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Le azioni extra-scheletriche della vitamina D
di Lisa Fiore, Gianni Zocchi, Niccolò Zocchi, Franco Bardini, Giorgia Carabelli, Giacomo Ciampi e Stefano Bernardi
Che la vitamina D svolga un ruolo fondamentale nel regolare i processi di mineralizzazione ossea è ormai un punto fermo ma cosa sappiamo ad oggi di tutte le sue azioni extra-scheletriche? Non corriamo il rischio di sopravvalutarne il ruolo con aspettative non confortate da evidenze scientifiche?
L’anno 2018 ha visto la pubblicazione delle linee guida italiane di gestione della Vitamina D sia in ambito pediatrico (1) che per l’adulto (2). Due anni dopo la prestigiosa rivista The Journal of Steroid Biochemistry and Molecular Biology pubblica il report definitivo dello primo vero studio randomizzato denominato “VITAL” (3) che aveva lo scopo di mettere in relazione supplementazione di Vitamina D e prevenzione di patologie quali neoplasie e affezioni cardio-vascolari. La domanda quindi sorge spontanea: perché la comunità scientifica avverte l’esigenza di porre dei punti fermi sulla gestione di questa vitamina? Il problema ha radici profonde e forse mai del tutto chiarite. A fianco dell’ormai nota e consolidata azione della Vitamina D sul metabolismo osseo ed in altri ambiti, che comunque rimandano al suo ruolo scheletrico, ci si è spinti ad ipotizzare, a torto o a ragione a seconda degli studi, un suo ruolo di spicco in situazioni molto diverse che vanno da una specifica azione nella regolazione del sistema immunitario alla prevenzione di stati alterati dell’umore. Con il termine “azioni extra-scheletriche” (4) quindi si raggruppano tutti gli ambiti diversi da quello “classico” in cui la Vitamina D assume ipoteticamente un ruolo primario di controllo.
L’ipotesi di azioni extra-scheletriche della Vitamina D nasce intorno agli anni ’80, periodo in cui avviene la rivoluzio-
naria scoperta del suo recettore (VDR) e dell’enzima 1-alfa-idrossilasi (attivatore della Vitamina D) in tessuti e cellule non coinvolti nel metabolismo calcio-fosforo, quali cellule della cute, del cervello, della placenta, del pancreas e nelle cellule del sistema immunitario (5). In anni successivi, quando anche l’epigenetica si affaccia alla ribalta delle scienze applicative, si osserva che quasi la totalità delle cellule esprimono il VDR e che la Vitamina D attiva è in grado di regolare, direttamente o indirettamente, l’espressione di oltre 1300 geni diversi (6). Da qui l’ipotesi di un suo ruolo ad ampio raggio e non più confinato in ambito scheletrico.
Da allora si sono susseguiti molti studi che hanno dato luogo ad altrettante pubblicazioni ma ad oggi la comunità scientifica non ha ancora assunto una posizione univoca sul reale ruolo di questa importante vitamina in ambiti diversi dal metabolismo osseo. Si ipotizza che una sua carenza possa aumentare il rischio di neoplasie (in particolare tumore del colon, mammella e prostata), di malattie cardiovascolari, di condizioni autoimmuni o ridotta fertilità. Non vi sono ad oggi evidenze certe delle correlazioni sopra esposte (7), o quantomeno non inconfutabili, e se ci si aspettavano nuove certezze dallo studio VITAL anche questo non è stato in grado di porre punti fermi e inequivocabili. Lo studio osservazionale, randomizzato e controllato, ha coinvolto oltre 25.000 soggetti (uomini e donne di età superiore a 50 anni) trattati per più di 5
© Yulia Furman/www.shutterstock.com
anni con supplementazione giornaliera di 2000 UI di Vitamina D e di 1 gr di acidi grassi Omega-3. Lo scopo era quello di osservare una riduzione di rischio di insorgenza di neoplasie e/o patologie cardiovascolari in relazione ai supplementi assunti nel tempo. Sia questo imponente studio che metaanalisi precedenti non hanno evidenziato una significativa riduzione di incidenza di neoplasie né di condizioni a carico del sistema cardio-vascolare. Dallo studio VITAL sembra emergere una riduzione significativa della mortalità dovuta a neoplasie, tuttavia lo stesso studio non è stato in grado di chiarire le condizioni soggettive che possono far trarre beneficio dalla integrazione con Vitamina D.
Come ci si pone quindi di fronte a “ipotesi” di correlazione tra bassi valori di Vitamina D attiva circolante e aumento di rischio di sviluppare patologie autoimmuni come ad esempio il diabete mellito di tipo 1, la sclerosi multipla, il morbo di Chron e l’artrite reumatoide o situazioni quali ipertensione, infarto del miocardio, ictus, malattia cardio-vascolare, schizofrenia, depressione e progressivo deficit neurocognitivo? La Vitamina D, al di là delle sue azioni ormai note, può essere considerata una vera e propria “panacea” come da molti ipotizzato?
