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Ordini regionali, a chi serve attraversare il Rubicone? di Vincenzo D’Anna
PRIMO PIANO
I mari d’Italia: sempre più limpidi, ma sempre più a rischio di Rino Dazzo
I biologi per il mare (e non solo): il Cnba di Rino Dazzo
Nuove minacce: ecco il vermocane di Rino Dazzo
Biologi ambientali: formazione, competenze e opportunità di Elena De Luca, Pierlisa Di Felice, Simona Rania
INTERVISTE
Diabete di tipo 1, trapianto di insule pancreatiche che libera da iniezioni di insulina di Ester Trevisan
Albumina, un test potrebbe predire il rischio di cancro e infarto negli anziani di Chiara Di Martino
In arrivo una nuova cura per la leucemia: un mix tra cellule sane e malate di Domenico Esposito
Tumore del polmone: allungare la sopravvivenza degli ammalati di Carmen Paradiso
Il meccanismo della plectasina: antibiotico contro la resistenza batterica di Carmen Paradiso
Il più grande genoma di qualsiasi organismo vivente: lungo 100 metri di Carmen Paradiso
Una nuova speranza per il trattamento non invasivo di dipendenza e depressione di Carmen Paradiso
Oms, infezioni sessualmente trasmissibili: aumentano i casi nel mondo di Domenico Esposito
Ricerca europea con il Cnr: le ondate di calore colpiscono i più vulnerabili di Carmen Paradiso
Studenti e la sindrome da fine scuola di Domenico Esposito
Gli studenti italiani fumano sempre di più di Domenico Esposito
I cosmetici contro le infiammazioni della pelle di Carla Cimmino
Gli estratti vegetali contro la caduta dei capelli di Biancamaria Mancini
AMBIENTE
Anfibi in declino, un forte segnale dall’allarme ci arriva dalla natura di Gianpaolo Palazzo
Green buildings, un valido baluardo contro le ondate di calore di Gianpaolo Palazzo
ORSA, un nuovo strumento per riconoscere le fonti d’inquinamento atmosferico di Gianpaolo Palazzo
Virus giganti nei ghiacci della Groenlandia di Michelangelo Ottaviano
Energia da fusione e nuove tecnologie di Michelangelo Ottaviano
INNOVAZIONE
Rimuovere l’arsenico dall’acqua di Pasquale Santilio
Extravergine di oliva, svolta nei controlli di Pasquale Santilio
Un piccolo multisensore per i vasi sanguigni di Pasquale Santilio
Un elettrodo per le lesioni al midollo spinale di Pasquale Santilio
Libri antichi, patrimonio destinato a durare nel tempo: grazie a Enea di Rino Dazzo
Riapre il museo di Centuripe di Eleonora Caruso
Premiata la cultura italiana da scoprire di Eleonora Caruso
SPORT
Le “Notti magiche” dell’atletica azzurra aspettando le olimpiadi di Antonino Palumbo
Tennis, il cielo “quasi azzurro” sopra Parigi di Antonino Palumbo
Pogacar, Vingegaard, Roglic: volti e sogni del Tour de France 2024 di Antonino Palumbo
Volley, entrambe le nazioni ai giochi di Antonino Palumbo
Concorsi pubblici
SCIENZE
Progetto “Biocide reduction in municipal pest management” di Micaela Solinas et al
Bordighera Blu Park. Un mare da conoscere e tutelare di Monica Previati et al
Terapia nutrizionale in oncologia: nostra esperienza di Matteo Pillitteri e Dario Incorvaia
Informazioni per gli iscritti
Si informano gli iscritti che gli uffici della Federazione forniranno informazioni telefoniche di carattere generale dal lunedì al giovedì dalle 9:00 alle ore 13:30 e dalle ore 15:00 alle ore 17:00. Il venerdì dalle ore 9:00 alle ore 13:00
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È possibile recarsi presso le sedi della Federazione Nazionale degli Ordini dei Biologi previo appuntamento e soltanto qualora non sia possibile ricevere assistenza telematica. L’appuntamento va concordato con l’ufficio interessato tramite mail o telefono.
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Anno VII - N. 6 Giugno 2024
Edizione mensile di Bio’s
Testata registrata al n. 113/2021 del Tribunale di Roma
Diffusione: www.fnob.it
Direttore responsabile: Vincenzo D’Anna
Giornale dei Biologi
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Questo numero del “Giornale dei Biologi” è stato chiuso in redazione giovedì 27 giugno 2024.
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Gli articoli e le note firmate esprimono solo l’opinione dell’autore e non impegnano la Federazione Nazionale degli Ordini dei Biologi.
Ordini regionali, a chi serve attraversare il Rubicone?
di Vincenzo D’Anna Presidente della Federazione Nazionale degli Ordini dei Biologi
Le reminiscenze scolastiche ci portano alla mente un episodio decisivo per la storia dell’antica Roma e, conseguentemente, per quella dell’Impero Romano che fu, in seguito, la fonte primaria della nostra cultura. Nel 49 a.C. Caio Giulio Cesare, con le proprie legioni vittoriose in Gallia, decise di attraversare un piccolo fiume, il Rubicone, un corso d’acqua che scende dall’Appenino tosco-emiliano verso
Qualche Ordine territoriale ancora si affanna a reclamare prerogative di autonomia, instaurando un contenzioso nei confronti della Fnob
l’Adriatico, tra Cesena e Rimini. All’epoca dei fatti quel fiumiciattolo segnava il confine politico fra la penisola italiana e la Gallia Cisalpina. In pratica nessun magistrato poteva varcarlo a capo di un esercito senza l’autorizzazione esplicita del Senato: ciò che, invece, fece Cesare, violando apertamente le legge dell’Urbe. Quel gesto fu all’origine della guerra civile tra il condottiero e Pompeo, il generale sostenuto dagli ottimati, preoccupati dal fatto che
l’invasore potesse instaurare una dittatura, ponendo così fine alla repubblica, ossia alla secolare democrazia popolare che caratterizzava la città del Tevere. A nulla valsero le gesta vittoriose di Cesare e le conquiste di vasti territori annessi a Roma. Alla fine, il pregiudizio e il preconcetto malevolo regnarono sovrani e tutto fu interpretato in senso negativo. In sintesi: quanti vestivano i panni dei “sinceri democratici” difesero il loro potere e un esercizio del medesimo che di democratico aveva poco o nulla, contrapponendosi in armi all’uomo che aveva osato “marciare su Roma”. Lo storico Svetonio ci riporta
fedelmente quei tragici momenti, facendo pronunciare a Cesare la famosa frase: “si vada dove chiamano i prodigi degli dèi e l’ingiustizia dei nemici. Il dado è stato gettato”.
Si tratta di un erroneo convincimento che le ripetute precisazioni - comunicate ai sensi
delle vigenti leggi e delle norme - non hanno cancellato
Lungi da noi voler rapportare, le vicende della Federazione degli Ordini dei Biologi, neppure lontanamente, a quegli eventi e men che meno alle persone di oggi, a quegli uomini sommi per valore e per coraggio! Tuttavia, la Federazione Nazionale degli Ordini regionali dei Biologi (FNOB) si sta trovando a vivere per analogia di eventi, situazioni similari con qualche Ordine territoriale che ancora oggi si affanna a reclamare
prerogative di assoluta autonomia, instaurando un continuo contenzioso nei confronti della Federazione. Si tratta di un erroneo convincimento che le ripetute precisazioni - comunicate ai sensi delle vigenti leggi e delle norme che pure disciplinano i rapporti tra gli enti locali e la FNOB - non hanno cancellato. In pratica: sono rimasti i malevoli pregiudizi e le erronee pretese di taluni Ordini regionali.
Un contrasto alle quali si aggiungono pretese finanziarie, parimenti illegittime, che hanno addossato all’ente di via Icilio 7 e al Comitato Centrale che lo governa
Morale della favola: dopo essersi allineati alla proposta elettorale del gruppo dei “Biologi per il Rinnovamento”, i dirigenti eletti in quella lista hanno cambiato radicalmente opinione e
posizione dopo essersi preso il consenso sotto quelle insegne. Un repentino voltafaccia che li porta ad organizzare una continua e pretestuosa contestazione nei confronti della FNOB. Un contrasto non solo privo di ragioni giuridiche, alle quali si aggiungono pretese finanziarie, parimenti illegittime, che hanno addossato all’ente di via Icilio 7 e al Comitato Centrale che lo governa, una malvagità di intenti giammai esistita! In breve, la supposta volontà di FNOB di depauperare gli Ordini Regionali di risorse finanziarie, non dovute, e di limitarne l’autonomia. Uno presupposto che non trova alcun pratico
e legittimo riscontro, leggi alla mano. Per non fare nomi, faremo solo i cognomi, affinché le vicende siano di pubblica conoscenza, come è dovere di chi amministra la cosa pubblica ed il danaro altrui.
Un perdurante contenzioso che riguarda gli Ordini della Sardegna e dell’Emilia-Romagna e Marche, soprattutto di quest’ultimo, i cui componenti del Direttivo costantemente tenuti all’oscuro dei fatti e degli intercorsi rapporti epistolari tra federazione ed Ordine, hanno assunto posizioni ostili nei confronti della Federazione. Un atteggiamento, il loro, per “partito preso”. L’instaurarsi di
Chi pensa di volere
attraversare il Rubicone pensando di creare scompiglio e dissidi in FNOB, sta sbagliand di grosso i propri conti
un contenzioso, oltre che campato in aria, si rivela addirittura inutile se non dannoso per gli interessi dei Biologi iscritti in quelle regioni. È d’obbligo quindi informarli circa lo stato dell’arte, trattandosi di vicende che riguardano enti pubblici e non certo di querelle private o personalizzate! Così è bene si sappia pure che sono state puntualmente ignorate se non mistificate anche le numerose precisazioni e i tanti inviti che la FNOB ha rivolto, nel corso dei mesi, ai presidenti di quegli Enti dissenzienti, onde per cui si renderà necessario procedere per le vie legali e negli stretti termini previsti dalle leggi.
Chi vuole attraversare il Rubicone pensando di creare scompiglio e dissidi in FNOB, sbaglia di grosso i propri conti. Chi diffonde malevoli interpretazioni sulla corretta e trasparente gestione della FNOB ha fallito, fallisce e continuerà a fallire se non cambia registro. Da oltre sei anni questa Presidenza ha ripianato debiti ereditati, disorganizzazione e trascuratezza nei rapporti con gli iscritti il cui numero si è incrementato di ben quindicimila unità. Non c’è chi non veda come tutti gli atti amministrativi adottati possono essere visionati attraverso l’area riservata e l’attività di formazione, informazione
Chi diffonde malevoli interpretazioni sulla corretta e trasparente gestione della FNOB ha fallito, fallisce e continuerà a fallire se non cambia registro
e tutela della categoria sia incrementata a dismisura rispetto al passato. Il libro bianco pubblicato, a suo tempo, riepiloga gran parte di quanto fatto. Il futuro è ormai chiaro ai Biologi italiani, almeno di coloro che si curano di informarsi. Un futuro che richiede collaborazione e disponibilità non isterie, prepotenze e pretese illegittime! Per mio convincimento ritengo che tutti debbano essere resi edotti di tutto, perché sia al di qua sia al di là dell’immaginario Rubicone le bugie e l’ignoranza hanno e avranno sempre le gambe corte. E noi non ci tireremo mai indietro innanzi a nulla. Alea iacta est!
I MARI D’ITALIA: SEMPRE PIÙ LIMPIDI MA SEMPRE PIÙ A RISCHIO
Aumentano le spiagge premiate con la Bandiera Blu, ma le minacce restano tante. I progetti per difendere coste, litorali, ecosistemi e garantire la pulizia delle acque di Rino Dazzo
Spiaggia La Pelosa (Sardegna).
Primo piano
Estate, tempo di mare. Le spiagge premiate con la Bandiera Blu nel 2024 sono state 485, contro le 458 del 2023. Ma in che condizioni versano i mari d’Italia? Quali sono le maggiori criticità di acque e coste? E gli ecosistemi marini, da quali problemi sono afflitti? Ne parliamo con Giordano Giorgi, responsabile del Centro Nazionale per la caratterizzazione ambientale e la protezione della fascia costiera, la climatologia marina e l’oceanografia operativa dell’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) nonché coordinatore del Progetto MER, il più grande progetto sul mare nell’ambito del PNRR.
Dottor Giorgi, qual è lo stato di salute dei nostri mari?
I mari italiani sono una realtà estremamente complessa e variegata. L’Adriatico per anni ha avuto a che fare con fenomeni di eutrofizzazione, adesso è alle prese con una specie invasiva, il granchio blu. Ionio e Tirreno sono mari oligotrofici, con situazioni particolari di inquinamento legate a siti di interesse nazionale: un esempio su tutti, Prio -
lo. Sul Tirreno, in particolare, un problema ricorrente è legato all’overflow del sistema di depurazione, tarato su base annuale e che nei mesi estivi risente della pressione dovuta all’insistenza della parte turistica. Preoccupa l’aumento dei rifiuti nelle acque?
Non abbiamo le isole galleggianti del Pacifico o dell’Atlantico ma sicuramente ci sono fenomeni da attenzionare, legati soprattutto alle reti da pesca abbandonate (costituenti l’86,5% dei rifiuti marini italiani, ndr).
Nell’ambito del Progetto MER abbiamo posto l’attenzione su 15 siti importanti, dove sono presenti reti lunghe chilometri che vanno rimosse con attenzione. Quanto ai rifiuti galleggianti provenienti da fonti fluviali o dal trasporto marittimo, il nostro intervento è finalizzato a trattererli direttamente alle foci dei fiumi o al loro recupero dal mare.
Gli ultimi dati relativi a inquinamento e balneazione cosa indicano?
Che la situazione va migliorando, grazie anche alle politiche di pulitura degli arenili, ai mezzi di conferimento della parte differenziata dei rifiuti, a strumenti di sensibiliz -
zazione. Il trend rispetto a 30 anni fa è positivo se guardiamo alla qualità microbiologica dell’acqua di balneazione, anche se negli ultimi 5-10 anni il miglioramento non è più così netto. Stanno emergendo elementi nuovi, in primis prodotti farmaceutici che possono determinare antibiotico-resistenza e che i sistemi di depurazione non catturano. In più, i lavaggi dei tessuti sintetici producono quantitativi importanti di microfibre che finiscono in mare.
Tra le maggiori criticità dei litorali c’è il rischio di scomparsa di diverse spiagge.
L’erosione costiera è un fenomeno che affonda le sue radici nel tempo, collegate all’avvento dell’industrializzazione e alla diminuzione della superficie agricola. Con l’aumento dei boschi, dal 1850 circa in poi, si è trattenuto più sedimento. Negli ultimi anni ai fenomeni di erosione costiera si sono aggiunti eventi meteo-marini estremi sempre più frequenti e un aumento del livello del mare già accertato e prevedibile. Le situazioni più critiche sono in Liguria o in Calabria, dove sono a rischio anche le infrastrutture ferroviarie. Servono opere di difesa costiera che vanno realizzate con molta intelligenza: nel progetto MER è prevista la mappatura integrale della costa italiana per prevedere i fenomeni erosivi. La difesa degli ecosistemi gioca un ruolo centrale: le praterie di posidonia, ad esempio, limitano il fenomeno.
I mari italiani sono una realtà estremamente complessa e variegata. L’Adriatico per anni ha avuto a che fare con fenomeni di eutrofizzazione, adesso è alle prese con una specie invasiva, il granchio blu. Ionio e Tirreno sono mari oligotrofici, con situazioni particolari di inquinamento legate a siti di interesse nazionale.
raneo che gioca una funzione fondamentale per i sedimenti e va protetta, in primis dagli ancoraggi che sono uno dei principali punti di pressione. Abbiamo realizzato una serie di interventi per realizzare campi ormeggio: invece di gettare l’ancora sul fondo si aggancia a un punto ormeggio, tecnica che ha dato ottimi risultati in 18 aree protette, da Punta Campanella alle Egadi, da Capo Caccia a Capo Morto. Quanto alle specie aliene, sono 10-20 in tutto. Alcune creano preoccupazione anche per l’economia, come il granchio blu che sta aggredendo gli allevamenti di mitili del nord Adriatico, mentre l’avvento del pesce palla può creare problemi di salute legati al suo consumo. Una volta stanziata, una specie aliena non si può cacciar via. Ma si può gestire la sua presenza. Qual è l’impatto del cambiamento climatico su mari e tratti di costa italiani?
Posidonia che è un po’ il simbolo degli ecosistemi minacciati.
Sì, è una pianta endemica del Mediter-
Stiamo immettendo più energia termica nel sistema e la tropicalizzazione dei nostri mari ha portato a un aumento di specie come il pesce scorpione, ma anche meduse o cubomeduse. L’altro aspetto è che il Mediterraneo sta immagazzinando molta energia, che poi però viene restituita al sistema climatico nazionale. Spesso leggiamo modellistiche globali, ma l’Italia ha dinamiche specifiche che stiamo tentando di intercettare attraverso l’installazione di undici boe correntometriche dagli 800 ai 3000 metri di profondità, in grado di fornire dati utili su temperature delle acque, correnti e clima.
Polignano a Mare (Puglia).
La Federazione Nazionale dell’Ordine dei Biologi offre il suo prezioso contributo a tutela di mari, spiagge, coste, ecosistemi marini e più in generale dell’ambiente attraverso un organo appositamente dedicato a questa funzione, il Coordinamento nazionale biologi ambientali, voluto dal presidente della FNOB, Vincenzo D’Anna.
È la coordinatrice Teresa Rosaria Verde a illustrare compiti e attività del Cnba, istituito nel 2021 e già diventato un organo di cruciale importanza all’interno della Fnob, distintosi in diverse occasioni e circostanze: «Il Coordinamento nazionale biologi ambientali della Fnob (Cnba) è un organo operativo, interno e a supporto della Federazione centrale, con il compito di promuovere attività e iniziative che possano favorire la crescita professionale dei biologi che si occupano di ambiente. La sua mission, di natura teorico-operativa, è quella di realizzare progetti, iniziative e documenti a supporto del lavoro degli iscritti e del Comitato Centrale della Fnob, valorizzando la professione del biologo ambientale – sottolinea Verde – e il suo ruolo all’interno della società civile».
Ecco come, nel concreto, si realizza l’attività del Coordinamento nazionale biologi ambientali e quali sono i suoi obiettivi: «Tra gli obiettivi del Coordinamento c’è quello di favorire l’approfondimento di tutte le tematiche di interesse ambientale, stimolando una più diretta e ampia partecipazione degli iscritti alle attività del Cnba e della Fnob, attraverso la partecipazione e l’organizzazione di eventi di formazione, informazione ed aggiornamento nel campo della biologia ambientale, la partecipazione e la promozione di gruppi di lavoro finalizzati alla elaborazione ed alla validazione di metodiche, procedure di monitoraggio ambientale, testi, manuali, linee guida e l’eventuale realizzazione di progetti europei».
Ecco invece come è composta la struttura organizzativa dell’organo e
La coordinatrice Teresa Rosaria Verde illustra compiti, attività e aree di interesse dell’organo interno alla Fnob
quali sono le aree di specifico interesse della sua azione: «Il Cnba per l’espletamento delle proprie attività può beneficiare di un Consiglio tecnico scientifico, un coordinatore e referenti area e una struttura organizzativa funzionale con aree tematiche di specifica attinenza ambientale, le cui attività sono ben delineate al fine di raggiungere gli obiettivi prefissati. Le aree tematiche individuate sono: 1. Ambiente-salute, 2. Normativa ambientale, 3. Ecosistemi acquatici, 4. Ecosistemi terrestri, 5. Biodiversità, cambiamenti climatici e sviluppo sostenibile, agenda 2030, 6. Restauro ambientale».
Tutti i biologi ambientali iscritti alla Fnob possono entrare a far parte del Cnba: basta inviare una mail. La coordinatrice Verde spiega come fare: «Gli iscritti che intendano far parte del progetto del Coordinamento nazionale biologi ambientali potranno inviare la propria candidatura all’indirizzo di posta elettronica ambiente.cnba@fnob.it. La domanda dovrà essere completata dal proprio documento di riconoscimento in corso di validità, curriculum vitae e dall’indicazione dell’area tematica alla quale si vuole aderire scegliendo tra quelle sopraindicate». (R. D.)
NUOVE MINACCE:
ECCO
IL VERMOCANE
Presente in modo sempre più massiccio al sud, è un predatore urticante che crea danni anche al comparto pesca
Tra le nuove «minacce» dei mari italiani c’è la diffusione sempre più massiva di una specie endemica del Mediterraneo, capace di proliferare in modo preoccupante soprattutto nelle regioni del sud: il vermocane. Chiamato anche verme cane, verme di mare o verme di fuoco, è un predatore vorace e insaziabile che dalle acque del canale di Suez e dalle zone tropicali dell’Atlantico, complice il surriscaldamento globale, si è spinto sempre più in direzione dei nostri mari. Oggi è presente massicciamente nelle acque della Sicilia orientale, del
Salento, della Calabria ionica e tirrenica, ma anche sulle coste campane. Uno sgradevole compagno di bagni che con i primi caldi i turisti e gli stessi residenti hanno imparato a riconoscere sempre più frequentemente. Se fino a qualche tempo fa la presenza di esemplari di Hermodice carunculata (questo il suo nome scientifico) sembrava limitata al mare aperto, negli ultimi tempi infatti i vermocani sono stati segnalati anche a riva, tra gli scogli e anche in spiagge molto frequentate con l’inizio dell’estate.
Ma quali sono le caratteristiche di questa sorta di millepiedi marino
dai colori sgargianti e lungo in media tra i venti e i trenta centimetri, che in qualche caso può raggiungere perfino il metro di lunghezza? La principale è che i vermi di mare sono dotati di aculei che presentano tossine urticanti, capaci di provocare bruciore, rossore, prurito e gonfiore a seconda della zona del corpo sfiorata. In alcuni casi particolarmente gravi sono state segnalate reazioni allergiche e infezioni, con irritazioni molto tenaci e resistenti da fronteggiare, febbre e nausea. La cura? Creme a base di cortisone, essenzialmente. Ma i vermi di fuoco possono provocare problemi non solo agli ignari bagnanti: rappresentano una minaccia anche e soprattutto per l’ecosistema marino. L’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale, ad esempio, ha allertato sui danni che questi irrequieti predatori possono provocare alla pesca, mangiando grandi quantità di pesce rimasto impigliato tra le reti dei pescatori.
Lo stesso OGS, di concerto con le Università di Modena e Reggio Emilia, di Catania e di Messina, l’ISPRA, l’Area Marina Protetta di Capo Milazzo e ScubaBiology, ha avviato il progetto Worms Out, che punta a raccogliere dati ecologici e biologici su questa specie per gestire nel modo più efficace la sua presenza e contenerne la proliferazione. Che il vermocane sia una vecchia conoscenza dei nostri mari, in ogni caso, lo confermano testimonianze risalenti ai primi dell’Ottocento, che attestano la sua comparsa nelle acque del Golfo di Catania. Per gli antichi greci i vermocani erano animali leggendari con due sembianze, la prima di un cane privo di arti e strisciante, la seconda di un insetto capace di abbaiare e di dimorare nell’Ade, l’inferno di un tempo. Una creatura mostruosa, che in effetti qualcosa di soprannaturale ce l’ha per davvero: se si prova a tagliarlo in due, infatti, entrambe le parti si rigenerano e la minaccia raddoppia. (R. D.)
Vermocane.
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BIOLOGI AMBIENTALI: FORMAZIONE, COMPETENZE E OPPORTUNITÀ
Un quadro completo delle possibilità professionali e occupazionali degli iscritti che operano in questo ambito diventato prioritario negli ultimi decenni
di Elena De Luca a, Pierlisa Di Felice b, Simona Rania c
a) Prima Ricercatrice ENEA, Commissione Tecnica PNRR-PNIEC MASE, Componente Comitato Centrale FNOB con Delega Area Ambiente, Comitato Scientifico CNBA
b) Direttore Riserva Naturale Guidata Sorgenti del Pescara, Commissione Tecnica VIA-VAS MASE, Referente Area Tematica “Normativa Ambientale” CNBA, Consigliere Ordine dei Biologi Lazio e Abruzzo con Delega all’Ambiente per la Regione Abruzzo
c) Dipendente Sogesid S.p.A., Commissione Tecnica PNRR-PNIEC MASE, Commissione Tecnica VIA VAS MASE
Nonostante i biologi siano presenti in numerosi settori della Pubblica Amministrazione e delle aziende, la figura del biologo ambientale non riesce ancora ad ottenere adeguato riconoscimento, in particolare per quanto concerne lo sviluppo delle carriere.
Diversa è la sorte di altri ambiti professionali come quello dell’ingegneria, dove le peculiari competenze tecniche ambientali legate sono riconosciute nella figura dell’ingegnere ambientale e hanno aperto spazi rilevanti di attività e di opportunità.
Le diverse figure professionali non sono sovrapponibili, ma possono lavorare a progetti condivisi apportando competenze ed esperienze e generando sinergie utili alla soluzione delle problematiche ambientali che, per la loro complessità, necessitano un approccio multidisciplinare con la partecipazione di esperti non solo di formazione STEM1 – ingegneri, geologi, chimici, forestali – ma anche giuridica ed economica.
Consapevole della necessità di dare maggiore spazio e visibilità alle attività di questa particolare figura professionale, la FNOB ha istituito il Coordinamento Nazionale dei Biologi Ambientali (CNBA). Operando attraverso un comitato scientifico e sei aree tematiche, il coordinamento ha una mission specifica “realizzare progetti, iniziative e documenti a supporto del lavoro degli iscritti … valorizzando la professione del biologo ambientale e il suo ruolo all’interno della società civile”2.
Un contorno alla figura del biologo ambientale lo si può tracciare partendo dalla formazione, analizzando le competenze e infine indagando le opportunità professionali che esistono nel settore pubblico e in quello privato.
La formazione
La formazione del biologo ambientale inizia dal percorso accademico che, dalla fine degli anni ’90, con il crescere dell’attenzione verso lo studio dei processi ecosistemici, dei cambiamenti climatici e della conservazione della na-
tura è stato incrementato con materie che, per la parte ambientale, inizialmente si focalizzavano quasi esclusivamente nelle aree della botanica e zoologia. Nelle facoltà delle Università italiane, europee e internazionali sono previsti specifici corsi nel percorso formativo “bioecologico” (es. lauree L32, LM75 e LM6) dove, accanto alle materie ordinarie della biologia, compaiono corsi specifici di ecologia marina e terrestre, ecologia applicata, biologia della conservazione, monitoraggio biologico e la biostatistica. Questo vale anche per i percorsi formativi post lauream come dottorati e master.
Le competenze
La figura professionale del biologo viene riconosciuta a livello normativo nel 19673 (L. n.396/67), distinguendo i liberi professionisti dai dipendenti pubblici, con la possibilità di iscrizione in due sezioni distinte dell’albo professionale poi unificate dalla Legge n.3/2018. La legge n.396/67 riconosceva vari ambiti di attività, tra i quali comparivano : la classificazione degli organismi; la valutazione dei bisogni nutritivi; le problematiche relative alla genetica; l’identificazione di agenti patogeni per animali, piante e uomo; il controllo e gli studi di attività, sterilità, innocuità di insetticidi, anticrittogamici, antibiotici, vitamine, ormoni, enzimi, sieri, vaccini, medicamenti in genere, radioisotopi; le identificazioni e il controllo di merci di origine biologica; l’ analisi e il controllo biologico delle acque e delle matrici organiche a vari livelli.
Il riconoscimento delle tematiche ambientali ha aumentato il raggio di azione dei biologi che, come successivamente regolato dal D.P.R. 5 giugno 2001, n. 328, viene oggi ricondotto alle seguenti attività:
a) controllo e studi di attività, sterilità, innocuità di insetticidi, anticrittogamici, antibiotici, vitamine, ormoni, enzimi, sieri, vaccini, medicamenti in genere, radioisotopi;
b) analisi biologiche (urine, essudati, escrementi, sangue), sierologiche, immunologiche, istologiche, di gravidanza, metaboliche e genetiche;
c) analisi e controlli dal punto di vista biologico delle acque potabili e minerali e valutazione dei parametri ambientali (acqua, aria, suolo) in funzione della valutazione dell’integrità degli ecosistemi naturali;
d) identificazione di agenti patogeni (in-
fettanti ed infestanti) dell’uomo, degli animali e delle piante; identificazione degli organismi dannosi alle derrate alimentari, alla carta, al legno, al patrimonio artistico; indicazione dei relativi mezzi di lotta;
e) identificazioni e controlli di merci di origine biologica;
f) progettazione, direzione lavori e collaudo di impianti relativamente agli aspetti biologici;
g) classificazione e biologia degli animali e delle piante;
h) problemi di genetica dell’uomo, degli animali e delle piante e valutazione dei loro bisogni nutritivi ed energetici;
i) valutazione di impatto ambientale, relativamente agli aspetti biologici.
