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L’impatto sulla mortalità dell’esame clinico al seno

L’impatto sulla mortalità dell’esame clinico al seno

Uno studio su migliaia di donne indiane pesa il ruolo dell’analisi effettuata da specialisti sulle pratiche di prevenzione del tumore alla mammella

Un recente studio prospettico, randomizzato e controllato, basato su alcuni cluster di popolazione indiana osservati nella città di Mumbai, ha valutato gli effetti dello screening tramite esame clinico sull’incidenza e sulla mortalità del cancro al seno, con un follow-up di venti anni.

La ricerca, coordinata da un team di ricercatori del Tata Memorial Centre e dell’Homi Bhabha National Institute di Mumbai, di cui fa parte il professore emerito Indraneel Mittra, è stata pubblicata a fine febbraio sulla rivista “BMJ” [1].

L’obiettivo primario dello studio era testare l’efficacia dello screening mediante esame clinico della mammella - l’osservazione e la palpazione accurata di entrambe le mammelle effettuate da specialisti - rispetto sia alla possibilità di fronteggiare il carcinoma mammario in dimensioni ridotte fin dalle fasi di diagnosi, sia nell’impatto sulla mortalità per malattia, soprattutto rispetto a gruppi di pazienti con patologia analoga ma in assenza dello screening specifico.

Lo studio di Indraneel Mittra e colleghi si è basato su 20 cluster geograficamente distinti, situati tutti nella popolosa città di Mumbai, in India, e che sono stati assegnati in modo casuale alle attività di screening (10 cluster) e di controllo (10 cluster). La ricerca ha tenuto conto dei dati raccolti in un periodo di osservazione di 20 anni, relativi a una popolazione di oltre 151.000 donne (nello specifico, 151.538 donne di età compresa tra 35 e 64 anni che al basale non avessero già una storia di cancro al seno).

Le donne osservate nel gruppo di screening sono state sottoposte a quattro cicli di esame clinico della mammella condotti da operatori sanitari di base qualificati ogni due anni, con annesse le informazioni utili a una maggiore consapevolezza sul tumore. Questi primi interventi sono stati seguiti da cinque cicli di sorveglianza attiva ogni due anni. Le donne osservate nel gruppo di controllo hanno, invece, ricevuto un primo ciclo di informazioni per la consapevolezza sul tumore, seguito da otto cicli di sorveglianza attiva ogni due anni.

L’aderenza media della popolazione allo screening dopo quattro cicli è stata del 67,07% e l’adesione media al rinvio in ospedale per l’eventuale conferma della diagnosi è stata del 76,21%. L’aderenza media ai cicli (dal quinto al nono) della sorveglianza attiva dopo lo screening con esame clinico è stata del 77,57%, un valore simile a quello rilevato nel gruppo di controllo. Dei 641 tumori rilevati complessivamente nel gruppo di screening, 199 (pari al 31%) sono stati rilevati durante i quattro cicli di esame e 442 (pari al 69%) sono stati rilevati durante la successiva sorveglianza attiva. L’aderenza nel gruppo di controllo al primo e unico intervento informativo per la consapevolezza è stata del 90,88%; l’aderenza media ai successivi otto cicli di sorveglianza attiva è stata del 78,14%. Al termine dell’attività di sorveglianza, in questo secondo gruppo sono stati registrati 655 casi di cancro al seno.

La costanza nella partecipazione alle attività di screening si è rivelata un fattore fondamentale: i ricercatori spiegano, infatti, di aver riscontrato una riduzione della mortalità del 34% tra le donne al di sotto dei 50 anni che avevano partecipato a tutti i cicli di screening.

Uno dei punti di forza dello studio segnalati dagli stessi autori sta nella progettazione della ricerca: si tratta, spiegano, di uno “studio autoctono”, progettato e implementato da un team di studiosi con base operativa a Mumbai e che, dunque, avevano una piena comprensione delle realtà sociali, geopolitiche e geografiche del contesto, indicatori che sempre influenzano la conduzione di un’analisi collegata alla salute pubblica, in particolar modo nelle aree disagiate. Lo studio è stato condotto in zone estremamente povere, abitate soprattutto da donne in condizione di difficoltà economica: sono stati i medici e gli assistenti sociali a raggiungerle per effettuare gli screening programmati.

