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Nuovi meccanismi della farmaco-resistenza

Arrivano studi scientifici che spiegano come la forma più letale del cancro alla pelle si difende dalle terapie cercando di proliferare

Uno studio realizzato da un gruppo di ricercatori dell’ISS, in collaborazione con i colleghi dell’Idi-Irccs e del Campus Biomedico, ha individuato nuovi meccanismi che spiegano, almeno parzialmente, la resistenza ai farmaci del melanoma, la forma più letale del cancro alla pelle. La ricerca, pubblicata su Biomedicines, è importante a maggior ragione considerando che il tasso di incidenza di questa forma di tumore è in rapido aumento e il successo terapeutico degli inibitori BRAF (BRAFi) e degli inibitori MEK (MEKi) nel melanoma BRAFmutante sta incontrando dei limiti dovuti proprio alla resistenza ai farmaci.

Su Biomedicines gli autori dello studio spiegano come siano sempre di più le evidenze a suggerire che i cambiamenti nel microambiente tumorale possono giocare un ruolo fondamentale nei meccanismi di resistenza acquisita. Il dottor Francesco Facchiano, che ha coordinato la ricerca, ha spiegato come «nonostante i recenti progressi delle nuove opzioni terapeutiche ne abbiano significativamente modificato l’esito clinico», siano sempre «molto frequenti i melanomi cutanei resistenti agli inibitori della proteina BRAF (BRAFi), una chinasi che risulta mutata in circa il 50% del totale dei casi di melanoma».

I ricercatori sono partiti da dati ottenuti in vitro con cellule tumorali e confermati su campioni biologici per poi concentrare la loro attenzione sull’insieme delle proteine secrete (il cosiddetto secretoma) dalle cellule del melanoma resistenti al vemurafenib, un farmaco antitumorale noto inibitore della proteina BRAF, che è coinvolta nei segnali che regolano il ciclo e la crescita cellulare e se mutata può aumentare la proliferazione tumorale.

«I nostri dati confermano che le cellule resistenti al BRAFi mostrano un comportamento più aggressivo, con un’aumentata produzione di interferone-γ, interleuchina-8 e del VEGF (fattore di crescita dei vasi sanguigni) - ha spiegato Claudio Tabolacci, primo autore dell’articolo e ricercatore sostenuto dalla Fondazione Umberto Veronesi -. Inoltre, abbiamo dimostrato che le cellule del melanoma resistenti al vemurafenib possono influenzare l’attività delle cellule dendritiche, modulando la loro attivazione e la produzione di citochine che possono facilitare la crescita del melanoma».

«La comprensione di questi meccanismi», spiegano i ricercatori citati sul portale dell’Istituto Superiore di Sanità, «è di grande importanza per mettere a punto nuove opzioni terapeutiche in grado di superare la resistenza ai farmaci antitumorali». I nuovi casi di melanoma in Italia sono in aumento: in un anno sono passati dai 12.300 del 2019 ai 14.900 del 2020. Un aumento del 20% che non può non essere fonte di preoccupazione, sebbene sia mitigato dal dato inerente la sopravvivenza a cinque anni dalla diagnosi, pari all’87% (89% donne e 85% uomini). La speranza è che studi come quello appena illustrato, concentrandosi sui meccanismi che impediscono l’efficacia delle terapie, riescano ad aumentare ulteriormente questa percentuale. (D. E.).

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