientale ZERO», attraverso l’adozione di misure specifiche per rendere l’economia circolare, riducendo concomitantemente l’uso pesticidi, di fertilizzanti e di antibiotici per limitare il pericolosissimo e allarmante fenomeno dell’antibioticoresistenza, che sta dilagando [4]. Il Green Deal rilancia la Farm to Fork Strategy, per un sistema alimentare salutare e ecosostenibile da ottenere anche attraverso il public engagement, ovvero la responsabilizzazione dei consumatori nelle scelte di alimenti ottenuti in modo sostenibile. Il public engagement va stimolato con il miglioramento dell’etichettatura degli alimenti, che dovrà includere le informazioni relative all’ambiente di produzione e agli aspetti sociali. In tal modo saranno facilitate le scelte dei consumatori nella direzione di diete salutari e nel contempo sostenibili, che consolidino le piccole aziende rendendo proficua l’attività di imprese agricole e zootecniche che adottino l’economia circolare © urfin/shutterstock.com

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[5]: va cioè innescato un meccanismo di premialità per coloro che producono nel rispetto degli obiettivi del Green Deal, che porti il consumatore a benefici effetti sulla salute, sia per quanto riguarda gli alimenti, che il miglioramento delle condizioni ambientali. L’etichettatura diventa, quindi, uno strumento molto importante per il public engagement finalizzato al raggiungimento degli obiettivi del Green Deal, tanto che la Commissione Europea ha proposto la revisione del Food Information to Consumers (FIC) Regulation e sta considerando di proporre l’estensione delle indicazioni obbligatorie di origine e provenienza a varie categorie di alimenti [6]. Nei territori in cui incidono il Green Deal e la Farm to Fork Strategy - con obiettivi importanti e improrogabili - la presenza di zoonosi provoca, però, il disallineamento delle politiche europee a causa dell’aumento dei costi d’allevamento dovuti alle patologie causate dagli agenti zooonotici, mentre la resa d’allevamento diminuisce a causa delle stesse patologie zoonotiche che inducono sia l’abbassamento della produttività animale, che la minore fertilità e resa riproduttiva. I costi dei prodotti aziendali, quindi, aumentano e conseguentemente aumenteranno i prezzi di mercato. Il tutto porta alla diminuzione di competitività dei prodotti locali, che può 92 GdB | Gennaio 2022

determinare il fallimento della Farm to Fork Strategy e, di conseguenza, del Green Deal (figura 1), [7, 8]. Il controllo delle zoonosi - e in particolare delle ZTA - diviene dunque un tassello fondamentale anche per la salute del pianeta e va affrontato con l’approccio One Health, basato su monitoraggio, sistemi di allarme rapido, azioni congiunte e coordinamento da predisporre e applicare a livello mondiale, oltre che locale [9]. Il controllo delle zoonosi nell’UE è regolamentato dalla Direttiva 2003/99/CE [10], che riporta nella LISTA A le zoonosi da sottoporre a controllo obbligatorio, tra cui figurano le principali ZTA, come la Brucellosi Bovina e Bufalina, la Tubercolosi Bovina e Bufalina, le Salmonellosi negli Avicoli e la Trichinellosi. I singoli Stati Membri (SM) attivano Piani Nazionali di Controllo (PNC) in produzione primaria (riportati nella sezione del portale del Ministero della Salute dedicata al Piano Nazionale Pluriennale 2021- 2023 / Sanità Animale [11]), obbligatori, eventualmente cofinanziati dalla Commissione Europea (CE), [12], e armonizzati in modo da rendere i risultati comparabili, grazie ai metodi d’analisi messi a punto, validati e diffusi dall’European Union Reference Laboratory (EURL), [13], che li trasferisce ai singoli National Reference Laboratory (NRL),


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[14], di ogni SM, che a sua volta li diffonde capillarmente ai laboratori del proprio territorio nazionale. In Italia, I PNC vengono redatti - di concerto con il Ministero della Salute - dai Centri di Referenza Nazionale (CRN) istituiti presso gli Istituti Zooprofilattici Sperimentali [15]. Altri piani vengono attivati come facoltativi, in base alla situazione epidemiologica di specifici territori per quanto concerne le zoonosi comprese nella LISTA B della Direttiva 2003/99/CE. I PNC si basano su: - diagnosi (generalmente sierologica, per evidenziare l’infezione del capo di bestiame anche quando non vi è possibilità di prelevare campioni utili alla diagnosi diretta tramite rilevamento e identificazione e dell’agente zoonotico ricercato); - individuazione ed eliminazione dei capi infetti; - attribuzione della qualifica «Ufficialmente Indenne» (UI) / «Officially Free» (OF) a allevamento e, progressivamente, all’intera Provincia, Regione e Stato Membro in cui la zoonosi sia stata eradicata; - il divieto di vaccinazione, che è generalmente sancito; - misure di biosicurezza, che devono essere adottate in modo ferreo, perché in presenza del PNC si crea una popolazione di animali che non ha nessuna conoscenza immunologica dello specifico agente zoonotico, sia perché il territorio UI è libero dal patogeno, sia perché non c’è stata alcuna sollecitazione alla risposta immunitaria in quanto manca la protezione vaccinale a causa del divieto di vaccinazione. L’antibioticoterapia non è consentita, mentre la vaccinazione può essere autorizzata in caso di grave emergenza; in quest’ultimo caso, per ottenere la qualifica «UI» non dovranno essere ancora presenti capi vaccinati in allevamento. I PNC si distinguono in «piani di eradicazione», se la zoonosi è presente nella popolazione animale, e «piani di sorveglianza» se la zoonosi è stata eradicata e si deve controllare che non sia riemergente. La sorveglianza, a sua volta, viene distinta in: - sorveglianza attiva, che comporta controlli ufficiali negli allevamenti per individuare eventuali capi infetti; - sorveglianza passiva, che induce l’attivazione di controlli ufficiali solo su segnalazione di casi sospetti. I dati relativi a: - risultati ottenuti in produzione primaria in applicazione dei PNC; - casistiche umane; - analisi degli alimenti; - analisi dei mangimi; - antibioticoresistenza; confluiscono in The European Union One Health Zoonoses Report, pubblicato congiuntamente dall’European Food Safety Authority (EFSA) e dall’European Center for Disease Prevention and Control (ECDC), in open access, con cadenza annuale [16, 17]. Nel report pubblicato nel 2021, relativo ai dati del 2020,

Salmonella rimane l’agente eziologico più frequentemente riportato negli episodi di zoonosi a trasmissione alimentare nella UE e i patogeni considerati in relazione agli alimenti di maggior rischio sono risultati essere: Salmonella in uova e derivati; norovirus in crostacei e molluschi (inclusi i bivalvi); Listeria monocytogenes in pesci e prodotti a base di pesce [16]. Analogamente, l’ECDC ha pubblicato in open access i dati sull’antibioticoresistenza [18] e, congiuntamente con l’EFSA, il report The European Union Summary Report on Antimicrobial Resistance in zoonotic and indicator bacteria from humans, animals and food in 2018/2019 [19]. PIANO NAZIONALE DI CONTROLLO DELLA BRUCELLOSI BOVINA E BUFALINA Il Genere Brucella annovera le seguenti specie: • abortus* – biovar 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 9 • melitensis* – biovar 1, 2, 3 • suis – biovar 1*, 2*, 3, 4*, 5 • neotomae • ovis • canis* • ceti • pinnipedialis • microti • inopinata • papionis • vulpis, sp. nov. di cui B. abortus, B. melitensis, B. canis e i biovar 1, 2 e 4 di B. suis sono patogene per l’uomo. La brucellosi - malattia infettiva e contagiosa a diffusione mondiale, che colpisce molte specie di mammiferi - nel territorio della UE è sottoposta a piani obbligatori di eradicazione, limitatamente alle specie bovina, bufalina, ovina e caprina, nelle quali causa infezioni genitali, perdita dei prodotti del concepimento, riduzione della portata lattea, ipofecondità e sterilità. Tali piani sono finalizzati a stroncare i danni che la Brucella abortus - agente eziologico della Brucellosi Bovina e Bufalina - e la B. melitensis - agente eziologico della Brucellosi Ovina e Caprina - arrecano al patrimonio zootecnico e all’uomo, suscettibile all’infezione zoonotica [20]. La Direttiva 2003/99/CE include il controllo della brucellosi nella prima fascia di priorità. La normativa in vigore fino al 22 giugno 2022 è l’Ordinanza Ministeriale del 23.06 2021 [21]. La trasmissione all’uomo di B. abortus e B. melitensis può instaurarsi dall’animale infetto per via diretta o indiretta, in ambito professionale (animali infetti e loro prodotti, secreti, escreti e, soprattutto, aborti e invogli fetali) o, più frequentemente, per ingestione di alimenti contaminati all’origine o durante la produzione (latte crudo e derivati non sottoposti a trattamento termico; aggiunta di latte crudo alla ricotta). Il latte e i prodotti derivati assumono particolare importanza nella trasmissione zoonotica, a causa della localizzazione GdB | Gennaio 2022