Il risultato principale ha confermato che l’esame clinico del seno condotto ogni due anni dagli operatori sanitari può ridurre del 15% - una misura ritenuta tuttavia non significativa - la mortalità per cancro al seno. La riduzione assume, invece, valori decisamente più importanti, pari

Il grafico sulla mortalità per cancro al seno durante i 20 anni di studio, dalla ricerca di Mittra I, Mishra GA, Dikshit RP, Gupta S, Kulkarni VY, Shaikh HKA et al.

al 30%, quando l’osservazione si focalizza sulle donne ultracinquantenni. Ancora come dato generale, il gruppo di ricercatori spiega di non aver osservato alcuna riduzione significativa della mortalità nelle donne di età inferiore ai 50 anni. Il cancro al seno è stato rilevato in fase precoce ad un’età media di 55,18 anni nel gruppo di screening rispetto al gruppo di controllo (dove l’età media di rilevazione è stata a 56,50). Questa differenza, spiegano gli autori, segnalava che lo screening aveva anticipato la diagnosi di cancro al seno di 16 mesi, così come che il cancro al seno è stato diagnosticato prevalentemente nelle donne anziane o nelle donne più giovani dopo aver raggiunto i 50 anni.

Come previsto dagli autori della ricerca, dunque, è stata osservata una maggiore incidenza di cancro al seno nel gruppo di screening rispetto al gruppo di controllo, ma questa differenza si è poi ridotta gradualmente a partire dal periodo che coincideva con l’avvio della sorveglianza, per scomparire completamente al termine del tempo di osservazione. Al momento del reclutamento nella ricerca di Indraneel Mittra e colleghi, oltre il 70% delle donne sia nel braccio di screening che in quello di controllo aveva meno di 50 anni, mentre al momento della diagnosi di cancro al seno questa proporzione era invertita con quasi il 75% delle donne di età pari o superiore a 50 anni in entrambi i bracci.

Una parte dell’osservazione ha inoltre permesso agli autori di fare alcune riflessioni sul contesto in cui l’indagine è stata sviluppata, per tirare così alcune conclusioni di portata più squisitamente sociale. È nei Paesi a basso medio reddito che, segnalano gli studiosi, l’esame clinico del seno dovrebbe essere preso in considerazione per le campagne di screening e le politiche attive di prevenzione.

L’incidenza del cancro al seno, del resto, è in aumento in tutti i Paesi del mondo, ma in particolare in quelli a basso e medio reddito [2].

Tra le donne, il cancro è la seconda causa di morte nel mondo, così come nelle Americhe, in Europa e nelle regioni del Pacifico occidentale. È la terza causa di morte nel Mediterraneo orientale, la quarta nel sud-est asiatico e la sesta in Africa [3]. Nel 2012, per esempio, sono stati registrati 6,7 milioni di nuovi casi di cancro e 3,5 milioni di decessi tra le donne in tutto il mondo: di questi, il 56% dei casi e il 64% dei decessi si sono verificati nei Paesi meno sviluppati. Le previsioni parlano di un aumento dei casi nel mondo a 9,9 milioni, con 5,5 milioni di decessi ogni anno entro il 2030. Dati, questi ultimi, collegati anche alle stime di crescita e invecchiamento della popolazione.

In India, territorio di riferimento della ricerca, il tasso di incidenza standardizzato per età del cancro al seno è aumentato del 40,7% tra il 1990 e il 2016. In quella regione, questo tipo di tumore è la principale causa di morte per cancro nelle donne nella maggior parte degli stati [4].

C’è un tema fondamentale legato allo sviluppo della malattia ed è quello della diagnosi precoce. In generale, il carico del cancro tra le donne potrebbe essere sostanzialmente ridotto sia nei Paesi ad alto reddito che in quelli a reddito medio-basso attraverso l’implementazione di diversi interventi efficaci, tra cui il controllo dell’uso del tabacco, la vaccinazione HPV e HBV e, naturalmente, lo screening [5].

I tumori al seno nei Paesi a basso e medio reddito sono frequentemente rilevati in fasi avanzate e, di conseguenza, più della metà delle morti globali per cancro al seno si verifica in aree meno sviluppate. La mammografia è ormai uno strumento di screening riconosciuto e consolidato nella pratica in tutti i Paesi sviluppati. Ma in aeree del mondo meno ricche e con sistemi sanitari meno solidi, non è facile individuare la modalità di screening standard su cui fare affidamento.

L’autopalpazione può essere una pratica importante da sostenere ai fini della prevenzione diffusa, ma non è detto che le donne la eseguano sempre in modo corretto [6]. Ad oggi la maggior parte degli studi sull’efficacia dell’autopalpazione della mammella è stata di tipo osservativo: que-

© LightField Studios/shutterstock.com

ste ricerche hanno suggerito che le donne che la praticano hanno maggiori probabilità di scoprire il tumore al seno, e che il tumore tende ad essere più piccolo e che per queste donne si profila una maggiore sopravvivenza [7].