Pur rimanendo inalterato il numero di attività riconosciute, ne sono stati rivisti decisamente i contenuti inserendo i temi ambientali come specifica di attività già previste, o come vere e proprie novità. Ne è un esempio, al punto c, il concetto che le attività di controllo oltre alle acque riguardano anche i suoli e l’atmosfera e che tali controlli vengono svolti ai fini della valutazione dello stato di salute dell’ambiente. L’attività descritte ai punti f e i sono invece introdotte ex novo e, non a caso, riguardano le competenze dei biologi nella direzione dei lavori e nella progettazione di impianti la Valutazione di Impatto Ambientale (VIA).
Un
Elena De Luca.
Pierlisa Di Felice. Simona Rania.
Sulla base di quanto sancito dalla normativa vigente, è stato elaborato l’Albero delle competenze, completo degli ambiti professionali del biologo ambientale4, che si enunciano qui di seguito:
1)“Controlli su ambienti di vita e di lavoro”
1.1 Classificazione e tutela degli organismi animali e vegetali e dei microrganismi
1.2 Controllo dell’inquinamento
1.3 Tutela della salute dell’uomo, della flora e della fauna
1.4 Igiene ambientale e industriale
1.5 Piani di sviluppo territoriale
1.6 Inquinamento acustico
1.7 Rilevazioni vibrazioni
1.8 rilevazioni radiometriche e luxometriche in ambiente di vita e di lavoro
2)“Controllo dell’aria”
2.1 Prelievo e analisi emissioni in atmosfera convogliate e diffuse
2.2 Determinazioni microbiologiche
2.3 Valutazione rischio ambientale
3)“Controllo del suolo”
3.1 Valutazione dei residui dei fitofarmaci
3.2 Valutazione attività biologica del suolo
3.3 Analisi chimico-fisiche e batteriologiche
4)“Controllo acque”
4.1 Analisi chimico-fisiche e batteriologiche per la classificazione delle acque
4.2 Environmental accounting
4.3 Gestione impianti di trattamento delle acque
5)“Controllo di merci di origine biologica”
5.1 Ricerca coloranti, conservanti, detersivi
5.2 Ricerca antiparassitari ed anticrittogamici
5.3 Ricerca pesticidi, terreni e fertilizzanti, torbe
6)“Controllo e studi di attività, sterilità, innocuità di insetticidi, anticrittogamici”
7)“Economia e Capitale naturale”
8) “Progettazione, direzione lavori e collaudo di impianti relativamente agli aspetti biologici”
9)“Valutazione di impatto ambientale
9.1 VIA, VAS, VINCA, AIA, AUA, VIIAS
la carriera Accademica, il biologo ambientale può operare come singolo professionista o in sinergia, svolgendo supporto tecnico-scientifico, strumentale e analitico con funzioni di programmazione, policy e amministrazione attiva in campo ambientale.
10)“Biologia marina”
10.1 Valutazione risorse marine e impatto antropico
10.2 Gestione di impianti d’acquicoltura, di maricoltura e di acquari
10.3 Riproduzione di specie ornamentali e di biotecnologia acquatica
10.4 Controllo qualitativo dei prodotti della pesca e dell’acquacultura
10.5 Direzione e gestione impianti di trasformazione di prodotti ittici
10.6 Gestione di parchi marini e di aree protette
10.7 Ecologia marina
10.8 Valutazione e tutela della biodiversità marina
10.9 Determinazione sistematica, distribuzione delle specie marine, endemiche, protette, rare e loro simbionti
10.10 Attività in Centri Recupero Fauna Marina
10.11 Analisi sulla presenza e qualità degli habitat
10.12 Determinazione e valutazione degli impatti delle specie non indigene
10.13 Analisi dello stato di salute degli stock ittici
10.14 Ecotossicologia marina
11)“Botanica e agricoltura”
11.1 Classificazione e biologia delle piante
11.2 Analisi del ciclo di vita
11.3 Riforestazione e Ripopolazione
11.4 Gestione di Parchi ed Oasi Ecologiche
11.5 Miglioramento delle specie, protezione della Biodiversità ambientale
11.6 Guida scientifica presso i siti di Comunità Montane e Parchi Naturali
11.7 Valutazione, analisi e stabilità piante
11.8 Progettazione, sistemazione e salvaguardia area verde
11.9 Valutazione stato di salute delle piante
11.10 Riqualificazione ambientale
11.11 Monitoraggi ambientali
11.12 Riqualificazione dei boschi
11.13 Pianificazioni di attività per lo sviluppo sostenibile e l’economia circolare
11.14 Biotecnologia per l’agricoltura per l’ambiente e la salute
11.15 Realizzazione e valutazione di biocarburanti
11.18 Attività negli stabilimenti autorizzati di produzione di prodotti fitosanitari e di coadiuvanti di prodotti fitosanitari, preparazione prodotti contenenti microorganismi o virus.
12 “Zoologia e Zootecnia”
12.1 Classificazione e Biologia degli animali
12.2 Miglioramento delle razze animali, protezione dell’eco sistema animale, alimentazione e nutrizione animale
12.3 Entomologia
12.4 Collaborazione al miglioramento ed allevamento delle specie animali
Le opportunità professionali
Oltre la carriera Accademica, il biologo ambientale può operare come singolo professionista o in sinergia, svolgendo supporto tecnico-scientifico, strumentale e analitico con funzioni di programmazione, policy e amministrazione attiva in campo ambientale.
Nel settore della Pubblica Amministrazione (Ministeri, Regioni, Enti Locali, ARPA, Aree Protette, Istituti di ricerca come CNR, ENEA, ISPRA, Società partecipate della PA, ecc.), il biologo ambientale si inserisce in numerosi segmenti (energia, ambiente e territorio, protezione della natura, ecc.), operando con diversi inquadramenti.
Come funzionario tecnico o dirigente può operare nelle istruttorie delle Autorizzazioni Ambientali, verificandone i contenuti previsti dalle norme specifiche di settore5; nelle attività di monitoraggio, controllo e vigilanza di fonti e di fattori di inquinamento dell’aria, dell’acqua, del suolo, nel rispetto della normativa vigente e delle prescrizioni dei provvedimenti emanati dalle Autorità competenti in materia ambientale; nello sviluppo di sistemi informativi ambientali.
Nei Parchi Nazionali e nelle aree protette6 il biologo ambientale si occupa di conservazione della natura, monitoraggio della biodiversità, dello studio degli effetti dei cambiamenti climatici e della gestione sostenibile delle risorse naturali.
Altresì il biologo Ambientale opera nell’ambito del Codice degli Appalti pubblici7 come Responsabile Unico del Procedimento (RUP) e come Direttore di esecuzione del contratto per
La consapevolezza delle tante opportunità per i biologi ambientali deve crescere sia dal lato dei professionisti, investendo nel rafforzamento delle proprie competenze, che dal lato della domanda, nel settore pubblico quanto nel settore privato, riconoscendo a questa categoria di biologi i giusti spazi e adeguati sviluppi di carriera.
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i servizi e forniture. Non per ultimo, il biologo ambientale nell’ambito delle Società pubbliche dello Stato, riconosciute come Stazioni Appaltanti, può operare nella redazione di elaborati tecnico- specialistici, come membro del gruppo di verifica della progettazione8 con il compito di validare gli aspetti di propria competenza del progetto da porre a base di gara da parte del RUP, come Commissario di gara per affidamenti di servizi e forniture e per lavori. In tale contesto, si segnala la domanda di competenze specifiche sul principio del Do Not Significant Harm (DNSH)9, requisito obbligatorio per tutte le attività finanziate dal PNRR, che il biologo ambientale può certamente assicurare.
Nel settore privato il biologo ambientale opera come consulente tecnico scientifico specialistico delle Pubbliche Amministrazioni, degli studi di progettazione per la redazione di progetti, piani e/o programmi, come tecnico botanico, faunista ed ecologo.
Per quanto fin qui espresso ben si comprende che il biologo ambientale opera nel campo della salute, della salvaguardia e della tutela dell’ambiente ed ha, nel proprio ambito, pari dignità professionale rispetto agli altri professionisti.
La consapevolezza delle tante opportunità per i biologi ambientali deve crescere sia dal lato dei professionisti, investendo nel rafforzamento delle proprie competenze, che dal lato della domanda, nel settore pubblico quanto nel settore privato, riconoscendo a questa categoria di biologi i giusti spazi e adeguati sviluppi di carriera.
DIABETE DI TIPO 1, TRAPIANTO DI INSULE PANCREATICHE CHE
LIBERA DA INIEZIONI DI INSULINA
Intervista a Massimo Menegazzo, dirigente biologo del Centro Regionale per la Terapia cellulare del Diabete di Padova e docente universitario
Ester Trevisan
Il diabete mellito di tipo 1 è una patologia cronica, autoimmune, dipendente da un’alterazione del sistema immunitario, che comporta la distruzione di cellule dell’organismo riconosciute come estranee e verso le quali vengono prodotti degli anticorpi (autoanticorpi) che le attaccano. Nel caso del diabete tipo 1, vengono distrutte le cellule del pancreas che producono insulina (cellule beta). Questa patologia, che rappresenta circa il 5-10% dei casi di diabete, costringe i pazienti a frequenti misurazioni dei livelli di glucosio nel sangue e a ripetute somministrazioni di insulina esogena per evitare iper o ipo-glicemie sia di giorno che di notte. Una condizione limitante, alla quale il Centro Regionale per la Terapia cellulare del Diabete di Padova sta fornendo una terapia attraverso il trapianto di insule pancreatiche.
Dottor Menegazzo, da quando è attivo il Centro Regionale per la Terapia Cellulare del Diabete di tipo 1?
Siamo un centro giovane, abbiamo ottenuto la certificazione CNT (Centro Nazionale Trapianti, ndr) a ottobre 2023. In meno di un anno, abbiamo eseguito 14 processi totali, 4 allotrapianti e 2 autotrapianti.
Come è strutturato il Centro?
Nasciamo all’interno dell’UOC Chirurgia dei Trapianti di Rene e Pancreas dell’azienda Ospedale Università di Padova e siamo Centro di riferimento Regionale aperto 365 giorni all’anno,
con personale reperibile 24 ore su 24. L’attività di trapianto è completamente assistita dal Sistema Sanitario Nazionale. La Regione Veneto ha riconosciuto un DRG specifico per questa terapia. A lavorare nella Facility è un’èquipe multidisciplinare diretta dalla Professoressa Lucrezia Furian e composta da chirurghi, biologi, farmacisti, biotecnologi, dirigenti professioni sanitarie e amministrativi.
Cosa si intende per Facility?
La nostra Facility segue la normativa GMP (Good Manufacturing Practice) vigente ed è costituita da un continuum di vari laboratori, collegati da pass box, in cui il percorso dell’operatore e il percorso del pancreas rimangono ben distinti, in modo da ridurre al minimo il rischio di contaminazione per l’organo e il preparato cellulare. Per questo motivo i locali sono definiti Cleanroom (camere bianche) e il personale è tenuto a seguire regole di vestizione ben definite. Come si articola il processo all’interno del laboratorio?
Quando arriva la comunicazione che l’organo è stato allocato e accettato dal nostro Centro, il personale inizia a preparare il laboratorio. Dall’arrivo del pancreas al trapianto si susseguono varie fasi. La prima fase consiste nella rimozione del tessuto non pancreatico circostante l’organo, cioè milza, duodeno e grasso. A questa prima fase detta dissezione, segue la decontaminazione che avviene attraverso l’immersione del
di
pancreas in diverse soluzioni, tra cui una soluzione antibiotica per ridurre la carica microbica presente. Successivamente, il pancreas viene portato in un altro locale dedicato alla perfusione, dove attraverso l’incannulazione del dotto di Wirsung viene iniettata una soluzione enzimatica per digerire il tessuto e permettere la separazione della parte endocrina da quella esocrina (che rappresenta solo il 5%). Al termine della perfusione, l’organo viene tagliato in 14 pezzi e trasferito nella Camera di Ricordi per iniziare la digestione. Questa prima fase viene eseguita dal chirurgo.
Quando entra in azione il biologo?
Mentre il chirurgo esegue le prime fasi di dissezione, decontaminazione, perfusione e incannulazione, il biologo è già al lavoro per preparare tutte le soluzioni necessarie per l’intero processo. Una volta nella Camera di ricordi, il tessuto viene disgregato dall’azione meccanica delle biglie e dall’azione dei due enzimi collagenasi e proteasi. Per definire quando la fase della digestione sta terminando, vengono effettuati dei campionamenti seriali sul preparato e si verifica al microscopio la quantità di cellule pancreatiche libere presenti. La fase termina quando è presente circa il 50% di isole libere. Da questo momento in poi si inizia la raccolta del tessuto pancreatico attraverso l’imbuto separatore.
Quante cellule sono necessarie per poter concludere positivamente il processo?
È necessario ottenere almeno 5000 isole equivalenti per chilo di peso del ricevente.
Se questo standard viene raggiunto, si prosegue con la purificazione. Per questa fase viene utilizzata una citocentrifuga che permette di purificare le isole pancreatiche. Le isole purificate vengono messe in coltura in appositi incubatori a 37°C over night. Contemporaneamente, si eseguono i controlli di qualità per valutare la vitalità, la purezza, la funzionalità delle isole ottenute. Una volta superati i controlli di qualità, si procede alla preparazione del preparato finale che verrà inviato in radiologia per effettuare l’infusione all’interno della vena porta del fegato.
Il prossimo traguardo da raggiungere?
L’obiettivo futuro è riuscire a dare ai pazienti cellule che non necessitano di terapia immunosoppressiva, così da poter utilizzare questa terapia cellulare anche per i pazienti in età pediatrica. Per questo motivo la ricerca è fondamentale e il ruolo del biologo diventa centrale.
“Siamo un centro giovane, abbiamo ottenuto la certificazione CNT (Centro Nazionale Trapianti, ndr) a ottobre 2023. In meno di un anno, abbiamo eseguito 14 processi totali, 4 allotrapianti e 2 autotrapianti”.
Massimo Menegazzo, Dirigente Biologo, laureato in Biotecnologie Mediche presso l’Università di Padova e Specialista in Patologia e Biochimica Clinica. Professore a contratto per il corso Laurea Infermieristica dell’Università di Padova con sede a Rovigo. Lavora nella Facility del Centro Regionale per la Terapia Cellulare del Diabete dell’Azienda Ospedale- Università di Padova occupandosi del processo di isolamento delle Insule pancreatiche per la Terapia cellulare del Diabete di Tipo 1. Coordinatore, inoltre, di un gruppo di studio intersocietario SIBioC-SIERR.
Chi è
Chirurghi intervengono sul pancreas.
“
ALBUMINA, UN TEST POTREBBE
PREDIRE IL RISCHIO DI CANCRO E INFARTO NEGLI ANZIANI
Messa in luce un’associazione significativa tra valori bassi e aumento del rischio di mortalità per malattie vascolari e tumori. L’esame ha un costo contenuto
Chiara Di Martino
Bassi livelli di albumina e rischio di cancro e infarto negli anziani: una ricerca individua un nesso e accende i riflettori su un test poco invasivo e poco costoso che potrebbe costituire un ausilio diagnostico fondamentale. Dietro la ricerca c’è l’Università La Sapienza di Roma che ha lavorato in tandem con I.R.C.C.S. Neuromed di Pozzilli, Mediterranea Cardiocentro di Napoli e Università LUM - Libera Università Mediterranea di Casamassima, arrivando a risultati che potrebbero, di pari passo con un profondo mutamento culturale, cambiare il volto della prevenzione.
Alla base dello studio, un campione molto ampio – circa 18mila persone coinvolte nel progetto Moli-Sani, partito nel marzo 2005 in Molise – che ha consentito di individuare una possibile fonte del rischio di malattie cardiovascolari e di tumori nei bassi livelli di albumina, una proteina priva di carboidrati la cui concentrazione nel sangue è strettamente legata alla funzionalità del fegato, responsabile della sua produzione, e del rene. Ideatore dello studio, pubblicato su eClinical Medicine-Lancet (link: https:// doi.org/10.1016/j.eclinm.2024.102627) è Francesco Violi, internista specializzato in malattie del fegato e malattie metaboliche e Professore Emerito della Sapienza Università di Roma, che ci racconta di più.
Professore, qual è l’origine della ricerca? In uno studio pubblicato durante l’emergenza Sars-Cov2, era già emersa un’associazione tra livelli bassi di albumina e mortalità da eventi cardiovascolari. Anche altri studi sembrano convergere verso lo stesso risultato. In un precedente lavoro, con il mio gruppo avevamo osservato che i pazienti Covid-19 presentano livelli ridotti di albumina, proteina che viene prodotta dal nostro organismo e che è tra i più potenti antinfiammatori, oltre a svolgere anche un’azione anticoagulante. Abbiamo così supposto che i bassi livelli di albumina potessero facilitare la coagulazione e dunque contrastare anche l’efficacia della terapia anticoagulante. Poi siamo passati all’osservazione clinica degli effetti dell’infusione di albumina, ottenendo risultati incoraggianti. Per una settimana, a 10 pazienti Covid-19, già in trattamento con anticoagulanti, fu somministrata albumina endovena e si osservò una ridotta coagulazione rispetto a quella di 20 pazienti in terapia con il solo anticoagulante. I numeri dello studio, però, erano piuttosto limitati.
E oggi a che punto siete arrivati?
La nostra attenzione si è concentrata sugli individui di età pari o superiore ai 65 anni per capire gli effetti di bassi livelli di albumina. L’ipoalbuminemia, che è causata nella grande maggioranza dei casi da patologie
di
del fegato o dei reni, negli over 65 potrebbe essere collegata con uno stato infiammatorio cronico, che aumenta il rischio di tumore o di infarto. Ci siamo così basati sui dati raccolti dallo studio epidemiologico Moli-sani, analizzando una coorte di 17.930 individui di età uguale o superiore a 35 anni, di cui 8.445 uomini (47,1%). L’età media era di 54 anni, con 3.299 individui (18,4%) di età superiore a 65 anni. Nel corso di un follow-up medio di 13,1 anni, è stata studiata la relazione tra livelli di albumina sierica e mortalità.
E cosa è emerso?
Che livelli di albumina inferiori a 35 g/L sono collegati a un rischio maggiore di morte negli anziani per infarto, ictus o cancro. Questa relazione è stata osservata anche dopo aver escluso fattori come malattie renali o epatiche e stati infiammatori acuti, che possono influenzare i livelli di albumina.
Che in parole semplici vuol dire?
Il messaggio è semplicissimo: basta un’analisi di primo livello dal costo estremamente basso per misurare questa proteina e predire il rischio di sviluppare condizioni rischiose per la salute. Il futuro, dunque, è diagnostico. Anche il valore di riferimento che abbiamo individuato (35 g/L) può guidare il medico nell’interpretazione della misura di albumina.
C’è altro?
pubblicato su eClinical Medicine-Lancet è Francesco Violi, internista specializzato in malattie del fegato e malattie metaboliche e Professore Emerito della Sapienza Università di Roma, che ci racconta di più.
Un dato interessante della ricerca è che l’ipoalbuminemia è correlata a un livello socioeconomico più basso. Questo solleva un’importante questione sociale, poiché per motivi economici, gli anziani optano spesso per una dieta meno salutare, scegliendo alimenti con proteine meno nobili. E un ulteriore dato è che, in questo contesto socio-economico, l’ipoalbuminemia è più diffusa tra le donne.
C’è qualche difficoltà di cui tenere conto?
L’aspetto della modulazione è un punto interrogativo. È difficile soprattutto perché non abbiamo ancora gli strumenti medicali adatti.
Se dovesse riassumere i risultati raccolti?
La diminuzione dell’albumina accentua lo stato infiammatorio sistemico, facilitando l’iperattività delle cellule predisposte alla cancerogenesi o alla trombosi. È importante, in questo contesto, sottolineare che cancro e infarto cardiaco condividono una base comune proprio nella presenza di uno stato infiammatorio cronico, e che pazienti a rischio di malattie cardiovascolari, come i diabetici e gli obesi, sono anche a rischio di cancro.
Prossimo passo?
Ci hanno appena accettato un nuovo studio: con lo stesso gruppo faremo altre analisi, fondate su nuovi biomarker di trombosi concentrandoci su un’altra proteina, la catepsina G.
Ideatore dello studio,
Francesco Violi.
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Comprendere questi percorsi potrebbe essere importante, poiché dal 30% al 50% di tutti i tumori contengono mutazioni del gene TP53 e tali tumori vengono comunque trattati con terapie genotossiche indipendentemente da queste mutazioni. In più della metà dei tumori la proteina p53 non funziona più.
La chemioterapia è conosciuta per la sua capacità di distruggere le cellule tumorali, tuttavia, un recente studio condotto dal Netherlands Cancer Institute ha rivelato che il meccanismo di morte di queste cellule è diverso da quanto precedentemente ipotizzato. Gli studi in vitro hanno identificato un nuovo processo di morte cellulare associato al gene Schlafen 11 (SLFN11) e allo stallo dei ribosomi. Thijn Brummelkamp, PhD, co-responsabile della ricerca, ha definito questa scoperta del tutto inaspettata. Sebbene la chemioterapia sia impiegata da quasi un secolo, questo particolare percorso di morte cellulare non era mai stato osservato. Saranno necessarie ulteriori ricerche per comprendere dove e quando questo fenomeno si verifica nei pazienti, ma la scoperta potrebbe avere rilevanti implicazioni per il trattamento del cancro. Le recenti scoperte sono state pubblicate su Science, nell’articolo intitolato “Il danno al Dna induce l’apoptosi indipendente da p53 attraverso lo stallo ribosomiale”. Questi risultati spiegano la frequente inattivazione di SLFN11 nei tumori resistenti alla chemioterapia e sottolineano l’importanza dello stallo ribosomiale come evento di segnalazione che influisce sul destino cellulare in risposta al danno al Dna
Numerosi trattamenti oncologici causano danni al Dna delle cellule. Quando il danno diventa irreparabile, le cellule possono innescare il proprio processo di morte. La proteina p53, nota come il guardiano del genoma, svolge un ruolo fondamentale in questo meccanismo, secondo quanto riportato dagli autori dello studio. Questa proteina assicura la riparazione del Dna danneggiato e avvia l’apoptosi quando il danno è eccessivo, impedendo così la proliferazione incontrollata delle cellule e la formazione di tumori. Il team di ricerca ha ulteriormente spiegato che la proteina p53 può essere attivata da danni al DNA e agisce come un fattore di trascrizione per arrestare il ciclo cellulare, consentendo la riparazione del danno o inducendo l’apoptosi.
Le cellule prive di p53 possono ancora subire apoptosi quando il loro Dna è danneggiato, ma i meccanismi responsabili non sono ancora ben compresi, secondo quanto riportato dagli autori dello studio. Pertanto, sebbene trattamenti antitumorali come la radioterapia o la chemioterapia, che eliminano le cellule tumorali danneggiando il loro Dna, possano attivare la proteina p53, è possibile che anche le cellule con un percorso p53
difettoso vadano incontro ad apoptosi in risposta al danno al Dna. Tuttavia, non esiste ancora una chiara comprensione dei percorsi coinvolti.
Gli studiosi si sono chiesti il perché le cellule tumorali senza p53 muoiono comunque quando il loro Dna è danneggiato dalla chemioterapia o dalle radiazioni. Una domanda alla quale ancora no si è trovata una risposta.
Attraverso gli studi condotti, è stato scoperto un meccanismo precedentemente sconosciuto di morte cellulare in seguito a danni al Dna, grazie alla collaborazione tra il team e i ricercatori del gruppo di Reuven Agami dell’NCI. Gli esperimenti in vitro sono stati realizzati utilizzando una tecnologia cellulare aploide sviluppata da Brummelkamp. Queste cellule possiedono solo una copia di ciascun gene, a differenza delle normali cellule umane che ne contengono due. La presenza di due copie può complicare gli esperimenti genetici, poiché le mutazioni spesso si verificano solo in una copia, rendendo difficile osservare gli effetti. L’obiettivo era identificare un cambiamento genetico che permettesse alle cellule di sopravvivere alla chemioterapia. Grazie all’esperienza del gruppo nella disabilitazione selettiva dei geni, questa tecnica è stata applicata con successo nella ricerca. Il team ha confermato che le cellule aploidi umane HAP1 subiscono apoptosi in risposta all’esposizione agli agenti chemioterapici etoposide, cisplatino o idrossiurea, i quali inducono danni al Dna attraverso diversi meccanismi. Spegnendo i geni, è stato scoperto un nuovo percorso verso la morte cellulare collegato al gene Schlafen 11 (SLFN11). Secondo il ricercatore principale Nicolaas Boon, PhD, in caso di danno al Dna, SLFN11 spegne i ribosomi delle cellule, causando uno stress immenso che porta alla loro morte. Questo nuovo percorso aggira completamente la proteina p53. È stato osservato che la risposta al danno al Dna descritta non è presente solo in linee cellulari tumorali di diversa origine, ma anche in organoidi derivati da pazienti con cancro del colon-retto. Il riconoscimento di SLFN11 come biomarcatore potente per la reattività alla chemioterapia suggerisce la rilevanza dello stallo ribosomiale nell’efficacia della terapia antitumorale. Il gene SLFN11 non è nuovo nella ricerca sul cancro; è spesso inattivo nei tumori di pazienti che non rispondono alla chemioterapia. Quando le cellule mancano di SLFN11, non muoiono in risposta al danno al Dna, permettendo al cancro di persistere. (C. P.).
Scoperto il ruolo del gene Schlafen11 (SLFN11): implicazioni per il trattamento del cancro e della resistenza alla chemioterapia
IN ARRIVO UNA NUOVA CURA
PER LA LEUCEMIA: UN MIX TRA
CELLULE SANE E MALATE
La procedura messa a punto dai ricercatori dell’Università di Basileaè già stata sperimentata con risultati molto promettenti
La ricerca compie passi da gigante e un nuovo tassello di assoluto rilievo va ad aggiungersi nella non facile lotta contro la leucemia. Le speranze sono davvero fondate grazie a una nuova tecnica messa a punto dagli scienziati dell’Università di Basilea, in Svizzera, che ha già fornito risposte molto promettenti su modelli animali. Ma procediamo con ordine. La leucemia è un tipo di cancro che colpisce i tessuti che formano il sangue, inclusi il midollo osseo e il sistema linfatico. Si distingue in quattro tipi principali: leucemia linfoblastica acuta, leucemia mieloide acuta, leucemia linfatica cronica e leucemia mieloide cronica. Queste forme sono definite in base alla rapidità di progressione ma anche a seconda del tipo e delle caratteristiche dei globuli bianchi diventati cancerosi. Il trattamento della leucemia dipende dal tipo specifico di leucemia, dall’età del paziente, dallo stato generale di salute e da altri fattori. Le opzioni di trattamento possono includere chemioterapia, radioterapia, trapianto di midollo osseo o cellule staminali, e terapie mirate. Come già accennato, in campo medico negli ultimi anni si sono registrati enormi progressi. E la sperimentazione non si è certamente arrestata, tant’è che si sta mettendo a punto una tecnica innovativa con risultati promettenti su topi e cellule umane coltivate in laboratorio, che permette di cancellare del tutto il sangue di una persona malata di leucemia sostituendolo contemporaneamente con quello donato da una persona sana.
A divulgare i dettagli di questo studio è stata la prestigiosa rivista scientifica Nature. Della ricerca, invece, se ne sono occupati gli esperti dell’Università svizzera di Basilea con l’obiettivo di cominciare le sperimentazioni sull’uomo nel giro di poco tempo, aprendo quindi la strada a nuove opzioni terapeutiche non soltanto per chi è affetto dalla leucemia ma anche, ad esempio, per correggere specifici difetti genetici o per generare resistenza ai virus, tra cui l’Hiv. Quando la forma di leucemia è molto aggressiva, ad oggi una delle poche possibilità di cura consiste nel trapianto di cellule staminali del sangue, che, però, può comportare diversi effetti collaterali e complicazioni. In effetti, ci si serve della chemioterapia per rimuovere le cellule del sangue, tra cui proprio le staminali, e solamente in seguito si ha la possibilità di somministrare il sangue del donatore.
Ecco perché sarebbe opportuno individuare una strategia meno aggressiva ed è stato proprio
A divulgare i dettagli di questo studio è stata la prestigiosa rivista scientifica Nature. Della ricerca, invece, se ne sono occupati gli esperti dell’Università svizzera di Basilea con l’obiettivo di cominciare le sperimentazioni sull’uomo nel giro di poco tempo, aprendo quindi la strada a nuove opzioni terapeutiche non soltanto per chi è affetto dalla leucemia ma anche, ad esempio, per correggere specifici difetti genetici o per generare resistenza ai virus, tra cui l’Hiv.
questo l’obiettivo che si sono prefissati i ricercatori elvetici. Così hanno costruito anticorpi capaci di riconoscere una particolare struttura superficiale che si trova su tutte le cellule del sangue, sane ma anche malate, ma non sulle altre cellule umane.
