Investire nella ricerca
Speciale sul convegno “Genetica ed epigenetica�
CONVEGNO
GENETICA ED EPIGENETICA Napoli, 15 giugno 2018
Disponibili on-line e gratuitamente, sul sito internet www.onb.it, i video integrali delle relazioni scientifiche.
Sommario SALUTE
AMBIENTE
3 Una nuova missione
20 Rapporto Censis: la spesa sanitaria
37 Giornata mondiale dell’ambiente
PRIMO PIANO
21 Assistenza sanitaria pubblica
EDITORIALE
privata degli italiani sale a 40 miliardi di Domenico Esposito
di Vincenzo D’Anna
5 Oltre la genetica, convegno a Napoli
con due premi Nobel di Lello Scarpato
8 Galleria fotografica del convegno 10 Il paradosso italiano della ricerca di Vincenzo Torraca
11 Cos’è la “Flat Tax” prevista dal Governo Conte? di Francesco Blasi
di Carmen Paradiso
38 Un oceano di plastica di Nico Falco
o privata? È una questione di fiducia di Daniele Ruscitti 22 Tumori. L’Airc finanzia la ricerca contro le metastasi di Marco Modugno 24 Scoperto il “regista” dell’embrione umano: decide il destino delle cellule di Lello Scarpato
40 Bye bye baobab? Gli alberi
della vita stanno morendo di Giacomo Talignani 42 La rivincita dei capodogli di Giacomo Talignani
26 Pronto l’atlante genetico
42
delle proteine del sangue di Lello Scarpato
12 Jib 2018: l’innovazione
al servizio del progresso medico di Corrado Marino
28 Sla: retrovirus nel mirino
SPORT
29 Un gel iniettabile “ripara”
infiamma i mondiali di Russia di Gabriele Scarpa
44 L’Islanda del “fuoco e del ghiaccio”
per arrivare alla cura di Rino Dazzo
44 Un biologo tra i pali a 76 anni.
i danni cerebrali di Francesca Cicatelli
La longevità secondo Lamberto Boranga di Antonino Palumbo
30 Terapie a base di Nutraceutici 5 BIOLOGIA DEL PALAZZO
e cartilagine di squalo di Rosa Funaro
STORIA E RICERCA
32 Cosmetologia e staminali vegetali di Carla Cimmino
48 Dolly, la pecora che cambiò la scienza di Lello Scarpato
LAVORO
50 Concorsi pubblici per biologi
13 Regolamento di Dublino. Storia di un fallimento di Riccardo Mazzoni
SCIENZE
14 Immigrazione: la soluzione ci sarebbe,
51 Biologia nei beni culturali
15 Il commento sulla politica italiana
56 Storia naturale delle città
di Lorenzo Traversetti, Flavia Bartoli, Giulia Caneva
manca la volontà politica di Riccardo Mazzoni
di Stefano Dumontet
di Giovanni Caivano
L’INTERVISTA
24
16 Istituto Tumori Pascale. Normanno: “Il futuro è una questione di sangue” di Francesca Cicatelli
18 Alla ricercatrice Veronica De Rosa il prestigioso Premio Montalcini di Carmine Gazzanni
58 Epigenetica ovvero... oltre la Genetica di Lisa Fiore, Gianni Zocchi, Niccolò Zocchi
CONTATTI INNOVAZIONE
34 Longevity city. Urbanistica e qualità della vita di Giovanni Misasi e altri
61 Informazioni per gli iscritti POSTA
62 Lettere al Presidente di Vincenzo D’Anna Attualità
Scienze
Contatti
Anno I - N. 3 Giugno 2018 Allegato on-line ad AgONB, Agenzia di stampa dell’Ordine Nazionale dei Biologi, registrazione n. 52/2016 al Tribunale di Roma, con pubblicazione sul sito internet www.onb.it.
Direttore responsabile: Claudia Tancioni In redazione: Luca Mennuni e Gabriele Scarpa
Hanno collaborato: Flavia Bartoli, Francesco Blasi, Giovanni Caivano, Giulia Caneva, Francesca Cicatelli, Carla Cimmino, Rino Dazzo, Stefano Dumontet, Domenico Esposito, Nico Falco, Lisa Fiore, Rosa Funaro, Carmine Gazzanni, Corrado Marino, Riccardo Mazzoni, Giovanni Misasi, Marco Modugno, Antonino Palumbo, Carmen Paradiso, Daniele Ruscitti, Gabriele Scarpa, Lello Scarpato, Giacomo Talignani, Vincenzo Torraca, Lorenzo Traversetti, Gianni Zocchi, Niccolò Zocchi. Progetto grafico e impaginazione: Ufficio stampa dell’ONB. Questo magazine è scaricabile on-line dal sito internet www.onb.it ed è edito dall’Ordine Nazionale dei Biologi. Questo numero de “Il Giornale dei Biologi” è stato chiuso in redazione mercoledì 20 giugno 2018.
Investire nella ricerca
Speciale sul convegno “Genetica ed epigenetica”
Contatti: +39 0657090205, +39 0657090225, ufficiostampa@onb.it. Per la pubblicità, scrivere all’indirizzo protocollo@peconb.it.
EDITORIALE
Una nuova missione di Vincenzo D’Anna Presidente dell’Ordine Nazionale dei Biologi
L’
espansione, ormai esponenziale, dei campi di attività e dei ruoli che possono essere ricoperti dalla figura del Biologo, apre ogni giorno nuove prospettive di impiego e di occupazione per la nostra professione. E tuttavia, proprio tale diversificazione, sempre più incipiente, rischia di portare con sé disarmonie nella rappresentanza dei diritti e delle opportunità che ci vengono riservate. Poter esercitare in ambiti tanto diversi la professione rappresenta senz’altro una prospettiva di crescita, sia nel campo delle applicazioni scientifiche sia nell’esercizio vero e proprio delle attività che ci competono. Tuttavia, proprio come ogni fenomeno che si espande e si rinnova, anche quello che ci riguarda deve essere disciplinato e ricompreso all’interno di un comune denominatore che consenta al nostro Ordine una più armonica rappresentanza di tutte le componenti di esercizio professionale. Una gamma tanto diversa di attività produce, infatti, anche una gamma di particolari criticità di natura sostanzialmente diverse tra loro. Tutte, però, dovrebbero essere ricondotte sotto l’egida dell’Ordine professionale, sia per la tutela degli interessi comuni e generali sia per quelli specifici e particolari, affinché nessun segmento dell’intera categoria si senta trascurato oppure abbandonato a se stesso. Ora, l’assenza di una politica ordinistica attenta verso tutti i comparti ed aperta all’ascolto, ha determinato, nel tempo, l’insorgere di numerose associazioni di categoria, una parcellizzazione della rappresentanza degli interessi, spesso fuori, se non contro, l’Istituzione Ordinistica. Occorre pertanto prendere coscienza che la categoria è forte se è unita e che le rivendicazioni possono diventare conquiste solo sotto il peso della compattezza e della forza della rappresentanza. E qui sta la nostra mission, il nostro impegno. La nostra sfida. Una volta recuperato il “frazionismo”, una volta serrati i ranghi, ci si dovrà fare carico di proporre una revisione del corso di laurea con l’indicazione di specifici indirizzi
formativi, di apposite scuole di specializzazione post-laurea (allocate presso i dipartimenti di Scienze Biologiche) e di ulteriori percorsi professionalizzanti post-specializzazione. Una sinergia che trovi Ordine, Università e Ministeri preposti dallo stesso lato della barricata, ovvero intorno ad uno stesso tavolo di lavoro. L’indicazione dei percorsi formativi, l’accesso alle scuole di specializzazione presso i Dipartimenti di Scienze Biologiche e Biotecnologiche sulla base degli indirizzi di laurea, porterà ad una classificazione chiara delle competenze specifiche dei ruoli professionali esercitati dal Biologo. Se, come pare sempre più richiesto, dovrà essere lo stesso Ordine professionale a dover segnalare e/o attestare la specificità delle competenze acquisite dal singolo soggetto, non si potrà che procedere nel senso indicato. Già di recente l’Ordine ha aderito, ai sensi della legge Gelli-Bianco, al documento operativo elaborato dal Consiglio Superiore della Magistratura circa i requisiti da attestare da parte dei rispettivi Ordini professionali per coloro che si sono iscritti negli Albi presso i Tribunali come periti e consulenti tecnici. Un’attestazione che sarà sempre più corroborata in futuro laddove lo stesso Ordine dovrà fungere da ente di garanzia sulle competenze professionali acquisite per i propri iscritti. Un’azione dinamica, dunque, che tracima il vecchio concetto dell’Ente preposto alla sola salvaguardia della deontologia professionale e di poco altro, in materia di formazione continua. Un’azione che sottende al fatto che occorrerà assegnare sempre più nuovi compiti e nuove funzioni all’Ordine professionale. Dover constatare, tuttavia, almeno in questa fase, che metà dei Biologi laureati in Italia non è iscritta all’Ordine e che buona parte di quelli iscritti non sono reperibili e identificabili facilmente, è la prova provata della distanza siderale che ancora intercorre tra la nostra istituzione e la categoria professionale. Accorciare (ridurre) queste distanze, fino ad annullarle, è il punto di arrivo della nostra politica.
Le rivendicazioni possono diventare conquiste sotto il peso della compattezza e della forza della rappresentanza
Il Giornale dei Biologi | Giugno 2018
3
Dal 25 maggio 2018 è in vigore il nuovo regolamento sulla protezione dei dati personali. Prendine visione sul sito internet dell’Ordine Nazionale dei Biologi
PRIMO PIANO Da sinistra: Capecchi, D’Anna, Giuliani e Gurdon.
Oltre la genetica, convegno a Napoli con due premi Nobel L’ONB apre a una fondazione con istituti scientifici di qualità
C
ome recita il celebre detto: “Buona la prima”? Si, ma anche la... seconda non è stata affatto male! Dopo il successo ottenuto dal convegno sulle “Nuove frontiere della Biologia”, organizzato lo scorso 2 marzo all’hotel Parco dei Principi di Roma, l’Ordine Nazionale dei Biologi ha calato il bis con il secondo, riuscitissimo evento intitolato “Genetica ed epigenetica”. Fari puntati sull’hotel Continental di Napoli dove, lo scorso 15 giugno, si sono dati appuntamento scienziati del calibro dei premi Nobel (per la Medicina) Mario Capecchi e John B. Gurdon, e del premio Lasker, David Baulcombe. Loro, ma non solo. Sì, perché al tavolo dei relatori, coordinati dal presidente dei Biologi, Vincenzo D’Anna, vero animatore della nuova stagione dell’ente di via Icilio, e dal professor Livio Giuliani, matematico e biofisico, dirigente di ricerca del Servizio Sanitario Nazionale, si sono alternati anche Fiorella Gurrieri, professoressa dell’Università del Sacro Cuore di Roma; Andrea
Logo del convegno “Genetica ed epigenetica”.
Vornoli, ricercatore dell’Istituto Ramazzini di Bologna; Francesco Salvatore, docente emerito della Federico II di Napoli e membro dell’Accademia delle Scienze (nonché medaglia d’oro del Ministero dell’Università, fondatore, già presidente ed oggi coordinatore scientifico del Ceinge); Andrea Ballabio, direttore dell’istituto Telethon di Genetica e Medicina (Tigem) di Pozzuoli e professore ordinario di Genetica medica dell’Università Federico II di Napoli, Alessandro Quattrone, biologo, direttore del Cibio (Centro di biologia integrata) dell’Università di Trento e Antonella Sgura,
professoressa del dipartimento di Scienze dell’Università degli Studi Roma Tre (dove è titolare del corso di Genetica Umana). «Questo appuntamento - ha spiegato in apertura dei lavori D’Anna - vuole rappresentare una nuova stagione per l’Ordine. Non passa settimana senza che un biologo, spesso italiano, non faccia importanti scoperte scientifiche. La biologia avrà un ruolo fondamentale nel futuro dell’umanità e non vogliamo più che i biologi siano considerati come figli di un dio minore. La scienza internazionale è competitiva - ha proseguito il presidente dell’Onb - perché competere deriva dal latino “chiedere”, ma significa anche “chiedere insieme”. Quindi le nuove scoperte scientifiche dovranno essere acquisite da tutti e insieme». Per questo motivo, ha aggiunto D’Anna, vogliamo «costruire una “rete” che metta in collegamento i poli dell’eccellenza scientifica della Campania. La nostra idea - ha aggiunto il senatore - è quella di mettere in campo una fondazione che si occupi di costruire Il Giornale dei Biologi | Giugno 2018
5
PRIMO PIANO
Vincenzo D’Anna, Presidente dell’ONB.
dei comitati scientifici di alta levatura allo scopo ultimo di costruire intese e collegamenti tra grandi realtà scientifiche, sia universitarie che non. Penso, ad esempio, ai poli di eccellenza di Napoli come il Tigem, il Ceinge e la Stazione Zoologica Anton Dohrn che, insieme a tanti altri, possano portare avanti la ricerca applicata». Tutto questo, in un quadro nel quale «l’utilizzo dei fondi europei - ha sottolineato ancora il presidente dei Biologi - è purtroppo scarso. Costruire delle intese, anche con gli enti locali e regionali, potrebbe coinvolgere gli sforzi di una pluralità di ricercatori e portare il nostro Paese a stare finalmente al passo con i tempi» ha concluso. Di genetica predittiva dal punto di vista dell’impatto che la scienza di base ha sulla vita dei pazienti ma anche degli individui sani, particolarmente predisposti a determinate patologie ha parlato, nel suo intervento, la professoressa Gurrieri ricordando come «tutto sia iniziato nel 2000 con la decodificazione del genoma umano quando ci si convinse che bastasse leggere questo “libro” per stilare una sorta di carta d’identità genetica che avrebbe potuto spiegarci qualunque tipo di sintomo». «In realtà - ha precisato la Gurrieri - nella salute come nella malattia, siamo il risultato imprevedibile tra il genoma e l’ambiente». Il dottor Vornoli, ricercatore dell’istituto Ramazzini, «un centro di ricerca particolare - ha detto - che deve il suo nome a Bernardino Ramazzini (fondatore della medicina del lavoro), alloggiato in un castello del XVI secolo (un ambiente sui generis in cui si fa la scienza al fianco della storia)» nella sua relazione, ha toccato un argomento “trasversale” rispetto al tema del conve-
6
Il Giornale dei Biologi | Giugno 2018
gno, ovvero «il contributo fornito dalla ricerca sperimentale in vivo alla conoscenza dei cancerogeni ambientali». Sulla stessa falsariga la lectio magistralis di sir David Baulcombe, professore alla Royal Society e capo del Dipartimento di Scienze Botaniche dell’Università di Cambridge, che, nel suo intervento ha affrontato i meccanismi di silenziamento genico nelle piante partendo da una suggestiva introduzione, anche in omaggio all’Italia: un brano dell’opera di Puccini “Madame Butterfly”. «Qualcosa nella sceneggiatura è incompatibile con la genetica mendeliana» ha spiegato lo studioso britannico. «Capita quando Butterfly dice a Pinkerton che egli è il padre di suo figlio: lei è giapponese, ha gli occhi scuri, tutti in Giappone hanno gli occhi scuri. Invece il bimbo ha gli occhi blu, come il padre, che è americano, la qual cosa sembra impossibile». La domanda principale che si è posto Baulcombe riguarda proprio la relazione tra l’epigenetica e la variazione naturale. Un tema affrontato parlando delle modifiche epigenetiche, del ruolo svolto dall’Rna nell’epigenetica, del drive epigenetico e dell’eredità non mendeliana. Appunto, come il bimbo dagli occhi blu. Nel suo intervento, il genetista di origini italiane Mario Capecchi, premio Nobel alla Medicina nel 2007 per aver messo a punto (insieme con Martin Evans e Oliver Smithies) tecniche che, attraverso l’utilizzo di cellule staminali embrionali, permettono di generare animali caratterizzati dall’assenza di uno specifico gene, ha parlato proprio di questa particolare tecnica, denominata “gene targeting”, per studiare
La biologia avrà un ruolo fondamentale nel futuro dell’umanità. Non vogliamo che i biologi siano considerati figli di un dio minore il ruolo di un singolo gene in diverse malattie. Capecchi, docente al Department of Human Genetics dell’Università dello Utah e alla School of Medicine di Salt Lake City, ha fatto riferimento al «trasferimento genico negli animali che sta contribuendo - ha spiegato - a sostenere la ricerca su molte malattie particolarmente diffuse, a partire dal cancro». Il biologo britannico Gurdon, già docente di Biologia Cellulare all’Università di Cambridge e oggi dirigente, a Cambridge, dell’istituto che porta il suo nome, ha invece affrontato l’argomento della riprogrammazione delle cellule mature in cellule multipotenti, un’intuizione che ha aperto allo sviluppo di nuovi metodi diagnostici per tante patologie. Tuttavia, ha ammesso lo scienziato inglese, premiato nel 2012 insieme al collega giapponese Yamanaka per
Vincenzo D’Anna con il premio Nobel Per la Medicina Mario Capecchi.
PRIMO PIANO
Tavolo di relatori visto dalla platea.
i loro lavori sulle cellule staminali pluripotenti indotte, «è chiaro che se non eseguiamo maggiori test non sarà possibile trovare delle terapie per molte malattie genetiche, in particolare per quelle rare. E la causa, spesso, va ricondotta su un livello etico e sulle posizioni di alcuni governi». Alessandro Quattrone ha illustrato alla platea il frutto del lavoro dei due gruppi di ricerca del Centro di biologia integrata dell’Università di Trento, di cui lui è direttore. Una ricerca balzata all’attenzione delle cronache mondiali grazie alla messa a punto di un meccanismo rivoluzionario chiamato “forbice molecolare”, con il quale si riesce a tagliare le sequenze del Dna malato. Una scoperta che apre nuovi orizzonti nelle cure basate su tecnologie genomiche (editing genomico), spalancando, di fatto, il campo alla correzione genomica delle ma-
lattie del motoneurone. Nel suo intervento, il professor Ballabio ha parlato della “terapia genica” intesa come nuova frontiera nel campo della medicina perché, ha spiegato il dirigente dell’istituto Telethon di Genetica e Medicina (TIGEM) di Pozzuoli, «si tratta di utilizzare i geni e quindi il nostro Dna come se fossero un farmaco: i geni sani vengono somministrati ai pazienti per correggere un difetto genetico e questo lo si fa tramite dei vettori che sono poi dei virus a cui vengono eliminati i poteri patogeni». Proprio al Tigem si sta sperimentando da oltre un anno e per la prima volta al mondo, una terapia genica su una patologia rara: la Mucopolisaccaridosi di tipo 6. «Speriamo ha spiegato Ballabio - di risolvere i difetti genetici presenti nei pazienti con una sola somministrazione di questo nuovo ritrovato che è basato su un gene sano di questa malattia». Francesco Salvatore è impegnato da tempo sul fronte degli studi sulle correlazioni tra batteri, cancro e depressione, nonché una sindrome come il morbo di Crohn e la celiachia. «Aver individuato batteri come la neisseria non solo nell’intestino, ma anche nell’orofaringe - ha spiegato il fondatore del Ceinge - è importante per capire la patogenesi della celiachia. Una modificazione del microbioma porta ad ammalarsi: non si sa ancora se è causa o epifenomeno ma visto che il microbioma è facilmente modificabile, dà una speranza di guarigione. L’intestino - ha continuato il biochimico partenopeo - è collegato al cervello e questo asse cervello-intestino, è di grande interesse nel campo della fisiopatologia ed è probabile anche che la depressione sia
Il premio Nobel per la Medicina John B. Gurdon mentre presenta la sua relazione.
La biologia ci pone continuamente innanzi a delle rivoluzioni scientifiche: è una scienza di avanguardia, così come la fisica teorica curabile partendo dal microbioma. Ma occorre ancora molta sperimentazione». Infine la professoressa Antonella Sgura ha chiuso la galleria degli interventi, incentrando la sua relazione sulla struttura cromosomica del telomero, correlata ai danni che vi possono essere eventualmente arrecati e quindi alla genome instability e in particolare all’instabilità cromosomica (di tipo numerico e strutturale) che ne potrebbe derivare. Nel caso specifico, la ricercatrice ha parlato dei danni indotti al telomero da radiazioni ionizzanti (raggi X) che possono indurre rotture a doppia elica del Dna provocando aberrazioni cromosomiche da cui poi possono scaturire tutta una serie di problematiche e patologie anche gravi. «Stiamo cercando di elevare il tono dei nostri convegni», ha commentato in chiusura dell’incontro il presidente dei Biologi, D’Anna. «La prima frontiera su cui ci siamo confrontati è stata quella delle nano particelle, la seconda la manipolazione genica e, quindi, il trasferimento dei geni da un organismo a un altro: si pensi alla rivoluzione delle cellule staminali - ha aggiunto - per la cura e la sostituzione di tessuti e, si spera, in futuro anche degli organi. La biologia ci pone continuamente innanzi a delle rivoluzioni scientifiche: è una scienza di avanguardia, così come la fisica teorica, se l’Italia vuole stare al passo coi tempi dobbiamo seguirla ai massimi livelli. Altrimenti, corriamo il rischio ridurre in nostro Ordine professionale a un elemento statico, burocratico e asfittico che credo non serva assolutamente a nulla. Proviamo a fare l’opposto, presentando le nostre eccellenze ai giovani che saranno i professionisti di domani». (L. S.) Il Giornale dei Biologi | Giugno 2018
7
PRIMO PIANO
Galleria fotografica del convegno “Genetica ed epigenetica”, Napoli 15 giugno 2018
Vincenzo D’Anna, Presidente dell’ONB
Mario Capecchi, Premio Nobel per la Medicina - 2007
Mario Capecchi, Vincenzo D’Anna, Livio Giuliani, John Gurdon
8
Il Giornale dei Biologi | Giugno 2018
Mario Capecchi, Vincenzo D’Anna, Livio Giuliani
John Gurdon, Premio Nobel per la Medicina - 2012
PRIMO PIANO
Francesco Salvatore, David Baulcombe, Livio Giuliani, Mario Capecchi, Vincenzo D’Anna, John Gurdon, Fiorella Gurrieri, Andrea Ballabio, Alessandro Quattrone
Antonella Sgura
Vincenzo D’Anna
Andrea Vornoli, Fiorella Gurrieri, Vincenzo D’Anna, Livio Giuliani
David Baulcombe
Il Giornale dei Biologi | Giugno 2018
9
PRIMO PIANO © joker1991/www.shutterstock.com
Il paradosso italiano della ricerca Studiosi da 110 e lode, ma laboratori snobbati da tutti di Vincenzo Torraca*
N
el panorama europeo, i ricercatori italiani sono da sempre considerati dei grandi talenti, che si contraddistinguono facilmente per la creatività, la voglia di fare e di emergere. Sono talmente ambiti che, di fatto, molti finiscono all’estero. In confronto, pochi sono i ricercatori europei che scelgono atenei e centri italiani per le proprie ricerche. Un esempio di questa situazione è evidente quando si analizzano i “grant” ammessi al finanziamento dal Consiglio Europeo della Ricerca (Erc). Queste prestigiose borse sono tra le più bramate sul piano internazionale in quanto investono fino a 2,5 milioni di euro su ogni progetto sovvenzionato. I dati statistici dei vincitori delle borse Erc relativi al 2017 sono stati recentemente * PhD. Imperial College London Dipartimento di Medicina Centro per la Batteriologia Molecolare e le Infezioni (CMBI)
10
Il Giornale dei Biologi | Giugno 2018
pubblicati. Nella fascia “consolidator grant”, i fondi cioè destinati a group leaders con 7-12 anni di esperienza post-dottorale, gli scienziati di nazionalità italiani si piazzano benissimo: siamo al secondo posto, subito dopo ai tedeschi. In pratica, di quelli premiati dall’Erc, circa un ricercatore su dieci è di nazionalità italiana. Di questi, però, due su tre hanno scelto un istituto straniero per i propri progetti scientifici. Se infatti siamo secondi in quanto a “cervelli”, siamo soltanto settimi nella graduatoria dei paesi scelti come sede per sviluppare i progetti di ricerca finanziati. La situazione è ancora meno incoraggiante se restringiamo il cerchio solo all’area delle scienze della vita, per la quale solo un progetto sui 101 selezionati verrà portato avanti in Italia, all’università degli studi di Milano. Inoltre, è da notare che nessuno dei 296 vincitori stranieri ha scelto i nostri laboratori per fare ricerca. Questo è un chiaro indicatore che non riusciamo a creare un ambiente sufficientemente favorevole alla ricerca. Così, mentre, su scala internazio-
nale è in atto la “corsa all’oro grigio”, il Bel Paese resta in disparte. Il primo aspetto da considerare riguarda i fondi nazionali italiani. La Penisola investe solo l’1,3% del PIl nella ricerca, a differenza di paesi come la Svezia o la Germania che investono oltre il doppio. Ne deriva che spesso le università e i centri di ricerca in Italia non vengono considerati sufficientemente all’avanguardia per quanto riguarda le infrastrutture. Un altro problema rilevante è la burocrazia ed un sistema di regole poco adatto all’inserimento degli stranieri, come per esempio la necessità in molti casi di conoscere la lingua italiana. Per incentivare l’immigrazione di cervelli, sarebbe necessario invece creare delle posizioni speciali per ricercatori stranieri, magari anche incentivate da salari che possano competere con quelli europei. Occorrerebbe adottare dei meccanismi di reclutamento più simili a quelli esistenti in altre nazioni, ai quali gli stranieri sono già abituati. Bisognerebbe poi creare più centri d’eccellenza, che possano competere nel panorama internazionale, funzionando come poli
PRIMO PIANO
I nostri scienziati sono da sempre considerati grandi talenti, talmente ambiti che finiscono all’estero magnetici per attrarre scienziati di fama mondiale e prevenire la fuga di quelli nazionali. Su questo aspetto, bisogna riconoscere che qualcosa sulla Penisola si sta muovendo. Ci sono istituti, come l’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova, dove quasi la metà degli oltre mille ricercatori arrivano dall’estero. Un altro esempio, a Trieste, è l’ICGEB (Centro Internazionale per l’Ingegneria Genetica e le Biotecnologie), dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per lo Sviluppo Industriale, che attrae moltissimi ricercatori stranieri. A Roma abbiamo poi una sede dell’EMBL (Laboratorio di Biologia Moleco-
lare Europeo), uno dei leader mondiali per la ricerca nelle scienze della vita. E al Sud? Guardando la lista delle università e centri di ricerca finanziati dall’Erc, il vero escluso è il Meridione d’Italia. Nonostante questo, un tentativo di aprire il Sud alla ricerca in Europa si sta facendo. Nel 2016, l’iniziativa “Brains2South” ha finanziato 11 progetti di ricerca applicata, da svolgersi nel Sud Italia. I vincitori, provenienti da otto università straniere e tre italiane, sono stati sovvenzionati per fare le loro ricerche negli istituti di Napoli, Messina, Lecce, Salerno, Catanzaro, Catania, Trapani e Cosenza. Non mancano centri di spicco anche al Sud, come la Stazione zoologica Anton Dohrn, affacciata sul Golfo di Napoli, un polo mondiale per la biologia marina, o il Tigem (Istituto Telethon di Genetica e Medicina), un istituto di fama internazionale per la ricerca dedicata alle malattie genetiche. In conclusione, anche da noi si stanno creando realtà nella ricerca internazionale che nulla hanno da invidiare ai centri esteri. Il prossimo passo dovrà essere quello di renderle più appetibili a studiosi ed esperti formati all’estero, italiani e stranieri. In questa direzione è orientato anche il programma
“Rita Levi Montalcini”, rinnovato dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca lo scorso dicembre, con uno stanziamento di cinque milioni di euro. Come nazione proiettata al futuro, dovremo investire in maniera crescente nella ricerca, il cui ruolo è fondamentale per l’avanzamento tecnologico, per il benessere delle future generazioni e per salvaguardare il pianeta. In questa prospettiva, reclutare ricercatori maturati all’estero, è essenziale per il nostro Paese, sia per introdurre nuovi modelli di università e ricerca sia per aumentare - come in una reazione a catena - le opportunità di attrarre in Italia più fondi di origine sovranazionale.
