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BREVI

LA BIOLOGIA IN BREVE

Novità e anticipazioni dal mondo scientifico

a cura di Rino Dazzo

SALUTE Malattie infettive: più rischi con cambiamenti climatici

Tra gli effetti nefasti dei cambiamenti climatici ci sono anche quelli legati al maggior rischio per gli animali di contrarre malattie infettive e, quindi, di trasmetterle agli esseri umani. È quanto sostengono i ricercatori di tre università statunitensi (Notre Dame, Florida e Wisconsin-Madison), che hanno raccolto ed elaborato i dati provenienti da più di 7mila documenti relativi ad animali e agenti patogeni in ambienti acquatici e terrestri. Lo studio ha preso in esame le temperature medie e le variazioni climatiche. Il pericolo da scongiurare, secondo il gruppo di studio, è quello del disallineamento termico, fenomeno per il quale il rischio di diffusione di malattie infettive tra animali che vivono in climi glaciali aumenta con l'innalzamento delle temperature, mentre per le specie che vivono in ambienti caldi aumenta con l'abbassamento delle stesse.

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ANIMALI Gli alligatori come le lucertole: possono rigenerare la coda

Come le lucertole, anche gli alligatori hanno un'impressionante capacità: quella di rigenerare la coda. Lo ha scoperto un gruppo di studio dell'Arizona State University e del Dipartimento di Caccia e Pesca della Louisiana, che ha pubblicato i risultati della sua ricerca su Scientific Reports. Gli alligatori più giovani possono infatti riguadagnare fino a 23 centimetri di coda danneggiata, il 18 per cento della lunghezza totale del corpo, proprio come le lucertole. Lo studio è stato condotto utilizzando tecniche avanzate di imaging combinate con ricerche di anatomia e di organizzazione dei tessuti. La capacità di rigenerare la coda, grazie a un particolare tessuto connettivo in grado di riparare cartilagine, vasi sanguigni, squame e nervi, offre agli alligatori un vantaggio funzionale in ambienti acquatici e potrebbe fare da apripista per nuovi percorsi terapeutici applicabili anche per l'artrite umana.

INNOVAZIONE Stop alla neurodegenerazione con le cellule retiniche

Particolari elementi retinici, le cellule bipolari, sono in grado di costrastare i tipici fenomeni di neurodegenerazione legati alla sclerosi multipla. Lo hanno scoperto i ricercatori dell'Irccs Fondazione Bietti, in collaborazione con l'Irccs Neuromed e la Clinica Neurologica dell'Università di Tor Vergata, autori di uno studio pubblicato sul Journal of Clinical Medicine. L'indagine ha riguardato 88 soggetti affetti da sclerosi multipla e ha accertato come le cellule bipolari (il cui ruolo è quello di connettere i fotorecettori retinici alle cellule ganglionari) blocchino i processi neurodegenerativi, consentendo un recupero completo della funzione visiva dopo una neurite ottica, processo infiammatorio del nervo ottico spesso sintomo di sclerosi. La scoperta apre la strada a ulteriori sviluppi applicativi contro la neurodegenerazione in varie forme di disabilità visiva, motoria e sensoriale.

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ONCOLOGIA Due proteine che favoriscono lo sviluppo dei tumori

Due proteine determinano se le cellule debbano invecchiare repentinamente o trasformarsi in cellule tumorali, attraverso un meccanismo che potrebbe essere utilizzato da apripista per un nuovo percorso terapeutico a bersaglio molecolare. Le hanno scoperte i ricercatori dell'Istituto Regina Elena di Roma e dell'Istituto di genetica e biologia molecolare di Strasburgo, sostenuti dalla Fondazione Airc. La separazione cellulare è garantita dalle proteine Csa e Csb, note come fattori di riparazione del Dna. Lo studio ha appurato come le due proteine partecipino alla degradazione di una terza proteina, Prc1, tagliando il ponte tra le cellule figlie. Appena mutano, Csa e Csb danno origine alla sindrome di Cockayne, caratterizzata da invecchiamento precoce. Quando le due proteine non funzionano portano all'invecchiamento delle cellule, mentre quando funzionano troppo favoriscono i tumori.

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AMBIENTE In Italia aria più pulita, ma è il Paese dove si muore di più

Negli ultimi dieci anni la qualità dell'aria è migliorata in tutta l'Ue, Italia compresa. Lo rende noto l'Agenzia europea per l'ambiente, che ha pubblicato il decimo rapporto sulla qualità dell'aria 2020. Nel 2018 nell'Ue sono morte 379mila persone a causa dell'inquinamento da PM2.5, il particolato fine, 60mila in meno rispetto al 2009; i decessi causati da NO2, il biossido da azoto, sono stati invece 63mila in meno, oltre la metà. In Italia il parametro di riferimento è coi dati del 2012. I decessi da PM2.5 sono diminuiti da 59.500 a 52.500, quelli da NO2 da 21.600 a 10.400. La Penisola resta il paese europeo col maggior numero di decessi causati dal biossido di azoto e il secondo per morti da particolato alle spalle della Germania. E la Pianura Padana si conferma tra le aree più inquinate d'Europa, nonostante la diminuzione (da 3,3% a 1,8%) degli abitanti più esposti allo smog.

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