Questi sono correlati a un farmaco tossico che uccide il bersaglio in maniera calcolata e precisa e, durante tale processo, può avvenire il trapianto di cellule del sangue sane. Come fa l’anticorpo killer a non uccidere anche le nuove cellule? Gli scienziati si sono serviti di tecniche di ingegneria genetica per modificare le cellule staminali del donatore così da non poter essere riconosciute. A spiegarne i dettagli è stato Lukas Jeker, coordinatore dello studio: «Avevamo bisogno di una molecola presente sulla superficie delle cellule che apparisse con la stessa frequenza su tutte quelle del sangue ma che non fosse presente altrove».
È stata dunque scelta una proteina denominata CD45 che risulta anche adatta alla protezione delle nuove cellule, tanto da poter essere modificata con l’obiettivo di schermarle dall’attacco degli anticorpi, lasciando intatta però la sua funzione. La domanda è che in modo questo approccio potrebbe rivelarsi utile. La risposta arriva dai ricercatori: «Potrebbe aprire la strada a nuove opzioni terapeutiche per i pazienti il cui stato di salute è incompatibile con la chemioterapia necessaria per il trapianto di cellule staminali». Insomma, la chiave potrebbe essere nel mixaggio tra sangue sano e malato. La speranza è che questa nuova tecnica possa quanto prima essere testata presto anche sugli uomini per accelerarne l’utilizzo.
In tal senso, non resta che incrociare le dita. Attualmente non esiste alcuna maniera per prevenire la leucemia. Sono stati, però, individuati alcuni fattori di rischio che possono aumentare le possibilità di sviluppare la malattia. Tra questi, malattie genetiche (sindrome di Down, sindrome di Bloom o anemia di Fanconi); esposizione a radiazioni nucleari; esposizione ad alcune sostanze chimiche (ad esempio il benzene); pregressa chemioterapia per il trattamento di un altro tumore. Tuttavia, la compresenza di fattori di rischio o la loro totale assenza non indica necessariamente lo sviluppo o il mancato sviluppo della patologia. Ciò che i medici possono limitarsi a consigliare è di condurre una vita sana ed evitare le abitudini dannose (fumo, alcol, cibi ultra-processati): questo aiuterà nella prevenzione di altri tumori, oltre che ad affrontare meglio l’eventuale trattamento. (D. E.).
TUMORE DEL POLMONE ALLUNGARE SOPRAVVIVENZA DEGLI AMMALATI
Nuove strategie terapeutiche dal congresso dell’American Society Of Medical Oncology (ASCO), tenutosi a Chicago
L’edizione 2024 del congresso dell’American Society Of Medical Oncology (ASCO), tenutasi a Chicago, ha evidenziato l’importanza di fermare il tumore attraverso la comprensione dettagliata delle sue mutazioni genetiche. Queste mutazioni, errori nel DNA, sono alla base della crescita tumorale ma rappresentano anche il punto debole del cancro, attaccabile con terapie mirate. Tra queste mutazioni, le più rilevanti sono EGFR e ALK, presenti in piccole percentuali nei pazienti con tumore del polmone (meno del 10% per EGFR e circa il 4% per ALK), che influenzano significativamente la sopravvivenza e la qualità della vita.
Il professor Giampaolo Tortora, direttore del Comprehensive Cancer Center della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS, sottolinea l’importanza di ricercare queste mutazioni nei tessuti tumorali fin dalla diagnosi iniziale. La profilazione molecolare è fondamentale perché permette di identificare pazienti che possono beneficiare di terapie selettive, capaci di superare i meccanismi di resistenza del tumore. Al Policlinico Gemelli, questa pratica è sistematica, offrendo un’ampia gamma di terapie mirate.
Nella sessione plenaria dell’ASCO 2024, lo studio di fase III LAURA ha mostrato che osimertinib, un inibitore di EGFR, sommini -
strato dopo radio-chemioterapia nei pazienti con tumore del polmone non a piccole cellule (NSCLC), ha migliorato significativamente la sopravvivenza senza progressione della malattia (39,1 mesi rispetto ai 5,6 mesi del gruppo di controllo). È la prima volta che un inibitore di EGFR dimostra un tale risultato in pazienti con tumore del polmone in stadio 3 non operabile.
Lo studio ADRIATIC ha dimostrato l’efficacia di durvalumab nella malattia limitata del microcitoma polmonare, una delle forme più aggressive di cancro. Somministrato dopo radio-chemioterapia, durvalumab ha ridotto il rischio di morte del 25% e ha aumentato la sopravvivenza mediana a 4,5 anni rispetto ai 2,7 anni del gruppo di controllo. La sopravvivenza libera da progressione della malattia è stata di 16,6 mesi con durvalumab contro i 9,2 mesi del gruppo placebo.
Nello studio CROWN, lorlatinib ha dimostrato di aumentare del 60% la sopravvivenza libera da progressione di malattia nei pazienti con NSCLC ALK+ avanzato. Lorlatinib ha ridotto dell’81% il rischio di progressione o morte e del 94% la progressione delle metastasi cerebrali rispetto ai pazienti trattati con crizotinib.
Lo studio MARIPOSA ha mostrato l’efficacia della combinazione di amivantamab, un anticorpo bispecifico contro i recettori
di Carmen Paradiso
EGFR e MET, con l’inibitore chinasico lazertinib in pazienti con adenocarcinomi del polmone EGFR-mutati. Questa combinazione copre più bersagli e interferisce con mutazioni che conferiscono resistenza alle terapie. Amivantamab è stato testato anche in formulazione sottocutanea nello studio PALOMA-3, riducendo i tempi di somministrazione rispetto alla via endovenosa.
La profilazione molecolare sta evolvendo, superando le tecniche tradizionali come l’immunoistochimica, che risultano limitate dalla soggettività e dall’eterogeneità tumorale. La biopsia liquida, che analizza il sangue per fornire una visione complessiva del tumore, rappresenta un metodo diagnostico più accurato. Al Policlinico Gemelli, questa pratica è al centro di un grande programma di sviluppo, offrendo diagnosi e trattamenti più precisi.
Nonostante l’importanza della profilazione molecolare, l’anatomia patologica è una specialità poco scelta dai laureati in medicina, forse perché percepita come un lavoro “dietro le quinte”. Tuttavia, il ruolo degli anatomopatologi è cruciale per il progresso
della medicina molecolare e della medicina di precisione, richiedendo professionisti moderni e competenti.
Il congresso ASCO 2024 ha sottolineato i progressi nella comprensione e nel trattamento del cancro, enfatizzando l’importanza delle terapie mirate e della profilazione molecolare. Queste scoperte migliorano le opzioni terapeutiche e pongono nuove sfide nella diagnostica oncologica, richiedendo competenze avanzate e specializzate.
L’ASCO 2024 ha dimostrato come la conoscenza approfondita delle mutazioni genetiche e l’utilizzo di terapie mirate possano migliorare significativamente la sopravvivenza e la qualità della vita dei pazienti oncologici. La profilazione molecolare e la biopsia liquida rappresentano il futuro della diagnosi e del trattamento del cancro, offrendo speranze concrete di personalizzare le terapie e superare i limiti delle tecniche tradizionali. Il ruolo degli anatomopatologi sarà sempre più centrale in questo panorama in evoluzione, e la formazione di nuovi specialisti sarà essenziale per continuare a fare progressi nella lotta contro il cancro.
La plectasina, una molecola di origine fungina, adotta un metodo nuovo per eliminare i batteri. Si assembla in una struttura grande che si lega al suo bersaglio sulla superficie della cellula batterica, analogamente a come si agganciano entrambi i lati di un velcro.
Un gruppo di ricerca ha mappato la formazione di questa struttura a velcro. La loro scoperta apre la strada a nuovi approcci con significative implicazioni per la creazione di antibiotici capaci di combattere la resistenza antimicrobica. Pubblicato sulla rivista scientifica Nature Microbiology, lo studio è stato condotto dal biologo strutturale Markus Weingarth e dal biochimico Eefjan Breukink dell’Università di Utrecht.
I ricercatori hanno individuato il meccanismo antibatterico della plectasina. La ricerca mostra che la plectasina crea strutture simili al velcro, catturando elementi cruciali dei batteri e impedendo loro di sfuggire, migliorando così l’efficacia del farmaco. Questo meccanismo innovativo potrebbe essere fondamentale nello sviluppo di nuovi antibiotici per contrastare la resistenza antimicrobica e combattere i super batteri.
Dalla metà degli anni 2000, è noto che la Pseudoplectania nigrella, che cresce nel suolo o su legno in decomposizione, spesso tra gli aghi di pino, produca una molecola chiamata plectasina, che si è dimostrata altamente efficace contro batteri resistenti come lo Streptococcus pneumoniae, il principale agente della polmonite negli adulti, e lo Streptococcus pyogenes, responsabile di faringiti, polmoniti, infezioni della pelle e delle ferite, endocarditi e sepsi.
Il gruppo di ricerca ha approfondito il funzionamento della plectasina, (derivato dal fungo Pseudoplectania nigrella), utilizzando tecniche biofisiche avanzate, tra cui la risonanza magnetica nucleare (NMR) allo stato solido e, collaborando con Wouter Roos di Groningen, la microscopia a forza atomica.
In genere, gli antibiotici agiscono bersagliando molecole specifi -
IL MECCANISMO DELLA PLECTASINA: ANTIBIOTICO
CONTRO LA RESISTENZA BATTERICA
La plectasina, efficace contro Streptococcus pneumoniae e Streptococcus pyogenes forma strutture supramolecolari che intrappolano i batteri
che all’interno delle cellule batteriche. Tuttavia, il meccanismo d’azione della plectasina non era stato completamente chiarito fino ad ora. Studi precedenti avevano suggerito un modello tradizionale in cui la plectasina si lega a una molecola chiamata lipide II, fondamentale per la sintesi della parete cellulare batterica, similmente a una chiave che si inserisce in una serratura.
Lo studio, invece, rivela un meccanismo più complesso. La plectasina non si comporta semplicemente come una chiave che entra in una serratura, crea strutture dense sulle membrane batteriche contenenti il lipide II. Questi complessi supramolecolari intrappolano il lipide II
bersaglio, impedendogli di liberarsi. Anche se un lipide II riesce a sfuggire alla plectasina, rimane comunque confinato nella struttura simile al velcro, impedendogli di scappare.
Weingarth paragona questa struttura al velcro, in cui la plectasina forma microscopici ganci che si attaccano agli anelli batterici. Nel caso del velcro tradizionale, se uno degli anelli si sgancia, rimane comunque bloccato nell’intera struttura. Lo stesso accade con i batteri intrappolati nella sovrastruttura della plectasina: possono staccarsi dal legame diretto con la plectasina, ma rimangono intrappolati nella struttura complessiva. Questo impedisce ai batteri di liberarsi e causare ulteriori infezioni.
Inoltre, è stato scoperto che la presenza di ioni calcio aumenta l’attività antibatterica della plectasina. Questi ioni si legano a specifiche regioni della plectasina, inducendo cambiamenti strutturali che ne migliorano significativamente l’efficacia antibatterica. Il ruolo fondamentale degli ioni nella funzione della plectasina è stato individuato dai dottorandi Shehrazade Miranda Jekhmane e Maik Derks, grazie al particolare colore nei campioni di plectasina, si è arrivati ad individuare la presenza di ioni.
Secondo Markus Weingarth, autore principale dello studio, questa scoperta potrebbe aprire nuove possibilità nello sviluppo di antibiotici più efficaci. La plectasina potrebbe non essere l’antibiotico ideale per motivi di sicurezza, ma lo studio dimostra che il meccanismo a velcro è ampiamente utilizzato tra gli antibiotici, nonostante finora sia stato ignorato.
I futuri sforzi nella progettazione di farmaci dovranno concentrarsi non solo su come vincolare i bersagli, ma anche su come i farmaci possano auto-assemblarsi in modo efficiente. Secondo i ricercatori questo studio colma una lacuna significativa nelle conoscenze, con potenziali implicazioni per la progettazione di farmaci migliori per combattere la crescente minaccia della resistenza antimicrobica.
L’idea è quella di progettare molecole che possano replicare l’efficacia del velcro della plectasina senza le sue limitazioni di tossicità.
Questa nuova prospettiva potrebbe aprire la strada a un’intera classe di antibiotici innovativi con l’obiettivo di affrontare in modo più efficiente la crescente minaccia dell’antibiotico-resistenza ormai in aumento in molti Paesi rendendo sempre più difficile il trattamento di infezioni che una volta erano facilmente curabili.
La felce biforcuta della Nuova Caledonia, Tmesipteris oblanceolata, contiene oltre
100 metri di DNA, più di 50 volte la quantità presente nel genoma umano. Questa scoperta supera il precedente record detenuto dalla pianta da fiore giapponese Paris japonica dal 2010. Inoltre, Tmesipteris oblanceolata ha ottenuto tre titoli dal Guinness World
Nello studio pubblicato sulla rivista iScience, i ricercatori dei Royal Botanic Gardens di Kew e dell’Institut Botànic de Barcelona (IBB-CSIC) in Spagna hanno identificato un genoma più grande mai scoperto prima. Un record per la più grande quantità di DNA immagazzinato nel nucleo di qualsiasi organismo vivente.
La felce biforcuta della Nuova Caledonia, Tmesipteris oblanceolata, contiene oltre 100 metri di DNA, più di 50 volte la quantità presente nel genoma umano. Questa scoperta supera il precedente record detenuto dalla pianta da fiore giapponese Paris japonica dal 2010. Inoltre, Tmesipteris oblanceolata ha ottenuto tre titoli dal Guinness World Records: per il più grande genoma di pianta, il più grande genoma in assoluto e il più grande genoma di felce per la quantità di DNA nel nucleo. È una rara felce endemica della Nuova Caledonia, un territorio francese d’oltremare situato nel Pacifico sud-occidentale, a circa 1200 km a est dell’Australia, e presente anche in alcune isole vicine come Vanuatu. Il genere Tmesipteris comprende circa 15 specie, per lo più diffuse nelle isole del Pacifico e dell’Oceania.
Finora, gli scienziati hanno stimato la dimensione del Dna di sole due specie di Tmesipteris: T. tannensis e T. obliqua, entrambe caratterizzate da genomi giganteschi, con rispettivamente 73,19 e 147,29 gigabase (Gbp) di coppie di basi. Nel 2023, i ricercatori dell’Institut Botànic de Barcelona (IBB) ed ex Royal Botanic Gardens Kew, hanno raccolto campioni di Tmesipteris. Successivamente, sono stati analizzati per stimare la dimensione dei loro genomi. Questo processo ha coinvolto l’isolamento dei nuclei di migliaia di cellule, la colorazione con un agente specifico e la misurazione della quantità di colorante legato al DNA in ciascun nucleo. La quantità di colorante legato è stata proporzionale alla dimensione del genoma. L’analisi ha rivelato che la specie Tmesipteris oblanceolata possiede una dimensione del genoma record di 160,45 Gbp, circa il 7% più grande rispetto a quella di P. japonica (148,89 Gbp). Se srotolato il DNA di ciascuna cellula di Tmesipteris oblanceolata supererebbe l’altezza della Elizabeth Tower a Westminster, che misura 96 metri. In confronto, il genoma umano contiene circa 3,1 Gbp distribuiti su 23 cromosomi e, se allungato, il DNA di ciascuna cellula umana misurerebbe circa 2 metri. Secondo il dottor Pellicer, ricercatore in biologia evoluzionistica, Tme-
sipteris è un piccolo genere unico di felci, i cui antenati si sono evoluti circa 350 milioni di anni fa, ben prima dell’apparizione dei dinosauri. Questo genere si distingue per essere prevalentemente epifita, cioè cresce principalmente sui tronchi e rami degli alberi, e per la sua distribuzione limitata in Oceania e nelle isole del Pacifico. Per lungo tempo si è ritenuto che superare il record di dimensioni del genoma di Paris japonica sarebbe stata una missione impossibile, ma ancora una volta i limiti della biologia hanno superato le previsioni più ottimistiche.
Sulla base di ricerche precedenti, era stata prevista l’esistenza di genomi giganti in Tmesipteris. Tuttavia, scoprire il genoma più grande di tutti rappresenta non solo un traguardo scientifico importante, ma anche il risultato di quasi quattordici anni di studi sulla complessità e diversità dei genomi delle piante. Attualmente, gli scienziati di tutto il mondo hanno stimato le dimensioni del genoma di oltre 20.000 organismi eucarioti, scoprendo una vasta gamma di dimensioni genomiche nell’albero della vita. Queste dimensioni influenzano significativamente non solo l’anatomia degli organismi, poiché genomi più grandi richiedono cellule più grandi per essere contenuti e necessitano di più tempo per la replicazione, ma anche il loro funzionamento, la loro evoluzione e il loro habitat. Negli animali, alcuni dei genomi più grandi sono quelli del dipnoo marmorizzato (Protopterus aethiopicus) con 129,90 Gbp e del cane acquatico del fiume Neuse (Necturus lewisi) con 117,47 Gbp. In confronto, sei dei più grandi genomi eucariotici conosciuti appartengono a piante, incluso il vischio europeo (Viscum album) con 100,84 Gbp. Avere un genoma di grandi dimensioni di solito non rappresenta un vantaggio. Nel caso delle piante, le specie con quantità elevate di DNA tendono a essere piante perenni a crescita lenta, meno efficienti nella fotosintesi e richiedono maggiori quantità di nutrienti, come azoto e fosfati, per crescere e competere con successo con piante con genomi più piccoli. Questi effetti possono influenzare la capacità delle piante di adattarsi ai cambiamenti climatici e aumentare il rischio di estinzione. Rispetto ad altri organismi, le piante mostrano una diversità incredibile a livello di DNA, il che evidenzia il loro valore intrinseco nel contesto più ampio della biodiversità globale. Questa scoperta apre nuove domande sui limiti superiori di ciò che è biologicamente possibile, con la speranza di risolvere questi misteri in futuro. (C. P.).
IL PIÙ GRANDE GENOMA DI QUALSIASI ORGANISMO
VIVENTE: LUNGO 100 METRI
La felce Tmesipteris oblanceolata della Nuova Caledonia contiene oltre 100 metri di DNA per cellula, 50 volte superiore a quello umano
Lo studio, pubblicato su Nature Human Behavior, mette in luce un approccio interdisciplinare che combina medicina, neuroscienza, informatica e ingegneria per migliorare la comprensione del cervello e sviluppare terapie che potrebbero trasformare la vita delle persone.
Idisturbi neurologici come la dipendenza, la depressione e il disturbo ossessivo-compulsivo (DOC) colpiscono milioni di persone nel mondo. Questi disturbi coinvolgono diverse regioni e circuiti del cervello e sono difficili da trattare a causa della loro complessità e della scarsa comprensione delle funzioni cerebrali. Inoltre, è complicato somministrare terapie alle strutture cerebrali profonde senza utilizzare procedure invasive.
La stimolazione cerebrale non invasiva offre una nuova speranza per comprendere e trattare numerose condizioni neurologiche e psichiatriche senza la necessità di interventi chirurgici o impianti. I ricercatori, sotto la guida di Friedhelm Hummel, titolare della cattedra Defitech di Neuroingegneria Clinica presso la Scuola di Scienze della Vita dell’EPFL, e del postdoc Pierre Vassiliadis, hanno utilizzato un nuovo metodo che potrebbe rivoluzionare il trattamento di disturbi come la dipendenza e la depressione.
La loro ricerca utilizza la stimolazione elettrica di interferenza temporale transcranica (tTIS) per mirare specificamente alle regioni profonde del cervello, che sono i centri di controllo di importanti funzioni cognitive e coinvolte in varie patologie neurologiche e psichiatriche. Lo studio, pubblicato su Nature Human Behavior, mette in luce un approccio interdisciplinare che combina medicina, neuroscienza, informatica e ingegneria per migliorare la comprensione del cervello e sviluppare terapie che potrebbero trasformare la vita delle persone.
La stimolazione cerebrale profonda invasiva (DBS) è già stata utilizzata con successo per agire sui centri di controllo neurale profondamente situati, contribuendo a contrastare la dipendenza e a trattare il Parkinson, il disturbo ossessivo compulsivo e la depressione. La differenza fondamentale con l’approccio sviluppato dal team di ricerca risiede nella sua non invasività, che prevede l’uso di una stimolazione elettrica di basso livello applicata sul cuoio capelluto per raggiungere queste regioni.
Vassiliadis, autore principale della ricerca descrive la tTIS come l’utilizzo di due coppie di elettrodi attaccati al cuoio capelluto per applicare al cervello deboli campi elettrici.
In passato, non era possibile colpire specificamente queste aree con tecniche non invasive, poiché i campi elettrici di bassa intensità avrebbero stimolato tutte le aree tra il cranio e le regioni più profonde, rendendo i trattamenti inefficaci. Questo nuovo approccio consente di agire selettivamente sulle regioni profonde del cervello rilevanti per i disturbi neuropsichiatrici.
Questa tecnica innovativa si basa sul principio dell’interferenza temporale, inizialmente studiato nei modelli di roditori e ora applicato con successo agli esseri umani dal team dell’EPFL. Nel loro esperimento, una coppia di elettrodi è stata regolata su una frequenza di 2.000 Hz, mentre l’altra impostata su 2.080 Hz. Attraverso modelli computazionali dettagliati della struttura cerebrale, gli elettrodi sono stati posizionati con precisione sul cuoio capelluto per garantire che i loro segnali si intersecassero nella regione specifica.
La ricerca si è concentra sullo striato umano, un elemento cruciale nei meccanismi di ricompensa e rinforzo. È stato esaminato come l’apprendimento per rinforzo, ossia il processo di apprendimento attraverso le ricompense, possa essere influenzato da specifiche frequenze cerebrali. Utilizzando una stimolazione dello striato a 80 Hz, il team ha scoperto che era possibile interromperne il normale funzionamento, incidendo direttamente sul processo di apprendimento.
Il potenziale terapeutico di questo lavoro è importante, soprattutto per condizioni come la dipendenza, l’apatia e la depressione, dove i meccanismi di ricompensa sono fondamentali. È stato osservato che le persone tendono a cercare eccessivamente le ricompense, e questo metodo potrebbe contribuire a ridurre tale enfasi patologica.
Inoltre, sono stati esplorati diversi schemi di stimolazione che potrebbero potenzialmente migliorare le funzioni cerebrali. È stato dimostrato che la frequenza di 80 Hz influenza lo striato, interrompendone il funzionamento. Questa ricerca mostra anche risultati promettenti nel miglioramento delle capacità motorie e nell’aumento dell’attività dello striato, in particolare negli anziani con ridotte capacità di apprendimento.
Un ulteriore vantaggio significativo del tTIS è la presenza di effetti collaterali minimi. La maggior parte dei partecipanti agli studi ha riportato solo lievi sensazioni cutanee, rendendolo un metodo altamente tollerabile e ben accettato dai pazienti.
Hummel e Vassiliadis si sono detti fiduciosi riguardo all’impatto della loro ricerca. Prevedendo un futuro in cui le terapie di neuromodulazione non invasive saranno facilmente accessibili negli ospedali, offrendo un’opzione terapeutica sia economicamente vantaggiosa che ampiamente applicabile. (C. P.).
UNA NUOVA SPERANZA
PER IL TRATTAMENTO NON INVASIVO DI DIPENDENZA E DEPRESSIONE
La stimolazione cerebrale di interferenza temporale transcranica (tTIS) offre un approccio innovativo per trattare condizioni neurologiche e psichiatriche
L’allarme arriva direttamente
dall’Organizzazione Mondiale della Sanità: i casi nel mondo di infezioni sessualmente trasmissibili sono in aumento.
È quanto emerge dall’ultimo report stilato dall’ente, da cui si evince che ogni anno le epidemie globali di Hiv, epatite virale e altre infezioni sessualmente trasmissibili causano 2,5 milioni di morti. A destare preoccupazione sono in particolare quattro malattie sessualmente trasmissibili in realtà curabili, ma responsabili di
oltre un milione di infezioni al giorno, soprattutto nelle Americhe e in Africa: sifilide, gonorrea, clamidia e tricomoniasi. Nel dettaglio, sifilide adulta e materna e gonorrea hanno fatto registrare aumenti significativi. Per la prima le diagnosi hanno registrato un rialzo di oltre un milione di casi in un anno, raggiungendo otto milioni di diagnosi nelle persone tra i 15 e i 49 anni. E nel 2023, degli 87 Paesi in cui è stata condotta una sorveglianza rafforzata per la resistenza antimicrobica, nove hanno
L’allarme arriva dal report dell’Organizzazione Mondiale della Sanità: le epidemie globali di Hiv, l’epatite virale e altre infezioni causano 2,5 milioni di morti all’anno di Domenico Esposito
OMS, INFEZIONI SESSUALMENTE TRASMISSIBILI: AUMENTANO I CASI
riportato livelli elevati (dal 5% al 40%) di resistenza al ceftriaxone, il trattamento standard per la gonorrea.
Diverso è il discorso per l’Hiv dove invece lievi miglioramenti sono stati riscontrati. Tra il 2020 e il 2022, infatti, i contagi si sono ridotti, passando da 1,5 milioni a 1,3 milioni. Il problema è che parallelamente resta elevato il numero di decessi ad essi collegati: 630mila nel 2022, il 13% dei quali in bambini di età inferiore ai 15 anni. Della questione ha parlato Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore generale dell’Oms: “Abbiamo gli strumenti per porre fine a queste epidemie come minacce per la salute pubblica entro il 2030, ma dobbiamo garantire che, nel contesto di un mondo sempre più complesso, i Paesi facciano tutto ciò che è in loro potere per raggiungere gli ambiziosi obiettivi che si sono prefissati”. Le notizie non sono solamente negative. Nel tempo passi avanti sono stati compiuti anche in alcune zone più a rischio. Ad esempio, è stata certificata l’eliminazione della trasmissione da madre a figlio dell’Hiv e della sifilide in 19 Paesi. Botswana e Namibia, come rivelato dall’Oms, sono sulla strada dell’eliminazione dell’Hiv e la Namibia è stata il primo paese a presentare un dossier da valutare per la tripla eliminazione della trasmissione da madre a figlio dell’Hiv, dell’epatite B e della sifilide. Più in generale la copertura del trattamento dell’Hiv ha raggiunto la soglia del 76% e ciò rappresenta un dato incoraggiante per il futuro. Infine, proseguono gli sforzi per aumentare la vaccinazione e il test Hpv tra le donne sieropositive. Nonostante gli sforzi fin qui compiuti, però, c’è ancora tanto lavoro all’orizzonte.
Per quanto riguarda la circolazione dell’Hiv in Italia, come riferito dal Ministero della Salute, nel 2022 sono state 1.888 le nuove diagnosi di infezione pari a un’incidenza di 3,2 nuove diagnosi per 100.000 residenti. L’incidenza (casi/ popolazione) delle nuove diagnosi di Hiv è in diminuzione dal 2012 e non solo.
NEL MONDO
Perché, sebbene non manchino spiragli di luce, il quadro generale che emerge dalla situazione descritta resta ancora critico. È sempre l’Oms a spiegare come bisognerebbe intervenire in maniera concreta per abbattere il numero delle infezioni trasmesse sessualmente. Innanzitutto attuare dialoghi politici e finanziari per sviluppare investimenti trasversali; accelerare gli sforzi per la discriminazione negli ambienti sanitari in particolare contro le popolazioni più colpite dall’Hiv, dall’epatite virale e dalle malattie sessualmente trasmissibili; espandere gli approcci e i pacchetti per l’eliminazione di più malattie, attingendo alle lezioni apprese dalla tripla eliminazione della trasmissione da madre a figlio e, infine, rafforzare l’attenzione sulla prevenzione primaria, sulla diagnosi e sul trattamento di tutte le malattie per aumentare la consapevolezza sulle malattie sessualmente trasmissibili.
Per quanto riguarda la circolazione dell’Hiv in Italia, come riferito dal Ministero della Salute, nel 2022 sono state 1.888 le nuove diagnosi di infezione pari a un’incidenza di 3,2 nuove diagnosi per 100.000 residenti. L’incidenza (casi/popolazione) delle nuove diagnosi di Hiv è in diminuzione dal 2012 e non solo. Il Belpaese in termini di incidenza delle nuove diagnosi, si colloca nel 2022 al di sotto della media stimata dei Paesi dell’Europa occidentale e dell’Unione Europea (5,1 casi per 100.000 residenti in entrambe le aree). L’incidenza più elevata di nuove diagnosi si è riscontrata nella fascia di età 30-39 anni, mentre fino al 2019 si riscontrava nella fascia di età 25-29 anni. Sempre in riferimento al 2022 sono state, invece, 403 le nuove diagnosi di Aids, pari a un’incidenza di 0,7 per 100.000 residenti. Dal 1982, anno della prima diagnosi di Aids in Italia, al 31 dicembre 2022 sono stati notificati al Centro Operativo Aids dell’Istituto Superiore di Sanità 72.556 casi. Nel corso del tempo è variata l’età media sia tra i maschi sia tra le femmine. Se nel 2002 la mediana era di 40 anni per i maschi e di 36 per le femmine, nel 2022 le mediane sono salite a 46 anni per i maschi e 44 per le femmine. Non ci sono solo Hiv e Aids, però. L’Oms, infatti, distingue oltre 30 diversi patogeni, tra batteri, virus, protozoi, e parassiti, responsabili di infezioni sessualmente trasmesse: ecco perché l’attenzione deve essere massima.