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mammaria delle brucelle durante il processo infettivo innescato nell’animale. La Brucellosi Bovina e Bufalina è una malattia venerea: • nel maschio si ha localizzazione agli organi genitali (con insorgenza di orchite e epididimite) e alle strutture annesse (vescicole seminali, prostata, ghiandole bulbouretrali); • ne consegue la trasmissione attiva del toro infetto nell’accoppiamento. In condizioni naturali l’infezione si realizza attraverso le mucose orale, del digerente, vaginale, oculocongiuntivale, respiratoria (rara) o soluzioni di continuità della cute, a cui seguono: • insediamento delle brucelle nei linfonodi regionali, con fagocitosi da parte di macrofagi e altre cellule fagocitarie, al cui interno le brucelle si moltiplicano, essendo patogeni endocellulari facoltativi che resistono ai processi di uccisione intrafagocitaria dei macrofagi; • iperplasia e granulomi; • batteriemia primaria, con successiva localizzazione: - in milza, fegato, midollo osseo e linfonodi, con iperplasia e granulomi; - in utero, se l’infezione avviene dopo il quinto mese di gravidanza; • batteriemia secondaria al IV-V mese di gravidanza, se la bovina era stata infettata quando non era gravida, con localizzazione in utero, placenta e feto (figura 2), [22]. L’infezione causa gravi problemi zooeconomici dovuti a: • perdita di prodotti del concepimento; • ipofecondità o sterilità; • diminuzione della portata lattea (10%); • aumento dell’incidenza delle malattie neonatali. L’aspetto epidemiologicamente più rilevante è l’aborto con eliminazione di miliardi di brucelle, che sono anche presenti: • nei parti prematuri; • nei parti a termine, con nascita di capi infettanti; • nei parti a termine, con nascita di vitelli portatori latenti, che sono: - infetti; - asintomatici; - sieronegativi; e che, rimanendo come serbatoi non identificabili, complicano i piani di eradicazione e controllo. Il Piano Nazionale di Controllo della Brucellosi Bovina e Bufalina si basa soprattutto sulla diagnosi sierologica (eseguita in campioni di siero ematico di ciascun bovino di età superiore a 6 mesi, prelevati in allevamento dai Servizi Veterinari preposti all’esecuzione del PNC) per il rilevamento di anticorpi contro Brucella abortus (ma con gli stessi test è evidenziabile anche l’infezione da B. melitensis) presenti nel siero ematico degli animali infetti, al cui esito positivo seguono: • marcatura dei capi risultati infetti agli esami sierologici condotti sull’allevamento con cadenza periodica; • abbattimento dei capi positivi (oppure stamping out), sotto controllo degli ufficiali veterinari; 94 GdB | Gennaio 2022

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• corresponsione di un indennizzo agli allevatori; • attribuzione della qualifica di allevamento bovino Ufficialmente Indenne (UI) da Brucellosi / Officially Brucellosis Free in cattle (OBF) agli allevamenti i cui capi risultino: - negativi ai test periodici, ovvero tutti gli animali di età superiore ai 12 mesi hanno presentato esito negativo a due prove sierologiche ufficiali praticate ad un intervallo di tempo compreso tra 4 mesi e 8 mesi (eseguiti a partire dai 6 mesi di età); - esenti da sintomatologia clinica da più di 6 mesi; - non vaccinati e, per quanto concerne gli animali di nuova introduzione, nessuna introduzione di bovini privi di attestato di un veterinario ufficiale dal quale risulti la provenienza da allevamento UI. Il Piano è stato attuato sin dal DM 651/94: Regolamento concernente il piano nazionale di eradicazione della brucellosi negli allevamenti bovini, poi esteso agli allevamenti bufalini con il successivo D. Lgs. 196/99. Con l’Ordinanza 09.08.2012 sono state previste specifiche misure sanitarie per il controllo della brucellosi nelle Regioni del Sud Italia a maggiore positività (Calabria, Campania, Puglia e Sicilia) che, come evidenziato in figura 3, ancora persiste. I provvedimenti specifici presi per le suddette Regioni sono stati poi rafforzati ed estesi all’intero territorio nazionale con l’emanazione dell’Ordinanza Ministeriale del 28.05.2015 - e s. m. i. (O.M. 06/06/2017 e O.M. 11/05/2018) - che tra l’altro prevede l’abbattimento coatto dell’intero effettivo d’allevamento (stamping out) in condizioni di elevato rischio epidemiologico per brucellosi (e tubercolosi). L’ordinanza 28.05.2015 stabilisce, inoltre, l’obbligatorietà di segnalare all’Animal Disease Notification System (ADNS) i focolai presenti nei territori UI. Ulteriori proroghe sono state disposte dalle ordinanze mini-


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steriali del 2019, del 2020 e del 23 giugno 2021, che sanciscono che la programmazione dei controlli va inserita nel sistema informativo SANAN entro il primo bimestre dell’anno di riferimento e ribadisce il divieto - con l’eccezione degli Istituti Zooprofilattici Sperimentali, dell’Istituto Superiore di Sanità e dei Veterinari del Servizio Sanitario Nazionale preposti ai controlli previsti dal PNC - di commercializzazione, detenzione ed utilizzazione di materiali per la diagnosi delle infezioni da Brucella abortus, Brucella melitensis e Brucella suis, che occasionalmente infetta i bovini ed è patogena per l’uomo. La vaccinazione è vietata, ma autorizzabile in caso di emergenza epidemiologica. In presenza di capi vaccinati, gli allevamenti non infetti assumono la qualifica di «Indenne» (I), che prevede la presenza di femmine vaccinate con Buck 19 o RB51 (quest’ultimo ha provocato zoonosi negli USA) e l’introduzione di capi vaccinati con reazione sierologica negativa alla prova per la brucellosi effettuata entro 30 giorni prima dell’introduzione. I Piani Nazionali di Controllo per Brucellosi sono redatti annualmente dal Ministero della Salute in collaborazione con il Centro di Referenza Nazionale per le Brucellosi istituito presso l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Abruzzo e del Molise “Giuseppe Caporale”, che è anche sede del Laboratorio Nazionale di Riferimento (NRL) che fa capo all’European Union Reference Laboratory for Brucella, istituito presso l’ANSES - Animal Health Laboratory (Agence nationale de sécurité sanitaire de l’alimentation, de l’environnement et du travail - Laboratoire de santé animale), Maisons-Alfort (FR). Tali PNC prevedono due controlli annuali nelle aziende e la possibilità di diradare i controlli, passando dalla fase di eradicazione alla fase di sorveglianza attiva: ad esempio va eseguita una sola prova sierologica all’anno nelle Province o Regioni dichiarate Ufficialmente Indenni da almeno 2 anni.