In Italia si investe solo l’1,3% del PIl nella ricerca, meno della metà di Svezia o Germania
Cos’è la “Flat Tax” prevista dal Governo Conte? di Francesco Blasi*
D
a quando si è insediato il nuovo governo Conte, sentiamo parlare della Flat Tax. Cerchiamo di capire di cosa si tratta sulla base di quanto emerso dalle varie indiscrezioni dette dai nuovi ministri. La Flat Tax è una tassa piatta, priva del criterio di progressività a cui il nostro sistema fiscale ha ispirato fino ad ora la tassazione in capo alle persone fisiche. In realtà tale tipo di tassazione, importato in Italia ma già esistente in altre nazioni, ha già visto le prime modifiche, quanto meno nelle intenzioni del legislatore, ed è stata subito rinominata Dual Tax in virtù del fatto che si baserà sulla presenza di due differenti aliquote. Al fine di adattare uno schema di tassazione già esistente in altri paesi al contesto italiano, mantenendo una progressività, si parla di due scaglioni di reddito la cui linea di demarcazione è data dalla soglia di 80mila euro. In base a quanto rivelato, al di sotto di tale soglia i redditi verranno tassati con un’aliquota del 15%, al di sopra verrà applicata un’imposizione del 20%. Il primo concetto che dovrà essere chiarito è quello di reddito familiare, perché è su questo che sarà calcolata la flat tax. Dovremo, quindi, capire cosa esso comprende. Ad esempio, includerà anche il reddito del figlio non a carico se vive sotto lo stesso tetto? Comprenderà il reddito da pensione percepito dal genitore di uno dei due coniugi che vive insieme agli stessi? Secondo quanto annunciato dal Governo Conte, ci sarà un facile sistema di deduzioni e detrazioni che sarà così strutturato: per i redditi familiari fino a 35mila euro spetteranno deduzioni forfettarie di 3mila euro per ogni componente del nucleo familiare; per i redditi familiari compresi tra 35.001 e 50mila euro spetteranno le sole deduzioni per carichi di famiglia; per i redditi superiori a 50mila euro non sono previste deduzioni. Purtroppo ad oggi non è chiaro quali siano le intenzioni del legislatore e sembrerebbe che non avranno più ragione di esistere tutte le detrazioni ad oggi previste, ma continueranno ad essere riconosciute quelle per l’acquisto della prima casa e quelle per ristrutturazioni e risparmio energetico. Così come disegnata fino ad oggi, probabilmente la Dual Tax potrebbe rendere il sistema impositivo più semplice, ma ci si chiede se togliendo tutte le detrazioni e le deduzioni in vigore, alla fine, si pagheranno davvero meno tasse rispetto ad ora. * Consulente fiscale dell’Ordine Nazionale dei Biologi
Il Giornale dei Biologi | Giugno 2018 11
PRIMO PIANO © Peshkova/www.shutterstock.com
Jib 2018: l’innovazione al servizio del progresso medico Le Giornate dell’innovazione in biologia si terranno a ottobre a Parigi di Corrado Marino
P
er la sua 61esima edizione il Jib si trasforma in “Giornate di innovazione in biologia”. Si dà vita ad un congresso dove l’innovazione più che mai rappresenterà il motore della trasformazione in biologia clinica e porrà il biologo clinico al centro dell’equipe di cura. Il 18 e 19 ottobre prossimi, professionisti della sanità di oggi e del domani, industriali e ricercatori scopriranno la portata dell’innovazione in biologia clinica e le soluzioni che essa può apportare ai pazienti. Ciò in un appuntamento che si rinnova nelle fondamenta e si adegua con la trasformazione del settore. Biologi, medici, liberi professionisti o ospedalieri, impiegati, studenti e ricercatori saranno uniti in un “ecosistema della biologia clinica” e scopriranno da vicino cosa significhi oggi l’innovazione nel settore. Saranno due giorni consacrati alla scoperta, alla riflessione, a incontri e al futuro. Il mondo della sanità cambia. Le innovazioni scientifiche, tecnologiche e organizzative si susseguono sempre più numerose. Il nuovo Jib è l’occasione non solo per accompagnare questo movimento, ma prima di tutto è il luogo e lo spazio in cui
12
Il Giornale dei Biologi | Giugno 2018
Logo del Jib 2018.
costruire questo nuovo mondo della sanità. I partecipanti constateranno che l’innovazione in biologia clinica passa incontestabilmente dall’industria, attraverso la presentazione di strumenti sempre più innovativi e di servizi rivolti sempre più verso la trasformazione digitale dei laboratori e delle relazioni interprofessionali. I congressisti potranno partecipare a dibattiti e conferenze che porteranno ad una riflessione globale sulle evoluzioni scientifiche e su come queste si inseriscano in un ambiente in piena evoluzione. Appuntamento, dunque, al 18 e 19 ottobre 2018 allo spazio Grande Arche, Parigi La Défense. Per i partecipanti, il Jib 2018 sarà l’occasione di scoprire concretamente cosa significhi innovazione, spaziando dalla
biologia molecolare all’intelligenza artificiale e al laboratorio “point of care”. Si trasformano le abitudini dei professionisti e l’approccio col paziente e occorre rinforzare il ruolo del biologo clinico in seno all’equipe medica. Ecco alcune delle tematiche che saranno trattate: l’attualità scientifica 2018 in biologia clinica; diabete e biologia in tempi di connessione; malattie infiammatorie – reumatismi cronici, quale l’apporto della biologia clinica?; cancro, nuovi biomarcatori; sistema di informazione e dati sanitari, copertura del cyber rischio. E poi ancora malattie infiammatorie croniche intestinali, verso dei nuovi markers dal microbiota intestinale; i nuovi algoritmi dell’interpretazione dei marcatori cardiaci (impatto sulla diagnosi e riduzione dei tassi di mortalità); ruolo medico, i biologi clinici vogliono davvero parlare con i pazienti?; pertinenza delle prestazioni: come possono i biologi smettere di subire?; industriali e biologi al tempo dell’innovazione; manager o esperto clinico nella diagnostica: i biologici clinici devono scegliere? Per consultare il programma completo della due giorni, è disponibile il sito internet https://jib-innovation.com.
BIOLOGIA DEL PALAZZO
Regolamento di Dublino Storia di un fallimento Ecco perché i Paesi di primo ingresso sono stati lasciati soli nella gestione della crisi dei rifugiati di Riccardo Mazzoni
S
icurezza e solidarietà: dovrebbero essere questi i due capisaldi della politica comune di asilo dell’Unione europea, che non è mai stata veramente attuata perché hanno sempre prevalso gli interessi nazionali rispetto a quelli comunitari. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: a fronte di un’ondata migratoria senza precedenti, i Paesi di primo approdo (Italia e Grecia in primis) sono stati letteralmente lasciati soli negli ultimi anni, provocando allarme sociale e sconvolgimenti politici. Questa non è la sede per alimentare polemiche, ma perché ognuno si faccia un’opinione compiuta e basata sui fatti è necessario offrire un quadro il più possibile oggettivo della situazione. Alla base di tutto c’è l’ormai famoso Regolamento di Dublino, che fu approvato nel lontanissimo 1990, quando l’emergenza migratoria si concentrava, dopo la caduta del Muro di Berlino, sul fronte est e non sul fronte sud. Non a caso, la sede dell’Agenzia Frontex fu individuata (e resta tuttora) a Varsavia, capitale di uno dei Paesi ex satelliti dell’Unione sovietica. Ma veniamo all’oggi. Il punto centrale della riforma del Regolamento, su cui non si è trovato un compromesso tra gli stati europei, è l’introduzione delle quote di ripartizione dei richiedenti asilo all’interno dello spazio europeo, un principio che è stato inserito dall’Agenda europea sull’immigrazione nel 2015, pensata per mettere in discussione il cuore del regolamento
di Dublino III, ossia il principio secondo cui il paese di primo ingresso in Europa è responsabile della domanda di asilo del migrante. Un’Agenda, però, talmente intrisa di lacci burocratici, che non è di per sé in grado di dare sollievo ai Paesi di primo ingresso. La realtà è che le quote di ripartizione (la cosiddetta relocation) sono sempre state respinte non solo dai paesi dell’Europa orientale, il cosiddetto gruppo di Visegrád (Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria), ma anche da quelli scandinavi, da quelli del Benelux e dalla stessa Francia. E infatti, a tre anni dall’inizio della crisi dei rifugiati, di fatto siamo sempre al punto di partenza. La proposta di riforma presentata dalla Commissione europea pretende di superare l’evidente fallimento del “sistema Dublino” mantenendo sostanzialmente invariata la gerarchia dei criteri Dublino, introducendo un sistema correttivo per la ripartizione equa delle responsabilità tra Stati che però riproduce quasi tutti gli elementi problematici dei meccanismi temporanei di ricollocamento già in atto e prevedendo a carico dei richiedenti asilo una serie di obblighi (e conseguenti sanzioni in caso di violazione) per limitare gli spostamenti all’interno dell’area degli Stati vincolati dal Regolamento di Dublino. La proposta di riforma, insomma, non lo è affatto: salvo qualche modifica migliorativa dei termini procedurali, il trasferimento dei richiedenti asilo verso lo Stato membro
potenzialmente competente è appesantito dall’introduzione di ulteriori passaggi procedurali intermedi. Fatta eccezione per la definizione allargata di “familiare”, nessuno dei criteri per la determinazione dello Stato membro competente è stato toccato, mentre il meccanismo correttivo di allocazione, così come strutturato, rischia di avviarsi a un fallimento del tipo di quello vissuto dai meccanismi temporanei di ricollocamento. Restano dunque del tutto illusori gli obiettivi dell’individuazione rapida dello Stato membro competente, dell’accesso rapido del richiedente alla procedura di asilo, della ripartizione più equa delle responsabilità tra Stati membri e della lotta ad abusi e movimenti secondari dei richiedenti asilo. Detto questo, l’Europa è talmente divisa che manca totalmente la volontà politica di arrivare a una modifica equa del Regolamento di Dublino che riesca a coniugare gli obiettivi indicati all’inizio, ossia la sicurezza comune e la solidarietà tra Stati. Il paradosso è che si è creato un fronte comune tra il nuovo governo italiano e il fronte di Visegrad guidato dal premier ungherese Orbán, che si oppongono alla riforma per motivi opposti: il primo perché vorrebbe imporre più solidarietà e una più equa ripartizione dei migranti; i Paesi dell’Est perché vogliono continuare a non accogliere nemmeno un immigrato. Ma di paradossi è fatta, purtroppo, questa Europa. Il Giornale dei Biologi | Giugno 2018 13
BIOLOGIA DEL PALAZZO
Immigrazione: la soluzione ci sarebbe, manca la volontà politica Proposte e criticità di un regolamento in cerca di condivisione
P
artendo da quanto previsto dal regolamento di Dublino e da quanto contenuto nell’Agenda europea sull’immigrazione, andrebbe ripensata la procedura di identificazione e di presentazione della domanda di protezione internazionale in seguito al primo ingresso in uno Stato membro. Ecco alcune proposte. • Sospensione temporanea dell’articolo 13 del regolamento di Dublino che prevede che sia lo Stato membro di primo ingresso da parte di un cittadino proveniente da un paese terzo, lo Stato competente per l’esame della domanda d’asilo; • Creazione di hotspot in tutti i paesi Ue gestiti dalle autorità competenti col supporto di funzionari delle rispettive Unità Dublino; • Definizione di quote di ripartizione tra gli Stati membri adeguate alla portata dei flussi in atto verso l’Europa e nel rispetto del principio di solidarietà tra gli Stati; • Nella fase successiva al primo soccorso o al momento dell’individuazione sul territorio dei singoli Stati membri, identificazione di tutti i cittadini provenienti da un paese terzo all’interno degli hotspot; • Contestualmente, in caso di richiesta di protezione internazionale, accesso alla relativa procedura attraverso un preliminare colloquio finalizzato unicamente a determinare lo Stato membro
14
Il Giornale dei Biologi | Giugno 2018
•
competente per l’esame della domanda tenendo conto innanzitutto delle esigenze familiari o umanitarie del richiedente asilo (come previsto dagli artt. 8, 9 e 10 e 17 di Dublino III, in caso di gravidanza, maternità recente, grave malattia, serio handicap, età avanzata, migliore interesse del minore non accompagnato); Individuazione, nel corso del colloquio, dei casi previsti dagli artt. 8, 9 e 10 e 17, e attivazione della procedura di trasferi-
mento nello Stato membro individuato come competente per la domanda di protezione, garantendo al richiedente così individuato l’accoglienza in strutture temporanee in attesa del trasferimento; • Ricollocazione dei restanti cittadini di paesi terzi che intendono presentare domanda d’asilo nei diversi Stati membri in base alle quote definite. Questa procedura si muove all’interno del Regolamento di Dublino III attraverso un
La Convenzione della discordia
I
l Regolamento Dublino III, entrato in vigore il primo gennaio 2014, sostituisce il Regolamento Dublino II del 2003, che a sua volta aveva mandato in pensione la Convenzione di Dublino del 1990. Questo regolamento contiene i criteri e i meccanismi per individuare lo Stato membro che è competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di uno Stato extra-Ue. Il principio generale alla base del Regolamento Dublino III è lo stesso della vecchia Convenzione di Dublino del 1990 e di Dublino II: ogni domanda di asilo deve essere esaminata da un solo Stato membro e la competenza per l’esame di una domanda di protezione internazionale ricade in primis sullo Stato che ha svolto il maggior ruolo in relazione all’ingresso e al soggiorno del richiedente nel territorio degli Stati membri. Regolamento che lascia dunque uno spazio praticamente nullo alle richieste dei migranti, molti dei quali vedono nell’Italia e nella Grecia solo un approdo temporaneo e che invece ci restano a tempo indefinito.
© Giovanni Cancemi/www.shutterstock.com
BIOLOGIA DEL PALAZZO
utilizzo più efficace di alcuni strumenti: il Regolamento di Dublino III prevede infatti, nel rispetto del principio dell’unità familiare, che se un familiare del richiedente è stato autorizzato a soggiornare in qualità di beneficiario di protezione internazionale in uno Stato membro, tale Stato membro è competente per l’esame della domanda di protezione internazionale. Se il richiedente è un minore non accompagnato, è competente lo Stato membro nel quale si trovi legalmente un familiare (artt. 8, 9 e 10). Sono previste inoltre due clausole che autorizzano una deroga ai criteri generali di determinazione dello Stato competente per l’esame della domanda d’asilo. La prima è la clausola di sovranità - cui ha fatto ricorso la Germania per i profughi di origine siriana -, per cui uno Stato membro può sempre decidere di assumere la responsabilità di esaminare una richiesta di asilo presentata in frontiera o sul territorio, anche se in base ai criteri ordinari la competenza dovrebbe essere attribuita ad altro Stato membro. La seconda è la clausola umanitaria, per cui qualsiasi Stato membro, pur non essendo competente dell’esame della domanda secondo i criteri ordinari, può diventarlo in considerazione di esigenze familiari o umanitarie del richiedente asilo (gravidanza, maternità recente, grave malattia, serio handicap, età avanzata, migliore interesse del minore non accompagnato). (R. M.)
Il commento sulla politica italiana di Giovanni Caivano
G
rillismo e leghismo sono due facce della stessa medaglia sovranista. Si tratta di due categorie della politica che hanno trovato una sintesi nel governo Conte trasportando il cosiddetto gentismo, ossia la dittatura degli istinti popolari, direttamente dentro il Palazzo che più conta: Palazzo Chigi. Il Movimento Cinque Stelle è una sorta di deriva plebiscitaria del caos primordiale, mentre l’ultima versione della Lega in veste nazionale e, appunto, sovranista ha modificato in modo forse definitivo gli equilibri del centrodestra spostando il suo baricentro verso una destra sempre meno liberale. Sempre che il centrodestra esista ancora come alleanza politica. La risultante di questi sommovimenti che hanno avuto la bollinatura che più conta - quella popolare - è una sorta di paradosso storico: il nuovo arco costituzionale che si sta delineando rappresenta infatti l’esatto opposto di quello sperimentato nella prima repubblica, che escludeva di fatto dalla scena politica il Movimento sociale e in cui trovava posto in posizione defilata, a causa del “fattore k”, il Partito comunista. Ora la conventio ad excludendum riguarda, con un rovesciamento storico delle dinamiche democratiche, i partiti del centrosinistra, quelli che hanno governato il Paese negli ultimi venticinque anni. Il Pd, ferito e diviso, si è autoescluso dalla partita del governo accomodandosi sulla sponda del fiume ad aspettare gli eventi, mentre nella combinazione delle alleanze possibili tra centrodestra e Cinque Stelle è letteralmente esploso il problema politico di tenere dentro Berlusconi e Forza Italia, non solo per la presenza del Cavaliere, ma anche per ciò che Berlusconi e Forza Italia rappresentano oggi, ossia la costola italiana del popolarismo europeo. Siamo, insomma, al rovesciamento delle carte in tavola o, se volete, a una tempesta perfetta di cui non si conosce l’esito. Siamo - questo è certo davanti a una profonda metamorfosi politica e sociale. Resta da vedere se sarà il caos calmo della Metamorfosi di Ovidio o invece quella inquietante e demoniaca di Kafka. Per capire meglio cosa ci aspetta è sicuramente utile rileggere il pensiero di un grande pensatore liberale, Nicola Matteucci, che nel ’72 scriveva testualmente: “La democrazia populistica è caratterizzata dall’insorgenza di un nuovo clima di idee semplici e di passioni elementari, non più mediate dalle forze politiche e dalla cultura tradizionale, da un diffuso atteggiamento di rancore e di invidia contro le aristocrazie (lo specialista, l’esperto, lo studioso) in nome di un estremo egualitarismo, dalla presenza massiccia della cultura dei giovani, in radicale protesta contro la tradizione (di destra e di sinistra) e contro il peso del passato, globalmente giudicato come male, perché espressione dei padri, da un radicato anti intellettualismo, fiducioso soltanto nell’attivismo per risolvere i problemi”. Matteucci parlava dell’egualitarismo sessantottino, ma, comunque la si pensi, la sua è una previsione perfetta anche di ciò che sarebbe avvenuto quasi mezzo secolo dopo in Italia. Un grande filosofo come Norberto Bobbio aveva messo in guardia dalle conseguenze politiche e sociali della rivoluzione tecnologica: “L’ipotesi che la futura computer-crazia - scriveva Bobbio - consenta l’esercizio della democrazia diretta, cioè dia ad ogni cittadino la possibilità di trasmettere il proprio voto ad un cervello elettronico, è puerile. [...] Nulla rischia di uccidere la democrazia più che l’eccesso di democrazia”. Con queste parole Bobbio avvertiva del pericolo di trasformare la democrazia rappresentativa in democrazia diretta. La sua profezia si è pienamente compiuta: la democrazia oggi passa su Internet e su Internet nascono le rivoluzioni, le proteste, i partiti e le candidature. Ma il populismo trova proprio nella rete la sua espressione più estrema, fatta di pressapochismo e di gogne inaudite nei confronti delle élite, per cui l’improvvisazione diventa un merito e la specializzazione un peccato. Una deriva pericolosa per il futuro del Paese e per la qualità della nostra democrazia.
Il Giornale dei Biologi | Giugno 2018 15
L’INTERVISTA
Istituto Tumori Pascale Normanno: “Il futuro è una questione d Lo scienziato a caccia di soluzioni per vivere meglio e più a lungo di Francesca Cicatelli
L
a scienza dovrà imparare il napoletano. Non fosse altro perché a dirigere l’IQNPath (acronimo di International Quality Network for Pathology), l’associazione internazionale composta da 12 società scientifiche di cui fanno parte ricercatori europei, statunitensi, canadesi, asiatici e australiani, c’è Nicola Normanno, il partenopeo già direttore del Dipartimento di Ricerca Traslazionale dell’Istituto Pascale per lo studio e la cura dei tumori. Il pool di esperti che presiede è a caccia di soluzioni per vivere meglio e più a lungo e alzare gli standard di qualità delle analisi dei biomarcatori, gli indicatori biologici del tumore che consentono di individuare la migliore terapia personalizzata, aumentando le possibilità di terapie innovative in pazienti oncologici. Anche uniformare i protocolli per la certificazione dei laboratori, le raccomandazioni, il training del personale sono gli obiettivi dell’associazione.