RICERCA EUROPEA CON IL CNR: LE ONDATE DI CALORE COLPISCONO I PIÙ VULNERABILI
Tra le soluzioni più efficaci, rendere più diffuse e fruibili le aree verdi urbane per attenuare gli effetti del riscaldamento
Le ondate di calore in Europa sono in aumento, portando a un incremento del 57% del numero di persone esposte rispetto al decennio 20002009. Gli effetti di questi eventi estremi sono particolarmente evidenti nelle aree urbane, dove le strutture cittadine contribuiscono all’effetto isola di calore. Questo fenomeno fa sì che lo stress termico causato dalle ondate di calore sia la principale causa di morti premature legate al clima in Europa.
Una delle soluzioni più efficaci per affrontare questo problema è lo sviluppo di infrastrutture verdi urbane. Queste soluzioni, note come Nature Based Solutions (NBS), replicano processi naturali per mitigare il riscaldamento nelle città e fornire servizi ecosistemici. Tuttavia, la capacità dei cittadini di beneficiare di questi servizi di raffreddamento verde non è ancora ben conosciuta.
Uno studio pubblicato su Nature Cities, che ha coinvolto ricercatori di tutta l’UE, inclusi il Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr) e il Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici (CMCC) per l’Italia, ha esaminato l’ingiustizia ambientale relativa all’accesso alle soluzioni di raffreddamento verde in quattordici grandi aree urbane europee, tra cui Firenze e Roma. Utilizzando indicatori socioeconomici, lo studio ha sviluppato un approccio innovativo per valutare l’espo-
sizione dei cittadini allo stress termico, combinando dati micrometeorologici, satellitari e modelli di simulazione.
Il ricercatore del CMCC e coautore dello studio, Giacomo Nicolini, ha spiegato che in tutte le aree urbane analizzate, i cittadini con redditi più bassi, come inquilini, immigrati e disoccupati, hanno maggiori difficoltà di accesso ai servizi di raffreddamento verde a causa della sfavorevole conformazione urbanistica e sociale di molte città europee. Al contrario, i residenti ad alto reddito, i cittadini nazionali e i proprietari di case godono di una fornitura di raffreddamento superiore alla media.
Le città oggetto di studio sono state selezionate anche per la presenza di siti di misurazione degli scambi di energia e gas serra, come l’Osservatorio Ximeniano di Firenze gestito dal Cnr. Questo sito, parte della rete ICOS (Integrated Carbon Observation System), fornisce misurazioni da quasi vent’anni. Sia il CMCC che il Cnr sono coinvolti nella raccolta e elaborazione dei dati della rete ICOS, che monitora il ciclo del carbonio a livello europeo.
Beniamino Gioli, ricercatore dell’Istituto di Bioeconomia del Cnr di Firenze, ha sottolineato che questo studio dimostra come la capacità di adattarsi ai cambiamenti climatici non sia solo una questione tra paesi ricchi e poveri, ma anche una questione di differenze sociali all’interno delle ricche regioni e città
europee. Le soluzioni basate sulla natura devono considerare sia le dimensioni sociali che ambientali, con analisi integrate e multidisciplinari ad alto dettaglio spaziale.
La rete ICOS è un’infrastruttura di ricerca europea sui gas serra che produce dati standardizzati sulle concentrazioni e flussi di gas serra e calore misurati da ecosistemi terrestri e marini in circa 150 stazioni di misura. I dati sono disponibili gratuitamente attraverso il portale ICOS Data Portal. I dati relativi agli ambienti terrestri sono prodotti dall’ICOS Ecosystem Thematic Center, coordinato dal CMCC e dall’Università della Tuscia di Viterbo. Questi dati costituiscono la base per la ricerca scientifica e per le decisioni degli stakeholder.
ICOS Italia comprende 24 stazioni di monitoraggio: 15 per gli ecosistemi, 5 per l’oceano e 4 per l’atmosfera. Le stazioni per gli ecosistemi coprono vari territori italiani, mentre quelle atmosferiche si trovano nel nord Italia e a Lampedusa. Le stazioni oceaniche si trovano nel Mar Adriatico e nel Mar Ligure. L’Osservatorio integrato di Lampedusa è unico nel
Uno studio pubblicato su Nature Citiesha esaminato l’ingiustizia ambientale relativa all’accesso alle soluzioni di raffreddamento verde in quattordici grandi aree urbane europee, tra cui Firenze e Roma.
network, raccogliendo dati su tutti e tre i domini d’interesse.
ICOS Italia è coordinato dalla Joint Research Unit (JRU), una collaborazione di 15 enti italiani, tra cui università, istituti di ricerca e altre organizzazioni. Questi includono il Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr), il Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici (CMCC), l’Università della Tuscia, il Consiglio per la Ricerca in Agricoltura e l’Analisi dell’Economia Agraria (CREA), l’Agenzia Nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile (ENEA), l’Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale (ARPA) della Val d’Aosta, la Provincia Autonoma di Bolzano, la Fondazione Edmund Mach (FEM), l’Università di Sassari, l’Università di Padova, l’Università di Genova, l’Università Cattolica del Sacro Cuore, l’Istituto Nazionale di Oceanografia e Geofisica Sperimentale (OGS), la Libera Università di Bolzano, l’Università di Udine, Ricerca sul Sistema Energetico – RSE S.p.A., e l’Università di Chieti-Pescara G. d’Annunzio. (C. P.)
STUDENTI E LA SINDROME
DA FINE SCUOLA
Da una corretta alimentazione al supporto dei genitori
ecco i consigli per fronteggiare stanchezza, ansia e stress
Diciamo la verità: quando la campanella della scuola suona per l’ultima volta, un po’ tutti gli studenti - piccoli o grandi che siano - tirano un sospiro di sollievo. Perché significa che le vacanze scolastiche sono iniziate. Non c’è l’obbligo della sveglia mattutina, si ha più tempo per giocare e uscire con i propri compagni e soprattutto in tanti si preparano a partire per le ferie. Eppure, sapevate che esiste una sindrome da fine anno scolastico?
Proprio così e può colpire tanto i bambini quanto i più grandi. Può capitare, infatti, che alunni e studenti
arranchino nell’affrontare le ultime settimane dell’anno scolastico. Tra i sintomi che caratterizzano questa particolare sindrome la difficoltà a concentrarsi sui compiti (occhio a chi è chiamato a sostenere i sempre temuti esami), fatica a svegliarsi al mattino, ma anche stanchezza e in alcuni casi inappetenza. Insomma, si rischia di dover affrontare lo sprint finale senza più benzina nel motore.
Ecco, allora, che arrivano in soccorso i preziosi suggerimenti forniti dalla Società italiana di pediatria attraverso le parole della consigliera Elena Bozzola. Nulla di complicato,
per carità. Si tratta di alcune piccole e semplici norme da seguire per far sì che gli studenti affrontino l’ultima parte del calendario scolastico nel pieno delle energie. Sono quattro i punti cardine: una buona alimentazione, ritmi regolari, un buon sonno e infine il (fondamentale) supporto emotivo dei genitori. «Questa fase dell’anno rappresenta un momento di stress da non sottovalutare sul piano psicofisico per alunni e studenti» avvisa all’Adnkronos Bozzola, che è anche presidente dell’associazione “Il bambino ed il suo pediatra”. Partiamo dal fattore stanchezza, correlato inevitabilmente all’aumento delle ore di luce e al caldo, aspetti che si riflettono anche sul sonno. «Si tende a rimanere svegli: cambia il ciclo sonno-veglia e ciò va a ripercuotersi sulle ore di sonno buono. E se un bambino dorme meno poi è più irritabile e inappetente».
Un’alimentazione equilibrata è necessaria per fronteggiare la sindrome da fine scuola. Dunque, cosa mangiare? Sono raccomandati pasti con alimenti ricchi di acqua, vitamine e sali minerali: frutta e verdura non devono mai mancare e, poi, pasti più leggeri. Inoltre, non bisogna stravolgere le routine abituali, a partire dai sonnellini pomeridiani. Infine, il ruolo fondamentale dei genitori, chiamati a supportare anche gli studenti più grandi, quelli ad esempio impegnati negli esami di terza media. L’esperta suggerisce di sostenerli nello sforzo finale, senza tuttavia spingere troppo il piede sull’acceleratore. È infatti importante che gli studenti mantengano sempre il giusto equilibrio tra lo studio e l’attività fisica e non bisogna sacrificare il sonno per le corse finali.
C’è quindi un errore che i genitori devono evitare di commettere con i propri figli. «Non devono accrescere lo stress dei ragazzi con le loro ansie, fare paragoni con fratelli e sorelle o con una esagerata attenzione al voto finale. I figli vanno solo aiutati a dare il massimo». (D. E.).
Gli studenti italiani fumano sempre di più. È quanto emerge dai dati raccolti da ESPAD Italia (European school Survey Project on Alcohol and other Drugs), lo studio che ogni anno è condotto dall’Istituto di fisiologia clinica del Consiglio nazionale delle ricerche di Pisa (Cnr-Ifc) al fine di monitorare i comportamenti a rischio tra gli studenti delle scuole secondarie a livello nazionale. C’è poco da star tranquilli: nel 2023 il 50% degli studenti, pari a oltre un milione e 200mila, ha dichiarato di aver fumato sigarette tradizionali almeno una volta nella vita.
E il consumo corrente, che fa riferimento all’ultimo mese, si attesta al 32%, pari a 780mila studenti, mentre il consumo quotidiano è del 19% e coinvolge 480mila studenti. Numeri in aumento, dunque. E pensare che nel 2020, anche a causa delle restrizioni imposte per fronteggiare la pandemia di Covid-19, si era registrato un brusco calo. Al contrario, invece, già nel 2021 i dati riferivano di un picco di consumi. Ora un’ulteriore crescita rispetto al 2022 e un allarme che non può e non deve passare inosservato.
Dopo che nel 2019 e nel 2020 le studentesse fumavano più ‘bionde’ rispetto ai coetanei, le differenze di genere si sono nuovamente assottigliate per quanto riguarda i consumi giornalieri. Quindi una panoramica sullo Stivale: dove si fuma di più? Analizzando i dati snocciolati da ESPAD Italia, sui diversi territori regionali - nel corso del 2023 - è possibile notare differenze di oltre 14 punti percentuali: si va dal 13% del Veneto al 27% della Sardegna. In merito alle sigarette elettroniche, invece, Friuli-Venezia Giulia ed Emilia-Romagna sono le regioni che registrano le prevalenze maggiori di uso corrente con oltre il 23%, mentre Calabria e Sicilia si attestano attorno al 15%.
Un altro dato che è fonte di non poca preoccupazione riguarda il consumo quotidiano di sigarette da par-
GLI STUDENTI ITALIANI FUMANO SEMPRE DI PIÙ
L’allarme: cresce il consumo di nicotina tra i giovani
E si registrano dati record per le sigarette elettroniche
te delle giovanissime, con prevalenze superiori a quelle maschili per le 1516enni. Tra le 15enni il 12% delle ragazze fuma quotidianamente contro il 9,1% dei ragazzi, mentre tra le 16enni, le percentuali sono rispettivamente del 21% per le ragazze e del 15% per i ragazzi. Nel complesso, però, il numero di sigarette fumate quotidianamente è maggiore tra i ragazzi: uno su quattro, infatti, riferisce di fumare oltre dieci sigarette al giorno, contro il 15% delle ragazze. Si parla anche di uso di alternative alla sigaretta tradizionale. Se quelle senza combustione hanno fatto registrare un calo signifi-
cativo, passando dal 24% al 16% per l’uso nel corso dei 12 mesi e dal 16% all’11% per l’uso corrente, continua a crescere l’utilizzo di sigarette elettroniche, che raggiungono il dato più alto di sempre: il 37% nel 2023 (rispetto al 30% del 2022) e il 20% per l’uso corrente (rispetto al 17% del 2022). Come prevenire l’iniziazione al fumo e proteggere la salute dei giovani italiani? Per il Cnr-Ifc di Pisa è necessario adottare interventi mirati per ridurre il consumo di tabacco e nicotina tra i giovani, promuovendo stili di vita sani e aumentando l’informazione sui rischi associati al fumo. (D. E.).
I COSMETICI CONTRO LE INFIAMMAZIONI DELLA PELLE
Tratto dallo studio “Estratto acquoso di Erigeron annuus arricchito con acido piromeconico come ingrediente cosmetico per alleviare il prurito e attività antinfiammatoria”
di Carla Cimmino
L’infiammazione e il prurito della pelle possono essere associati a malattie come la psoriasi, l’eczema e la dermatite atopica, portando a arrossamento e gonfiore. Il grattarsi danneggia la pelle e può aumentare l’infiammazione, indebolendo la barriera cutanea e compromettendo la salute della pelle stessa. I trattamenti convenzionali come i corticosteroidi e gli antistaminici possono avere effetti collaterali, quindi diventa importante sviluppare trattamenti a base vegetale per affrontare questi sintomi. I mastociti e i cheratinociti svolgono un ruolo chiave nelle reazioni infiammatorie e allergiche, rilasciando mediatori come l’istamina e l’IFN-γ. L’equilibrio immunitario e la protezione della barriera cutanea sono cruciali per la salute della pelle. L’Erigeron annuus (EA) è stato studiato per le sue proprietà antiossidanti e antinfiammatorie, con potenziali benefici nella cura della pelle, infatti, il suo estratto, ha dimostrato di inibire enzimi e di avere proprietà anti-età. Studi su mastociti e cheratinociti umani hanno evidenziato le capacità antistaminiche, antinfiammatorie e antiossidanti dell’estratto di Erigeron annuus e del suo composto attivo, l’acido piromeconico (PA).
Attraverso un’analisi quantitativa della distribuzione dell’acido piromeconico (PA) nell’Erigeron annuus
verse parti di E. annuus e valutato varie parti fuori terra di E. annuus, queste parti includono il gambo, il gambo della foglia, la foglia, il capolino e il fiore (petali). Le concentrazioni di PA in ciascun componente indicano una distribuzione omogenea in tutte le parti fuori terra dell’impianto. È stato studiato il contenuto di PA dell’EEA in tre diverse condizioni di estrazione. I risultati hanno mostrato che la resa più elevata di PA è stata ottenuta con l’estrazione in acqua fredda a 30 °C. Sono stati eseguiti test di eliminazione dei radicali DPPH e ABTS per valutare la capacità antiossidante dell’estratto dell’EEA. L’EEA e l’PA hanno dimostrato una sostanziale attività antiossidante rispetto all’acido ascorbico.
Effetti antiossidanti potenziati dell’EEA e del PA nelle cellule HaCaT da stress ossidativo indotto da H 2 O 2
Gli antiossidanti neutralizzano lo stress ossidativo nella pelle e la reazione allergica causata dai mastociti. Un esperimento in vitro con cellule HaCaT ha mostrato una diminuzione della vitalità cellulare con H2O2, con il 47% di vitalità a 250 µM. Il trattamento con EEA ha aumentato la vitalità cellulare, mentre la PA ha mostrato benefici a tutte le concentrazioni corrispondenti all’EEA. La citotossicità è stata osservata con l’EEA allo 0,4%. EEA e PA hanno ridotto la produzione di ROS, confermando la loro efficacia antiossidante. Gli enzimi SOD e CAT insieme alla MDA sono indicatori del danno ossidativo. EEA e PA hanno dimostrato di influenzare positivamente le attività di questi enzimi nel ridurre lo stress ossidativo da H2O2. In sintesi, l’EEA e la PA mostrano potenti proprietà antiossidanti, con effetti benefici sulla vitalità cellulare, riduzione della produzione di ROS e miglioramento delle attività degli enzimi antiossidanti.
Inibizione delle citochine indotte da PMACI e delle risposte dell’istamina da parte di EEA e PA nelle cellule HMC-1
L’istamina e le citochine proinfiammatorie svolgono un ruolo chiave nello sviluppo delle malattie allergiche cutanee. Uno studio ha valutato gli effetti antistaminici e antinfiammatori di EEA e PA sulle cellule HMC-1 stimolate. I livelli di citochine e istamina sono stati misurati nelle cellule HMC-1 trattate con PMACI.
L’espressione di citochine proinfiammatorie è aumentata dopo la stimolazione con PMACI,
ma è stata significativamente soppressa dai trattamenti con EEA e PA. Entrambi hanno inibito la produzione di istamina indotta da PMACI a diversi tempi di pretrattamento. Effetti antinfiammatori di EEA e PA inibendo le citochine proinfiammatorie indotte da TNF-α/IFN-γ nelle cellule HaCaT
Le cellule HaCaT secernono spontaneamente chemochine regolate dall’attivazione e chemochine derivate dai macrofagi, che giocano un ruolo nella risposta immunitaria e nell’infiammazione. Il trattamento con EEA ha ridotto la vitalità cellulare, quindi è stato limitato a meno di 48 ore per i test di efficacia. L’mRNA e i livelli proteici di citochine e chemochine infiammatorie sono aumentati quando le cellule HaCaT sono state stimolate con TNF-α/IFN-γ. Il pretrattamento con EEA e PA ha ridotto i livelli di queste citochine e chemochine, dimostrando proprietà antinfiammatorie. Gli studi indicano che EEA e PA modulano efficacemente la risposta infiammatoria nelle cellule HaCaT in vitro. Effetti protettivi di EEA e PA inibendo la disfunzione della barriera cutanea indotta da SDS nelle cellule HaCaT
l sodio dodecil solfato (SDS) provoca disfunzione della barriera cutanea in cellule HaCaT. Wenyu Ding et al. hanno scoperto che SDS influisce sull’espressione genica di AQP3, FLG e CAP14. Per testare EEA e PA contro SDS, è stato condotto un test di vitalità cellulare. La citotossicità si verifica a 10 µg/mL di SDS, con una diminuzione della vitalità cellulare a concentrazioni più alte. EEA e PA proteggono le cellule danneggiate da SDS, aumentando la proliferazione cellulare e l’espressione di FLG e CASP14. L’espressione di CASP14 è aumentata con 0,1% di EEA e 9,4 µg/mL di PA, mentre FLG è sovra-regolata con entrambi i trattamenti. In definitiva, EEA e PA hanno effetti protettivi, aumentando l’espressione delle proteine legate alla barriera cutanea e riducendo il danno indotto da SDS nella barriera cutanea delle cellule HaCaT.
Modulazione dell’espressione genica autoimmune e infiammatoria da parte di EEA e PA nelle cellule HMC-1 e HaCaT
Lo studio ha utilizzato la tecnologia NanoString per analizzare l’espressione genica in mastociti umani esposti a vari trattamenti. Sono stati monitorati 786 geni per comprendere gli effetti del pretrattamento con due composti di-
versi e l’induzione di condizioni infiammatorie sui geni. I risultati hanno mostrato cambiamenti significativi nell’espressione genica nei controlli positivi rispetto ai controlli normali, con una maggiore sovra-regolazione riscontrata nei geni rispetto alla sottoregolazione. I trattamenti con i due composti hanno dato luogo a modelli diversi rispetto al gruppo di controllo, con una riduzione degli effetti infiammatori. In particolare, è stato individuato un gene chiave TBX21, che è stato fortemente influenzato dai trattamenti, suggerendo potenziali benefici antinfiammatori e antiprurito. In conclusione, i trattamenti mostrano proprietà interessanti che potrebbero essere utili nel trattamento di condizioni infiammatorie e pruriginose.
Le famiglie di molecole di segnalazione CXCL e IL sono cruciali nelle risposte immunitarie e infiammatorie della pelle, influenzando le cellule HaCaT e l’infiammazione cutanea. Gli esperimenti sulle cellule HaCaT hanno rivelato che il trattamento con alte concentrazioni di PA(H) ha ridotto significativamente l’espressione genica di citochine, chemochine e molecole di segnalazione coinvolte nell’infiammazione cutanea indotta da TNF-α/IFN-γ. Questi risultati indicano che l’EEA ha potenziali proprietà antinfiammatorie e antiprurito, suggerendo possibili utilizzi nel trattamento di condizioni legate all’infiammazione della pelle e al prurito. La famiglia CXCL, che include varie molecole come CXCL1, CXCL8, CXCL9, CXCL10, CXCL11 e CXCL13, gioca un ruolo chiave nell’infiammazione e in diverse malattie cutanee. In sintesi, le famiglie di molecole di segnalazione discusse sono collegate alle risposte immunitarie e infiammatorie della cute, e il trattamento con alte concentrazioni di PA(H) potrebbe essere benefico nel controllo dell’infiammazione e del prurito cutaneo.
Conclusione
Lo studio ha evidenziato il potenziale terapeutico dell’Erigeron annuus e del suo componente attivo principale, l’acido piromeconico, nell’affrontare l’infiammazione cutanea e il prurito legati a condizioni come psoriasi, eczema e dermatite atopica. Sono state esaminate le proprietà antistaminiche, antinfiammatorie e antiossidanti dell’estratto acquoso di Erigeron annuus e dell’acido piromeconico tramite studi su mastociti umani e cheratinociti. L’estrazione a freddo a 30 °C è risultata essere la più efficace per ottenere
Le famiglie di molecole di segnalazione CXCL e IL sono cruciali nelle risposte immunitarie e infiammatorie della pelle, influenzando le cellule HaCaT e l’infiammazione cutanea. Gli esperimenti sulle cellule HaCaT hanno rivelato che il trattamento con alte concentrazioni di PA(H) ha ridotto significativamente l’espressione genica di citochine, chemochine e molecole di segnalazione coinvolte nell’infiammazione cutanea indotta da TNF-α/IFN-γ. Questi risultati indicano che l’EEA ha potenziali proprietà antinfiammatorie e antiprurito, suggerendo possibili utilizzi nel trattamento di condizioni legate all’infiammazione della pelle e al prurito.
una elevata concentrazione di acido piromeconico. Entrambi hanno dimostrato di ridurre lo stress ossidativo e le risposte infiammatorie nelle cellule cutanee, proteggendole dai danni provocati dall’ossidazione. Inoltre, sono state evidenziate notevoli proprietà antinfiammatorie e antistaminiche nelle cellule HMC-1 e HaCaT, con una forte riduzione della produzione di citochine e istamina. Questi effetti sono coerenti con i benefici osservati negli estratti di Artemisia alba nella riduzione della produzione di radicali liberi e nell’attenuazione dell’infiammazione. In conclusione, l’Erigeron annuus e l’acido piromeconico mostrano un potenziale significativo nel trattamento dell’infiammazione cutanea a livello molecolare, offrendo un’alternativa promettente per la gestione di condizioni infiammatorie della pelle come psoriasi, eczema e dermatite atopica.
Le citochine sono fondamentali per la regolazione della barriera cutanea, influenzando componenti cruciali come ceramidi e proteine barriera come filaggrina e loricrina. Un recente studio ha dimostrato che l’estratto di avena può influenzare positivamente i geni della barriera cutanea e le interleuchine, favorendo il recupero della sua disfunzione. Tuttavia, concentrazioni diverse di estratto di avena ed estratto di propoli possono avere effetti diversi, e potrebbe essere necessario ottimizzare tali concentrazioni, per ottenere risultati desiderati.
Nel contesto dell’infiammazione della pelle, sono state osservate riduzioni significative di alcune chemochine coinvolte nell’attivazione delle cellule immunitarie, suggerendo una potenziale attenuazione della risposta infiammatoria. Inoltre, è emerso che il fattore di trascrizione TBX21, che regola l’IFN-γ, è sovra-regolato in risposta all’estratto acquoso di avena ed estratto di propoli, anche se inaspettatamente le proteine indotte dall’IFN sono diminuite. Questo potrebbe indicare un effetto antinfiammatorio di tali estratti, in grado di modulare la risposta immunitaria senza innescare gli effetti dannosi associati all’eccesso di IFN-γ
In sintesi, l’EEA e l’PA potrebbero giocare un ruolo significativo nella modulazione della risposta immunitaria e nell’attenuazione dell’infiammazione cutanea, con potenziali effetti benefici sulla funzione della barriera cutanea. Sono comunque necessari ulteriori studi per comprendere appieno i meccanismi coinvolti e confermare tali risultati.
GLI ESTRATTI VEGETALI CONTRO LA CADUTA DEI CAPELLI
Cucumis melo, Orthosiphon stamineus e Panax ginseng hanno promosso la crescita del fusto del capello e la proliferazione dei cheratinociti nei follicoli piliferi
di Biancamaria Mancini
Bibliografia
Choi, JY; Buu, MIO; Boo, YC Gli estratti vegetali possono aiutare a prevenire la perdita dei capelli o promuoverne la crescita? Una revisione che confronta la loro efficacia terapeutica, i componenti fitochimici e gli obiettivi modulatori. Molecole 2024, 29, 2288. https:// doi.org/10.3390/molecules29102288
Attualmente in tricologia, i trattamenti a base di estratti naturali sono frutto di un profondo rigore tecnico scientifico, i cui ingredienti sono sostenuti da migliaia di pubblicazioni scientifiche raccolte da PubMED negli ultimi 10 anni. La richiesta di trattamenti naturali è inoltre in continua crescita e viene preferita all’approccio farmacologico.
cellule della papilla dermica e che diversi estratti vegetali ripristinano la vitalità cellulare, come l’estratto di camelia.
Recentemente è stata pubblicata una revisione che esamina proprio il potenziale terapeutico e il meccanismo d’azione degli estratti vegetali nella prevenzione e nel trattamento dell’alopecia. Dalla revisione emerge che vari estratti vegetali hanno aumentato la sopravvivenza e la proliferazione delle cellule della papilla dermica in vitro, hanno migliorato la proliferazione cellulare e la crescita dei capelli nei follicoli piliferi ex vivo e hanno promosso la crescita o la ricrescita dei capelli in modelli animali in vivo. Sappiamo che le piante hanno strategie di sopravvivenza uniche grazie alla sintesi di vari metaboliti fitochimici responsabili di varie attività fisico-chimiche, biochimiche e biologiche a seconda delle loro strutture chimiche. In particolare, i composti attivi identificati sono alcuni composti fenolici, terpeni e terpenoidi, composti contenenti zolfo e acidi grassi, responsabili della proliferazione cellulare, della progressione del ciclo cellulare e alla sovra regolazione di diversi fattori di crescita, come IGF-1, VEGF, HGF e KGF (FGF- 7), che portano all’estensione della fase anagen nel ciclo pilifero. L’azione fitoterapica comporta l’attenuazione dello stress ossidativo, della risposta infiammatoria, della senescenza cellulare o dell’apoptosi e porta alla down regolazione degli ormoni maschili e dei loro recettori, ritardando l’avvio della fase telogen nel ciclo del capello. Diversi estratti vegetali attivi e sostanze fitochimiche hanno stimolato le vie di segnalazione mediate dalla proteina chinasi B (PKB, chiamata anche AKT), dalle chinasi extracellulari regolate dal segnale (ERK), Wingless e Int-1 (WNT) o sonic hedgehog (SHH), sopprimendo al contempo altre vie di segnalazione cellulare mediate dal fattore di crescita trasformante (TGF)-β o dalla proteina morfogenetica ossea (BMP). Pertanto, gli estratti vegetali ben selezionati e i loro composti attivi possono avere effetti benefici sulla salute dei capelli. È interessante osservare in vitro, che gli ormoni maschili riducono la vitalità delle
I composti attivi identificati sono alcuni composti fenolici, terpeni e terpenoidi, composti contenenti zolfo e acidi grassi, responsabili della proliferazione cellulare, della progressione del ciclo cellulare e alla sovra regolazione di diversi fattori di crescita, come IGF-1, VEGF, HGF e KGF (FGF- 7), che portano all’estensione della fase anagen nel ciclo pilifero. L’azione fitoterapica comporta l’attenuazione dello stress ossidativo, della risposta infiammatoria, della senescenza cellulare o dell’apoptosi e porta alla down regolazione degli ormoni maschili e dei loro recettori, ritardando l’avvio della fase telogen nel ciclo del capello.
In altri studi ex vivo o in vivo, Cucumis melo, Orthosiphon stamineus e Panax ginseng hanno promosso la crescita del fusto del capello e la proliferazione dei cheratinociti nei follicoli piliferi coltivati in organi, precedentemente soppressi da testosterone o DHT. L’applicazione topica di Thuja occidentalis, Oryza sativa, Curcuma aeruginosa, Centipeda minima o Silybum marianum ha aumentato la densità dei capelli in tutti i soggetti umani trattati. La decursina ha ridotto l’espressione di citochine infiammatorie, come il fattore di necrosi tumorale α (TNF-α) e l’interleuchina (IL)-1β, mentre aumentava l’espressione delle citochine antinfiammatorie IL-4 e IL-13 e di un mediatore dell’infiammazione, ad alta -casella del gruppo di mobilità 1 (HMGB1). È stato dimostrato che l’acido rosmarinico attenua la morte cellulare causata dal testosterone e promuove l’espressione del gene VEGF nelle cellule.