Il Ministero soddisfa i debiti informativi con la Commissione Europea, che cofinanzia i Piani, trasmettendo relazioni intermedie ed annuali per rendicontare le attività cofinanziate dalla CE, condotte sul territorio nazionale. Diagnosi diretta - Si ricorre alla diagnosi diretta nei casi di sospetto clinico procedendo a esami colturali, con successiva tipizzazione basata sulle caratteristiche del metabolismo ossidativo, colturali, biochimiche, sierologiche e di sensibilità alla lisi indotta dai fagi. Gli esami vanno condotti su campioni clinici/ biologici costituiti da secrezioni uterine, feti abortiti, secrezioni mammarie, linfonodi, organi riproduttivi maschili e femminili. Sono utili i metodi di riconoscimento di sequenze genomiche specifiche (PCR). Diagnosi sierologica - È il presidio diagnostico su cui si basa il PNC, che dispone il rilevamento di anticorpi contro Brucella abortus e B. melitensis (che, se presenti nel siero ematico degli animali, indicano infezione) secondo quanto sancito dall’O. M. del 23.06.2021 [21], che richiama l’allegato III del regolamento delegato (UE) n. 2020/689 (consecutivo alla Decisione della Commissione n. 984 del 10 dicembre 2008, esplicitamente richiamata nel Manual of Diagnostic Tests and Vaccines for Terrestrial Animals redatto e divulgato online dalla World Animal Health Organization (OIE), valido anche ai fini degli scambi internazionali di animali e di prodotti di origine animale). La presenza di antigeni comuni (Ag A e Ag M) ad entrambe le specie di B. abortus (in cui prevale l’antigene A) e B. melitensis (in cui prevale l’antigene M) semplifica la processazione dei campioni in laboratorio, in quanto può essere utilizzato come unico microrganismo di riferimento la Brucella abortus biovariante 1 a colonie lisce S99 Weybridge per il rilevamento degli anticorpi elicitati da entrambe le suddette specie di Brucella, [22]. B. abortus, infatti, può infettare gli ovi-caprini e B. melitensis può infettare i bovini. In base all’Ordinanza Ministeriale del 23 giugno 2021 [21], i test diagnostici ufficiali da eseguire nei territori non-UI e non-I sono: - il test di sieroagglutinazione rapida all’antigene Rosa Bengala, tamponato (SAR); - il test Fissazione del Complemento (FdC, o Complement Fixation Test - CFT), che è considerato positivo se rileva un titolo anticorpale uguale o maggiore di 20 Unità Internazionali Fissanti il Complemento (UIFC)/mL; per le bovine e bufaline vaccinate con Buck 19 e di età superiore a 18 mesi è tollerato il titolo fino a 30 UIFC/mL; - la FdC va eseguita in su tutti gli animali dell’allevamento nel caso di allevamenti non indenni o non ufficialmente indenni e sottoposti a controllo per l’acquisizione della qualifica; - l’indirect-ELISA (i-ELISA) in campioni di latte di massa - proveniente da aziende in cui almeno il 30% delle bovine sia in lattazione - può essere utilizzata come test di screening in allevamenti indenni senza vaccinazione (UI) presenti in province indenni senza vaccinazione (UI). Nel caso in cui il siero di un animale esaminato fornisca esito GdB | Gennaio 2022

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negativo alla SAR e esito positivo alla FdC, l’animale è da considerare infetto. Nel caso in cui il siero di un animale esaminato fornisca esito positivo alla SAR e negativo alla FdC, l’esito è da considerare dubbio e l’animale sospetto d’infezione. All’allevamento di provenienza è sospesa la qualifica sanitaria e il controllo sull’animale sarà ripetuto. Nel caso in cui tale risultato sia ottenuto su sieri di animali presenti in allevamenti infetti, i capi con SAR positiva e FdC negativa sono considerati in ogni caso infetti. In caso di positività del latte di massa esaminato, eventuali prove di conferma devono essere effettuate su campioni di siero ematico prelevato dai singoli animali presenti in azienda che avevano contribuito a costituire il pool di latte. L’utilizzo del vaccino vivo RB51 deve essere autorizzato dal Ministero della Salute nell’ambito di uno specifico protocollo sanitario che ne preveda l’utilizzo sotto lo stretto controllo dei servizi veterinari ufficiali, con l’applicazione di tutte le misure atte a ridurre i possibili rischi per la salute animale e pubblica. Agli allevamenti con probabile vaccinazione di animali adulti con vaccino RB51 sono immediatamente sospese le qualifiche di aziende indenne senza vaccinazione (UI) o indenne con vaccinazione (I) fino alla conferma della positività. Una volta confermato l’utilizzo non autorizzato di vaccino RB51, la qualifica rimane sospesa fino a quando saranno presenti in allevamento animali con positività sierologica rilevabile con la prova FdCRB51, che non risultano vaccinati ufficialmente dai registri di stalla. Quando tutti gli animali positivi alla FdC-RB51 avranno dato i due esiti negativi consecutivi eseguiti contestualmente all’esecuzione delle prove di profilassi di Stato, l’azienda può essere considerata non più un rischio e le viene assegnata la qualifica di indenne con vaccinazione (I). La qualifica di azienda indenne con vaccinazione (I) potrà essere elevata a quella di azienda indenne senza vaccinazione (UI) dopo che siano trascorsi almeno tre anni dal termine delle attività di followup della positività alla FdC-RB51 [21]. Per quanto concerne il latte prodotto in allevamenti nonUI o non-I, in conformità al Regolamento (CE) 853/2004 che stabilisce norme specifiche in materia di igiene per gli alimenti di origine animale, il latte crudo proveniente da animali di tali allevamenti può essere usato, previa autorizzazione concessa dall’autorità competente, nel caso in cui le bovine non mostrino reazione positiva ai test per brucellosi né sintomi della malattia, e solo dopo aver subito un trattamento termico tale da dare esito negativo al test della fosfatasi alcalina. I test colturali finalizzati all’isolamento e identificazione di Brucella nel latte e prodotti lattiero-caseari non sono necessari; i test molecolari, inoltre, potrebbero mostrare risultati positivi dovuti alla contaminazione del latte in assenza di batteri vitali [7]. Infezione zoonotica La brucellosi è una delle principali zoonosi, trasmissibile all’uomo per contatto diretto e indiretto con i capi infetti e loro prodotti, attraverso soluzioni di continuità della cute o inalazione o per via oculo-congiuntivale (malattia professionale in 96 GdB | Gennaio 2022

