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MIGLIORI RICERCATORI UNDER 40, IL TALENTO DI DOMENICO MALLARDO
Il biologo napoletano nella lista di Fortune Italia: lavora all’Istituto Nazionale Tumori Pascale e sul riconoscimento precisa: “È un traguardo di gruppo”
Ènapoletano e si occupa da anni di melanoma uno dei quaranta under 40 “incoronati”, poche settimane fa, dalla rivista Fortune Italia che ogni anno, sulla scia dell’edizione Usa, riconosce i migliori talenti del Paese in vari settori. In quello della ricerca scientifica la scelta è caduta su Domenico Mallardo, 36 anni, in forze all’Istituto Nazionale Tumori IRCCS Pascale di Napoli. Per lui, però, non si tratta di un traguardo personale ma di quello di un intero gruppo, la Struttura complessa Melanoma, immunoterapia oncologica e terapie innovative dell’Istituto partenopeo dove lavora. Il nome in lista, però, è il suo, perciò, è a lui che chiediamo da dove arriva quella che lui stesso definisce “una sorpresa”.
Dott. Mallardo, quali sono stati i suoi primi passi nel mondo della ricerca?
La mia esperienza lavorativa è iniziata nel 2022 quando, per svolgere le attività di tesi per la laurea magistrale in Biotecnologie Mediche all’Università Federico II, scelsi di frequentare il laboratorio della Struttura Melanoma, immunoterapia oncologica e terapie innovative del Pascale. Il capo del dipartimento, Paolo Ascierto (oncologo pluripremiato, massimo esperto di melanoma al mondo nel decennio 2013-2023 secondo la classifica Expertscape ideata dall’Università del North Carolina, ndr) ha favorito la mia crescita professionale permettendomi di effettuare esperienze nel 2018 e 2019 a Seattle e all’Istituto Karolinska di Stoccolma. Intanto mi sono specializzato in patologia clinica e biochimica clinica alla Federico II. Attualmente sono editore associato della rivista Frontiers in Genetics e Editore ospite per la rivista International Journal of Molecular Sciences.
Tra i risultati conseguiti a livello professionale quali citerebbe?
In uno studio su 121 pazienti, affetti da melanoma metastatico, condotto qui al Pascale, abbiamo osservato che i pazienti trattati con Cetirizina, (il più comune Zirtec) in concomitanza con l’immunoterapico anti-PD-1, hanno tassi di risposta migliori e sopravvivenza più lunga. Lo studio, pubblicato sulla rivista Journal of Translation Medicine, ha evidenziato che i pazienti che assumono l’antistaminico hanno avuto un aumento dei linfociti T-effettrici e un potenziamento del pathway dell’interferone che è in grado di promuove la polarizzazione dei macrofagi M1 con una forte attività anti-tumorale, rispetto ai macrofagi M2 con un’attività pro-tumorale. In un altro studio effettuato su 265 pazienti, abbiamo osservato come i livelli dell’Interleuchina-6 (IL-6), una citochina molto discussa durante la pandemia in quanto coinvolta nel “cytokine storm” durante l’infezione da Covid-19 e target del farmaco tocilizumab, abbiano un ruolo chiave anche nel cancro, in particolare nel melanoma e carcinoma cutaneo a cellule squamose. Infine, menzionerei lo studio clinico di fase II SECOMBIT, ideato da Ascierto che ha come capofila il Pascale con l’obiettivo di individuare la giusta sequenza di terapie nei pazienti con melanoma metastatico, per cui sono state arruolate 209 persone di 30 centri in 10 Paesi europei.
C’è un progetto che sta nascendo e a cui tiene particolarmente?