I dati raccolti nella pubblicazione, qui parzialmente presentati, hanno lo scopo di sviluppare trattamenti efficaci e sicuri per la caduta dei capelli utilizzando prodotti naturali, in particolare a base vegetale. In tutti i test, i gruppi trattati con le miscele vegetali avevano una proliferazione cellulare e una crescita dei capelli significativamente più elevate rispetto ai gruppi di controllo negativi e paragonabili ai gruppi di controllo positivi trattati con i farmaci minoxidil o finasteride. Questi risultati suggeriscono che si prevede un effetto benefico sulla crescita dei capelli quando gli estratti vegetali vengono somministrati in modo appropriato e sinergico fra loro. Estratti vegetali ben selezionati possono fornire opzioni di trattamento aggiuntive o alternative per la caduta dei capelli alle persone riluttanti all’uso di medicinali. Inoltre, i composti attivi possono fungere da composti guida per la scoperta e lo sviluppo di nuovi farmaci. I loro effetti sul ciclo del capello sono infatti associati alla modulazione della proliferazione cellulare, la sopravvivenza cellulare, progressione del ciclo cellulare, fattori di crescita, ormoni, stress ossidativo, risposta infiammatoria, senescenza cellulare, apoptosi e diverse vie di segnalazione cellulare mediate da AKT, ERK, WNT, SHH, TGF-β o BMP. Pertanto, si suppone che la scoperta di sostanze fitochimiche.
Ambiente
L’e quilibrio naturale del Bel Paese è in bilico. Secondo Legambiente, gli animali stanno affrontando una serie di sfide senza precedenti. Tra i più colpiti vi sono uccelli e anfibi. Il Fratino, un tempo comune lungo le coste italiane, ha visto un calo drastico nel numero di coppie nidificanti, passando da 1550-1900 nel 2010 a soli 600 nell’ultimo censimento. La causa? Pulizia meccanica delle spiagge e l’aumento di predatori.
Anche la Berta maggiore e minore o il Gabbiano corso stanno soffrendo. La riduzione degli stock ittici, le catture accidentali e il disturbo alle colonie in nidificazione li hanno messi a rischio. La Berta minore, endemica del Mediterraneo, è ora considerata vulnerabile, mentre il Gabbiano corso è vicino al rischio.
Non sono solo gli uccelli ad essere in pericolo, poiché gli anfibi, tra i vertebrati più messi in pericolo a livello globale, stanno affrontando emergenze simili. La Salamandra di Aurora, il Geotritone del Monte Albo e il Geotritone del Sarrabus, unici nel loro genere, lottano per sopravvivere a causa della degradazione del loro habitat, delle pratiche forestali e della crisi climatica.
La Raganella sarda, presente in Sardegna, Corsica e Arcipelago Toscano, potrebbe risentire della carenza d’acqua nei siti riproduttivi e degli effetti negativi derivanti dall’uso eccessivo di prodotti fitosanitari agricoli. I dati, raccolti nel report “Biodiversità a rischio 2024” sottolineano l’urgenza di introdurre azioni per proteggere il nostro patrimonio naturale. Il futuro dell’ecosistema nazionale dipende dalle decisioni che prenderemo oggi.
Occorre, secondo l’associazione ambientalista, istituire nuove aree di salvaguardia e zone di protezione totale per il 2030, nonché la lotta contro le diverse “intimidazioni”, a partire dal bycatch, ovvero la cattura non intenzionale durante le operazioni di pesca. L’Italia ha compiuto scarsi sforzi per contrastare tale fenomeno, come dimostra la lettera di messa in mora che la Commissione Europea ha inviato all’Italia per non aver implementato le misure previste dalle Direttive “Uccelli” (79/409/CEE), “Habitat” (92/43/CEE) e “Ambiente Marino” (MSFD-2008/56/CE), in particolare per quanto riguarda la salvaguardia dei volatili marini, sempre più assediati, anche da diversi tipi d’inquinamento. Si stima che nelle acque europee, oltre duecentomila perdano
ANFIBI IN DECLINO, UN FORTE SEGNALE D’ALLARME CI ARRIVA DALLA NATURA
Secondo Legambiente, la biodiversità italiana è minacciata da cambiamento climatico e inquinamento. Fra le specie più a rischio ci sono il gabbiano corso e il fratino
di Gianpaolo Palazzo
la vita ogni anno a causa del bycatch, con i palangari e le reti fisse come principali colpevoli di queste catture (Studio BirdLife Europe & Central Asia). In Italia, le catture non intenzionali avvengono principalmente nello Stretto di Sicilia e nel Golfo di Trieste, e tra quelle più in pericolo, oltre alla berta maggiore mediterranea, la berta minore, il gabbiano corso, c’è anche il marangone dal ciuffo. Un altro affronto è rappresentato dalla plastica marina e dalle microplastiche. Una nuova patologia tipica dell’avifauna marina è la “plasticosi”, fibrosi nel tratto gastrointestinale, causata dall’ingestione continua e abbondante di plastica, che provoca lesioni ed ispessimenti dei tessuti con gravi effetti sulla crescita, la digestione e la sopravvi - venza degli ani - mali.
«Frenare la perdita di biodiversità - dichiara Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente - è uno dei principali impegni da affrontare su scala globale a partire dal continente europeo.
In particolare, nella prossima legislatura, l’Europa confermi gli obiettivi del green deal e della Strategia per la biodiversità. Non possiamo arretrare né in Europa, né in Italia. Serve una decisa inversione di tendenza politica e strumenti operativi e nuove norme capaci di accompagnare i territori verso la transizione ecologica e nel creare più aree protette».
«Frenare la perdita di biodiversità - dichiara Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente - è uno dei principali impegni da affrontare su scala globale a partire dal continente europeo. In particolare, nella prossima legislatura, l’Europa confermi gli obiettivi del green deal e della Strategia per la biodiversità. Non possiamo arretrare né in Europa, né in Italia. Serve una decisa inversione di tendenza politica e strumenti operativi e nuove norme capaci di accompagnare i territori verso la transizione ecologica e nel creare più aree protette».
Quattro le priorità, per l’associazione del cigno verde, su cui l’Italia dovrà lavorare: istituzione di nuove aree protette e zone di tutela integrale e sblocco di quelle ancora in stallo che ammontano a 70. Accelerare l’attuazione dei Piani d’Azione e Strategie comunitarie, adottati dall’UE per favorire la protezione e valorizzazione della biodiversità, come la Strategia Marina che pone particolare attenzione al degrado delle nicchie ecologiche, al sovrasfruttamento del pescato, alla presenza di specie aliene, in un quadro reso più drammatico dal meteo “impazzito”.
Va vietata la pesca a strascico in tutti i parchi nazionali marini e le aree protette come sta facendo la Grecia, primo Paese europeo a imporre tale divieto dal 2026 anticipando quanto chiesto dallo stesso Piano d’azione dell’Unione Europea “proteggere e ripristinare gli ecosistemi marini per una pesca sostenibile e resiliente” che indica come termine ultimo il 2030.
Occorre, infine, valorizzare le esperienze virtuose portate avanti in questi anni, dalle buone pratiche territoriali, ai progetti a tutela della biodiversità finanziati dal Programma LIFE dell’UE insieme alla Rete Natura 2000, il network di aree protette più esteso al mondo. Tra gli esempi virtuosi, il progetto Life Delfi con l’obiettivo di ridurre le interazioni tra delfini e pesca oppure Life Sea.Net che cerca di migliorare la gestione dei siti marini, attraverso una guida di supporto agli enti gestori.
L’Europa è sotto assedio dato che le ondate di calore stanno diventando sempre più frequenti, con un aumento +57% delle persone esposte rispetto ai primi anni del nuovo millennio (2000 - 2009). Le città sono le più colpite, con le loro strutture, magari esteticamente belle, ma che amplificano l’effetto isola di calore (urban heat island). Tale fenomeno sta causando un numero crescente di decessi prematuri legati al clima.
Una speranza c’è: viene dalle infrastrutture verdi urbane. Queste soluzioni basate sulla natura (NBS Nature Based Solutions) sono tra le più efficaci per contrastare l’innalzamento delle temperature nelle aree urbane e fornire servizi ecosistemici. Tuttavia, la consapevolezza dei cittadini su questi servizi di raffreddamento è ancora limitata. Esempi d’infrastrutture sono gli spazi verdi e le zone umide multifunzionali, i tetti e le pareti ricoperte di piante, le aree agricole e le foreste civiche, vie ciclabili e navigabili con funzioni anche ambientali e i SUDS (Sustainable Urban Drainage Systems) come coperture permeabili, trincee drenanti etc.
Un recente studio pubblicato su “Nature Cities” ha aperto
gli occhi sulla cosiddetta “ingiustizia ambientale” nell’accesso alle soluzioni per il raffrescamento. Il lavoro, che ha coinvolto un team internazionale di ricercatori, tra cui membri del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) e del Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici (CMCC) in Italia, ha esaminato la situazione in quattordici grandi aree urbane europee, tra cui Firenze e Roma, utilizzando indicatori socioeconomici. Gli autori dell’articolo hanno sviluppato un approccio innovativo per valutare l’esposizione dei cittadini allo stress termico, combinando dati micrometeorologici, satellitari e modelli di simulazione. «In tutte le aree urbane analizzate,afferma il ricercatore del CMCC e coautore dello studio Giacomo Nicolini - i cittadini residenti a più basso reddito, quali gli inquilini, gli immigrati e i cittadini disoccupati, hanno maggiori difficoltà di accesso ai servizi di green cooling a causa della sfavorevole conformazione urbanistica e sociale di molte città europee». Diversamente, i residenti con un alto reddito e i proprietari di case hanno potuto usufruire di una fornitura superiore alla media riguardo al rinfrescamento.
Diverse metropoli coinvolte in quest’analisi sono state scelte per la presenza di stazioni che monitorano gli scambi d’energia e le emissioni di gas serra. Un esempio è l’Osservatorio Ximeniano a Firenze, gestito dal Cnr, che da quasi due decenni raccoglie queste informazioni e fa parte
GREEN BUILDINGS UN VALIDO BALUARDO CONTRO LE ONDATE DI CALORE
L’aumento delle temperature in molte città europee rende urgente lo sviluppo di soluzioni efficaci e naturali per mitigare il surriscaldamento ed evitare morti premature
Ambiente
della rete ICOS (Integrated Carbon Observation System), il punto di riferimento europeo per lo studio del ciclo del carbonio. Entrambi, il CMCC e il Cnr, partecipano attivamente alla raccolta e all’analisi di quanto proviene dalla ICOS, nonché del network nazionale ICOS Italia, oltre all’Ecosystem Thematic Centre - ETC, gestendo una serie di siti per le misurazioni e il processo di elaborazione e validazione dei dati nell’intera rete globale.
«Questo studio - dice Beniamino Gioli, ricercatore dell’Istituto di Bioeconomia del Cnr di Firenze (Cnr-Ibe) - ci mostra che la differente capacità di adattamento ai cambiamenti climatici non è solo una questione tra Paesi ad alto e basso reddito, ma riguarda anche le differenze sociali all’interno delle ricche regioni e città europee. Gli interventi mitigativi basati sulle Nature Based Solutions dovranno assolutamente tenere in debito conto la dimensione sociale oltre a quella ambientale, con analisi integrate e multidisciplinari ad elevato dettaglio spaziale».
Guardando da più vicino ICOS Italia scopriamo che ha 24 stazioni, di cui 15 per l’ecosistema, 5 l’oceano e 4 per l’atmosfera. Inoltre, insieme ad ICOS Belgio e Francia, ospita anche l’Ecosystem Thematic Centre (ETC). Le quindici coprono i nostri territori più ca-
«Questo studio - dice Beniamino Gioli, ricercatore dell’Istituto di Bioeconomia del Cnr di Firenze (Cnr-Ibe) - ci mostra che la differente capacità di adattamento ai cambiamenti climatici non è solo una questione tra Paesi ad alto e basso reddito, ma riguarda anche le differenze sociali all’interno delle ricche regioni e città europee».
ratteristici: diversi tipi di foreste, campi coltivati e macchie di arbusti. Quelle atmosferiche sono presenti sulle Alpi e sull’isola di Lampedusa, nel Mar Mediterraneo. Cinque sono situate nel Mar Adriatico e nel Mar Ligure.
L’Osservatorio integrato lampedusano, è l’unico a raccogliere contemporaneamente informazioni relative ai tre campi d’interesse. ICOS Italia è coordinato dalla Joint Research Unit (JRU), nata dalla collaborazione di quindici enti italiani, tra Università, istituti di ricerca: Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr), Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici (CMCC), Università degli Studi della Tuscia, Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria (CREA), Agenzia Nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile (ENEA), Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale (ARPA) della Val d’Aosta, Provincia Autonoma di Bolzano, Fondazione Edmund Mach (FEM), Università degli Studi di Sassari, Università degli Studi di Padova, Università degli Studi di Genova, Università Cattolica del Sacro Cuore, Istituto Nazionale Oceanografia e di Geofisica Sperimentale (OGS), Libera Università di Bolzano, Università degli Studi di Udine, Ricerca sul Sistema Energetico - RSE S.p.A., Università di Chieti-Pescara G. d’Annunzio. (G. P.).
ORSA, UN NUOVO STRUMENTO PER RICONOSCERE LE FONTI D’INQUINAMENTO ATMOSFERICO
L’algoritmo, sviluppato dall’ENEA, permette d’identificare la provenienza delle emissioni e fornisce previsioni accurate sulle concentrazioni di gas e particolati
Abbiamo l’algoritmo in grado di tracciare l’inquinamento dell’aria. Si chiama Orsa (On line Reactive Source Apportionment) ed è stato messo a punto dall’Enea per identificare la provenienza per settore e area geografica delle emissioni, tenendo traccia dell’origine anche durante le trasformazioni chimico-fisiche. Grazie al supporto del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica e
della società Arianet, è già operativo nel sistema che monitora la qualità Minni (Modello Integrato Nazionale a supporto della Negoziazione Internazionale sui temi dell’Inquinamento Atmosferico), che fornisce previsioni giornaliere sulle principali concentrazioni di gas e particolati negli strati più bassi dell’atmosfera (a tre giorni per l’Italia e a quattro per l’Europa). Si tratta di un insieme di modelli e pre/post processori per selezionare e valutare l’efficacia delle politiche di qualità dell’aria a livello nazionale e regionale, costituito da Sistema Modellistico Atmosferico (SMA) e GAINS - Italia (Greenhouse Gas - Air Pollution Interactions and Synergies).
«Orsa - spiega Gino Briganti del laboratorio Enea d’inquinamento atmosferico, primo autore dello studio pubblicato su “Atmosphere” insieme ai colleghi Ilaria D’Elia, Mihaela Mircea e Antonio Piersanti - funziona come un vero e proprio sistema di trac-
ciabilità che permette di ‘etichettare’ le emissioni per conoscere il “contributo” specifico di ogni singola fonte alle concentrazioni di inquinanti in atmosfera. È pensato in particolare per le amministrazioni locali - prosegue Briganti - che hanno il compito di preservare la qualità dell’aria e la salute dei cittadini attraverso politiche che vadano a incidere direttamente sulle fonti più inquinanti che comprendono il traffico stradale, il riscaldamento domestico, gli allevamenti, i fertilizzanti e l’industria. Ad esempio, ARPA Piemonte lo ha utilizzato per un suo studio».
Gli inventari delle emissioni, attualmente esistenti, sono documenti legalmente obbligatori elaborati dalle agenzie ambientali. Tali cataloghi quantificano la massa di ciascun inquinante (ossidi di azoto, ossidi di zolfo, polveri, composti organici volatili, ammoniaca, metalli pesanti) rilasciato da varie fonti, che influiscono sulla salute umana e l’Ambiente. «Tuttavia, come sottolinea Antonio Piersanti, responsabile del laboratorio Enea d’inquinamento atmosferico tale informazione non è sufficiente per capire ‘chi fa cosa e quanto’ in aria, perché lo spostamento delle masse d’aria e i processi chimici e fisici in atmosfera modificano le caratteristiche degli inquinanti a cui sono esposti l’uomo e l’ambiente».
Le polveri, ad esempio, vengono trasportate e disperse dal vento, subiscono deposizione sulle superfici e successiva risospensione, a seconda delle loro dimensioni, che variano in base alla sorgente. L’ozono, un inquinante tipico dell’estate, non è direttamente emesso da fonti naturali o umane, ma si forma attraverso reazioni chimiche che coinvolgono ossidi di azoto e composti organici volatili, sostanze rilasciate da diverse attività umane e dalla vegetazione.
Ambiente
Nella Pianura Padana, sia il traffico sia l’agricoltura influenzano significativamente la qualità di quanto si respira. In alcune zone rurali della Lombardia, le concentrazioni di ozono in estate provengono principalmente da altre regioni o sono trasportate dagli strati superiori dell’atmosfera. Questo conferma che l’ozono, particolarmente nocivo per la salute umana e l’ambiente, non è di origine locale, ma deriva dal trasporto su lunghe distanze e dalla trasformazione chimica di altri inquinanti.
«Il nostro algoritmo ha dimostrato di essere uno strumento adeguato per orientare la pianificazione delle politiche di qualità dell’aria, perché rileva la composizione ‘attuale’ e non ‘potenziale’ dell’atmosfera (come in altri metodi), mettendo in luce le principali sorgenti sulle quali agire; successivamente, occorrerà uno studio modellistico completo, con maggiori costi di calcolo, che vada a stimare direttamente gli effetti delle specifiche riduzioni delle emissioni considerate dalle politiche di qualità dell’aria in esame».
Un’applicazione pilota su scala nazionale di Orsa ha dimostrato che, durante l’inverno in Italia, le elevate concentrazioni di PM10 derivano principalmente dal riscaldamento domestico, soprattutto nelle aree urbane. Grazie alle sue capacità, Orsa potrà fornire dati preziosi per la formulazione di politiche ambientali più efficaci, magari aiutando a indirizzare gli sforzi di riduzione della contaminazione verso i settori e le aree geografiche che vi contribuiscono maggiormente. Inoltre, contribuendo a migliorare la precisione delle previsioni, permetterà alle autorità di prendere decisioni più informate e tempestive in caso di emergenze. Da non sottovalutare neanche il ruolo nell’educazione ambientale. Facendo luce sulle fonti climalteranti e sul loro impatto, potrebbe aiutare a sensibilizzare il pubblico sull’importanza di ridurre gli sprechi, in modo da rappresentare un passo importante verso un futuro in cui il “respiro pulito” non sarà più un lusso, ma un diritto per tutti e una realtà quotidiana. (G. P.).
VIRUS GIGANTI NEI GHIACCI DELLA GROENLANDIA
Non sono più grandi solo in termini di dimensioni ma anche il loro genoma è più grande
Per arrivare all’alba non c’è altra via che la notte: una frase che pur non elevandosi a regola o legge naturale, nella sua laconica poeticità, svela il funzionamento di tanti meccanismi del mondo che ci circonda. Questo è infatti ciò che avviene ogni primavera nell’Artico: il sole, dopo mesi di oscurità, torna a brillare, e grazie alla sua luce la vita si manifesta. Orsi polari, volpi, lepri e sterne artiche, caribù e buoi muschiati si risvegliano dal loro sonno, pronti ad assolvere i loro doveri e a popolare la desolazione bianca che li ospita.
Non sono però le uniche forme di vita che il sole desta: in primavera, anche le alghe che dormono sul ghiaccio fioriscono, e proprio a partire dallo studio di questi ultimi organismi, un team di ricercatori del Dipartimento di Scienze Ambientali della Aarhus University, guidato dalla dottoressa Laura Perini, è riuscito a raccontare la scoperta di alcuni virus giganti che abitano la parte superiore dei ghiacci artici. Ma cosa sono esattamente i virus giganti? Innanzitutto, è bene partire confermando ciò che sembra più ovvio, cioè il fatto che i virus giganti hanno dimensioni mag -
giori di quelli “normali”. Essi, infatti, possono raggiungere i 2,5 micrometri di misura, molto più dei batteri tipici (tra i 2 e i 3 micrometri di dimensione) e dei virus “normali” (tra i 20 e i 200 nanometri).
Ma i virus giganti non sono solo più grandi in termini di dimensioni, anche il loro genoma è più grande. I virus batteriofagi, ad esempio, hanno tra le 100mila e le 200mila lettere nel loro genoma, mentre quelli giganti ne hanno circa 2.500mila. L’importanza dello studio di questi microorganismi è legata alla loro presenza nelle alghe superficiali che anneriscono le aree della calotta glaciale della Groenlandia. Quando il ghiaccio diventa nero la sua capacità di riflettere il sole diminuisce, mentre la velocità con cui si scioglie aumenta. L’ipotesi dei ricercatori è che i virus analizzati infettando le alghe regolino la loro crescita, e potrebbero essere utilizzati per controllare la proliferazione delle stesse sulla neve. L’ambizioso progetto a lungo termine consiste nel riuscire a controllare la crescita delle alghe per poter rallentare il processo di scioglimento dei ghiacci.
I virus giganti furono identificati per la prima volta nel 1981 nell’oceano, e trovati proprio sulle alghe verdi marine. In seguito, furono rinvenuti anche nel suolo terrestre e nell’uomo, ma è la prima volta che vengono rintracciati sulla superficie del ghiaccio e della neve. Il modo in cui i ricercatori hanno scoperto i virus è stato attraverso l’analisi del DNA di campioni di ghiaccio scuro, neve rossa e crioconite. Vagliando l’enormità dei dati alla ricerca di specifici geni marcatori, sono state individuate sequenze molto simili a quelle dei virus giganti conosciuti. La scoperta svela come un intero ecosistema esiste attorno alle alghe che abitano questa parte del mondo, un qualcosa che, almeno fino a qualche anno, fa avrebbe lasciato perplessa gran parte della comunità scientifica.
L’ambizioso obiettivo di molti progetti scientifici in tutto il mondo è la produzione di energia a emissioni zero. Negli ultimi anni la grande sfida globale è proprio ridurre la produzione di CO2, fino a raggiungere la totale neutralità del carbonio. In virtù del suo potenziale smisurato, la “chimera” di tutti gli scienziati è sempre stata lo sfruttamento dell’energia proveniente dalla fusione nucleare, la reazione che, citando Dante, si potrebbe dire «move il sole e l’altre stelle».
Potenzialmente, la fusione sarebbe una fonte di energia pulita e inesauribile, ma i problemi attuali circa il suo utilizzo sono legati alla difficile replicabilità del processo in laboratorio. Come è ben noto, essa consiste nell’operazione esattamente opposta a quella della fissione (o scissione), poiché riguarda l’avvicinamento, anziché la separazione, di due atomi leggeri. La ragione per cui è “potenzialmente inesauribile”, si deve ai due isotopi dell’idrogeno protagonisti del processo: il deuterio, che si ricava dall’acqua del mare, e il trizio, riproducibile tramite una reazione fisica con il litio durante lo stesso processo di fusione. Secondo le stime dell’International Atomic Energy Agency (AIEA), la fusione sarebbe in grado di generare circa quattro milioni di volte più energia per chilogrammo di combustibile rispetto alla combustione del carbone, e senza produrre alcun tipo di gas serra.
Inoltre, non è soggetta al rischio di divenire incontrollata, poiché al venir meno anche solo di una delle condizioni che la rendono possibile, essa si spegne spontaneamente. Ad oggi, la tipologia di reattore più studiata e sviluppata per riprodurre il processo è quella a confinamento magnetico, che proprio grazie a potentissimi campi magnetici permette di controllare il plasma prodotto dalla reazione. Gli sforzi delle comunità scientifiche sono orientati nello sviluppo di questi macchinari: i due principali modelli di re-
ENERGIA DA FUSIONE
E NUOVE TECNOLOGIE
Fonte di energia pulita e inesauribile grazie a due isotopi dell’idrogeno protagonisti del processo: il deuterio e il trizio
attore sono i “tokamak”, di forma toroidale, e gli “stellarator”, ma esistono anche progetti riguardanti tipologie diverse di reattore, come i sistemi a confinamento inerziale. Tra le tecnologie realizzate in questi anni sono senz’altro da citare i risultati ottenuti nel 2022 dal National Ignition Facility (NIF) del Lawrence Livermore National Laboratory (USA) che, utilizzando un reattore a fusione inerziale, ha ottenuto per la prima volta un guadagno netto di energia di plasma.
Più recentemente, lo scorso febbraio, i ricercatori del Joint European Torus (JET) del Regno Unito
hanno fatto sapere di aver stabilito un nuovo record di energia generata dalla fusione via tokamak, mentre nell’aprile 2023, in Cina, l’Experimental Advanced Superconducting Tokamak (EAST) ha mantenuto lo stato di confinamento del plasma per 403 secondi, stabilendo un record assoluto. Infine, sempre nel 2023, in Germania lo stellarator Wendelstein 7-X ha mantenuto una scarica di plasma per ben otto minuti. Insomma, il viaggio verso questo “paradiso” è forse ancora lungo, ma sembra che l’uomo sarà presto «puro e disposto a salire a le stelle». (M. O.).
RIMUOVERE L’ARSENICO DALL’ACQUA
Una membrana porosa, resa chimicamente selettiva, per rimuovere le forme in cui l’arsenico è presente nelle acque
L’arsenico, il cui simbolo chimico è As, è un componente naturale della crosta terrestre. Può presentarsi sia in forma inorganica (come elemento chimico o come alcuni Sali di arsenico) sia in forma organica, in composti generalmente meno tossici rispetto all’arsenico inorganico. In natura, la sua presenza si riscontra in rocce, suolo, aria ed acqua sia sotterranea sia superficiale. In alcuni territori, le concentrazioni di arsenico possono essere elevate per cause puramente naturali e indipendenti dall’inquinamento determinato da attività produt-
tive umane che ne possono, comunque, ulteriormente aumentare i livelli. L’arsenico è uno degli elementi più tossici presenti sulla Terra. Quello che si trova nelle acque sotterranee, che forniscono acqua potabile in molti paesi del mondo, è stato riconosciuto come la principale fonte di esposizione umana a questo elemento. L’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro ha classificato questo elemento come cancerogeno di Classe 1, e l’Organizzazione mondiale della sanità ha stabilito un valore soglia di 10 mg/L come suo limite di concentrazione nell’acqua potabile.
Un team di ricerca dell’Istituto per la tecnologia delle membrane del Consiglio nazionale delle ricerche ha sviluppato una nuova membrana, resa chimicamente selettiva per l’arsenico, in grado di abbatterne la sua concentrazione nelle acque. Questo lavoro è nato dalla collaborazione multidisciplinare con gruppi di ricerca sia nazionali quali l’Università della Calabria, l’Università di Pisa, l’Istituto di nanotecnologie del Cnr, sia internazionali quali l’Università di Southern Queensland, l’Università di Wuppertal e la National Taiwan University. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista internazionale Nature Water.
La membrana realizzata dal team di ricerca è stata preparata con una metodologia innovativa in modo da renderla chimicamente selettiva nei confronti dell’arsenico presente nelle acque contaminate. Infatti, si è rivelata in grado di rimuovere entrambe le specie di arsenico naturalmente presenti in acque sorgive raccolte sull’altopiano della Sila in Calabria (X:635480, Y:4319684), riducendone, dopo una singola filtrazione ed in condizioni operative blande, la concentrazione sotto il limite fissato dall’Oms e rendendo pertanto l’acqua purificata idonea al consumo umano.
Alberto Figoli, direttore del CnrItm, ha spiegato: «Questo è un importante traguardo. Le membrane finora utilizzate per rimuovere l’arsenico spesso richiedono condizioni operative severe e non sono efficienti nel rimuovere entrambe le forme in cui l’arsenico si trova presente nelle acque».
Francesco Galiano, ricercatore del Cnr-Itm, ha affermato: «La membrana sviluppata, grazie alla sua architettura porosa, permette un elevato passaggio attraverso di essa delle molecole di acqua e dei sali in essa disciolti trattenendo l’arsenico. Ciò permette di mantenere inalterata la concentrazione dei minerali naturalmente presenti nell’acqua senza causarne la demineralizzazione».
L’olio extravergine di oliva, oltre a ricoprire un ruolo importante nella dieta mediterranea per le sue proprietà benefiche, è il fiore all’occhiello della filiera agroalimentare italiana. Tali qualità fanno dell’olio extravergine uno tra i prodotti più contraffatti e fonte di guadagni elevati ai danni del consumatore. Uno degli espedienti è rappresentato dalla miscelazione dell’olio buono con altri di minor qualità, oppure, nei casi più gravi, nella vendita di prodotti derivati da oli non commestibili, che vengono opportunamente e chimicamente modificati per renderli utilizzabili, ma che, di fatto, sono di qualità ai limiti della commestibilità, come l’olio di sansa o il lampante.