allevatori, veterinari, laboratoristi), o attraverso gli alimenti di origine animale, soprattutto latte crudo, formaggi freschi e derivati del latte che, anche se risanati termicamente, sono stati contaminati dopo il trattamento termico. Dopo la penetrazione e la replicazione nei linfonodi regionali, le brucelle si localizzano negli organi ricchi di cellule istiocitarie (fegato, milza, midollo osseo, linfoghiandole) da dove si riversano continuamente in circolo (sono patogeni endocellulari facoltativi, che resistono ai processi di uccisione intrafagocitaria dei macrofagi), inducendo lesioni di tipo degenerativo e necrotico in vari parenchimi e la formazione di granulomi. La sintomatologia clinica si manifesta con febbre intercalata da periodi di apiressia (febbre ondulante), sudorazione, cefalea, dorsalgia, splenomegalia, epatomegalia, linfoadenomegalia. Infezioni severe possono interessare il Sistema Nervoso Centrale, il Sistema Muscolo-Scheletrico e quello Cardio-Circolatorio. L’infezione può cronicizzare inducendo febbre ricorrente, artralgia, astenia. L’uomo infetto non trasmette il patogeno, se non raramente: la brucellosi umana si presenta quasi esclusivamente come il risultato di un contagio da parte dell’animale infetto, o di suoi derivati, e pertanto l’efficacia dei piani di eradicazione attuati in produzione primaria si riflette direttamente sulla casistica degli episodi zoonotici [22]. 3. PIANO NAZIONALE DI CONTROLLO DELLE SALMONELLOSI NEGLI AVICOLI Le infezioni sostenute dai batteri appartenenti al Genere Salmonella si distinguono in: - infezioni maggiori o salmonellosi tifoidee, sostenute da sierotipi con specificità d’ospite, presenza dell’antigene di virulenza Vi (che espleta potere antifagocitario e anticomplementare) e in grado di causare gravi patologie sistemiche; esempio ne sono le infezioni da S. Typhi e S. Parathyphi, nell’uomo, e S. Dublin adattato al bovino, ma con potenziale zoonotico; - infezioni minori o salmonellosi zoonotiche, sostenute da sierotipi ad ampio spettro d’ospite che infettano animali di vari taxa inducendo la comparsa di sintomatologia clinica generalmente lieve, con possibili complicanze anche gravi (che vanno dallo squilibrio elettrolitico alla setticemia in anziani e in età pediatrica). Le salmonellosi zoonotiche sono sostenute da sierotipi: - a diffusione mondiale, come conseguenza della distribuzione di mangimi contaminati effettuata a partire dalla metà del secolo scorso; - ubiquisti, con capacità di insediarsi stabilmente nell’ambiente (suolo, acque, biofilm), da dove tornano ad infettare animali domestici, selvatici e uomo, che a loro volta divengono escretori del germe aumentando la carica infettante ambientale. La trasmissione, dunque, può avvenire per via diretta e indiretta (ivi compresa la trasmissione attraverso alimenti), seguendo il circuito oro-fecale e le derivazioni determinate dalla cross-contaminazione e dai vettori meccanici (senza propaga-


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zione). Attualmente, le salmonellosi zoonotiche sono tra le principali zoonosi nel mondo e costituiscono un grave problema di sanità pubblica anche nei Paesi industrializzati [22]. Dalle prime Baseline Survey [23, 24] condotte nell’Unione Europea all’inizio degli anni duemila, è emerso che il sierotipo S. Enteritidis risultava essere responsabile della maggior parte dei casi umani di salmonellosi e il più diffuso negli allevamenti e prodotti avicoli, seguito dal sierotipo S. Typhimurium, e che la maggior parte dei casi riconducibili a S. Enteritidis era correlata al consumo di prodotti a base di uova crude. La contaminazione dell’uovo avviene nell’ovaio dei capi infetti attraverso passaggio transovarico - con trasmissione verticale ai prodotti del concepimento – e nella cloaca, al momento della deposizione. La contaminazione dall’esterno è conseguenza della contaminazione fecale: le salmonelle penetrano all’interno dell’uovo a seguito di microlesioni o attraverso i pori che, in presenza di umidità, si aprono per diminuzione della tensione superficiale (le uova, infatti, non vanno refrigerate nella fase di commercializzazione, per evitare la formazione di condensa). La moltiplicazione dei microrganismi inizia in seguito a penetrazione nel tuorlo, come effetto di variazioni nella permea-

bilità della membrana vitellina, che si verificano in funzione del tempo e della temperatura di conservazione: in uova contaminate conservate a temperature inferiori a 20 °C, l’invasione del tuorlo comincia dopo circa tre settimane, mentre a temperature comprese fra 20 e 30 °C il processo avviene in pochi giorni [25]. Nel 2006, in Europa, sono stati riportati 160.649 casi confermati di salmonellosi umana [26]. A norma del Reg. 2160/2003, a partire dallo stesso anno sono stati progressivamente avviati programmi di controllo del patogeno a livello di produzione primaria, considerato il punto di intervento della filiera più rilevante ai fini della prevenzione delle infezioni nell’uomo. I risultati ottenuti con i PNC hanno portato alla notevole riduzione dei casi di salmonellosi umana, che nel 2019 sono scesi a 87.923 e, nel 2020, a 52.702 [16, 17]. Il Piano Nazionale di Controllo delle Salmonellosi negli Avicoli (PNCSA), (figura 4), [27] è obbligatorio, su tutto il territorio nazionale, per i gruppi degli allevamenti avicoli a carattere commerciale delle seguenti specie e orientamenti produttivi. • Riproduttori Gallus gallus; • Ovaiole Gallus gallus; • Polli da carne Gallus gallus; • Tacchini da riproduzione Meleagris gallopavo; © Yayah_Ai/shutterstock.com

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• Tacchini da ingrasso Meleagris gallopavo. Esso si basa su: • controllo sistematico e campionamento ufficiale da parte dell’autorità competente; • campionamento in autocontrollo. Le attività di controllo e monitoraggio sono finalizzate al raggiungimento dell’obiettivo comunitario di riduzione della prevalenza dei sierotipi rilevanti per la salute pubblica nei gruppi di avicoli. Sono esentati dall’obbligo di applicazione del piano solo i gruppi di allevamenti con capacità strutturale inferiore a 250 capi, nei quali gli avicoli sono allevati per il consumo domestico privato, fatta salva la fornitura diretta di piccole quantità di prodotti primari. Nell’ambito dell’autocontrollo aziendale, la sierotipizzazione deve permettere di escludere o confermare per almeno una colonia per ogni campione positivo la presenza di Salmonella Enteritidis e Salmonella Typhimurium (inclusa la variante monofasica), per campioni prelevati in gruppi di ovaiole, polli da carne e tacchini da ingrasso [27]. La sierotipizzazione deve essere basata sullo schema di Kauffmann-White - Le Minor che riporta l’elenco dei sierotipi e la suddivisione in sottospecie delle due specie del Genere Salmonella: - S. enterica, che si divide in sei sottospecie: • S. enterica subsp. enterica - sottospecie I • S. enterica subsp. salamae - sottospecie II • S. enterica subsp. arizonae - sottospecie IIIa (monofasica) 98 GdB | Gennaio 2022

• S. enterica subsp. diarizonae - sottospecie IIIb (bifasica) • S. enterica subsp. houtenae - sottospecie IV • S. enterica subsp. indica - sottospecie VI - S. bongori - sottospecie V I sierotipi che appartengono a S. enterica subsp. enterica sono designati con un nome (scritto in lettere romane e non italiche, in cui la prima lettera è maiuscola) che usualmente è correlato al luogo geografico nel quale il sierotipo è stato per la prima volta isolato. I sierotipi appartenenti alle altre sottospecie sono designati dalle loro formule antigeniche, seguite dal nome della sottospecie. I ceppi (strain) hanno la medesima formula antigenica, ma possono presentare differenze biochimiche [28]. Nell’ambito del PNCSA, sono considerati rilevanti per la salute pubblica i sierotipi riportati in tabella I [27]. L’European Union Reference Laboratory for Salmonella è stato istituito presso Rijksinstituut voor Volksgezondheid en Milieu (RIVM), 3720 BA Bilthoven, The Netherlands [29]. Il National Reference Laboratory per Salmonella e il Centro di Referenza Nazionale per le Salmonellosi (anche Laboratorio OIE) sono stati istituiti presso l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie, Sede Centrale di Legnaro (PD) [30]. Per ogni campione ufficiale positivo ai sierotipi Enteritidis, Typhimurium (compresa la variante monofasica) e Infantis (quest’ultima esclusivamente da campioni prelevati in riproduttori Gallus gallus) almeno una colonia deve essere inviata dall’Istituto Zooprofilattico Sperimentale competente per territorio al Centro di Referenza Nazionale per Salmonella (CRNS)