Quello che realmente oggi manca è l’evidenza di solide basi causa-effetto tra ipovitaminosi D e le condizioni sopra descritte. In altre parole: la carenza di vitamina D è la causa o
l’effetto di un determinato problema?
Per chiarire ulteriormente il concetto prendiamo un esempio concreto: l'obesità e la carenza di vitamina D sono viste oggi come un importante problema di salute in tutto il mondo ed in particolare nei paesi occidentali (8). Eppure, nonostante vari Focus la relazione tra i livelli sierici di Vitamina D e Indice di Massa Corporea (IMC) è controversa poiché, a seconda dei lavori pubblicati, si osserva sia una correlazione negativa che una correlazione positiva tra questi parametri, o addirittura assenza di correlazione (9). Diversi autori spiegano questa variabilità come frutto di errati disegni degli studi clinici e si è osservato che possono intervenire più fattori (esterni e/o interni ai vari studi) quali: luogo in cui vive la popolazione presa in esame, stagione in cui si protrae lo studio, differenze di genere (uomini e donne con uguale IMC hanno una diversa distribuzione del tessuto adiposo), diversi stili di vita, diverso approccio del Sistema Sanitario di vari paesi rispetto al problema “integrazione di Vitamina D”.
Un esempio? Una meta-analisi condotta su 34 studi trasversali (10) ha dimostrato una correlazione debole o negativa tra i livelli sierici di Vitamina D attiva e l'IMC in adulti sani, maschi che vivono nei paesi sviluppati. Una correlazione analoga era evidente anche per gli uomini che vivevano nei paesi in via di sviluppo, ma non per le donne. La stessa meta-analisi ha dimostrato inoltre una debole correlazione inversa tra vitamina D e IMC. I pazienti obesi (BMI> 30 kg / m2) potrebbero richiedere 2-3 volte più vitamina D sia per il trattamento che per la prevenzione della carenza di vitamina D ma non vi è evidenza univoca (10).
Queste stesse “discrepanze” si osservano anche in altri ambiti quali, ad esempio, il ruolo della Vitamina D nella regolazione del sistema immunitario o delle infezioni. Le evidenze ad oggi disponibili non supportano in maniera univoca una relazione causale tra ipovitaminosi D e infezioni tanto che le attuali Linee Guida sconsigliano l’uso della Vitamina D per il trattamento e/o la prevenzione delle condizioni sopra descritte, in attesa di trials clinici definitivi. Le raccomandazioni, sia in ambito nazionale (2) che internazionale (11), frutto di una attenta e meticolosa revisione delle più importanti pubblicazioni ad oggi disponibili parlano chiaro: la determinazione della vitamina D e il trattamento sostitutivo non sono ancora consigliati per prevenire o curare disturbi clinici diversi dalle patologie ossee e non possono essere raccomandati © FotoHelin/www.shutterstock.com come prevenzione primaria. Ricorrere alla vitamina D a scopo preventivo in alcuni contesti avviene senza che, ad oggi, sia stato dimostrato in maniera inequivocabile che tali integrazioni siano realmente in grado di contrastare le patologie che si intendono prevenire.
Alcuni autori (5), in maniera forse più cauta, pur mettendo in evidenza associazioni tra stato e/o integrazione della Vitamina D e alcune patologie, sottolineano come non sia ancora possibile definire un ruolo di causa ed effetto evidenziando la necessità di ulteriori trial clinici che ne valutino gli effetti in maniera chiara ma soprattutto specifica. Le aspettative sul ruolo extra-scheletrico della Vitamina D restano comunque elevate e si dovrà porre sempre maggiore attenzione a trials clinici che ne evidenzino il ruolo preventivo.
Bibliografia
1) Saggese et al., Italian Journal of Pediatrics 2018 2) Cesareo et al., Nutrients 2018 3) Manson J.E. et al., The Journal of Steroid Biochemistry and Molecular Biology 2020 4) Shaw NJ et al., Arch Dis Child 2013 5) Brandi M.L., Michieli R., Pacini Editore 2015 6) Hossein-Nezhad A. et al., PLoS One 2013 7) Autier P. et al., Lancet Diabetes Endocrinol. 2017 8) World Health Organization. Fact Sheet: Obesity and Overweight 2018 9) Saneei P. et al., Ob. Rew. 2013 10) Drincic A. et al, J. Clin. Endocrinol. Metab. 2013 11) Dimitrakopoulou V.I. et al, BMG 2017