L’Istituto di bioscienze e biorisorse del Consiglio nazionale delle ricerche di Perugia ha sviluppato marcatori basati sul DNA, in grado di discriminare numerose varietà di olivo e, quindi, anche di rilevare eventuali frodi. Tali analisi sono a disposizione degli olivicoltori che vogliano autocertificare il loro prodotto o esportarlo verso paesi che richiedono questa sorta di “carta di identità”, oppure per le industrie olearie che necessitano di accertare la composizione varietale delle partite di olio extravergine che comprano sul mercato per destinarlo all’imbottigliamento e venderlo con il proprio marchio.
Luciana Baldoni, del Cnr-Ibbr, ha spiegato: «L’olio extravergine di oliva (abbreviato Evo) è il prodotto ottenuto dalla spremitura delle olive mediante processi esclusivamente meccanici e fisici, senza l’ausilio di solventi o prodotti chimici. Per essere classificato come extravergine, secondo le norme vigenti, deve rispondere a determinati parametri di qualità, come ad esempio l’assenza di difetti nel profilo aromatico all’analisi sensoriale. Le caratteristiche derivano dalla combinazione di tre fattori principali: le varietà, il territorio e il
EXTRAVERGINE DI OLIVA
SVOLTA NEI CONTROLLI
I marcatori basati sul DNA sono risultati efficaci
per evidenziare le varietà di olivo e anche le frodi commerciali
processo di estrazione. Alla ricchezza del patrimonio varietale e alla diversità dei territori di produzione corrisponde un’offerta di oli extravergine che si differenzia per composizione, caratteristiche organolettiche e valore commerciale».
La ricercatrice ha chiarito: «Gli oli extravergine di oliva in commercio vengono continuamente sottoposti ad analisi chimiche, per verificare la corrispondenza dei parametri dichiarati in etichetta, come pure all’esame di tracciabilità documentale sulla loro origine. Tali determinazioni non consentono però di risalire alla loro
composizione varietale, che possiamo rilevare solo attraverso l’analisi del DNA, l’unica molecola che può discriminare ciascuna varietà e che può essere replicata in vitro a partire da piccole tracce che rimangono in sospensione nell’olio in forma di micromicelle. Attraverso queste analisi molecolari verifichiamo eventuali frodi commerciali rappresentate dall’uso di varietà meno pregiate o di origine diversa da quella dichiarata. L’analisi del DNA permette inoltre di verificare la presenza di miscele di più varietà o l’adulterazione con oli di altre specie». (P. S.).
UN PICCOLO MULTISENSORE
PER I VASI SANGUIGNI
Realizzato un dispositivo miniaturizzato e impiantabile per monitorare la salute del sistema cardiovascolare
Ha preso ufficialmente il via il progetto IV-Lab, finanziato dall’Unione Europea finalizzato a sviluppare un dispositivo multisensore impiantabile nei vasi sanguigni, come vene o arterie periferiche, per monitorare i parametri corporei e, quindi, lo stato di salute di una persona. Una volta impiantato in soggetti affetti da malattie cardiovascolari, il sistema potrà costituire una piattaforma in grado di rilevare un numero elevato di parametri emodinamici e biochimici utili al personale medico.
Il progetto IV-Lab (acronimo di “In-vessel implantable smart sensing
device for personalised medicine”) ha ricevuto oltre 4 milioni di euro dall’European Innovation Council nell’ambito del programma quadro per la ricerca e l’innovazione Horizon Europe. È coordinato dall’Istituto Italiano di Tecnologia con il ricercatore della sede di Pontedera Virgilio Mattoli, e coinvolge diversi gruppi di ricerca dell’Istituto: il gruppo di Soft Micro-Electronic Materials del Center for Materials Interfaces, con sede a Pontedera, il Printed Molecular Electronics Lab dell’IIT a Milano e il Laboratorio ElectronicDesign all’IIT di Genova.
Il Cnr è coinvolto con l’Istituto di fisiologia clinica e l’Istituto dei materiali per l’elettronica e il magnetismo, e nel resto dell’UE istituti con sede in Francia, Germania e Irlanda.
Il team di ricerca multidisciplinare mira a progettare e realizzare il prototipo di un dispositivo di dimensioni pari a 1 o 2 cm di lunghezza e 4 mm di diametro, che incorporerà più sensori. Il monitoraggio dei diversi parametri fisiologici avverrà in parallelo, fornendo informazioni complete sui vasi sanguigni, quali per esempio deformazione dei vasi, pressione sanguigna, ossimetria ed ematocrito, concentrazione di glucosio e altri specifici biomarcatori cardiovascolari che possano fornire informazioni sull’eventualità di uno scompenso cardiaco. La possibilità di poter monitorare diversi parametri contemporaneamente renderà tale dispositivo innovativo rispetto a quanto c’è in commercio.
Il dispositivo, una volta impiantato nel corpo, sarà connesso e alimentato da un sistema esterno di raccolta dati e comunicazione, accoppiato tramite tecnologia wireless, o anche tramite un semplice smartphone, in caso di monitoraggio asincrono on-demand. Una parte importante del progetto sarà dedicata alla valutazione delle prestazioni del prototipo attraverso specifici test di laboratorio, con un’attenta considerazione delle valutazioni di biocompatibilità.
Virgilio Mattoli, ricercatore dell’IIT e coordinatore di IV-Lab, ha spiegato: «Il dispositivo che vogliamo sviluppare troverà importanti applicazioni nel campo delle malattie cardiovascolari. Il suo uso sarà rilevante, per esempio, in quei pazienti dove la rilevazione del comportamento emodinamico e di specifici biomarcatori, potrebbe essere un elemento chiave per evitare la loro ospedalizzazione e ridurre la mortalità, come nel caso dello scompenso cardiaco o della restenosi coronarica a seguito dell’impianto di stent». (P. S.).
Iricercatori di RISEUP, un progetto europeo a guida Enea che comprende anche l’Università Sapienza di Roma e Rise Technology srl in Italia, insieme agli spagnoli dell’Università Politecnica di Valencia e del Centro Investigacion Principe Felipe e i francesi del Centre National de la Recherche Scientifique, hanno realizzato un dispositivo in grado di guidare la rigenerazione del midollo spinale lesionato grazie ad un elettrodo innovativo.
Trattasi di una struttura elettrificata biocompatibile e completamente flessibile (scaffold) per il trattamento innovativo delle lesioni del midollo spinale basato sul trapianto di cellule staminali e la successiva rigenerazione del tessuto lesionato attraverso impulsi elettrici che favoriscono il differenziamento in neuroni.
Claudia Consales, coordinatrice del progetto, ricercatrice Enea della Divisione Tecnologie e metodologie per la salvaguardia della salute, ha sottolineato: «Attualmente non esistono cure efficaci per riparare le lesioni al midollo spinale causa di paralisi e disabilità permanenti; tuttavia, la ricerca sulle staminali ha aperto nuove prospettive ed è in continuo sviluppo al fine di migliorare il loro utilizzo per la rigenerazione del tessuto nervoso danneggiato».
Lo scaffold elettrificato del gruppo di ricerca RISEUP è una struttura che si adatta alla curvatura del midollo spinale grazie all’utilizzo di un metallo poroso che consente di mantenere la conducibilità elettrica anche quando l’elettrodo è piegato o deformato.
La ricercatrice ha aggiunto: «Si tratta di una nuova tecnologia che potrebbe rivoluzionare il settore delle apparecchiature biomedicali. La flessibilità e capacità di rilasciare correnti, a diverse intensità e durata, rendono, infatti, questo dispositivo particolarmente adatto per utilizzi in cui è richiesta un’elevata precisione e adattabilità, quali, ad esempio, il trat-
UN ELETTRODO PER LESIONI
AL MIDOLLO SPINALE
Un dispositivo elettrificato biocompatibile per il trattamento delle lesioni basato sul trapianto delle staminali
tamento di patologie neurologiche (in cui la stimolazione elettrica è dimostrata essere efficace), il controllo del dolore o il monitoraggio dei segnali bioelettrici del corpo».
Attualmente lo scaffold è in fase di test sia su cellule staminali coltivate in vitro, sia in un modello in vivo di lesione del midollo spinale. «Gli esperimenti che stiamo conducendo sono basati su un approccio estremamente multidisciplinare dei partner e i risultati preliminari sembrano incoraggianti», ha proseguito Claudia Consales. Enea svolge il lavoro di coordinamento e si occu -
pa anche dell’analisi di un possibile effetto antinfiammatorio della stimolazione elettrica, mentre gli altri partner studiano gli effetti biologici della stimolazione elettrica sulle cellule staminali, biomateriali, dosimetria e microdosimetria dei campi elettromagnetici, lesione del midollo spinale e microelettronica.
La ricercatrice ha concluso: «Una caratteristica da sottolineare di RISEUP è l’elevata partecipazione di giovani ricercatrici in formazione, a dimostrazione di come l’interesse femminile per il settore deep tech sia sempre più una realtà». (P. S.).
LIBRI ANTICHI, PATRIMONIO DESTINATO A DURARE NEL TEMPO: GRAZIE A ENEA
Un gruppo di ricercatori italiani ha messo a punto un nuovo protocollo diagnostico.
Sfrutta la spettroscopia Raman e valuta salute dei testi ed efficacia dei trattamenti
di Rino Dazzo
Soluzioni ultramoderne per preservare tesori antichi. I ricercatori di ENEA, l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile, hanno messo a punto un protocollo diagnostico utile a valutare in modo rapido e non invasivo lo stato di conservazione dei libri e l’efficacia dei trattamenti di pulizia praticati dai restauratori allo scopo di rallentare i processi di deterioramento. Lo studio, pubblicato sulla rivista Molecules, ha come prima autrice Sabina Botti, ricercatrice del Laboratorio ENEA Micro e nanostrutture per la fotonica, che ha lavorato in sinergia con Francesca Bonfigli, collega dello stesso laboratorio, e con Luca Mezi e Francesco Flora, del Laboratorio Applicazioni dei plasmi ed esperimenti interdisciplinari presso il Centro Ricerche ENEA di Frascati. «La nostra metodologia – ha spiegato Sabina Botti – prevede
l’impiego di due tecniche non distruttive e non invasive, la spettrometria Raman e la microscopia ottica che, senza alcun prelievo di materiale, permettono di ottenere informazioni sulle caratteristiche morfologiche e di composizione della carta, che è uno dei materiali di interesse storico e documentale tra i più diffusi e fragili».
Come si sviluppa, nel concreto, l’innovativa analisi diagnostica sviluppata dai ricercatori ENEA? Una parte cruciale è rappresentata dall’utilizzo della spettroscopia Raman, tecnica di analisi che prende il nome dal fisico indiano Chandrasekhara Venkata Raman, studioso vissuto a cavallo tra il XIX e il XX secolo che ha scoperto l’effetto Raman, che si verifica quando la luce incidente interagisce con le vibrazioni molecolari del materiale causando uno spostamento nella frequenza della luce dispersa: è lo stesso spostamento a fornire informazioni sulla strutture delle molecole e sulla composizione chimica del materiale. L’intuizione di Botti e degli altri autori dello studio è stata quella di applicare il sistema Raman –comprendente una sorgente laser da focalizzare sul campione, un monocromatore e un rivelatore – sui libri antichi. «Per studiare lo stato di salute della carta prima e dopo il trattamento abbiamo impiegato, su campioni di carta risalenti a fine ’800, la spettroscopia Raman, una tecnica di analisi molto efficace che utilizza la luce per studiare la composizione chimica dei materiali. Si è rivelata – ha sottolineato la ricercatrice – uno strumento adatto per definire il tipo di degrado ma anche per valutare l’efficacia dei trattamenti di pulizia».
zati per scrivere i testi. Inoltre, particolarmente importanti sono le condizioni di conservazione dei volumi, che possono a loro volta offrire terreno fertile allo sviluppo di particolari minacce: inquinanti atmosferici, temperature e tasso di umidità poco compatibili, esposizione alla luce oppure presenza e proliferazione di organismi patogeni. Il problema dei vari trattamenti di pulizia sviluppati nel tempo per rallentare il degrado dei materiali e ripristinare la qualità dei libri datati è che non tutti preservano in modo definitivo le caratteristiche peculiari del libro stesso. L’esigenza principale è legata alla rimozione dei contaminanti esterni e dei prodotti di ossidazione e decomposizione delle pagine, garantendo allo stesso tempo un risultato duraturo.
I libri sono costituiti da insiemi di pagine di carta che hanno nella cellulosa il loro costituente principale. Si tratta di un materiale stabile, ma destinato inevitabilmente a subire un degrado naturale nel corso del tempo. Un processo assolutamente naturale, figlio di fattori intrinseci della carta stessa legati alle materie prime, ai particolari metodi di produzione e all’eventuale presenza di sostanze aggiunte, e della natura dell’inchiostro, dei pigmenti e dei leganti utiliz-
Una parte cruciale dell’analisi diagnostica è rappresentata dall’utilizzo della spettroscopia Raman, tecnica di analisi che prende il nome dal fisico indiano Chandrasekhara Venkata Raman.
Lo studio targato ENEA ha valutato l’effetto di alcuni processi di pulizia green basati sull’applicazione di idrogel non aggressivi e non tossici oppure dei trattamenti di irraggiamento diretto e senza pretrattamento dei campioni attraverso l’utilizzo di radiazioni EUV, acronimo che sta per estremo ultravioletto. E ancora: i trattamenti combinati mettendo insieme idrogel e radiazioni ultraviolette. «Abbiamo rilevato che l’idrogel ha una buona azione pulente», ha spiegato Sabina Botti. «Una volta applicato sulla carta, è in grado di catturare e di rimuovere i prodotti di degrado e i contaminanti che possono essere presenti su di essa, come amido, gomma arabica, colle animali e gelatina». Incoraggianti anche i dati emersi dall’analisi dei sistemi di pulitura attraverso l’irraggiamento a estremi ultravioletti: «Oltre a una azione di pulizia anche di specie fungine, produce un aumento dell’indice di cristallinità della carta, ossia un consolidamento del campione di carta irraggiato e una maggiore capacità di resistenza ai processi di ossidazione e invecchiamento». Grazie al protocollo diagnostico individuato dai ricercatori italiani, dunque, sarà possibile approntare sistemi di trattamento ancor più mirati, magari combinando entrambe le tecniche che si sono rivelate più efficaci.
Dopo dieci anni di chiusura, finalmente l’8 giugno ha riaperto il famoso Museo Archeologico di Centuripe, che si trova nel cuore della Sicilia, tra Catania ed Enna. Sarà aperto tutti i giorni dalle 9 alle 19. Dunque il pubblico potrà accedere e visitare nuovamente il museo, dopo i lavori di ristrutturazione, che sono stati necessari per mettere in sicurezza due piani della struttura. La collaborazione tra l’assessorato regionale dei Beni culturali, il Parco archeologico di Catania e della Valle dell’Aci, di cui il Museo fa parte, e il Comune di Centuripe ha permesso la realizzazione di questo progetto, che ha garantito non solo il restauro dell’edificio, ma anche l’ampliamento della collezione esposta.
Nel museo è possibile osservare molti reperti archeologici che illustrano le origini antichissime della città di Centuripe (Kentoripa), percorrendo la sua storia sin dal Neolitico fino all’epoca romana, stagione di particolare importanza storico-artistica. Ricordiamo in particolare il reperto della Testa di Augusto, la quale è considerata dagli storici come il più bel ritratto dell’imperatore mai ritrovato in Sicilia. Il reperto si trova qui grazie al prestito effettuato dal Museo Paolo Orsi di Siracusa e rimarrà nel Museo Archeologico di Centuripe fino al 2026. Sono poi esposti i busti di due familiari di Augusto e numerosi altri pezzi di epoca romana, che precedentemente erano conservati nei depositi del museo a causa della mancanza di spazio espositivo nei luoghi di allestimento. Questi reperti risalgono al I e II secolo d.C.
Alla collezione del museo si aggiungono poi i vasi centuripini, tipici della produzione ceramica della città siciliana. Questi vasi sono caratterizzati da decori in rilievo e pittura policroma, e si nota la predominanza delle sfumature del giallo e del rosa, che riflettono la ricca tradizione artistica locale.
Sicuramente aver riaperto il museo al pubblico implicherà un maggiore
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RIAPRE IL MUSEO
DI CENTURIPE
A seguito dei lavori di ristrutturazione, lo spazio espositivo in provincia di Enna riapre al pubblico tutti i giorni
sviluppo turistico ed economico, come infatti afferma Francesco Paolo Scarpinato: «Riaprire dopo 10 anni totalmente il Museo Archeologico Regionale in Sicilia è un altro obiettivo che l’Assessorato Regionale si era preposto e che volge a compimento. Il Museo è un fiore all’occhiello dell’offerta culturale siciliana che meritava la giusta attenzione, esso è infatti un museo unico in Sicilia sia per l’alto valore delle opere che custodisce sia perché è uno dei rari casi in cui le collezioni provengono esclusivamente da scavi e ritrovamenti locali a testimonianza del valore archeologico dell’antica Kentoripa».
Ha affermato poi il sindaco di Centuripe, Salvatore La Spina: «Sono molto contento, questo risultato è il frutto di una seria e costruttiva collaborazione tra gli Enti. Ringrazio l’Assessore ai Beni Culturali Francesco Paolo Scarpinato per essersi personalmente speso per la riapertura; il Direttore Giuseppe D’Urso e tutti i funzionari del Parco Archeologico di Catania e della Valle Dell’Aci, tutte le maestranze coinvolte. Sono convinto che se si opera per il bene comune con determinazione e in modo incondizionato gli obiettivi si raggiungono».
Museo di Centuripe - Fonte:
di Eleonora Caruso
PREMIATA LA CULTURA ITALIANA DA SCOPRIRE
Vincitori del bando “Fondazione Italia Patria della Bellezza” sono stati 22 gioielli nascosti del patrimonio culturale italiano
Durante la quarta edizione del bando 2024 organizzato dalla “Fondazione Italia Patria della Bellezza”, i premi sono stati vinti da 22 realtà culturali italiane poco note. Questa iniziativa nasce infatti proprio con il fine di scoprire piccoli borghi, castelli e luoghi preziosissimi nascosti dell’Italia. A candidarsi erano state 206 realtà culturali: 60.000 euro sono stati destinati ai 3 premiati finali (dunque 20.000 euro ciascuno), i quali sono: l’ Archivio Nazionale del Film Famiglia di Bologna, con le sue 35.000 pellicole private di grande valore storico,
“OrMe”, cioè un museo a cielo aperto con un percorso di murales nel quartiere storico dell’Ortica di Milano, e infine “Va’ Sentiero” a Milano, ideatore della guida al trekking più lungo al mondo sulla dorsale delle montagne italiane, da nord a sud e isole.
Le altre 19 realtà sono state adottate per un anno da aziende leader nella comunicazione che forniranno pro bono sostegno e consulenze per un valore complessivo di più di 650.000 euro. Queste aziende guideranno e aiuteranno le realtà vincitrici a una maggiore visibilità e notorietà. Le realtà vincitrici di questi progetti di comunicazione sono:
il Museo del Marmo di Carrara e l’Area Archeologica di Fossacava, inserito nella classifica del New York Times come la destinazione italiana più interessante del 2024, L’Istituto Centrale per la Grafica di Roma, che include artisti come Leonardo, per un progetto di comunicazione con “The Branding Letters”; la Cascina Monluè a Milano e la Fondazione Milano Scuole Civiche.
Abbiamo poi Zones Portuaires / Genova o anche i Giardini di Naxos, in Sicilia, che ad esempio avrà il supporto della società The Branding Letters, agenzia con la vocazione di sviluppare progetti di branding dove strategia e creatività si nutrono a vicenda durante tutto il percorso di gestione del brand.
Premiata anche la Fondazione Le Stanze della Fotografia, prestigioso centro internazionale di ricerca a Venezia insieme alle Vie del Sacro di Bergamo, itinerari alla scoperta dell’arte sacra. O ancora Lilliput Musei, che adatta la fruizione museale ai bambini, e gli Horti Almo Collegio Borromeo a Pavia che verranno sostenuti da EssilorLuxottica. Altri premi sono stati consegnati all’Associazione Culturale Fedora a Milano e all’Associazione Rondine Cittadella della Pace di Arezzo, al Castello di Padernello a San Giacomo, vicino a Brescia, alla seicentesca Cartiera di Vas della Repubblica di Venezia a Belluno, che, come luogo di recupero di archeologia industriale, sarà presa in carico dalle direttrici creative Ursula Borroni e Serena Poletto Ghella.
La Fondazione Rosa dei Venti di Tavernerio (Como) poi rientra tra le vincitrici insieme a IN LOCO, Museo Diffuso dell’Abbandono a Forlì, e infine Il Palazzo più musicale di Venezia.
L’iniziativa portata avanti dalla Fondazione “Italia Patria della Bellezza” dunque costituisce una guida per il patrimonio culturale italiano meno conosciuto, offrendo un supporto reale per la sua valorizzazione e promozione. Un impegno fondamentale per tutelare e tramandare alle future generazioni la bellezza unica del nostro Paese. (E. C.)
Museo Orme - Ortica Memoria a Milano - Fonte: www.patriadellabellezza.it
ALIMENTARI E DELLA
DIETA MEDITERRANEA
Master telematico asincrono marzo – luglio 2024
LE “NOTTI MAGICHE” DELL’ATLETICA AZZURRA
ASPETTANDO LE OLIMPIADI
Allo stadio Olimpico di Roma l’Italia ha dominato i Campionati europei con 11 ori, 9 argenti e 4 bronzi di Antonino Palumbo
Undici medaglie d’oro, quasi il triplo di Francia, Gran Bretagna, Norvegia e Svizzera. E poi nove argenti e quattro bronzi. Gli Europei di Roma hanno rappresentato un’autentica consacrazione per l’atletica leggera italiana, fra splendide conferme e piacevoli sorprese. Riviviamo le imprese d’oro, da Palmisano a Tamberi.
Antonella Palmisano (20km marcia) La regina della marcia è tornata. Se l’oro olimpico di tre anni fa a Tokyo, nel giorno del suo trentesimo compleanno, era stato il culmine di un percorso costellato di piazzamenti e podi ai Mondiali e agli Europei, il successo di Roma (davanti a Valentina Trapletti) certifica la definitiva rivincita di Antonella Palmisano sui guai fisici. Lo scorso anno era arrivato il bronzo ai Mondiali di Budapest, ma
è stato a Roma che abbiamo rivisto la Palmisano dei giorni migliori.
Nadia Battocletti (5000m e 10000m)
Trentina di Cles, figlia dell’ex maratoneta Giuliano e di Jawhara Saddougui, Nadia Battocletti ha iniziato a brillare sin da giovane a livello continentale. A Roma ha trionfato nei 5000m piani con una gara impeccabile impreziosita dal rush finale e dai record italiano e dell’europeo. Poi, non contenta, ha concesso il bis nei 10000m piani migliorando il suo primato nazionale. Su pista detiene anche il primato di categoria sui 3000m piani.
Leonardo Fabbri (getto del peso)
A maggio, il gigante fiorentino di Bagno a Ripoli ha sgretolato un primato italiano che resisteva da 37 anni, arrivando a 22,95 metri. Figlio di un velocista e una nuotatrice, ha praticato diversi sport prima di dedicarsi all’atletica e nello specifico al getto del peso. Argento mondiale a Budapest nel 2023, a Roma ha confermato i pronostici lanciando la sfera metallica a 22,45 metri. Il suo segreto: la solidità mentale.
Lorenzo Ndele Simonelli (110m ostacoli)
È nato a Dodoma, da madre tanzaniana e padre italiano, antropologo e ricercatore. È definitivamente sbocciato nel 2024, vincendo l’argento con record italiano ai mondiali indoor di Glasgow e poi abbassando il primato nazionale dei 110hs, ulteriormente ritoccato con l’oro di Roma. Ha anche contribuito al trionfo della staffetta 4x100m. Il cappello di paglia con cui celebra le sue medaglie è un omaggio a Luffy, personaggio dell’anime One Piece.
Marcell Jacobs (100m e staffetta 4x100m)
A Roma il bicampione olimpico non ha deluso le attese, anche se per confermarsi quest’anno a Parigi servirà uno step ulteriore. Oro nei 100m piani in rimonta, davanti all’altro azzurro Chituru Ali, poi frazione poderosa in staffetta, a smentire la preoccupazione per una smorfia dopo l’arrivo della gara singola. Ora nel mirino ci sono i Giochi 2024.
Matteo Melluzzo, Lorenzo Patta e Filippo Tortu (4x100 maschile)
Novità rispetto alla staffetta olimpionica è Matteo Melluzzo, 22enne siciliano, sfortunato in precedenza nella gara individuale. Conferme in-
Battocletti.
Nadia Battocletti A Roma ha trionfato nei 5000m piani con una gara impeccabile impreziosita dal rush finale e dai record italiano e dell’europeo. Poi, non contenta, ha concesso il bis nei 10000m piani migliorando il suo primato nazionale. Su pista detiene anche il primato di categoria sui 3000m piani.
vece per Lorenzo Patta, 24enne di Oristano, e da un altro campione dal dna sardo, Filippo Tortu, 26enne nato a Milano e vicecampione d’Europa nei 200m piani. Un argento, questo, accolto con una punta d’amarezza da Tortu, per la percezione di poter fare qualcosa in più.
Yemaneberhan Crippa (mezza maratona)
Etiope di nascita, adottato a cinque anni da una famiglia milanese assieme a cinque fratelli, “Yeman” Crippa è un gigante dell’atletica italiana oltre che detentore dei record nazionali dei 3000, 5000, 10000 metri piani, della mezza maratona e della maratona. Nella “mezza” di Roma ha giganteggiato, trascinando al successo l’intero team. Nel palmares vantava già un oro nei 10000m agli Europei di Monaco 2022.
Trionfo doppio per l’Italia nella specialità, grazie all’eccellente prova che è valsa anche l’oro di squadra. Il 27enne piemontese Pietro Riva si è preso l’argento sul rettilineo finale, il 24enne pugliese Pasquale Selvarolo ha chiuso sesto. Nei dieci anche Eyob Faniel, ottavo, e Yohanes Chiappinelli, decimo.
Sara Fantini, lancio del martello Meravigliosa medaglia anche quella della 26enne emiliana, figlia dell’ex pesista olimpico Corrado e dell’ex giavellottista Paola Iemma. A Roma Sara è stata capace di lanciare il martello a 74,18 metri dopo rimettendosi alle spalle la tre volte olimpionica Anita Wlodarczik e la sorprendente francese Rosa Loga. Guardando a Parigi, però, vola basso: “Non immaginavo neppure il podio agli Europei”.
Gianmarco Tamberi, salto in alto
Lo scorso anno, ai Mondiali di Budapest, “Gimbo” era diventato il secondo italiano di sempre a vincere la medaglia d’oro olimpica, iridata ed europea. A Roma è tornato a saltare 2,37 metri, come ai Giochi di Tokyo 2021, a due soli centimetri dal suo record italiano, dopo aver rischiato di rimanere giù dal podio. Dopo il terzo titolo europeo (nessuno come lui), con tanto di barba rasata a metà e show d’ordinanza, Half-Shave sarà portabandiera azzurro alle Olimpiadi. E cullerà un bis che nessuno, nell’alto maschile, è riuscito a fare.
Il cielo è azzurro sopra Parigi. O quasi. Perché la straordinaria avventura dei tennisti italiani al Roland Garros di Parigi, uno dei tornei “Fab Four” del tennis, si è conclusa senza trofei. Tuttavia, sulla terra rossa della capitale francese, il movimento italiano ha confermato la sua enorme crescita, sulle orme di uno straordinario Jannik Sinner, nuovo numero 1 al mondo Atp, che alle prossime Olimpiadi guiderà un’Italia ambiziosa.
Strano a dirsi, Sinner è stato l’unico dei “nostri” a non raggiungere l’atto conclusivo dell’Open di Francia. Il campione altoatesino ha trovato sulla propria strada l’amico-rivale Carlos Alcaraz, che lo ha battuto in semifinale. Un match spettacolare, quello fra i due fuoriclasse di Italia e Spagna, con la svolta decisiva al decimo game del quarto set: Alcaraz ha strappato il servizio a Sinner, pareggiando il conto (2-2) per poi chiudere al quinto set grazie a una migliore tenuta atletica. Se l’ottima performance di Jannik, che aveva saltato gli Internazionali d’Italia a Roma per un problema fisico, era preventivabile, l’expoit di Jasmine Paolini è stata un’autentica sorpresa. Perché la piccola, grande atleta toscana di Bagni di Lucca è stata capace di far piangere (letteralmente) tenniste fisicamente più strutturate o avanti nel ranking Wta, grazie a un’interessante varietà di colpi e una notevole esplosività.
L’una dopo l’altra, sono cadute Saville, Baptiste, Andreescu, Avanesjan, poi la numero 4 mondiale Rybakina nei quarti e la talentuosa Andreeva in semifinale. In finale, però, Jasmine nulla ha potuto contro la dominatrice assoluta del tennis femminile, Iga Swiatek, che l’ha spuntata in poco più di un’ora. Ma l’impressione è che il numero 7 al mondo non sarà soltanto un’avventura, per citare Battisti.