Di contro, la mammografia, esame ampiamente utilizzato nei Paesi occidentali, potrebbe non essere un approccio appropriato nei Paesi a basso e medio reddito a causa del suo costo e della sua complessità. Senza contare che la maggior parte delle donne residenti nelle zone del Pianeta meno sviluppate ha meno di 50 anni e la mammografia è meno efficace in questa fascia di età.

Per comprendere gli effetti delle attività di prevenzione, la letteratura fornisce alcuni dati indicativi. Negli Stati Uniti la mortalità per cancro al seno è diminuita del 24% sostanzialmente in un periodo breve, tra il 1990 e il 2000. Nel 2005 una stima del Cancer Intervention and Surveillance and Modeling Network (CISNET), supportata dal National Cancer Institute statunitense, aveva evidenziato come circa il 46% della diminuzione osservata potesse essere attribuita allo screening. Uno studio norvegese del 2010 [8], invece, aveva indicato nel 10% il contributo della mammografia alla diminuzione della mortalità in Norvegia, con una quota del 28% attribuita a un effetto del tempo, come risultato dell’azione complementare di consapevolezza, miglioramento della terapia e uso di strumenti diagnostici più sensibili, fattori che stavano agendo contemporaneamente all’implementazione dello screening mammografico [9]. Nell’Africa Sub Sahariana, la prevenzione e il controllo del cancro al seno sono un problema di salute pubblica sempre più critico. Il cancro al seno è il tumore femminile più frequente in quell’area del Pianeta e i tassi di mortalità sono i più alti a livello globale. Ma è altrettanto vero che a lungo il cancro al seno è stato considerato una malattia dei Paesi ricchi ed è in questi contesti che sono stati sviluppati e implementati programmi per la diagnosi precoce. Nell’Africa Sub Sahariana, i programmi di screening per il cancro al seno sono stati meno efficaci, probabilmente proprio per il contesto profondamente diverso in cui sono stati applicati i programmi, a partire dall’età della popolazione, decisamente più giovane in Africa. Il contesto socio-economico generale, inoltre, non permette un’azione tempestiva dopo la diagnosi: molte donne presentano uno stadio avanzato della malattia, e poiché le opzioni di trattamento sono limitate, hanno prognosi sfavorevoli. [10].

Nel 1997 uno studio valutò l’efficacia dello screening del cancro al seno avviato a New York nel dicembre 1963 su donne di età compresa tra 40 e 64 anni. All’epoca la mammografia era nelle sue prime fasi di sviluppo e un numero elevato di tumori al seno fu rilevato dalla pratica dell’esame clinico della mammella. A circa 18 anni dal reclutamento, tra le donne di età compresa tra i 40 e i 49 anni e tra i 50 e i 59 anni nel gruppo di studio a cui erano state fornite sia la mammografia sia l’esame clinico fu registrata una mortalità per cancro al seno inferiore di circa il 25% [11].

Per valutare il contributo della mammografia e dell’esame clinico alla riduzione della mortalità per cancro al seno, all’inizio degli anni ’80 fu avviato il Canadian National Breast Screening Study. Le donne osservate, tutte di età compresa tra i 50 e i 59 anni, furono assegnate in modo casuale a due gruppi di studio: per il primo era stato previsto un esame clinico alla mammella ogni anno, al secondo era stata assegnata anche la mammografia. L’obiettivo dell’indagine era determinare se la mammografia fornisse un vantaggio aggiuntivo in termini di riduzione della mortalità: dopo 13

anni di follow-up e cinque cicli di screening, i decessi per cancro al seno nei due gruppi risultarono quasi identici. L’effetto vantaggioso dello screening mammario sulla mortalità per cancro al seno, dice uno studio svedese del 2002, persiste dopo un follow-up a lungo termine. La riduzione è stata registrata come maggiore nelle donne di età compresa tra i 60 e i 69 anni all’ingresso nell’indagine; mentre restringendo le fasce di età a cinque anni, effetti statisticamente significativi sono stati registrati nei gruppi di età 55-59, 6064 e 65-69 anni [12]. Alcuni di questi studi sono stati presi in considerazione del gruppo di Mittra per avviare la progettazione della ricerca e definire meglio gli obiettivi dell’indagine. Al termine del percorso è stato possibile affermare che l’esame clinico alla mammella ha portato a una significativa riduzione dello stadio del cancro al seno individuato in tutte le donne.

Alla fine dello screening, i ricercatori hanno individuato 198 donne con cancro al seno nel braccio dello screening e 151 nel braccio di controllo. Ma dopo un follow-up mediano di 18 anni, i bracci di screening e di controllo presentavano rispettivamente 640 e 655 casi di cancro al seno. Sono invece stati registrati 213 decessi per cancro al seno nel braccio di screening e 251 decessi nel braccio di controllo: il dato ha permesso di valutare come “non significativa” la riduzione della mortalità del 15% quando sono state considerate donne di tutte le età. Tra le donne di età inferiore ai 50 anni, 149 decessi per cancro al seno sono stati registrati nel braccio di screening e 158 decessi nel braccio di controllo; tra le donne di età pari o superiore a 50 anni, 64 decessi per cancro al seno sono stati registrati nel braccio di screening e 93 decessi nel braccio di controllo.