16
Il Giornale dei Biologi | Giugno 2018
Quali novità, percorsi, traguardi, studi introdurrà a seguito della sua nomina? «La nostra associazione ha lo scopo di promuovere le conoscenze sui biomarcatori in oncologia, stilare linee guida internazionali sulle modalità con cui essi devono essere analizzati e garantire l’accesso a test per biomarcatori di elevata qualità a tutti i pazienti oncologici. Durante la mia presidenza vorrei incrementare la collaborazione con gli oncologi e soprattutto con le organizzazioni di pazienti, per diffondere al meglio i risultati delle attività della associazione e mettere in risalto l’importanza dei test per i biomarcatori. In termini di ricerca, mi attiverò affinché IQNPath promuova un maggior numero di studi rivolti alla ottimizzazione dei test e alla scoperta di biomarcatori. La partecipazione ad IQNPath di esperti di vari Paesi europei ma anche di Cina, Australia e Canada mette
infatti la nostra associazione in una posizione di privilegio nella conduzione di studi su biomarcatori di respiro internazionale. Infine, mi piacerebbe riuscire a coinvolgere anche Paesi in via di sviluppo, per aiutare la crescita della medicina di precisione anche in aree non ancora in grado di applicare le più moderne tecnologie di studio dei tumori». Si può parlare, e se no perché, di bioterapie efficaci? E se sì, qual è lo stato di avanzamento delle bioterapie? «Le terapie biologiche o terapie target impiegano farmaci diretti contro bersagli molecolari specifici presenti nelle cellule tumorali. L’efficacia di queste terapie è legata alla loro selettività nei confronti delle cellule tumorali che non solo influenza il risultato terapeutico, ma migliora anche la tollerabilità del trattamento. Nell’arco degli ultimi vent’anni i progressi in questo campo sono stati enormi, con un aumento della sopravvivenza e un no-
© Image Point Fr/www.shutterstock.com
L’INTERVISTA
Nicola Normanno.
di sangue” tevole miglioramento della qualità della vita soprattutto in certi tipi di tumore, quali i carcinomi della mammella, del colon, del polmone ed il melanoma. È mia opinione, peraltro condivisa da organizzazioni internazionali, che anche la terapia immunologica moderna sia una forma di terapia target, perché rivolta a colpire meccanismi specifici che consentono alla cellula tumorale di sfuggire al controllo del sistema immunitario». Qual è l’importanza di avere biomarcatori efficienti e quali sono i tempi ottimali per le risposte? Ossia la scienza a cosa conta di arrivare nel giro di pochi anni? «La maggior parte dei farmaci biologici che sono entrati nella sperimentazione clinica senza un biomarcatore non ha dimostrato alcuna efficacia significativa. Questo accade perché i tumori sono estremamente eterogenei da un punto di vista molecolare. Il corredo di alterazioni genetiche e molecolari che regolano la crescita tumorale varia molto da tumore a tumore, anche se originati dallo stesso organo. Per questo motivo è fondamentale selezionare i tumori in base alle loro caratteristiche in modo da individuare quelli più sensibili a farmaci specifici. In questo
Bisogna selezionare i tumori in base alle loro caratteristiche per individuare quelli più sensibili a farmaci specifici contesto i biomarcatori sono indicatori biolo- rapido sviluppo, con la introduzione di nuogici caratteristici di ogni tumore ed associati ve tecnologie sempre più sofisticate quali la alla sensibilità a specifici inibitori. Lo studio next generation sequencing e l’utilizzo di fondei biomarcatori risulta pertanto essenziale ti alternative di biomarcatori come la biopsia per l’approccio terapeutico che oggi definia- liquida». Cosa sono gli oncogeni e gli oncomo medicina di precisione e che è appunto basato sulla somministrazione della terapia soppressori? «Le alterazioni genetiche coinvolte nella più adeguata ad ogni singolo paziente. Il numero dei biomarcatori che studiamo nella crescita tumorale riguardano sia i cosiddetti ricerca e nella pratica clinica è in crescente oncogeni, ovvero i geni che una volta attivati aumento. Ad esempio, nel tumore del polmo- promuovono la crescita cellulare e quindi la ne la determinazione del numero delle muta- possibile trasformazione neoplastica, che i zioni, il cosiddetto Tumor Mutation Burden, geni oncosoppressori (o anti-oncogeni) che sono deputati al controllo delsembra correlare con l’attività Ricercatori la proliferazione cellulare e la della terapia immunologica. cui inattivazione predispone Ebbene, per determinare il a lavoro per all’insorgenza del tumore. In Tumor Mutation Burden è neaumentare ogni tumore possiamo trovare cessario sequenziare dai 300 ai diversi oncogeni ed anti-on500 geni, il che significa avere le possibilità cogeni alterati e, in genere, è a disposizione una fotogradi terapie la combinazione delle diverse fia molecolare completa della alterazioni genetiche a causare malattia. A questa importante innovative la insorgenza del cancro. Spesinnovazione si aggiunge l’uso crescente della biopsia liquida per determi- so le alterazioni a carico di oncogeni ed annare i biomarcatori a partire da un semplice ti-oncogeni rappresentano anche biomarcaprelievo di sangue. È importante che queste tori importanti per la selezione della migliore analisi siano condotte in un tempo accettabi- terapia». Dirige un team internazionale, come le, che le linee guida in genere identificano in dieci giorni lavorativi, in modo da consentire si coordineranno le ricerche? In cosa si all’oncologo di ricevere il risultato in tempo contraddistinguono gli italiani e i napoletani? utile per la decisione terapeutica». «La nostra è una associazione peculiaQual è la fallibilità delle analisi dei re perché raggruppa società scientifiche di biomarcatori? «Da una analisi dei programmi di con- diversi continenti. È necessario quindi introllo di qualità eseguiti da molti dei nostri dividuare temi comuni di interesse scientiassociati, sappiamo che il livello generale dei fico su cui lavorare, in modo da coinvolgere test per i biomarcatori eseguiti in Italia ed in tutti i soci nelle nostre attività. Questo non Europa è elevato. Tuttavia, abbiamo anche è sempre facile per le differenze dei sistemi osservato che la introduzione di un nuovo sanitari, degli approcci e anche delle culture biomarcatore nella pratica clinica richiede che vanno tenute in considerazione. In quespesso un lungo periodo di apprendimento. sto contesto essere italiani e, soprattutto, Per questo motivo riteniamo che la formazio- napoletani aiuta molto per la nostra capacità ne continua del personale dedicato alle anali- di mediazione, ma anche per l’attenzione che si dei biomarcatori abbia un ruolo fondamen- prestiamo agli aspetti umani delle relazioni tale per garantire ai pazienti analisi eseguite nell’ambiente di lavoro e, mi consenta, per la con elevati standard di qualità. D’altro canto, vivacità intellettuale che ci permette di trovacome già accennato, questo è un settore in re soluzioni anche in situazioni difficili». Il Giornale dei Biologi | Giugno 2018 17
L’INTERVISTA
Rare sono le persone che usano la mente, poche coloro che usano il cuore e uniche coloro che usano entrambi Rita Levi Montalcini
D
iceva Rita Levi Montalcini: «Rare delle T regolatorie (una sottopopolazione sono le persone che usano la linfocitaria che ci difende dalla distruzione mente, poche coloro che usano autoimmunitaria, ndr) sono alterati nei sogil cuore e uniche coloro che usa- getti con sclerosi multipla. Questo è in parte no entrambi». La dottoressa Veronica De legato ad alterazioni metaboliche a livello inRosa, ricercatrice del Cnr di Napoli, è una tracellulare che portano all’alterata espresdi queste. Quello che la lega alla scienza è sione di un fattore trascrizionale necessario qualcosa di più di una semper il corretto funzionamento La Sclerosi plice passione. È «vero amodelle cellule Treg». re». Perché, dice, «la ricerca A cosa mira la ricerca? Multipla non ti dà molto più di quello che «Speriamo di trovare il è un male le dai». E forse è anche per modo per correggere questa questo che De Rosa è stata invincibile nella alterazione metabolica e riinsignita del prestigioso ripristinare la genesi delle celmaggior parte lule Treg che sopprimono le conoscimento per gli studi innovativi sul sistema immurisposte autoimmunitarie». dei casi nitario e sulla lotta alla scleIn precedenti intervirosi multipla, dedicato proprio a Rita Levi ste ha avuto modo di dire che “oggi Montalcini. le persone giovani che ricevono la Partiamo dall’emozione di riceve- diagnosi di sclerosi multipla possono re un premio così prestigioso. Cos’ha guardare con ottimismo al futuro”. La provato quando le è stato comunicato sclerosi multipla non è, dunque, un che avrebbe ricevuto tale riconosci- male invincibile? mento? «La SM non è un male invincibile, per «Appena ho ricevuto la notizia ero in- fortuna, nella maggior parte dei casi. I pacredula. Questo premio viene conferito sul- zienti devono effettuare delle terapie anche la base di una selezione intertutta la vita, ma gran parte di Ogni piccolo na fatta da una commissione essi può condurre una vita che valuta i possibili candidaquasi “normale”. Questo perprogresso ti sulla base della loro attività ché grazie alle attuali terapie, origina da una i sintomi sono sempre più scientifica nel campo della sclerosi multipla, per cui io controllati e gli effetti collategrandissima non avevo inviato alcuna canrali sempre più ridotti. Inoltre, didatura. Ovviamente, pas- scoperta ottenuta la sua patogenesi è sempre sata l’incredulità, sono stata in laboratorio più chiara, e comprendere le orgogliosa e felice di ricevere alterazioni di un meccanismo un tale riconoscimento, per me è davvero è il primo passo per correggerlo». un onore aver ricevuto un premio in onore Contribuire alla ricerca, come lei della Montalcini». ha fatto e sta facendo, credo dia un Da cosa nasce il suo studio? appagamento impareggiabile. «Nasce dalla comprensione che i mec«Credo che sia il lavoro con il maggiocanismi molecolari alla base della genesi re impatto sociale (insieme a quello delle
18
Il Giornale dei Biologi | Giugno 2018
Veronica De Rosa.
insegnanti delle scuole elementari….). Questo perché ogni piccolo progresso in campo medico origina da una grandissima scoperta ottenuta in laboratorio. Curare o migliorare la qualità di vita delle persone ammalate è il più alto obiettivo sociale, dal mio punto di vista». Ma è anche vero che, ahinoi, non è un mondo che gode della considerazione che meriterebbe… «È indubbio: da un punto di vista remunerativo non è giustamente valorizzato. Sempre più spesso mi capita di ascoltare testimonianze di colleghi ricercatori che si arrendono, riciclandosi in altri campi più sicuri e stabili». Cosa l’ha spinta a intraprendere la strada della ricerca scientifica? «La mia scelta risale ai tempi del liceo, quando sono venuta a conoscenza della clonazione della pecora Dolly, nel 1996». Da allora le si è aperto un mondo… «Esattamente. Ho subito capito che
L’INTERVISTA
Alla ricercatrice Veronica De Rosa il prestigioso Premio Montalcini
Ha studiato l’alterazione delle cellule che sopprime le risposte autoimmunitarie di Carmine Gazzanni
quello strumento avrebbe permesso di creare ad hoc organi sani in sostituzione di quelli malati, e sognavo tanto altro. Per fortuna, non immaginavo che fosse un mondo difficile per cui l’ho scelto senza remore e non mi sono mai arresa». Ha mai avuto un momento di scoraggiamento, un momento in cui ha detto che forse “sarebbe stato meglio fare altro”? «No, mai». Immagino lei abbia famiglia. Come concilia la ricerca con la vita quotidiana e col tempo libero? «(Ride) Tempo libero? Una scienziata non ha tempo libero… La ricerca continua anche quando fisicamente non sei più a lavoro». E se hai dei figli? «Nel tempo in cui non sei a lavoro sei con loro… Io riesco faticosamente a ritagliarmi due ore di sport a settimana e per il resto si corre da morire per cercare di inca-
strare tutti gli impegni familiari». La sua canzone preferita? «Sally di Vasco Rossi». E il film? «Le conseguenze dell’amore di Paolo Sorrentino». A chi si ispira? Chi prende a modello da un punto di vista umano? «(Ci pensa) Non saprei dire… Diciamo che tutti i grandi scienziati sono per me un modello da seguire. Da un punto di vista umano ammiro molto le donne che riescono ad avere famiglie numerose e un lavoro appagante allo stesso tempo, io non ci sono riuscita: ho deciso di avere solo due bambine». Ultima domanda: un consiglio, spassionato, al nuovo Governo. Cosa si dovrebbe fare per dare il giusto risalto alla ricerca e ai ricercatori? «Due punti fondamentali: destinare più fondi alla ricerca scientifica e stabilizzare i precari».
Il riconoscimento
I
l Premio Rita Levi Montalcini nasce nel 1999 per riconoscere l’impegno dei giovani ricercatori italiani dedicati alla ricerca scientifica sulla sclerosi multipla. Ogni anno, una giuria internazionale conferisce il premio a un giovane ricercatore di età inferiore ai 40 anni, scelto tra una rosa di candidati.
Rita Levi Montalcini.
Il Giornale dei Biologi | Giugno 2018 19
SALUTE
Rapporto Censis: la spesa sanitaria privata degli italiani sale a 40 miliardi Un aumento del 9,6% in cinque anni © Tyler Olson/www.shutterstock.com
di Domenico Esposito
L
a spesa sanitaria privata degli italiani toccherà, entro fine anno, quota 40 miliardi di euro, a fronte dei 37,3 spesi lo scorso anno. Il trend è decisamente in salita: basti pensare che, nel periodo intercorrente tra il 2013 e il 2017, la spesa in questione è aumentata del 9,6 per cento in termini reali, un dato di gran lunga superiore ai consumi complessivi, che nello stesso arco temporale sono invece aumentati del 5,3 per cento. Sono ben 44 milioni gli italiani che hanno tirato fuori di tasca propria i soldi per pagare interamente o parzialmente le prestazioni mediche, attraverso l’ausilio del ticket. Questi i dati che emergono dal rapporto Censis-Rbm Assicurazione Salute, che è stato presentato in occasione del “Welfare day 2018”. E, ovviamente, a farne le spese sono soprattutto le fasce più deboli, economicamente parlando, della popolazione. Nel biennio 2014-2016, se da un lato i consumi delle famiglie operaie sono rimasti sostanzialmente fermi al palo (si registra un debolissimo +0,1 per cento), dall’altro le spese sanitarie private sono schizzate del 6,4 per cento. Per far comprendere al meglio la gravità della situa-
20
Il Giornale dei Biologi | Giugno 2018
zione, c’è un ulteriore dato che balza agli occhi: l’intera tredicesima degli operai viene spesa per pagare le cure sanitarie private familiari, per una cifra che ammonta quasi a 1.100 euro ogni anno. E per coloro i quali non riescono a far fronte a questa spesa, c’è un aspetto ancora più allarmante: addirittura moltissime famiglie (7 su 10) sono costrette a indebitarsi. La sintesi di questi dati rappresenta davvero un paradosso: meno si guadagna, più bisogna trovare danaro in aggiunta al reddito per pagare le spese sanitarie. Al danno spesso si associa la beffa: il 68 per cento dei la-
Prestazioni mediche: 44 milioni di italiani hanno pagato le prestazioni interamente o parzialmente
voratori è stato costretto a chiedere giorni di permesso per recarsi nelle strutture sanitarie pubbliche perché le stesse sono spesso chiuse in orari non lavorativi. E poi c’è il dato riguardante i cosiddetti furbetti del mestiere: 12 milioni di italiani hanno saltato le lunghe liste d’attesa del pubblico facendo ricorso a raccomandazioni. Un malcostume duro a morire non solo a queste latitudini. La percezione di quello che dovrebbe essere il servizio sanitario pubblico è estremamente negativa: il 54,7 per cento degli italiani è convinto del fatto che non si possono avere diagnosi e cure uguali per tutti. Molti vorrebbero escludere o punire economicamente alcune categorie, come gli alcolisti e i tossicodipendenti, per non vedersi togliere risorse a favore di se stessi e dei propri congiunti. Infine, il 37,8 per cento degli italiani prova rabbia verso il servizio sanitario a causa delle liste d’attese troppo lunghe o i casi di malasanità. Un italiano su quattro esprime un parere critico perché, oltre alle tasse, bisogna pagare di “tasca propria troppe prestazioni” e perché le strutture “non sempre funzionano come dovrebbero”.
© Romolo Tavani/www.shutterstock.com
SALUTE
Assistenza sanitaria pubblica o privata? È una questione di fiducia L’85% degli italiani vuole scegliere liberamente medici e ospedali
N
on è un problema di pubblico o privato ma è sostanzialmente una questione di fiducia. Quando si tratta di scegliere una struttura sanitaria o un medico al quale affidarsi per una consulenza, l’85 per cento degli italiani giudica importante poter selezionare nel servizio sanitario il professionista e la struttura di cui si fidano, senza distinguere tra pubblico o privato. La libertà di scelta tra strutture pubbliche e strutture private accreditate è un valore condiviso trasversalmente nel territorio: dall’85 per cento dei residenti al Nord-Ovest, l’87 per cento al Nord-Est, l’82 per cento al Centro e l’87 per cento al Sud. “È un riconoscimento sociale pieno e altamente condiviso del valore della libera scelta, che rende il pluralismo in sanità molto di più che un semplice meccanismo di organizzazione dell’offerta”. L’analisi è contenuta in un ricerca del Censis, realizzata in collaborazione con l’Aiop, dalla quale emerge che anche la politica dice sì alla sanità mista pubblico-privato. Solo il 3 per cento dei consiglieri regionali italiani interpellati dal Censis vorrebbe mettere al bando per legge la sanità privata accreditata nel Servizio sanitario nazionale. La maggioranza (il 63 per cento) è invece molto favorevole al ruolo del privato accreditato, mentre il restante 34 per cento vorrebbe dirottare le
Esiste un gap tra fabbisogni ospedalieri e offerta di posti letto risorse preferibilmente verso le sole strutture pubbliche. Complessivamente, è positivo il giudizio sulla devolution sanitaria: il 62 per cento dei consiglieri regionali è convinto che sia stata vantaggiosa. Al Nord il giudizio positivo sale all’80 per cento dei consiglieri regionali, mentre al Centro (il 47 per cento dà un giudizio positivo, il 53 per cento negativo) e al Sud (il 28 per cento positivo, il 72 per cento negativo) prevale lo scetticismo. Per il 32 per cento dei consiglieri regionali la devolution ha creato una sanità più vicina ai bisogni dei cittadini, per il 30 per cento ha il merito di aver fatto emergere le diverse performance regionali. Per contenere o ridurre le differenze tra le Regioni, il 56 per cento dei consiglieri regionali vorrebbe premiare quelle che funzionano meglio e penalizzare le altre, il 44 per cento invece vorrebbe un fondo di perequazione a beneficio delle Regioni in difficoltà. I consiglieri regionali del Nord (68 per
cento) e del Centro (60 per cento) propendono maggiormente per un sistema di premi e penalità, invece quelli del Sud (76 per cento) vedono meglio un fondo di perequazione a favore delle Regioni in difficoltà. “Anche la politica - spiega l’indagine del Censis - ha ormai chiaro che la promessa fatta dalla riforma sanitaria di garantire le cure ospedaliere a tutti gli italiani è stata mantenuta anche grazie ai posti letto e alle prestazioni messe in campo dalle strutture private accreditate”. In questo quadro, i tagli agli ospedali effettuati negli ultimi otto anni “sono stati molto pesanti”. Tra il 2008 e il 2016 il tasso di ospedalizzazione è crollato da 192,8 a 140,9 per mille abitanti, i ricoveri sono diminuiti del 25,6 per cento, e tra il 2011 e il 2015 le giornate di degenza si sono ridotte del 10 per cento. Esito della normativa che ha imposto 2,7 posti letto ospedalieri per 1.000 abitanti, quando la media dei paesi europei è di 4 posti letto per mille abitanti. «Oggi , ricorda l’analisi del Censis, esiste un gap tra fabbisogni ospedalieri e offerta di posti letto. Intanto l’ospedalità privata ha comunque saputo fare di più con meno, perché assorbe il 13,6 per cento della spesa pubblica ospedaliera, erogando il 28,3 per cento delle prestazioni in termini di giornate di degenza». (D. R.) Il Giornale dei Biologi | Giugno 2018 21
SALUTE
Ecco il piano per dichiarare guerra al cancro: un investimento di oltre 14 milioni l’anno per i prossimi sette e circa 200 studiosi coinvolti
U
n investimento di oltre 14 milioni di euro l’anno per i prossimi sette e circa duecento scienziati coinvolti. È questo il piano studiato dall’Airc, l’Associazione italiana per la ricerca sul cancro, per dichiarare guerra alle metastasi tumorali. Si tratta di un programma speciale 5x1000 dedicato che prevede sei sfide e valutazioni intermedie dopo 3 e 5 anni. Un cospicuo investimento che prosegue l’impegno dei precedenti programmi speciali sostenuti in quest’ultimi dieci anni grazie dalle donazioni di milioni di italiani. Stando ai numeri dell’Agenzia dell’entrate relativi alla dichiarazione del 2016, l’Airc sarebbe il primo ente beneficiario, con quasi 1,7 milioni di preferenze per 64,5 milioni di euro. «Dopo il successo ottenuto dai primi due programmi speciali - spiega il direttore scientifico Federico Calligaris Cappio - si è voluto investire su nuove risorse per rafforzare la già forte spina dorsale della ricerca oncologica. L’Obiettivo oltre che ottenere risultati di notevole impatto per la cura del cancro è quello di creare un vero e proprio network di ricercatori molto qualificati». I coordinatori dei programmi saranno Alberto Bardelli e Paolo Comoglio dell’Istituto di Candiolo - Fondazione del Piemonte per l’oncologia, Roberto Foà,
22
Il Giornale dei Biologi | Giugno 2018
Tumori L’Airc finanzia la ricerca co di Marco Modugno
dell’Università “La Sapienza” di Roma, cura della malattia oncologica». Lo scopo Michele Maio, dell’azienda ospedaliera del progetto, raccontano i coordinatori, è Università di Siena, Alberto Mantovani, quello di conoscere meglio i meccanismi dell’Università “Humanimolecolari della dissemitas” di Rozzano, e AlesGli studi condotti nazione tumorale e idensandro Vannucchi, dell’Utificare nuovi approcci per dai ricercatori niversità di Firenze. Ad il trattamento della malataffiancarli ci saranno circa affrontano anche tia metastatica. duecento scienziati distriI sei programmi, sele neoplasie buiti in gruppi di ricerca e lezionati accuratamente, dislocati su tutto il territoaffrontano la complessità del sangue rio nazionale. metastasi da diverse e del colon-retto delle «Si è deciso un inveangolazioni. Due affronstimento così rilevante tano i tumori del sangue, spiegano i referenti dell’Airc - perché le due si concentrano sull’immunoterapia, metastasi rappresentano la causa di circa la nuova frontiera dei trattamenti anil 90 per cento dei decessi e rappresenta- ticancro, due si occupano dei tumori al no uno dei problemi ancora irrisolti per la colon-retto e delle neoplasie con sede
SALUTE © SewCream/www.shutterstock.com
L’Associazione e i Programmi Speciali 5x1000
L’
© SewCream/www.shutterstock.com
ontro le metastasi
Associazione italiana per la ricerca sul cancro (Airc) è un ente privato senza fini di lucro nato nel 1965 grazie all'iniziativa di alcuni ricercatori dell'Istituto dei tumori di Milano, fra cui Umberto Veronesi e Giuseppe Della Porta. Dalla sua nascita, l’Airc si impegna a raccogliere fondi e finanziare progetti di ricerca oncologici presso laboratori universitari, ospedali e istituti scientifici, assegnando borse di studio a giovani ricercatori in modo da migliorare le loro conoscenze e abilità e coinvolgendo o informare il pubblico sui progressi compiuti dalla ricerca oncologica. Ogni anno l’Associazione, a seguito di un lavoro di valutazione che viene © pio3/www.shutterstock.com effettuato dal comitato tecnico-scientifico, distribuisce i fondi raccolti tra i progetti di ricerca che vengono ritenuti validi. Dal 2006 oltre un milione di italiani ha devoluto all’Airc il 5x1000 delle tasse nella dichiarazione dei redditi. La risposta a questa iniezione di fiducia è stato l’avvio di Programmi Speciali, come quello in oncologia clinica molecolare o in diagnosi precoce e analisi del rischio di sviluppo tumorale.
primaria sconosciuta. coinvolgere il maggior numero di ricerca«Uno dei criteri chiave per la selezio- tori possibile: la risposta è stata talmenne dei programmi – spiegano dall’Asso- te numerosa e con un livello di proposte ciazione - è la “traslaziotalmente alto che abbianalità”, cioè la capacità di Le nuove ricerche mo deciso di proporre un tradurre rapidamente le secondo bando su questo puntano scoperte della ricerca in tema, sempre finanziato strumenti utili alla clinica dal 5x1000, che verrà reso sul cancro e ai pazienti, in un vero pubblico nel giugno di polmonare, dialogo fra ricercatori di quest’anno». laboratorio e clinici, afTra i tanti successi otil “big killer” finché ciò che viene invetenuti dai precedenti Prodelle donne stigato dai primi risponda grammi speciali, l’Airc riai bisogni concreti dei secorda quelli per la cura del condi». tumore al polmone al pancreas. «Il faro «La scelta di concentrarsi unicamen- del nostro studio è il tumore al polmone, te sulle metastasi - racconta Caligaris il nuovo “big killer” delle donne - dice GaCappio - è stata dettata dalla volontà di briella Sozzi dell’Istituto nazionale tumo-
ri di Milano -. Abbiamo messo a punto un esame del sangue in grado di individuare la presenza di un tumore due anni prima di quanto accade con la Tac spirale. Lo stiamo già sperimentando: se i risultati saranno confermati, potrà essere usato per monitorare le persone a rischio». Contro il cancro al pancreas che «colpisce ogni anno circa novemila persone - racconta Aldo Scarpa, direttore del centro di ricerca Arc-Net dell’Università di Verona - con il mio gruppo abbiamo catalogato diverse sottoclassi del tumore e per ciascuna abbiamo fatto la mappa genetica, una carta d’identità che racconta la malattia nel dettaglio. Questo ci permette di personalizzare al massimo la terapia con cure specifiche e mirate». Il Giornale dei Biologi | Giugno 2018 23
SALUTE
La ricerca è stata pubblicata su Nature dal gruppo dello scienziato Ali Brivanlou, della Rockefeller University di New York
C
he destino avrà la cellula, come si “muoverà” la più piccola struttura classificata come “vivente” in un organismo, cosa contribuirà a costruire lungo il suo percorso. Magari il cervello, oppure la pelle o, ancora, chissà, il fegato, le ossa, i muscoli. A questa domanda hanno dato una risposta i ricercatori dell’università “Rockfeller” di New York. A loro, infatti, è toccato il compito, primi nella storia, di individuare quello che viene definito come il “regista dell’embrione umano” risolvendo così uno degli enigmi più affascinanti della Biologia moderna, il “Sacro Graal” della ricerca scientifica. Il loro studio, pubblicato sulla rivista Nature, e condotto dal gruppo del professor Ali Brivanlou, ha svelato, in buona sostanza, come funziona la “staffetta” di geni e proteine che indica, a ogni cellula, quale sarà il suo “futuro”, spalancando così la visuale su scenari finora rimasti inesplorati. «La scoperta dell’organizzatore dell’embrione umano è un lavoro bellissimo sotto ogni profilo», ha commentato Carlo Alberto Redi, direttore del Laboratorio di Biologia dello Sviluppo dell’università di Pavia. Era attesa da almeno un secolo ed è arrivata da poche cellule staminali embrionali umane utilizzate, nella ricerca dell’università newyorkese, come un vero e proprio laboratorio che ora si presta ad essere utilizzato in una grande quantità di modi. Per esempio, quando cominciano a specializzarsi, le cellule possono essere im-
24
Il Giornale dei Biologi | Giugno 2018
Scoperto il “regista” dell’embrione umano: decide il destino delle cellule di Lello Scarpato
piegate per osservare da vicino le trasfor- te da una minuscola impalcatura e da un mazioni così da individuare gli eventuali cocktail di fattori di crescita – hanno spiedifetti che impediscono a un embrione di gato gli scienziati del gruppo di Ali Briattecchire nell’utero. Ma vanlou – le cellule embrionon è finita qui. Sì, perché Aiuterà a studiare nali hanno dato vita a una diventa anche possibile, a struttura tondeggiante. Si la nascita questo punto, osservare, è quindi formata una “gain diretta, la nascita di un strula”, cioè una struttura di un tumore tumore e cercare le armi di sferica formata da tre strati e a cercare precisione per stroncarlo concentrici (chiamati fosul nascere, oltre a veriglietti embrionali) che danle armi giuste ficare se e quali farmaci o no origine agli organi, alla per stroncarlo sostanze presenti nell’amplacenta e alle strutture nebiente rischiano di provocessarie perché l’embrione care danni durante lo sviluppo embrionale. si impianti nell’utero. E ora veniamo al modus operandi del Successivamente i ricercatori della team dell’università newyorkese. Aiuta- “Rockfeller” hanno messo alla prova questa
SALUTE
Coronato così il filone di studi avviato quasi un secolo fa, nel 1924, dagli embriologi tedeschi Hans Spemann e Hilde Mangold
L’ateneo dei Premi Nobel
L
© Andrii Vodolazhskyi/www.shutterstock.com
versione in miniatura dell’embrione primiLe loro ricerche furono premiate con il tivo impiantandola in un embrione di pollo. Premio Nobel nel 1935 (che solo Spemann E lì hanno avuto la conferma definitiva del- ritirò, dedicandolo alla sua collaboratrice, la sua capacità di “dirigere” morta a soli 26 anni) e sono Da una minuscola state la base per gli esperied organizzarsi (e del meccanismo con cui tutto ciò menti che nel 1996 hanno impalcatura avviene). permesso di riprogrammaha preso forma La scoperta ha dunque re l’embrione: da un lato coronato il filone di ricerca quelle ricerche hanno poruna struttura inaugurato nel 1924 dagli tato alla clonazione della sferica formata embriologi tedeschi Hans pecora Dolly e dall’altro Spemann e Hilde Mangold, hanno permesso di produrda tre strati che per primi erano riuscire cellule staminali embrioti ad individuare il regista nali. Il futuro, invece, queldello sviluppo embrionale in cellule di or- lo è ancora tutto da scrivere. ganismi molto semplici, come quelle di saMa con queste premesse, c’è di che eslamandra. sere ottimisti.
a Rockefeller University si trova nell’Upper East Side del borough di Manhattan, a New York. È una prestigiosa università privata americana specializzata nel campo della ricerca medica e scientifica. La sua offerta formativa si basa su corsi post-lauream e post-dottorato soprattutto nel campo delle scienze biologiche. Molti dei suoi docenti e ricercatori sono stati insigniti di premi e riconoscimenti a livello internazionale. Alla “Rockfeller” si conteggiano, tra l’altro, ben 22 vincitori di un Premio Nobel per la Medicina o per la Chimica.