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per ulteriori indagini. Per ogni gruppo riscontrato positivo, sia da campionamento ufficiale e sia da autocontrollo, i laboratori che hanno effettuato la sierotipizzazione devono inviare al Centro di Referenza Nazionale per l’Antibiotico-Resistenza (CRN-AR) almeno un isolato per ciascun sierotipo di Salmonella riscontrato, per consentire di eseguire l’analisi del profilo di antibiotico-resistenza, includendo le Multi-Drug Resistant (MDR) and Extended Spectrum Beta-Lactamase (ESBL)-producing Salmonella. Gli animali del gruppo positivo per S. Enteritidis o S. Typhimurium: - sono sottoposti immediatamente a vincolo sanitario dal Servizio Veterinario (SV). Nell’allevamento sono applicate senza indugi opportune misure sanitarie al fine di evitare o limitare la diffusione dell’infezione o contaminazione (rafforzamento delle misure di biosicurezza); - sono abbattuti e poi distrutti ai sensi del Regolamento 1069/2009/CE, oppure possono essere destinati alla macellazione mettendo in atto misure finalizzate a evitare il rischio di diffusione di salmonelle. Ulteriori misure consistono in: - identificare immediatamente gli incubatoi di destinazione delle uova prodotte e gli allevamenti in cui sono stati inviati i pulcini nati dalle stesse e informare i SV responsabili di tali strutture, per applicare misure sanitarie adeguate a impedire o limitare la diffusione dell’infezione o la contaminazione; - non destinare alla cova le uova prodotte da gruppi positivi a S. Enteritidis o S. Typhimurium; - distruzione delle uova in incubatoio, dei gruppi risultati positivi a S. Enteritidis e/o Typhimurium, a cui seguono pulizie e disinfezioni supplementari delle strutture e impianti. In caso di riscontro del sierotipo Infantis, i gruppi di riproduttori Gallus gallus sono sottoposti immediatamente a vincolo sanitario dal SV. Nell’allevamento sono applicate senza indugi opportune misure sanitarie al fine di evitare o limitare la diffusione dell’infezione o contaminazione (rafforzamento delle misure di biosicurezza); i capi sono abbattuti e poi distrutti. Si procede, quindi, ad identificare immediatamente gli incubatoi di destinazione delle uova prodotte e gli allevamenti presso i quali sono stati inviati i pulcini nati dalle stesse e informare i SV responsabili di tali strutture, per applicare misure sanitarie adeguate a impedire o limitare la diffusione dell’infezione o la contaminazione. Le uova prodotte da gruppi positivi a S. Infantis non sono destinabili alla cova. In incubatoio le uova di gruppi risultati positivi a S. Infantis sono distrutte e sono effettuate pulizie e disinfezioni supplementari delle strutture e impianti. Qualora la positività sia riscontrata su uova da cova in incubatoio, in autocontrollo o in ambito di controllo ufficiale, nei gruppi di riproduttori di provenienza delle uova deve essere eseguito senza indugi un campionamento ufficiale con le modalità previste per quello ufficiale di routine.

In incubatoio le uova di gruppi risultati positivi sono distrutte e sono effettuate pulizie e disinfezioni supplementari delle strutture e impianti. Sono distrutte oppure considerate ed identificate di categoria B le uova da consumo provenienti da gruppi di ovaiole: • risultati positivi a sierotipi rilevanti; • di cui non sia nota la qualifica sanitaria; • sospetti di infezione, anche nel tempo che intercorre tra il sospetto e l’eventuale conferma di positività; • riconosciuti come fonte di infezione in un focolaio di tossinfezione alimentare nell’uomo. Tali uova non possono entrare in centri di imballaggio, a meno che il SV non consideri soddisfacenti le misure applicate per prevenire contaminazioni crociate con uova di altri gruppi. Le uova dei gruppi sospetti, in cui è stata identificata Salmonella spp. durante l’attesa dei risultati di conferma della positività e della sierotipizzazione, non possono essere spostate dall’allevamento in attesa della conferma della positività, se non come uova di categoria B. Sia per positività riscontrata in autocontrollo, che a seguito di controlli ufficiali, relativamente ai sierotipi S. Hadar e S. Virchow in allevamento di riproduttori Gallus gallus, è necessario effettuare: - indagine epidemiologica (in base ai risultati della quale, il SV può decidere di intensificare la frequenza dei controlli ufficiali in allevamento e richiedere modifiche e/o integrazioni delle misure di biosicurezza); - pulizia e disinfezione del capannone che ospitava il gruppo positivo, a fine ciclo, prima del suo successivo ripopolamento. La vaccinazione nei confronti del sierotipo isolato nel ciclo precedente è obbligatoria solo per i riproduttori e per le ovaiole utilizzate per ripopolare un capannone che ospitava durante il ciclo precedente un gruppo positivo per S. Enteritidis e/o S. Typhimurium. Per il controllo delle salmonelle zoonotiche, è vietato l’utilizzo di vaccini vivi non distinguibili dai ceppi di campo, secondo il sistema Differentiation of Infected and Vaccinated Animals (DIVA): - il vaccino vivo attenuato riduce la colonizzazione degli organi interni e l’escrezione fecale di sierotipi di campo; - la differenziazione tra ceppi vaccinali e di campo può avvenire per mezzo di metodi molecolari o di antibiogramma (in alcuni preparati vaccinali, a differenza dei ceppi di campo, i ceppi vaccinali sono sensibili all’eritromicina e resistenti alla streptomicina e alla rifampicina). Non si possono utilizzare vaccini vivi nelle galline ovaiole in fase di deposizione. È possibile utilizzare solo vaccini registrati [27]. In Europa il sierotipo più isolato rimane S. Enteritidis. La variante monofasica di S. Typhimurium è emersa agli inizi degli anni duemila ed è progressivamente aumentata fino a sorpassare S. Typhimurium nel 2011, diventando così il primo sierotipo isolato in Italia sia dall’uomo che da matrici veterinaGdB | Gennaio 2022

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rie (animali e alimenti). È seguita da S. Typhimurium [17]. Salmonella Infantis è uno dei 5 sierotipi maggiormente coinvolti negli episodi di salmonellosi nell’uomo; è la quarta causa di salmonellosi non tifoidee. S. Infantis si è diffusa nei broiler in Italia (figura 5) e ospita un megaplasmide che porta geni di resistenza multipla agli antibiotici. Studi condotti in Italia riportano che è stata isolata nel 50% (e fino al 90%) sia negli allevamenti avicoli che nella carne di pollo [31]. Un sierotipo di particolare interesse epidemiologico è S. Napoli, responsabile di circa il 6% dei casi umani riportati in Italia nel periodo 2011-2015, ma viene isolata raramente da animali e alimenti. Fonti di infezione da S. Napoli sono le acque superficiali e la contaminazione ambientale. In questo caso, sarebbero gli alimenti di origine vegetale ad avere un ruolo importante nella trasmissione di questo sierotipo [16]. L’EURL-Salmonella, inoltre, sta monitorando l’incidenza di Salmonella Mikawasima in prodotti alimentari, animali, mangimi e ambiente, in quanto negli Stati Membri è stato osservato annualmente un picco autunnale di casi umani [32]. 4. CONTROLLO DELLE INFEZIONI DA SHIGA TOXIN-PRODUCING ESCHERICHIA COLI (STEC) All’interno della specie E. coli è operabile una distinzione in patotipi, in base ai meccanismi patogenetici innescati dall’infezione, che sono legati a diversi fattori di virulenza: - fattori di adesività; - fattori di invasività; - enterotossine termostabili (ST) e termolabili (LT); - citotossine, quali Shiga tossine (Stx), altrimenti dette Verocitotossine (Vtx), distinguibili in: - Stx1 con i sottotipi Stx1a, Stx1c, Stxe, Stx1d; - Stx2 con 12 sottotipi, tra cui Stx2a è il più frequente nei casi gravi di infezione umana; - fattori di antibioticoresistenza; e altri fattori di virulenza. Oltre al patotipo Extraintestinal Pathogenic E. coli (ExPEC), che causa infezioni extraintestinali con possibili localizzazioni a mammella, utero e soprattutto al tratto urinario (causate da E. coli uropatogeni o UPEC), o che inducono setticemia e meningiti, particolarmente neonatali, E. coli responsabili di turbe enteriche (che nel caso di alcuni patotipi possono divenire sistemiche) sono classificate in 7 patotipi. Tra essi assume importanza crescente il patotipo STEC Shiga toxin-producing E. coli (o verocytotoxin-producing E. coli - VTEC), che presenta i geni per la produzione di Shiga tossina e può essere dotato (ceppi eae-positivi o Enterohaemorragic E. coli - EHEC) o meno (ceppi eae-negativi) dei geni necessari per le lesioni di tipo Adesione/Elisione (Attaching/ Effacing A/E) localizzati in un’isola cromosomiale di patogenicità indicata come locus of enterocytes effacement (LEE), che codifica per i componenti strutturali del type III secretion system (T3SS) che comprende, tra le altre, proteine coinvolte 100 GdB | Gennaio 2022

