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Carcinoma mammario triplo negativo, spiraglio per diagnosi e cure

Una ricerca del CEINGE-Biotecnologie Avanzate ha individuato una molecola che è in grado di ridurre le metastasi. Allo studio anche un kit diagnostico. Intervista a Massimo Zollo

di Chiara Di Martino

Èun tumore al seno che fa il suo esordio in giovane età e si caratterizza per la comparsa di metastasi in siti distanti da quello originario, frequentemente il polmone e il cervello. Oggi, un nuovo studio dei ricercatori del CEINGE-Biotecnologie Avanzate, pubblicato su iSCIENCE (gruppo CELL PRESS), svolto in collaborazione con il Dipartimento di Medicina Molecolare e Biotecnologie Mediche (Università di Napoli Federico II) e l’Unità di Patologia dell’Istituto Nazionale dei Tumori IRCS Fondazione Pascale, apre la strada alla diagnosi precoce e a nuove possibili terapie mirate a ridurre il processo metastatico del tumore al seno più aggressivo, il carcinoma mammario triplo negativo (TNBC).

Una patologia che rappresenta il 20% dei tumori al seno ed è anche il sottotipo più “prepotente”: tre le tipologie principali definite a seconda del tipo di recettori espressi dalle cellule tumorali, da cui si fa discendere anche l’approccio terapeutico. Un primo tipo esprime i recettori per gli estrogeni o il progesterone; un secondo presenta recettori per un fattore di crescita (la proteina HER2) che ne accresce la proliferazione.

I tumori tripli negativi, invece, non presentano recettori (né per estrogeni, né per progesterone, né per HER2), in sostanza non hanno un bersaglio da colpire. Ecco perché le pazienti con il triplo negativo metastatico hanno prognosi peggiori rispetto a quelli diagnosticati con altri sottotipi di cancro alla mammella metastatico: non ci sono, in pratica, bersagli molecolari riconosciuti per la terapia e si procede generalmente con chemioterapia. Ma una speranza arriva dalla ricerca su un particolare meccanismo molecolare all’origine delle metastasi: del corposo team – circa 15 scienziati - che ha aperto uno spiraglio su diagnosi e cure per questa grave patologia fa parte Veronica Ferrucci, laureata in Biotecnologie mediche alla Federico II di Napoli, con un dottorato in Medicina dei Sistemi presso il SEMM (Scuola europea di medicina molecolare), oggi ricercatrice di Genetica presso l’Ateneo partenopeo. È lei - che ha lavorato in tandem con la collega Fatemeh Asadzadeh, dottoranda SEMM, e sotto la guida del genetista Massimo Zollo - a spiegarci in cosa consiste quello “spiraglio”.

Cosa avete scoperto?

«Abbiamo dimostrato che la proteina Prune-1 è iper-espressa in circa il 50% dei pazienti con carcinoma mammario triplo negativo ed è correlata alla progressione del tumore, alle metastasi a distanza (polmonari) ed anche alla presenza di

© Gorodenkoff/shutterstock.com

Chi è

Un traguardo importante raggiunto da un team guidato da Massimo Zollo, genetista, professore dell’Università degli Studi di Napoli Federico II e Principal Investigator del CEINGE. Il kit in via di sviluppo sembra piuttosto promettente, ma come ci si muoverà? «Il primo trial di validazione – spiega Zollo - partirà all’Istituto Nazionale dei Tumori IRCS Fondazione Pascale per poi estendersi a livello nazionale, anche all’IFOM – Fondazione Istituto FIRC di Oncologia molecolare di Milano. Poi coinvolgeremo un’azienda interessata allo sviluppo del kit per procedere successivamente alla sua validazione per determinare in quanti soggetti si verifica il risultato atteso». Ma il gruppo è al lavoro anche sullo sviluppo di una seconda molecola ancora più sensibile, per la quale si hanno già dati rilevanti. «Dovranno seguire tutte le fasi tradizionali – prosegue il genetista -, fino alla fase 1».

macrofagi M2 (presenti nel microambiente tumorale del carcinoma mammario triplo negativo e correlati ad un rischio più elevato di sviluppare metastasi). Ma abbiamo fatto di più: abbiamo identificato una piccola molecola non tossica, che è in grado di inibire la conversione dei macrofagi verso il fenotipo M2 e di ridurre il processo metastatico al polmone. Attraverso l’utilizzo di banche dati di carcinoma mammario invasivo abbiamo avuto la conferma che quando questi geni sono iper-espressi, si verificano prognosi peggiori».

Quali possono essere gli sviluppi concreti?

«Oltre all’individuazione della molecola in grado di inibire la conversione dei macrofagi verso il fenotipo M2 e, quindi, di ridurre il processo metastatico al polmone, è ora allo studio lo sviluppo di una seconda molecola più sensibile alla quale dovrà fare seguito la sperimentazione. È stato inoltre sviluppato un kit in grado di identificare all’esordio quali carcinomi hanno maggiore probabilità di sviluppare metastasi con sede polmonare e/o in siti distanti. In sintesi, potrebbe identificare le potenziali mutazioni già in fase iniziale».

Un kit diagnostico, dunque. Verosimilmente quando potrebbe essere pronto?

«È difficile dirlo con certezza, ma il nostro auspicio è che nel giro di un paio di anni possa diventare una realtà. Questo kit utilizza gli studi genomici qui presentati e può aiutare l’oncologo nel determinare una terapia eventualmente più aggressiva sin dall’esordio. Occorreranno circa 1-2 anni di validazione, affinché sia possibile dimostrare la sua efficacia nella diagnosi clinica».

Il team che ha lavorato alla ricerca è piuttosto corposo. Chi ha guidato lo studio?

«Lo studio è stato coordinato dal prof. Massimo Zollo (Università di Napoli Federico II e CEINGE) in collaborazione con il prof. Kris Gevaert (Responsabile del Centro di Proteomica di Biotecnologie Mediche VIB-UGent, Belgio), la prof. Natascia Marino (Associate Professor, Indiana University, Indianapolis, USA), il prof. Maurizio Di Bonito (Unità di Patologia dell’Istituto Nazionale dei Tumori IRCS Fondazione Pascale), il prof. Giovanni Paolella (Università di Napoli Federico II e CEINGE) ed il prof. Francesco D’Andrea (Dipartimento di Sanità pubblica AOU Federico II). La ricerca è stata pubblicata sulla rivista scientifica internazionale iSCIENCE ed è stata finanziata dall’Unione Europea Progetto “PRIME-XS” e Tumic FP7, dall’AIRC Associazione per la Ricerca Sul Cancro, PON SATIN e dalla Fondazione Celeghin».

“È stato inoltre sviluppato un kit in grado di identificare all’esordio quali carcinomi hanno maggiore probabilità di sviluppare metastasi con sede polmonare e/o in siti distanti. In sintesi, potrebbe identificare le potenziali mutazioni già in fase iniziale”.

© Mongkolchon Akesin/shutterstock.com

”15Il Giornale dei Biologi | Marzo 2021

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