Il Giornale dei Biologi | Giugno 2018 25
SALUTE
Sarà la chiave per comprendere meglio una vasta gamma di malattie e sviluppare farmaci più efficaci. Si potranno anche scoprire nuovi bersagli per farmaci vecchi
U
na scoperta che potrebbe cam«Le proteine sono state relativamenbiare in maniera radicale il te poco studiate nel sangue umano, anche mondo della ricerca scientifica se sono gli effettori della biologia umana, ed il modo stesso con cui si af- sono sconvolte in molte malattie e sono frontano determinate patologie. gli obiettivi della maggior parte dei farUn team internazionale di ricercato- maci», afferma Adam Butterworth dell’Uri, guidato dagli scienziati niversità di Cambridge, dell’Università di Cambriautore senior dello studio. Utilizzata dge e della farmaceuti«Le nuove tecnologie ci una tecnologia ca Msd, ha infatti messo consentono ora di iniziare a punto la prima mappa a colmare questa lacuna innovativa con genetica dettagliata delle nostre conoscenze». la quale sono state nelleTra proteine del sangue umal’altro, questa analizzate 3.300 mappa genetica potrà no. Un vero e proprio “Atlante genetico” - come lo consentire l’identificaziopersone hanno definito gli scienne di particolari percorsi ziati - dei “mattoncini” biologici che causano maprincipali che costituiscono il sangue. lattie come il morbo di Crohn e l’eczema, La scoperta promette di migliorare ed ma anche importanti patologie cardiovaaiutare a comprendere meglio una vasta scolari. gamma di malattie e a sviluppare nuovi «Grazie alla rivoluzione genomica farmaci più efficaci. – gli fa eco James Peters, uno dei prinLo studio, pubblicato sulla rivista Na- cipali autori dello studio – negli ultimi ture, ha caratterizzato le basi genetiche dieci anni siamo stati bravi a trovare asdel proteoma del plasma sociazioni statistiche tra umano, identificando quagenoma e malattie, ma la Una proteina si 2.000 associazioni genedifficoltà è stata quella di in precedenza tiche con circa 1.500 proidentificare i geni e le vie teine. Per riuscirci, il team associata a patologie che causano le patologie. di ricercatori ha utilizzato Ora, combinando il nostro polmonari, una nuova tecnologia (Sodatabase con ciò che sapmascan) sviluppata da è risultata correlata piamo sulle associazioni un’azienda, la SomaLogic, varianti genetiche e a malattie cardiache tra per misurare 3.600 promalattie, siamo in grado teine nel sangue di 3.300 di dire molto di più sulla persone. Gli scienziati hanno poi analiz- biologia della malattia stessa». zato il Dna di questi soggetti per vedere In alcuni casi, i ricercatori hanno quali regioni del loro genoma fossero as- identificato più varianti genetiche che insociate ai livelli proteici, ottenendo così fluenzano i livelli di una proteina. Combidati che sono quattro volte maggiori ri- nando queste varianti in un “punteggio” spetto alle conoscenze precedenti. per ciascuna proteina, sono stati in gra-
26
Il Giornale dei Biologi | Giugno 2018
Pronto l’atla delle protei
Messo a punto da un team guidato dall’Università di
Fattore VIII della coagulazione, FVIII, una proteina essenziale di coagulazione de
do di identificare nuove associazioni tra proteine e patologie. Ad esempio MMP12, una proteina precedentemente associata a malattia polmonare, è risultata correlata anche alle malattie cardiache.Tuttavia, mentre i livelli più alti di MMP12 sono associati a un minor rischio di malattia polmonare, è vero il contrario nelle malattie cardiache e negli ictus. Questa informazione potrebbe essere importante, in quanto i farmaci sviluppati per colpire questa proteina nei pazienti affetti da malattie polmonari potrebbero inavvertitamente aumentare il rischio di malattie cardiache. Gli scienziati di Msd hanno contribuito a mettere in evidenza come i dati genetici proteomici potrebbero essere utilizzati per la scoperta di nuovi farmaci.
© Kateryna Kon/www.shutterstock.com
SALUTE
ante genetico ine del sangue
m internazionale i Cambridge
el sangue. Illustrazione 3D.
Ad esempio, oltre a evidenziare potenziali effetti collaterali, l’atlante potrà mettere in luce nuovi bersagli per medicinali vecchi o ancora da scoprire. Collegando farmaci, proteine, variazioni genetiche e malattie, il team ha suggerito infatti che anche i medicinali esistenti potrebbero trovarsi a vivere una seconda vita, rivelandosi efficaci contro patologie diverse rispetto a quelle per le quali sono stati creati. Questa ricerca potrebbe inoltre accelerare lo sviluppo di nuovi prodotti. Lo studio è stato finanziato, oltre che da Msd, da National Institute for Health Research, Nhs Blood and Transplant, British Heart Foundation, Medical Research Council, UK Research and Innovation e SomaLogic. (L. S.)
Il proteoma umano
C
on il termine proteoma, coniato da Mark Wilkins nel 1994, si intende l’insieme di tutte le informazioni necessarie a sintetizzare le proteine di un organismo o di un sistema biologico, ossia le proteine prodotte dal genoma. Il termine è utilizzato per diversi tipi di sistemi biologici. C’è, ad esempio, il proteoma cellulare, cioè l’insieme di proteine trovate in un determinato tipo di cellule in particolari condizioni ambientali. Il proteoma completo di un organismo può essere immaginato come l’insieme globale delle proteine di tutti i proteomi cellulari. Il termine viene usato anche per riferirsi all’insieme delle proteine di un sistema biologico sub-cellulare. Lo studio del proteoma è detto Proteomica. A differenza della genomica, che studia il corredo genico di un organismo, la proteomica si occupa dell’intero corredo proteico contenuto in una cellula in un dato momento. Negli individui, inoltre, il numero delle proteine (che superano il milione) supera notevolmente il numero dei geni (che si aggira attorno ai 20mila).
Il Giornale dei Biologi | Giugno 2018 27
SALUTE
Sla: retrovirus nel mirino per arrivare alla cura Uno studio italiano indaga sulle infezioni dei nostri antenati
© Tyler Olson/www.shutterstock.com
di Rino Dazzo
U
n’equipe di scienziati italiani in prima fila nella ricerca sulla Sla, la sclerosi laterale amiotrofica. È il team del progetto Irkals, portato avanti da un gruppo di ricercatori coordinati dal professor Leonardo Antonio Sechi, dell’Università di Sassari, e finanziato dalla Fondazione Arisla e da varie associazioni benefiche anche attraverso le donazioni del 5x1000. Gli studiosi italiani, in un articolo pubblicato sull’European Journal of Neurology, hanno illustrato i risultati delle loro ricerche sulle particolari relazioni tra la Sla e i retrovirus endogeni umani, gli Hervs, residui di infezioni retrovirali che si sono verificate nei nostri progenitori durante l’evoluzione. Vere e proprie tracce di un passato multimillenario che ormai fanno parte di noi, visto che costituiscono l’8 per cento del patrimonio genetico umano. Nella stragrande maggioranza dei casi questi retrovirus restano quiescenti, ma nel caso della Sla gli Hervs vengono riattivati in grandi quantità. L’indagine di Sechi e del suo team, per l’appunto, si è concentrata sul coinvolgimento degli Herv-K e degli Herv-W attraverso l’analisi della risposta immunitaria contro la proteina “env”. Lo studio ha evidenziato come gli anticorpi contro Herv-K siano presenti sia nel
28
Il Giornale dei Biologi | Giugno 2018
La ricerca è stata fatta dal team del professor Sechi dell’Università di Sassari, finanziato da Fondazione Arisla sangue periferico che nel sistema nervoso centrale dei pazienti affetti da questa particolare malattia rara, a differenza di quelli sani oppure affetti da altre malattie come la sclerosi multipla, in cui invece sono presenti anticorpi contro Herv-W. Adesso occorre indagare ulteriormente per valutare se la riattivazione dei retrovirus endogeni sia conseguente alla malattia stessa oppure ne rappresenti una causa concomitante ed è soprattutto questa possibilità a far sperare in un miglioramento dello stato di salute dei pazienti di Sla. Come? Attraverso terapie antiretrovirali in grado di inibire l’entrata in azione dei retrovirus endogeni, su cui stanno già lavorando i ricercatori statunitensi del National Institute of Neurological Disorders and Stroke, guidati dal professor
Nath. Anche se la riattivazione dei retrovirus dovesse rivelarsi una conseguenza della Sla, in ogni caso, il loro monitoraggio potrebbe fornire importanti risposte sulla progressione della malattia, fungendo da biomarcatori. Tutti questi dettagli rendono in maniera efficace l’importanza del lavoro del gruppo di studio di Sechi, grazie ai notevoli investimenti nella ricerca da parte della Fondazione Arisla. I progetti finanziati negli ultimi anni dalla fondazione, nata nel 2008 su iniziativa di Aisla Onlus - Associazione Italiana Sclerosi Laterale Amiotrofica, Fondazione Cariplo, Fondazione Telethon e Fondazione Vialli e Mauro per la Ricerca e lo Sport Onlus, hanno consentito l’identificazione di sei dei nove nuovi geni coinvolti nell’insorgenza della Sla e la creazione di una rete di 25 centri clinici d’eccellenza in tutto il paese. L’Italia, del resto, è il secondo paese al mondo dopo gli Stati Uniti per pubblicazioni scientifiche sulla Sla. La ricerca su questa malattia è molto sentita nel nostro paese, soprattutto a seguito dell’enorme clamore mediatico suscitato dai numerosi casi che hanno riguardato campioni dello sport e del calcio in particolare, come Stefano Borgonovo e Gianluca Signorini.
SALUTE
Un gel iniettabile “ripara” i danni cerebrali Incoraggianti i risultati degli esperimenti dell’Università della California. Sui topi ha funzionato
I
l cervello prima o poi farà la fine della coda di lucertola: potrebbe ricrescere dopo un trauma. A “mozzare” alcune parti delle funzioni cerebrali interviene spesso una lesione da ictus che in Italia, stando al dipartimento delle malattie cardiovascolari, dismetaboliche e dell’invecchiamento dell’Istituto Superiore di Sanità che coordina la Health Examination Survey 2018-2019 del Progetto Cuore, colpisce quasi 200mila persone ogni anno. È la principale causa di disabilità grave nei Paesi sviluppati e la terza di morte. Ora, per cercare di riparare un cortocircuito della testa e “restaurare” il cervello, interviene un gel biotecnologico messo a punto dai ricercatori guidati dalla biochimica Tatiana Segura. Almeno sui topi ha funzionato: gli studi pubblicati su Nature Materials dai ricercatori dell’Università della California a Los Angeles hanno svelato risultati incoraggianti. Ma come agisce il gel e come si applica? Il composto è progettato per addensarsi una volta raggiunto il cervello, comportandosi come una sorta di impalcatura per la crescita neuronale e vascolare nuova: come colla che unisce due solchi. Contiene anche antinfiammatori: la flogosi, infatti, lesiona le cellule e impedisce la ricrescita di nuove connessioni nervose. Il gel contro “graffi e cicatrici” apre così la strada a terapie innovative. Lo studio, spiega il neurologo Stanley Thomas Carmichael, «indica che nuovo tessuto cerebrale può essere rigenerato: il solco di una cica-
© sfam_photo/www.shutterstock.com
trice inattiva può essere rianimato». Dopo l’ictus il tessuto cerebrale “morto” viene riassorbito, lasciando una cavità inerte priva di vasi sanguigni, neuroni e fibre nervose. Per rimarginare questa lesione lo speciale gel viene iniettato nel cervello e, come calce, si addensa e acquista volume mimando le proprietà del tessuto cerebrale in modo da formare un ponteggio che sostiene la rigenerazione. L’efficacia è stata testata sui topi nei giorni immediatamente successivi all’ictus: il gel è stato somministrato insieme a molecole che stimolano la formazione di vasi sanguigni e sopprimono l’infiammazione che è il processo responsabile della formazione delle cicatrici che impediscono la crescita di nuovo tessuto funzionale. Così anche l’idea che, diversamente da altri tessuti nel corpo, il cervello non possa
essere rigenerato sta per tramontare: dopo quattro mesi nelle cavità rigenerate è comparso tessuto cerebrale con nuovi circuiti neurali, un risultato mai osservato prima. I topi con i nuovi neuroni hanno mostrato anche un miglioramento delle capacità motorie, ma non è ancora chiaro il meccanismo sotteso a questo effetto. «È possibile che le nuove fibre nervose abbiano un’autonomia funzionale - ipotizza Segura - oppure che il nuovo tessuto migliori in qualche modo le performance del tessuto sano circostante». Alla fine dell’esperimento il gel biotech è stato completamente riassorbito dal corpo, lasciando soltanto il nuovo tessuto rigenerato come bagnasciuga dopo la tempesta. E se si confidava nella disconnessione cerebrale per obliare i pensieri cattivi, ora toccherà affrontarli. (F. C.) Il Giornale dei Biologi | Giugno 2018 29
SALUTE
Il particolare tessuto è stato utilizzato per un trial clinico in cui 49 pazienti psoriasici hanno mostrato una riduzione delle placche psoriasiche
L
a resistenza alle infezioni delle specie di pesci cartilaginei, come gli squali, e la bassa incidenza dei tumori, è probabilmente da ricercare nella presenza di composti con azione antitumorale presenti nei tessuti di questi pesci, come gli alchilgliceroli, che stimolano l’ematopoiesi e l’immunomodulazione, lo squalene, che oltre ad essere un agente antiossidante e detossificante, ha un’azione protettiva per la cute, e non ultima la cartilagine, antiinfiammatoria è utilizzata nella medicina tradizionale per il trattamento di artrite, osteoartrite e psoriasi. Studi hanno mostrato che gli acidi grassi polinsaturi, tra cui gli Omega-3 e gli Omega-6, svolgono un’azione antitumorale, antinfiammatoria e antiproliferativa. La maggior parte dell’olio di fegato di squalo contiene una serie di classi di lipidi che includono AKGs, triacilgliceroli, squalene e acidi grassi principalmente polinsaturi Omega-3, ma anche acidi grassi saturi, monoinsaturi e polinsaturi Omega-6, la cui composizione dipende da una serie di fattori quali la specie di squalo, le relative dimensioni, il sesso, il tipo di alimentazione, la capacità di nuoto, il livello riproduttivo e il clima. La cartilagine di squalo è un composto che è stato utilizzato per un trial clinico in cui 49 pazienti psoriasici, trattati con un’elevata dose giornaliera di cartilagine di squalo, hanno mostrato una riduzione delle placche psoriasiche con effetti do-
30
Il Giornale dei Biologi | Giugno 2018
se-dipendenti e una riduzione dell’indice si indotta dalla collagenasi in colture di PASI (Psoriasis Area Severity Index) cellule endoteliali del cordone ombelicaQuesto composto, presente nelle le umano (McGuire et al., 1996; Sheu et specie di squalo, strutturalmente com- al., 1998), ha anche un effetto anti angioprende proteine (quali la troponina-I), genetico e inibisce la crescita tumorale, tetranectina, collagenacome nel caso di carcinosi, inibitori derivati dalla I pesci cartilaginei ma, sarcoma e melanoma cartilagine (CDI), inibitori (Lee et al., 1983; Oikawa hanno mostrato tissutali delle metalloproet al., 1990; Davis et al., una resistenza teinasi (TIMP), glicopro1997). teine (sinastatina-1 e 2, In un altro trial clinico alle infezioni galattosamina, glucosacondotto da Lane & Cone una bassa mina) e glicosaminoglitreras (1992), 8 pazienti cani (condroitin solfato, con tumore avanzato (staincidenza condroitin solfato-6, kedio III e IV) resistenti ai di tumori ratan solfato) e agisce trattamenti precedenti, e sulla migrazione cellulare, con aspettativa di vita inproduce una riduzione dose dipendente feriore ai 6 mesi, sono stati trattati con dell’incorporazione della timidina, inibi- cartilagine di squalo e suddivisa in 2 o sce l’angiogenesi, blocca la collagenoli- 3 dosi, per via orale o rettale, per 7 set-
SALUTE © Tefi/www.shutterstock.com
Gli acidi grassi polinsaturi, tra cui gli Omega-3 e gli Omega-6, svolgono un’azione antitumorale, antinfiammatoria e antiproliferativa
Terapie a base di Nutraceutici e cartilagine di squalo Supporto nelle cure per le patologie infiammatorie di Rosa Funaro
La specie dei Condritti © SewCream/www.shutterstock.com
timane. I risultati hanno mostrato una dizionali terapie. Inoltre l’olio di fegato riduzione dell’80 per cento del tumore di squalo, un integratore alimentare ben dopo 11 settimane di trattamento senza noto e gli AKGs sono nutraceutici potentossicità significativa in 6 pazienti. zialmente utili, ampiamente prescritti e Ed è oramai ben noto che negli ultimi auto prescritti nei paesi del Nord Euro10 anni, è stato osservato pa, con numerosi benefici un significativo incremenclinici in dermatologia, imLe sostanze to del consumo, a livello munologia e oncologia. prese in esame mondiale, di erbe, lievito Questi composti sono di birra, alghe, polline e generalmente molto sicuri potrebbero pappa reale, olio di pee le ricerche sperimentali supportare sce, Omega-3, integratori biochimiche e precliniche di acidi grassi essenziali, sono incoraggianti: il fole rendere più colostro bovino, germe di dei pazienti che efficaci le terapie low-up grano e funghi, tra i quali seguono in modo costante tradizionali shiitake (Lentinula edola terapia con questi comdes) e reishi (Ganodema posti naturali, potrebbe lucidum). essere un possibile step per verificare © Olha Rohulya/www.shutterstock.com Ciò evidenzia l’interesse verso l’utiliz- l’efficacia del trattamento di differenti zo di tali sostanze a supporto delle tra- patologie.
I
Condritti o Condroitti, detti anche pesci cartilaginei, sono una classe di pesci che comprende oltre 1100 specie diverse e a cui appartengono squali, chimere e forme affini. Si distinguono a prima vista dai pesci ossei per la scarsa simmetria su un piano orizzontale. La bocca, infatti, si trova più in basso, mentre la pinna è asimmetrica. La loro caratteristica principale è lo scheletro interno cartilagineo, da cui il nome della classe. Non possiedono, pertanto, ossa dermiche. Il cranio è platibasico e la maggior parte delle specie possiede 5 fessure branchiali. Tutti i Condroitti possiedono scaglie dermiche placoidi e uno sviluppato apparato di elettroricezione. La riproduzione è sessuata con fecondazione interna, che avviene grazie alla presenza nei maschi di pterigopodi, due appendici con funzione copulatoria che si estendono dalla regione centrale delle pinne pelviche. Non producono una cospicua prole, per questo sono considerate a elevato rischio di estinzione.
Il Giornale dei Biologi | Giugno 2018 31
© paulynn/www.shutterstock.com
SALUTE
Cosmetologia e staminali vegetali Cellule Meristematiche nelle Emulsioni O/A per la terapia topica dell’invecchiamento cutaneo di Carla Cimmino
L
e colture cellulari vegetali forniscono alternative utili per la produzione di principi attivi per usi biomedici e cosmetici, poiché rappresentano sistemi standardizzati, privi di contaminanti e biosostenibili, che consentono la produzione di composti desiderati su scala industriale. Inoltre, grazie alla loro totipotenza, le cellule vegetali coltivate come colture liquide in sospensione, possono essere utilizzate come “biofattorie”, per la produzione di metaboliti secondari commercialmente interessanti, che in molti casi sono sintetizzati in basse quantità nei tessuti vegetali e distribuiti in modo diverso negli organi della pianta, come radici, foglie, fiori o frutti. Il materiale del tessuto vegetale che viene utilizzato per avviare una coltura di cellule vegetali è chiamato espianto. Come espianti, tutti i tessuti vegetali potrebbero essere usati con efficienza diversa a seconda delle specie vegetali. Esistono numerosi vantaggi nell’utilizzare colture cellulari
32
Il Giornale dei Biologi | Giugno 2018
vegetali come fonti di principi attivi: (i) fornitura continua di materiale fresco, indipendentemente dalle stagioni o dal ciclo riproduttivo vegetale; (ii) le condizioni di crescita possono essere facilmente standardizzate in modo da avere sempre elevati livelli di coerenza da lotto a lotto; (iii) i componenti estratti sono sicuri e puliti, il che significa che non vi è alcun rischio di agenti patogeni o contaminazione ambientale; (iv) il sistema di produzione è altamente sostenibile: non sono necessari terreni agricoli, il che significa meno consumo di acqua e meno materiale di scarto; (v) versatilità, poiché le colture possono essere ottenute utilizzando strumenti genetici o biochimici: la concentrazione dei composti desiderati può essere aumentata e ottimizzata. La preparazione degli estratti di cellule vegetali è fondamentale per ottenere principi attivi efficienti e ricchi di specifici composti desiderati. È sempre possibile ottenere più di un ingrediente attivo della
stessa coltura, utilizzando diverse procedure di estrazione e solventi e sfruttando la natura chimica dei costituenti delle cellule vegetali. La cosmetologia avanzata sta promuovendo prodotti affermando di utilizzare la tecnologia delle cellule staminali. Recentemente una nota azienda ha creato la linea trattamento anti-age intensivo a base di SIBANID SG. Il SIBANID SG, un inibitore enzimatico selettivo, che riduce la degradazione dell’acido ialuronico, polisaccaride, cioè una molecola formata da unità ripetute del disaccaride acido glucuronico e N-acetilglucosamina, promossa dall’enzima ialuronidasi, presente nella matrice dermica. Il SIBANID SG: 1) nel trattamento anti-age quotidiano, produce una minore degradazione dell’acido ialuronico endogeno, promuovendo turgore cutaneo, distende le rughe, migliora la consistenza e la tonicità, migliora l’idratazione; 2) nel trattamento anti-age post filler, porta una minore degradazione dell’acido ialuronico esogeno,
SALUTE consolidando il risultato estetico dei filler iniettabili, prolungando gli effetti. Infatti, quasi tutte le aziende cosmetiche pubblicizzano prodotti contenenti cellule staminali, che però, in realtà, contengono degli estratti. Questi non possono agire allo stesso modo delle cellule staminali vive. I benefici della pelle liscia e soda sono dovuti agli antiossidanti e agli estratti attivi delle cellule staminali. Per ottenere tutti gli autentici benefici dalle staminali e consentire loro di lavorare nel modo in cui sono promesse alle applicazioni per la cura della pelle, esse dovrebbero essere incorporate come cellule vive e rimanere tali durante la formulazione cosmetica. Incorporare cellule staminali in un veicolo, che può aiutare le cellule a penetrare in profondità nella pelle, per fornire un reale beneficio cosmetico, è un’altra sfida da affrontare. La terapia con cellule staminali vegetali deve muoversi nella giusta direzione per implementare il suo potenziale intrinseco nella cura della pelle, ciò potrebbe accadere nei prossimi 20 anni. Avendo le piante una cascata di fitormoni che ne regolano la crescita e la rigenerazione, c’è ancora molto da capire su come questi fitormoni controllino il processo di rigenerazione e se questo può essere estrapolato per la rigenerazione nei tessuti umani. Gli ingredienti attivi nella cascata di fitormoni, che hanno azione sulle cellule staminali umane e sui tessuti umani, sono aree di interesse e attenzione per il futuro della ricerca sulle cellule staminali vegetali. La scienza delle piante in questo filone è attualmente agli albori e la ricerca nel campo delle biotecnologie a base di erbe e gli effetti fisiologici sulla pelle potrebbero
aprire nuove porte ai cosmetici. Un aspetto interessante per la ricerca futura sarà la scoperta di principi attivi, che agiscono direttamente o influenzano i percorsi di riparazione per i tessuti umani. Le colture cellulari rappresentano un sistema più versatile e potente rispetto alle piante intere, per ottenere diversi tipi di estratti con molteplici attività specifiche per la cura della pelle. Gli estratti ottenuti da colture di cellule vegetali, coltivate in condizioni di laboratorio controllate e in assenza di contaminanti e sostanze inquinanti, sono completamente standardizzati, il che garantisce un’alta qualità di prodotto sostenibile in qualsiasi momento. Inoltre, estratti di specie vegetali rare o in via di estinzione possono essere facilmente prodotti mediante colture di cellule vegetali, senza impatto ambientale e in accordo con le questioni di bio-sostenibilità che il mercato richiede. Grazie a queste proprietà uniche, l’uso della tecnologia della coltura cellulare delle cellule staminali vegetali nella cura della pelle e nel trucco funzionale, sta crescendo rapidamente. Secondo l’ultimo rapporto di consumo e di ricerca di RNCOS Business Consultant Services, si prevede che la tecnologia delle cellule “staminali” delle piante promuova il mercato cosmetico globale, perché fornisce innovazione scientifica e nuove opportunità per lo sviluppo del prodotto. Le colture di cellule vegetali rappresentano certamente un’interessante
Il meristema
I
l meristema è un tessuto vegetale le cui cellule hanno la capacità di dividersi per mitosi per originare nuove cellule. Ogni cellula meristematica deriva da un’altra cellula meristematica. La loro funzione è paragonabile a quella delle cellule staminali negli animali. Il termine, dal greco μερίζειν (merìzein= dividere), in riferimento alla sua funzione specifica, fu utilizzato per primo dal botanico svizzero Karl Wilhelm von Nägeli nel 1858. Sulla base della loro origine si distinguono tessuti meristematici primari, che derivano dalle cellule dell’embrione, e tessuti meristematici secondari, che derivano da cellule adulte già differenziate, cheriacquistano la capacità di dividersi persa con la specializzazione.
fonte di principi attivi per il mercato cosmetico, anche se in termini di costi, restano alti a causa della ricerca e dei processi biotecnologici necessari per generarli e mantenerli. Per superare questa limitazione, strumenti e tecniche biotecnologiche alternative saranno presto disponibili e applicati alla ricerca cosmetica, al fine di fornire prodotti più accessibili e sostenibili.