nell’aderenza intima agli enterociti, tra cui l’adesina intimina, codificata dal gene eae. Il bovino costituisce il resevoir del sierotipo O157:H7. Sono frequenti infezioni asintomatiche con eliminazione fecale del patogeno, che è solo transitoria; il bovino, pertanto, difficilmente presenta una sintomatologia evidente tale da permetterne l’identificazione clinica, specialmente se si tratta di soggetti adulti, mentre si riscontra raramente enterite emorragica nel vitello. La notevole capacità di sopravvivenza del microrganismo nell’acqua delle vasche di abbeverata (superiore a 4 mesi) e la sua moltiplicazione sono molto importanti per il mantenimento e la disseminazione dell’infezione in allevamento. STEC è stata isolata anche da ovini e suini. Sono state riportate epidemie da contagio interumano attraverso il circuito oro-fecale e di origine idrica. Tutti gli STEC possono essere considerati cross-patotipi che derivano, a partire soprattutto dal patotipo EPEC, dall’acquisizione dei geni stx codificati da batteriofagi, generando un ventaglio di geni di virulenza e, conseguentemente, di sintomatologie. Il patotipo Enteropathogenic E. coli (EPEC) - che produce lesioni istopatologiche di tipo Adesione/Elisione (A/E) per © Rattiya Thongdumhyu/shutterstock.com


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la presenza del gene eae e, in isolati tipici (tEPEC), presenta il plasmide EPEC Adherence Factor (pEAF) che codifica il bundle forming pili (BFP) per i pili necessari all’aderenza localizzata alle cellule epiteliali dell’intestino (assente negli isolati atipici aEPEC) - nella sua variante EPEC-STEC, con i sierotipi O:26:H11, O55:H9 e O80:H2, è verocitotossigena per acquisizione del gene stx. Il patotipo Enteroaggregative E. coli (EAEC), che produce enterotossina termostabile (EAST1), Shigella enterotossina (ShET1), emolisina (HlyE), fimbrie di aderenza aggregative (AAF) in varie isoforme (da I a V), il regulone AggR a codificazione plasmidica che controlla i geni aar associati all’adesione aggregativa, fattori responsabili del danno alla mucosa, stimolazione dell’attività secretoria, colonizzazione. La sua variante Stx-producing EAEC-STEC, originata dal sierotipo EAEC O104:H4, ha acquisito per lisogenia il gene stx2a per la sintesi di Shiga tossina 2a, oltre al plasmide di antibioticoresistenza Extended Spectrum Beta-lactamase (ESBL) [33, 34]. L’elaborazione di Stx a livello intestinale si può tradurre in patologie sistemiche, con insorgenza di gravi complicanze, soprattutto in età pediatrica (0-4 anni). Il patogeno, giunto a livello gastrico, supera la barriera costituita dal filtro acido e, giunto nell’intestino, aderisce colonizzando la mucosa, con sede d’elezione nel colon, dove viene prodotta Stx, che non agisce a livello intestinale per mancanza degli specifici recettori sugli enterociti. L’intestino lascia comunque transitare la tossina, che entra nel circolo ematico e raggiunge i distretti anatomici che presentano recettori specifici. La Stx ha una struttura AB5, in cui: - la subunità A (active) è distinta nelle frazioni A1 e A2 connesse da un ponte disolfuro; - ognuno dei 5

monomeri B (binding) ha due o tre siti di legame per il recettore glicosfingolipidico globotriosilceramide (Gb3) delle cellule eucariote, presente in particolare sulle cellule endoteliali dei vasi dei tubuli e glomeruli renali ed espresso anche, in misura minore, nel Sistema Nervoso Centrale (figura 6), [35]. La Stx si lega al recettore cellulare all’interno di un complesso contenente colesterolo, che è internalizzato in un endosoma e raggiunge l’apparato del Golgi, dove la furina intacca il ponte disolfuro. La tossina transita per via retrograda fino al Reticolo Endoplasmatico dove viene liberata la subunità A1 che penetra nel citosol come monomero attivo che rimuove un residuo di adenina del r-RNA 28S della subunità 60S (funzione N-glicosidasica), inducendo blocco della funzionalità ribosomiale e inibizione della sintesi proteica, a cui seguono morte cellulare e apoptosi (figura 7), [35]. Il danno causato ai ribosomi dalla Stx induce la riposta cellulare detta “ribotoxic stress response” che stimola il rilascio di citochine proinfiammatorie e pro-apoptotiche, che aggravano il danno tissutale. Le cellule endoteliali dei glomeruli vengono danneggiate e estruse, esponendo il collagene che attiva le piastrine, responsabili dei depositi di fibrina che avviano la cascata di coagulazione e la formazione di trombi. Il danno rilevabile a livello sistemico può essere rappresentato da Sindrome Trombotica Trombocitopenica (STT) o SEU indotta dall’insufficienza renale acuta (figura 8), [35]. Le conseguenze sistemiche della penetrazione di Stx attraverso l’intestino sono indotte da: - localizzazione dell’ambiente protrombotico nel glomerulo renale; - riduzione delle piastrine nel siero (trombocitopenia); - danno renale e anemia emolitica. La Sindrome Emolitico-Uremica insorge con la triade: - anemia emolitica, dovuta ad alterazione degli eritrociti e loro coagulazione intravascolare; - trombocitopenia; - nefropatia acuta. EAEC-STEC ha causato la più grave ed estesa epidemia da STEC in Europa, verificatasi nel 2011 e causata da germogli prodotti da semi di fieno greco contaminati. La combinazione inusuale di geni ha comportato l’elevato livello di virulenza e la capacità del sierotipo di provocare la SEU negli adulti, piuttosto che in età pediatrica. Il focolaio epidemico, centrato sull’area settentrionale della Germania, ha visto coinvolte 4.321 persone, con 852 casi di SEU e 54 decessi, in 13 SM, USA e Canada. Per garantire la protezione della salute pubblica, sono stati adottati: - il regolamento di attuazione della Commissione (UE) n. 208/2013 sui requisiti di tracciabilità di germogli e semi destinati alla produzione di germogli; - il regolamento (UE) N. 209/2013 della Commissione che modifica il regolamento (CE) n. 2073/2005 per quanto riguarGdB | Gennaio 2022