Lo studio sul diabete e il cancro. Abbiamo già pubblicato sulla rivista Annals of Oncology una ricerca in cui abbiamo osservato che i pazienti diabetici con melanoma hanno una bassa espressione della molecola lag-3. Questa ipotesi, se confermata, potrebbe sconsigliare il trattamento con anti-lag3 in questa tipologia di pazienti, che potranno quindi beneficiare di altri farmaci immunoterapici. Inoltre, menzionerei gli studi clinici NEO-TIM e NEO-CESQ, in cui i pazienti affetti da melanoma e carcinoma cutaneo a cellule squamose vengono trattati con immunoterapia in regime neoadiuvante (prima dell’intervento chirurgico) ed in adiuvante (post operatorio). Questa modalità di trattamento innovativo possa ridurre l’incidenza di recidive e migliorare la sopravvivenza.
“In uno studio su 121 pazienti, affetti da melanoma metastatico, condotto qui al Pascale, abbiamo osservato che i pazienti trattati con Cetirizina, (il più comune Zirtec) in concomitanza con l’immunoterapico anti-PD-1, hanno tassi di risposta migliori e sopravvivenza più lunga”.
Oltre se stesso, deve ringraziare qualcuno?
Il raggiungimento di questi traguardi è dovuto anche al supporto del gruppo, perciò ci terrei a ringraziare i biologi Marilena Capone, Gabriele Madonna, Marilena Tuffanelli e Marilena Romanelli; gli oncologi Ester Simeone, Lucia Festino, Vito Vanella, Claudia Trojaniello, Maria Grazia Vitale, Margaret Ottaviano, Francesca Sparano e Arianna Facchini; i dermatologi Marco Palla, Luigi Scarpato, Rossella Di Trollio e Mirella D’Andrea; il primario di chirurgia Corrado Caracò e la caposala Patrizia Sabatelli; gli study coordinator e il supporto: Miriam, Susy, Gianni, Benedetta, Mario, Mariarosaria e Teresa. Non posso dimenticare il Direttore scientifico Alfredo Budillon e il Direttore Generale Attilio Bianchi. E il mio mentore, naturalmente, Ascierto.
Dove si vede tra 15 anni?
Amo il mio lavoro, mi ritengo fortunato a lavorare nella mia città e al contempo a stare in un gruppo di eccellenti competenze. È ancora – da 10 anni – un lavoro precario e non nego di aver rifiutato offerte migliori; ma sono ancora convinto di aver fatto la scelta giusta. Spero di arrivare a una stabilità, di continuare il mio lavoro qui e di riuscire ad accrescere i benefici dei nostri pazienti, che, in fondo, è l’unica cosa che conta.
Una progressione più rapida della sclerosi multipla, malattia neurodegenerativa che colpisce il sistema nervoso centrale, è associata alla presenza di una specifica variante genetica. A scoprirlo è stato uno studio internazionale a forte presenza (e impronta) italiana, frutto della collaborazione fra più di settanta istituzioni guidate dalle Università di San Francisco e Cambridge e condotto su oltre 22mila pazienti. Sergio Baranzini, professore di Neurologia all’Università della California di San Francisco (Ucsf), co-autore senior del lavoro pubblicato su Nature, ha spiegato come ereditare questa variante genetica da entrambi i genitori acceleri «di quasi quattro anni il tempo per avere bisogno di un ausilio per la deambulazione».
Nei pazienti affetti da sclerosi multipla, il sistema immunitario attacca erroneamente il cervello e il midollo spinale, determinando così riacutizzazioni dei sintomi, note come “ricadute”, e degenerazione a lungo termine, cui ci si riferisce con il termine “progressione”. Nonostante nel corso degli anni la ricerca abbia sviluppato alcuni trattamenti efficaci per la gestione delle ricadute, prevenire in maniera affidabile la progressione non è possibile in alcun modo: ciò porta ad un accumulo di disabilità. Ricerche svolte negli anni scorsi hanno individuato quali fattori di rischio alcune disfunzioni del sistema immunitario, le quali possono essere trattate rallentando la malattia. Ma, precisa il professor Baranzini, «questi fattori di rischio non spiegano perché, a dieci anni dalla diagnosi, alcune persone con sclerosi multipla siano sulla sedia a rotelle mentre altre continuino a correre maratone». Comprendere come la variante esercita i suoi effetti sulla gravità della malattia che in Italia si stima colpisca tra le 68mila e le 75mila persone, secondo Stephen Sawcer, professore presso l’Università di Cambridge ed a sua volta coautore senior dello studio, «aprirà auspicabilmente la strada a una nuova generazione di trattamenti in grado di prevenire la progressione della malattia».