© kurhan/www.shutterstock.com
© pogonici/www.shutterstock.com
Il Giornale dei Biologi | Giugno 2018 33
INNOVAZIONE
Longevity city Urbanistica e qualità della vita Un percorso virtuoso per garantire il ben-essere
Tropea (VV).
di Giovanni Misasi e della commissione scientifica dell’Associazione Biologi Senza Frontiere
L’
Associazione Scientifica Biologi Senza Frontiere sta strutturando una serie di interventi, studi, ricerche e risorse per disegnare un percorso verso questa meta. Per migliorare la qualità della vita è necessario il riconoscimento della pluralità di valori che caratterizzano il benessere dell’uomo quali, ad esempio, vivere in un ambiente sano e in salute, implementare la giustizia sociale, tutelare l’ambiente e conservare il patrimonio storico/ culturale e urbanistico. L’abbandono dei borghi e delle aree che, sbrigativamente, sono definite depresse o interne, e dove – invece - prevale la qualità della vita, può portare alla scomparsa di culture, colture e tradizioni. Il progetto “I borghi del Ben Essere” si propone di restituire al borgo calabrese prima, italiano ed europeo poi, la sua identità recuperandone storia, tradizioni,
34
Il Giornale dei Biologi | Giugno 2018
cultura, produzione, paesaggio, bellezze architettoniche e urbanistiche e, non ultima, la biodiversità. Il progetto vuole fornire la base conoscitiva sulla quale impiantare un preciso percorso di recupero dell’essenza del borgo, in virtuosa simbiosi con l’attuale progresso tecnologico, al fine di migliorare la qualità della vita dell’uomo con evidenti ricadute positive in termini di crescita economica e sociale, con nuove opportunità di lavoro e d’investimento. La necessità della rinascita del borgo parte dalla condivisione del concetto di sviluppo ecosostenibile, dalla consapevolezza del grande patrimonio della nostra civiltà, dall’apprezzamento dei valori intrinseci delle diverse culture del nostro territorio e dalla condivisione del concetto di rispetto e di umanità di cui tanto se ne lamenta oggi il preoccupante degrado. È di fondamentale importanza frenare la
progressiva estinzione dei prodotti naturali, rappresentativi della nostra terra, per preservarli e tramandarli al fine di mantenere integra l’identità del luogo e della gente: ogni centro storico custodisce, infatti, un patrimonio culturale, artistico e ambientale unico che ne connota l’identità. L’obiettivo è restituire alle persone una vita ‘a misura d’uomo’ con la possibilità di andare, a piedi o in bicicletta, in luoghi con meno rumore, meno aria inquinata, dove siano tra loro ben collegate le zone residenziali, le scuole, i luoghi verdi e le piazze, dove si possano coltivare relazioni sociali e aumentare la convivialità e il rispetto reciproco, dove fanno da sfondo i “luoghi verdi”, strumento principe per il recupero delle specie autoctone che connotano - sul modello dei giardini storici - i paesaggi tradizionali. Il borgo è il modello di applicazione della nuova eco
INNOVAZIONE © Solomakha/www.shutterstock.com
L’Associazione Biologi Senza Frontiere
© Solomakha/www.shutterstock.com
B
ed equo sostenibilità, secondo una nuova cultura, che non può prescindere da una visione moderna, fondata da una parte su un’idea di città, di spazi, mobilità e di servizi, il cui strumento di attuazione passi per il rispetto dei bisogni umani e dove le risorse, e le nostre immense potenzialità storiche e naturalistiche, siano valutate secondo un approccio multidimensionale e, dall’altra, su una visione di progetti ad alto contenuto d’innovazione. Nel rispetto degli obiettivi sopraesposti il progetto intende soddisfare lo sviluppo qualitativo di una località e della sua gente che è essenzialmente: - miglioramento della qualità della vita; - tutela degli equilibri ecologici e attenzione per le interdipendenze, e quindi per tutti i “soggetti” dell’ecosistema; - ricerca di soddisfazione di bisogni soprattutto “post-materialistici” o di ordine spirituale. Quanto sopra porta a una particolare attenzione verso i criteri generali con cui valutare la “qualità”. Si passa da un approccio neoclassico in cui il valore di un bene era determinato dal suo valore di mercato (Valore Eco-
nomico totale) alla nozione della qualità della vita e al livello di soddisfacimento dei bisogni (Valore Sociale Complesso) in cui sono soddisfatti una pluralità di condizioni. Un bene possiede intrinsecamente un valore non riconducibile solo alla sfera economica. Ma come affrontare la valutazione della qualità? Il punto di partenza è il riconoscimento della pluralità di valori che caratterizzano le risorse uniche e irriproducibili che coesistono nello stesso istante e di cui è necessario tenere conto delle decisioni d’intervento. Esiste un valore storico e poi un valore artistico, e poi un valore artistico, un valore ricreativo e un valore economico e si interviene in modo corretto nella misura in cui si riesce a tenere conto di questa molteplicità, cercando di non sacrificare nessuno di tali valori nelle scelte di sviluppo/conservazione. Le analisi multi criterio sono utili per evitare che nei processi di scelta prevalga la prospettiva economica (cioè l’utile) rispetto a quella culturale (il bello) ed etico/sociale (il giusto) cioè prevalga la qualità rispetto alla quantità; questo è
iologi Senza Frontiere è un’Associazione senza fini di lucro che promuove iniziative sul territorio Nazionale e che collabora ad azioni di sviluppo eco-compatibile in Europa e nei Paesi in via di sviluppo. All’Associazione possono aderire, oltre a biologi, anche altre figure professionali quali tecnici di laboratorio, ingegneri, architetti, geologi, agronomi, forestali, economisti, tecnologi alimentari, antropologi, sociologi, ma soprattutto è aperta a tutti coloro che, indipendentemente dal titolo di studio, vogliano impegnarsi per lo sviluppo tecnologico sull’intero territorio nazionale, europeo e nei paesi in via di sviluppo. I principi ispiratori, le finalità e gli strumenti che vuole darsi per operare nell’ambito della cooperazione nazionale e internazionale e dei rapporti tra il nord e il sud dell’Italia e non solo, sono racchiusi nella “Carta della Ricerca e dell’Innovazione Tecnologica” di Biologi Senza Frontiere. È stato dedicato molto del tempo al coinvolgimento delle professionalità e ancor di più ne sarà dedicato alla sua messa in pratica. Biologi Senza Frontiere è aperta alla collaborazione e alle adesioni di tutti coloro che si riconosceranno prima di tutto nei principi riportati nella Carta. L’Associazione crede nello sviluppo integrato, dove le componenti sociali e tecniche sappiano operare in stretto rapporto tra di loro. Per questo la sua base di lavoro è la multidisciplinarietà e per tale motivo si è stabilito che al suo interno fossero presenti tutte le competenze e le professionalità necessarie per questo tipo di sviluppo.
Il Giornale dei Biologi | Giugno 2018 35
INNOVAZIONE
© Biologi Senza Frontiere
quindi un approccio che comporta l’esplicito riconoscimento della pluralità dei valori compresenti nelle specifiche risorse in esame, attraverso il cosiddetto calcolo qualitativo. Una nuova cultura urbanistica che non può prescindere da una visione nuova, fondata da una parte da un’idea di città, di spazi, di trasporto e mobilità, di
servizi sociali, il cui strumento di attuazione passi per la perequazione dei diritti culturali e dove le risorse e le immense potenzialità storiche e naturalistiche vengano valutate secondo l’approccio multidimensionale. Dall’altra una visione di progetti ad alto contenuto d’innovazione. Questo rapporto inestricabile di “nuovi valori” può rappresentare un pon-
te civico e/o un connubio indissolubile tra urbanistica e bene comune. Il concetto di qualità della vita risulta non soltanto complesso per sua natura, ma è anche andato nel tempo modificandosi parallelamente al mutare dei bisogni, dei modelli culturali e valoriali. Pare opportuno, se non si vuole che i principi enunciati nella Convenzione Europea del Paesaggio (e le obbligazioni assunte dall’Italia in tale contesto) rimangano lettera morta, proporre la creazione di un Osservatorio Locale del Paesaggio: struttura leggera, ma qualificata e specializzata, che possa concorrere a far sì che le minacce che attualmente planano su questo delicato insieme unico al mondo vengano limitate nel loro impatto, affinché lo sviluppo economico si faccia non in spregio al paesaggio, ma con esso e in armonia con l’esistente permettendo, tra l’altro, un pieno esercizio partecipativo delle responsabilità di ciascun cittadino. L’Osservatorio svolgerebbe, quindi, numerose funzioni di coordinamento, di studio, pianificazione e programmazione e di gestione quotidiana del paesaggio. Per concludere, ed estremamente sintetizzando, il miglioramento della qualità della vita deve avere i piedi sulla nostra preziosa antichità mediterranea e la testa nelle grandi conquiste del moderno progresso tecnologico.
© ni_pal86/www.shutterstock.com
Pietragrade (CZ).
36
Il Giornale dei Biologi | Giugno 2018
© Oleksii Sidorov/www.shutterstock.com
AMBIENTE
Giornata Mondiale dell’Ambiente Il tema di quest’anno è stato la lotta alla plastica di Carmen Paradiso
S
i è celebrata il 5 giugno scorso la Giornata Mondiale dell’Ambiente, arrivata quest’anno alla 46esima edizione. Istituita dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, rappresenta l’occasione per riflettere e discutere sui problemi ambientali che affliggono il Pianeta. Il tema scelto quest’anno è stato “Lotta alla plastica monouso”. L’obiettivo della ricorrenza è quello di sensibilizzare tutti, dai governi alle popolazioni, sui temi ambientali, divulgando la cultura della tutela e del rispetto per la natura. Il capo dell’Agenzia europea per l’ambiente (Unep) Eric Solheim ha invitato tutti «consumatori, aziende e governi a ridurre il consumo di materiale plastico», che ormai ha invaso la nostra quotidianità e il nostro territorio. Anche il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha lanciato
un monito, che è “Rifiutare quello che non si può riutilizzare”. A tal proposito le Nazioni Unite hanno lanciato la campagna #BeatPlasticPollution, per sensibilizzare i cittadini, invitandoli a ridurre il consumo del monouso che rappresenta l’84 per cento dei rifiuti e la cui presenza sta mettendo a dura prova mari e oceani. Secondo i dati riportati dall’Unep, 8 milioni di rifiuti plastici vengono riversati nel mare con la conseguente distruzione di habitat sottomarini e di intere specie marine. Di tutti i rifiuti, solo il 16 per cento è di plastica riciclata, pertanto, l’impegno degli ambientalisti è proprio quello di invitare i cittadini al riuso. In Italia, secondo i dati divulgati da Coldiretti, il 76 per cento dei cittadini ha ridotto il consumo di sacchetti di plastica. Anche la Commissione Europea ha presentato diverse proposte. Il provvedi-
mento più significativo è stato quello di bandire piatti e stoviglie in plastica, cannucce, agitatori per bevande, cotton fioc e bastoncini per palloncini. Tra gli obiettivi c’è quello di raccogliere entro il 2025, attraverso un sistema di cauzione-deposito, il 90 per cento delle bottiglie. Più che positive sono state le reazioni di tutti le Organizzazioni non governative del settore, da Legambiente a Greenpace al Wwf. Diversa, invece, è la posizione dei produttori di plastica, che sostengono che «il consumatore debba agire con responsabilità nei confronti dei rifiuti in plastica», e che le istituzioni europee, nazionali e le industrie «devono sostenere questo cambiamento con opportuni programmi di educazione dei cittadini. Occorrono pieno coinvolgimento, consapevolezza degli obiettivi dell’economia circolare, ma anche infrastrutture adeguate per la gestione dei rifiuti». Il Giornale dei Biologi | Giugno 2018 37
AMBIENTE
Dal 1950 ad oggi sono state prodotti 8,3 miliardi di tonnellate di questo tipo di polimero
D
all’Artide all’Antartide, persino nella Fossa delle Marianne. Ormai è dappertutto e la situazione, a meno che non si cambi drasticamente la rotta, è destinata solo a peggiorare. La plastica, forse tra i materiali che meglio rappresenta l’industrializzazione, è anche tra quelli che stanno creando i maggiori danni all’ambiente. Per comprendere la portata di questa invasione silenziosa basta esaminare i numeri. Il Paese che nel 2016 ha prodotto più plastica è la Cina (29% del totale nel 2016), subito dopo ci sono l’Europa (19%) e il Nord America (18%). Nel 2000 la produzione mondiale di plastica era inferiore a 200 milioni di tonnellate, nel 2016 è arrivata a 335 milioni di tonnellate (+170% in 16 anni, +4% rispetto al 2015). Dal 1950 ad oggi sono state prodotte 8,3 miliardi di tonnellate di plastica, 6,3 miliardi sono state buttate in natura. Il 79% è finito in discarica, il 12% incenerito e soltanto il 9% è stato riciclato. Ogni anno almeno 8 milioni di tonnellate di plastica finiscono in mare e si stima che oggi ci siano oltre 150 milioni di tonnellate sparse nelle acque di tutto il mondo. Il WWF prevede che nel 2025 ci sarà una tonnellata di plastica per ogni 3 di pesce e nel 2050 ci sarà più plastica che pesci. «Il problema non è la plastica, è quale uso ne facciamo», sottolinea Erik Solheim, capo della sezione Ambiente dell’Onu, che il 5 giugno, Giornata mondiale dell’Ambiente, ha diffuso un documento che fotografa gli sprechi e l’impatto sulla saluta del mare. Ogni anno, stima
38
Il Giornale dei Biologi | Giugno 2018
Un oceano di plastica
Ogni anno ne finiscono in mare 8 milioni di tonnellate di Nico Falco
l’Onu, la plastica gettata in mare uccide dei governi per far fronte alla crescente 100mila animali e di plastica è il 10% dei marea di materie plastiche». rifiuti generati dall’uomo. Il 50% degli ogDello stesso avviso il movimento “Bregetti prodotti, poi, sono monouso: si stima ak Free From Plastic”, che rappresenta che ogni minuto vengano usati 10 milio- più di 1200 enti in tutto il mondo, che ha ni di sacchetti di plastica un maggiore impegno per (5mila miliardi all’anno) arginare la produzione e il Il Paese che e comprate un milione di consumo di plastica ai gonel 2016 ne ha bottiglie e il 46% dei rifiuti verni e alle multinazionali; prodotta di più trovati in mare sono cotton i dati raccolti attraverso fioc. le campagne di pulizia al mondo «I nostri oceani sono dei mari individuano tra è stata la Cina stati utilizzati come discai maggiori responsabili le rica - dice Solheim - caugrandi corporation. (29% del totale) sando il soffocamento della La presenza di microvita marina e trasformando plastiche ed altre sostanze aree marine in zuppa di plastica. Oltre 60 chimiche nelle acque antartiche è stata Paesi hanno adottato politiche per ridurre evidenziata dalle analisi di laboratorio efl’inquinamento, ma c’è bisogno urgente- fettuate dopo una spedizione di Greenpemente di leadership e interventi da parte ace durata tre mesi, da gennaio a marzo
© Fotos593/www.shutterstock.com
AMBIENTE
I mari sono stati usati come discariche, facendo arrivare i rifiuti fino in Antardite
La strada del riciclo
I
2018. croplastica e da sostanze chimiche pericoIn 7 campioni su 8 in acque superfi- lose. È fondamentale agire alla radice per ciali c’erano microplastiche e microfibre, porre fine alla presenza di queste sostaninoltre, su 9 campioni di particolato ma- ze inquinanti in Antartide e bisogna istiturino, raccolti con la rete manta, due con- ire un Santuario antartico che garantisca tenevano frammenti di protezione a pinguini, bamicroplastica; dalle analisi lene e all’intero ecosisteGli altri è poi emerso che in quelle macroproduttori ma».Il Santuario pensato acque sono presenti sodel Pianeta stanze contaminanti come da Greenpeace misurerebi Pfas (sostanze perfluoro- sono l’Europa (19%) be 1,8 milioni di chilometri alchiliche). quadrati di superficie, cine il Nord «Ormai anche in Anque volte più grande della tartide l’impronta dell’uoGermania, e sarebbe così America (18%) mo è evidente, dall’inquila più vasta area protetnamento ai cambiamenti ta del pianeta. Il progetto climatici, fino alla pesca industriale al krill verrà vagliato ad ottobre dall’Unione Eu- spiega Frida Bengtsson - questi risultati ropea, in occasione del prossimo incontro mostrano che anche le zone più remote dell’Antarctic Ocean Commission (Ccadell’Antartide sono contaminate dalla mi- mIr).
n Italia si punta sul riciclo per arginare il problema plastica. L’obiettivo è al centro di un modello multi stakeholder, che vede riuniti il settore italiano della trasformazione delle materie plastiche e gli enti che compongono il Tavolo per il Riciclo di Qualità (Federazione Gomma Plastica, IPRR - Istituto per la Promozione delle Plastiche da Riciclo, Corepla, Enea, ISPRA e Legambiente). Per incentivare l’utilizzo di plastica riciclata si pensa ad iniziative di sostegno di vario genere: azioni di comunicazione, di coinvolgimento della filiera e agevolazione fiscale per le aziende. Allo studio la possibilità di introdurre una aliquota IVA agevolata, che potrebbe essere del 30%, per i prodotti con una quota minima di plastica riciclata; di conseguenza ci sarebbe una diminuzione del prezzo di vendita finale e quindi un risparmio per il consumatore, che sarebbe invogliato ad acquistare i prodotti delle aziende “virtuose”. La proposta, che potrebbe essere sviluppata anche con esperimenti pilota, verrà valutata per diversi aspetti: mancato gettito dovuto alla diversa aliquota, ma anche minore impatto ambientale e diminuzione delle spese di smaltimento in discarica.
Il Giornale dei Biologi | Giugno 2018 39
AMBIENTE
Bye bye baobab? Gli alberi della vita stanno di Giacomo Talignani
I
l Piccolo Principe può stare tranquillo. Se nella storia di Antoine de SaintExupéry il protagonista aveva paura di quelle piante grandi come chiese, che prima o poi avrebbero occupato tutto il suo spazio, adesso dovrà ricredersi: i baobab, millenari alberi della vita, stanno morendo. E non si sa il perché. Una nuova ricerca pubblicata su Nature Plants, a cui hanno partecipato biologi e ricercatori dell’Università Babeş-Bolyai in Romania e di altri istituti di
40
Il Giornale dei Biologi | Giugno 2018
Usa e Sudafrica, traccia infatti i contorni di un fenomeno allarmante: negli ultimi 12 anni la maggior parte degli alberi più antichi, noti come Adansonia, sono crollati, collassati o parte dei loro rami sono morti. Si tratta di alberi speciali, maestosi, grandi come bus, talmente imponenti che in certe zone dell’Africa al loro interno l’uomo ha costruito dei piccoli bar o rifugi, oppure in Australia venivano usati come singole prigioni. Il segnale della loro morte è ancor più preoccupante se si
pensa alla loro età: dai 1.100 sino, addirittura, ai 2.500 anni. Purtroppo, in un solo decennio nove dei più antichi custodi della storia sono morti o hanno mostrato inconfondibili segni di cedimento. Segnali registrati soprattutto in Africa, dove dalla Namibia al Sudafrica sino al Madagascar (che ospita il famoso viale dei baobab) questi alberi stanno crollando - ipotizzano gli scienziati - a causa del cambiamento climatico, anche se la causa non è così certa.
© Chris Murer/www.shutterstock.com
AMBIENTE
morendo «È un evento senza precedenti. In 12 anni almeno nove dei tredici baobab più antichi che conosciamo o sono morti o stanno morendo. È decisamente sconvolgente e drammatico accorgersi durante la nostra vita della morte di alberi millenari» spiega Adrian Patrut, uno dei coautori dello studio. In particolare, quattro dei nove baobab morenti sono considerati fra i più grandi dell’Africa. È presto per capire esattamente cosa, all’improvviso, li abbia
L’allarme parte da una ricerca pubblicata su Nature Plants a cui hanno partecipato istituti romeni, statunitensi e sudafricani uccisi: i biologi sostengono che per “confermare o smentire la tesi legata agli effetti del cambiamento climatico” servano ulteriori ricerche. In totale, tra il 2005 e il 2017, sono stati studiati più di 60 fra i baobab “monumentali”. I ricercatori hanno raccolto dati su circonferenza, altezza, età, stato di salute del legno, sostenendo che gli alberi più vecchi analizzati “sono morti proprio durante i 12 anni di studio”. Si trovavano per lo più in Zimbabwe, Namibia, Sudafrica, Botswana e Zambia. Queste enormi riserve d’acqua, capaci di produrre frutti e foglie di cui molte popolazioni si nutrono, sono da sempre considerati “immortali”. Lo scopo dello studio attraverso il radiocarbonio infatti era proprio imparare i segreti sulle loro dimensioni e longevità: soltanto analizzandoli più a fondo i curatori hanno scoperto ciò che stava accadendo. Dei 10 alberi riportarti in dettaglio nella ricerca, 4 sono completamente morti. Gli altri si avviano alla stessa fine. Uno in particolare, in Sudafrica nell’area di Limpopo, era diventato un simbolo: quello di Sunland era così grande che dentro alle sue cavità gli abitanti avevano realizzato un bar. Nell’agosto 2016 una parte del tronco si è spezzata, collassando. Nel 2017 è venuto giù un altro pezzo e ora è una sorta di rudere. Stessa fine per quello sacro di Panke, detto “Grootboom”, o per “Chapman” in Botswana. Tutte queste morti in così poco tempo fanno pensare che non si tratti di “eventi naturali” ma di cause legate all’uomo, come il surriscaldamento globale che ha reso il clima africano più caldo e secco. «Ci sentiamo come se avessimo seppellito noi i baobab, quando dovrebbero essere loro a seppellire noi» chiosano preoccupati i ricercatori.
L’Adansonia
L’
Adansonia è un genere di piante appartenente alla famiglia delle Bombacaceae, comunemente note come Baobab. Il genere comprende otto specie: sette diffuse in Africa (di cui sei endemiche del Madagascar) e una in Australia. Il termine baobab viene dal francese baobab, attestato anche nel latino medievale come bahobab. Il suo nome scientifico è un omaggio a Michel Adanson, il naturalista ed esploratore francese che descrisse il baobab africano (Adansonia digitata). Sono alberi caducifogli con grandi tronchi, che raggiungono altezze tra i 5 e i 25 metri. Il diametro del tronco può raggiungere i 7 metri. Hanno una capacità d'immagazzinamento d’acqua all’interno del tronco rigonfio, che riesce a contenere fino a 120mila litri per resistere alle dure condizioni di siccità di alcune regioni. I rami sono del tutto spogli durante la stagione secca. La chioma si riempie, per pochi mesi all’anno, di foglie composte palmate. Durante la fioritura esibiscono grandi fiori molto odorosi, che si schiudono la notte. Producono frutti ovoidali con un pericarpo commestibile e un grosso seme reniforme. Il genere Adansonia comprende otto specie che vengono comunemente suddivise, in base alle differenze morfologiche del fiore. Si riproducono per impollinazione zoocora, cioè legata alla azione di diverse specie animali.