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da i criteri microbiologici applicabili ai germogli (tabella II); - il regolamento della Commissione (UE) n. 211/2013, relativo ai requisiti di certificazione veterinaria per l’importazione nell’Unione di germogli e semi destinati alla produzione di germogli. Secondo quanto stabilito al punto 13 del regolamento 209/2013, i germogli devono essere considerati alimenti pronti: possono infatti essere consumati senza cottura o altra lavorazione atta a eliminare o ridurre a un livello accettabile eventuali microrganismi patogeni. Gli operatori del settore alimentare che producono germogli devono perciò soddisfare i criteri di sicurezza alimentare fissati per gli alimenti pronti dalla normativa dell’Unione, tra cui un programma di campionamento che preveda il campionamento delle aree e degli impianti di lavorazione. I principali atti normativi correlati sono riportati nel sito istituzionale dell’EURL-VTEC [36]. Nel 2018, STEC è diventata la terza causa di zoonosi nell’Unione Europea ed è rimasta in tale posizione nel 2019, per scendere al quarto posto nel 2020 (tabella III), con 4.446 casi (3.355 casi in meno rispetto all’anno precedente). Nel 2020 nessun campione di semi germogliati è risultato positivo, tra quelli analizzati nell’ambito del campionamento ufficiale. I dati sono riportati in The European Union One Health 2020 Zoonoses Report, pubblicato nel dicembre 2021 da EFSA e ECDC [16], e indicano l’efficacia dei presidi attivati a livello europeo e, conseguentemente, nei singoli Stati Membri. Nel “Pathogenicity assessment of Shiga toxin-producing Escherichia coli (STEC) and the public health risk posed by contamination of food with STEC” si rimarca che: - tutti i ceppi del patotipo STEC sono patogeni per l’uomo, essendo dotati di potere diarrogeno, e che tutti i sottotipi di STEC possono essere associati a patologie severe; - è di fondamentale importanza il raggiungimento dell’armonizzazione dei metodi d’analisi dei campioni alimentari, ottenuta grazie all’EURL-VTEC - istituito presso l’Istituto Superiore di Sanità, Roma (IT) - con il metodo ISO TS 13136:2012; [36]; - l’analisi delle fonti d’infezione, basata sui “focolai a forte evidenza”, suggerisce che la carne bovina e i prodotti derivati, il latte e i prodotti a base di latte, acqua e acqua di pozzo, ma anche verdure, frutta e prodotti derivati sono le principali sorgenti d’infezione da STEC nell’Unione Europea [34]. 5. CONCLUSIONI E REFERENZE BIBLIOGRAFICHE E SITOGRAFICHE I dati sulle zoonosi e relativi agenti zoonotici nella UE nel 2020 riportano una drastica riduzione del numero di casi umani [16]. Essi sono stati evidentemente influenzati, oltre che dall’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, dalla pandemia di COVID-19 e dalle conseguenti misure di restrizione imposte in Italia e negli altri Stati Membri. Tale evento di portata mondiale, che oggi vede l’ascesa delle 102 GdB | Gennaio 2022

variants of concern (VOC) di SARS-CoV-2 selezionatesi in Pasi a economia non consolidata, in cui la somministrazione di vaccini è andata a rilento, mette in luce l’importanza dell’approccio One Health, da utilizzare per disegnare un nuovo “sistema salute”, da applicare omogeneamente a livello globale, non solo come necessità etica, ma anche come indispensabile presidio per impedire che quanti sono stati lasciati indietro diventino vittime e, nel contempo, fonte di nuove emergenze [37]. Non essendo possibile arginare la diffusione di patogeni costruendo barriere parziali, diviene indifferibile agire simultaneamente a tutti i livelli e su scala mondiale, finanziando azioni che garantiscano condizioni uniformi di protezione. Esse sono necessarie per contrastare l’enorme plasticità biologica dei microrganismi che, unitamente al rapido ciclo di riproduzione, li rende facilmente globalizzabili. Nella UE, tali azioni dovrebbero comprendere, in caso di necessità economica, il finanziamento di PNC in SM quali la Grecia, che non gode del cofinanziamento della CE, nonostante il permanere della più alta prevalenza europea di casi umani di brucellosi (in Grecia ancora nessuna regione è Ufficialmente Indenne da Tubercolosi Bovina e da Brucellosi Bovina), [7, 16, 17]. Nella UE, per limitare la diffusione delle zoonosi riportata dalle casistiche ufficiali [16], sono necessarie azioni basate sull’imprescindibile tutela dell’ambiente attraverso la concreta realizzazione della Farm to Fork Strategy e il perseguimento del Green Deal; importanti zoonosi incluse nella direttiva 2003/99 CE, infatti, seppure originariamente legate ai reservoir animali, oggi trovano negli alimenti vegetali da consumare crudi preferenziali e pericolosi veicoli di trasmissione all’uomo. Il Green Deal, inoltre, ha inserito tra gli obiettivi di primaria importanza la riduzione dell’uso di antibiotici in produzione zootecnica, al fine di contrastare l’antibioticoresistenza, emergenza globale che sembra essere aumentata durante la pandemia di COVID-19, tanto da essere indicata dalla Johns Hopkins Bloomberg School of Public Health come la silente, seconda pandemia [38].

Bibliografia e sitografia 1. https://www.oie.int/en/what-we-do/global-initiatives/one-health/ 2. https://www.cdc.gov/ncezid/index.html 3. https://www.fao.org/news/story/en/item/1437672/icode/ 4. https://ec.europa.eu/info/strategy/priorities-2019-2024/european-green-deal_en 5.https://ec.europa.eu/info/strategy/priorities-2019-2024/european-green-deal/agriculture-and-green-deal_en 6.https://ec.europa.eu/food/safety/labelling-and-nutrition/food-information-consumers-legislation/proposal-revision-regulation_en 7. Mazzeo A, Rossi N, Sorrentino E, Tremonte P, Sassi E (2021) Reemergin Bovine Brucellosis in Molise and Concomitant Onset of COVID-19 Pandemic Suggest Including Economic Health in the One


