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A marzo la giornata mondiale della fauna selvatica
Nonostante l’Italia ospiti circa la metà delle specie vegetali e circa un terzo di tutte le specie animali attualmente presenti in Europa, la sua biodiversità sta diminuendo a causa della perdita di habitat, della crisi climatica, dell’inquinamento diffuso e dell’eccessivo sfruttamento delle riscorse
Quella che a causa dell’emergenza sanitaria alcuni studiosi hanno chiamato antropopausa, un periodo durante il quale si è alleggerita la pressione umana sulla Natura, ha portato anche dei vantaggi sul territorio italiano. Nel report “Fauna selvatica a rischio” curato da “Legambiente” scopriamo che dopo oltre cinquant’anni di assenza, la foca monaca è ricomparsa stabilmente nel Mediterraneo. Comune in tutto il Mare Nostrum e lungo le coste nordoccidentali dell’Africa, fino alle Isole Canarie e Madeira, la Monachus monachus ha rischiato l’estinzione, perché era cacciata per la pelle, l’olio, la carne e ha subito la degradazione dell’habitat costiero, oltre al turismo non sempre rispettoso nei suoi confronti. Ci sono poi le buone notizie sul camoscio appenninico e il lupo. Grazie al programma LIFE e all’impegno delle aree protette, abbiamo circa tremila esemplari di camoscio nei Parchi dell’Appennino centrale contro i trenta esemplari agli inizi del ‘900. Anche il lupo, specie protetta dalle leggi nazionali e internazionali, ha riconquistato luoghi da cui era scomparso, con dati che oscillano tra i 1.800 e i 2.400 individui, su cui è attivo un monitoraggio da parte di Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca) per avere cifre più complete.
Nonostante ciò, la nostra biodiversità sta diminuendo per la crisi climatica, l’inquinamento, l’eccessivo sfruttamento delle risorse, l’attività umana e l’introduzione di fauna “aliena” invasiva. Quella “tricolore” è stimata in oltre 58.000 specie, di cui circa 55.000 di invertebrati (95%), 1.812 di protozoi (3%) e 1.265 di vertebrati (2%). «Alcuni gruppi, come alcune famiglie di invertebrati, - si legge nel rapporto - sono presenti in misura doppia o tripla, se non ancora maggiore, rispetto ad altri Paesi europei». Sono dodici, ciò nonostante, a rischiare la propria esistenza: il grifone, con un numero stimato di circa 600 individui, la trota mediterranea, il tritone crestato italiano, la lontra, l’orso bruno marsicano, il lupo e il camoscio appenninico, le farfalle e gli impollinatori, per poi passare a squali, delfini e alla tartaruga Caretta caretta. Per cercare d’invertire la rotta, entro il 2030, è essenziale, quindi, reintegrare le foreste, i suoli e le zone umide, creando spazi verdi, in primo luogo nelle città.
Secondo l’associazione ambientalista il capitale naturale andrebbe incrementato con le aree
© Michal Ninger/shutterstock.com
protette e le zone di tutela integrale, coordinando meglio la biodiversità, rafforzandone la conoscenza e il monitoraggio. Occorrerebbe, inoltre, potenziare la gestione della Rete Natura 2000 e sistemare i Piani d’azione per le specie faunistiche in difficoltà ultimando, ad esempio, il Piano di conservazione e gestione nazionale del lupo, consolidando le tecniche per la tutela dell’orso bruno (PACOBACE e PATOM) e aggiornando il Piano d’azione del camoscio appenninico.
«Il declino della biodiversità - spiega Antonio Nicoletti, responsabile nazionale aree protette e biodiversità di “Legambiente” - è uno dei maggiori problemi ambientali che l’umanità si trova ad affrontare. Malgrado ciò, la portata e la gravità delle conseguenze di questo declino non sono ancora percepiti dal grande pubblico e dalla gran parte dei decisori politici. Nel nostro Paese manca ancora la capacità di pianificare le priorità e le scelte per mettere in sicurezza il nostro capitale naturale. Mancano gli strumenti, sia i Piani d’azione delle specie a rischio che le risorse per continuare a operare in questo campo, e manca la capacità di concertare e decidere in maniera appropriata anche questioni spinose come nel caso dell’incomprensibile ritardo nell’approvazione del Piano di gestione e conservazione del lupo. Per questo è importante adottare un approccio integrato alla risoluzione dei problemi e mitigare la perdita di biodiversità, ridurre l’impatto della crisi climatica aumenta e prevenire le zoonosi rispettando anche gli obiettivi contenuti nella Strategia dell’UE sulla biodiversità per il 2030».
Tra le altre proposte, messe nero su bianco nel report, ci sono i Piani di adattamento e mitigazione al cambiamento climatico per la fauna a rischio; la strategia marina per rafforzare la tutela della fauna e gli ecosistemi costieri e marittimi. La nascita di una rete italiana sui boschi vetusti e le aree rifugio per la fauna selvatica oppure la destinazione di risorse per la tutela, il monitoraggio e la gestione dell’ambiente, favorendo soluzioni che prendano spunto dalla natura (Nature Based Solution - NSB), gioverebbero alla ricostituzione delle aree degradate. Altro problema da non sottovalutare deriva dalle specie invasive, che possono essere arginate applicando in modo rigoroso i regolamenti, le norme nazionali ed europee per custodire gli ambienti naturali salvandoli dagli effetti negativi di questa minaccia, particolarmente nelle zone più esposte come le isole, i corsi d’acqua oppure le aree cittadine. Il rewilding (rinselvatichimento) del territorio e gli investimenti nei centri per il recupero della fauna selvatica completerebbero il percorso, arricchendolo e spalancandoci davanti agli occhi un inaspettato “nuovo” mondo pieno di meravigliose sorprese. (G. P.).
L’avvoltoio grifone è tra i più grandi uccelli presenti nel nostro Paese. Può raggiungere un’apertura alare di 280 cm e un peso che va dai 6,5 ai 12 kg. È ad alto rischio di scomparsa.
© LeAndr/shutterstock.com
L’avvoltoio grifone
Il Gyps fulvus, tra i più grandi uccelli presenti nel nostro Paese, può raggiungere un’apertura alare di 280 cm e un peso che va dai 6,5 ai 12 kg. È ad alto rischio di scomparsa per: l’uso irresponsabile di bocconi avvelenati, il calo del tasso di mortalità del bestiame, con conseguente minore disponibilità di risorse, per i disturbi antropici diretti e indiretti. Si aggiungono pure l’elettrocuzione, la collisione con impianti di energia elettrica, l’intossicazione da sostanze chimiche e da piombo usato nella caccia, le malattie, mancanza, frammentazione e trasformazione degli habitat. Negli ultimi vent’anni si sono succeduti parecchi progetti a sua tutela in Sardegna e d’introduzione o re-introduzione con casi di successo in Friuli - Venezia Giulia (Alpi Orientali), in Abruzzo (Appennino abruzzese) e in Sicilia.