Così come sembra destinato a regalare ulteriori gioie il felice sodalizio fra Jasmine Paolini e Sara Errani, in dop-
Sinner salito al numero 1 mondiale ma battuto in semifinale, successo sfiorato per Paolini e per il duo Bolelli-Vavassori
pio. Dopo l’estasi di Roma, le italiane sono arrivate a un passo dalla vittoria anche in terra francese, sconfitte in finale dalla ben assortita coppia formata da Coco Gauff e Katerina Siniakova (quest’ultima campionessa olimpica a Tokyo 2020). Il duo Errani-Paolini promette però bene anche in prospettiva olimpica: nella classifica della “Race” stagionale, le azzurre sono seconde ma per trovare un’altra coppia di connazionali bisogna scendere al sesto posto di Kwawczyk-Dolehide. Più indietro giapponesi e francesi.
Come agli Australian Open, anche a Parigi si è interrotto sul più bello il
sogno Slam di Simone Bolelli e Andrea Vavassori. Fatale è stato l’incrocio, in finale, con gli indigesti Mate Pavic e Marcelo Arevalo, che li hanno battuti tre volte su tre nel 2024, 7-5 6-3 questa volta. Come a Melbourne, gli azzurri hanno giocato alla pari contro due top del doppio - in Australia erano Ebden e Bopanna - ma sono mancati i colpi del ko nei momenti decisivi. Come Errani-Paolini, anche Vavassori-Bolelli sono secondi nella “Double Race” stagionale ma primi fra le coppie di connazionali. Alle Olimpiadi si può sognare. Doppio e oltre. (A. P.)
Jannik Sinner
POGACAR, VINGEGAARD, ROGLIC: VOLTI E SOGNI
DEL TOUR DE FRANCE 2024
Partenza da Firenze il 29 giugno, arrivo a Nizza (a cronometro) il 21 luglio per la corsa a tappe più prestigiosa del mondo, fra chi cerca l’accoppiata col Giro e chi la Tripla Corona
Tre tappe in Italia, fra Firenze e Torino, passando per Bologna. Poi via, oltre le Alpi, dove il Tour de France è di casa e dove promette di regalare spettacolo grazie al suo cast stellare, che neppure gli incidenti di primavera sono riusciti a minare. Torna la Grande Boucle, la corsa a tappe più importante del mondo, che a noi ricorda ancora la “doppietta” di Marco Pantani nel 1998 e che oggi ci entusiasma soprattutto per le gesta di campioni internazionali. Da Jonas Vingegaard, vincitore delle ultime edizioni, al completo Tadej Pogacar reduce da un Giro d’Italia da dominatore, dal fenomeno belga Remco Evenepoel a Primoz Roglic, passando per quel Wout Van Aert capace di brillare su diversi terreni. Accanto a loro, a cercare soprattutto soddisfazioni parziali, i “nostri” Alberto Bettiol, Giulio Ciccone (miglior scalatore nel 2023) e Matteo Sobrero.
L’ultima parte della primavera è stata percorsa dall’interrogativo relativo alla presenza al via di Jonas Vingegaard, l’olandese che nel 2022 e nel 2023 è stato capace di sgretolare la resistenza di Pogacar, altro asso del pedale che non va propriamente piano. E del resto la caduta nel quale era stato coinvolto il 4 aprile al Giro dei Paesi Baschi è stata tremenda e gli ha lasciato in eredità la rottura di una clavicola e di diverse vertebre. Quella curva micidiale, con una radice affiorante sull’asfalto, ha messo a rischio la vita di undici ciclisti, compre-
si Evenepoel (frattura composta di clavicola e scapola destra) e il suo connazionale Cras (doppia perforazione polmonare, con due costole e due vertebre rotte). Sulla presenza di Vingegaard al Tour, il team Visma-Lease a Bike ha mantenuto il riserbo fino alla fine. Ci sarà invece Pogacar, dopo l’assolo del Giro d’Italia, dove si è guadagnato l’appellativo di “Cannibale gentile”, con un richiamo a Eddy Merckx ma anche alla capacità di farsi amare dagli appassionati di ogni età. E anche dai colleghi. Come Giulio Pellizzari, giovane marchigiano che, preceduto dal fenomeno sloveno sul Monte Pana, al traguardo gli ha chiesto gli occhialini come souvenir di una giornata comunque memorabile. E Pogacar, oltre agli occhialini, ha regalato a Pellizzari anche la maglia rosa. Nella penultima tappa, con doppia scalata del Monte Grappa, ha trovato il tempo di prendere la borraccia dal suo massaggiatore e regalarla a un bambino che stava correndo a suo fianco. Alla fine, Tadej ha vinto sei tappe su ventuno totali. Dove c’era un arrivo in salita, c’era lui davanti a tutti e solo al Santuario di Oropa, culmine della seconda frazione, non indossava la maglia rosa che ha poi indossato fino a Roma. Primo nella cronometro Foligno-Perugia (con 17 secondi su Filippo Ganna), Pogacar ha centrato il terzo successo 24 ore dopo a Prati di Tivo. Otto giorni più tardi, il successo in solitaria a Livigno davanti a Quintana, poi il lunedì di riposo, un’altra dimostrazione di forza a San-
ta Cristina Valgardena, con tanto di omaggio a Pellizzari. L’ultimo sigillo a Bassano del Grappa, arrivo della penultima tappa. In Francia, Pogacar andrà a caccia dell’accoppiata Giro-Tour riuscita in passato solo a sette ciclisti: Eddy Merckx (4 volte), Bernard Hinault (3), Fausto Coppi (2), Jacques Anquetil (2), Miguel Indurain (2), Stephen Roche e Marco Pantani.
Primoz Roglic è uno dei “terzi incomodi”. Tornato a gareggiare e vincere al Giro del Delfinato, il capitano della Bora Hansgrohe sogna ancora di prendersi la rivincita del Tour 2020, quando il conterraneo Pogacar gli sfilò la maglia gialla di leader alla penultima tappa, staccandolo di 1’56” nella cronometro con arrivo in salita a La Planche des Belles Filles. Il sogno di Roglic è la tripla corona, ovvero il successo finale in tutti e tre i “Grandi Giri”. In sette, sinora, ci sono riusciti: oltre a Merckx, Hinault e Aquetil, Alberto Contador, Chris Froome e gli italiani Felice Gimondi e Vincenzo Nibali. Grandi aspettative anche per Remco Evenepoel, che ha tolto i cerotti e ritrovato la “gamba”. Al Delfinato ha ceduto qualcosa in salita, dominando però la cronometro, suo
Jonas Vingegaard
L’ultima parte della primavera è stata percorsa dall’interrogativo relativo alla presenza al via di Jonas Vingegaard, l’olandese che nel 2022 e nel 2023 è stato capace di sgretolare la resistenza di Pogacar, altro asso del pedale che non va propriamente piano.
punto di forza. E gli italiani? Alberto Bettiol cerca il primo successo al Tour, dopo il secondo posto di Mende nel 2022. Maglia a pois come migliore scalatore nel 2023, Giulio Ciccone sarà il “luogotenente” di Gheoghegan Hart, con licenza di provarci da lontano. Matteo Sobrero darà una mano a Roglic e Vlasov e cercherà un risultato a cronometro.
Le tappe da tenere d’occhio al Tour de France: la quarta, con il Galibier a quota 2642 metri e arrivo a Valloire; la nona con start e finish a Troyes e 14 settori di sterrati nello Champagne; la 15a con 4000 metri di dislivello e arrivo in salita a Plateau de Beille; la 19a con la salita de La Bonette e arrivo in cima all’ascesa verso Isola 2000; la cronometro finale da Monaco a Nizza, dove per la prima volta il Tour si concluderà lontano da Parigi, per la concomitanza con le Olimpiadi.
Sabato 17 agosto, a sei giorni dal via della Olimpiadi, scatterà invece la Vuelta a Espana che andrà avanti fino all’8 settembre, con 18 Uci World Teams, le due migliori squadre dei ProTeam 2023 (Lotto Dstny e Israel Premier Tech) e due wild card, l’Equipo Kern Pharma e l’Euskaltel-Euskadi. (A. P.)
VOLLEY, ENTRAMBE LE NAZIONALI AI GIOCHI
La Nations League ha regalato qualificazione e fiducia ai ragazzi di De Giorgi e alle ragazze di Velasco
La “paura” è passata, se mai c’è stata: le Nazionali maschile e femminile di pallavolo andranno alle Olimpiadi. Avevamo raccontato, su queste pagine, come la passata stagione agonistica si fosse conclusa senza il “pass” per Parigi 2024 per entrambe le rappresentative, che avevano “toppato” anche il rispettivo torneo preolimpico di qualificazione, per ragioni varie. L’approdo alla massima rassegna sportiva, che ogni atleta sogna, era perciò legato alle ranking mondiali, con l’Italia chiamata quest’anno a conquistare più punti possibili nelle Volley Na-
tions League per difendersi dalla rimonta delle altre contendenti.
La buona notizia per la Nazionale maschile si è concretizzata a Ottawa, in Canada, con il netto 3-0 sulla nazionale olandese che ha chiuso il Girone 4 della Volley Nations League. Un successo grazie al quale si è fatto praticamente incolmabile il vantaggio su Serbia e Cuba, nazionali che avrebbero potuto estromettere l’Italia da Parigi 2024. Gli azzurri di Fefè De Giorgi, campioni del mondo e vicecampioni d’Europa in carica, avevano concluso il Girone 2 con quattro successi su Germania, Iran, Giappone e
Brasile, per poi cadere al tie-break con la Francia e tornare a esultare con Stati Uniti e Cuba. La grande favorita alle Olimpiadi sarà la Polonia, numero 1 del ranking mondiale e regina d’Europa lo scorso anno. A difendere il titolo sarà invece la Francia, oggi settima al mondo per rendimento ma capace di grandi numeri come dimostrato con l’Italia (e non solo) in Nations League.
Anche in campo femminile, guardare il ranking è stato un puro esercizio statistico considerato che, dopo lo 0-3 all’esordio in VNL con la Polonia, le ragazze del neo ct Velasco hanno migliorato sensibilmente la qualità del gioco e i conseguenti risultati, fugando i residui dubbi sulla qualificazione olimpica. Ad Adalia sono arrivati i successi con Germania, Bulgaria e Turchia, a Macao le azzurre hanno poi battuto Francia, Rep. Dominicana e Cina. Perdendo, al tie-break, solo con un Brasile rivelatosi autentico schiacciasassi nella competizione. Il matematico approdo alle Olimpiadi di Parigi è arrivato alla vigilia del 3-0 sulla Corea del Sud, grazie al successo con analogo punteggio dell’Olanda sul Canada. Ciliegina sulla torta è stata poi il 3-1 sulle campionesse olimpiche degli Stati Uniti. Queste ultime, quinte nel ranking Fivb, saranno fra le rivali più accreditate assieme alla Turchia, al Brasile e alla Polonia, attualmente ai vertici della classifica mondiale.
«L’obiettivo principale, adesso, è vivere i prossimi Giochi Olimpici da protagonisti» ha sottolineato Giuseppe Manfredi, presidente della Federazione italiana pallavolo, che ha ricordato come a Parigi avremo le due nazionali seniores, tre coppie di beach volley e la nazionale femminile di sitting volley. L’Italia della pallavolo è ancora alla ricerca del suo oro olimpico, malgrado abbia spesso brillato soprattutto in campo maschile, con tre medaglie d’argento e tre di bronzo. La Nazionale femminile, invece, ha concluso per tre volte i Giochi al quinto posto. (A. P.)
IL DOLORE INVALIDANTE MA NECESSARIO PER ARRIVARE ALLA DIAGNOSI
. Potrebbe non esserci e risparmiare inutili sofferenze ma se non ci fosse non sapremmo di stare male e dunque non potremmo curarci
di Anna Lavinia
Giuseppe Remuzzi
Le sanguisughe di Giulietta
Solferino, 2024 – 20,00 euro
C’è una domanda ricorrente che i pazienti sentono da millenni e che attraversa qualsiasi studio medico nel momento in cui si valica la sua porta.
È dai tempi di Ippocrate, colui cha ha istruito generazioni di medici alla diagnosi, che ci chiedono: «ti fa male?» e «dove ti fa male?». È proprio il dolore il fondamento della salute e della medicina.
È il sintomo vitale che guida prima la diagnosi e poi la cura. Il dolore è fortemente invalidante ma necessario. Potrebbe non esserci e risparmiare inutili sofferenze ma se non ci fosse non sapremmo di stare male e dunque non potremmo curarci.
I rimedi per non lasciarsi sopraffare dal dolore accompagnano la storia dell’uomo da sempre (nessun faraone si sarebbe mai fatto seppellire senza l’oppio) ma la ricerca e gli avanzamenti tecnologici studiano ogni giorno nuovi sistemi per combatterlo. Sarebbe un mondo diverso se capissimo come lenire le sofferenze degli ammalati o semplicemente come e quanto soffrono ad esempio i neonati che quel dolore non possono esprimerlo.
Ci sono miliardi di persone che hanno perso il sonno e la voglia di vivere a causa del dolore cronico, molte di loro hanno accesso a farmaci e cure palliative ma molte altre no, perché non possono comprarle nemmeno se stanno malissimo. Allora quello che si può fare, spiega sapientemente Remuzzi è riconoscere “l’alleviare i dolori come parte dei diritti umani”.
Perché l’intera salute dell’individuo non fa già parte dei diritti umani? Da tale questione non può prescindere nemmeno il Servizio Sanitario Nazionale come quello italiano che ha un grande bisogno di essere riformato, dopo 45 anni di vita alle spalle.
I motivi per cui una grande rivoluzione deve essere fatta ed al più presto sono spiegati concretamente dall’autore. Dall’organizzazione dei medici o dei sottovalutati infermieri ed ancor prima dagli opinabili test di accesso alle facoltà sanitarie. Esortando i medici ad umanizzare il rapporto con i pazienti, coinvolgendoli nelle decisioni riguardanti la loro salute. Ma non è sempre realizzabile. Da quando hanno iniziato a sperimentare le trasfusioni di sangue, ben 400 anni fa, la gente ha pensato che mischiare il nostro corpo con quello
animale ci avrebbe fatto assumere connotazioni e sembianze di cani, maiali o addirittura scimmie. Lo ha supposto anche Bush nel 2006 parlando di cellule staminali. Eppure senza sperimentazioni sul mondo animale non potremmo ricevere un rene se ne avessimo bisogno o non potremmo sapere che tutti gli animali tranne l’uomo non si ammalano di sclerosi multipla, asma o artrite reumatoide grazie ad un certo acido salico chiamato Neu5Gc che noi invece non possediamo.
Uno straordinario viaggio tra progresso e contraddizioni della medicina che comincia dal titolo. Chi era Giulietta con le sue sanguisughe? Non la più famosa a portare questo nome a Verona, ma un’altra giovane donna. Figlia di Giulietta d’Azeglio e Alessandro Manzoni che nel 1832 si prenderà una “brutta febbre” curata a colpi di salassi e sanguisughe. Non andiamo troppo lontano nel tempo per vederne i suoi benefici, un articolo pubblicato qualche tempo fa sul Journal of Plastic Surgery descrive il loro uso in un caso di congestione venosa durante un intervento chirurgico. Chissà cos’altro ancora c’è da aspettarsi dal futuro della medicina tra intelligenze artificiali e pratiche eticamente discutibili.
Gaia Cottino
Cavallette a colazione
Utet, 2024 - 17,00 euro
L’idea che gli insetti siano il cibo del futuro è storicamente errata. Da sempre, tracce di questi esseri viventi finiscono sulle nostre tavole eppure pensare di mangiare farina di grillo o meduse ci toglie qualsiasi appetito. Mentre il mondo ci sta mettendo davanti ad una nuova sfida alimentare, cosa mangeremo per sopravvivere? (A. L.)
Valentina Furlanetto
Cento giorni che non torno Editori Laterza, 2024 – 20,00 euro
Tra le storie di pazzia, ribellione e libertà c’è quella di Rosa, coetanea di Basaglia che ha passato la sua vita in manicomio tra elettroshock e psicofarmaci in assenza di qualsiasi diritto. Questa può sembrare una storia vecchia ma non lo è. Come è possibile che nel 2022 Lorenzo muore legato al letto in un ospedale in provincia di Roma? (A. L.)
AA. VV.
The nocebo effect Mayo clinic press – 25,00 euro
Dal verbo latino nocēre deriva l’effetto contrario al placebo. Dopo studi sul suo opposto, il libro spiega praticamente come il cervello si suggestiona e ci fa star male solo sentendo elencare i possibili effetti collaterali di un farmaco. Come la “malattia degli studenti di medicina” che iniziano a sentire i sintomi delle patologie studiate. (A. L.)
CONCORSI PUBBLICI PER BIOLOGI
Dirigente biologo all’Azienda ospedaliera Santa Croce e Carle di Cuneo
Presso l’Azienda ospedaliera Santa Croce e Carle di Cuneo è indetto concorso pubblico, per titoli ed esami, a un posto di dirigente biologo di patologia clinica (Laboratorio analisi chimico-cliniche e microbiologia). Il bando è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale. SCADENZA: 18 luglio 2024.
Dirigente biologo l’A.U.S.L. Umbria 2 di Terni
Presso l’A.U.S.L. Umbria 2 di Terni con delibera del direttore generale f.f. n. 889 del 12 maggio 2024 ha indetto avviso pubblico, per titoli e colloquio, per il conferimento di un incarico quinquennale di direzione della struttura complessa di laboratorio analisi aziendale - profilo professionale dirigente medico o dirigente biologo o dirigente chimico della disciplina di patologia clinica (laboratorio di analisi chimico-cliniche e microbiologia) - area della medicina diagnostica e dei servizi - a rapporto esclusivo. Il bando è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale. SCADENZA: 18 luglio 2024.
Dirigente biologo all’ l’Agenzia di tutela della salute di Pavia
Presso l’Agenzia di tutela della salute di Pavia è indetto avviso pubblico, per titoli e colloquio, per il conferimento dell’incarico quinquennale per un posto di dirigente sanitario biologo direttore della struttura complessa denominata «Appropriatezza e qualità degli erogatori». Il bando è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale. SCADENZA: 21 luglio 2024.
Assegno professionalizzante all’Istituto di Nanotecnologia del Cnr di Lecce
Presso l’Istituto di Nanotecnologia del Cnr di Lecce è indetta una selezione pubblica, per titoli e colloquio, per il conferimento di n° 1 Assegno di tipo A “Assegno Professionalizzante” da svolgersi nell’ambito del progetto di ricerca “PAM – Patient-centered avatar models of Congenital Gastrointestinal Disorders” - CUP B53C22007530006”, GAE P0000250 per la seguente tematica: “Modelli Avatar basati sui pazienti di malattie congenite gastrointestinali”. Il bando è stato pubblicato sul sito internet www.cnr.it. SCADENZA: 4 luglio 2024.
Assegno di ricerca all’Istituto per le Risorse Biologiche e Biotecnologie Marine del Cnr di Ancona
Presso l’Istituto per le Risorse Biologiche e Biotecnologie Marine del Cnr di di Ancona è indetta una selezione pubblica, per titoli e colloquio, per il conferimento di n. 1 (uno) assegno di ricerca di Tipologia A) “Professionalizzanti” per lo svolgimento di attività di ricerca inerenti l’Area Scientifica “Scienze del Sistema Terra e Tecnologie per l’Ambiente” da svolgersi nell’ambito del progetto: “autofinanziato IRBIM - Innovazione tecnologica e Ricerca su Biologia marina, biodiversità, pesca e acquacoltura, oceanografia, ed Impatti antropici sul biota Marino”, DTA. AD002.957, CUP B73C24000210005, per la seguente tematica: “Studio delle comunità macrozoobentoniche per una gestione sostenibile dell’ambiente marino nell’ambito di monitoraggi ambientali di aree di conferimento di sedimenti provenienti da operazioni di dragaggio portuale”. Il bando è stato pubblicato sul
sito internet www.cnr.it. SCADENZA: 5 luglio 2024.
Assegno post dottorale all’Istituto ISMed del Cnr di Palermo Presso l’Istituto ISMed del Cnr di Palermo è indetta una selezione pubblica, per titoli e colloquio, per il conferimento di n. 1 Assegno di tipo B) post dottorale per lo svolgimento di attività di ricerca inerenti l’Area Scientifica “Biologia ed Ecologia delle risorse” da svolgersi nell’ambito del programma di ricerca struttura genetica delle popolazioni di piccoli e grandi pelagici e nell’ identificazione morfometrica delle specie ittiche larvali per la seguente tematica: “Biologia ed Ecologia delle risorse”. Il bando è stato pubblicato sul sito internet www. cnr.it. SCADENZA: 8 luglio 2024.
Assegno professionalizzante all’Istituto di Biologia e Patologia MolecolariIBPM del Cnr di Roma
Presso l’Istituto di Biologia e Patologia Molecolari - IBPM del Cnr di Roma è indetta una selezione pubblica, per titoli e colloquio, per il conferimento di n. 1 assegno di tipologia A) “Assegni Professionalizzanti” per lo svolgimento di attività di ricerca inerenti l’Area Scientifica “Life Science LS_2 - Integrative Biology: from Genes and Genomes to Systems” da svolgersi nell’ambito del programma PRIN 2022, progetto cod. 2022KKMTL9_LS2 dal titolo “Role of E2 conjugating enzyme effete-UbcH5b in DNA repair and neuroprotection”. La tematica della ricerca riguarderà lo studio del ruolo dell’ubiquitinazione nella riparazione del DNA e nella neuroprotezione. Il bando è stato pubblicato sul sito internet www.cnr.it. SCADENZA: 8 luglio 2024.
NUOVE OPPORTUNITÀ
Segui la sezione Bandi e Concorsi sul sito della FNOB
Troverai gli avvisi pubblici dedicati ai Biologi
PROGETTO “BIOCIDE REDUCTION IN MUNICIPAL PEST MANAGEMENT ”
Un progetto finanziato grazie al programma europeo LIFE+ con l’obiettivo di ridurre la quantità di sostanze biocide utilizzate per il controllo di roditori e zanzare
Life BIOREPEM è un progetto finanziato grazie al programma europeo LIFE+ con l’obiettivo di ridurre la quantità di sostanze biocide utilizzate per il controllo di roditori e zanzare. Tali sostanze sono pericolose per la salute umana e l’ambiente, ma l’assenza di alternative valide ha determinato finora la necessità di una deroga ai diversi regola-
* NaturLab Ass.
** Ispra
*** Comune di Fiumicino
**** A.GE.I. Soc. Coop.
menti nazionali e comunitari (Reg. UE 528/12 ; Reg. CE 1907/06 Reach; Reg. UE 16/1179 ) che ne stabiliscono la riduzione o totale eliminazione. Il progetto BIOREPEM, che terminerà a dicembre 2024, ha sviluppato un nuovo approccio nella lotta alle specie infestanti basato sull’utilizzo di trappole ecologiche elettromeccaniche di ultima generazione gestite digitalmente. Questo aspetto ha permesso di rendere più efficiente e sostenibile l’azione di contrasto, consentendo al contempo il monitoraggio e la pianificazione delle attività di pest management.
BIOREPEM vuole fornire una risposta valida a un problema molto sentito e sempre più pressante. Negli ultimi anni, infatti, il numero di ratti e zanzare è costantemente aumentato nelle nostre città a causa di una serie di fattori concomitanti quali la globalizzazione delle merci e il cambiamento climatico. Tutto ciò ha determinato un incremento delle sostanze nocive
di Micaela Solinas *, Massimiliano Bianco **, Elisa Benco **, Francesco Giambanco *** e Andrea Fusari ****
utilizzate e, quindi, disperse nell’ambiente.
I pesticidi piretroidi e gli organofosforati utilizzati contro le zanzare e gli anticoagulanti AVK quali Bromadiolone, Difenacoum, Brodifacoum usati per combattere i roditori hanno effetti negativi, diretti e indiretti, ben noti. Tutte queste sostanze, possono avvelenare animali selvatici e domestici; contaminare suoli, fiumi, laghi , mare; intossicare gli esseri umani . Vari articoli scientifici pubblicati in Europa mostrano la presenza di residui di AVK nella fauna selvatica, in particolare nei rapaci e nei pesci .
D’altra parte, la contaminazione degli ecosistemi ha drasticamente ridotto i predatori di zanzare (pipistrelli , uccelli insettivori , libellule , gechi, anfibi ), mentre l’uso ripetuto di biocidi ha aumentato la resistenza degli organismi target rendendo inefficaci i trattamenti .
Il progetto LIFE BIOREPEM ha testato e convalidato in due comuni italiani, Fiumicino e Francavilla al Mare, un nuovo modello ecologico per la gestione degli infestanti. Sono state svolte le seguenti azioni:
- implementazione di una rete di trappole ecologiche a Fiumicino e Francavilla al Mare. Le trappole permettono la cattura multipla di zanzare e roditori senza usare sostanze biocide, offrendo al contempo alcuni interessanti vantaggi, quali il controllo da remoto e l’analisi degli animali catturati (es. specie, n. individui, sesso);
- sviluppo e test di un’applicazione web che ha permesso di gestire le trappole e implementare le più aggiornate procedure di controllo da parte delle pubbliche amministrazioni;
- implementazione di un protocollo per la raccolta di dati utili ai fini della gestione degli infestanti (ad es. casi di avvelenamento di specie non bersaglio domestiche o selvatiche, presenza di contaminanti, dati ambientali).
Il progetto LIFE- BIOREPEM (LIFE19 Env/IT/000358) vede nel partenariato oltre ai Comuni di Fiumicino (capofila) e Francavilla al Mare, l’Ispra e le società private NaturLab, A. GE.I. e Fondazione Ecosistemi.
È doveroso aggiungere che i ratti che ingeriscono veleni muoiono, spesso, in luoghi protetti (intercapedini, solai) dove, oltre agli aspetti sanitari legati alla decomposizione della carcassa, si aggiunge il problema dei parassiti (pulci, acari) che lasceranno l’ospite cercando altri organismi su cui proliferare.
Riassumendo il progetto Life BIOREPEM è indirizzato a testare un nuovo modello ecologico per la gestione degli infestanti. A questo scopo vengono realizzate le seguenti azioni:
- implementazione di una rete di trappole ecologiche elettromeccaniche a Fiumicino e Francavilla al Mare. Le trappole permettono la cattura multipla di roditori che vengono attirati con mangimi naturali, senza usare sostanze biocide, offrendo al contempo alcuni interessanti vantaggi, quali il controllo da remoto e la conservazione degli animali catturati (es. specie, n. individui, sesso);
- sviluppo e test di un’applicazione web che permette di gestire le trappole da remoto e implementare le più aggiornate procedure di controllo da parte delle Pubbliche Amministrazioni. Attraverso questo controllo è possibile ottimizzare la lotta gli infestanti, perchè le trappole possono essere riposizionate qualora risultino poco efficaci oppure qualora abbiamo risolto un eventuale focolaio;
- implementazione di un protocollo per la raccolta di dati e il monitoraggio periodico utili ai fini della gestione degli infestanti (ad es. casi di avvelenamento di specie non bersaglio domestiche o selvatiche, presenza di contaminanti, dati ambientali).
Il progetto, inoltre:
- sviluppa criteri di Green Public Procurement e nuove procedure di gara per i servizi di disinfestazione e derattizzazione comunali, anche con lo scopo di diffonderli verso altre amministrazioni che vogliono intraprendere il medesimo percorso;
- promuove la riduzione progressiva nell’uso dei biocidi per la lotta alle specie infestanti presso i principali stakeholder (società di servizi, altre Pubbliche Amministrazioni, rivenditori di pesticidi e rodenticidi);
- sensibilizza il grande pubblico a un uso corretto dei biocidi, informandolo sui rischi e sulle soluzioni alternative attualmente disponibili;
- realizza corsi di formazione per manager e lavoratori del settore della disinfestazione e derattizza-
zione e per le Pubbliche Amministrazioni, per fornire un’opportunità di qualificazione e innovazione sempre più spendibili sul mercato, in linea con le più recenti politiche nazionali e internazionali; - realizza due manuali tecnici: uno rivolto alle Pubbliche
Amministrazioni, l’altro alle aziende del settore della disinfestazione e derattizzazione; - promuove una campagna di comunicazione rivolta al grande pubblico.
Lo staff tecnico del progetto Biorepem si rende disponibile
per eventuali richieste di approfondimento da parte di Amministrazioni Pubbliche che fossero interessati al nuovo sistema di gestione ecologica del problema ratti e zanzare. Per informazioni è possibile contattare la dott.ssa Micaela Solinas (mica.soli@ gmail.com) o il dott. Andrea Fusari (fusari@agei.it).