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Health Approach. Abstract Book of the 3rd Annual Scientific Meeting of the One Health European Joint Programme (OHEJPASM 2021), Copenhagen, 9-11 June 2021, 134 https://epostersonline.com/ohejp2021/node/775?view=true 8. Mazzeo A, Rossi N, Sorrentino E, Tremonte P, Sassi E (2021) Reemergin Bovine Brucellosis in Molise and Concomitant Onset of COVID-19 Pandemic Suggest Including Economic Health in the One Health Approach. Abstract Book of the 3rd Annual Scientific Meeting of the One Health European Joint Programme (OHEJPASM 2021), Copenhagen, 9-11 June 2021, VIDEO https://epostersonline.com/ohejp2021/node/775 9. Taking A Multisectoral, One Health Approach: A Tripartite Guide to Addressing Zoonotic Diseases in Countries” (2019 TZG) https://www.fao.org/documents/card/en/c/CA2942EN/#:~:text=The%202019%20FAO%2DOIE%2DWHO,build%20national%20 mechanisms%20for%20multisectoral 10. Direttiva 2003/99/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 novembre 2003, sulle misure di sorveglianza delle zoonosi e degli agenti zoonotici, recante modifica della decisione 90/424/ CEE del Consiglio e che abroga la direttiva 92/117/CEE del Consiglio https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:32003L0099&from=IT 11.https://www.salute.gov.it/portale/temi/p2_6.jsp?lingua=italiano&id=1558&area=sanitaAnimale&menu=malattie 12.https://ec.europa.eu/food/horizontal-topics/funding-procurement-grants/food-chain-funding/funding-animal-health-measures-1_en 13.https://ec.europa.eu/food/horizontal-topics/european-union-reference-laboratories_en 14.https://cerca.ministerosalute.it/search?q=LABORATORI+NAZIONALI+DI+RIFERIMENTO&client=defaultPORT_front-end&proxystylesheet=defaultPORT_front-end&site=default_collection&output=xml_no_dtd&filter=p 15.https://www.salute.gov.it/portale/temi/p2_6.jsp?lingua=italiano&id=1854&area=sanitaAnimale&menu=izs 16. EFSA and ECDC (European Food Safety Authority and European Centre for Disease Prevention and Control), 2021. The European Union One Health 2020 Zoonoses Report. EFSA Journal 2021;19(12):6971, 324 pp. https://doi.org/10.2903/j. efsa.2021.6971 https://www.ecdc.europa.eu/sites/default/files/documents/ efs2_6971-FINAL.pdf 17. EFSA and ECDC (European Food Safety Authority and European Centre for Disease Prevention and Control), 2021. The European Union One Health 2019 Zoonoses Report. EFSA Journal 2021;19(2):6406, 286 pp. https://doi.org/10.2903/j.efsa.2021.6406 18. Surveillance of antimicrobial resistance in Europe, 2020 data https://www.ecdc.europa.eu/sites/default/files/documents/Surveillance-antimicrobial-resistance-in-Europe-2020.pdf 19. EFSA and ECDC (European Food Safety Authority and European Centre for Disease Prevention and Control), 2021. The European Union Summary Report on Antimicrobial Resistance in zoonotic and indicator bacteria from humans, animals and food in 2018/2019. EFSA Journal 2021;19(4):6490, 179 pp. https:// doi.org/10.2903/j.efsa.2021.6490 20.https://www.salute.gov.it/portale/sanitaAnimale/dettaglioContenutiSanitaAnimale.jsp?lingua=italiano&id=263&tab=1 21. OM 23.06.2021 - Proroga con modifiche dell’ordinanza 28 maggio 2015, recante: «Misure straordinarie di polizia veterinaria in materia di tubercolosi, brucellosi bovina e bufalina,

brucellosi ovi-caprina, leucosi bovina enzootica». GURI Serie Generale n.161 del 07-07-2021 https://www.gazzettaufficiale.it/eli/ id/2021/07/07/21A04133/SG 22. Mazzeo A (2010). Il Controllo delle principali Zoonosi e Malattie Infettive in Produzione Primaria – Elementi di Infettivologia ed esempi di Profilassi. Aracne Editrice, Roma – ISBN 978-88-548-3595-5 23. Report of the Task Force on Zoonoses Data Collection on the Analysis of the baseline survey on the prevalence of Salmonella in broiler flocks of Gallus gallus, in the EU, 2005-2006 [1] - Part A: Salmonella prevalence estimates (2007). The EFSA Journal (2007) 98, 1-85 https://efsa.onlinelibrary.wiley.com/doi/pdf/10.2903/j.efsa.2007.98r 24. Report of the Task Force on Zoonoses Data Collection on the Analysis of the baseline survey on the prevalence of Salmonella in holdings of broiler flocks of Gallus gallus, Part B, The EFSA Journal (2007) 101, 1-86 https://efsa.onlinelibrary.wiley.com/doi/pdf/10.2903/j.efsa.2007.101r 25. Istituto Superiore di Sanità - Le infezioni da Salmonella: diagnostica, epidemiologia e sorveglianza. Graziani C, Galetta p, Busani L, Dionisi A M, Filetici E, Ricci A, Caprioli A, Luzzi I (2005) Rapporti ISTISAN 05/27 https://www.cdvet.it/uploads/files/Salmonellosi%20Istituto%20superiore%20di%20sanit%C3%A0.pdf 26. The Community Summary Report on Trends and Sources of Zoonoses, Zoonotic Agents, Antimicrobial Resistance and Foodborne Outbreaks in the European Union in 2006, The EFSA Journal (2007), 130 https://efsa.onlinelibrary.wiley.com/doi/pdf/10.2903/j. efsa.2007.130r 27. https://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_2849_allegato.pdf 28. Zavanella M. (2005) Tipizzare le Salmonelle. Edito a cura della Fondazione Iniziative Zooprofilattiche e Zootecniche - Brescia 29. https://www.eurlsalmonella.eu/ 30. https://www.izsvenezie.it/istituto/centri-di-referenza/salmonellosi/ 31. https://www.izsvenezie.it/documenti/temi/salmonellosi/enter-vet/ entervet-report-2018.pdf 32. https://www.eurlsalmonella.eu/about-eurl 33. EFSA BIOHAZ Panel (EFSA Panel on Biological Hazards), 2015. Scientific opinion on public health risks associated with Enteroaggregative Escherichia coli (EAEC) as a food-borne pathogen. EFSA Journal 2015;13(12):4330, 87 pp. doi:10.2903/j.efsa.2015.4330 34. EFSA BIOHAZ Panel, Koutsoumanis K, Allende A, Alvarez-Ordonez A, Bover-Cid S, ~ Chemaly M, Davies R, De Cesare A, Herman L, Hilbert F, Lindqvist R, Nauta M, Peixe L, Ru G, Simmons M, Skandamis P, Suffredini E, Jenkins C, Monteiro Pires S, Morabito S, Niskanen T, Scheutz F, da Silva Felıcio MT, Messens W and Bolton D, 2020. Scientific Opinion on the pathogenicity assessment of Shiga toxin-producing Escherichia coli (STEC) and the public health risk posed by contamination of food with STEC. EFSA Journal 2020;18(1):5967, 105 pp. https://doi.org/10.2903/j.efsa.2020.5967 35. NIH Publc Access – Author Manuscript Angela R. Melton-Celsa, Microbiol Spectr. 2014; 2(2): doi: 10.1128/microbiolspec.EHEC-00242013 36.https://www.iss.it/zoonosi/-/asset_publisher/QoudT1Q6UMDZ/content/the-european-union-reference-laboratory-eurl-for-escherichia-coli-including-shiga-toxin-producing-e.-coli-stec37. Africa Mobilizes for Global Health Security in “Galien Forum Africa 4th Edition, December 10th, 2021 http://forumgalienafrique.com/ en/meditaheque2/ 38.https://www.globalhealthnow.org/2021-10/second-silent-pandemic-antibiotic-resistance

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Anno V - N. 1 Gennaio 2022 Edizione mensile di AgONB (Agenzia di stampa dell’Ordine Nazionale dei Biologi) Testata registrata al n. 52/2016 del Tribunale di Roma Diffusione: www.onb.it

Direttore responsabile: Claudia Tancioni Redazione: Ufficio stampa dell’Onb

Giornale dei Biologi

Edizione mensile di AgONB, Agenzia di stampa dell’Ordine Nazionale dei Biologi. Registrazione n. 52/2016 al Tribunale di Roma. Direttore responsabile: Claudia Tancioni. ISSN 2704-9132

Gennaio 2022 Anno V - N. 1

IMPENNATA DA OMICRON

Variante più contagiosa ma meno “violenta” grazie anche alla protezione vaccinale Pesa però il numero dei decessi

Contatti: +39 0657090205, +39 0657090225, ufficiostampa@onb.it. Per la pubblicità, scrivere all’indirizzo protocollo@peconb.it. Gli articoli e le note firmate esprimono solo l’opinione dell’autore e non impegnano l’Ordine né la redazione. Immagine di copertina: © Dybunin Alexandr/www.shutterstock.com www.onb.it

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IL BIOLOGO DI COMUNITÀ NELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE Presentazione nuova figura professionale con il ruolo di supporto tecnico all’azione amministrativa, nell’ambito dei programmi di pianificazione, protezione, manutenzione, gestione del territorio e rigenerazione urbana.

ROMA 4 FEBBRAIO 2022 Dalle 15:30 alle 18:30 Senato della Repubblica Palazzo Giustiniani Sala Zuccari


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