Il Giornale dei Biologi | Giugno 2018 41
AMBIENTE
Il loro più grande nemico è la plastica. Un esemplare è stato ritrovato morto sulle coste spagnole con 30 chili di rifiuti nello stomaco
La rivincita dei capodogli Seguono le barche dei pescatori e “rubano” loro il pesce
L
i abbiamo cacciati, ammazzati per il loro prezioso olio, uccisi con centinaia di chili di micro e macro plastiche ma adesso, in qualche parte del mondo, si stanno prendendo la loro rivincita. Il capodoglio, il giganti del mare, il grande “Moby Dick”, ha davvero imparato a tracciare le rotte dei pescherecci, a seguirli e a rubare il pesce ai pescatori. Gli incidenti chiamati di depredazione, in cui i capodogli sembrano aver preso spunto dalle balene, si registrano sin dagli anni Novanta. Questi imponenti animali imparano ad avvicinarsi ai pescherecci, rompono reti e ganci e mangiano il pesce. Più studi nel tempo hanno confermato la loro intelligenza e tre anni fa, altre ricerche, hanno certificato la loro capacità di depredare i pescatori con astuzia: inseguendo le barche e “fregando” i cacciatori sul tempo. Ora nuovi report che arrivano dall’Alaska confermano che i capodogli, bestioni lunghi quasi 20 metri e capaci di pesare anche 60mila chili, secondo le cifre indicate starebbero prendendo il possesso di circa il 5 per cento di pesce delle quote annuali dei pescatori. La loro capacità di depredare sembra infatti essere cresciuta di anno in anno e andare di pari passo, purtroppo, con un altro fenomeno in ascesa: quello dei capodogli uccisi dall’inquinamento da plastica. Con 8 milioni di tonnellate di plastica che
42
Il Giornale dei Biologi | Giugno 2018
ogni anno finiscono negli oceani è inevitabile che buona parte di questo materiale quasi indistruttibile, ma che con il tempo si frammenta, sia stato ingerito dai giganti del mare. Le immagini del capodoglio morto su una spiaggia della Murcia con 30 chili di plastica ritrovata nel suo stomaco hanno fatto il giro del mondo. Così come quelle morte in Giappone, o sulle coste neozelandesi (al largo di Taranaki, anche se le cause sono ancora da accertare). Una nuova ricerca proveniente da Atene ha stabilito che dei capodogli morti nel Mediterraneo un terzo è stato ucciso dalle plastiche. Dati che certificano l’ingerenza dell’uomo nella vita tranquilla di questi splendidi animali che, va detto, oltre alla pesca e all’inquinamento da pla-
stica soffrono particolarmente anche per quello acustico, soprattutto delle grandi navi militari e dei sonar. Ecco perché, seppur creando non pochi problemi ai pescatori dell’Alaska, la depredazione in atto al largo delle coste del Golfo orientale ha il sapore di una rivincita. Qui i capodogli, con astuzia e lavorando insieme, si impadroniscono del prezioso carbonaro dell’Alaska, il sablefish, il merluzzo nero. Qualche anno fa, dopo che l’agenzia americana NOAA (National Oceanic and Atmospheric Administration) ha indicato che dal divieto di caccia ai capodogli del 1986 ad oggi la popolazione di questi mammiferi è cresciuta del 4 per cento, hanno provato anche a quantificare i danni per la pesca. Si stima che la depreda-
AMBIENTE © Alexey Grigorev/www.shutterstock.com
© Pommeyrol Vincent/www.shutterstock.com
Il più grande tra i “cetacei dentati”
I © SewCream/www.shutterstock.com
zione dei capodogli crei un danno da 100 milioni di dollari l’anno all’industria della pesca. Quest’ultima, chiaramente, chiede immediate soluzioni. Si stanno sperimentando così nuovi sistemi di pesca, monitoraggio e boe acustiche per attirare i capodogli lontano dai pescherecci, per ora con risultati altalenanti. Intanto, negli ultimi mesi, al largo del Mare di Bering, un altro animale è stato registrato mentre “rubava” ai pescherecci: le orche assassine. Quando le reti piene di pescato erano gonfie, entravano in azione rompendole e banchettando. Anche per l’oro, il rumore delle barche, è diventato un campanello per la cena. Segnali di una piccola rivincita a cui l’uomo ora sta cercando di porre rimedio. (G.T.)
l capodoglio è il più grande tra gli odontoceti, i cetacei dentati. Si trova nei mari tropicali e temperati. Il maschio arriva a misurare 18 metri di lunghezza, mentre la femmina ha dimensioni più piccole. Riesce a scendere negli abissi fino a mille metri. Si ciba di calamari (anche giganti), polpi e pesci. Riconoscibile dal suo enorme capo, la sua caccia è vietata, anche se continua ad essere predato illegalmente. Celebre il suo “ruolo” letterario nell’opera di Herman Melville, “Moby-Dick”. Anche per questa ragione, rappresenta per antonomasia il mondo delle balene.
© Olha Rohulya/www.shutterstock.com
Il Giornale dei Biologi | Giugno 2018 43
SPORT
L’Islanda del “fuoco e del ghiaccio” infiamma i mondiali di Russia Storica qualificazione per gli “azzurri” che vengono dal freddo di Gabriele Scarpa La nazionale di calcio islandese qualificata ai Mondiali 2018.
S
ono la novità di questi mondiali. La “mascotte” che un po’ tutti abbiamo adottato, soprattutto noi italiani, orfani della Nazionale per la prima volta dopo più di mezzo secolo. E così, sbattuti fuori dal campionato, ritrovatici senza squadra, eccoci qui a fare il tifo per un’altra maglia azzurra: quella indossata dagli islandesi, matricola terribile, ma anche dannatamente simpatica di “Russia 2018”. L’Islanda, signori, la terra del fuoco, ma anche del ghiaccio. Un’isola del profondo Nord abitata da poco meno di 300mila abitanti, balzata improvvisamente all’attenzione delle cronache per una storica qualificazione al torneo calcistico
44
Il Giornale dei Biologi | Giugno 2018
più importante del pianeta. Non che Sigurdsson e compagni fossero proprio degli sconosciuti, intendiamoci (tra l'altro in Italia, con l’Udinese, gioca il centrocampista islandese Emil Hallfredsson). Già agli ultimi europei, l’Islanda si era messa in mostra quando, dopo aver battuto l’Austria e pareggiato con Ungheria e Portogallo (sì, proprio quello di Ronaldo!), aveva fatto fuori la più blasonata (e accreditata) Inghilterra agli ottavi, prima di arrendersi alla Francia. Insomma, non proprio una sorpresa “assoluta”. Ma vuoi mettere partecipare, per la prima volta nella loro storia, ai mondiali di calcio? Vuoi mettere misurarsi con squadroni tipo Brasile, Spagna e
Argentina nella kermesse più gettonata e seguita del globo? E allora eccola qui l’impresa, eccola qui la Nazionale che infiamma i cuori degli sportivi. I cuori, avete letto bene. Ma non solo quelli. Perché questa isoletta situata nell’oceano Atlantico settentrionale, tra la Groenlandia e la Gran Bretagna, a nordovest delle Isole Faer Oer, è un’autentica manna per studiosi, ricercatori e scienziati di tutto il mondo. Dalla geologia alla biologia, dalla genetica alla biodiversità, la terra del ghiaccio, della lava e dell’acqua è un autentico paradiso per la ricerca scientifica, nonché la meta indiscussa dei “camici bianchi” provenienti dagli atenei del Vecchio
© benny marty/www.shutterstock.com
SPORT
L’anima del profondo Nord ha un cuore italiano: Erreà Sport
L’
azzurro è il colore dominante della maglia della Nazionale islandese in cui, col passare del tempo, sono entrati a far parte anche il bianco e il rosso (presenti anche sulla bandiera islandese). Sono i simboli dell’acqua, del ghiaccio e del fuoco, l’immensa ricchezza, l’anima stessa di una terra caratterizzata dalla presenza di vulcani e geyser. E proprio ghiaccio, lava e acqua si fondono in un mix perfetto nella nuova maglia “eco” che l'azienda italiana Erreà Sport ha realizzato per rappresentare al meglio la particolarità e la bellezza dell’Islanda e della sua Nazionale. Un pizzico d'Italia, dunque, sarà comunque presente in Russia grazie alle casacche indossate dagli... azzurri d’Islanda.
e del Nuovo Continente. Un laboratorio a cielo aperto in cui la scienza non smette di regalare soddisfazioni. In quale altro posto al mondo più del 50 per cento dell'energia proviene da fonti rinnovabili? Pensate: in Islanda, terra vulcanica per eccellenza, ricca di sorgenti d’acqua calda e geyser, si adopera l’energia geotermica per una svariata gamma di servizi, inclusa la produzione di elettricità, il riscaldamento delle case, quello delle piscine, degli edifici pubblici e delle fabbriche. Quando, infatti, il magma si arrampica verso la superficie, l’acqua che scorre tra le rocce si surriscalda trasformandosi in una fonte di energia pulita preziosis-
sima che viene raccolta in appositi serbatoi geotermici diffusi un po’ ovunque sui circa 100mila chilometri quadrati dell'isola. È così che più del 90 per cento della popolazione urbana fornisce calore alle proprie abitazioni, utilizzando l’energia derivata dai vapori che si sprigionano dalle viscere del sottosuolo. Ed è così che molte strade della capitale Reykjavik sono provviste di sistemi sotterranei che utilizzano l’acqua calda per sciogliere la neve. Tutto ciò comporta ovviamente un risparmio notevole. Ma anche un rispetto dell’ambiente e della biodiversità come in nessun’altra parte del mondo. Ma non è finita qui. L’Islanda, come dicevamo, è un laboratorio a cielo aperto. E nel campo
della genetica offre uno scenario unico, a dir poco irripetibile. Nel 2015, dopo una ricerca durata quasi 18 anni e migliaia di campioni utilizzati, un gruppo di biologi di un’azienda di Reykjavik, la Decode, ha reso noti gli esiti di uno studio (poi pubblicato sulla rivista Nature Genetics) sul sequenziamento del genoma della popolazione islandese che apre la strada ad un nuovo modo di fare genetica. Non è un caso che un simile studio, il primo di queste proporzioni, sia stato condotto proprio qui, sulle balze dell'isola di ghiaccio. Gran parte della popolazione islandese discende infatti da pochi progenitori. Dal punto di vista genetico, la popo lazione è dunque molto omogenea, Il Giornale dei Biologi | Giugno 2018 45
SPORT
46
Il Giornale dei Biologi | Giugno 2018
Dal calore delle sorgenti la fonte pulita dell'energia
L’
Islanda è un’isola vulcanica con altopiani di origine lavica risalenti all’età terziaria. Sotto la sua superificie si trova un gradiente geotermico molto elevato: circa 35°C/chilometro. Più si scende in profondità, più la temperatura aumenta. Ad Arskogsstrond, per esempio, il gradiente è di 200°C/chilometro. La forte energia termica produce 30 sistemi vulcanici e 600 sorgenti di acqua calda e geyser. Quando il magma sale verso la superficie, l’acqua delle sorgenti che scorrono tra le rocce si surriscalda trasformandosi in vapore, una preziosa fonte di energia pulita. Tali vapori vengono infatti convogliati in turbine per la produzione dell’energia elettrica e poi utilizzati anche per il riscaldamento. Insomma è il calore, anziché l'elettricità, la fonte stessa dell’energia.
procedendo a ritroso, è possibile risalire al nostro passato e ricostruire, in tal modo, i passaggi che hanno portato all’evoluzione dell’Homo sapiens. Uno dei quattro studi islandesi è stato focalizzato proprio sulle mutazioni del cromosoma Y: seguendone le tracce, i biologi dell’azienda di Reykjavik sono giunti alla conclusione che il più
antico progenitore della specie umana è venuto al mondo circa 240mila anni fa ed è dunque più “giovane” di circa centomila anni (non proprio briscoline) rispetto a quanto si era creduto finora. Una bella scoperta, non trovate? Ma anche un motivo in più per gridare “forza Islanda” ai mondiali. Siete d’accordo? © fifg/www.shutterstock.com
un requisito ritenuto essenziale per condurre studi genetici di alta qualità. Decodificando la sequenza completa del Dna su un campione di 2.636 islandesi e analizzando i marcatori genetici di oltre centomila loro conterranei, i ricercatori della Decode sono così riusciti a identificare alcune varianti genetiche che potrebbero giocare un ruolo nell’insorgenza di determinate patologie. Tra le scoperte del progetto, anche le mutazioni del gene ABCA7, la cui presenza sembra raddoppiare il rischio di poter sviluppare il morbo di Alzheimer. Tuttavia, uno dei risultati più importanti dello studio ha rivelato la presenza, su centomila campioni passati al setaccio, di circa 8mila islandesi risultati privi della versione funzionante di un determinato gene (chiamato “knockout”). Per essere più precisi, i ricercatori hanno identificato, complessivamente, 1.171 geni di cui, apparentemente, si può vivere senza. Si tratta di una situazione di studio eccezionale, che avvicina veramente l’Islanda ad una sorta di immenso laboratorio nel campo della genetica. E che apre squarci impressionanti sul futuro delle scienze.Seguendo, nel tempo, la storia clinica di queste persone sarà infatti possibile capire gli effetti che la mancanza di tali geni potrà avere sulla loro salute: si ammaleranno? Oppure l’assenza di “knockout” non produrrà su di loro alcun effetto? Al di là degli sviluppi che tale ricerca potrà avere, in futuro, nel campo medico e in quello della genetica, il report della Decode mostra di poter fornire un valido strumento anche negli studi per risalire alle origini della specie umana. Non ci credete? Ebbene, le mutazioni che si accumulano progressivamente su un gene sono come le orme lasciate sulla neve, una sorta di traccia. Leggendole e
SPORT
Lamberto Boranga quando militava nel Cesena (1973-1977).
L
a miglior medicina è l’alimentazione. E la fonte dell’eterna giovinezza è la conoscenza del proprio corpo e la capacità di allenarlo, senza usurarlo. Parola di Lamberto Boranga, 76 anni da compiere a ottobre, medico, biologo, ex portiere professionista ma ancora in attività fra i dilettanti, recordman italiano di decathlon, salto in alto e triplo e primatista mondiale di salto in lungo nelle categorie Master di atletica. L’esemplare svolgimento del tema: “Come invecchiare: istruzioni per l’uso”. Il 5 maggio scorso l’atleta perugino è tornato fra i pali per l’ennesima avventura - e per l’ennesimo record - con la maglia della Marottese, nel campionato marchigiano di Terza categoria, contribuendo alla vittoria per 3-1 contro il Villa Ceccolini. Sugli spalti oltre 500 persone, gran parte delle quali accorse ad applaudire la sua ennesima “prima volta”. In campo, un’emozione simile a quelle dell’esordio in A con la Viola in un Fiorentina-Atalanta, quando subentrò ad Albertosi. Il tempo è passato ma Lamberto sa ancora parare, perché poi è da questi particolari che si giudica un giocatore, almeno se ha un paio di guanti alle mani. Tre gli interventi che hanno scaldato il pubblico, così come l’ammonizione per un diverbio con un avversario, prima della sostituzione dopo 72 minuti, a causa di un dolore alla coscia. “Per giocare questa
Un biologo tra i pali a 76 anni. La longevità secondo Lamberto Boranga Ex portiere di Serie A, gioca ancora a calcio tra i dilettanti e continua l’attività di laboratorio di Antonino Palumbo partita mi ero allenato con grande impegno con un preparatore e sono arrivato carico alla partita ma non voglio fermarmi qui” ha dichiarato Boranga dopo il match. Non c’è solo il calcio, però, nella quotidianità da sportivo dell’evergreen del calcio italiano. Lamberto ha una palestra in casa, che utilizza per cyclette e lavoro sulla forza due volte alla settimane. Del resto è primatista italiano di decathlon master over 70, di salto in alto master over 45, over 55 e pre 65 con 1,61 metri e di salto triplo con 11,26. Undici anni fa stabilì il record mondiale di salto in lungo over 60 con 5,47 me-
Uno scatto recente.
tri, mentre nel 2014 è stato iridato nel salto in alto, categoria over 70. Non può vantare titoli nel nuoto, ma lo pratica con piacere e dedizione due volte alla settimana. «Ho sempre praticato l’attività fisica fatta secondo le mie possibilità, gestendo i carichi di lavoro. Bisogna stare attendi a non rovinare le articolazioni e l’apparato cardio-circolatorio. Certo, essere cardiologo e medico dello sport aiuta a conoscere e sentire il proprio limite» spiega Boranga, che attualmente dedica al lavoro tutti i pomeriggi, nel laboratorio di Perugia con la moglie Laura, biologa anche lei. La dieta? Il suo pasto da re è la colazione: «Consumo circa mille calorie, fra proteine, carboidrati e grassi insaturi. A pranzo mi basta un frutto o uno yogurt, poi la sera ceno senza strafare. E ogni giorno bevo due o tre litri d’acqua» racconta Boranga, che oltre alle lauree in Medicina e Biologia può vantare anche le specializzazioni in Microbologia, Medicina interna, Medicina dello Sport e Cardiologia. Lamberto ha sempre preferito riso, quinoa e farro alla pasta. Da cinque anni è vegetariano «ma in maniera intelligente: mangio salmone e tonno, così come uova, ricotta feta. Consumo molti legumi, dai ceci alle lenticchie passando per le fave, e ovviamente la frutta: mirtilli, fragole e quattro mele al giorno, per quasi trenta quintali all’anno». Altro che medicine. Il Giornale dei Biologi | Giugno 2018 47
STORIA E RICERCA
Il suo nome in codice era 6LL3. Nacque in Scozia dopo un numero elevato di tentativi andati a vuoto
S
Dolly, la pecora che cambiò la scienza
ono trascorsi 22 anni da quel fatidico 5 luglio del 1996: una data cruciale nel campo della genetica. Quasi uno “spartiacque” nel mondo della ricerca scientifica che, da quel momento, non è stata più la stessa. Quel giorno, infatti, dopo un centinaio di tentativi andati a vuoto, un numero imprecisato di feti malformati e di aborti, in Scozia, a pochi chilometri da Edimburgo - al Roslin Institute, per la precisione - veniva alla luce la pecora Dolly, nome in codice 6LL3, il primo mammifero della storia nato dalla clonazione di una cellula adulta. L’annuncio della sua nascita fu dato pochi mesi più tardi, per la precisione il 22 febbraio 1997 (sulla rivista “Nature”), dal team di ricercatori guida- Dolly, imbalsamata, esposta al National Museum of Scotland di Edimburgo. ti da Ian Wilmut e Keith Campbell, che si erano occupati dell’esperimento. Gli tare un vero e proprio embrione che poi tervista: “È possibile - disse lo scienziato scienziati scozzesi la chiamarono “Dolly” fu impiantato e fatto crescere nell’utero del Roslin Institute - che un metodo di come la cantante country americana Dol- di una madre surrogata. In soldoni, la clonazione simile possa funzionare anche ly Rebecca Parton, famosa non solo per pecorella scozese ebbe tre madri: quella con esemplari della nostra specie”. la sua voce ma anche per il suo “lato B” a che le fornì il Dna (dunque il vero animaLe sue parole scatenarono le reazioni dir poco prosperoso. La cellula usata per le clonato), quella dell’ovocita denucleato di quanti non erano d’accordo con l’idea la clonazione della pecora era, infatti, di e infine l’ultima, la madre surrogata. di poter “produrre” soggetti umani fotoprovenienza mammaria. La nascita di Dolly fece copia, rappresentando, in tal senso, una In particolare, Wilsubito discutere e non solo gravissima offesa alla dignità di persona. La cellula usata mut, mediante la tecnica il mondo scientifico, dove Di fianco a tali problemi di ordine etico, per la clonazione pure fu salutata, con gran- ne sorsero anche altri di carattere sciendel “Scnt”, ovvero “Somatic Cell Nuclear Tran- era stata prelevata de entusiasmo, come un tifico, per non dire tecnico. Dolly, infatti, sfer”, prelevò una cellula importante passo avanti era stata clonata dalla cellula di una pecodalla ghiandola mammaria da una pecora nella ricerca di nuove pos- ra adulta: la prima - quella da cui era stamammaria di un sibili vie terapeutiche (in to prelevato il Dna - aveva 6 anni all’atto adulta, ne estrasse poi il materiale genetico e lo esemplare adulto prospettiva futura) anche del prelievo. Di conseguenza, quando era inserì nell’ovocita di una per l’essere umano. La sua venuta al mondo, la pecora aveva già...6 pecora della stessa specie clonazione sollevò infatti anni. (Finn Dorset, per la precisione) privato anche parecchie questioni di carattere A rafforzare questa tesi il fatto che, del nucleo. In seguito, l’ovocita, opportu- etico, prima fra tutte la preoccupazione una volta compiuti tre anni “anagrafici”, namente stimolato con un piccolo elet- che una simile tecnica potesse essere ap- Dolly iniziò a manifestare i sintomi di un troschock, iniziò a dividersi guidato dal plicata pure agli esseri umani. Fu lo stes- invecchiamento precoce, come se le sue Dna della cellula mammaria, fino a diven- so Wilmut, tra l’altro, a parlarne, in un’in- cellule avessero effettivamente ereditato
48
Il Giornale dei Biologi | Giugno 2018
Al Roslin Institute l’esperimento del team di Wilmut e Campbell
STORIA E RICERCA
© Jeff Whyte/www.shutterstock.com
L’esperimento sollevò un dibattito di carattere etico. Si temeva che la tecnica fosse usata anche sull’uomo
la stessa memoria dell’età della pecora da vocata” dalla clonazione, ma neanche esclusero fattori esterni, come ad esemcui era stata clonata. Nel 2002, quando compìsei anni, Dol- pio un banale incidente che aveva poi ly sviluppò una forma potenzialmente potuto favorire lo sviluppo della malattia. debilitante di quella che si pensava fosse Tuttavia, nella maggior parte degli animaartrite alla zampa posteriore sinistra. Una li clonati successivamente a Dolly, furono patologia piuttosto insolita per quell’età. osservati telomeri di lunghezza normale, Ciò andò a sostegno dell’ie nei cloni seriali tali tepotesi della senescenza lomeri furono addirittuVisse sei anni. prematura e suscitò una ra visti allungarsi ad ogni Si pensò a un suo successiva generazione, certa preoccupazione tra gli esperti sui possibili rismentendo in tal modo la invecchiamento schi per il genoma degli tesi dell’invecchiamento precoce che organismi “duplicati”. precoce. di recente è stato Il dibattito sulla vera In ogni caso, dopo età di Dolly spaccò il monanni di sospetti e dubbi, smentito do scientifico: la pecora di nel novembre del 2016 Roslin aveva seianni o sei una diagnosi è arrivata a più sei, considerati anche quelli della cel- sgomberare il campo dagli equivoci: Dolly non soffriva affatto di artrite e neanche lula d’origine? A Liverpool, gli esperti della Facol- di invecchiamento precoce. Lo hanno dità di Scienze Veterinarie sostennero che mostrato le radiografie della pecora, di l’artrite potesse essere anche stata “pro- sua figlia Bonnie (primogenita di quattro
figli) e di altre due pecore (Megan e Morag) clonate da cellule coltivate in laboratorio. Pubblicato sulla rivista Scientific Reports, lo studio si deve ai ricercatori inglesi dell’Università di Nottingham, guidati da Kevin Sinclair, i quali, per fare chiarezza, dal momento che nessuna delle radiografie originali di Dolly era stata conservata, esaminarono gli scheletri delle quattro pecore, tutti perfettamente conservati nel Museo Nazionale della Scozia a Edimburgo. Venne così alla luce che Dolly non era invecchiata precocemente: non aveva l’artrite e lo stato delle sue articolazioni era simile a quello delle sue coetanee concepite naturalmente. In realtà la pecora fu soppressa il 14 febbraio del 2003, poco prima di compiere 7 anni, per una malattia polmonare irreversibile che le causava forti sofferenze. Bonnie e Megan, più anziane di lei, avevano segni di artrite a diverse articolazioni, ma in questo caso le tracce dell’infiammazione non erano diverse da quelle che si possono osservare normalmente nelle pecore di una certa età. Oggi i resti di Dolly, opportunamente impagliati, sono esposti Royal Museum di Edimburgo. La sua nascita ha aperto il mondo alla creazione di un affollato zoo di “animali fotocopia”. Fra i più noti il toro Galileo e la cavalla Prometea, “dati alla luce” dall’italiano Cesare Galli, mentre è dello scorso mese di gennaio la notizia della nascita delle prime scimmie clonate al mondo con la stessa tecnica, frutto della ricerca di scienziati cinesi, Zhong Zhong e Hua Hua: si tratta di due macachi femmine, completamente identiche dal punto di vista genetico e in buona salute. (L. S.) Il Giornale dei Biologi | Giugno 2018 49
LAVORO
Concorsi pubblici per Biologi CNR - Istituto di Biochimica delle Proteine Scadenza, 27 giugno 2018 Pubblica selezione per il conferimento di un assegno post dottorale per lo svolgimento di attività di ricerca nell’ambito del progetto Eubi “Euro-bioimaging”. Per informazioni, www.cnr.it. CNR - Istituto di Neuroscienze di Parma Scadenza, 28 giugno 2018 Pubblica selezione per il conferimento di un assegno post dottorale per lo svolgimento di attività di ricerca nell’ambito del progetto “Erogazione Liberale Prof. Rizzolatti” dal titolo: Il meccanismo mirror nell’uomo, sue funzioni specifiche e sue alterazioni. Per informazioni, www.cnr.it. Istituto per l’Ambiente Marino Costiero - CNR Scadenza, 3 luglio 2018 Pubblica selezione per il conferimento di un assegno per lo svolgimento di attività di ricerca, tipologia a) “Assegni professionalizzanti”, nell’ambito del progetto di ricerca “Convenzione operativa tra Amp Capo Carbonara e l’Iamc-Cnr per le finalità del progetto Medsealitter”. Per informazioni, www.cnr.it. CNR - Istituto di Neuroscienze di Pisa Scadenza, 4 luglio 2018 Pubblica selezione per il conferimento di un assegno “Professionalizzante” per lo svolgimento di attività di ricerca nell’ambito del seguente programma: “On the role of microglia derived extracellular vescicles in amyloid-beta induced changes in synaptic function and network activity” Columbia University. Per informazioni, www.cnr.it. CNR - Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima di Roma Scadenza, 4 luglio 2018
50
Il Giornale dei Biologi | Giugno 2018
Pubblica selezione per il conferimento di un assegno di ricerca per lo svolgimento del servizio di monitoraggio dell’ambiente marino del Progetto Copernicus. Per informazioni, www.cnr.it. CNR - Istituto per lo Studio dei Materiali Nanostrutturati di Bologna Scadenza, 6 luglio 2018 Pubblica selezione per il conferimento di un assegno “Professionalizzante” per lo svolgimento di attività di ricerca nell’ambito del progetto di istituto “Materiali e dispositivi per la salute e la qualità della vita – Attività: dispositivi bioelettronici per la salute”. Per informazioni, www.cnr.it. Università di Torino Scadenza, 5 luglio 2018 Procedura di selezione per la chiamata di un professore di ruolo di prima fascia, riservata ai sensi dell’art. 18, comma 4, della legge n. 240/2010, settore concorsuale 05/E1 - Biochimica generale. Gazzetta Ufficiale n. 44 del 5/6/2018.
della struttura complessa medicina di laboratorio, analisi chimico-cliniche. Gazzetta Ufficiale n. 45 dell’8/6/2018. Consiglio Nazionale delle Ricerche - Istituto di Genetica e Biofisica «Adriano Buzzati Traverso» Scadenza, 12 luglio 2018 Procedura di selezione, per titoli e colloquio, per la copertura di un ricercatore livello III, a tempo determinato part-time 80%. Gazzetta Ufficiale n. 46 del 12/6/2018. Alma Mater Studiorum - Università Di Bologna Scadenza, 17 luglio 2018 Procedura di selezione per la copertura di un posto di ricercatore a tempo determinato, settore concorsuale 05/E1 - Biochimica generale. Gazzetta Ufficiale n. 46 del 12/6/2018. Ospedale Policlinico San Martino – Genova Scadenza, 12 luglio 2018 Concorso pubblico per la copertura a tempo indeterminato di un posto di dirigente sanitario, profilo professionale biologo, disciplina di Patologia clinica. Gazzetta Ufficiale n. 46 del 12/6/2018.