Bibliografia
- Regolamento (UE) n. 528/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 maggio 2012, relativo alla messa a disposizione sul mercato e all’uso dei biocidi. https:// eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=CELEX:32012R0528. Si veda anche: Centro nazionale delle sostanze chimiche, prodotti cosmetici e protezione del consumatore (CNSC), 2021. Il Regolamento UE n. 528 del 2012. https://www.iss.it/-/regolamento-ce-1907/2006-reach#:~:text=09%2F03%2F2023-,Il%20Regolamento%20 (CE)%20n.,%E2%80%93%20allo%20stato%20%E2%80%93%20pienamente%20operativo.
- Regolamento (CE) n. 1907/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 dicembre 2006 , concernente la registrazione, la valutazione, l’autorizzazione e la restrizione delle sostanze chimiche (REACH), che istituisce un’Agenzia europea per le sostanze chimiche, che modifica la direttiva 1999/45/CE e che abroga il regolamento (CEE) n. 793/93 del Consiglio e il regolamento (CE) n. 1488/94 della Commissione, nonché la direttiva 76/769/CEE del Consiglio e le direttive della Commissione 91/155/CEE, 93/67/CEE, 93/105/CE e 2000/21/CE. https://eur-lex.europa.eu/ legal-content/it/TXT/?uri=CELEX%3A32006R1907. Si veda anche: Centro nazionale delle sostanze chimiche, prodotti cosmetici e protezione del consumatore (CNSC), 2023. Il Regolamento (CE) N. 1907/2006 REACH. https://www.iss.it/-/regolamento-ce-1907/2006-reach#:~:text=09%2F03%2F2023-,Il%20Regolamento%20 (CE)%20n.,%E2%80%93%20allo%20stato%20%E2%80%93%20pienamente%20operativo.
- Regolamento (UE) 2016/1179 della Commissione, del 19 luglio 2016, recante modifica, ai fini dell’adeguamento al progresso tecnico e scientifico, del regolamento (CE) n. 1272/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alla classificazione, all’etichettatura e all’imballaggio delle sostanze e delle miscele. https://eur-lex.europa.eu/ eli/reg/2016/1179/oj/ita
- ISPRA. Rapporto nazionale pesticidi nelle acque. Dati 2019 – 2020. https://www. isprambiente.gov.it/it/pubblicazioni/rapporti/rapporto-nazionale-pesticidi-nelle-acque-dati-2019-2020 Edizione 2022
- Pesticide Contamination Among Members Of The European Parliament, Scientists And Journalists. The Presence of Pesticides in 44 Hair Samples. https://www.pollinis. org/admin/wp-content/uploads/2022/10/pesticide-contamination-among-meps-report.pdf
- Elliott JE, Silverthorn V, Hindmarch S, Lee S, Bowes V, Redford T, Maisonneuve F. Anticoagulant Rodenticide Contamination of Terrestrial Birds of Prey from Western Canada: Patterns and Trends, 1988-2018. Environ Toxicol Chem. 2022 Aug;41(8):1903-1917. doi: 10.1002/etc.5361. Epub 2022 Jun 9. PMID: 35678209; PMCID: PMC9540899; Pilar Oliva-Vidal, José María Martínez, Inés S. Sánchez-Barbudo, Pablo R. Camarero, Mª Àngels Colomer, Antoni Margalida, Rafael Mateo, Second-generation anticoagulant rodenticides in the blood of obligate and facultative European avian scavengers, Environmental Pollution, Volume 315, 2022, 120385. https:// doi.org/10.1016/j.envpol.2022.120385.
- Kotthoff, M., Rüdel, H., Jürling, H. et al. First evidence of anticoagulant rodenticides in fish and suspended particulate matter: spatial and temporal distribution in German freshwater aquatic systems. Environ Sci Pollut Res 26, 7315–7325 (2019). https://doi. org/10.1007/s11356-018-1385-8
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- Perrin A., Pellet J., Bergonzoli L., Christe P., Glaizot O., 2023. Amphibian abundance is associated with reduced mosquito presence in human‐modified landscapes. Ecosphere. 14. 10.1002/ecs2.4484.
- ECDC Technical Report Literature review on the state of biocide resistance in wild vector populations in the EU and neighbouring countries. https:// www.ecdc.europa.eu/sites/default/files/documents/vectors-biocide-resistance-wild-populations-literature-review.pdf
BORDIGHERA BLU PARK UN MARE DA CONOSCERE E TUTELARE
Nato come progetto bottom up dall’esigenza espressa da due giovani di proteggere e promuovere un proprio luogo del cuore
Esiste un unico grande oceano, un vasto corpo d’acqua salata che abbraccia l’intera superficie terrestre e si connette indissolubilmente alle attività umane e al nostro stesso benessere (Mokos et al., 2021). Gli ecosistemi marini, infatti, fungono da fonte primaria di cibo ed energia e rivestono un ruolo cruciale nella regolazione del clima e nell’assorbimento del carbonio. Tuttavia, nonostante gli importanti ruoli ecosistemici che il mare svolge per la sopravvivenza dell’intera umanità, gli habitat marini di tutto il mondo risultano significativamente influenzati dalle nostre stesse azioni, minacce che pongono seriamente a rischio la salute del mare e la sua conservazione, e che richiedono un intervento immediato.
Per poter affrontare la sfida del necessario cambiamento di rotta verso la risoluzione degli urgenti problemi ambientali, risulta imperativo sviluppare e implementare nuove soluzioni, nuovi linguaggi e nuovi strumenti coinvolgendo tutte le parti interessate a livello locale, nazionale e globale (Caruso et al., 2022). Sottoscritta il 25 settembre 2015 dai governi dei 193 Paesi membri delle Nazioni Unite e approvata dall’Assemblea Generale dell’ONU, l’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile prevede un programma di azioni che si basa su 17 Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile. Per la prima volta all’interno di una road map mondiale è stato inserito un obiettivo, il 14, dedicato agli oceani, che prevede la conservazione e la gestione sostenibile delle risorse marine, il cui impatto non si limita solo alla vita sotto al mare, ma riguarda cultura, economia e salute umana (Burguett et al., 2022). L’SDG14 si propone di elevare la comprensione dei processi marini e mitigare le pressioni esercitate dall’uomo sull’oceano con l’obiettivo di ripristinare gli ecosistemi a vantaggio delle future generazioni. Inoltre, mira a promuovere la ricerca scientifica per sostenere le azioni dei Paesi
verso la sostenibilità. Raggiungere questi risultati presuppone una vera rivoluzione scientifica, che sia in grado di condividere e comunicare i risultati in modo accessibile e coinvolgente per il pubblico (https://www.oceandecade.org/) (Caruso et al., 2022).
Nell’ultimo ventennio, a livello internazionale, nazionale ma anche locale, sono proliferate le iniziative aventi come oggetto il mare, la blue economy e la Blue Growth. Bordighera Blu Park è una di queste. Nato come progetto bottom up dall’esigenza espressa da due giovani di proteggere e promuovere un proprio luogo del cuore, il progetto riguarda un piccolo ma splendido tratto di costa nel comune di Bordighera (IM), descritto e raccontato in un piccolo libro ora in ristampa: “I Fondali di Capo Sant’Ampelio” (Paolo e Matteo Mastorakis, 2015).
Il progetto
Capo Sant’Ampelio è il punto geograficamente più a sud della Liguria, alla stessa latitudine di Pisa: un promontorio roccioso che si apre sul mare tra gli scogli e un’antica chiesa custode della storia-leggenda dell’eremita che portò i semi di palma nella cittadina rivierasca. È a partire da quest’area di mare che si sviluppa il progetto Bordighera Blu Park, ideato da European Research Institute e dalla biologa marina Monica Previati, realizzato in collaborazione con il Comune di Bordighera e con il sostegno della Fondazione Compagnia di San Paolo nell’ambito del bando Simbiosi.
Bordighera Blu Park nasce nel 2023 con lo scopo di incrementare la conoscenza dell’ambiente marino costiero ligure e costruire nei turisti, ma anche negli stessi residenti, la consapevolezza della sua importanza per ogni aspetto della vita umana. Lo sta facendo con obiettivi specifici che si intrecciano e raffor-
di Monica Previati, Alessandra Chiappori, Franco Borgogno, Anita Pócsai
zano a vicenda: la diffusione della conoscenza sulle specificità naturalistiche del mare bordigotto, l’opportunità di valorizzarle e dunque di tutelarle. Tre, in particolare, sono le aree marine interessate dal progetto, tutte relativamente vicine, ma caratterizzate da habitat, profondità e peculiarità diversi. La prima, accessibile a tutti da riva, è la zona costiera di Capo Sant’Ampelio, area nota e che presenta un’ampia biodiversità; la seconda è “I Tuvi”, un’area a circa 30 m di profondità, ricca di biodiversità e particolarmente colpita da rifiuti abbandonati; infine “Le Bianche” è una zona profonda, poco conosciuta, accessibile solo ai subacquei più esperti, che si distingue per la presenza di specie rare e di estrema valenza scientifica.
Tutti e tre gli ambienti vantano un riconosciuto valore ecologico e naturalistico, nonché turistico, ma sono soggette a forti pressioni antropiche. Bordighera Blu Park vuole recuperare questi peculiari ecosistemi proteggendone la biodiversità e favorendo la promozione di modelli di gestione sostenibile.
Le zone tutelate
Capo Sant’Ampelio: il sito più conosciuto
Il primo obiettivo di Bordighera Blu Park, che si svilupperà fino al 2025, è garantire rinaturalizzazione e completa fruizione naturalistica dell’area di Capo Sant’Ampelio.
Il progetto parte proprio da quest’area in virtù delle sue caratteristiche biologiche peculiari ed estremamente interessanti: si tratta di un complesso roccioso caratterizzato da popolamenti algali fotofili, principalmente alghe brune come la coda di pavone (Padina pavonica), alghe verdi, come l’ombrellino di mare (Acetabularia acetabulum) e alghe rosse come l’alga corallina (Corallina elongata). Ai popolamenti algali si associa una ricca fauna, tra cui si citano l’anemone (Anemonia viridis), il
pomodoro di mare (Actinia equina), il riccio “femmina” Paracentrotus lividus, specie vulnerabile secondo la Convenzione di Barcellona (specie ASPIM) e, tra la fauna ittica, bavose (Parablennius sp.), sarpe (Salpa salpa) e occhiate (Oblada melanura). A circa 100m a largo, il fondale diventa sabbioso con massi sparsi e con la presenza di alcune formazioni di Posidonia oceanica a una profondità di circa 7 metri (Foto 1).
Considerata la più importante delle 4 specie di fanerogame presenti nel mediterraneo (Buia et al., 2003) per estensione e complessità di habitat associati, Posidonia oceanica è in grado di crescere molto rapidamente estendendosi da un metro fino a oltre 35 metri di profondità, formando vere e proprie praterie, i cosiddetti posidonieti, in associazione con numerose specie animali e vegetali. Nel Mediterraneo i posidonieti hanno un’estensione tale da occupare circa il 3% dell’intero bacino, una superficie cioè di oltre 38.000 km2 (Cerrano et al., 2004). (Foto 2)
La sua importanza ecologica è dovuta ai suoi numerosi ruoli ecologici, soprattutto nel mantenimento dell’equilibrio della fascia costiera, attraverso la protezione delle coste dall’erosione e con il consolidamento del substrato tramite i fusti della pianta (rizomi). Grazie alle foglie frondose, P. oceanica agisce da barriera attenuando il moto ondoso e smorzando la forza delle correnti. Molto importante è anche il suo contributo in termini di ossigeno prodotto attraverso la fotosintesi: una superficie di 1m2 di prateria a 10m di profondità è in grado di produrre fino a 20 litri di ossigeno al giorno (Diviacco e Coppo, 2006).
Inoltre, i posidonieti rappresentano un habitat fondamentale, serbatoi di biodiversità, poiché offrono riparo a centinaia di specie vegetali e un migliaio di specie animali (Montefalcione et al., 2006), per le quali garantiscono aree di riproduzione. La Posidonia è considerata un bioindicatore significativo (Relini,
Foto 1: il riccio “femmina” Paracentrotus lividus.
2008). Questo spiega perché le praterie siano costantemente monitorate dagli organi preposti e perché questo habitat sia così importante da essere protetto secondo convenzioni internazionali (Allegato I della Direttiva Habitat).
Bordighera Blu Park si è attivato per proteggere la bellezza e la biodiversità del piccolo ma fondamentale tratto costiero di Capo sant’Ampelio, avviando l’iter per l’istituzione di una Zona Turistico Ricreativa, un’area che sarà delimitata con boe fisse permanenti e all’interno della quale saranno vietati pesca e ancoraggio. Al contrario, la balneazione sarà sempre libera e aperta a tutti. Questa nuova forma di protezione (in Italia esiste attualmente solo una Zona Turistico Ricreativa a Imperia, denominata “Le Ratteghe”) permetterà di tutelare la fascia costiera, ma al contempo anche di organizzare iniziative e attività legate alla divulgazione e valorizzazione della biodiversità del mare di Bordighera, fornendo un esempio concreto di gestione integrata del territorio, seppur su piccola scala. Nell’area saranno anche installati dei pannelli informativi subacquei che, in una sorta di percorso offerto a tutti coloro che si tufferanno con maschera e pinne, accompagneranno alla scoperta degli abitanti del mare antistante a Capo Sant’Ampelio. Questo sentiero sottomarino ha l’obiettivo di sensibilizzare in modo innovativo sulle bellezze dell’area marina e funzionerà al contempo come acceleratore del turismo sostenibile.
“I Tuvi”: il sito più impattato
Il secondo sito che il progetto Bordighera Blu Park vuole tutelare è quello de “I Tuvi”, punto d’immersione posto a circa un miglio a sud del porto di Bordighera, a una profondità di 26-35 metri (43°46’1.23”N- 7°40’59.26”E).
Quest’area risulta particolarmente interessante in quanto ottimo esempio di habitat coralligeno. Le concrezioni coralli-
gene sono generate dall’accumulo di alghe coralline che crescono in condizioni di bassa luminosità e acque relativamente calme. Il loro corpo, definito tallo, calcificato, rappresenta un substrato solido colonizzabile da una moltitudine di organismi. La distribuzione e la caratterizzazione degli ambienti coralligeni liguri è dettagliata per quanto riguarda la sezione di Levante, meno nel Ponente che pure presenta numerose peculiarità, soprattutto nella dinamica di formazione. Il fondale, infatti, è caratterizzato da occasionali affioramenti rocciosi di diverse dimensioni, che garantiscono la formazione di scogli coralligeni dalle caratteristiche uniche nella composizione delle comunità animali e vegetali. Studiare e mappare “I Tuvi” risulta quindi estremamente importante per avere maggiori informazioni su zone ancora inesplorate ma di grande rilevanza ecologica. Sulle emergenze rocciose di questo sito è stata, infatti, osservata la presenza di una particolare gorgonia, Leptogorgia sarmentosa che vive solitamente tra i 20 e i 200 m di profondità e svolge un ruolo chiave come “ingegnere dell’ecosistema”, garantendo una ricca biodiversità nelle comunità bentoniche (Ballesteros, 2006; Canessa et al., 2023) (foto3).
La straordinarietà del sito di immersione “I Tuvi” è dovuta anche ai numerosi colori assunti dalle singole gorgonie (sono infatti presenti colonie color magenta, gialle e bianche), dalle loro dimensioni e densità. In quest’area, infatti, che si estende per circa 1000 m2, la popolazione di Leptogorgia raggiunge una densità di oltre 10 colonie/m2, con un massimo di 12, altezze che superano i 70 cm e larghezze superiori ai 50 cm, indicando quindi una popolazione densa e antica, di grande valore naturalistico. E se tutto questo non bastasse a dimostrare la straordinarietà del sito, le immagini raccolte dal progetto Bordighera Blu Park mostrano la presenza di numerosi pesci come lo scorfano (Scorpaena spp.), il grongo (Conger conger), la murena (Muraena helena), la mostella (Phycis phycis) e la cernia (Epinephelus marginatus). Sono proprio le gorgonie che, grazie al loro portamento arborescente, aumentano la tridimensionalità del fondale e danno origine ad anfratti e spaccature abitati da polpo (Octopus vulgaris), aragoste (Palinurus elephas) e talvolta anche astice (Homarus gammarus).
Purtroppo, però, durante un’immersione di ricerca sono stati osservati anche numerosi rifiuti, probabilmente portati dal vicino fiume. Nell’ottica di incentivare azioni di protezione, il progetto Bordighera Blu Park organizza immersioni a scopo divulgativo e promuove eventi di pulizia dei fondali, perché la straordinaria bellezza di questo sito sia ripristinata e preservata.
“Le Bianche”: il sito più profondo
Il progetto Bordighera Blu Park sta organizzando anche una campagna di comunicazione dedicata a “Le Bianche”, sito ancora più profondo de “I Tuvi” e dunque accessibile a pochi, per promuovere ulteriormente il turismo subacqueo consapevole e condividere con la comunità le bellezze di un mare che merita di essere conosciuto e preservato.
Questo sito si trova a 1 miglio dalla costa, a circa 50 m di profondità ed è conosciuto come “Le bianche” per la presenza di numerose gorgonie bianche, note in gergo scientifico come Eunicella verrucosa (foto 4). Proprio come L. sarmentosa, anche questi coralli mediterranei formano, soprattutto in ambienti con torbidità relativamente elevata e presenza di particolato (Grasshoff, 1992), delle vere e proprie “foreste” sottomarine, dando riparo a moltissimi organismi. Purtroppo questa specie, come molte altre specie negli ultimi anni, è stata colpita da fenomeni di moria spesso associati a innalzamenti repentini della temperatura (Cerrano et al., 2000). Studiare Eunicella verrucosa, mappandone la presenza e la densità, fornirà nuovi dati per programmare tempestivamente e in modo mirato progetti di tutela e di salvaguardia. Inoltre, grazie alla collaborazione con esperti fotografi subacquei, il progetto porterà fuori dall’acqua le immagini di questo straordinario tratto di mare, per raccontarlo nelle piazze e nelle scuole e fornire dati e documentazione alla comunità scientifica e alle istituzioni. Come sostiene infatti il divulgatore scientifico Franco Borgogno: «il mare ha bisogno di noi così come noi abbiamo bisogno del mare. Solo conoscendo la bellezza e la ricchezza del mare, e il suo stretto legame con la nostra stessa sopravvivenza,
diventa molto più chiara - nonché più semplice - la ragione per cui dobbiamo tutelarlo».
Bibliografia
Ballesteros E, 2006. Mediterranean coralligenous assemblages: a synthe-sis of present knowledge. Oceanogr Mar Biol 44:123–195.
Burgett E., G., Mittermayr A., Lovat V. 2022. Sustainable Development Goal 14: Life Below Water.
Buia M.C., Gambi M.C., Dappiano M. 2003. I sistemi a fanerogame marine. In: Gambi M.C., Dappiano M. (Editors). Manuale di Metodologie di campionamento e studio del benthos marino mediterraneo. Biol. Mar. Med, 19 (Suppl.): 145-198.
Canessa, Martina & Bavestrello, Giorgio & Trainito, Egidio. (2023). Leptogorgia sarmentosa (Anthozoa: Octocorallia) in NE Sardinia (Mediterranean Sea): distribution and growth patterns. Marine Biodiversity. 53. 10.1007/ s12526-022-01313-0.
Caruso F., Tedesco P., Della Sala G., Palma E.F., Signore M et al., 2022. Science and Dissemination for the UN Ocean Decade Outcomes: Current Trends and Future Perspectives. Frontiers in Marine Science. Vol. 9 DOI=10.3389/fmars.2022.863647.
Cerrano C., Bavestrello G., Bianchi CN., Catteneo-Vietti R.,Bava S., et al., 2000. A catastrophic mass-mortality episode of gorgonians and other organisms in the Ligurian Sea (NW Mediterranean), summer 1999. Ecol Lett 3:284–293.
Dahl M., Bergman S., Björk M., Diaz-Almela E., Granberg M., et al., 2021. A temporal record of microplastic pollution in Mediterranean seagrass soils. Environ. Pollut., 273. Article 116451, Diviacco G. e Coppo S., 2006. Atlante degli habitat marini della Liguria: descrizione e cartografia delle praterie di Posidonia oceanica e dei principali popolamenti marini costieri. Ed: Grafiche Amadeo, 2006.
Garrabou J., Perez T., Sartoretto S., Harmelin J. G. 2001. Mass mortality event in red coral Corallium rubrum populations in the Provence region (France, NW Mediterranean). Mar Ecol Prog Ser. 217263–272. Grasshoff M. 1992. Die Flachwasser-Gorgonarien von Europa und Westafrika (Cnidaria, Anthozoa). Cour. Forsch. -Inst. Senckenberg 149: 1-135.
Mastorakis P.B. e Mastorakis M.B., 2015. I fondali di Capo Ampelio. Bordighera. Ed. Edizioni Artestampa.
Mokos M. e altri, 2021. The Importance of Ocean Literacy in the Mediterranean Region - Steps Towards Blue Sustainability, in Koutsopoulos K.C. e Stel, J.H. (a cura di), Ocean Literacy: Understanding the Ocean, Key Challenges in Geography, Cham, 2021, Springer Nature, pp. 197-236. Montefalcone M., Lasagna R., Bianchi C. N., Morri C. and Albertelli G., 2006. Anchoring damage on Posidonia oceanica meadow cover: A case study in Prelo cove (Ligurian Sea, NW Mediterranean). Chemistry and Ecology. Vol. 22 (Supplement 1), pp. S207–S217.
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TERAPIA NUTRIZIONALE IN ONCOLOGIA NOSTRA ESPERIENZA
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di Matteo Pillitteri * e Dario Incorvaia *
Le alterazioni dello stato nutrizionale sono altamente prevalenti nei malati oncologici e la malnutrizione per difetto è considerata “malattia nella malattia”, con cui si stima convivano 33 milioni di persone in Europa (con patologie croniche e oncologiche), con un costo sociale di circa 120 miliardi di euro. La scarsa attenzione per lo stato nutrizionale in corso di terapie oncologiche, ampiamente documentata nella letteratura internazionale, determina gravi conseguenze non solo sulla qualità della vita dei pazienti, ma anche sulla loro capacità di aderire ai diversi trattamenti proposti, con una conseguente peggior prognosi. Del resto, anche quando lo stato di malnutrizione viene riconosciuto, spesso non vengono attuate in maniera adeguata le necessarie misure correttive.
Alla luce di tutto ciò, in data 22/02/2023 presso l’U.O.S.D di Oncologia del Presidio Ospedaliero Giovanni Paolo II° di Sciacca (Ag), responsabile il Dr Domenico Santangelo, è stato attivato un ambulatorio di nutrizione clinica con l’obiettivo di migliorare sia in quantità che in qualità l’assunzione di alimenti e adattare l’alimentazione alla fase oncologica che si sta attraversando e alle condizioni fisico cliniche presenti (obesità/sovrappeso/cachessia/diabete/ dislipidemie). Il servizio di nutrizione clinica in ambito oncologico portato avanti dai Biologi Nutrizionisti Matteo Pillitteri e Dario Incorvaia, ha erogato fino ad oggi oltre 500 accessi e la sua attività ha permesso una migliore compliance dei pazienti ai vari trattamenti, un netto miglioramento della qualità di vita,
* Biologi nutrizionisti
una più completa offerta sanitaria al paziente oncologico e una più adeguata presa in carico con il supporto di “nuovi”, più allargati team multidisciplinari. Al sevizio di nutrizione clinica oncologica si accede con ricetta fatta dal proprio medico di base, con la dicitura: visita oncologica e nelle note, per nutrizione clinica.
Appare pertanto essenziale che la valutazione nutrizionale costituisca un elemento imprescindibile nell’approccio al paziente affetto da patologia oncologica, già nel corso della prima visita. I pazienti che afferiscono al servizio di nutrizione clinica sono sottoposti a screening nutrizionale iniziale e il questionario MNA (Mini Nutritional Assessment) rappresenta parte integrante della documentazione sanitaria del paziente. Si prevede quindi una presa in carico “nutrizionale” del paziente oncologico, nella quale si effettua una stadiazione nutrizionale. Una volta completata la stadiazione, si procede alla stesura del piano nutrizionale che prevede anche la possibilità di utilizzo di integratori alimentari.
Il servizio di nutrizione clinica oncologica, in provincia è presente solo presso l’U.O.S.D di Oncologia del Presidio di Sciacca (Ag), a cui afferiscono pazienti da tutto il comprensorio. Grazie a tale servizio, oltre alla cura del singolo paziente, sono stati avviati diversi corsi di formazioni specifici, oltre alla realizzazione e pubblicazione di un libro di ricette per i pazienti oncologici (Cuochi della salute), in collaborazione con l’Istituto Alberghiero ‘’Amato Vetrano’’ di Sciacca (Ag). Le varie ricette sono state predisposte con l’obiettivo di far riscoprire il sapore ed il piacere di mangiare ai pazienti oncologici (nei quali sono noti l’alterazione o l’abbassamento del senso del gusto a causa della chemioterapia) e anche per calibrare al meglio il rapporto tra alimenti e terapie.
Il cibo è un elemento essenziale nel percorso di malattia e un corretto apporto nutrizionale si considera ormai un intervento decisivo per il paziente, ma solo negli ultimi anni sta ricevendo la giusta e necessaria attenzione. In generale non ci sono alimenti sconsigliati o consigliati a priori, poiché attualmente non è dimostrato che singoli alimenti o particolari diete possano influenzare l’andamento della malattia. In poche parole non esiste un regime alimentare codificato in ambito oncologico!
La finalità prevalente dell’intervento nutrizionale è di influire sulla qualità di vita ed evitare che la causa di morte sia rappresentata dalla malnutrizione, caratteristica comune nei pazienti oncologici quale conseguenza sia del tumore stesso sia dei trattamenti anti-tumorali medici e chirurgici.
La malnutrizione ha un impatto negativo su qualità della vita e tossicità del trattamento, ed è stato stimato che fino al 10-20% dei malati di cancro deceda a causa delle conseguenze della malnutrizione piuttosto che del tumore stesso. L’ intervento nutrizionale in oncologia si pone l’obiettivo di mantenere, incrementare o migliorare qualitativamente l’assunzione di alimenti e di tutti i substrati nutrizionali per soddisfare gli specifici fabbisogni, al fine di attenuare e contrastare le risposte metaboliche, mantenere la massa muscolare e lo stato funzionale e soprattutto ridurre il rischio della sarcopenia, caratterizzata da progressiva e generalizzata perdita di massa e forza muscolare, che determina un aumento del rischio di disabilità fisica, scarsa qualità di vita e persino di mortalità.
Non esistono studi sistematici sulle migliori scelte nutrizionali per affrontare la chemioterapia, favorirne l’efficacia terapeutica e contrastarne gli effetti collaterali. Tuttavia, è possibile adottare alcune strategie per preparare al trattamento l’apparato gastro-intestinale, che risulta essere il tratto maggiormente colpito durante la terapia. Nei pazienti affetti da tumore potrebbero comparire malassorbimento, difficoltà di masticazione, di deglutizione; questo perché i farmaci chemioterapici o la radioterapia agiscono sia sulle cellule in crescita fisiologica che patologica. La consapevolezza della prevalenza e delle conseguenze negative della malnutrizione nel malato oncologico è ancora molto scarsa sia tra gli operatori sanitari sia tra i pazienti, ma un corretto e consapevole impiego delle conoscenze e delle tecniche
relative ad un’adeguata nutrizione clinica in questi pazienti potrebbe avere un impatto benefico sugli esiti e sulla qualità di vita di questi pazienti e sulla spesa sanitaria.
Senza dubbio la chemioterapia ha contribuito a migliorare in maniera significativa il tasso di sopravvivenza dei pazienti oncologici, ma tutt’ora gli effetti collaterali associati rimangono una delle principali problematiche. Non è solo la chemioterapia a provocare sgradevoli effetti collaterali: anche i più recenti farmaci a bersaglio molecolare, la radioterapia o le conseguenze di un intervento chirurgico possono causare nausea e vomito, stipsi o diarrea e perdita di appetito, inducendo un calo di peso. Le manifestazioni gastro-intestinali più frequenti sono rappresentate soprattutto da infiammazioni della mucosa (mucositi della bocca) e vomito. Non sono infrequenti effetti collaterali sgradevoli e importanti nel corso delle terapie oncologiche: alterazioni del gusto, infiammazioni, forti nausee e vomito o problemi intestinali gravi (stipsi o diarrea) che possono rendere davvero complicato nutrirsi. Di fatto la malnutrizione proteico-calorica, meno pronunciata nelle pazienti con tumore della mammella, risulta tendenzialmente più grave in pazienti con tumori del capo e del collo, gastrici, del pancreas, del polmone, del colon e dell’ovaio. Per tale motivazione risulta fondamentale non solo la scelta del tipo di alimento, ma anche la cottura e la suddivisione dei pasti durante la giornata.
L’esperienza del servizio di nutrizione clinica oncologica è stata oggetto di un convengo molto apprezzato, su espressa richiesta dell’Università degli Studi di Palermo, al Corso di Laurea Magistrale in Nutrizione Umana.