Per arrivare alla scoperta della prima variante genetica associata a una progressione più rapida della sclerosi multipla si è fatto ricorso alla mole di informazioni custodite dall’International Multiple Sclerosis Genetics Consortium (Imsgc) e del MultipleMs Consortium, esaminando i dati di oltre 12mila pazienti. Dopo aver setacciato oltre sette milioni di varianti genetiche, gli esperti ne hanno scovato una associata a una progressione più rapida di malattia. Si trova tra due geni senza precedente associazione con la sclerosi multipla, denominati DYSF e ZNF638: il primo è coinvolto nella riparazione delle cellule danneggiate, il secondo aiuta a controllare le infezioni virali. La vicinanza della variante a questi geni ha suggerito agli scienziati che questi potrebbero essere coinvolti nella progressione della malattia. Per confermare le loro scoperte, gli scienziati hanno dunque studiato la genetica di quasi diecimila ulteriori pazienti.
Nei pazienti affetti da sclerosi multipla, il sistema immunitario attacca erroneamente il cervello e il midollo spinale, determinando così riacutizzazioni dei sintomi, note come “ricadute”, e degenerazione a lungo termine, cui ci si riferisce con il termine “progressione”. Nonostante nel corso degli anni la ricerca abbia sviluppato alcuni trattamenti efficaci per la gestione delle ricadute, prevenire in maniera affidabile la progressione non è possibile in alcun modo: ciò porta ad un accumulo di disabilità.
Adil Harroud, primo autore dello studio, ha spiegato che questa ricerca offre «un’importante opportunità per sviluppare nuovi farmaci che possono aiutare a preservare la salute» dei pazienti. Ovviamente sarà necessario svolgere altro lavoro per determinare in maniera esatta come la variante genetica individuata riesca a influenzare i geni DYSF e ZNF638, e il sistema nervoso più in generale. Gli scienziati a tal proposito stanno anche raccogliendo una serie ancora più ampia di campioni di Dna da persone con sclerosi multipla: la loro aspettativa è di trovare altre varianti che contribuiscono alla disabilità a lungo termine nella malattia. Per quanto riguarda l’importante contributo fornito dall’Italia, la ricerca è stata coordinata da Sandra D’Alfonso, docente di Genetica medica presso il Dipartimento di Scienze della salute dell’Università del Piemonte Orientale a Novara, e da Filippo Martinelli Boneschi, docente di Neurologia presso il Dipartimento di Scienze della salute di UniMi e responsabile del Centro sclerosi multipla dell’Asst Santi Paolo e Carlo di Milano, entrambi membri del gruppo strategico dell’Imsgc. Con loro anche Federica Esposito, responsabile del Laboratorio di Genetica umana delle malattie neurologiche dell’ospedale San Raffaele di Milano e membro dell’Imsgc, e Massimo Filippi, primario dell’Unità di Neurologia, Neuroriabilitazione e Neurofisiologia e del Centro Sclerosi multipla del San Raffaele di Milano. Gli scienziati italiani - rimarca l’Università Statale di Milano - hanno contribuito tra l’altro mettendo a disposizione un’ampia casistica nazionale, corrisponde al 20% circa del totale pazienti esaminati. «Questo lavoro - hanno dichiarato D’Alfonso, Martinelli Boneschi ed Esposito - rappresenta un’importante svolta nell’ambito della medicina di precisione, in quanto potrebbe per esempio portare all’uso di terapie più aggressive sin dall’inizio in quei soggetti portatori di varianti genetiche sfavorevoli per la progressione della sclerosi multipla».