Consiglio Nazionale delle Ricerche - Istituto di Bioscienze e Biorisorse di Bari Scadenza, 28 giugno 2018 Conferimento di una borsa di studio per laureati in scienze biologiche, biochimiche e farmacologiche, da fruirsi presso la sede di Napoli. Gazzetta Ufficiale n.45 dell’8/6/2018.
Università di Foggia Scadenza, 29 giugno 2018 Procedura di selezione per la copertura di un posto di ricercatore a tempo determinato, settore concorsuale 05/E1 - Biochimica generale. Gazzetta Ufficiale n. 47 del 15/6/2018.
Fondazione I.R.C.C.S. Istituto Nazionale dei Tumori – Milano Scadenza, 8 luglio 2018 Conferimento, per titoli e colloquio, di un incarico quinquennale di dirigente medico, ovvero dirigente biologo, ovvero dirigente chimico, disciplina di biochimica clinica, direttore
Bandi pubblici di concorso per Biologi pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana (www.gazzettaufficiale. it, Concorsi ed esami), estratti attraverso la chiave di ricerca “bio”, e sul portale del Consiglio Nazionale delle Ricerche (www. cnr.it, concorsi).
SCIENZE
Biologia nei beni culturali La diffusione della specie aliena invasiva ailanthus altissima (miller) swingle minaccia la stabilità delle opere murarie nell’area archeologica di Pompei
di Lorenzo Traversetti, Flavia Bartoli, Giulia Caneva
© Ekaterina Pokrovsky/www.shutterstock.com
L’
Area archeologica di Pompei rappresenta una delle realtà principali e meglio conservate di antica città Romana, tristemente divenuta nota per la catastrofica eruzione del Vesuvio che la distrusse completamente, uccidendo buona parte della popolazione e ricoprendo l’intero nucleo abitativo sotto metri di lapilli. Se, da un lato, questo evento sia sicuramente classificabile come uno dei peggiori fenomeni naturali distruttivi tra quelli che hanno colpito la nostra penisola e dei quali si abbia memoria, è altrettanto vero che il seppellimento della città ha garantito che essa rimanesse perfettamente conservata fino al secolo XVIII quando, per volere di Carlo III di Borbone, furono realizzati i primi scavi. A partire da quella data e con l’avanzare delle attività di scavo, la protezione data dal terreno è venuta sempre meno, rendendo da un lato fruibili e ammirabili delle bellezze ar- Pompei. cheologiche uniche, ma esponendo le stesse ad agenti atmosferici e biologici dannosi per la loro struttura e stabilità (Figura 1). Tra i principali pericoli biologici che interessano le aree archeologiche, compresa quella di Pompei, la crescita e la diffusione delle specie arboree ha sicuramente una notevole rilevanza, anche e soprattutto per le notevoli tipologie di danno che esse possono causare ai manufatti architettonici, sia di tipo meccani-
co che strutturale e prevalentemente connesse con lo sviluppo dell’apparato radicale (Caneva et al., 2006, 2009).
L’Ailanthus altissima come minaccia alla stabilità delle opere murarie Tra le specie arboree più pericolose per la stabilità delle Il Giornale dei Biologi | Giugno 2018
51
SCIENZE opere murarie, rientra sicuramente l’Ailanthus altissima (Miller) Swingle, alla famiglia delle Simaroubaceae, che a dispetto del suo nome aulico di albero del Paradiso, è diventata una delle specie invasive più preoccupanti. Questa specie, proveniente dalla Cina meridionale, è stata importata in Europa e Nord America nel XVIII come nursery per una specie di falena, la Phylosamia cynthia, allevata per sfruttarne la seta prodotta, in quel periodo usata come sostituto del prodotto del baco da seta in quanto questa specie era soggetta ad una forte epidemia (Celesti-Grapow et al., 2010). Si tratta di una specie classificabile come altamente invasiva anche a causa della sua capacità di accrescersi e svilupparsi molto rapidamente, fino a 2 m all’anno. Successivamente alla sua introduzione in Europa, è stata usata anche come specie ornamentale, favorendo in questo modo il suo naturale ambientamen© L. Traversetti to alle nostre latitudini, nonché la diffusione sul territorio continentale. Si tratta altresì di una specie fortemente competitiva Fig. 1. Tra le strutture più interessanti presenti nell’area archeologica di Pompei, rientra sicuramente per via della sua capacità di produrre una molecola, nota con il l’anfiteatro o Teatro Grande, area spesso usata anche per l’allestimento di eventi e rappresentazioni nome di ailanthone, a forte azione erbicida e allelopatica, capace svolte periodicamente in questo suggestivo contesto. dunque di promuovere la sua crescita inibendo la proliferazione e Vurro, 2013). Il portamento arboreo e la pressione esercitata (e dunque, anche la competizione) di altre specie, incluse quelle dalle radici in crescita rappresentano le principali tipologie di naturalmente e storicamente presenti in un dato territorio, quali pressione che questa specie esercita su murature e altre opere le specie autoctone (Heisey 1996, 1997, Enescu 2014). antropiche, portando, all’estremo, a perdita di stabilità fino a veri L’insieme di questi caratteri “vincenti” ha contribuito a far sì e propri crolli delle stesse. In aggiunta a questa sensibile rapidità che la sua diffusione sul territorio Europeo sia avvenuta in modo di crescita, altri aspetti ecologici contribuiscono a rendere così molto rapido, portandola ad essere considerata, ad oggi, una pericolosa la crescita di questa specie in contesti antropici, come, specie in grado di sostituire specie autoctone, portandole a forte per esempio, il fatto che un singolo individuo di sesso femminile rarefazione. In aggiunta a tutto ciò, questa specie è anche consia in grado di produrre fino a 300mila frutti per ogni stagione risiderata ad alto rischio di pericolosità per la stabilità delle opere produttiva, i quali non vengono rilasciati dalla pianta madre in un murarie (valore massimo secondo l’Indice di Pericolosità, Signounico momento, ma in modo progressivo durante tutto il periorini, 1996) in quanto possiede un apparato radicale in grado di do estivo ed autunnale, garantendo in questo modo un’altissima estendersi, inizialmente, con un forte e vigoroso fittone centrale efficienza germinativa (Kowarik e Säumel, 2007; Aldrich et al., da cui, già nelle prime fasi di sviluppo, si generano lateralmente 2010; Enescu, 2014). In più la pianta è anche in grado di produrre grandi radici in grado di raggiungere distanze pari a circa 30 m un grandissimo numero di nuovi individui (polloni) a partire dal dal tronco (Kowarik e Säumel, 2007), causando notevoli danni a sistema radicale, ogni qual volta si presenti l’opportunità, per lo qualsiasi struttura trovino lungo il loro percorso (Ciarallo e D’Astesso, di sviluppare un nuovo getto (Enescu, 2014). more, 1989; Caneva, 1991; Celesti-Grapow et al., 2010; Casella Al fine di fronteggiare l’emergenza legata all’estensiva proliferazione di questa specie all’interno dell’area archeologica di Pompei, negli anni 1988-1989, venne realizzato un estensivo intervento di rimozione meccanica e di trattamento chimico con biocidi rivolto alle piante, ai semi e alle radici di A. altissima, in modo da eliminare gli individui presenti, contrastare la diffusione della specie in un contesto così sensibile e prevenire una sua eventuale nuova colonizzazione futura (Ciarallo e D’Amora, 1989). Nonostante ciò, data la capacità della specie di rigettare anche partendo da frammenti residuali dell’apparato radicale e data Fig. 2. Mappa dell’area archeologica con evidenziata la localizzazione di tutti gli individui censiti in questo studio. anche la presenza di individui adulOgni individuo è stato classificato in base alla maturità sessuale, in base all’altezza e al fatto che fosse isolato o inserito all’interno di un nucleo. ti perimetrali o esterni all’area arColori: bianco per gli individui immaturi di altezza inferiore a 1.5 m; blu per i maschi maturi o individui immaturi di altezza superiore a 1.5 m; cheologica stessa non eliminati dal rosa per gli individui maturi di sesso femminile; asterisco per i nuclei.
52 Il Giornale dei Biologi | Giugno 2018
SCIENZE
© L. Traversetti
Fig. 3. Esemplare maturo di sesso femminile presente all’interno degli scavi di Pompei (appartenente al nucleo C, vedasi figura 1), lungo la via dell’Abbondanza, immediatamente alle spalle della domus di Giulio Polibio. In colore rosso mattone, sono ben evidenti i frutti portati alle estremità dei rami.
precedente intervento, ad oggi la specie è nuovamente presente e diffusa nel sito archeologico. A tal riguardo, il frutto del lavoro biennale di una borsa di studio nata da un protocollo di intesa della Sovrintendenza Archeologica di Pompei con l’Ordine Nazionale dei Biologi è stato orientato anche a valutare l’esatta localizzazione di tutti gli individui presenti nell’area al fine di poter proporre futuri interventi gestionali mirati.
L’attività di campionamento Al fine di riuscire a campionare interamente l’area degli scavi, la quale ha un’estensione di 66 ettari ed è suddivisa in 9 Regio, si è reso necessario separare l’attività di censimento in più periodi. Nello specifico, l’area è stata suddivisa in tre settori (primo settore - Regio I, II e VIII; secondo settore - Regio III, VII e IX; terzo settore - Regio IV, V e VI) i quali sono stati campionati, sequenzialmente, in tre giorni per ogni stagione, al fine di ottenere 4 stagioni complete di campionamento effettuate in tutto il 2016 (per una visione dell’area di studio, vedere figura 2). Questa strategia di rilevamento intensivo stagionale è stata pensata per diverse finalità: mettere chiaramente in evidenza la localizzazione degli individui di sesso femminile, dunque responsabili del fenomeno della dispersione dei frutti, basandosi proprio sull’osservazione della presenza delle strutture riproduttive. L’albero possiede infatti delle infiorescenze poco appariscenti della lunghezza massima di 50 cm, costituite da fiorellini di colore verde giallastro, poco appariscenti. Contrariamente a ciò, la presenza di frutti grandi fino a 5 cm, di colore verde rossastro, dotati di
un’ala che li rende soggetti a una dispersione di tipo anemocoro, riuniti in grappoli, risulta ben evidente e utile a identificare rapidamente il sesso di un individuo maturo (Figura 3); valutare la direzionalità della dispersione dei frutti in funzione della direzione predominante del vento, è risultato utile per ipotizzare zone soggette a maggior rischio di germinazione di nuovi esemplari e, dunque, verso le quali prestare i maggiori sforzi gestionali finalizzati a evitare che ciò possa avvenire; abbinare l’attività di raccolta delle informazioni biologiche sulla specie con le periodiche chiusure di alcune aree del sito archeologico per consentire gli interventi di restauro. Infatti l’intensa attività di restauro di varie aree all’interno degli scavi, direttamente interessate da interventi connessi con il ‘Grande Progetto Pompei’ (GPP), ha reso necessario organizzare i campionamenti con una frequenza elevata in modo da riuscire ad avere la garanzia di riuscire a censire tutti gli individui presenti, coprendo per intero ogni area facente parte degli scavi, incluse quelle periodicamente chiuse per i suddetti interventi di restauro.
Distribuzione di A. altissima nell’area archeologica La figura 2 e la tabella 1 riportano con esattezza la localizzazione di tutti gli esemplari di A. altissima rinvenuti nell’area archeologica di Pompei, distinguendoli tra: i) individui immaturi con un’altezza inferiore a 1.5 m; ii) individui di altezza superiore a 1.5 m, di sesso maschile o immaturi, in quanto non è stato possibile definire esattamente il raggiungimento della maturità sessuale; iii) individui di sesso femminile, classificati come maturi Il Giornale dei Biologi | Giugno 2018
53
SCIENZE
ID
Latitude
Longitude
ID
Latitude
Longitude
tività germinativa e proliferativa della specie successivamente all’intervento 17 456853.46 mE 4511081.25 mN 1 456278.21 mE 4511243.99 mN realizzato negli anni 1988-1989 (Ciarallo 2 456271.62 mE 4511279.48 mN 18 456832.36 mE 4511076.65 mN e D’Amora, 1989). Più in dettaglio, la contemporanea 19 456796.47 mE 4511092.10 mN 3 456266.35 mE 4511260.78 mN presenza, accanto a nuovi individui, 4 456229.77 mE 4511328.70 mN 20 456541.47 mE 4511413.71 mN spesso immaturi, di esemplari caratte21 456147.26 mE 4510998.79 mN 5 456163.41 mE 4511321.53 mN rizzati da un portamento arboreo degno di nota, con altezze pari a circa 10 m, 6 456459.49 mE 4511186.33 mN 22 457072.71 mE 4511344.03 mN indica come la loro presenza rappre23 456865.62 mE 4511167.23 mN 7 455979.38 mE 4511438.96 mN senti un reale pericolo sia per il periodo attuale che per il prossimo futuro, ren8 456353.31 mE 4511198.05 mN A 456118.25 mE 4511348.29 mN dendo necessaria l’attuazione di adeB 456051.93 mE 4511379.37 mN 9 456858.74 mE 4511181.53 mN guati interventi gestionali. È infatti noto che la specie sia 10 456901.13 mE 4511203.24 mN C 456989.22 mE 4511271.90 mN in grado di accrescersi rapidamente 11 456836.84 mE 4511006.86 mN D 456338.83 mE 4510885.54 mN nell’arco dell’anno, per altezze che pos12 457358.69 mE 4511390.14 mN E 456999.84 mE 4511127.61 mN sono raggiungere anche gli 8 piedi (Yancey, 2014), pari ad altezze fino a 4 m sia 13 457358.69 mE 4511390.14 mN F 457060.98 mE 4511309.30 mN quando la pianta germina da un nuovo 14 456437.16 mE 4511237.43 mN G 456584.41 mE 4511409.14 mN seme, sia quando il ricaccio avviene direttamente dalla radice sotto forma di 15 456816.79 mE 4511058.81 mN H 457382.97 mE 4511362.47 mN pollone (Enescu, 2014). 16 456838.61 mE 4511071.15 mN Il quadro attuale rende necessario Tab. 1. Coordinate geografiche (latitudine e longitudine) di tutti gli individui/nuclei rinvenuti nell’area di studio. Il numero/lettera riportati un intervento duplice. In primis, sarebnella prima colonna corrispondono all’identificativo dell’individuo/nucleo riportato in figura 2. be utile intervenire in modo meccanico mediante la rimozione degli individui di per la presenza di evidenti strutture riproduttive (fiori o frutti), dimensioni minori (Bettini, 1988; Caneva, 1991; Yancey, 2014). iv) individui a diversi gradi di maturità e sviluppo, raggruppati in Parallelamente a ciò, gli individui di dimensioni maggiori donuclei. La posizione precisa in cui sono presenti questi individui vranno inevitabilmente subire un trattamento differente, basato è stata registrata mediante l’ausilio di un rilevatore GPS portatile. sul taglio della parte aerea e sull’ausilio di iniezioni di biocida In aggiunta a questi dati, sono state anche rilevate le prineffettuate direttamente nell’area di taglio, in modo che lo stescipali misure biometriche di ogni pianta, ovvero l’altezza totale so possa raggiungere l’apparato radicale e svolgere la sua azione e il diametro del fusto ad un’altezza di 20 cm dal suolo. La racmirata su di esso (Caneva, 1991; Motti et al., 2008; Badalamenti colta di queste informazioni è stata ovviamente fatta mediante e La Mantia, 2013). A tal riguardo, l’utilizzo di soluzioni di tipo misurazioni dirette nei casi in cui la pianta fosse raggiungibile ammoniacale si è rivelato, negli anni, la principale strategia in dall’operatore, oppure mediante misure indirette nel caso in cui grado di raggiungere con efficienza l’obiettivo voluto (Almeida l’individuo fosse troppo alto per poter rilevare l’altezza, oppure et al., 1994). irraggiungibile poiché cresciuto in zone perimetrali esterne o reAccanto a questo intervento diretto, ritengo sarebbe fondacintate e inaccessibili. mentale affiancare periodiche attività di monitoraggio dell’intera Nel caso specifico del diametro del fusto, la misura è stata area, in quanto, anche alla luce della effettiva difficoltà gestionale fatta mediante un comune metro a fettuccia mentre, nel caso della specie e alle indubbie difficoltà ad arrivare a una certa rimodella misurazione dell’altezza della pianta, ove possibile questa zione completa della specie e degli interi e complessi apparati raè stata rilevata mediante l’ausilio di un metro avvolgibile mentre, dicali, rappresenterebbero la principale strategie preventiva volnei casi di esemplari di altezza maggiore di 1.5 m, la misurazione ta ad evitare una nuova colonizzazione da parte di questa specie. è stata fatta mediante triangolazione. In tale modo, infatti, potrebbero essere evidenziate rapidaMediante queste metodiche, è stato possibile evidenziare una mente nuove eventuali plantule all’inizio del loro sviluppo, ovvegrande eterogeneità sia per quanto riguarda l’altezza degli esemro una condizione tale da far si che anche una rapida rimozione plari (un’altezza media di circa 2.5 m, con l’individuo più basso meccanica mediante estirpazione potrebbe garantire di eliminare che raggiunge un’altezza di appena 22 cm e quello più alto, una completamente il pericolo (Caneva, 1991; Yancey, 2014). femmina matura, che raggiunge i 10 m), sia per quanto riguarda Infine ritengo sarebbe ulteriormente utile estendere le attiil diametro del fusto (media = 52 cm, minimo = 1.4 cm, massimo vità gestionali anche alle aree perimetrali ed esterne all’area ar= 0.9 m) (Figura 4). cheologica, in un raggio di 100 metri corrispondente alla distanza massima che i frutti di questa specie possono raggiungere, parStrategie di intervento tendo dalla pianta madre, quando trasportati dal vento (Enescu, 2014). La figura 1 mostra inequivocabilmente come la attuale diQuesta azione potrebbe orientarsi anche ad un taglio delle stribuzione di A. altissima sia abbastanza diffusa nell’intera area strutture riproduttive della pianta madre, in modo che la disperarcheologica di Pompei, chiara indicazione di una ripresa dell’atsione dei semi possa essere evitata (Meloche e Murphy, 2006).
54 Il Giornale dei Biologi | Giugno 2018
SCIENZE
a
b
c
Fig. 4. Alcuni degli esemplari censiti all’interno dell’area di studio. È possibile osservare una rilevante eterogeneità strutturale, indicazione del fatto che l’area archeologica di Pompei ospiti individui di entrambi i sessi, maturi e non, e a diversi gradi di sviluppo
Bibliografia Aldrich, P. R., Briguglio, J. S., Kapadia, S. N., Morker, M. U., Rawal, A., Kalra, P., Huebner, C. D., Greer, G. K. 2010. Genetic structure of the invasive tree Ailanthus altissima in eastern United States cities. Journal of Botany, Article ID 795735, 9 pagine. Almeida, M. T., Mouga, T., Barracosa, P. 1994. The weathering ability of higher plants. The case of Ailanthus altissima (Miller) Swingle. International biodeterioration and biodegradation, 33:333-343. Badalamenti, E., La Mantia, T. 2013. Stem-injection of herbicide for control of Ailanthus altissima (Mill.) Swingle: a practical source of power for drilling holes in stems. iForest, e1-e4. Bettini, C., Villa, A. 1988. Il problema della vegetazione infestante nelle aree archeologiche. Atti del Simposio Internazionale di conservazione della pietra, Bologna, 19-21 Giugno, 1975 Caneva, G. 1991. Il problema della crescita di Ailanthus altissima (Miller) Swingle nelle zone archeologiche e monumentali. In: Le pietre nell’architettura: struttura e superfici: atti del convegno di studi. Bressanone 25-28 giugno 1991. Libreria Progetto Editore, 225-234 pp. Caneva, G., Ceschin, S., De Marco, G. 2006. Mapping the risk of damage from tree roots for the conservation of archaeological sites: the case of the Domus Aurea, Rome. Conservation and Management of Archaeological Sites, 7(3): 163-170. Caneva, G., Galotta, G., Cancellieri, L., Savo, V. 2009. Tree roots and damages in the Jewish catacombs of Villa Torlonia (Roma). Journal of Cultural Heritage, 10: 53-62. Casella, F., Vurro, M. 2013. Ailanthus altissima (tree of heaven): Spread and harmfulness in a case study urban area. Arboricultural Journal: The International Journal of Urban Forestry, 35: 172-181.
Celesti-Grapow, L., Pretto, F., Carli, E., Blasi, C. 2010. Flora vascolare alloctona e invasiva delle regioni d’Italia. Casa Editrice Universitaria La Sapienza, Rome, Italy. Ciarallo, A. M., D’Amora, L. 1989. Il controllo della vegetazione infestante in Pompei, un anno dopo. In: Mastroroberto, M. (eds) Archeologia e botanica, atti del convegno di studi sul contributo della botanica alla conoscenza e alla conservazione delle aree archeologiche vesuviane. L’Erma di Bretschneider, Rome, Italy, 95-102 pp. Enescu, C. M. 2014. The role of tree-of-Heaven in forest land reclamation: a brief review. Journal of Horticulture, Forestry and Biotechnology, 18:66-69. Heisey, R, M. 1996. Identification of an allelopathic compound from Ailanthus altissima (Simaroubaceae) and characterization of its herbicidal activity. American Journal of Botany, 83:192-200. Heisey, R, M. 1997. Allelopathy and the secret life of Ailanthus altissima. Arnoldia, 2: 28-36. Kowarik, I., Säumel. I. 2007. Biological flora of central Europe: Ailanthus altissima (Mill.) swingle. Perspectives in Plant Ecology, Evolution and Systematics, 8:207-237. Meloche, C., Murphy, S. D. 2006. Managing tree-of-heaven (Ailanthus altissima) in parks and protected areas: a case study of Rondeau Provincial Park (Ontario, Canada). Environmental management, 37:764-772. Motti, R., Ricciardi, M., Stinca, A. 2008. Analisi della pericolosità della flora vascolare biodeteriogena in ambiente urbano: il caso del Palazzo Reale di Portici. Atti Giornate Scientifiche del Polo delle Scienze e Tecnologie per la Vita, n. 374. Signorini, M. A. 1996. L’indice di pericolosità: un contributo del botanico al controllo della vegetazione infestante nelle aree monumentali. Informatore botanico italiano, 28:7-14. Yancey, M. 2014. Invasive exotic plant species: Ailanthus (Ailanthus altissima). Virgina Cooperative Extension, Publication n. 420-322.
Il Giornale dei Biologi | Giugno 2018
55
SCIENZE
Storia naturale delle città Il rapporto tra ambiente e centri urbani è sempre più problematico e la sopravvivenza di specie vegetali e animali presenta una continua crescita delle problematiche di gestione
di Stefano Dumontet*
O
ggi, circa il 50 per cento della popolazione mondiale vive in aree urbane, una condizione che ha richiesto circa cinquemila anni per verificarsi e il cui andamento incrementale è ben lungi dall’arrestarsi, tanto che i demografi stimano un raddoppiamento della popolazione urbana nelle prossime tre decadi. Il rapporto tra natura e città sta divenendo sempre più problematico e le strategie di sopravvivenza di specie vegetali e animali in aree fortemente antropizzate assumono carattere sempre più inedito. Alcuni ecologi ritengono che sia giunto il momento di sostituire al paradigma dell’ecologia parziale, ancora dominante nelle scienze naturali, quello dell’ecologia olistica che include anche le scienze umane e sociali. Questo approccio, che assume particolare significato se si considerano le aree urbane e la loro sostenibilità ambientale, privilegia lo studio della diversità biologica, nel più vasto senso del termine, attraverso lo studio dell’interdipendenza tra natura e cultura umana. Le aree urbane includono habitat naturali, semi-naturali e * Università degli Studi di Napoli “Parthenope”.