Quando i dati sulla mortalità per cancro al seno sono stati analizzati sulla base della partecipazione al numero di cicli di screening clinici, il team ha scoperto che anche le donne di età inferiore ai 50 anni che hanno partecipato a tutti i cicli di controllo ne hanno beneficiato in modo significativo in termini di riduzione della mortalità, ma questo vantaggio non esisteva se le donne partecipavano solo a tre turni di esame. Le donne di età pari o superiore a 50 anni, invece, hanno ottenuto benefici sia con tre cicli sia con quattro cicli di screening.

In generale, tra i risultati più significativi segnalati dagli autori vi è proprio la constatazione che l’esame clinico biennale alla mammella eseguito da operatori sanitari qualificati ha anticipato in modo significativo la diagnosi di cancro al seno e ha anche abbassato la portata della malattia con un minor numero di tumori di stadio III o IV nelle donne sottoposte a screening.

Quasi sempre nella vicenda clinica delle donne con una storia di tumore al seno un trattamento tempestivo può contribuire a migliorare la qualità della vita, prevenendo la malattia in stadio avanzato e finanche la recidiva locale. (S. L.).

Bibliografia

[1] Mittra I, Mishra G A, Dikshit R P, Gupta S, Kulkarni V Y, Shaikh H K A et al. Effect of screening by clinical breast examination on breast cancer incidence and mortality after 20 years: prospective, cluster randomised controlled trial in Mumbai BMJ 2021; 372:n256 doi:10.1136/bmj.n256 [2] International Agency for Research on Cancer. CI5 plus-cancer incidence in five continents time trends. 2018. https://ci5. iarc.fr/CI5plus/default.aspx [3] Torre LA, Islami F, Siegel RL, Ward EM, Jemal A. Global cancer in women: burden and trends. Cancer Epidemiol Biomarkers Prev 2017; 26:444-57. doi:10.1158/1055-9965.EPI16-0858 pmid:28223433 [4] Dhillon PK, Mathur P, Nandakumar A, India State-Level Disease Burden Initiative Cancer Collaborators. The burden of cancers and their variations across the states of India: the Global Burden of Disease Study 1990-2016. Lancet Oncol 2018; 19:1289-306. doi:10.1016/S1470-2045(18)30447-9 pmid:30219626 [5] Bray F, Ferlay J, Soerjomataram I, Siegel RL, Torre LA, Jemal A. Global cancer statistics 2018: GLOBOCAN estimates of incidence and mortality worldwide for 36 cancers in 185 countries. CA Cancer J Clin2018; 68:394-424. doi:10.3322/ caac.21492. pmid:30207593 [6] Thomas DB, Gao DL, Ray RM, et al. Randomized trial of breast self-examination in Shanghai: final results. J Natl Cancer Inst 2002; 94:1445-57. doi:10.1093/jnci/94.19.1445 pmid:12359854 [7] Hackshaw AK, Paul EA. Breast self-examination and death from breast cancer: a meta-analysis. Br J Cancer 2003; 88:1047-53. doi:10.1038/sj.bjc.6600847 pmid:12671703 [8] Kalager M, Zelen M, Langmark F, Adami HO, Effect of screening mammography on breast-cancer mortality in Norway. N Engl J Med. 2010; 363: 1203-1210 [9] Harford JB. Breast-cancer early detection in low-income and middle-income countries: do what you can versus one size fits all. Lancet Oncol 2011; 12:306-12. doi:10.1016/S14702045(10)70273-4 pmid:21376292 [10] Black E, Richmond R. Improving early detection of breast cancer in sub-Saharan Africa: why mammography may not be the way forward. Global Health 2019; 15:3. doi:10.1186/ s12992-018-0446-6 pmid:30621753 [11] Shapiro S. Periodic screening for breast cancer: the HIP Randomized Controlled Trial. Health Insurance Plan. J Natl Cancer Inst Monogr1997;22:27-30. doi:10.1093/jncimono/1997.22.27 pmid:9709271 [S] Nyström L, Andersson I, Bjurstam N, Frisell J, Nordenskjöld B, Rutqvist LE. Long-term effects of mammography screening: updated overview of the Swedish randomised trials. Lancet2002;359:909-19. doi:10.1016/S0140-6736(02)08020-0 pmid:11918907

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