56 Il Giornale dei Biologi | Giugno 2018
© Shark_749/www.shutterstock.com
completamente artificiali. Alcune parti delle città sono una sorta di deserto biologico (aree cementificate), ma altre zone cittadine, incluse le aree industriali dismesse, sono ricchissime in biodiversità, il cui destino è spesso legato, oltre che a decisioni di pianificazione urbana, anche ad eventi catastrofici. Infatti, una storia naturale delle città di carattere del tutto
SCIENZE
Ailanthus altissima.
nuovo è quella che ha dato i natali alla cosiddetta “ecologia ruderale”, che può essere ricondotta agli studi condotti dopo eventi catastrofici che hanno colpito molte città. Un esempio celebre è quello degli studi botanici seguiti al distruttivo incendio di Londra del 1666, quando il naturalista John Gray registrò meticolosamente il successo della Sisymbrium irio, la famosa “ruchetta di Londra”, nella colonizzazione degli spazi bruciati dal fuoco. È la seconda guerra mondiale che offre il più vasto campo di indagini per gli studiosi dell’evoluzione delle comunità vegetali e delle specie pioniere. Le immani distruzioni della guerra, dopo i bombardamenti a tappeto di Londra, di Tokyo, di Berlino e di molte altre città tedesche, lasciarono immensi campi di macerie, molte delle quali bruciate da incendi e dal napalm. L’inedito substrato di crescita, molto alcalino, e gli spazi improvvisamente diventati aperti permisero lo sviluppo di specie vegetali prima esotiche e ristrette a pochi esemplari. Ne sono un esempio l’Epilobium angustifolium, un arbusto raro che divenne la pianta più comune del centro di Londra nel 1943 insieme al Senecio squalidus, pianta erbacea recente immigrato dalla Sicilia dove cresce sulle pendici dell’Etna ed è ben adattato a vivere su substrati combusti. L’arbusto Buddleia Davidii, altra pianta esotica originaria dell’Hymalaia, prosperò rapidamente sulle macerie, insieme alla peruviana Galinsoga parviflora, che proveniva dai Kew Gardens, famoso orto botanico di Londra. A Berlino, invece, fu l’Alianto diffondersi rapidamente sulle macerie. Originario della Cina, importato in Germania al tempo di Federico il Grande, non aveva mai mostrato attitudine alla crescita spontanea ed era confinato in pochi parchi e giardini. La distruzione della città, invece, permise sia all’Alianto che alla Robinia pseudacacia, Buddleja Davidii.
© relish5/www.shutterstock.com
© Iva Villi/www.shutterstock.com
altra specie esotica, di proliferare. Questa nuova flora, divenuta stabile a Londra e nelle altre città bombardate, fa oggi stabilmente parte del paesaggio urbano. Un celebre botanico londinese, O.L. Gilbert, registrò la similitudine della nuova flora della Londra bombardata con le specie pioniere che colonizzarono le morene terminali dei ghiacciai alla fine dell’ultima era glaciale. La guerra divenne un potente agente geologico riportando indietro di diecimila anni le condizioni ecologiche di vaste aree urbane. La cosa davvero straordinaria è che le zone bombardate delle città europee hanno conservato sino ad oggi una grande diversità biologica, molto più alta delle zone circostanti. Similmente, le aree urbano-industriali, create dal paradigma produttivo fordista e abbandonate a causa della ristrutturazione industriale degli anni ’80 del ’900, mostrano un’incredibile varietà di specie adattate alle particolari situazioni ambientali. Tutte queste aree, insieme alla biodiversità da loro contenuta, giocano un ruolo importantissimo nel mantenere alta la qualità della vita nelle città. Questi ecosistemi permettono in vario modo e grado la depurazione delle acque e dell’aria, il sequestro del carbonio, la fornitura di ossigeno, il controllo di patogeni e parassiti, la diffusone del polline e l’assorbimento e detossicazione di residui tossici prodotti da attività umane. Troppo spesso il valore di questi “eco-servizi” non sono considerati nella pianificazione urbana e nelle successive decisioni sullo sviluppo delle città, come non è considerata l’importanza di alcune aree urbane come serbatoio di biodiversità.
Il Giornale dei Biologi | Giugno 2018
57
SCIENZE
Epigenetica ovvero... “oltre la Genetica” I cambiamenti legati all’ambiente, così come le abitudini o le costrizioni alimentari, possono essere mediati da un’appropriata alimentazione
di Lisa Fiore*, Gianni Zocchi**, Niccolò Zocchi***
L’
epigenetica, una delle nuove scienze nell’ambito della ricerca bio-medica, è definita, in termini generali, come quella branca, appunto delle scienze “omiche”, che studia la variabilità dell’espressione del genoma pur non comportando alterazioni nella sequenza del Dna ed è stato ormai ampiamente dimostrato come l’epigenoma sia ereditabile, e quindi trasmissibile attraverso le generazioni, ma reversibile nei suoi cambiamenti. Lo studio dell’epigenetica parte dalla considerazione che tramite la genetica classica è possibile spiegare solo il 20-30 per cento di fenomeni, quali l’invecchiamento cellulare, la maturazione di cellule pro-neoplastiche o la rapida trasmissione di caratteri fenotipici da una generazione alle successive. Il restante 70-80 per cento di tali aspetti può oggi essere valutato attraverso i cambiamenti epigenetici ai quali vanno incontro tutte le cellule viventi (Lidzbarsky G. et al, 2018). Tali cambiamenti comprendono la metilazione del Dna, le modificazioni istoniche, la produzione di sequenze di Rna apparentemente non codificanti ed è stato recentemente dimostrato come anche variazioni della struttura della cromatina possano costituire importanti segnali “epigenetici”. Le alterazioni epigenetiche costituiscono quindi elementi “fondamentali” nelle risposte cellulari ai più svariati stimoli e la *Biologo, PhD. **Biologo Nutrizionista, Spec. in Scienza dell’ Alimentazione. ***Biologo Nutrizionista.
58 Il Giornale dei Biologi | Giugno 2018
vera sfida è oggi quella di valutare il loro reale contributo alla variazione fenotipica. L’epigenoma viene trasmesso attraverso le generazioni e questo si osserva in tutti gli esseri viventi ad oggi studiati, dalla Drosophila all’uomo, così come è possibile dimostrarne gli effetti inter- e multi-generazionali mentre restano da chiarire gli aspetti dell’ereditarietà attraverso le generazioni, fenomeno che si esprime secondo regole non mendeliane e attraverso le linee germinali (Guerrero-Bosagna C. et al, 2018). Secondo il dogma centrale della biologia, ovvero l’asse “Dna-Rna-proteina”, il Dna costituito dalle quattro basi adenina, citosina, guanina e timina, fornisce il codice per la trascrizione dell’Rna, che a sua volta viene tradotto in proteine per soddisfare le diverse funzioni biologiche. L’epigenetica si inserisce in questi passaggi biochimici attraverso la formazione di una “quinta base”, la citosina metilata, evento che nei mammiferi avviene prevalentemente a livello dei dinucleotidi CpG in presenza dell’enzima metil-transferasi (Skinner M.K., 2018). Come anticipato nel 2006 dai premi Nobel Andrew Fier e Craig Mello, questo passaggio costituisce il segnale per la formazione della cromatina “silenziata o attivata” (Mello C.C., 2006). La scoperta di questo evento biochimico spiega perché tutte le cellule umane abbiano lo stesso genoma, ma caratteristiche e profili epigenetici profondamente diversi. La modulazione dell’epigenoma avviene attraverso l’interazione con l’ambiente esterno (arrivo e gestione dei nutrienti, cambiamenti climatici, risposta a stress esogeni e endogeni) ed è in grado di condizionare eventi che vanno dallo sviluppo embrionale, al differenzia-
© Di Natasha Breen/www.shutterstock.com
mento cellulare, all’espressione di specifici geni normalmente silenti (Van Baak T.E. et al., 2018) L’ambito nutrizionale, in particolare, si presta a queste considerazioni e, nonostante rimanga da chiarire il meccanismo con cui i diversi nutrienti interagiscono con il genoma, alcuni studi ne hanno dimostrato l’azione diretta. Studi sui topi hanno dimostrato che una volta resi obesi i padri, la placenta e il feto cresceva in modo irregolare (Binder et al., 2012). In altrettanto modo se i genitori dei topi, nello specifico i maschi (padri) venivano per 9 settimane avviati ad attività fisica e dieta, in modo tale da renderli in forma prima del concepimento, in questo caso la placenta e feti risultavano regolari (McPherson et al., 2013). Nei vari aspetti e sfaccettature che riguardano l’epigenetica in generale, esiste quella a indirizzo nutrizionale. Ossia quella parte della scienza che correla ciò che nutrienti o sostanze a carattere bio-attivo/nutraceutico, inserite come da alimenti o da integratori, appartenenti sia al mondo vegetale (in particolare) che quello animale, entrando in contatto con il nostro organismo, generano espressione dei nostri geni in modo diverso, accendendo o oscurando alcuni nostri interruttori fenotipici. Soggetti esposti a restrizione calorica nel corso della vita embrionale presentano, in età adulta, un’elevata suscettibilità a condizioni croniche quali diabete, sindrome metabolica e patologie cardiovascolari. Questa evidenza ha delle importantissime implicazioni: i cambiamenti epigenetici che avvengono nel corso dello sviluppo embrionale si mantengono nel corso della vita nonostante queste variazioni siano potenzialmente reversibili e vengono
trasmessi alle generazioni successive (Kesebir S., 2018). Un altro studio interessante è quello condotto tramite una analisi sulla popolazione olandese durante il periodo di carestia tra il 1944 e il 1945. Tale condizione di carenza alimentare ha generato per molti decenni una cattiva salute anche nei nipoti a seguire con predisposizione a malattie cardiache e polmonari e non ultimo, intolleranza al glucosio. È proprio vero che ciò che hanno vissuto i nostri nonni in termini di alimentazione e stile di vita si tramanda ai nipoti. Una osservazione generale prima di riprendere altri casi studiati è che le sostanze bioattive degli alimenti (vedi per esempio vitamina B6, B9, B12, acido folico, metionina) possono modulare la metilazione del Dna influenzando e modificando i processi biochimici della metilazione stessa. Altri studi sono stati condotti sulla restrizione calorica (inferiore del 30-40 per cento rispetto ai fabbisogni). In questi casi sono stati osservati benefici sulla salute sia a livello metabolico (dislipidemia, ipertenzione) che come aumento della resistenza allo stress. Altro studio interessante è il Seven Countries Study, che ha coinvolto 12mila persone appartenenti a vari Paesi (Stati Uniti, Finlandia, Jugoslavia, Grecia, Giappone, Italia). Lo studio ha dimostrato come la Dieta Mediterranea, grazie all’ottimo equilibrio tra i vari alimenti/nutrienti, ricca pertanto di frutta, verdura, legumi, grazie ai vari componenti biochimici (vedi quercitina, resveratrolo, acidi grassi monoinsaturi MUFA ecc.) produca benefici sulla salute con particolare riguardo allo stress ossidativo, all’infiammazione ecc. In Giappone invece è emerso che il miglior modello alimentare è quello dell’Isola di Okinawa, dove oltre a molta frutta e Il Giornale dei Biologi | Giugno 2018
59
© Africa Studio/www.shutterstock.com
verdura si usa dell’ottimo tè verde e una alimentazione a basso grado calorico. A tutto ciò si aggiunge una sana attività fisica fino a tarda età. Non a caso si registra nell’isola di Okinawa la più alta longevità. Tutte queste diete sembrano modificare l’espressione genica, grazie alla regolazione dei meccanismi epigenetici, ai sistemi che possono riguardare modifiche o regolazione di Istoni, alla metilazione del Dna ecc. E così a seguire vari studi, da donne che sono rimaste incinta durante la seconda guerra mondiale e che, visto la circostanza di carestia, sono state costrette a patire la fame, che hanno generato figli che da adulti hanno avuto seri problemi di salute, in particolare su malattie degenerative. Per fare un altro esempio, una ricerca svedese ha correlato il rischio di diabete su tre generazioni a seguire, nelle quali i nonni avevano abbondato in alimentazione nel corso della pre-adolescenza. Tutte testimonianze che correlano il modo di alimentarsi a una serie di rischi che vengono poi trasmessi tramite un concetto epigenetico. Anche l’attività fisica può rientrare in questi meccanismi regolatori. L’epigenetica spiega quindi l’alta “flessibilità” del genoma senza che vi siano modificazioni nella sua sequenza e la caratteristica di poter ereditare questa estrema variabilità di espressione costituisce un passaggio fondamentale dell’evoluzione e dell’adattamento all’ambiente, adattamento che sarebbe lunghissimo da realizzare esclusivamente attraverso le “mutazioni casuali” e successiva selezione secondo il modello Darwiniano (Penny D., 2015). I fenomeni epigenetici riabilitano così, in qualche modo, la teoria dell’ereditarietà dei caratteri acquisiti formulata da Lamarck: la metilazione del Dna agisce come una epi-mutazione e l’evidenza della trasmissibilità alle generazioni successive contribuisce alla variabilità fenotipica al pari delle mutazioni casuali. Gli esseri viventi sperimentano l’ambiente e attraverso tale esperienza elaborano la propria evoluzione (Penny D., 2015). La visione “omica” del rapporto genotipo-fenotipo, le tecniche di sequenziamento di ultima generazione, che permettono di analizzare le singole cellule dei diversi tessuti e distretti e gli studi EWAS (Epigenome-Wide Association Study) (Richards R. et al, 2017) costituiscono oggi la base per tutte le ricerche future che consentiranno di decodificare l’epigenoma degli esseri viventi e di chiarire tutti gli aspetti del rapporto tra genoma e ambiente. Concludendo, possiamo affermare che i cambiamenti epigenetici legati all’ambiente, quindi anche alle abitudini o costrizioni alimentari, possono essere mediati da una dieta appropriata o da una adeguata integrazione. In sintesi, ciò che tende a esprimersi a livello genomico può essere modulato e quindi modificato nell’espressione. Pertanto è importante che questa scienza vada avanti nel-
60 Il Giornale dei Biologi | Giugno 2018
le conoscenze, perché ci sono tutti i presupposti affinché una dieta ad personam possa modificare la storia naturale legata all’ereditarietà genetica di interi gruppi familiari, riconducendo tutto verso vantaggi per la salute. Quindi epigenetica e nutriepigenomica come correzione dell’espressione e del rischio genetico.
Bibliografia Guerrero-Bosagna C. et al, Transgenerational epigenetic inheritance in birds. Environmental Epigenetics, 2018. Lidzbarsky G. et al, Genomic instabilities, Cellular Senescence, and Aging: In Vitro, In Vivo and Aging-Like Human Syndromes. Frontiers in Medicine 2018. Kesebir S., Epigenetics of Metabolic Syndrome as a Mood Disorde. J Clin Med Res. 2018. Mello C.C., Return to the RNAi world: rethinking gene expression and evolution. Nobel Lecture, 2006. Penny D., Epigenetics, Darwin, and Lamarck. Genome Biol. Evol 2015. Richards R. et al, Evaluation of massively parallel sequencing for forensic DNA methylation profiling. Electrophoresis 2017. Skinner M.K., Environmental Epigenetics update. Environmental Epigenetics, 2018. Van Baak T.E. et al., Epigenetic supersimilarity of monozygotic twin pairs. Genome Biology 2018.
CONTATTI
Informazioni per gli iscritti Si informano gli iscritti che gli uffici dell’Ordine Nazionale dei Biologi forniranno informazioni telefoniche di carattere generale nei seguenti orari: dal lunedì al giovedì dalle ore 10:00 alle ore 12:00 e dalle ore 15:00 alle ore 17:00, il venerdì dalle ore 10:00 alle ore 12:00. Tutte le comunicazioni dovranno pervenire tramite posta (presso Ordine Nazionale dei Biologi, via Icilio 7, 00153 Roma) o tramite posta elettronica, all’indirizzo protocollo@peconb.it, indicando nell’oggetto l’ufficio a cui la comunicazione è destinata. È possibile recarsi presso gli uffici dell’ONB per richiedere documenti o informazioni. Gli uffici della sede di rappresentanza, in via Icilio 7, forniscono esclusivamente i certificati di iscrizione. Per tutte le altre richieste, quali domande di cancellazione o iscrizione, passaggi albo/elenco e informazioni sullo stato dei propri pagamenti, è necessario rivolgersi agli uffici della sede operativa, in via della Piramide Cestia 1/C. Per avere risposte a quesiti più complessi o che richiedano la consultazione dei fascicoli personali degli iscritti, le richieste dovranno essere inoltrate esclusivamente a pezzo lettera o posta elettronica.
UFFICIO TELEFONO Centralino 06 57090 200 Area riservata 06 57090 224 - 06 57090 241 Ufficio ragioneria 06 57090 220 - 06 57090 222 Ufficio iscrizioni 06 57090 210 - 06 57090 223 Ufficio certificati 06 57090 203 - 06 57090 285 Ufficio quote annuali 06 57090 216 - 06 57090 217 Ufficio eventi e assicurazioni 06 57090 202 Ufficio stampa 06 57090 205 - 06 57090 225 Ufficio Pec 06 57090 214 Ufficio anagrafe 06 57090 218 Ufficio legale 06 57090 226 Ufficio consulenza fiscale 06 57090 221 consulenzafiscale@onb.it Ufficio consulenza del lavoro consulenzalavoro@onb.it Ufficio CED 06 57090 230 - 06 57090 231 Presidenza e Segreteria 06 57090 211 - 06 57090 227 Organi collegiali 06 57090 229
CONSIGLIO DELL’ORDINE NAZIONALE DEI BIOLOGI Vincenzo D’Anna – Presidente E-mail: presidenza@peconb.it Pietro Miraglia – Vicepresidente E-mail: analisidelta@gmail.com Pietro Sapia – Consigliere Tesoriere E-mail: p.sapia@onb.it Duilio Lamberti – Consigliere Segretario E-mail: d.lamberti@onb.it Gennaro Breglia E-mail: g.breglia@onb.it Claudia Dello Iacovo E-mail: c.delloiacovo@onb.it Stefania Papa E-mail: s.papa@onb.it Franco Scicchitano E-mail: f.scicchitano@onb.it Alberto Spanò E-mail: a.spano@onb.it CONSIGLIO NAZIONALE DEI BIOLOGI Erminio Torresani – Presidente Maurizio Durini – Vicepresidente Raffaele Aiello – Consigliere Tesoriere Immacolata Di Biase – Consigliere Segretario Sara Botti Laurie Lynn Carelli Vincenzo Cosimato Giuseppe Crescente Paolo Francesco Davassi Luigi Grillo Stefania Inguscio Andrea Iuliano Federico Li Causi Andrea Morello Marco Rufolo Il Giornale dei Biologi | Giugno 2018
61
POSTA Per quesiti di carattere generale scrivi a ufficiostampa@onb.it
Lettere al Presidente di Vincenzo D’Anna Firmare i referti
Carta intestata e timbro
Sono una biologa iscritta all’albo che esercita in ambito sanitario privato. Non sono ancora specializzata e vorrei chiedere se posso firmare digitalmente i referti che valido clinicamente, dietro autorizzazione scritta del mio responsabile di laboratorio. S. C. Gentile Dottoressa, il biologo può sottoscrivere gli esami che esegue ancorché sotto la responsabilità del Direttore tecnico responsabile della struttura sanitaria, che ha l’obbligo di sottoscrivere il riepilogo degli esami eseguiti e da consegnare all’utente.
La ditta presso cui sono impegnata mi ha richiesto di firmare i certificati di analisi in quanto il chimico che lo faceva prima sta per andare in pensione. Il mio dubbio è il seguente: i certificati devono essere stampati su carta intestata dell’azienda con la mia firma e timbro dell’albo professionale oppure devo procurarmi una carta intestata a mio nome con la dicitura a pie’ di pagina che indichi il laboratorio dove vengono effettuate le analisi? S. V. Gentile Dottoressa, i certificati devono essere rilasciati su carta intestata dell’azienda presso la quale si eseguono le richieste di analisi di laboratorio, debitamente sottoscritte dall’esecutore con timbro e firma del professionista.
Professione Nutrizionista Sono una neo iscritta all’Ordine. Per iniziare l’attività come biologa nutrizionista, quali comunicazioni dovete ricevere? Apertura partita iva? Come faccio a ordinare il timbro? Necessito di un nulla osta per la pubblcità? E. G. Gentile Dottoressa, per iniziare la libera professione occorre, oltre a essere iscritti all’Ordine Nazionale dei Biologi, aprire la partita iva, essere in possesso dell’assicurazione RC sui rischi professionali ed essere iscritti all’ente di previdenza dei biologi (Enpab). Per quanto riguarda la pubblicità sanitaria, non c’è bisogno di chiedere all’Ordine nessun nulla osta a cui fa riferimento nella sua lettera.
62
Il Giornale dei Biologi | Giugno 2018
Direzione di laboratorio senza specializzazione? Vorrei sapere se, secondo le nuove direttive, per un biologo iscritto all’Ordine, senza specializzazione, sia possibile ricoprire l’incarico di direttore di laboratorio. S. S. Gentile Dottoressa, sì, è possibile, ma solo se il laboratorio è semplicemente autorizzato, ma non accreditato con il Servizio Sanitario Nazionale. Possibili due direzioni di laboratorio? Sono direttore sanitario di un laboratorio di analisi cliniche convenzionato con
il Servizio Sanitario Nazionale. È cambiato qualcosa rispetto al passato, quando era impossibile figurare come direttore di più strutture contemporaneamente? Infatti, mi è stata proposta di recente la direzione presso un secondo laboratorio in cui svolgo consulenze. A. B. Egregio Dottore, non è intervenuta alcuna modifica legislativa e/o normativa nella materia riguardante la direzione tecnico responsabile dei laboratori di analisi. Resta confermata, pertanto, l’incompatibilità a dirigere due diverse strutture accreditate con il Servizio Sanitario Nazionale. Il farmacista può fare il nutrizionista? Sono laureata in farmacia ed iscritta all’albo dei farmacisti, ma mi piacerebbe svolgere la professione di nutrizionista, aprendo un mio studio o in associazione con altri nutrizionisti. Non avendo una laurea in Biologia e non essendo iscritta all’albo dei biologi, non credo di poter diventare una biologa nutrizionista. Ma quale percorso dovrei fare? Oppure potrei, in seguito al conseguimento di un master, esercitare la professione autonomamente? M. C. Gentile Dottoressa, per esercitare la professione di biologo nutrizionista dovrà essere iscritta, in futuro e in seguito al conseguimento dei relativi titoli propedeutici, all’Ordine Nazionale dei Biologi.
TERRA DEI FUOCHI la linea di partenza
Cancro, sopravvivenza, qualità di vita, guarigione: attualità tra oncologia medica istituzionale e medicina integrata PROGRAMMA Ore 8:30
Registrazione dei partecipanti Welcome coffee
Ore 14:30
Dr. Massimiliano Berretta
Ore 9:30
Alimentazione, cancro e Medicina Complementare ed Alternativa (CAM), quale nesso clinico?
Presidente dell'Ordine dei Biologi
Ore 15:00
Ore 10:00
B-glucans from Grifola frondosa and Ganoderma lucidum in Breast Cancer: an example of Complementary and Integrative Medicine
Sen. Dr. Vincenzo D’Anna Il Fenomeno “Terra dei Fuochi”. Benvenuto delle Autorità
Prof. Giulio Tarro
Collegamento tra la mortalità del Cancro e le anomalie congenite con l’esposizione dei rifiuti in Campania Ore 10:30
Prof.ssa Stefania Papa
Exposure to environmental contamination hair trace metals analysis Ore 11:00
Prof. Dr. Paolo Lissoni
Epigenetics, epineal environment Ore 11:30
Prof. Eugenio Luigi Iorio
“Metalli pesanti e stress elettrofilo”, ovvero come ci si ammala nella Terra dei Fuochi: quale prevenzione? Ore 12:00
Prof. Luigi Montano
Il “Seme Sentinella” del progetto EcoFoodFertility: Dal modello di valutazione di impatto ambientale alle nuove strategie di detossificazione da inquinanti ambientali per la tutela della salute delle attuali e future generazioni nelle “terre dei fuochi” Ore 12:30
Dr. Armando D’Orta
Relationship between diet and heavy metals in high risk of the environmental toxicity areas. Implication for cancer prevention Ore 13:00 - Pausa pranzo
Prof. Paola Rossi
Ore 15:30
Prof.ssa Bruna de Felice/Dr. Andrea Del Buono Effetti citotossici delle singole n-TiO2 in combinazione con EDC sui gameti umani Ore 16:00
Dott. Giovanni Abbadessa
Precision medicine, a possible way out Ore 16:30
Dr. Andrea Del Buono, Dott. R. Di Francia, Dott. L. Iodice
Presentazione progetto pilota di screening, di educazione alla popolazione e terapia detox sulla popolazione esposta in aree ad alto rischio da metalli tossici ambientali Ore 17:00 - Conclusione dei lavori
Sen. Dr. Vincenzo D’Anna, Prof. Giulio Tarro Ore 17:15 - Compilazione questionario ECM Direttore scientifico: Dott. Raffaele di Francia
CASERTA 7 LUGLIO 2018 Agriturismo Borgorosa Via Bottacce, Francolise (CE)
Sarà messo a disposizione dei partecipanti il servizio navetta da-per la stazione di Napoli Centrale